un`enclave bizantina sul lago di garda?

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un`enclave bizantina sul lago di garda?
Gian Pietro Brogiolo
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UN’ENCLAVE BIZANTINA SUL LAGO DI GARDA?
Gian Pietro Brogiolo
Il tema che affronto in questo contributo concerne problemi interpretatitivi dei dati archeologici e delle fonti scritte sui castelli gardesani. Il tentativo è quello di uscire da una classificazione
morfologica (CIGLENECKI 1987, BROGIOLO
1996), ovvero etnico culturale (BIERBRAUER
1982), per avviare la costruzione di una sequenza
contestualizzata nelle vicende storiche. Accennerò
dapprima all’origine dei castelli gardesani, che in
base alle conoscenze attuali, sembra porsi nel V
secolo e, in un secondo paragrafo, alla loro evoluzione nel corso del VI secolo in rapporto alla guerra greco gotica e al conflitto tra Bizantini, alleati
dei Franchi, e Longobardi.
1. I castelli gardesani dall’età di Teodosio
a quella di Teodorico
Il problema dei castelli gardesani, tra V e VI
secolo, andrebbe inserito in un quadro più generale,
geograficamente allargato alla regione prealpina tra
il Ticino e l’Adige: in altri termini mettendo in relazione le fortificazioni con Milano e Verona, le due
città più importanti, in quell’area, tra V e VII secolo.
Per rendere più agevole questo tentativo ricorrerò ad una schematizzazione, articolando il periodo compreso tra inizi V e metà VI secolo in tre fasi
principali:
(a) l’inizio del V secolo, ossia la situazione
immediatamente precedente la scarna indicazione
della Notitia Dignitatum che testimonia un sistema difensivo denominato tractus Italiae circa
Alpes (CLEMENTE 1968, SANNAZARO 1990,
CHRISTIE 1991),
(b) i decenni centrali del V secolo fino alla vittoria di Teodorico su Odoacre (489-90),
(c) l’età gota ed in particolare l’età teodoriciana,
ricca di testimonianze scritte sulla costruzione di
nuove opere di difesa.
Il criterio deduttivo qui adottato si può anche
criticare, in quanto dà per scontata un’influenza
delle vicende politiche sulle trasformazioni dell’insediamento (problema sul quale vi è un ampio
dibattito storiografico), ma, almeno per alcuni di
questi segmenti cronologici, sembra il più adatto,
come vedremo, per interpretare l’evoluzione della
regione tra Ticino e Adige.
(a) l’inizio del V secolo
Il 31 dicembre del 407, gli Alamanni riuscivano
a sfondare il confine fortificato sul Reno e ad occupare i territori romani tra il fiume e il lago di Ginevra. Contemporaneamente i Goti compivano scorrerie in Italia giungendo sino a Roma, saccheggiata da Alarico nel 410 (MAZZARINO 1990).
Attorno al 425, la Notitia Dignitatum menziona un sistema difensivo attestato sulle Alpi (trac tus Italiae circa Alpes) e affidato ad un comes: l’articolazione di queste difese è ben esemplificata
dalla vignetta che illustra un castello e uno sbarramento longitudinale a controllo delle vie di
penetrazione alpina.
Le fonti archeologiche confermano che all’inizio del V secolo esistevano numerosi castelli. Sono
infatti presumibilmente databili a questa fase le
prime difese di Sirmione, che dipartendosi dalla
villa denominata “grotte di Catullo” si estendevano verso lungo i bordi della penisola. Il rinvenimento di una fibula in bronzo dorato tipica dell’abbigliamento degli alti ufficiali dell’esercito
(BOLLA 1996) ha fatto ipotizzare che nella villa
fosse stanziato “un comando militare di rilievo”
(ROFFIA 1995). Allo stato delle ricerche, non è
tuttavia chiara la terminazione meridionale della
cinta (Roffia in questo stesso convegno).
Tra la seconda metà del IV e gli inizi V secolo è
datato anche il castrum di Lomello, scavato tra
1984 e 1991 (BLAKE, MACCABRUNI 1992).
Costruito su un dosso lungo il corso dell’Agogna,
centro stradale della via per le Gallie fin dal II
secolo d.C., mansio dall’Itinerario Burdigalense,
venne fortificato con mura alte almeno sette metri
e dello spessore di ca. 4, rinforzate da torri. L’imponenza delle difese ricorda quelle del castello che
sovrasta la città di Susa, le cui mura tagliano l’acquedotto di Valentiniano II (NEGROPONZI
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LE FORTIFICAZIONI DEL GARDA E I SISTEMI DI DIFESA DELL’ITALIA SETTENTRIONALE TRA TARDO ANTICO E ALTO MEDIOEVO
MANCINO, in questo stesso convegno). Monte
Barro, sulla base degli scavi più recenti che hanno
restituito tre frammenti di sigillata africana
(fondo di D1/I) per i quali viene proposta un ambito cronologico dal 320 al 420, potrebbe risalire a
quel periodo, anche se la fase di occupazione più
intensa corrisponde alla guerra greco-gotica
(BROGIOLO, CASTELLETTI 1991).
È da rimarcare come per nessuno dei castelli
indagati archeologicamente nell’arco alpino centro
occidentale, sia stata proposta dagli scavatori una
datazione più antica della seconda metà del IVinizi del V secolo. Questo è un primo dato significativo perché starebbe ad indicare che le opere fortificatorie della fine del III secolo interessarono
esclusivamente, o prevalentemente, le città, in
particolare Verona e Milano, le cui difese vennero
riorganizzate rispettivamente da Gallieno e Massimiano.
In questo contesto, il Garda tornava a rivestire
un ruolo chiave come nodo di comunicazioni, ruolo
che aveva esercitato in epoca preistorica e che non
era stato completamente scalzato dalla costruzione, nel 16 a.C., della via Claudia Augusta lungo la
Val d’Adige (CAVADA 1996, 1997). Questo antico
percorso viene protetto con fortificazioni dislocate
in punti strategici, quali lo Sperone sopra Riva, a
controllo della via del Ponale, sito che ha restituito, negli sterri del 1860, monete d’oro di Valente e
di Teodosio I (CAVADA 1996).
Come sintomo della presenza di militari nella
zona sono state interpretate le guarnizioni di cintura rinvenute, oltre che a Sirmione, anche nelle
fasi più recenti della necropoli del Lugone di Salò,
in tombe di Vobarno, dell’Alto Garda trentino, alle
quali si aggiungono quelle della Val d’Adige, di cui
ha parlato Cavada in questo stesso convegno. Il
dato archeologico non si presta peraltro ad una
interpretazione univoca. Non sappiamo, in assenza di analisi antropologiche, se gli elementi di corredo si riferiscano a persone anziane, e dunque a
militari in congedo ritornati alla loro patria d’origine, oppure ad individui giovani e pertanto ancora in attività. Va sottolineata la distribuzione dei
reperti lungo le principali vie di comunicazione
alpine della val d’Adige e del percorso Garda-Giudicarie-Val di Non.
(b) i decenni centrali del V secolo
Su queste prime, e presumibilmente urgenti,
opere difensive si innestò poi un complesso sistema destinato ad esercitare un ruolo significativo
nelle complesse vicende del V-VI secolo. Gli anni
dal 450 al 490 vedono le prime prove dei castelli,
durante le incursioni alamanne della metà del
secolo che minacciano Milano e nello scontro tra
l’esercito di Odoacre e quello di Teodorico (489-90).
Va ricordata anche la decisiva battaglia tra i due
capi barbari svoltasi sull’Adda, ai piedi del Monte
Barro, durante la quale viene ucciso il comandante dell’esercito di Odoacre, il vir illustris Pierius,
sepolto in un recinto funerario, rinvenuto nella
Pieve di Garlate (SANNAZARO 1993, BROGIOLO e al. 1997).
Numerosi sono i castelli datati archeologicamente, talora con un certo margine di incertezza,
attorno alla metà del V secolo.
Il più noto è quello di Castelseprio, fondato, su
un dosso del fiume Olona, lungo la strada da Novara a Como, probabilmente nella seconda metà del
secolo (BROGIOLO in BROGIOLO, GELICHI
1996): orientano in tal senso la terra sigillata più
antica rinvenuta nella torre di sud est (tipo Hayes
96) e nella torre esterna 2 (tipo Hayes 87,88). Era
difeso da una cinta di ottocento metri, con torri sia
interne sia lungo il perimetro, cui si aggiunse, probabilmente in una seconda fase, un’appendice
verso valle. Al suo interno erano la chiesa battesimale di S. Giovanni, un edificio di ragguardevoli
dimensioni (sede del comando?) e un quartiere abitativo.
Anche per il castello di Belmonte e S. Giulio
d’Orta, entrambi in posizione strategica lungo i
percorsi verso i passi alpini, è stata proposta una
fondazione alla metà del V secolo ( MICHELETTO
PEJRANI 1997, pp. 318-325).
(c) l’età gota
Cassiodoro ci informa in un paio di passi di fortificazioni di età gota in Italia settentrionale (SETTIA 1993; BROGIOLO in BROGIOLO, GELICHI
1996). Teodorico prestò infatti particolare cura alla
difesa delle Alpi centro-occidentali, attraverso le
quali temeva attacchi contro il suo regno (SETTIA
1993). Il coordinamento dell’autorità pubblica, per
un’impresa portata a termine dalle comunità locali, sotto la guida di un funzionario o di altra autorità (può essere anche un vescovo, come ricorda
ENNODIO, Carm., 2, 110, per un castello del novarese), costituisce la garanzia che si costruirà una
fortezza utilizzabile anche per fini militari.
Nel territorio benacense, Garda è probabilmente di origine gota come suggerisce il nome germanico (BROGIOLO 1991, SETTIA 1993). Il castello
sorge su una montagna (q. 291) con la sommità
piatta, difesa naturalmente da strapiombi di 200
m ca. su tre lati, mentre un muro in grosse pietre
sbozzate chiudeva il lato est. Il rinvenimento di
una moneta dell’imperatore Leone, quantunque
non decisiva, sembra suggerire una presenza insediativa in quel periodo.
L’interesse strategico del lago è confermato
anche dal perfezionamento delle difese di Sirmione. Isa Roffia ha dimostrato come alla prima cinta
in scaglie che circondava la parte settentrionale
della penisola sia stato aggiunto, agli inizi del VI,
un nuovo muro in ciottoli e laterizi, munito di torri
e contrafforti (ROFFIA 1995 e in questo convegno).
Gian Pietro Brogiolo
Un sito arroccato con testimonianze di età gota
è anche il S. Giovanni sopra Riva: una struttura
circolare (resto di una torre), con reperti tardo
antichi, tra cui una moneta del re Teodato (534536), venne poi trasformata in chiesa (CAVADA
1996). Il sito di S. Giovanni è posto a controllo di
un percorso che collegava il lago e la valle del Chiese alle Giudicarie esteriori, analogamente ad altri
castelli dei quali tuttavia manca a tutt’oggi una
datazione, anche se alcuni elementi suggeriscono
di collocarla tra tarda antichità e primo alto
medioevo.
Poco più a nord si trova l’abitato fortificato di S.
Martino di Campi, sulla sommità e sul versante
meridionale di una montagna alta 1079 m s.l.m.,
ove in età romana sorgeva un tempio. Gli scavi, tuttora inediti, hanno messo in luce la chiesa, un tratto delle mura e alcune case, distrutte da incendio.
Su un altro percorso giudicariese, che da Arco
portava a Lundo attraverso il passo di S. Giovanni,
un castello, denominato anch’esso di S. Martino, è
stato costruito sulla sommità di un dosso roccioso
(alt. m 984 s.l.m) a fianco della strada. L’insediamento, per il quale mancano attualmente elementi di datazione, si trova sui resti di un insediamento fortificato protostorico ed è cinto da mura con
torri. All’interno, nel punto più alto, sorgeva la
chiesa dedicata al santo che ha dato il nome al sito.
Da Ponte Arche il percorso si biforcava. Da un
lato attraverso Stenico, dove il castello bassomedievale ha tracce di occupazione più antica e dove,
significativamente, vi è un’altra cappella dedicata
a S. Martino, giungeva a S. Lorenzo in Banale e
Molveno e quindi nella Val di Non. Dall’altro,
attraverso Bleggio, ove si collegava al primo percorso che dopo il S. Martino di Campi perveniva al
passo del Ballino e a Fiavé, si raggiungeva il passo
del Durone e quindi Tione nelle Giudicarie interne.
In prossimità del passo, sulla sommità di una
montagna alta 1450 m, vi è un quarto castello,
detto anch’esso di S. Martino. In superficie si vedono i resti delle mura, di numerosi edifici e della
chiesetta ad aula unica.
L’insieme di queste fortificazioni attende ancora indagini che ne chiariscano l’origine e la durata
nel tempo. Vi sono peraltro tre elementi che le
caratterizzano. In primo luogo la posizione isolata
ed eccentrica rispetto all’insediamento di età
romana che privilegia i terrazzi e le aree pianeggianti dell’altopiano, il che suggerisce una funzione strategica di difesa dei percorsi stradali oltre
che della popolazione locale. In secondo luogo, la
dimensione notevole, tipica delle fortificazioni di
IV- VI. Ed infine l’intitolazione al S. Martino che
potrebbe forse derivare, come aveva ipotizzato
Bognetti per analoghe intitolazioni bresciane e
valtellinesi (BOGNETTI 1963), dal controllo affidato da Carlo Magno al monastero di S. Martino di
Tours di alcuni itinerari stradali che dalla Pianura Padana portavano alla Rezia.
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Nella valle dell’Adige, la testimonianza di Cassiodoro ci permette di riferire puntualmente
all’età teodoriciana il castello di Verruca, tradizionalmente identificato con il Doss Trento (di parere
contrario SETTIA 1993), protetto, oltre che dalle
pareti a picco, anche dall’Adige e fortificato sotto la
guida di un funzionario goto con il concorso delle
popolazioni locali. Un intervento diretto del re è
forse da riconoscere nella fortificazione che da lui
prese il nome (Theodoricopolis), ubicata nei pressi
di Innsbruck e ricordata per la prima volta dall’Anonimo Ravennate.
Che la costruzione o il rafforzamento dei
castelli non costituissero episodi isolati da attribuire ad esigenze locali, ma rientrassero in una
precisa strategia di difesa, lo confermano le contemporanee iniziative di consolidamento e ammodernamento delle difese urbane. Per entrambi, il
coordinamento dello stato è, a mio avviso, fuori
discussione.
Le indagini archeologiche condotte a Verona da
Giuliana Cavalieri Manasse e Peter Hudson e presentate in questo convegno hanno ulteriormente
corroborato l’ipotesi, avanzata in precedenza dalla
medesima studiosa (CAVALIERI MANASSE
1993, 1993a), che la seconda cinta di Verona venne
realizzata non già da Gallieno, bensì dal re amalo,
cui sarà da attribuire anche la fortificazione del
colle di S. Pietro, in sinistra d’Adige, a protezione
del palazzo pure da lui edificato. Il nuovo muro di
difesa, a pochi metri dal primo che rimaneva in
uso, rispondeva alle nuove strategie militari sperimentate in ambito bizantino (RAVEGNANI 1983)
e presto imitate dai Goti.
L’analogia con gli interventi realizzati a Brescia è evidente. Anche nella città lombarda, le
mura vengono ampliate per proteggere un edificio
pubblico, forse il palazzo e rinforzate con una
seconda cinta (BROGIOLO 1993). Per Brescia
manca una datazione puntuale, come quella ottenuta a Verona con ricerche mirate, ma non vi è
dubbio che la similarità delle strutture ne prospetta una contemporaneità, suggerita anche dal fatto
che entrambe le città vengono definite da un cronista della metà del VI secolo come “città munite”
(TEOFANE, I, 367), e dunque difese secondo i
canoni della strategia militare dell’epoca.
Brescia, Verona, Adige, Garda sono dunque il
teatro delle imprese edificatorie di un re che temeva la minaccia franca, non potendo prevedere che
la distruzione del regno sarebbe venuta dalle
armate bizantine sbarcate in Sicilia. Le scelte politico militari di Teodorico si riveleranno decisive
per tutti questi territori: Verona sarà fino alla fine
del VI una delle capitali italiane, Brescia sarà una
delle città longobarde più importanti, il Garda e la
Val d’Adige saranno il teatro, durante la guerra
greco-gotica del confronto militare tra Goti, Franchi e Bizantini e poco dopo del conflitto tra Longobardi Franchi e Longobardi.
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LE FORTIFICAZIONI DEL GARDA E I SISTEMI DI DIFESA DELL’ITALIA SETTENTRIONALE TRA TARDO ANTICO E ALTO MEDIOEVO
2. I castelli gardesani tra la guerra grecogotica (535-553) e la conquista longobarda
delle regioni alpine (574-590 ca.)
renza con i duchi longobardi che da parte loro cercavano di mantenere una propria indipendenza,
tramando di volta con Franchi e Bizantini.
Il periodo compreso tra la guerra greco-gotica e
la definitiva conquista longobarda delle regioni
alpine si presenta alquanto confuso a causa di un
confronto militare a tre che vede coinvolti, a partire
dal 539, Goti, Bizantini e Franchi. Sopravvivono,
oltre la conclusione ufficiale della guerra nel 555,
nuclei di goti che controllano alcuni territori della
Venetia e persistono le pretese franche, che risalgono al tempo della guerra greco-gotica, di annettersi
territori transpadani (BOGNETTI 1963).
In questa situazione, che rendeva difficile il
controllo della zona alpina, è probabile, come ipotizza Zanini (1997) che la frontiera effettiva, fin
dagli anni ‘40, non fosse sulle Alpi, bensì lungo i
fiumi Po ed Adige, controllati da flottiglie e rinforzati da una serie di capisaldi quali Pavia, Piacenza, Cremona, Ostiglia, Monselice. L’ipotesi, che
richiama le analoghe strategie di difesa attuate
dai Bizantini lungo il Danubio e l’Eufrate, potrebbe altresì fornire una suggestiva spiegazione alla
mancata resistenza incontrata dai Longobardi
nella loro marcia del 568-69: sarebbero stati
lasciati scorrere, secondo la ben nota strategia di
difesa in profondità, lungo la principale direttrice
stradale est ovest, nell’intento di contrastarli una
volta che si fossero diluiti nel territorio.
La guerra ebbe due scenari: l’arco alpino dove
le sacche di resistenza bizantina vennero definitivamente eliminate attorno al 590 e la pianura
padana, dove il duro confronto si concluse solamente con le vittoriose campagne di Agilulfo del
602-603. In questa sede interessa solamente lo
scenario alpino, e dunque il periodo tra 574 e 590.
Accennerò dapprima alle fasi di questa lunga
guerra, svilupperò poi l’ipotesi che anche il lago di
Garda costituisse, nella sua parte settentrionale,
una enclave bizantina.
L’incompleta occupazione da parte longobarda
dei territori prealpini permise la sopravvivenza
fino agli anni ‘90 di alcune enclaves bizantine (per
un quadro della presenza longobarda nella nostra
regione: DE MARCHI 1994, DE MARCHI 1995,
DE MARCHI 1997, DE MARCHI 1997a e in questo convegno).
Nel 568-69 i Longobardi si insediarono, senza
incontrare una vera resistenza, nei castelli e nelle
città lungo le vie pedemontane: Cividale, Treviso,
Vicenza, Verona (e da qui, attraverso la Val d’Adige, Trento), Brescia, Bergamo, Milano. Da Milano,
la conquista si sviluppò attraverso tre diverse
direttrici: Castelseprio e Canton Ticino fino a Bellinzona verso nord, le città del Piemonte verso
ovest, Pavia verso sud, dove incontrarono il primo
vero ostacolo da parte imperiale.
Rimanevano in mano bizantina i territori a sud
del Po, un cuneo comprendente Padova e Oderzo,
essenziale per collegare Ravenna con l’Istria, e
alcuni territori alpini: certamente il lago di Como
fino al 589, quando venne conquistata l’Isola
Comacina (H.L. III, 27; CAPORUSSO 1998) e la
Val di Susa, in mano imperiale ancora nel 575.
Questi territori, tra 574 e 590, furono teatro di una
lunga partita a quattro fra i Bizantini e i loro alleati Franchi da un lato, i re longobardi (Autari e
soprattutto Agilulfo) ed i loro riottosi duchi dall’altro. I primi resistevano, anche grazie all’appoggio
dei Franchi. I re conducevano l’offensiva in concor-
La prima fase della guerra (574-576) vede tre
distinte azioni. Vi è dapprima un’incursione longobarda nella Alpi Cozie, seguita da una controffensiva dei Franchi che attaccano il Trentino. Il
castello di Anagni defeziona, viene ripreso e saccheggiato dal conte Ragilo di Lagare, ucciso a sua
volta dal duca franco che conquista e saccheggia
Trento. Il duca longobardo Evino riesce tuttavia a
riprendere la città (H.L., III, 9). Una spedizione
bizantina, guidata dal generale Baduario, non
muta la situazione a favore dell’Impero.
Una nuova incursione franca, su istigazione
dei Bizantini, non riesce a debellare i Longobardi
che si asserragliano nelle città (H.L., III, 17).
La guerra riprende in grande stile nel 589-90,
con un’offensiva congiunta tra l’esarca bizantino e
re Childberto II (Epistolae Austrasicae, 40,41,
MGH, Ep., III, pp. 145-148). I Bizantini riconquistano Mantova, ma l’attacco franco nelle Alpi fallisce: distruggono parecchie fortezze nel Trentino,
ma non riescono a sconfiggere i Longobardi, trincerati in posizioni strategiche (H.L., III, 31). Agilulfo, passato il pericolo, regola i conti con i duchi
che avevano tramato con il nemico: uccide
Mimulfo signore dell’isola di s. Giulio e sconfigge il
duca di Bergamo Gaidulfo, rifugiatosi nell’Isola
Comacina (H.L., IV,3). Il territorio alpino è da questo momento longobardo, con l’eccezione della val
di Susa, passata forse direttamente dai Bizantini
ai Franchi e con la progressiva perdita dell’alto
Adige infiltrato dai Baiuvari.
L’enclave bizantina documentata sul lago di
Como (BROGIOLO 1997), potrebbe trovare un
parallelo nella regione gardesana. Le fonti per ipotizzarla nel Garda settentrionale (BROGIOLO
1997a) fino agli anni ‘90 del VI secolo sono peraltro
di natura indiziaria e manca una fonte esplicita
che la confermi. I dati di fatto, ancorché certi, non
sono risolutivi, le interpretazioni d’altra parte
sono plausibili, ma non certe.
In primo luogo, è ormai assodato che i Longobardi, percorrendo nel 568-69 la direttrice stradale da
Verona a Brescia, occuparono subito il castello di
Sirmione. Lo conferma la necropoli di guerrieri, la
più grande tra quelle riferibili ad un castello dell’I-
Gian Pietro Brogiolo
talia settentrionale, rinvenuta ai piedi del colle di
Cortine agli inizi del secolo, che ha restituito materiali che si datano ai decenni finali del VI secolo
(SISINO 1989). L’eccezionalità del ritrovamento
postula una notevole importanza del castello, in
rapporto presumibilmente ad una situazione ritenuta di minaccia e di pericolo non occasionale.
Al contrario, i reperti longobardi, rinvenuti
sinora sulla Rocca di Garda e lungo la sponda veronese del lago, sono invece attribuibili al VII secolo
(LA ROCCA 1989), evidenza che avvalora la congettura che l’occupazione di questa piazzaforte sia
avvenuta solo qualche decennio più tardi.
In terzo luogo, il Monte Castello di Gaino (BROGIOLO 1998, BROGIOLO et al. in questo convegno), sembra interpretabile come postazione militare per la ridotta superficie (500 mq), per la posizione lontana dall’insediamento di fondovalle e per
l’ottima qualità delle murature. I reperti si datano
tra prima metà (un recipiente di pietra ollare con
cordone che ha confronti con Monte Barro) e metàseconda metà VI secolo (cinque frammenti di almeno due piatti di terra sigillata Hayes 104, databili
tra 540 e 620; al pieno VI sono infine assegnabili,
per gli stretti confronti con esemplari analoghi da S.
Giulia, frr. di anfora L.R. 2 di produzione egea ).
Queste cronologie consentono di collocare il sito
tra poco prima della metà e la seconda metà del
secolo, con due possibili interpretazioni. Nelle
prime notizie a stampa, che tenevano conto del
rinvenimento del fr. di pietra ollare e di un primo
fr. di sigillata, è stata ipotizzata una fondazione e
un impiego nell’ambito della guerra greco-gotica
(BROGIOLO in BROGIOLO, GELICHI 1996).
Il successivo recupero di altri materiali di importazione, che è raro ritrovare in contesti insediativi
coevi, e al contrario sono assai diffusi nei siti militari bizantini, come nel castello ligure di S.Antonino
di Perti (BONORA e al. 1984) approvvigionato con
prodotti africani, suggerisce ora di ridiscutere la
questione a partire da un altro punto di vista: l’utilizzo del Monte Castello da parte di truppe imperiali tra metà e seconda metà del VI secolo. Una fortificazione di questo tipo ha d’altra parte un senso solo
in una condizione di forte contrasto militare, e per
di più in un’area ristretta, con la funzione di bloccare capillarmente ogni via di transito, comprese
quelle secondarie. Situazione che potrebbe essersi
verificata nelle ultime fasi della guerra greco-gotica, ma forse anche in quelle, non meno concitate, del
conflitto sviluppatosi tra 574 e 590.
Il territorio dipendente dal distretto di Sirmione, ricostruibile sulla base di un documento del
771 (per cui si veda BROGIOLO 1989), comprende
i territori del Basso e dell’Alto lago, apparentemente uniti solo dalla via d’acqua. L’anomalia è
stata interpretata come conseguenza della volontà
di controllare il percorso lacuale, ma potrebbe trovare una diversa spiegazione, se ammettessimo
che il territorio bizantino del Sommolago sia stato
conquistato dai Longobardi di Sirmione.
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La questione sarebbe inequivocabilmente risolta se fosse corretta l’ipotesi di Adriano La Regina
(1988) di identificare con Garda il Gàrada ricordato
da Giorgio Ciprio tra le fortezze ancora in mano
bizantina verso la fine del VI secolo. Lo stesso autore propone l’identificazione del castron Anaunia,
pur esso imperiale, con l’omonimo castello della Val
di Non. La lista di Giorgio Ciprio si presta tuttavia
ad altre interpretazioni (CONTI 1975) e l’ipotesi,
ancorché suggestiva per il possibile collegamento
tra l’enclave della gardesana e quella della Val di
Non, non può essere considerata una prova.
Un ultimo dato, anch’esso ipotetico, ma fortemente suggestivo, ci viene dalla notizia assai
tarda (testimoniata da un elenco dei vescovi bresciani e arricchita di altri particolari nella vita del
santo compilata da Bartolomeo Vitali nel XVI
secolo) che il vescovo Erculiano di Brescia, vissuto
in un periodo non meglio precisato, ma comunque
poco dopo la metà del VI secolo, si ritirò sul Garda,
a Campione, a condurre vita eremitica e in questa
località venne sepolto. La notizia merita una certa
considerazione, in quanto è noto dalle fonti come
alcuni vescovi di città conquistate dai Longobardi
preferirono fuggire in territorio bizantino anziché
collaborare con gli invasori: così fecero il vescovo di
Aquileia, ritiratosi a Grado, quello di Milano, fuggito a Genova, quello di Padova, spostatosi nella
laguna di Venezia.
A Campione esiste ancora la spelonca, posta ad
una trentina di metri al di sopra del lago e indicata
come “la grotta di S. Erculiano”. La costruzione della
Gardesana Occidentale negli anni trenta ha modificato il tratto intermedio della parete rocciosa, che
aveva forse un andamento più digradante e dove
potevano essere ospitate strutture lignee, di cui
rimane traccia in alcuni piccoli tagli nella roccia,
probabili appoggi per travi orizzontali. Strutture che
potevano consentire un accesso meno arduo di quello attuale che presenta un passaggio di sesto grado.
La grotta, assai sviluppata in verticale, ha
pianta ad arco ribassato di m 5,10 x 2 ca., ampliato artificialmente nel livello inferiore, ed è protetta verso valle da una muratura che rivela due differenti tecniche costruttive: a ovest, nel tratto
inferiore, è in opera incerta di pietre e numerosi
frammenti di tegole di tipo romano legati da malta
con inerte grossolano e poca calce; a est e nel tratto superiore, si notano invece pietre spaccate
disposte in corsi regolari con una tecnica che
usualmente si ritrova in opere di età romanica.
Differenti sono anche gli spessori delle murature:
1,35 m a est e solo 0,60 a ovest.
Un insediamento di tipo eremitico, forse collegabile a questo, è documentato nella contigua val
Tignalga che sfocia nel lago a Campione. Nella
parete destra del fiume, a 50 metri ca. in verticale,
vi sono tre grotte chiuse da muro. Come nella grotta di Campione, i soli manufatti visibili in superficie sono frammenti di embrici di tipo romano. Ai
piedi della parete, nel letto del fiume è stata rinve-
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LE FORTIFICAZIONI DEL GARDA E I SISTEMI DI DIFESA DELL’ITALIA SETTENTRIONALE TRA TARDO ANTICO E ALTO MEDIOEVO
vo imperiale di spezzare in due il territorio longobardo, creando, con la collaborazione dei Franchi,
un corridoio lungo il percorso Mincio-GardaSarca-Val di Non-passo di Resia. Il silenzio di
Paolo Diacono non può dunque essere considerato
a priori come una prova ad escludendum.
Fig. 1 - Grotta di S. Erculiano
nuta in passato una punta di lancia a foglia di salice presumibilmente assegnabile al IV-V secolo. Ma
non vi è alcun motivo per collegarla all’insediamento rupestre.
Il quadro di una presenza eremitica, suggerito
dalla leggenda di S. Erculiano, è peraltro attendibile, anche se solo scavi sistematici potrebbero fornirne una cronologia puntuale.
Purtroppo non si potrà più scavare la chiesa di
Campione, dove il santo venne sepolto in un sarcofago, così come tutta l’area circostante, irrimediabilmente compromessa all’inizio del secolo per le
costruzioni del Cotonoficio Olcese.
Contro l’ipotesi di un’enclave bizantina nel
Garda settentrionale, vi è tuttavia un’obiezione di
un certo rilievo. Il Garda è totalmente ignorato da
Paolo Diacono, salvo per un riferimento geografico-descrittivo. Se si considera che per la fine del
sesto secolo egli è debitore della cronaca perduta di
Secondo di Non e che numerose sono le notizie per
l’area trentina e veronese da lui riportate, si
dovrebbe concludere che il lago non sia stato interessato in quel periodo da alcun avvenimento
degno di nota. Vi è peraltro da osservare che lo storico longobardo passa sotto silenzio anche una
svolta importante del conflitto bizantino-longobardo, quale la riconquista di Mantova, prima del 590,
da parte dell’esarca Romano. Riconquista che
potrebbe trovare una chiave di lettura nel tentati-
In conclusione, si può avanzare l’ipotesi, da sottoporre al vaglio di ulteriori ricerche, che i Longobardi, nel 568-69, si siano impadroniti soltanto di
Sirmione e del Basso lago che assicuravano il controllo della strada da Verona a Brescia e della
direttrice lungo la Val d’Adige, ma sarebbero
rimasti bizantini il medio e alto lago e le vallate
alpine ad esso collegate, ossia le Giudicarie e la
Val di Non che assicuravano un percorso alternativo alla Val d’Adige e soprattutto una saldatura
ad occidente con la Valtellina e il lago di Como, certamente ancora in mano bizantina.
Questa congettura giustificherebbe altresì la
strategia dei Franchi, alleati dei Bizantini, che
alternativamente attaccarono i Longobardi sia nel
Canton Ticino, dove il loro duca Olo fu sconfitto e
morì presso Bellinzona, sia attraverso la Val di
Non, presumibilmente per collegarsi ai presidi
imperiali che ancora resistevano sul lago di Como
e di Garda. Potrebbe altresì spiegare lo strano
“ritiro” del presule bresciano, in un’area che si
sarebbe trovata in un territorio sotto controllo
bizantino, non tanto per un’improvvisa vocazione
eremitica, quanto piuttosto nel tentativo di sfuggire ai nuovi invasori.
L’ipotesi fornirebbe infine una spiegazione plausibile delle decisive trasformazioni del territorio gardesano nell’età di transizione. Da un insediamento
di età romana prevalentemente sparso con qualche
vicus, allo sviluppo di due centri militari importanti,
quali Sirmione e Garda che l’Anonimo Ravennate,
alla fine del VII secolo, definisce come città.
Abitati che segnano una rottura con il precedente modello insediativo: il castello di Sirmione,
come ha dimostrato Isa Roffia, cresce non già,
come era stato ipotizzato, su un vicus, ma sui ruderi di due ville romane (ROFFIA 1996, 1997).
Garda, sulla base dei primi dati della ricerca
avviata quest’anno, sembra riproporre una situazione analoga: un central place che si inserisce in
un insediamento sparso con ville urbane sul lago e
fattorie inserite in fondi dell’entroterra collinare.
La fortuna di questi centri in età longobarda ha
dunque una lontana origine nelle scelte strategiche di età tardo antica e di età teodoriciana, rielaborate dai longobardi alla fine del secolo successivo, nel corso del duro e prolungato confronto militare con i Bizantini che stimola alla formazione di
una coscienza sociale e di un’organizzazione giuridica che resisteranno per gran parte dell’alto
medioevo. Costruiti o rafforzati per difendere le
vie che convergevano su Verona e Brescia, i due
castelli finiranno per diventare centri di frammentazione del loro territorio.
Gian Pietro Brogiolo
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