un`enclave bizantina sul lago di garda?
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un`enclave bizantina sul lago di garda?
Gian Pietro Brogiolo 13 UN’ENCLAVE BIZANTINA SUL LAGO DI GARDA? Gian Pietro Brogiolo Il tema che affronto in questo contributo concerne problemi interpretatitivi dei dati archeologici e delle fonti scritte sui castelli gardesani. Il tentativo è quello di uscire da una classificazione morfologica (CIGLENECKI 1987, BROGIOLO 1996), ovvero etnico culturale (BIERBRAUER 1982), per avviare la costruzione di una sequenza contestualizzata nelle vicende storiche. Accennerò dapprima all’origine dei castelli gardesani, che in base alle conoscenze attuali, sembra porsi nel V secolo e, in un secondo paragrafo, alla loro evoluzione nel corso del VI secolo in rapporto alla guerra greco gotica e al conflitto tra Bizantini, alleati dei Franchi, e Longobardi. 1. I castelli gardesani dall’età di Teodosio a quella di Teodorico Il problema dei castelli gardesani, tra V e VI secolo, andrebbe inserito in un quadro più generale, geograficamente allargato alla regione prealpina tra il Ticino e l’Adige: in altri termini mettendo in relazione le fortificazioni con Milano e Verona, le due città più importanti, in quell’area, tra V e VII secolo. Per rendere più agevole questo tentativo ricorrerò ad una schematizzazione, articolando il periodo compreso tra inizi V e metà VI secolo in tre fasi principali: (a) l’inizio del V secolo, ossia la situazione immediatamente precedente la scarna indicazione della Notitia Dignitatum che testimonia un sistema difensivo denominato tractus Italiae circa Alpes (CLEMENTE 1968, SANNAZARO 1990, CHRISTIE 1991), (b) i decenni centrali del V secolo fino alla vittoria di Teodorico su Odoacre (489-90), (c) l’età gota ed in particolare l’età teodoriciana, ricca di testimonianze scritte sulla costruzione di nuove opere di difesa. Il criterio deduttivo qui adottato si può anche criticare, in quanto dà per scontata un’influenza delle vicende politiche sulle trasformazioni dell’insediamento (problema sul quale vi è un ampio dibattito storiografico), ma, almeno per alcuni di questi segmenti cronologici, sembra il più adatto, come vedremo, per interpretare l’evoluzione della regione tra Ticino e Adige. (a) l’inizio del V secolo Il 31 dicembre del 407, gli Alamanni riuscivano a sfondare il confine fortificato sul Reno e ad occupare i territori romani tra il fiume e il lago di Ginevra. Contemporaneamente i Goti compivano scorrerie in Italia giungendo sino a Roma, saccheggiata da Alarico nel 410 (MAZZARINO 1990). Attorno al 425, la Notitia Dignitatum menziona un sistema difensivo attestato sulle Alpi (trac tus Italiae circa Alpes) e affidato ad un comes: l’articolazione di queste difese è ben esemplificata dalla vignetta che illustra un castello e uno sbarramento longitudinale a controllo delle vie di penetrazione alpina. Le fonti archeologiche confermano che all’inizio del V secolo esistevano numerosi castelli. Sono infatti presumibilmente databili a questa fase le prime difese di Sirmione, che dipartendosi dalla villa denominata “grotte di Catullo” si estendevano verso lungo i bordi della penisola. Il rinvenimento di una fibula in bronzo dorato tipica dell’abbigliamento degli alti ufficiali dell’esercito (BOLLA 1996) ha fatto ipotizzare che nella villa fosse stanziato “un comando militare di rilievo” (ROFFIA 1995). Allo stato delle ricerche, non è tuttavia chiara la terminazione meridionale della cinta (Roffia in questo stesso convegno). Tra la seconda metà del IV e gli inizi V secolo è datato anche il castrum di Lomello, scavato tra 1984 e 1991 (BLAKE, MACCABRUNI 1992). Costruito su un dosso lungo il corso dell’Agogna, centro stradale della via per le Gallie fin dal II secolo d.C., mansio dall’Itinerario Burdigalense, venne fortificato con mura alte almeno sette metri e dello spessore di ca. 4, rinforzate da torri. L’imponenza delle difese ricorda quelle del castello che sovrasta la città di Susa, le cui mura tagliano l’acquedotto di Valentiniano II (NEGROPONZI 14 LE FORTIFICAZIONI DEL GARDA E I SISTEMI DI DIFESA DELL’ITALIA SETTENTRIONALE TRA TARDO ANTICO E ALTO MEDIOEVO MANCINO, in questo stesso convegno). Monte Barro, sulla base degli scavi più recenti che hanno restituito tre frammenti di sigillata africana (fondo di D1/I) per i quali viene proposta un ambito cronologico dal 320 al 420, potrebbe risalire a quel periodo, anche se la fase di occupazione più intensa corrisponde alla guerra greco-gotica (BROGIOLO, CASTELLETTI 1991). È da rimarcare come per nessuno dei castelli indagati archeologicamente nell’arco alpino centro occidentale, sia stata proposta dagli scavatori una datazione più antica della seconda metà del IVinizi del V secolo. Questo è un primo dato significativo perché starebbe ad indicare che le opere fortificatorie della fine del III secolo interessarono esclusivamente, o prevalentemente, le città, in particolare Verona e Milano, le cui difese vennero riorganizzate rispettivamente da Gallieno e Massimiano. In questo contesto, il Garda tornava a rivestire un ruolo chiave come nodo di comunicazioni, ruolo che aveva esercitato in epoca preistorica e che non era stato completamente scalzato dalla costruzione, nel 16 a.C., della via Claudia Augusta lungo la Val d’Adige (CAVADA 1996, 1997). Questo antico percorso viene protetto con fortificazioni dislocate in punti strategici, quali lo Sperone sopra Riva, a controllo della via del Ponale, sito che ha restituito, negli sterri del 1860, monete d’oro di Valente e di Teodosio I (CAVADA 1996). Come sintomo della presenza di militari nella zona sono state interpretate le guarnizioni di cintura rinvenute, oltre che a Sirmione, anche nelle fasi più recenti della necropoli del Lugone di Salò, in tombe di Vobarno, dell’Alto Garda trentino, alle quali si aggiungono quelle della Val d’Adige, di cui ha parlato Cavada in questo stesso convegno. Il dato archeologico non si presta peraltro ad una interpretazione univoca. Non sappiamo, in assenza di analisi antropologiche, se gli elementi di corredo si riferiscano a persone anziane, e dunque a militari in congedo ritornati alla loro patria d’origine, oppure ad individui giovani e pertanto ancora in attività. Va sottolineata la distribuzione dei reperti lungo le principali vie di comunicazione alpine della val d’Adige e del percorso Garda-Giudicarie-Val di Non. (b) i decenni centrali del V secolo Su queste prime, e presumibilmente urgenti, opere difensive si innestò poi un complesso sistema destinato ad esercitare un ruolo significativo nelle complesse vicende del V-VI secolo. Gli anni dal 450 al 490 vedono le prime prove dei castelli, durante le incursioni alamanne della metà del secolo che minacciano Milano e nello scontro tra l’esercito di Odoacre e quello di Teodorico (489-90). Va ricordata anche la decisiva battaglia tra i due capi barbari svoltasi sull’Adda, ai piedi del Monte Barro, durante la quale viene ucciso il comandante dell’esercito di Odoacre, il vir illustris Pierius, sepolto in un recinto funerario, rinvenuto nella Pieve di Garlate (SANNAZARO 1993, BROGIOLO e al. 1997). Numerosi sono i castelli datati archeologicamente, talora con un certo margine di incertezza, attorno alla metà del V secolo. Il più noto è quello di Castelseprio, fondato, su un dosso del fiume Olona, lungo la strada da Novara a Como, probabilmente nella seconda metà del secolo (BROGIOLO in BROGIOLO, GELICHI 1996): orientano in tal senso la terra sigillata più antica rinvenuta nella torre di sud est (tipo Hayes 96) e nella torre esterna 2 (tipo Hayes 87,88). Era difeso da una cinta di ottocento metri, con torri sia interne sia lungo il perimetro, cui si aggiunse, probabilmente in una seconda fase, un’appendice verso valle. Al suo interno erano la chiesa battesimale di S. Giovanni, un edificio di ragguardevoli dimensioni (sede del comando?) e un quartiere abitativo. Anche per il castello di Belmonte e S. Giulio d’Orta, entrambi in posizione strategica lungo i percorsi verso i passi alpini, è stata proposta una fondazione alla metà del V secolo ( MICHELETTO PEJRANI 1997, pp. 318-325). (c) l’età gota Cassiodoro ci informa in un paio di passi di fortificazioni di età gota in Italia settentrionale (SETTIA 1993; BROGIOLO in BROGIOLO, GELICHI 1996). Teodorico prestò infatti particolare cura alla difesa delle Alpi centro-occidentali, attraverso le quali temeva attacchi contro il suo regno (SETTIA 1993). Il coordinamento dell’autorità pubblica, per un’impresa portata a termine dalle comunità locali, sotto la guida di un funzionario o di altra autorità (può essere anche un vescovo, come ricorda ENNODIO, Carm., 2, 110, per un castello del novarese), costituisce la garanzia che si costruirà una fortezza utilizzabile anche per fini militari. Nel territorio benacense, Garda è probabilmente di origine gota come suggerisce il nome germanico (BROGIOLO 1991, SETTIA 1993). Il castello sorge su una montagna (q. 291) con la sommità piatta, difesa naturalmente da strapiombi di 200 m ca. su tre lati, mentre un muro in grosse pietre sbozzate chiudeva il lato est. Il rinvenimento di una moneta dell’imperatore Leone, quantunque non decisiva, sembra suggerire una presenza insediativa in quel periodo. L’interesse strategico del lago è confermato anche dal perfezionamento delle difese di Sirmione. Isa Roffia ha dimostrato come alla prima cinta in scaglie che circondava la parte settentrionale della penisola sia stato aggiunto, agli inizi del VI, un nuovo muro in ciottoli e laterizi, munito di torri e contrafforti (ROFFIA 1995 e in questo convegno). Gian Pietro Brogiolo Un sito arroccato con testimonianze di età gota è anche il S. Giovanni sopra Riva: una struttura circolare (resto di una torre), con reperti tardo antichi, tra cui una moneta del re Teodato (534536), venne poi trasformata in chiesa (CAVADA 1996). Il sito di S. Giovanni è posto a controllo di un percorso che collegava il lago e la valle del Chiese alle Giudicarie esteriori, analogamente ad altri castelli dei quali tuttavia manca a tutt’oggi una datazione, anche se alcuni elementi suggeriscono di collocarla tra tarda antichità e primo alto medioevo. Poco più a nord si trova l’abitato fortificato di S. Martino di Campi, sulla sommità e sul versante meridionale di una montagna alta 1079 m s.l.m., ove in età romana sorgeva un tempio. Gli scavi, tuttora inediti, hanno messo in luce la chiesa, un tratto delle mura e alcune case, distrutte da incendio. Su un altro percorso giudicariese, che da Arco portava a Lundo attraverso il passo di S. Giovanni, un castello, denominato anch’esso di S. Martino, è stato costruito sulla sommità di un dosso roccioso (alt. m 984 s.l.m) a fianco della strada. L’insediamento, per il quale mancano attualmente elementi di datazione, si trova sui resti di un insediamento fortificato protostorico ed è cinto da mura con torri. All’interno, nel punto più alto, sorgeva la chiesa dedicata al santo che ha dato il nome al sito. Da Ponte Arche il percorso si biforcava. Da un lato attraverso Stenico, dove il castello bassomedievale ha tracce di occupazione più antica e dove, significativamente, vi è un’altra cappella dedicata a S. Martino, giungeva a S. Lorenzo in Banale e Molveno e quindi nella Val di Non. Dall’altro, attraverso Bleggio, ove si collegava al primo percorso che dopo il S. Martino di Campi perveniva al passo del Ballino e a Fiavé, si raggiungeva il passo del Durone e quindi Tione nelle Giudicarie interne. In prossimità del passo, sulla sommità di una montagna alta 1450 m, vi è un quarto castello, detto anch’esso di S. Martino. In superficie si vedono i resti delle mura, di numerosi edifici e della chiesetta ad aula unica. L’insieme di queste fortificazioni attende ancora indagini che ne chiariscano l’origine e la durata nel tempo. Vi sono peraltro tre elementi che le caratterizzano. In primo luogo la posizione isolata ed eccentrica rispetto all’insediamento di età romana che privilegia i terrazzi e le aree pianeggianti dell’altopiano, il che suggerisce una funzione strategica di difesa dei percorsi stradali oltre che della popolazione locale. In secondo luogo, la dimensione notevole, tipica delle fortificazioni di IV- VI. Ed infine l’intitolazione al S. Martino che potrebbe forse derivare, come aveva ipotizzato Bognetti per analoghe intitolazioni bresciane e valtellinesi (BOGNETTI 1963), dal controllo affidato da Carlo Magno al monastero di S. Martino di Tours di alcuni itinerari stradali che dalla Pianura Padana portavano alla Rezia. 15 Nella valle dell’Adige, la testimonianza di Cassiodoro ci permette di riferire puntualmente all’età teodoriciana il castello di Verruca, tradizionalmente identificato con il Doss Trento (di parere contrario SETTIA 1993), protetto, oltre che dalle pareti a picco, anche dall’Adige e fortificato sotto la guida di un funzionario goto con il concorso delle popolazioni locali. Un intervento diretto del re è forse da riconoscere nella fortificazione che da lui prese il nome (Theodoricopolis), ubicata nei pressi di Innsbruck e ricordata per la prima volta dall’Anonimo Ravennate. Che la costruzione o il rafforzamento dei castelli non costituissero episodi isolati da attribuire ad esigenze locali, ma rientrassero in una precisa strategia di difesa, lo confermano le contemporanee iniziative di consolidamento e ammodernamento delle difese urbane. Per entrambi, il coordinamento dello stato è, a mio avviso, fuori discussione. Le indagini archeologiche condotte a Verona da Giuliana Cavalieri Manasse e Peter Hudson e presentate in questo convegno hanno ulteriormente corroborato l’ipotesi, avanzata in precedenza dalla medesima studiosa (CAVALIERI MANASSE 1993, 1993a), che la seconda cinta di Verona venne realizzata non già da Gallieno, bensì dal re amalo, cui sarà da attribuire anche la fortificazione del colle di S. Pietro, in sinistra d’Adige, a protezione del palazzo pure da lui edificato. Il nuovo muro di difesa, a pochi metri dal primo che rimaneva in uso, rispondeva alle nuove strategie militari sperimentate in ambito bizantino (RAVEGNANI 1983) e presto imitate dai Goti. L’analogia con gli interventi realizzati a Brescia è evidente. Anche nella città lombarda, le mura vengono ampliate per proteggere un edificio pubblico, forse il palazzo e rinforzate con una seconda cinta (BROGIOLO 1993). Per Brescia manca una datazione puntuale, come quella ottenuta a Verona con ricerche mirate, ma non vi è dubbio che la similarità delle strutture ne prospetta una contemporaneità, suggerita anche dal fatto che entrambe le città vengono definite da un cronista della metà del VI secolo come “città munite” (TEOFANE, I, 367), e dunque difese secondo i canoni della strategia militare dell’epoca. Brescia, Verona, Adige, Garda sono dunque il teatro delle imprese edificatorie di un re che temeva la minaccia franca, non potendo prevedere che la distruzione del regno sarebbe venuta dalle armate bizantine sbarcate in Sicilia. Le scelte politico militari di Teodorico si riveleranno decisive per tutti questi territori: Verona sarà fino alla fine del VI una delle capitali italiane, Brescia sarà una delle città longobarde più importanti, il Garda e la Val d’Adige saranno il teatro, durante la guerra greco-gotica del confronto militare tra Goti, Franchi e Bizantini e poco dopo del conflitto tra Longobardi Franchi e Longobardi. 16 LE FORTIFICAZIONI DEL GARDA E I SISTEMI DI DIFESA DELL’ITALIA SETTENTRIONALE TRA TARDO ANTICO E ALTO MEDIOEVO 2. I castelli gardesani tra la guerra grecogotica (535-553) e la conquista longobarda delle regioni alpine (574-590 ca.) renza con i duchi longobardi che da parte loro cercavano di mantenere una propria indipendenza, tramando di volta con Franchi e Bizantini. Il periodo compreso tra la guerra greco-gotica e la definitiva conquista longobarda delle regioni alpine si presenta alquanto confuso a causa di un confronto militare a tre che vede coinvolti, a partire dal 539, Goti, Bizantini e Franchi. Sopravvivono, oltre la conclusione ufficiale della guerra nel 555, nuclei di goti che controllano alcuni territori della Venetia e persistono le pretese franche, che risalgono al tempo della guerra greco-gotica, di annettersi territori transpadani (BOGNETTI 1963). In questa situazione, che rendeva difficile il controllo della zona alpina, è probabile, come ipotizza Zanini (1997) che la frontiera effettiva, fin dagli anni ‘40, non fosse sulle Alpi, bensì lungo i fiumi Po ed Adige, controllati da flottiglie e rinforzati da una serie di capisaldi quali Pavia, Piacenza, Cremona, Ostiglia, Monselice. L’ipotesi, che richiama le analoghe strategie di difesa attuate dai Bizantini lungo il Danubio e l’Eufrate, potrebbe altresì fornire una suggestiva spiegazione alla mancata resistenza incontrata dai Longobardi nella loro marcia del 568-69: sarebbero stati lasciati scorrere, secondo la ben nota strategia di difesa in profondità, lungo la principale direttrice stradale est ovest, nell’intento di contrastarli una volta che si fossero diluiti nel territorio. La guerra ebbe due scenari: l’arco alpino dove le sacche di resistenza bizantina vennero definitivamente eliminate attorno al 590 e la pianura padana, dove il duro confronto si concluse solamente con le vittoriose campagne di Agilulfo del 602-603. In questa sede interessa solamente lo scenario alpino, e dunque il periodo tra 574 e 590. Accennerò dapprima alle fasi di questa lunga guerra, svilupperò poi l’ipotesi che anche il lago di Garda costituisse, nella sua parte settentrionale, una enclave bizantina. L’incompleta occupazione da parte longobarda dei territori prealpini permise la sopravvivenza fino agli anni ‘90 di alcune enclaves bizantine (per un quadro della presenza longobarda nella nostra regione: DE MARCHI 1994, DE MARCHI 1995, DE MARCHI 1997, DE MARCHI 1997a e in questo convegno). Nel 568-69 i Longobardi si insediarono, senza incontrare una vera resistenza, nei castelli e nelle città lungo le vie pedemontane: Cividale, Treviso, Vicenza, Verona (e da qui, attraverso la Val d’Adige, Trento), Brescia, Bergamo, Milano. Da Milano, la conquista si sviluppò attraverso tre diverse direttrici: Castelseprio e Canton Ticino fino a Bellinzona verso nord, le città del Piemonte verso ovest, Pavia verso sud, dove incontrarono il primo vero ostacolo da parte imperiale. Rimanevano in mano bizantina i territori a sud del Po, un cuneo comprendente Padova e Oderzo, essenziale per collegare Ravenna con l’Istria, e alcuni territori alpini: certamente il lago di Como fino al 589, quando venne conquistata l’Isola Comacina (H.L. III, 27; CAPORUSSO 1998) e la Val di Susa, in mano imperiale ancora nel 575. Questi territori, tra 574 e 590, furono teatro di una lunga partita a quattro fra i Bizantini e i loro alleati Franchi da un lato, i re longobardi (Autari e soprattutto Agilulfo) ed i loro riottosi duchi dall’altro. I primi resistevano, anche grazie all’appoggio dei Franchi. I re conducevano l’offensiva in concor- La prima fase della guerra (574-576) vede tre distinte azioni. Vi è dapprima un’incursione longobarda nella Alpi Cozie, seguita da una controffensiva dei Franchi che attaccano il Trentino. Il castello di Anagni defeziona, viene ripreso e saccheggiato dal conte Ragilo di Lagare, ucciso a sua volta dal duca franco che conquista e saccheggia Trento. Il duca longobardo Evino riesce tuttavia a riprendere la città (H.L., III, 9). Una spedizione bizantina, guidata dal generale Baduario, non muta la situazione a favore dell’Impero. Una nuova incursione franca, su istigazione dei Bizantini, non riesce a debellare i Longobardi che si asserragliano nelle città (H.L., III, 17). La guerra riprende in grande stile nel 589-90, con un’offensiva congiunta tra l’esarca bizantino e re Childberto II (Epistolae Austrasicae, 40,41, MGH, Ep., III, pp. 145-148). I Bizantini riconquistano Mantova, ma l’attacco franco nelle Alpi fallisce: distruggono parecchie fortezze nel Trentino, ma non riescono a sconfiggere i Longobardi, trincerati in posizioni strategiche (H.L., III, 31). Agilulfo, passato il pericolo, regola i conti con i duchi che avevano tramato con il nemico: uccide Mimulfo signore dell’isola di s. Giulio e sconfigge il duca di Bergamo Gaidulfo, rifugiatosi nell’Isola Comacina (H.L., IV,3). Il territorio alpino è da questo momento longobardo, con l’eccezione della val di Susa, passata forse direttamente dai Bizantini ai Franchi e con la progressiva perdita dell’alto Adige infiltrato dai Baiuvari. L’enclave bizantina documentata sul lago di Como (BROGIOLO 1997), potrebbe trovare un parallelo nella regione gardesana. Le fonti per ipotizzarla nel Garda settentrionale (BROGIOLO 1997a) fino agli anni ‘90 del VI secolo sono peraltro di natura indiziaria e manca una fonte esplicita che la confermi. I dati di fatto, ancorché certi, non sono risolutivi, le interpretazioni d’altra parte sono plausibili, ma non certe. In primo luogo, è ormai assodato che i Longobardi, percorrendo nel 568-69 la direttrice stradale da Verona a Brescia, occuparono subito il castello di Sirmione. Lo conferma la necropoli di guerrieri, la più grande tra quelle riferibili ad un castello dell’I- Gian Pietro Brogiolo talia settentrionale, rinvenuta ai piedi del colle di Cortine agli inizi del secolo, che ha restituito materiali che si datano ai decenni finali del VI secolo (SISINO 1989). L’eccezionalità del ritrovamento postula una notevole importanza del castello, in rapporto presumibilmente ad una situazione ritenuta di minaccia e di pericolo non occasionale. Al contrario, i reperti longobardi, rinvenuti sinora sulla Rocca di Garda e lungo la sponda veronese del lago, sono invece attribuibili al VII secolo (LA ROCCA 1989), evidenza che avvalora la congettura che l’occupazione di questa piazzaforte sia avvenuta solo qualche decennio più tardi. In terzo luogo, il Monte Castello di Gaino (BROGIOLO 1998, BROGIOLO et al. in questo convegno), sembra interpretabile come postazione militare per la ridotta superficie (500 mq), per la posizione lontana dall’insediamento di fondovalle e per l’ottima qualità delle murature. I reperti si datano tra prima metà (un recipiente di pietra ollare con cordone che ha confronti con Monte Barro) e metàseconda metà VI secolo (cinque frammenti di almeno due piatti di terra sigillata Hayes 104, databili tra 540 e 620; al pieno VI sono infine assegnabili, per gli stretti confronti con esemplari analoghi da S. Giulia, frr. di anfora L.R. 2 di produzione egea ). Queste cronologie consentono di collocare il sito tra poco prima della metà e la seconda metà del secolo, con due possibili interpretazioni. Nelle prime notizie a stampa, che tenevano conto del rinvenimento del fr. di pietra ollare e di un primo fr. di sigillata, è stata ipotizzata una fondazione e un impiego nell’ambito della guerra greco-gotica (BROGIOLO in BROGIOLO, GELICHI 1996). Il successivo recupero di altri materiali di importazione, che è raro ritrovare in contesti insediativi coevi, e al contrario sono assai diffusi nei siti militari bizantini, come nel castello ligure di S.Antonino di Perti (BONORA e al. 1984) approvvigionato con prodotti africani, suggerisce ora di ridiscutere la questione a partire da un altro punto di vista: l’utilizzo del Monte Castello da parte di truppe imperiali tra metà e seconda metà del VI secolo. Una fortificazione di questo tipo ha d’altra parte un senso solo in una condizione di forte contrasto militare, e per di più in un’area ristretta, con la funzione di bloccare capillarmente ogni via di transito, comprese quelle secondarie. Situazione che potrebbe essersi verificata nelle ultime fasi della guerra greco-gotica, ma forse anche in quelle, non meno concitate, del conflitto sviluppatosi tra 574 e 590. Il territorio dipendente dal distretto di Sirmione, ricostruibile sulla base di un documento del 771 (per cui si veda BROGIOLO 1989), comprende i territori del Basso e dell’Alto lago, apparentemente uniti solo dalla via d’acqua. L’anomalia è stata interpretata come conseguenza della volontà di controllare il percorso lacuale, ma potrebbe trovare una diversa spiegazione, se ammettessimo che il territorio bizantino del Sommolago sia stato conquistato dai Longobardi di Sirmione. 17 La questione sarebbe inequivocabilmente risolta se fosse corretta l’ipotesi di Adriano La Regina (1988) di identificare con Garda il Gàrada ricordato da Giorgio Ciprio tra le fortezze ancora in mano bizantina verso la fine del VI secolo. Lo stesso autore propone l’identificazione del castron Anaunia, pur esso imperiale, con l’omonimo castello della Val di Non. La lista di Giorgio Ciprio si presta tuttavia ad altre interpretazioni (CONTI 1975) e l’ipotesi, ancorché suggestiva per il possibile collegamento tra l’enclave della gardesana e quella della Val di Non, non può essere considerata una prova. Un ultimo dato, anch’esso ipotetico, ma fortemente suggestivo, ci viene dalla notizia assai tarda (testimoniata da un elenco dei vescovi bresciani e arricchita di altri particolari nella vita del santo compilata da Bartolomeo Vitali nel XVI secolo) che il vescovo Erculiano di Brescia, vissuto in un periodo non meglio precisato, ma comunque poco dopo la metà del VI secolo, si ritirò sul Garda, a Campione, a condurre vita eremitica e in questa località venne sepolto. La notizia merita una certa considerazione, in quanto è noto dalle fonti come alcuni vescovi di città conquistate dai Longobardi preferirono fuggire in territorio bizantino anziché collaborare con gli invasori: così fecero il vescovo di Aquileia, ritiratosi a Grado, quello di Milano, fuggito a Genova, quello di Padova, spostatosi nella laguna di Venezia. A Campione esiste ancora la spelonca, posta ad una trentina di metri al di sopra del lago e indicata come “la grotta di S. Erculiano”. La costruzione della Gardesana Occidentale negli anni trenta ha modificato il tratto intermedio della parete rocciosa, che aveva forse un andamento più digradante e dove potevano essere ospitate strutture lignee, di cui rimane traccia in alcuni piccoli tagli nella roccia, probabili appoggi per travi orizzontali. Strutture che potevano consentire un accesso meno arduo di quello attuale che presenta un passaggio di sesto grado. La grotta, assai sviluppata in verticale, ha pianta ad arco ribassato di m 5,10 x 2 ca., ampliato artificialmente nel livello inferiore, ed è protetta verso valle da una muratura che rivela due differenti tecniche costruttive: a ovest, nel tratto inferiore, è in opera incerta di pietre e numerosi frammenti di tegole di tipo romano legati da malta con inerte grossolano e poca calce; a est e nel tratto superiore, si notano invece pietre spaccate disposte in corsi regolari con una tecnica che usualmente si ritrova in opere di età romanica. Differenti sono anche gli spessori delle murature: 1,35 m a est e solo 0,60 a ovest. Un insediamento di tipo eremitico, forse collegabile a questo, è documentato nella contigua val Tignalga che sfocia nel lago a Campione. Nella parete destra del fiume, a 50 metri ca. in verticale, vi sono tre grotte chiuse da muro. Come nella grotta di Campione, i soli manufatti visibili in superficie sono frammenti di embrici di tipo romano. Ai piedi della parete, nel letto del fiume è stata rinve- 18 LE FORTIFICAZIONI DEL GARDA E I SISTEMI DI DIFESA DELL’ITALIA SETTENTRIONALE TRA TARDO ANTICO E ALTO MEDIOEVO vo imperiale di spezzare in due il territorio longobardo, creando, con la collaborazione dei Franchi, un corridoio lungo il percorso Mincio-GardaSarca-Val di Non-passo di Resia. Il silenzio di Paolo Diacono non può dunque essere considerato a priori come una prova ad escludendum. Fig. 1 - Grotta di S. Erculiano nuta in passato una punta di lancia a foglia di salice presumibilmente assegnabile al IV-V secolo. Ma non vi è alcun motivo per collegarla all’insediamento rupestre. Il quadro di una presenza eremitica, suggerito dalla leggenda di S. Erculiano, è peraltro attendibile, anche se solo scavi sistematici potrebbero fornirne una cronologia puntuale. Purtroppo non si potrà più scavare la chiesa di Campione, dove il santo venne sepolto in un sarcofago, così come tutta l’area circostante, irrimediabilmente compromessa all’inizio del secolo per le costruzioni del Cotonoficio Olcese. Contro l’ipotesi di un’enclave bizantina nel Garda settentrionale, vi è tuttavia un’obiezione di un certo rilievo. Il Garda è totalmente ignorato da Paolo Diacono, salvo per un riferimento geografico-descrittivo. Se si considera che per la fine del sesto secolo egli è debitore della cronaca perduta di Secondo di Non e che numerose sono le notizie per l’area trentina e veronese da lui riportate, si dovrebbe concludere che il lago non sia stato interessato in quel periodo da alcun avvenimento degno di nota. Vi è peraltro da osservare che lo storico longobardo passa sotto silenzio anche una svolta importante del conflitto bizantino-longobardo, quale la riconquista di Mantova, prima del 590, da parte dell’esarca Romano. Riconquista che potrebbe trovare una chiave di lettura nel tentati- In conclusione, si può avanzare l’ipotesi, da sottoporre al vaglio di ulteriori ricerche, che i Longobardi, nel 568-69, si siano impadroniti soltanto di Sirmione e del Basso lago che assicuravano il controllo della strada da Verona a Brescia e della direttrice lungo la Val d’Adige, ma sarebbero rimasti bizantini il medio e alto lago e le vallate alpine ad esso collegate, ossia le Giudicarie e la Val di Non che assicuravano un percorso alternativo alla Val d’Adige e soprattutto una saldatura ad occidente con la Valtellina e il lago di Como, certamente ancora in mano bizantina. Questa congettura giustificherebbe altresì la strategia dei Franchi, alleati dei Bizantini, che alternativamente attaccarono i Longobardi sia nel Canton Ticino, dove il loro duca Olo fu sconfitto e morì presso Bellinzona, sia attraverso la Val di Non, presumibilmente per collegarsi ai presidi imperiali che ancora resistevano sul lago di Como e di Garda. Potrebbe altresì spiegare lo strano “ritiro” del presule bresciano, in un’area che si sarebbe trovata in un territorio sotto controllo bizantino, non tanto per un’improvvisa vocazione eremitica, quanto piuttosto nel tentativo di sfuggire ai nuovi invasori. L’ipotesi fornirebbe infine una spiegazione plausibile delle decisive trasformazioni del territorio gardesano nell’età di transizione. Da un insediamento di età romana prevalentemente sparso con qualche vicus, allo sviluppo di due centri militari importanti, quali Sirmione e Garda che l’Anonimo Ravennate, alla fine del VII secolo, definisce come città. Abitati che segnano una rottura con il precedente modello insediativo: il castello di Sirmione, come ha dimostrato Isa Roffia, cresce non già, come era stato ipotizzato, su un vicus, ma sui ruderi di due ville romane (ROFFIA 1996, 1997). Garda, sulla base dei primi dati della ricerca avviata quest’anno, sembra riproporre una situazione analoga: un central place che si inserisce in un insediamento sparso con ville urbane sul lago e fattorie inserite in fondi dell’entroterra collinare. La fortuna di questi centri in età longobarda ha dunque una lontana origine nelle scelte strategiche di età tardo antica e di età teodoriciana, rielaborate dai longobardi alla fine del secolo successivo, nel corso del duro e prolungato confronto militare con i Bizantini che stimola alla formazione di una coscienza sociale e di un’organizzazione giuridica che resisteranno per gran parte dell’alto medioevo. Costruiti o rafforzati per difendere le vie che convergevano su Verona e Brescia, i due castelli finiranno per diventare centri di frammentazione del loro territorio. Gian Pietro Brogiolo 19 BIBLIOGRAFIA ANONIMO RAVENNATE = J. SCHNETZ (a cura di), Raven nati anonymi Comographiaet Guidonis Geographi ca, in Itineraria Romana, II, Lipsia, 1940; M. PINDER, G. PARTHEY, Ravennatis Anonymi Cosmo graphia et Guidonis Geographica, Aalen 1962. G.P. BROGIOLO 1997, Ricerche archeologiche su tardo antico e altomedioevo tra Ticino e Adda, in Atti del Convegno Archeologia della Regio Insubrica. Dalla Prei storia all’Altomedioevo (Chiasso 1996), Como, pp. 67-88. H. BLAKE-C. MACCABRUNI 1992, Scavi di Lomello 1990, in Atti II convegno sui ritrovamenti archeologici nella provincia di Pavia (Casteggio 1990) , Casteggio, pp. 73-78. G.P. BROGIOLO 1997a, Continuità tra antichità ed altome dioevo, in E. ROFFIA (a cura di), Ville romane sul lago di Garda, Brescia, pp. 299-313. V. 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