Parrocchia di San Giuseppe

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Parrocchia di San Giuseppe
Parrocchia di San Giuseppe - Melito P.S.
“TU AL CENTRO DEL MIO CUORE”
I SALMI
Oggi vi proponiamo un altro Salmo di ringraziamento, che esprime tutta la lode verso il Creatore ed è, pertanto, particolarmente adatto per la preghiera dell’adoratore.
Salmo 33 “Inno alla Provvidenza”.
Esultate, giusti, nel Signore;
ai retti si addice la lode.
Lodate il Signore con la cetra,
con l’arpa a dieci corde a Lui cantate.
Cantate al Signore un canto nuovo,
suonate la cetra con arte e acclamate.
Poiché retta è la parola del Signore
e fedele ogni Sua opera.
Egli ama il diritto e la giustizia,
della Sua grazia è piena la terra.
Dalla parola del Signore furono fatti i cieli,
dal soffio della Sua bocca ogni loro schiera.
Come in un otre raccoglie le acque del mare,
chiude in riserve gli abissi.
Tema il Signore tutta la terra,
tremino davanti a lui gli abitanti del mondo,
perché Egli parla e tutto è fatto,
comanda e tutto esiste.
Il Signore annulla i disegni delle nazioni,
rende vani i progetti dei popoli.
Ma il piano del Signore sussiste per sempre,
i pensieri del Suo cuore per tutte le generazioni.
Beata la nazione il cui Dio è il Signore,
il popolo che si è scelto come erede.
Il Signore guarda dal cielo,
Egli vede tutti gli uomini.
Dal luogo della Sua dimora
scruta tutti gli abitanti della terra,
Lui che, solo, ha plasmato il loro cuore
e comprende tutte le loro opere.
Il re non si salva per un forte esercito
né il prode per il suo grande vigore.
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Il cavallo non giova per la vittoria,
con tutta la sua forza non potrà salvare.
Ecco, l’occhio del Signore veglia su chi lo teme,
su chi spera nella sua grazia,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
L’anima nostra attende il Signore,
Egli è nostro aiuto e nostro scudo.
In Lui gioisce il nostro cuore
e confidiamo nel Suo santo Nome.
Signore, sia su di noi la Tua grazia,
perché in Te speriamo.
Opere di misericordia spirituale.
“Consolare gli afflitti”
Consolare gli afflitti è la quarta opera di misericordia spirituale.
Consolare ha molti sinonimi: confortare qualcuno afflitto per la perdita di una
persona cara, sollevare per qualche disagio familiare, e anche incoraggiare chi
è depresso, e così pure alleviare i dolori, i pianti, le lontananze e anche rallegrare gli spiriti affranti. E sempre con parole affettuose, sincere, misurate e
ancor più con i fatti.
La consolazione fa parte di tutta la storia della Salvezza e la troviamo in tutta
la Sacra Scrittura. In modo particolare c’è nell’Antico Testamento un libro profetico secondo Isaia, chiamato appunto Libro della Consolazione di Israele. Il
popolo è in esilio, è afflitto, Dio non lo abbandona, ma gli fa conoscere il Suo
amore; capitolo 43, vv. 3-7:
«Io sono il Signore tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo Salvatore, io do l’Egitto
come prezzo del tuo riscatto, l’Etiopa e la Seba al tuo posto perché sei prezioso
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ai miei occhi, perché sei degno di stima ed io Ti amo».
Dio dice al Suo popolo, quindi anche a me, che sono prezioso ai Suoi occhi,
sono unico, irripetibile, degno di stima e soprattutto Dio mi ama. In qualunque stato di disagio in cui mi trovo in Dio Padre trovo Amore, Consolazione e
Pace.
Con la nascita di Gesù inizia il compimento delle promesse di Dio e la vera
consolazione per l’umanità intera si fa carne in Cristo. Gesù parla di sé come
del primo Consolatore; in una delle beatitudini proclamate sul monte Egli afferma: «Beati quelli che sono nel pianto perché saranno consolati» ( Mt 5,4).
Consolare gli afflitti equivale, d'altronde, a essere misericordiosi, anch'essi
beati (Mt 5,7).
Prendiamo come esempio la sensibilità umana di Gesù che con discrezione compassione consola, risana, risolleva, salva, incoraggia, perdona tutti
quelli che incontra e indica lo Spirito Santo come il Paraclito, il Consolatore
per eccellenza.
Tante persone anche nel nostro tempo hanno un cuore affitto per diversi motivi e cause: il lavoro, la salute, la fatica di vivere, l’angoscia, il pianto, il lutto,
la solitudine, l’abbandono...
Molti sono i modi per consolare, ma alla base ci deve essere sempre il saper
ascoltare e rispettare il dolore dell’altro. Dovremmo imparare a parlare a un
cuore straziato con empatia. Ci può essere molto d’aiuto il ricordo della nostra personale esperienza: quando noi siamo stati consolati da qualcuno in
nome di Dio.
Affidiamoci e affidiamo gli afflitti a Maria, Madre della Consolazione, venerata
come la “Consolatrice” e la “Consolata”.
Il miracolo eucaristico di Caravaca.
Lo straordinario evento su cui vogliamo soffermarci oggi è avvenuto il 3 maggio 1232 a Caravaca, una cittadina molto antica del regno di Valencia della re4
gione spagnola della Murcia.
Era il periodo delle guerre di riconquista di quella parte della Spagna che da
secoli era invasa dai Mori.
Caravaca fu una roccaforte di quelle guerre; era sotto il dominio di Abu Zeyt,
re musulmano. Giovane e scaltro, si era fatto da solo. Nel 1224 era un semplice governatore della città di Valencia, alle dipendenze di califfi africani, ma si
rese indipendente, si proclamò re, allargò i propri domini conquistando altre
regioni e diventando un monarca potente e temuto.
Contro di lui però scesero in campo re Ferdinando III di Castiglia e Giacomo I
d’Aragona, detto il Conquistatore. Per non soccombere, l’astuto re musulmano scese a patti con i re cristiani, accettando di pagare dei contributi e conservando le sue conquiste. Ma verso il 1232 fu attaccato da un suo nemico
musulmano, Zaen, governatore di Denia, che gli sottrasse la città di Valencia
ed egli dovette ritirarsi nella fortezza di Caravaca.
Abu Zeyt, anche se aveva stretto un patto con i re cattolici, in particolare Ferdinando III, re che poi sarebbe stato proclamato santo, non era tollerante con
i cattolici. Nell’agosto del 1229 aveva fatto decapitare due fraticelli italiani,
Giovanni di Perugia e Pietro di Sassoferrato, che, arrivati in quella parte della
Spagna per predicare il Vangelo, avevano cercato di far conoscere Cristo anche ai musulmani e Abu Zeyt, applicando la legge di Maometto, li aveva uccisi.
Nel 1232, quando si era ritirato nella fortezza di Caravaca, le prigioni della città erano piene di cristiani. L’astuto re escogitò un piano. Pensò che poteva
chiedere dei riscatti per quella gente. Soprattutto per alcuni di essi che erano
personaggi importanti. Per questo volle conoscerli tutti, uno ad uno, e li interrogava chiedendo da dove venissero, quale fosse la loro professione, la loro
origine, il loro casato.
Durante quell’interrogatorio incontrò anche Don Ginés Pérez Chirinos di
Cuenca, che era stato imprigionato per aver cercato di convertire dei musulmani. Quando il re gli chiese chi fosse e quale fosse la sua professione, Don
Ginés rispose che era un sacerdote di Cristo e che il suo ufficio era quello di
celebrare la Messa in cui Dio stesso si offre come vittima per gli uomini e
scende sull’altare, alle parole del suo ministro.
Abu Zeyt fu colpito dalle parole di quel sacerdote e volle allora rendersi conto
dell’esattezza delle affermazioni di don Ginés.
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Gli ordinò di celebrare la Messa in sua presenza. Il sacerdote rispose che non
poteva farlo perché gli mancavano i paramenti necessari.
Il re allora gli chiese di compilare un elenco di tutto ciò che gli era necessario
e inviò un messaggero a Cuenca a cercare tutti gli oggetti richiesti.
Il 3 maggio 1232 fu preparato un altare in una sala del palazzo reale e Don Ginés, rivestito dei paramenti sacerdotali, si presentò per dare inizio alla Messa
in presenza del re, dei suoi familiari, dei cortigiani e di alcuni prigionieri cristiani che erano incaricati di servire Messa.
Guardandosi intorno, in quella grande sala dove doveva celebrare la Messa, il
prete si accorse che mancava la croce, il che lo gettò in una profonda costernazione. Abu Zeyt se ne accorse e lo interrogò sul motivo della sua agitazione.
Don Ginés rispose che mancava la croce, «senza la quale», disse «non è possibile celebrare». Il re, alzando gli occhi a sua volta, si accorse che, in un certo
punto della sala c’era una luce straordinaria, fatta a forma di croce, e indicandola con la mano disse: «La croce è forse quella?».
Tutti i presenti guardarono nella direzione indicata dal re e tutti videro, con
grande stupore, due angeli che reggevano una croce fatta di luce. Allora Don
Ginés, commosso, si avvicinò a quella croce, la prese e la portò accanto all’altare e iniziò la Messa.
l documenti antichi aggiungono un particolare: i due angeli che sorreggevano
la croce dissero a Don Ginés che quella croce era fatta con un pezzetto della
vera croce su cui era morto Gesù.
La cerimonia procedeva in una atmosfera di grande meraviglia per quello che
era accaduto e che tutti i presenti avevano visto. Al momento dell’elevazione
dell’Ostia consacrata, il re vide che l’Ostia aveva assunto le sembianze di un
bel Bimbo che lo guardava dolcemente, mentre al momento dell’elevazione
del calice vide sgorgare dal Cuore trafitto del Gesù Bambino del Sangue, che
riempiva il vaso sacro. La stessa scena fu osservata anche dai familiari del re e
dai suoi cortigiani.
Al termine del rito, re Abu Zeyt era sconvolto. Nei giorni successivi egli prese
la decisione di convertirsi al Cristianesimo. E anche i suoi familiari e molti suoi
sudditi vollero diventare cristiani.
Don Ginés li istruì e li battezzò. Abu Zeyt prese il nome di Vincenzo. La regina
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Ayla fu battezzata con il nome di Elena, i due figli di Abu Zeyt ricevettero i
nomi di Fernando e Alfonso. Il re inoltre volle ritirarsi a vita privata. Donò le
sue terre al Vescovo di Segorbe e rinunciò a tutti i suoi diritti sul regno di Valencia in favore di Giacomo l.
Tutta questa vicenda ebbe grande risonanza. In seguito fu ampiamente raccontata da Fra’ Gilles di Zarnora, francescano, storiografo di San Ferdinando.
Nel suo scritto, Fra’ Gilles riferì di aver accompagnato personalmente re Ferdinando a Caravaca, perché il santo re volle andare a venerare la croce della
apparizione.
In quell'occasione Fra’ Gilles poté interrogare i testimoni del prodigio e raccogliere quindi testimonianze dirette.
Molti anni dopo, quando Abu Zeyt era ormai vecchio, ebbe l’onore di ricevere
una lettera dal Papa Urbano IV. Il Santo Padre in quello scritto lo chiamava
«figlio Vincenzo, un tempo illustre re di Valencia», e concedeva particolari indulgenze al Santuario di Caravaca, sorto per ricordare la visione avuta dall’ex
re.
Nel 1364, il fatto venne ricordato anche con un bellissimo affresco nella cappella del Santissimo Sacramento nel Duomo di Orvieto, affresco che ancora si
può ammirare.
Purtroppo, tutti i documenti originali riguardanti la miracolosa apparizione
della croce a Caravaca e la conversione del re musulmano sono stati distrutti.
Non dai seguaci di Maometto, al tempo delle loro scorrerie in terra spagnola
nel Medioevo, bensì dai comunisti durante la Guerra civile spagnola del 1936.
Per fortuna si trovano citati in molte opere e quindi la storia è documentatissima, ma i comunisti nel secolo XX hanno distrutto gli antichi documenti originali e la reliquia della croce che, secondo la tradizione, era stata portata dagli
Angeli.
Suggerimenti di preghiera.
LE PROMESSE DI NOSTRO SIGNORE PER I DEVOTI DEL SUO SACRO CUORE
Gesù benedetto, apparendo a S. Margherita Maria Alacoque e mostrandole il
Suo Cuore, splendente come il sole di fulgidissima luce, fece le seguenti promesse per i Suoi devoti:
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1. Io darò loro tutte le grazie necessarie al loro stato.
2. Metterò e conserverò la pace nelle loro famiglie.
3. Li consolerò in tutte le loro pene.
4. Sarò loro sicuro rifugio in vita e specialmente in punto di morte.
5. Spanderò copiose benedizioni su di ogni loro impresa.
6. I peccatori troveranno nel Mio Cuore la sorgente e l’oceano infinito della
misericordia.
7. Le anime tiepide si infervoreranno.
8. Le anime fervorose giungeranno in breve tempo a grande perfezione.
9. La Mia benedizione poserà anche sulle case dove sarà esposta ed onorata
l’immagine del mio Cuore.
10. Ai Sacerdoti io darò la grazia di commuovere i cuori più induriti.
11. Le persone che propagheranno questa devozione, avranno il loro nome
scritto nel Mio Cuore e non ne sarà cancellato mai.
12. A tutti quelli che, per nove mesi consecutivi, si comunicheranno al primo
venerdì d’ogni mese, io prometto la grazia della perseveranza finale: essi non
morranno in Mia disgrazia, ma riceveranno i Santi Sacramenti (se necessari)
ed il Mio Cuore sarà loro sicuro asilo in quel momento estremo.
La dodicesima promessa è detta “grande”, perché rivela la divina misericordia
del Sacro Cuore verso l’umanità. Queste promesse fatte da Gesù sono state
autenticate dall’autorità della Chiesa, in modo che ogni cristiano può credere
con sicurezza alla fedeltà del Signore che vuole tutti salvi, anche i peccatori.
Per rendersi degni della Grande Promessa è necessario:
1. Accostarsi alla Comunione. La Comunione va fatta bene, cioè in grazia di
Dio; quindi, se si è in peccato mortale, bisogna premettere la confessione.
2. Per nove mesi consecutivi. Quindi chi avesse incominciato le Comunioni e
poi per dimenticanza, malattia, ecc… ne avesse tralasciata anche una sola, deve incominciare da capo.
3. Ogni primo venerdì del mese. La pia pratica si può iniziare in qualsiasi mese
dell’anno.
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