La Corte interpreta gli «imperiosi motivi di sicurezza

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La Corte interpreta gli «imperiosi motivi di sicurezza
ISSN 2384-9169
LA CORTE INTERPRETA GLI «IMPERIOSI MOTIVI DI SICUREZZA NAZIONALE» CHE
GIUSTIFICANO L’ALLONTANAMENTO DELLA PERSONA RIFUGIATA DA UNO
STATO MEMBRO: LA SENTENZA H.T.
1. Premessa
Con la sentenza del 24 giugno 2015, H.T. c. Land Baden-Württemberg, C-373/13, la Corte ha
affrontato il tema della revoca del permesso di soggiorno a una persona rifugiata in uno Stato
membro, con riferimento agli artt. 21, parr. 2 e 3, e 24, parr. 1 e 2, della direttiva 2004/83/CE.
Tale direttiva – applicabile ratione temporis al caso di specie, ma oggetto di successiva rifusione ad
opera della direttiva 2011/95/UE, oggi in vigore – ha definito norme minime sull’attribuzione, a cittadini
di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione
internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta. Pur non essendo
più in vigore, le conclusioni della Corte possono ugualmente rilevare con riferimento alla nuova
direttiva “qualifiche”, in virtù della continuità che intercorre tra i due strumenti.
La nozione di rifugiato, contenuta all’art. 2, lett. c, della direttiva “qualifiche” si conforma a quanto
previsto dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati. Essa si
riferisce al cittadino di un paese terzo o all’apolide che, per il fondato timore di essere perseguitato per
motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo
sociale, si trova al di fuori del paese di cui ha la cittadinanza o in cui ha la dimora abituale, non può o
non vuole avvalersi della protezione di detto paese e non rientra in una delle cause di esclusione dallo
status di cui all’art. 12 della stessa direttiva. In mancanza di queste, il rifugiato gode del diritto di non
refoulement, ovvero il beneficio del divieto di respingimento verso il paese in cui sarebbe a rischio di
persecuzioni. Per completezza, è opportuno ricordare che la materia è disciplinata, a livello di diritto
primario dell’Unione europea, dall’art. 67, par. 2, TFUE (che costituisce la base giuridica per
l’attuazione di una politica comune in materia di asilo) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, all’art. 18 («diritto di asilo»).
La pronuncia si sofferma, pertanto, in primis,sulla nozione di «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o
di ordine pubblico» rappresentati dalla partecipazione di un rifugiato alle attività di un’organizzazione
qualificata come terroristica dall’elenco predisposto dall’Unione europea. In secondo luogo, la
sentenza verifica l’idoneità di tale nozione a fondare la revoca del permesso di soggiorno in uno Stato
membro del rifugiato in questione.
2. Contesto di fatto e procedimento principale
Il signor H.T. è un cittadino turco di etnia curda, residente in Germania insieme alla propria famiglia, in
virtù del riconoscimento dello status di rifugiato. Detto riconoscimento, e l’attribuzione del permesso di
soggiorno a tempo indeterminato, erano stati motivati, al momento della concessione nel 1993, dalla
sua appartenenza al partito dei lavoratori del Kurdistan (a seguire: PKK). Nel 2002, tuttavia, con la
posizione comune 2002/340/PESCtale organizzazione veniva indicata come un gruppo «coinvolto in
atti terroristici» e quindi, nel 2004, a essa veniva vietato di svolgere attività in Germania.
Nell’ambito di un procedimento penale avviato a carico di H.T. viene accertato che sino al 2011 egli
aveva supportato il PKK con raccolte di offerte, partecipazioni a eventi e distribuzione occasionale del
periodico dell’organizzazione. In relazione a questi fatti, H.T. è condannato a una pena pecuniaria e,
in seguito, gli viene notificata una decisione di espulsione dalla Germania, motivata dalla sua
«pericolosità attuale», che comporta la limitazione della sua libertà di circolazione al solo comune nel
quale si trova il suo domicilio. Questa decisione dà luogo a decadenza dal permesso di soggiorno ma,
in considerazione della comunità di vita familiare intrattenuta con la moglie e i figli minori, l’autorità
tedesca discrezionalmente decide di sospendere l’allontanamento dalla Germania di H.T.
La decisione viene comunque impugnata da H.T. e, nel corso del giudizio di appello, il giudice tedesco
rivolge alcune questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia, con riferimento alla già menzionata direttiva
2004/83. Più specificamente, i due quesiti riguardano la possibilità per uno Stato membro di revocare
un permesso di soggiorno (e quindi di allontanare dal proprio territorio una persona che gode dello
status di rifugiato), sulla base di motivi di sicurezza nazionale, in riferimento agli artt. 21, parr. 2 e 3, e
24 della direttiva.
3. I motivi di cessazione di un permesso di soggiorno
Oggetto dei giudizio interpretativo nella sentenza in esame è, in primo luogo, l’art. 24 («Permesso di
soggiorno»), par. 1. Esso prevede l’obbligo di rilasciare il permesso di soggiorno al rifugiato, «purché
non vi ostino imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico» e fatti salvi i casi – sotto
riportati- dell’art. 21, par. 3, e indirettamente anche del par. 2 cui, come si dirà, il par. 3 fa espresso
rinvio. L’art. 24, par. 1, quindi, per se, non contempla la facoltà di cessare la validità di un permesso di
soggiorno già rilasciato, ma solo i casi in cui esso può essere rifiutato sin dall’inizio.
In secondo luogo, l’art. 21 («Protezione dal respingimento»), al par. 2, individua i casi in cui è legittimo
il respingimento di un rifugiato: la sussistenza di ragionevoli motivi per ritenere che questi rappresenta
un pericolo per lo Stato membro o l’aver egli riportato una condanna passata in giudicato per un reato
di particolare gravità. In entrambi i casi il respingimento non deve essere in contrasto con gli obblighi
internazionali gravanti sullo Stato. La disposizione si chiude con il par. 3, che opera come “ponte” tra
l’art. 24 e l’art. 21, stabilendo che gli Stati membri hanno la facoltà di non rilasciare o cessare il
permesso di soggiorno rilasciato a una persona rifugiata, nei casi di cui all’appena citato par. 2 dello
stesso art. 21.
Alla luce di quanto sopra, la prima questione posta dal giudice tedesco alla Corte può essere così
riassunta: può un’autorità nazionale e, se sì, a quali condizioni, legittimamente cessare un permesso
di soggiorno, in presenza dei requisiti dell’art. 24, par. 1, ma in mancanza di quelli dell’art. 21, par. 2,
della direttiva “qualifiche”?
Vale la pena anticipare sin d’ora che la Corte, nella pronuncia in esame, ha considerato che tra l’art.
21, parr. 2 e 3, e l’art. 24, par. 1, «sussiste non solo una certa sovrapposizione, poiché entrambe le
disposizioni riguardano la facoltà offerta agli Stati membri di revocare, o di rifiutare un permesso di
soggiorno, ma anche una vera e propria complementarità, nonostante le predette disposizioni abbiano
ambiti d’applicazione distinti» (punto 69).
La Corte risponde al primo quesito in senso affermativo: è legittimo revocare il permesso di soggiorno
alla persona rifugiata sia nei casi espressamente previsti dall’art. 21, par. 2, così come nei casi di cui
all’art. 24, par. 1. L’interpretazione data dalla Corte dell’art. 24, par. 1 può definirsi in una certa misura
“creativa” atteso che tra le cause di revoca o ritiro del permesso di soggiorno viene inserito anche il
ricorrere di imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico (assenti dalla lettera della
disposizione), il che spiega l’attenzione della Corte nel fornire «numerosi argomenti che militano a
favore» di una siffatta interpretazione (punto 47): il fatto che il tenore testuale dell’art. 24, par. 1, non
escluda la possibilità di revoca o cessazione del permesso di soggiorno (punto 48); la conformità di
tale revoca con la ratio della norma (punto 49); i testi dei lavori preparatori della direttiva (punto 52);
l’armonia della soluzione interpretativa nel sistema della direttiva complessivamente inteso (punto 50)
e, infine, alcune «ragioni logiche» (punto 54).
L’art. 24, par. 1, della direttiva “qualifiche”, in conclusione, prevede implicitamente l’ulteriore norma in
base alla quale, sulla scorta degli stessi motivi per i quali è possibile non rilasciare ab initio un
permesso di soggiorno, esso può essere ritirato dall’autorità nazionale in un secondo momento.
4. La partecipazione del rifugiato a un’organizzazione qualificata come terroristica come
motivo di cessazione del permesso di soggiorno
Il secondo quesito proposto alla Corte pone nuovamente all’attenzione del giudice il delicato tema del
bilanciamento tra diritti individuali e sicurezza. Si chiede, infatti, se il sostegno fornito da un rifugiato a
un’organizzazione associata al terrorismo da una posizione comune possa rappresentare uno degli
«imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico» previsti dall’art. 24, par. 1.
In risposta, la sentenza afferma che il sostegno a una organizzazione terrorista secondo una
posizione comune può rappresentare un «imperioso motivo di sicurezza nazionale o di ordine
pubblico», atto a motivare la revoca del permesso di soggiorno a un rifugiato ex art. 24, par. 1. Questo
perché la norma riguarda soltanto siffatto permesso e non – invece – il respingimento della persona.
L’art. 24, par. 1, concerne unicamente i casi in cui il pericolo che la persona rifugiata crea non
raggiunge la soglia atta a giustificare né la perdita dello status di rifugiato né a fortiori il respingimento
(punto 73) ai sensi dell’art. 21, par. 2, ma solo quella soglia inferiore di pericolo che legittima la
cessazione del suo permesso di soggiorno. Infatti, il refoulement della persona rifugiata si configura
come extrema ratio alla quale lo Stato membro può ricorrere quando nessun’altra misura è possibile o
sufficiente per affrontare il pericolo al quale detta persona espone la sicurezza o la comunità di tale
Stato (punto 71).
La Corte ha ritenuto opportuno verificare in concreto la sussistenza dei «motivi di sicurezza nazionale
e di ordine pubblico» di cui all’art. 24, par. 1, per giungere alla conclusione sopra riportata, nonostante
la mera iscrizione del PKK nell’elenco allegato a una posizione comune dell’Unione costituisca già di
per sé «chiara indicazione» del fatto che tale organizzazione possa qualificarsi come terrorista (punto
83). Per poter legittimamente revocare il permesso di soggiorno a una persona rifugiata lo Stato
membro deve, in primo luogo, verificare se gli atti dell’organizzazione in questione possano
effettivamente minacciare la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico (punto 84). In secondo luogo,
l’autorità nazionale deve valutare il ruolo effettivamente svolto dalla persona rifugiata nel contesto del
suo sostegno alla organizzazione e se abbia questa stessa commesso atti terroristici (punto 90),
poiché la sola circostanza che la persona di cui trattasi abbia sostenuto tale organizzazione non può
avere quale conseguenza automatica la revoca del suo permesso di soggiorno (punto 87).
Come già ricordato, H.T. aveva contribuito alle attività del PKK partecipando alla raccolta di fondi, a
manifestazioni autorizzate (come la celebrazione del nuovo anno curdo) e distribuendo stampa
tematica, condotte che non costituiscono di per sé atti terroristici (punto 91), anche alla luce del
principio di proporzionalità (punto 92) che deve guidare la valutazione di merito, demandata alle
autorità nazionali competenti.
Inoltre, la Corte ricorda che, in considerazione della natura declaratoria dello status di rifugiato, in una
circostanza come quella di H.T., le limitazioni alla libertà di circolazione al solo comune di domicilio,
così come di accesso alle prestazioni garantite dalla direttiva (istruzione, occupazione, sanità, ecc.)
sono illegittime (punto 98).
5. Commento
L’affermazione per la quale l’aver commesso atti terroristici deve essere valutata caso per caso, in
relazione alla gravità dell’atto commesso e al ruolo ricoperto dall’autore (nella specie, con status di
rifugiato), non è sconosciuta alla giurisprudenza della Corte.
Infatti, è frequente, nella seconda parte della pronuncia, il riferimento al precedente B. e D. (cause
riunite C-57/09 e C-101/09), il cui caso di specie presenta analogie con la decisione in commento. In
B. e D la Corte aveva ritenuto che l’adesione a un’organizzazione inserita negli elenchi antiterrorismo
non costituisse automaticamente motivo per ritenere che la persona considerata avesse commesso
atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite (punto 99) e pertanto l’affiliazione del
richiedente asilo a detta organizzazione non poteva di per sé determinare il rifiuto della sua domanda.
Tale principio, come si è visto, è stato ripreso in occasione della pronuncia H.T. con riferimento alla
cessazione del permesso di soggiorno. Differentemente, in B. e D. si era inoltre affermato che
l’interpretazione della direttiva “qualifiche” deve effettuarsi anche, come risulta dal decimo
considerando della stessa, nel rispetto dei diritti fondamentali e dei principi riconosciuti, in particolare,
dalla Carta dei diritti fondamentali (punto 78). Tale riferimento è riportato nell’introduzione alla
sentenza H.T. ma non è poi sviluppato nel corpo della decisione né fonda la scelta della soluzione
interpretativa, come invece era successo in B. e D.
Il differente approccio nei confronti della Carta tra le due pronunce può forse trovare spiegazione nel
fatto che la decisione B. e D. riguardava le cause di esclusione dello status di rifugiato e non già la
meno incisiva decisione di ritirare il permesso di soggiorno a una persona il cui status è invece fuori di
dubbio. Non di meno, là dove in B. e D. la pronuncia pone l’accento sui diritti universali degli individui,
in H.T. si sceglie un percorso argomentativo decisamente più cauto: il bilanciamento tra diritti
fondamentali e sicurezza pare chiudersi in favore di quest’ultima.
Infine, nonostante l’aspetto non sia stato menzionato nella sentenza, può forse valere la pena
ricordare che la motivazione in base alla quale la domanda di asilo in Germania di H.T. era stata
accolta nel 1993 era il fatto che egli apparteneva alla minoranza curda e all’organizzazione
rappresentativa di questa etnia in Turchia, il PKK. La sua identità culturale e politica lo metteva in
pericolo di persecuzione nel proprio paese di origine e, per tutelarla, egli ha ricevuto asilo in uno Stato
terzo. In conseguenza del settembre 2001, dopo la dichiarazione di «guerra globale al terrorismo» e
con l’aumento della consapevolezza della minaccia rappresentata da questo fenomeno, il PKK è stato
introdotto, anche dall’Unione, negli elenchi di organizzazioni che vengono associate a metodi
terroristici. Ed è a motivo del suo sostegno al PKK che il sig. H.T. è stato destinatario di una decisione
di espulsione dalla Germania.
Pubblicato il: 30/09/2015
Autore: Isabella Querci
Categorie: articoli ,
Tag: allontanamento, H.T., imperiosi motivi di sicurezza nazionale, rifugiati
Editore: Bruno Nascimbene, Milano
Rivista registrata presso il Tribunale di Milano, n. 278 del 9 settembre 2014
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