La SIAR ei processi corporei - la storia della piscoterapia corporea

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La SIAR ei processi corporei - la storia della piscoterapia corporea
Riassunto
La psicoterapia corporea è in una posizione privilegiata per l’osservazione dettagliata,
puntuale e sistematica di quei processi relazionali distinti dai termini di transfert e
controtransfert. Questo privilegio dipende dal fatto che il bisogno della cura è nato dal
corpo e per parlare al corpo, del corpo, è necessario ricomporre un quadro d’insieme in
grado di dare un senso complessivo al suo stesso funzionamento.
Nella relazione analitica/terapeutica sono presenti due corpi; due processi che
distinguono due caratteri che, per una magia biofisica e interattiva, danno luogo ad un
essere ibrido ed unico, con un suo carattere, un suo ritmo, un suo processo caratterizzato
da stadi e fasi. La “coppia terapeutica”.
Queste considerazioni portano all’ulteriore necessità di definizione de “l’analisi del
carattere della relazione”, elaborata da G. Ferri, presidente della SIAR (Scuola Italiana di
Analisi Reichiana).
La SIAR e i processi corporei
Nella relazione analitica, ed in tutte le relazioni d’aiuto, il transfert ed il controtransfert
sono i cardini lungo i quali si dispiega la relazione stessa.
Freud e Jung lo scoprirono col proprio coinvolgimento. Dopo di loro molti altri autori
hanno approfondito il tema del coinvolgimento del terapeuta, coniando termini che
indicano vari aspetti di questo particolare e fondamentale processo relazionale: transfert
del paziente, transfert del terapeuta, difesa dalla presa di coscienza del transfert, difesa
dal transfert, controtransfert dell’uno o dell’altro, ecc.
Quello che colpisce è che, nelle varie osservazioni e descrizioni di questi processi,
spesso sono usati termini che li rappresentano come se fossero solo dei prodotti cognitivi,
e ciò malgrado il fatto che i contenuti rimandino, più o meno esplicitamente, ai processi
corporei (le emozioni sono solitamente inferite osservando le reazioni comportamentali).
Questo atteggiamento degli studiosi (che potremmo interpretare come un modo
d’essere, di atteggiarsi, di posizionarsi, di vedere, di dirigere lo sguardo e che potremmo
ricondurre all’effettiva posizione assunta dal corpo nello spazio e al ruolo del meccanismo
dell’inibizione periferica del nostro corpo, nell’interazione) era forse giustificabile alla
nascita della psicoanalisi, perché la psicoanalisi stessa era una materia emergente e
doveva proteggersi da ingerenze biomediche. Inoltre, agli inizi del secolo scorso
mancavano anche supporti e conoscenze teoriche dettagliate sul funzionamento del corpo
umano e delle relazioni e correlazioni tra questi processi. In più, e più di oggi, la scienza
era a compartimenti stagni e perciò le varie branche del sapere, prese dal bisogno del
singolo approfondimento, il più delle volte s’ignoravano reciprocamente.
Ci si aspetterebbe allora che almeno gli pscologi “corporei” avessero un atteggiamento
teorico diverso mentre, sia scrivendo che parlando di questo tema, anche noi utilizziamo
categorie mediate dalla psicodinamica classica; perciò quello che oggi dovremmo cercare
d’introdurre nel mondo accademico, o almeno tra di noi, è la capacità di tradurre quelle
categorie nel nostro linguaggio, il linguaggio corporeo, imparando a descriverne gli
elementi anche con i processi bio-psico-neuro-fisiologici che ne sono alla base. Che è un
po’ anche quello che il più recente cognitivismo sta scoprendo con l’intersoggettività.
La psicofisiologia e le neuroscienze danno ragione al punto di vista che noi della SIAR
assumiamo nella descrizione del nostro sistema teorico.
Intanto nella definizione di “carattere”.
È comunemente accettato che vi sia un’influenza culturale nel formarsi del carattere.
Meno accettata è l’idea che il carattere, comportamentale/psicologico, derivi da esperienze
corporee che, una volta elaborate dal SNC e diventate pensiero, si riproiettano nel corpo
che, così considerato, è lo strumento principe di quei processi di assimilazione e
accomodamento attuati attraverso le modifiche selettive e modulanti della periferia.
Scoperte neurofisiologiche recenti sembrano a sostegno di questo funzionamento.
Un articolo documenta che nei primi mesi dalla nascita, il cervello è ricchissimo di
connessioni dendritiche; con l’esperienza e l’esercizio (interazione) si attuano le selezioni
comportamentali per cui certe funzioni vengono promosse ed altre si riducono fino a
sparire del tutto. Si ha una selezione funzionale evolutiva che ci consente di parlare sia di
selezione sia d’integrazione funzionale. 1
Un altro autore ha scoperto che questo processo si verifica in tutto il SNC e ha quindi
ipotizzato che anche nelle strutture più arcaiche, come per esempio nell’ipotalamo,
possiamo trovare funzioni legate a reti neuronali che saranno state funzionalmente
privilegiate nella storia individuale. Così per esempio nei pulcini, se non c’è stato
apprendimento d’imprinting, taluni circuiti neuronali saranno assenti.
Su queste informazioni saremmo portati a pensare in termini di struttura e quindi di
elementi che una volta formati non siano più modificabili. Questa convinzione sarebbe
erronea perché è già da qualche anno che si è giunti alla conclusione sperimentale che il
SNC non è dato una volta e per sempre. Si modifica nel corso di tutta la vita.
Una ricerca fatta con musicisti ha dimostrato che alcune aree cerebrali, anche in età
avanzata, possono arricchirsi di altre connessioni col semplice esercizio delle funzioni
corrispondenti2. Ma poi è già da diversi anni che Ramachandran3 ha pubblicato un ottimo
testo divulgativo in cui sostiene l’evidenza della plasticità cerebrale.
Tutto ciò ci conduce a simpatizzare con le tesi del prof. Ruggieri dell’Università di
Roma, che considera il corpo umano un processo in costante evoluzione4.
Secondo il nostro codice energetico, la relazione analitica può evolvere secondo leggi
neghentropiche arrivando a realizzare nuove funzioni. È questo uno dei motivi per cui la
relazione va formalizzata nei vari setting e opportunamente calibrata a partire dalle fasi e
dagli stadi iniziali della relazione stessa. Ciò comporta una rigorosa diagnosi e la
formulazione di un progetto d’intervento mirato.
Le fissazioni prevalenti individuate saranno stadi e fasi di organizzazione cerebrale
(neurofisiologico) che avranno un proprio correlato mentale (moduli cognitivi) e proiettivo
nel corpo (il cosiddetto atteggiamento caratteriale) e le funzioni saranno esplicitate nella
relazione secondo gli acting proposti. Lo scambio intersoggettivo che ne deriva da luogo ai
fenomeni di transfert e controtransfert.
Malgrado possa sembrare che l’atteggiamento di attenzione ai fenomeni corporei sia
una prerogativa dei “terapeuti corporei”, in realtà molti altri autori hanno già da tempo
parlato di corrispondenze corporee e psicologiche.
Nell’83 André Lapierre così si esprimeva: … non è per caso che la stessa parola
“atteggiamento” definisce contemporaneamente il comportamento fisico della posizione eretta e il
comportamento psicologico in rapporto al mondo esterno. L’atteggiamento, integrato con una
mobilità generica e fondamento di questa, è un modo d’espressione corporea”. 5
Ma ancora più categorico per il nostro tema è un autore a proposito della proiezione,
con i suoi corrispettivi d’introiezione e identificazione, che si rivela essere un processo
innanzi tutto corporeo; un processo che nel ’90 porta Baranger ad affermare: “nella
situazione analitica la partecipazione del corpo non è esclusiva dell’analizzando, ma riguarda
anche l’analista, che partecipa dell’ambiguità corporea e risponde con il proprio corpo alla
comunicazione inconscia dell’analizzando. Per rispondere a determinate modificazioni del campo,
anch’egli elabora un linguaggio corporeo. Riprendendo le osservazioni di leon Grinberg (1956)
potremmo chiamare questo fenomeno controidentificazione proiettiva somatica”. Attraverso tali
manifestazioni somatiche l’analista risponde ad un’invasione di cui è oggetto da parte
dell’analizzando, che in lui pone un aspetto dei propri vissuti.” 6
Evidentemente le correlazioni corporee-emozionali non sono una prerogativa della
psicoterapia corporea. Allora forse quello che deve caratterizzare noi corporei non è più
solo il tenere in considerazione questi processi bensì essere attenti in modo prevalente al
corpo e intenderlo come l’evento primario degli avvenimenti. Quindi nel corpo e nel suo
modo di relazionarsi noi andremo ad individuare anche gli aspetti più schiettamente
psicologici e dinamici.
Perciò i complessi processi attraverso cui si attuano i meccanismi difensivi, e quindi la
proiezione, l’introiezione, l’identificazione ecc., per noi non sono solo processi riconducibili
a moduli cognitivi, ma sono processi dell’intero organismo in cui, come per esempio nel
caso dell’empatia, l’aspetto neurofisiologico dei neuroni specchio è solo uno dei mezzi
attraverso cui l’esperienza dell’emozione empatica si realizza.
Per concludere, il nostro punto di vista, cioè dell’Analisi Reichiana espressa dalla
SIAR, è quello di un’interdipendenza del carattere della persona dall’altro della relazione e
dall’evoluzione ontogenetica. Questa determina, anche per mezzo di attività biochimiche,
fasi e stadi che possono essere significanti prevalenti e rappresentare nodi d’appoggio
regressivi (fissazioni) ma anche attrattori neurofisiologici per l’organizzazione somatica e
psichica dell’organismo. In tal modo un’esperienza s’impone come un frattale di
conoscenza e di relazione capace d’essere replicata anche a livello d’organizzazione più
evoluta.
Ai livelli più evoluti di organizzazione riteniamo che la verbalizzazione sia solo uno
degli elementi dell’espressione comportamentale.
Nella relazione analitica proponiamo l’analisi del carattere della relazione (Ferri,
199278) perché tratti del carattere individuale si realizzano, si esprimono e si confermano,
o si modificano, proprio nella relazione che si realizza come un corpo unico in cui si
trovano incistamenti, forme e tempi caratteristici della coppia che si è formata e che va
evolvendo. Ciò che risulta importante a livello terapeutico è la capacità di individuare la
direzione neghentropica in cui dovrebbe evolvere la relazione e le modalità del suo
sostegno che si esprimono anche nelle forme transferali corporee.
1
Katharina Braun e Jorg Bock, “Le cicatrici dell’infanzia”, pag. 56, “Mente & Cervello” n. 6, 2003.
G. Mirabella, “Il cervello che impara”, pag.36 dal “Quaderni di Le Scienze", n. 127
3
V. S. Ramachandran e S. Blakeslee, “La donna che morì dal ridere”, Mondatori, 1998.
4
Ruggieri Vezio, “L’esperienza estetica. Fondamenti psicofisiologici per un’educazione estetica”, Armando
Ed., 1997.
5
A. Lapierre, “La rieducazione fisica. Cinesiologia e rieducazione”; ed. Sperling e Muffer, Mi, 1983, Pag. 179
2
6
Baranger, “La situazione psicoanalitica come campo bipersonale”; Raffaello Cortina ed., 1990,
pag. 36.
7
G. Ferri e G. Cimini, “Psicopatologia e carattere, una lettura reichiana”, Anicia, 1992.
G. Ferri e G. Cimini, “Analitical Setting: Time, Relation and Complexity”, pag. 154, in “Annual of the New
York Accademy of Science, Vol. 879, June 30, 1999.
8