“Cinecento” e... altro - Biblioteca Provinciale di Foggia La Magna

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“Cinecento” e... altro - Biblioteca Provinciale di Foggia La Magna
“Cinecento” e... altro
di
Antonio De Cosmo
“Cinecento” e... altro. La delibera n. 2748 adottata dalla Provincia il
21.12.88, dotò la Biblioteca Provinciale di Foggia (al costo di L. 7.500.000) di
una raccolta di manifesti cinematografici: oltre 17.000 pezzi di vario genere e
dimensioni, di epoche diverse e in stato di conservazione più o meno buono. Il
“collezionista” che la cedette, non sembra abbia avuto un criterio selettivo nel
raccogliere il materiale. O almeno, è difficile individuarne uno, nella raccolta
acquisita dalla Biblioteca. Per questo non ci riferiamo ad essa in termini di collezione. Che si tratti di raccolta e non di collezione non significa che sia qualcosa
di minor valore. Anzi, nel suo insieme, essa rappresenta un nutrito documento
del tipo di proiezioni che si sono avvicendate nelle sale cinematografiche italiane
nel primo e, ancor più, nel secondo dopoguerra; ma soprattutto negli anni ’60 e
’70.
Documento significativo, perché i film proposti in quegli anni al pubblico italiano non sono stati una selezione, ma proprio un insieme indifferenziato,
come è tipico dell’industria culturale. Si sarebbe forse detto meglio, al pubblico
nostrano, perché suppongo che questi manifesti siano stati “pescati”, prevalentemente, nelle sale locali e del circondario. Indifferenziato è certamente
l’insieme, almeno sotto certi aspetti; per esempio la qualità e i contenuti. In rapporto alla produzione, invece, la parte maggiore è naturalmente di origini hollywoodiane. Più si va in dietro più diventa improbabile trovare nomi come
Tamara Cernova, interprete di Uomini coraggiosi (1950). Il cinema russo fu pochissimo importato negli anni democristiani. Lo stesso cinema italiano non è
presente in modo prevalente, segno, anche questo, di un certo rapporto di forze fra le capitali della produzione cinematografica. L’industria, la grande industria americana, anzi statunitense, come si sa, sommerse con le sue storie e immagini tutto e tutti, non solo l’Italia: questo dice e conferma questa raccolta.
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L’uso, che, dopo l’acquisto, se ne sarebbe potuto fare di quei pacchi, in carta
da imballaggio, non era chiaro. E nemmeno come se ne potesse avere una conoscenza più adeguata, che non fosse quella consentita dagli elenchi manoscritti che li
accompagnavano.
Un primo tentativo di catalogazione sommaria fu effettuato nel 1989 e, con
interruzioni e riprese, continuò, volontario e spontaneo, per tutto il ’90, arenandosi
a quota 7.834: “Passaporto per Canton” di Michael Carreras, interpretato da Richard
Basehart, Athene Seyler, Lisa Gastoni. Le primissirne 1.573 locandine (un computer
dice sempre il numero) erano di piccole dimensioni, circa 30x50: un foglio di album per disegno con una foto di scena contornata da un piccolo bozzetto. Si trattava dei film più vecchi, quelli da sale parrocchiali. Poi, dai pacchi cominciò a srotolarsi il formato più comune, il 33x70, che avrebbe rappresentato più di un terzo
della consistenza.
Questo lavoro fu condotto su un S’32 (sigla di Sistema 5432) una macchina
della IBM, prototipo dei moderni personal. Era infatti un computer, come si dice,
mono-utente, che, a differenza dei PC attuali, pesava 3 quintali. Grande quanto una
comune scrivania, emetteva un rumore costante di lavatrice in fase di centrifuga; e,
in caso di stampa, poi, c’era uno sferragliamento supplementare. Aveva un display
di 6 righi da 40 colonne: una feritoia da carro armato attraverso la quale, più che
leggere, pareva di spiare sul disco fisso. Non era veloce, ma per l’epoca sembrava
che lo fosse. A volte si avviava un ordinamento la mattina per averlo concluso a
sera inoltrata. E tuttavia, nonostante tutti questi difetti, questa macchina merita una
parentesi.
Il S’32 fu adottato dalla Provinciale alla fine del ’79, sicché nel ’90, epoca
della prima catalogazione dei manifesti, era ormai fuori produzione. Usarlo ancora
costava sempre di più e cominciava anche ad avere frequenti guasti. E molte volte,
specie dopo la fermata nella catalogazione dei manifesti, era stato suggerito, chiesto,
consigliato, di disdire il contratto di affitto. Finalmente, dopo reiterate insistenze, fu
mandato al macero; fu un triste giorno di aprile del ’90: pareva febbraio.
Su quel computer si erano avvicendati i progetti, le idee, forse nient’altro che
le fantasie dell’automazione nella Biblioteca Provinciale di Foggia. E non solo le
fantasie: anche le speranze di tante persone. Per la sua piccola, ma volenterosa memoria (24 K) erano passati gli esperimenti di catalogazione della Sala Ragazzi, della
Sala Adulti, di una parte dei Fondi Speciali, della biblioteca del liceo-ginnasio “Lan418
za”, della biblioteca “Forense” dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori, della
biblioteca della SSSSS (tremenda sigla della Scuola Superiore di Sicurezza e Servizio Sociale). E anche, per l’appunto, di gran parte)delle locandine della raccolta di grafica cinematografica. Quel giorno di aprile fu portato via come un
pesante pachiderma da un prodigioso cingolato su gomma, semovente e telecomandato, i cui motori elettrici lo facevano sibilare come un rettile, mentre,
mostruosamente, scendeva anche per le scale: vorrei poter dire che, per
l’evento, nessuno sospirò né di rimpianto, né di sollievo.
Chiusa la parentesi su più di dieci anni di “convivenza” con un aggeggio
siffatto, sembrava chiusa anche la questione della catalogazione dei manifesti.
Invece, anche se molto tempo dopo, siamo nel ’93, nel segno del PC, leggero,
quasi portatile, silenzioso e caldo, con un leggero ronfo come di gatto che fa le
fusa, con un immenso monitor di 25 righe per 80 colonne, inopinatamente la
questione si riaprì e prese avvio il secondo tentativo (attenzione al termine) di
catalogazione: il software di base veniva da Bruxelles, copyright by UNESCO,
passando per la Toscana. L’applicazione specifica fu progettata, realizzata e
testata localmente; cominciarono le immissioni.
Verso l’estate del ’94 era stato registrato il manifesto numero 13.594:
“Fanny Elssler” di P. Martin, del 1935 con Lilian Harvey e Willy Birgel. La
task-force dei catalogatori di grafica, presa da entusiasmo, decise di coinvolgere, in un party casareccio e bonario a fine giornata di lavoro, quella parte dei
colleghi, che, in qualche modo, montando scaffali, recuperando palchetti, allineando cartelle di opportune dimensioni, aveva contribuito a sistemare la raccolta. Si voleva mettere un’allegra parole fine su un’impresa: non è un gioco da
nulla catalogare, in un anno e mezzo, oltre 13.000 pezzi. Una fetta di panettone
e un innocente bicchiere di spumante nostrano in candidi flûtes di plastica,
sembrava la cosa più salutare, prima di passare a una seconda fase di coordinamento puramente catalografico e di revisione della base dati: fase, prevedibilmente, impegnativa, ma, contemporaneamente, ancor più interessante.
Se non che, c’era ancora nell’aria il calore delle reciproche strette di mano, quando arrivò una doccia fresca, non fredda perché la notizia in sé non era
cattiva: dalle profondità dei depositi salì la voce della scoperta dell’esistenza di
altri pacchi di manifesti: si trattasse di ritrovamento casuale o di un rigurgito di
memoria, il lavoro che pensavamo concluso non lo era affatto. Fine del secondo tentativo di catalogazio419
ne: la speranza è di concludere tutto l’anno prossimo, aggiungendo i circa 3.500
ancora avvolti in carta da imballaggio. Per il ’95 il programma di lavoro era già
stato definito.
Il 1995 è stato l’anno del centenario del cinema. Si poteva rimanere estranei
alle iniziative che i cinefili avrebbero messo in “cantiere” per l’occasione? No di
certo; si decise di dar luogo ad una serie di mostre.
Inizialmente le mostre avrebbero dovuto essere un certo numero. Raggruppate sotto il titolo di Cinecento (accettato anche in grafia Cine100) si sarebbero susseguite per tutto l’anno secondo uno schema dapprima cronologico con cadenze
decennali (origini-1939, 1940-1949, ecc.). Il contenuto, invece, avrebbe avuto un
orientamento socio-culturale, per intendersi a mezza strada fra le considerazioni di
E. Morin e quelle di M. McLuhan, A. Hauser e così via. Una volta giunti all’epoca
moderna, Cinecento avrebbe presentato i manifesti dei film di tutti i registi italiani
presenti nella raccolta, anche questi in sequenza cronologica e alfabetica, a partire da
Oreste Biancoli: Penne nere (1952), Amicizia (1938), Alessandro Blasetti: Nerone, medico
per forza (1931), 1860 - I Mille di Garibaldi (1934), La cena delle beffe (1941), Nessuno
torna indietro (1943), Bragaglia, Brignone, Calandri, Camerini. Attraverso i manifesti,
autori noti e, almeno per me, meno noti, come Corrado D’Errico, regista di Diamanti (1938), sarebbero stati proposti ai visitatori andando avanti fino ai nostri
giorni.
Invece, dopo le prime due mostre cronologiche, il Circolo “Lumière” e
l’associazione AIACE di Foggia proposero un’azione parallela, che prese il nome,
in vero un po’ prosaico, di “Sogni di Celluloide”. In essa erano previste attività comuni e attività autonome. Il “segretariato terreno dell’esattezza e dell’anima” fu istituito
presso l’Assessorato provinciale alla Cultura. Dopo qualche riunione per le classiche
dichiarazioni di intenti e per definire una programmazione cominciarono le manifestazioni per il centenario.
Fu così che, in apertura, Gianni Volpi, critico cinematografico, tenne a battesimo ai primi di aprile la mostra sul Neorealismo, mentre a maggio Emidio Greco,
regista di “Una mostra semplice” (1991), proiettata nell’auditorium della Biblioteca, fu
ospitato in una cornice, dal nostro punto di vista, sontuosa di oltre 60 manifesti,
riassuntivi dei principali generi cinematografici: sei sezioni intitolate: Politico, Erotico - sottinteso Cinema, si capisce - Horror, Western, Parodia e Peplum (riferimento antonomastico ai film a carattere mitologico), con
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l’avvertenza, espressa in sede di introduzione alla conversazione col regista, che i
filoni del Neorealismo e della Commedia all’italiana erano esclusi in quella occasione, perché, nel programma generale, per essi era previsto un trattamento
particolare. A novembre Luciano Emmer ebbe occasione di narrarci alcuni
retroscena del suo “La ragazza in vetrina” (1961): alcuni mafiosi di Amsterdam
avevano prima consentito che si girassero alcune scene del film nella famosa
strada, pretendendo in cambio una certa cifra, poi avevano avuto un ripensamento, alzando in modo esorbitante le loro richieste. Al rifiuto avevano aggradito e precipitato in acqua (mare o fiume, non ricordo) regista, macchina da
presa e qualche altra persona della troupe. Nei giorni seguenti l’incidente però le
cose si erano “accomodate” e le riprese erano continuate, non solo per via di
un pagamento meno esoso, ma secondo Emmer, soprattutto perché era stata
“apprezzata” la mancata denuncia alla polizia. Davanti a quelle locandine questo
gentile e anziano signore ci ha confidato un debito di riconoscenza, indicando
una signora che vi era raffigurata, come la vera “anima” del film per i suoi suggerimenti sulla scenografia e per la sua apprezzatissima attività di cuoca. Abbiamo riferito la cosa perché il signor Emmer parla a bassa voce e nell’atrio
della Biblioteca c’era un po’ di confusione, come sempre, in attesa del pubblico.
Contemporaneamente a questi eventi culturali, dal 15 marzo all’8 dicembre l’originaria mostra Cinecento, con la storia sociale del cinema dalle origini al
1949, veniva esposta in 14 comuni: S. Ferdinando, Orsara, Vico del G., Peschici, San Severo, Pietra M., Apricena, San Marco in L., Troia, Cerignola, Deliceto,
Lucera, Torremaggiore, Rignano. Manfredonia vi ha rinunciato per le incertezze
e gli avvicendamenti politico-amministrativi.
Fra le iniziative autonome, oltre a quelle promosse localmente
dall’associazione AIACE, merita rilievo quella curata a San Marco in L. dal Circolo “Lumière” su Francesco De Robertis (1902-1959), nativo di quel comune.
Il centenario del cinema nella nostra provincia è stato celebrato in modo
certamente più ricco di quanto possa apparire da questo punto di osservazione.
Così, per esempio, a Torremaggiore oltre alla mostra di manifesti, per alcune
sere sono state eseguite musiche tratte da colonne sonore cinematografiche.
Allo stesso modo, non sono rientrate nel programma, ma sono state ugualmente rilevanti, tutte le iniziative promosse (ovviamente in assolutissima autonomia) all’interno dell’estate
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viestana. L’amministrazione comunale di Rimini, qualche anno fa, utilizzò i manifesti
della nostra raccolta per un’iniziativa estiva su Nino Rota: viene il sospetto che il
Gargano estremo sia più distante della costa romagnola.
Infine, l’anno del cinema si sarebbe potuto concludere, a Foggia, in modo
natalizio e solidaristico, in occasione della partenza del treno che accompagna la
raccolta dei fondi di Telethon. Il computer, rovistando fra i titoli, aveva individuato
una serie di manifesti di film come Il treno ferma a Berlino (J. Tourneur, 1947), Un
treno va in Oriente (J. Rajzman, 1947), L’ultimo treno da Bombay (F. Sears, 1952). Quel
treno per Yuma (D Daves, 1957), ma anche Cafè express (N. Loy, 1979), per
l’aggettivo, tutto ferroviario in comune col famoso Assassinio sull'Orient Express (S.
Lumet, 1974). Per conto nostro si era completato l’elenco con Destinazione Piovarolo
(D. Paolella, 1955), Amici miei (M. Monicelli, 1975), ed altri, dal momento che questi
titoli non sarebbero mai venuti in mente a un computer: insomma si progettava di
allestire, presso la stazione ferroviaria, una mostra tematica su “il treno”. Purtroppo
il convoglio di questa iniziativa non è riuscito a partire.
Le ricerche per temi e per registi e tutte le altre operazioni, naturalmente,
sono state possibili perché, nel frattempo, si correggeva, rettificava, scriveva,
uniformava, aggiungeva, riportava, immetteva, si provvedeva, cioè, a tutte le
operazioni di coordinamento bibliografico.
Attraverso quel lavoro è stato possibile compiere delle osservazioni, che
meritano di essere citate. Così, ad esempio, si è scoperto che Demofilo Fidani,
regista di A.A.A. Massaggiatrice, bella presenza, offresi (1972) è lo stesso regista che nei
western all’italiana preferisce colorarsi col nome di Miles Deem, come in ... E
vennero in quattro per uccidere Sartana (1969) o con quello di Sean O’Neal, regista di
Passa Sartana... è l'ombra della tua morte (1969, anno prolifico per questo terribile
pistolero), mentre Dino Strano in questo film, pur portando il cinturone, preferisce
il suo nome al più solito Dean Stratford.
E non solo le persone del cinema assumono pseudonimi, nomi d’arte o
d’occasione, ma anche i film e le pellicole: la distribuzione, infatti, modifica talvolta i
titoli di vecchi film, stampa semplici strisce di carta con nuove diciture, le attacca sui
vecchi manifesti e mette in circolazione il tutto come film nuovi che nessun
repertorio, ovviamente, ricorda siano mai stati prodotti. In questi casi i catalogatori,
come i NAS (i nuclei antisofisticazioni dei carabinieri) devono esaminare,
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controllare, leggere in controluce, sbirciare fra le parti microscopiche della stampa
per venire a capo della vera natura del prodotto.
Non sempre, però, si tratta di una furbizia, che, nel peggiore dei casi, rischia
di farci vedere due volte lo stesso spettacolo: ci sono film che cambiano nome
quando vengono riediti: La pattuglia invisibile -[Gli eroi del Pacifico] (E. Dmystryk,
1945), i titoli in parentesi quadra sono quelli, per così dire, d’origine, di prima
programmazione, Una storia moderna: l’ape regina - [L’Ape Regina] (M. Ferreri, 1962),
il film fu prima messo in circolazione col titolo breve, poi fu ritirato, rimaneggiato,
anche abbreviato e ridistribuito col nuovo titolo, che rappresenta quello vero e
ufficiale, anche se è più noto l’altro, il più breve. Arcipelago in fiamme - [Forze aeree] (H.
W. Hawks, 1943), caso più complesso, perché non solo è cambiato il titolo del
film, ma anche il regista; sul manifesto, infatti, si legge: Walsh Raoul. Ristabilire la
verità storica è stato faticoso, ma penso sarà più faticoso, e comunque interessante,
stabilire chi e come ha prodotto l’errore.
Quando tutto sarà finito si prevede un ulteriore affascinante lavoro. Sarà
composto di due parti e riguarderà i grafici.
I grafici firmano i manifesti come un biglietto di auguri. Si dovranno
sciogliere tutte le grafie incomprensinili, appena visibili, troppo ridotte a sigle, scippi
e scarabocchi per essere capite e ricondotte a un nome e a una forma standard del
nome, che, nell’indice, possa essere, e sia poi, effettivamente cercata. Per ora queste
firme, esistenti ma illeggibili, sono state indicate da [ ... ]: le parentesi quadre nel
gergo dei bibliotecari delimitano una notizia non presente sul documento, ma
ricavata da fonte esterna; i puntini, di solito, indicano una sospensione; i puntini in
parentesi quadra cercano di suggerire il concetto complessivo che dalle altre fonti
non è venuta alcuna indicazione, per lo scioglimento del criptogramma. In
definitiva stanno a dire che qualcosa, un segno scritto sul manifesto c’è, ma è
illegibile, per cui occorre qualche ulteriore elemento per decifrarlo, indicano quindi
un rinvio ad altra occasione.
Occorre sapere che non solo i grafici firmano in maniera illeggibile molti
manifesti, ma tantissimi non li firmano affatto. C’è chi sostiene che quei manifesti, in
realtà, sono stati firmati, solo che, poi, c’è stato un attacco proditorio e vile di
graficlastia, parente alfabetizzata dell’iconoclastia, da parte della distribuzione che vi
ha sovrastampato gli stemmi della MGM o della 20th Century Fox, riducendo l’artista all’anonimato; ma sarebbe possibile secondo qualcuno riconosce423
re il segno, la mano del grafico a partire dal disegno: e non saremo noi, armati
di regolamentari parentesi quadre, a dubitarne.
Con l’attribuzione delle opere agli artisti il lavoro sarà, finalmente,
concluso; e per il ciclo di mostre allestito, nel ’95, nell’ambito di Cinecento,
bisognerebbe ringraziare e nominare come usa, dopo il cast dei protagonisti,
tutte le maestranze, professionalità, addetti alla produzione e... distribuzione
ecc.: si tratterebbe, ancorché classici, pur sempre dei titoli di “coda”. E’
preferibile: The End.
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