Ecologia del vivere: i luoghi dell`anima e la loro

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Ecologia del vivere: i luoghi dell`anima e la loro
8/7/2015
Ecologia del vivere: i luoghi dell’anima e la loro memoria
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giovedì, gennaio 2nd, 2014 | Pubblicato da Stefania Taruffi
Ecologia del vivere: i luoghi dell’anima e la
loro memoria
Albergo­museo Al Plan – S. Vigilio di Marebbe
Di Stefania Taruffi
Hotel Museo Al Plan
A volte capita d’imbattersi in un luogo che cattura l’anima e allora, il tempo si ferma e anche noi
rallentiamo, rapiti da piccoli dettagli che rievocano il passato e rendono autentico il presente. E in
quel luogo ritroviamo le cose di una volta, che sembrano aver fatto parte della nostra vita da
sempre: volti, vite, usanze, oggetti, sentimenti, valori. Sono dei luoghi senza tempo, come
l’albergo­museo Al Plan, di Maurizio Trebo e della moglie Teodora, ai piedi del Plan de Corones, a
S. Vigilio di Marebbe (BZ).
Maurizio, cresciuto con i nonni che l’hanno “messo sui binari, dai quali è impossibile deragliare”
ha imparato da loro i valori familiari, una filosofia di vita semplice e positiva, la capacità di
sorridere e amare la vita: “Dopo la pioggia, la neve e il vento, torna sempre il sole”. Ha proseguito
l’attività di famiglia creata nel ’72 dai genitori, arricchendola di intima familiarità e trasformando la
‘Pension’ Al Plan, in’Hotel’. Un passaggio che ha aumentato i comfort della struttura, senza
diminuire il carattere familiare dell’accoglienza. Anzi Maurizio, il giovane successore, dotato di
grande sensibilità, è riuscito a dare un tocco diverso all’albergo, trasformando la ‘casa‘ in una ‘casa
museo’, un vero e proprio museo della memoria. Da trent’anni, infatti, lui e la moglie collezionano
oggetti antichi. Ma non sono oggetti qualunque. Ogni angolo del loro albergo è una piccola e
delicata finestra sul passato. Un passato di cui bisogna tenere memoria. Oggetti dal valore
intrinseco, poiché intrisi di dedizione e cura, come solo gli artigiani di un tempo sapevano mettere
nel loro lavoro.
Ne sono testimonianza i tappi di bottiglia intagliati a mano, acquistati in
giro per le Valli delle Dolomiti, che ormai nessuno più realizza. “Il lavoro
che c’è dietro un tappo non ha prezzo” spiega Maurizio “Se pensiamo a
quanti mesi un artigiano impiegava per fare un tappo, con i costi della
manodopera di oggi, quanto dovrebbe valere questo tappo?”. Infatti, non
se ne trovano più, in questo mondo di produzioni a basso costo e a basso
valore. Mi cattura l’angolo dello sciatore, con i vecchi sci di legno, i
pattini da ghiaccio. Abbasso lo sguardo e le valigie d’epoca mi ricordano viaggi lontani. E
riecheggia il racconto di Maurizio di quando “il nonno andava a prendere i bauli dei clienti alla
stazione”.
Mentre assaporo le deliziose marmellate fatte in casa dalla mamma ultraottantenne di Maurizio,
delizia al palato fatta di mirtilli, fragole e albicocche, sul pane di segale fragrante come mai ne ho
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assaporati, il proprietario mi spiega che “il pane non va mai buttato”. Loro lo riutilizzano in vari
modi, come facevano una volta, per farne pane grattato, canederli o zuppe. “Il pane è sacro”. Come
dargli torto, guardando la grata di legno sistemata sulla parete di un corridoio, dove il pane adagiato
su fessure distanziate prende aria per mantenersi per molti giorni. Che dire, mi son sentita a disagio,
pensando a quanti chilogrammi di pane butta via la nostra società consumistica, così tanti che
basterebbero a sfamare intere popolazioni. Alzo gli occhi, e nella sala da pranzo troneggiano a
decine i macinacaffè di ogni epoca e forgia.
Altri tempi. E risalendo le scale di legno non sfuggo al tempo passato. A ricordarmelo decine di
orologi a muro, a pendolo, comtoise
francesi della Borgogna del ‘700, orologi a
pendolo dell’800, tutti fermi a un’ora
diversa. Uno solo di questi, rintocca ogni
ora, riportandoci al presente. Salendo le
scale fino alle suite, mi guardano con
sospetto le maschere della Val di Fassa,
austriache tedesche, ampezzane. Molto
meno rassicuranti quelle del piano di sotto,
che sembrano uscire dalle pareti con il loro
ghigno, accanto ai forconi dei contadini. Campane e mobili d’epoca mi conducono verso un’antica
cantina, fedelmente riprodotta con oggetti d’epoca.
“Cose semplici” spiega il proprietario “perché l’oro i clienti lo lasciano a casa”. Mentre scrivo
nella sala della musica, si ergono maestosi dietro di me un vecchio basso e antichi strumenti
musicali messi a tacere, ma vibranti di storia. Quasi come quel pianoforte a coda, che sosta
silenzioso in un angolo. Tacciono in eterno riposo anche i trofei di caccia nella Stube a loro
dedicata, mentre tazzine da thè d’epoca,
merletti e scatole antiche, fanno capolino
da una vetrina. E ancora cappelli, vestiti
d’epoca, pipe antiche. Tutto è curato in
questo luogo. Ogni dettaglio fa riemergere
vita e memoria. E la sera, davanti alla
grappa al mirtillo, Maurizio ci racconta di
suo ‘figlio adottivo’, Hubert,
ultraottantenne. Vive da solo in una grande
casa del ‘600. Non si è mai sposato, non ha
figli e pertanto non è stato toccato dal progresso. Non sente il bisogno della televisione, non legge i
giornali “che portano solo brutte notizie”, si riscalda col fuoco del camino e vive con 530 euro al
mese di cui 100 euro sono destinati al mangiare dei gatti. Spesso, pagate le bollette, gli avanza
anche denaro. Riscalda a legna solo la stanza dove vive e lava accuratamente tutte le scatole di latta
da mettere al riciclo, perché “bisogna fare le cose per bene”. Sa aggiustare qualsiasi cosa rotta,
senon si trova in giro una vite, se la fa da solo al tornio, ci mette tempo, ma non importa. Qui ci si
prende il tempo che serve per fare le cose. D’altronde qui “ci vuole tempo per fare qualsiasi cosa,
siamo lontani dalle città dove approvvigionarsi perciò, spesso, ci si arrangia da soli”. In alcuni
posti il tempo è relativo. Trascorre, ma ogni tanto lo si ferma. Lo fermano il freddo, le distanze, il
ridimensionamento dei bisogni. Ed ecco che si assapora la ‘qualità della vita’, la lentezza, il gusto
delle piccole cose. Una chiacchierata con gli ospiti curiosi, uno sguardo ai cristalli di neve, mentre i
figli, i vivaci Max e Moritz, che portano i nomi dei ragazzini dispettosi della crudele storia in versi
di Wilhelm Busch, fanno un servizio fotografico ai loro nuovi caschetti da sci. Quasi non ti viene
più di uscire in paese la sera, fa freddo. E davanti al camino con questi racconti, qui, ci si sente
come a casa!
Riecheggiano le parole sagge di Maurizio: “La contentezza è la più grande ricchezza. Ogni giorno
va salutato con gioia. Anche lavorare deve essere un piacere. Se il lavoro che si fa non dà
soddisfazione, bisogna cambiarlo! Io amo il mio lavoro. E oggigiorno tutti vogliono laurearsi,
mentre alcuni mestieri non li vuole fare più nessuno. Mestieri in cui serve l’abilità manuale, spesso
tramandata nelle generazioni. Come quella dello spazzacamino, un mestiere importante! Qua ce ne
è uno solo che serve tutte le Valli….!!!”. Sorride e posa sul tavolo la spazzola e il cappello da
spazzacamino, dal quale si è travestito per festeggiare la sera di capodanno: “Lo spazzacamino
porta fortuna, spazza via i problemi dell’anno vecchio!” spiega Maurizio. Noi ce lo auguriamo tutti!
Spazziamo via le cose negative! Tratteniamo quelle positive, tra cui la memoria. Perché come dice
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Gabriel Garcia Marquez: “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la
si ricorda per raccontarla”. E la famiglia Trebo, la racconta in questo modo speciale.
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