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Tamara de Lempicka
Immortalata nel famoso Autoritratto alla guida di una Bugatti verde, commissionato
nel 1929 per la copertina della rivista tedesca di moda "Die Dame", l'elegante figura
dal gelido sguardo proteso nel vuoto di una visione irreale e che rimanda solo
astrattivamente i tratti esteriori di Tamara De Lempicka, ha riassommato un prototipo
del moderno e spregiudicato dinamismo costruito dal costume artistico déco e liberty
sull'immagine simbolica del femminile negli anni venti e trenta.
Un modello archetipo incarnato oltretutto nella suggestiva esemplarità evocata da
questa aggiornata rappresentazione di "donna eccessiva", connubio di bellezza e
perversione da cui promanano riflessi di una sintesi inquietante, e così proficuamente
spendibile per l'esercizio della cartellonistica pubblicitaria coeva. Difatti nei primi
decenni del novecento trova forte corrispondenza la convivenza tra linee espansive
dell’avanguardia artistico-letteraria, con la sua proiettata tensione verso la
sperimentazione di linguaggi innovativi in aperta collisione coi dettami degli stilemi
tradizionali, e l’espressione congiunturale di ipotesi riaffermative del passato, tendenti
invece a suturare il divario con gli avvertiti mutamenti culturali attraverso l’innesto
armonizzante di elementi moderni su esigenze interpretative orientate pur
realisticamente verso un'ostinata rilettura dell’antico.
Parigi costituiva in quell’epoca il crocevia privilegiato entro cui eteroclite spinte
intellettuali provenienti dalla transfuga e discontinua espressione dei movimenti di
idee confluivano in un clima europeo di proficui scambi reciproci, cui gli eventi
incalzanti della rivoluzione sovietica avevano impresso un moto accelerativo
implementando il flusso copioso di artisti e scrittori russi rifugiati nella capitale
francese. Anche Tamara Gorska era fra questi, assecondando l'ambizioso progetto di
avanzamento sociale che l’aveva indotta a reclinare le sue pur agiate radici polacche
in favore del solido approdo rappresentato dall’adottato cognome maritale di Tadeusz
Lempicki, il dandy latifondista fastosamente sposato a San Pietroburgo durante la
guerra.
Giunge a Parigi nel 1918 appena ventenne, proprio mentre la famiglia dello zar veniva
fucilata a Ekaterinburg dai rivoluzionari, e dopo un’avventurosa fuga in Finlandia da
cui aveva trattato e ottenuto la liberazione del consorte, precedentemente arrestato
dalla Ceka per i suoi legami con la polizia zarista, tramite la mediazione di un
diplomatico svedese col quale aveva nel frattempo intrattenuto una relazione.
Assieme al ricongiunto coniuge intesse rapporti immediati col beau monde della
fuoriuscita (e reazionaria) aristocrazia russa, raggruppata attorno al principe Iussupov,
già implicato in patria nell’omicidio dell’ambiguo Rasputin (assurto in virtù delle sue
capacità taumaturgiche all'improvvido e fatalmente inviso ruolo di alter ego della
zarina Alessandra), e alla moglie Irina Alexandrovna, nipote di Nicola II° Romanov.
Ancora nel '27, l'intensità psicologica conferita al malinconico Portrait de S.A.I. le
Grand-Duc Gabriel Constantinovitch, commissionato da un cugino di quest'ultima,
testimonierà un'istanza partecipativa alle vicende familiari del protagonista
accludibile alla solidità di legame con tale scelta d'ambiente. La raffigurazione
emaciata e quasi caricaturale del volto costituisce in questo dipinto esperienza
singolare nella ritrattistica (maschile e non) dell'artista, che abbandona i referenti
francesi cui si era fino allora ispirata per richiamarsi invece alle destrutturanti
scarnificazioni formali del discoperto manierismo pontormiano, evocando inoltre
talune tipologie espressioniste presenti nelle "maschere apocalittiche" di George
Grosz, Otto Dix o Max Beckmann, pur situandosi tali progetti realizzativi su
coordinate ideologiche estremamente lontane dal "disimpegno evasivo" della pittrice
polacca. D'altronde, tali stimoli dall'arte tedesca d'avanguardia sono concomitanti ai
suoi rapporti di collaborazione con la rivista di moda "Die Dame", iniziati proprio nel
'27.
La vita di Tamara è stata costellata di viaggi e spostamenti frequenti, che già all’età di
tredici anni la conducono in Italia per un soggiorno al seguito della nonna ove ha
modo di avvicinarsi all’arte tramite visite museali a Roma, Firenze e Venezia, e
compiere così i primi approcci con la pittura attraverso l’uso dell’acquerello, mentre
più tardi lo scoppio del conflitto bellico, sorprendendola in Russia, le negherà la
possibilità di tornare nella Polonia invasa dalla Germania guglielmina, ma il facoltoso
marito banchiere della zia presso cui è ospitata provvederà opportunamente alla dote
per coronare l’auspicato matrimonio con Lempicki.
Certo i primi anni a Parigi non scorrono facilmente, dal momento che l'esteriore
forzosità del tenore di vita sostenuto denota una disinvoltura non suffragata dalle reali
consistenze economiche della coppia, alloggiata in fortunosi appartamenti d'affitto e
spesso contrastata da gravi incomprensioni legate al rifiuto "nobiliare" dell'ex dandy
di circoscrivere la condizione d'indigenza in cui versa ormai la famiglia (accresciuta
nel '20 dalla presenza della figlia Kizette) attraverso una concreta assunzione
d'impegno attivo.
E' in tale congiuntura che Tamara, confortata dalla memoria di un'esperienza puberale
(quando si volle ostinatamente cimentare nel voler dipingere un ritratto della sorella),
decide proprio su consiglio sororale di frequentare una scuola artistica, dapprima
presso l'Académie de la Grande Chaumière e quindi negli studi di Maurice Denis e
André Lhote, pittori apprezzati nella Ville Lumière soprattutto per le loro qualità
ornamentali.
I risultati della sua ricerca ne rimarranno fortemente influenzati, in modo particolare
dopo le prime esperienze attuate entro il 1920 (presumibilmente debitrici anche di
conoscenze tecniche precedentemente assorbite durante la stanzialità in Russia), che
in opere quali Portrait de jeune femme en bleu o Portrait de femme au châle, esposte
poi nel '22 al Salon d'Automne e al Salon des Indépendants, acclarano i dettami di
un'impostazione oleografica ancorata a modelli accademici, magari sollecitata da
un'attenzione ai contrasti cromatici ma significativamente inavvertita della forza
attuata dalla destrutturazione formale cézanniana o dalle scaturenti scomposizioni
cubiste.
Nel corso degli anni venti trovavano invece visibilità gli approdi dell'universo
compositivo di Tamara, con realizzazioni come Le chinois o figurazioni di nudi
femminili quali Nu couché e soprattutto Les deux amies (quest'ultimo noto anche col
titolo di Perspective), che traducendo partizioni teoriche dei suoi maestri risentivano
altresì del nuovo clima intellettuale creato in Europa da un'annunciata esigenza
normalizzatrice, egemone non soltanto nell'ambito dell'organizzazione politica ma
anche in quella artistico-letteraria, declinando il segno di quel generale desiderio
restaurativo volto a proiettare le idee-guida dell'orizzonte estetico entro i limiti
"rassicuranti" offerti dall'esemplarità classica. Era l'epoca del cosiddetto "richiamo
all'ordine", come recitava il titolo omonimo del testo di Jean Cocteau (non
casualmente inserito insieme ad André Gide nella cerchia amicale dell'artista polacca)
pubblicato in quegli anni, in cui la referenzialità e l'autorevolezza fornite dai modelli
estetici storicizzati assurgevano a veicolo degli sviluppi preferenziali sottesi alla
costituzione del mezzo espressivo. Anche lo stesso Lhote si farà promotore e
opportuno interprete del ritorno alla dimensione accademica e alle certezze del dato
realistico, in un progetto teso a recuperare la concreta materialità dell'istanza
naturalistica eliminando l'avvertita "pericolosità" delle "fughe in avanti" ingenerate
dalla mescolanza dei generi artistici, e la promulgazione di tali principi troverà poi
sbocco nel gigantismo rappresentativo e nell'ordine monumentale dell'arte "imperiale"
enfatizzata dai regimi totalitari (nazi-fascisti e stalinisti) nel periodo tra le due guerre.
La traduzione di questa riscoperta avviene entro i canali di una mitologia
"arcaicizzante" o comunque ipotecata dal ripristino costruttivo dei valori formali
messi in mora dalle spinte centrifughe inerenti alla fase "irrelativa" e nichilistica
dell'avanguardia astrattista. L'effervescente mondanità della vita artistica parigina, in
cui la pittrice s'inserisce nel secondo decennio, si dibatte infatti tra i riflessi di uno
spregiudicato individualismo anticonformista che nell'ostentazione di una sessualità
libera da "complicazioni" sentimentali, sprezzante dei vincoli familistico-riproduttivi
e trasgressiva nelle disinvolte celebrazioni degli amori saffici, manifesta
un'aristocratica ripulsa nei confronti di una morale borghese ingabbiante e normativa.
Della fascinosa letterarietà di questo vitalismo notturno insediato nella capitale
francese facevano parte indivisibile, negli anni venti e trenta, conosciuti protagonismi
dell'eccesso femminile come la creatrice di alta moda Coco Chanel, costumista di
famosi spettacoli e balletti teatrali in collaborazione con Picasso e Cocteau, e
l'eclettismo performativo della poeta-cantante Suzanne Rocher (nota come Suzy
Solidor), animatrice del locale "La Vie Parisienne", di cui Tamara era assidua
frequentatrice assieme al suo circuito intellettuale, che nell'aperta enunciazione della
propria omosessualità offriva un modello riappropriativo di autonomia gestionale.
Debutta così una costruzione d'immagine del protagonismo femminile teso ad
affermare il modello "divorante" della donna-virago, "amazzone" o "vedova nera"
cinicamente adusa all'incessante e rituale "consumo" di amanti occasionali, che
prefigura una nuova forma di soggettività in grado di annegare il classico dualismo
maschile-femminile in un'identità simbolica potenzialmente androgina.
Quest'ideale volontà di superamento "antropologico", paventato efficacemente nei
Manifesti di Valentine de Saint-Point con l'avvento della "superfemmina" quale
attuata espressione della modernità di costume futurista, non sembra però
rappresentare novità originale, rimanendo attestata sugli attardati retaggi delle
mitologie romantico-simboliste incarnate nell'inquietante "eccentricità" della femme
damnée o fatale. Tale specifica raffigurazione, che destina all'esercizio distruttivo nei
confronti del maschile la dislocazione di un emergente lato oscuro e "demoniaco" nel
segno femminile, demanda la valenza espansiva delle potenzialità di emancipazione a
una mera volontà di annientamento dell'altro da sé.
Le strategie costruttive della soggettività vengono così disancorate da qualsiasi
orizzonte della significazione di genere, restringendo la visione del processo di
ritrovamento dello status sessuato a primitiva sintesi conflittuale in cui le parti si
riconoscono nella reciprocità della rispettiva e cristallizzata funzione simbolica, senza
dunque porre in discussione e bensì rafforzando i vincoli della gerarchia patriarcale
espressi nell'equilibrio di ruolo egemone/subalterno.
De Lempicka appare muoversi in un abito mentale volto a recepire la realizzazione
estetica quale prodotto di necessaria coniugazione col ciclo vitalistico della propria
qualità esistenziale, in cui la teatralità del gesto assume la ritualità decadente di evento
sublime, di costitutiva azione letteraria in nuce, secondo le suggestioni dannunziane
costruite attorno al lirismo narcisistico evocato dalla figura del poeta-vate ma anche
con l'apporto emulativo degli istrionismi futuristi allora assai in voga.
L'artista risultava difatti intrattenere rapporti con Marinetti, mentre un incontro col
famoso scrittore abruzzese, culminato in un burrascoso soggiorno al Vittoriale, aveva
dato vita tra '26 e '27 a un ambiguo gioco di schermaglie seduttive, impedendo alfine
a Tamara di ottenere un ambito rilancio pubblicitario con la prestigiosa commissione
del ritratto al "divino poeta", che a sua volta usciva evidentemente piccato dall'inutile
tentativo intrapreso per arricchire ulteriormente i "trofei" del suo museale serraglio
femminile.
I progetti realizzativi dell'artista polacca conoscevano frattanto nuova vitalità,
operando un passaggio stilistico che dai richiami al coevo gigantismo volumetrico di
Picasso e Léger, evidente nelle donne "esplosive" di Nu assis e Nu couché del 192223, approdava alla riscoperta classicista di Ingres, meditata poi attraverso dirette
frequentazioni col manierismo toscano.
In queste opere apparivano inoltre precisi riferimenti all'enfasi anatomica che
caratterizzava l'iconografia femminile di alcune sculture paleolitiche (e perciò
genericamente identificate come Veneri) rinvenute in Italia, Francia e Austria.
Scartando comunque l'ideale puro di bellezza naturalistica vagheggiato dal grande
artista francese, nella scultorea icasticità delle figurazioni "bloccate" e nell'alterazione
delle proporzioni compositive della pittrice trova riscontro la paventata deformazione
formale di Lhote, scompaginata disarmonicamente in una rappresentazione oggettiva
che declina il rifiuto di asservirsi alla prosaica "dittatura" della realtà fotografica,
predisponendo un tessuto frammentato dell'immagine stessa, come mostra
l'Arlecchino posto sul fondo ne l'Hommage à Watteau del '18: il mantenimento della
plasticità volumetrica nella donna in primo piano denota però l'ipoteca di una
traduzione decorativa di sapore intellettuale, atta a disattendere la geometrizzazione
della decostruzione cubista apportata all'iconografia oggettuale. Tali interessi
decorativi concordavano d'altronde con le sintesi ideologico-stilistiche dell'altra fonte
emulativa di De Lempicka, il pittore Denis, già appartenente all'esoterico gruppo
"gauguiniano" dei Nabis ("profeti" nella lingua ebraica) ed assertore del ritorno allo
spirito di un cattolicesimo "originario", precapitalistico o addirittura medievalizzante,
che l'aveva indotto a fiancheggiare l'integralismo socio-religioso paventato dall'Action
Française, il reazionario movimento monarchico-nazionalista di "rinascita dei valori"
(torbidamente implicato nell'affare Dreyfus) capitanato da Charles Maurras, di cui
facevano significativamente parte diversi esponenti nobiliari afferenti alle amicizie
dell'artista polacca.
All'interno di questa "virata" storicamente retrovisiva, mentre in Francia reclina le sue
ali la dissacrante e antiestetica rivolta dadaista e dalle sue ceneri si enuclea
l'esperienza introspettiva del surrealismo, in una combinazione divaricante che
necessita di polarizzare tensioni molto diverse, trovano ricezione gli afflati
neoclassicisti di Tamara. Essi si coniugano opportunamente con gli ideali di un'arte
esperita quale mezzo esteriore di comunicabilità e orientata da modalità astrattive
fredde e controllate, cerebralmente intesa a munirsi di un dispositivo realizzativo
semplice ma originale, specificamente fondato su una linea compositiva curva e
serpentinata, modellata attraverso contorni netti e marcati costruiti su basi cromatiche
decisamente ridotte (due o tre colori di massima, secondo l'affine insegnamento di
Lhote), e infine tesa al superamento di qualsiasi tensione guidata dal sentimento o
dall'innesto tumultuoso della passionalità.
Nascono da queste coordinate molteplici ritratti degli anni venti, come Femme à la
robe noir, in cui la deformata pesantezza della figura femminile appare "inscatolata"
entro gli stretti contorni di un'angusta cornice, analogamente a Portrait de Tadeusz
Lempicki e Portrait de Madame P., il cui soggetto (coincidente col precedente
Femme...) sembra da identificare presumibilmente con un'amica sentimentalmente
legata alla pittrice, mentre in Portrait du marquis D'Afflitto la costruzione formale
dell'iconografia rileva visibilmente la mediazione classicista del manierismo di
Pontormo e Bronzino, presente anche nella statica simmetria della doppia
rappresentazione di Irène et sa soeur e nel raffinato Portrait de la duchesse de la Salle,
esemplarmente proteso ad incarnare radici di un sé femminile evocato quale status
affermativo di una superiore appartenenza di ceto.
Un'importante occasione per De Lempicka si presenta a Milano nel 1925 con
l'incontro del conte Emanuele di Castelbarco, disponibile a organizzarle una mostra
alla Bottega di Poesia, spazio espositivo di respiro internazionale e aristocratico
cenacolo intellettuale da lui stesso animato nella città meneghina, che tra le sue
frequentazioni trasversali annoverava personaggi come D'Annunzio, Marinetti e
Alberto Martini.
Dall'intrattenimento di queste relazioni e dai numerosi viaggi di lavoro compiuti in
Italia prenderà avvio la notevole fortuna artistica di Tamara nella penisola, in cui
s'inscriverà anche "l'occasione perduta" del Vittoriale.
All'ambiente della galleria milanese di Castelbarco faceva inoltre riferimento il
gruppo artistico di Novecento, fondato nel 1922 dalla scrittrice Margherita Sarfatti
(molto vicina a Mussolini) insieme a pittori come Leonardo Dudreville, Achille Funi,
Ubaldo Oppi, e attivo fino alla metà degli anni trenta, che in concomitanza alla rivista
romana d'ispirazione metafisica "Valori plastici" condivideva con Tamara un'analoga
e non casuale ricerca sui modelli della monumentalità classica, rivisitati secondo le
linee espressive di un realismo naturalistico maggiormente armonizzato con la
dimensione della quotidianità, depurato dunque dalla solenne idealità evocata dalle
ineludibili suggestioni storiche del classicismo simbolista e preraffaellita di Pierre
Puvis de Chavannes.
In questa scansione cronologica si configura infine il contributo di Gino Severini, che
pur operando all'interno dell'avanguardia futurista s'interpone dal suo osservatorio
parigino nell'attiva mediazione tra Italia e Francia, in quella linea di istanze
sperimentative aperta alla contaminazione con cubismo, "esprit nouveau" e orfismo,
ma nel '21 determinata a sancire la necessità del ritorno alla tradizione classica. Non
costituirà dunque mera casualità la ripresa in De Lempicka di riferimenti tematici
attribuibili a schemi severiniani, oltreché a richiami novecentisti, come rivelerà la
scelta di Mère et enfant nel '28.
Nelle composizioni dell'artista polacca si denota attualmente un accentramento
tematico sul nudo femminile, isolato come scelta rappresentativa di
un'autoreferenziale fonte interlocutiva che mira ad esperire sue intime finalità
espressive, accentuando inoltre in immagini di erotica godibilità l'espansione
seduttiva di questi contenuti vitali.
In Le Rythme e Groupe de quatre nus, entrambi del '25, le figurazioni femminili
imprimono alla loro simultanea compresenza un esito narrativo egemonizzato dalla
scansione armonica delle forme curvilinee, progettata secondo procedimenti di
"incastro" dei corpi che stabiliscono il segno reale delle interrelazioni.
Effetti certo molto diversi dal posteriore Femmes au bain, col quale intrattengono
evidenti analogie iconografiche, in cui la formazione di donne, già piegata a maggiore
"armonizzazione" di linee formali per ulteriori esigenze stilistiche, appare accostata
seguendo criteri di casualità che non attivano livelli significativi di comunicazione,
ma un senso diffuso di straniato isolamento.
Nel Groupe de quatre nus inoltre, l'inscatolamento della composizione (procedimento
già adoperato in altre esecuzioni) e il suo affollamento figurativo provocano un
particolare schiacciamento prospettico che tende a proiettare verso l'esterno del limite
bidimensionale del quadro (quindi in direzione dello spettatore) la scena di donne ivi
rappresentata. Soprattutto Le Rythme acclara plateali riconoscimenti a Le Bain turc di
Ingres, sia desumendone taluni modelli iconografici che nella statuaria cerebralità
dell'esecuzione complessiva, rimandando oltretutto ad analoghe ricerche effettuate in
Italia nel '24 dal novecentista Oppi con Le amiche e dal contiguo Felice Casorati nel
Concerto, le cui linee di svolgimento sono raccolte da Tamara durante le
frequentazioni milanesi alla Bottega di Poesia.
Alla fecondità produttiva di questo periodo risalgono le nuove versioni di Nu assis e
Nu couché, che De Lempicka utilizza per applicare alla tecnica della deformazione
formale assorbita da Lhote la visione illusionistica e proto-barocca dello scorcio
"sottinsù" di Veronese, altresì richiamandosi agli enfatici allungamenti anatomici del
Parmigianino e alle torsioni dei corpi scarnificati di Pontormo. Ne risultano immagini
quasi compresse, con le teste "aspirate" verso il fondo della quinta scenica e dunque
ridotte a dimensioni minime rispetto a quelle preponderanti delle gambe, in
"fuoriuscita" dalla superficie rappresentativa secondo modalità più evidenti ma
analoghe agli effetti di Groupe de quatre nus.
Sul reclinare degli anni venti le ambizioni artistiche di Tamara cominciano ad ottenere
riconoscimenti pubblici, dapprima con positivi giudizi di critica su riviste parigine di
rilievo, quindi nel 1927 col primo premio all'Exposition International des Beaux Arts
di Bordeaux per il dipinto Kizette au balcon e nel 1929 con la medaglia di bronzo
all'Exposition International di Poznan per Kizette, communiande (quest'ultimo non
era comunque distribuito secondo criteri meritocratici, ma come onorificenza
nazionale per "esemplarità produttive" polacche).
Successo e ricchezza rappresentano un binomio di valori lungamente accarezzato
dall'artista, luoghi ideologici di un potere simbolico che non mira a discutere né
oltrepassare le gerarchie patriarcali, bensì mantenerne le premesse fondative. Perciò
l'esigenza di Tamara trasforma i ricordi di un passato precario in definitiva
acquisizione di uno status da rappresentare socialmente, esibendo col trasloco nella
villa esclusiva, appositamente costruita e arredata da professionisti à la page (vi
prenderà parte anche la sorella Adrianna, divenuta valente architetto), i lasciti di un
sogno finalmente inverato.
Poco prima vola negli Stati Uniti (in concomitanza con la caduta di Wall Street che
segnerà l'inizio della grande depressione), tempio dell'indotto desiderio di modernità
tecnologica avvertito quale ossessiva mitologia di progresso, oltreché condizione
indirimibile per l'aggiornamento tematico sulle nuove tendenze stabilite nell'ambito
della moda e in quello artistico: d'altronde, entrambi i settori mediante l'enorme
sviluppo della cartellonistica pubblicitaria paiono ormai fondersi insieme, scatenando
passaggi continui e livelli reciproci di emulazione.
Così, un quadro come Saint-Moritz, impostato come offerta di fruizione sciistica, in
tralice fra immagine di réclame vacanziera e tributo alla mondanità sportiva, si pone
quale indicazione di tendenza per un pubblico capace di condividerne la forza del
valore simbolico e di trarne opportuna visibilità di auto-rappresentazione.
Le tele di De Lempicka risentono subito delle suggestioni americane offerte dai
paesaggi metropolitani, popolandosi delle solide e inconfondibili presenze dei
grattacieli, come sarà facile osservare anche a distanza di tempo negli sfondi di talune
opere realizzate dopo il rientro a Parigi, quali Femme bleue à la guitare (pur nota
come La musicienne) e Romana de la Salle, fille du duc de la Salle, del '29, Portrait
de Madame Allan Bott (o Femme aux émeraudes) e Nu aux buildings, entrambi del
'30, inoltre in Portrait de Madame Boucard del '31 e Adam et Eve del '32.
Altre esecuzioni confondono significativamente i confini della ricerca espressiva con
modelli desumibili dalle riviste di moda, come asseriscono il famoso Autoritratto in
automobile e Jeunes filles, ambedue destinate non casualmente alle copertine di "Die
Dame" nel '29 (pur se realizzate in precedenza), ma anche una nuova versione di Les
amies. Ma accanto all'apoteosi della modernità si denota la contraddittorietà di un
parallelo processo di evoluzione del manierismo pontormiano che volge al recupero di
atteggiamenti formali neo-barocchi.
Se l'incontro con la modella-prostituta Rafaèla porta nuovi turbamenti amorosi nella
vita di Tamara, le tele in cui viene rappresentata segnano una cesura evidente
nell'itinerario stilistico dell'artista, infatti la "triade" di La belle Rafaèla, Rafaèla sur
fond vert (o Le Rêve) e Tunique rose costituisce riflesso iconografico che evidenzia
ancora la permanenza delle masse compatte costruite nella materia pittorica, la
plastica e "bloccata" volumetria delle note raffigurazioni scultoree, "pietrificate" nella
sagoma deformante delle linee di contorno purtuttavia conferendo maggiore
attendibilità alla coerenza formale.
Nel periodo 1927-28 si configura dunque un procedimento graduale ma irreversibile,
orientato in Les amies verso l'assottigliamento dei volumi e un'accuratezza inusitata
dei dettagli estetici, recuperando attraverso la linea serpentinata il linguaggio
manieristico degli sguardi incrociati e la costruzione di una sequenza narrativa.
L'intaglio marmoreo delle forme si scioglie, come dichiara Portrait d'Arlette Boucard,
in visibile architettura delle proporzioni e volge al ritrovamento di un'istanza
naturalistica, verificando inoltre un'assimilazione dell'espressione erotica all'interno di
fredde e astratte sintesi delle pulsioni sentimentali. L'ingombrante plasticità delle vesti
rinuncia al monolitismo dell'avvolgimento corporeo consonandosi già in Jeunes filles
al realistico movimento dei fluenti passaggi d'aria, fungendo inoltre da mezzo
disvelativo delle forme anatomiche sottostanti attraverso il gioco ambiguo delle
trasparenze sottili.
Applicazioni effettive di questo panneggiato manierismo sensuale si evidenziano tra
1930-32 in Jeune fille en vert, Portrait de Madame Allan Bott e Portrait de Madame
Boucard, mentre anche la compattezza stilistica delle precedenti capigliature si
stempera nella rigidità fluttuante dei "riccioli di carta" in Idylle (o Le départ) del '31 e
nelle diverse versioni di Jeune fille à la fenêtre, dipinti nel '33, quindi in Portrait de
Mademoiselle Poum e Dormeuse, del '34. Si apre un ciclo nuovo all'interno della
visione estetico-artistica di Tamara, in cui trovano ricezione, con la mediazione
dell'ormai consolidata fonte manierista, temi classici della pittura religiosa, trasposti e
talvolta segmentati entro iconografie ambigue e inquietanti, che da un lato indicano il
permanere di lontani retaggi e dall'altro segnano effettivi processi di sviluppo.
Un'ambivalenza sembra clamorosamente invadere l'universo femminile dell'artista
polacca sul reclinare degli anni venti, pertanto se il permanere della complicità saffica
conclama nell'allusività figurativa una privilegiata continuità del suo percorso
stilistico-iconografico, confermando la presenza di queste linee rappresentative fino a
realizzazioni come Myrto, Printemps, Le turban vert (o Le vert jade) e a un'ulteriore
versione di Les deux amies (o Les jeunes femmes), tutte appartenenti al biennio 192930, e alla più tardiva La ronde, a queste modalità si affianca una riscoperta della
tensione mistico-spiritualista che affonda radici nell'arte italiana tardo-manierista e
barocca, senza tuttavia tralasciare incursioni in ambito quattrocentesco.
La ricerca di un erotismo godibile e ostentato nella sua concreta materialità
edonistica, prodotto in evidente rappresentazione di quel gusto snob e aristocratico
destinato a irridere sarcasticamente (ma secondo chiuse finalità elitarie e scioviniste)
il moralismo della nuova civiltà borghese che sul fiorire del novecento sembra
facilitare l'inserimento delle masse nel circuito del protagonismo sociale, viene
assorbito e restituito nella versione sublimata dell'ascesi religiosa o nel recupero
"profano" della "sacralità" materna.
I progetti esecutivi degli anni trenta traducono difatti una lettura devoluta alla
"conversione" su questi valori straniati dal mondo artistico di Tamara, che pur
nell'esperire la florida monumentalità "ingresiana" di Andromède (nota anche come
L'Esclave) e Portrait de Nana Herrera testimoniano ancora nel '29 di un consapevole
interesse celebrativo del nudo femminile, paventano ricerche altresì orientate su altri
versanti e poi assurte a privilegiati criteri direttivi. Premesse incontrovertibili di tali
successive risoluzioni vanno individuate in La veuve del '25, che costruiscono
l'antecedente figurativo di una corporeità "negante", posizionata nei limiti istitutivi di
un ruolo silente, col capo velato e rigidamente assorto in preghiera, mentre in Mère et
enfant (parimenti diffuso come Maternité) e Kizette, communiante, entrambe del '28,
il manierismo rappresentativo di Tamara riscopre nella "pudicizia" della pittura
devozionale la vitalità sommessa del sentimento sacrificale. Consolidate soprattutto
dopo il divorzio con Lempicki e il legame col facoltosissimo barone Kuffner (poi
trasformato in matrimonio nel '33 e durato fino alla sua morte), le coordinate effusive
di queste pulsioni emotive, in cui permangono comunque rimarcati caratteri astrattivi,
s'incontrano comunque con antichi clamori trasgressivi, come dimostra il nudo
"marmoreo" di Portrait de Suzy Solidor, ma qui il coinvolgimento empatico e la
contiguità del soggetto paiono giustificare l'affrancamento dalla specificità delle scelte
estetiche ormai operante.
Il tema della maternità ritorna pertanto nella versione Mère et enfant del '32, con un
ammorbidimento della composizione che ben si attaglia alle virtù narrative della
scelta iconografica, e nel tardo Quattrocento del '37, in cui la fonte botticelliana viene
chiaramente enunciata quale rimando dell'ispirazione spiritualista. Nello stesso anno
Adam et Eve restituisce il tessuto dell'unica immagine di nudo maschile della pittrice
polacca, qui accanto a quello femminile, in una composizione ancorata agli schemi
geometrici del classicismo ingresiano, stavolta fruito secondo un'accezione desunta
dall'immobilità statuaria della metafisica dechirichiana, "imprigionata" nei contorni di
un'atmosfera sospesa tra evocazione dell'antico (la mela del peccato originale) e
citazione del moderno (i grattacieli).
Ma l'orizzonte ispiratore di De Lempicka si è spostato verso un altrove spiritualista
inteso a consacrare le fonti "eccessive" del barocco berniniano all'apoteosi sensuale
dei suoi rapimenti mistici, di cui la romana Estasi di Santa Teresa è destinata a
costituire prototipo indiscusso per realizzazioni come Jeune fille aux arums del '33 e
naturalmente in Sainte Thérese del '35-36. I modelli agiografici divengono, nel fluire
degli anni trenta, protagonisti dell'universo artistico di Tamara in opere come Fillette
priant, Vierge bleue, Madonne, ronde ed altre, quasi tutte indistinguibili tra loro in
quanto tradiscono le risultanze di un'impostazione oleografica inficiata da un
eccessivo "clamore enfatico" e attestata su forzosità declamatorie e pietistiche.
L'evidente declino della forza artistica conduce De Lempicka alla scelta di registri
soggettivi avulsi dal suo universo rappresentativo, come L'homme à la guitare del '35,
Vieillard e Le paysan del 1936-38, trattati quali esemplarità di un'appartenenza
sociale ideologicamente riprovata e perciò assunta iconograficamente attraverso la
facilità descrittiva del modulo veristico, ma la virtualità di tale intenzionalità si
esprime in quell'eccesso di levigata "pulizia" nella stesura della materia pittorica,
"ingessata" nella ricerca di un perfezionismo formale che rivela compiacimento
autoreferenziale per il risultato estetico e indifferenza per le "sorti" dell'umile
contenuto espressivo.
Nel '39, col nuovo titolo di baronessa Kuffner, Tamara abbandona l'Europa assieme al
marito per la definitiva destinazione americana, e ancora una volta il beau monde che
sceglie quale status rappresentativo della propria immagine si attaglia alla sua visione
"spettacolare" della scena sociale, difatti s'inserisce nel circuito delle star
hollywoodiane, invadendo così lo spazio simbolico del cinema in cui realtà e finzione
s'incontrano, confondendo il nuovo immaginario collettivo e trasfondendo l'una
nell'altra senza soluzione di continuità.
Le opere statunitensi degli anni quaranta e cinquanta, nonostante le numerose
occasioni espositive di New York, Los Angeles e San Francisco, che la "consacrano"
quale erede del cubismo di Lhote, confermano la sostanziale perdita di "centro"
nell'artista polacca, rimarcando in tele come Dama in blu, Il turbante arancione,
Ametista e Ragazza messicana la presenza di estenuati referenti quattrocenteschi (la
stessa De Lempicka aveva d'altronde dichiarato nel '35 d'ispirarsi alla pittura
veneziana di Vittore Carpaccio) e manieristi, e collocando i rimandi classicheggianti
sull'orizzonte sommerso della rievocazione nostalgica. E se nell'esecuzione di nature
morte quali Il macinino da caffè paiono enunciare la rigogliosità di attive definizioni
cromatiche, nelle più tardive Venezia sotto la pioggia e Calle sembrano recare la
stessa impressione sfocata che caratterizza il loro tessuto compositivo.
Ancora meno credibili appaiono i suoi tentativi di emulare (fuori tempo) i caratteri
della pittura surrealista attraverso le ascendenze di Salvador Dalì, perciò quadri come
Paesaggio surrealista o Mano surrealista occhieggiano sponde esteriormente imitative
di problematiche a lei estranee e inaccettate all'epoca in cui potevano contribuire ad
effettuare nuove collocazioni estetico-ideologiche, così come i decontestualizzati
esercizi di astrattismo informale compiuti negli anni sessanta tendono goffamente a
conformarsi alla statura concettuale delle sintesi performative della Pop Art.
Dopo la mostra romana del '57 e l'inutile tentativo di rilanciare la sua figura artistica a
Parigi nel '62 (nello stesso periodo diviene la vedova Kuffner), abbandona qualsiasi
progetto realizzativo ritirandosi a Houston presso la figlia Kizette, ma con
l'allestimento nel '72 di un'esposizione retrospettiva organizzata nella medesima
capitale francese, otterrà un revival col riconoscimento di originalità delle opere
appartenenti agli anni venti-trenta. Sarà però un "canto del cigno", difatti si trasferirà
in Messico nel '78 ove la morte la sorprenderà due anni dopo ancora intenta a
rifacimenti di sue vecchie opere, lasciando per estremo desiderio testamentario lo
spargimento delle sue ceneri sul vulcano Popocatepetl, affidando quindi al gesto
ineffabile di un ultimo soffio di vento la volontà di disperdere quella forza vitale che
per un'intera vita ha cercato strenuamente di trattenere presso di sé.
L'Art Déco
L'Art Déco deriva il suo nome dall'Esposizione Internazionale tenutasi a Parigi nel
1925, il cui nome formale era Exposition Internationale des Arts Décoratifs et
Industriels Modernes; essa presentava gli oggetti di lusso nella moda parigina, e
riassicurava il mondo che Parigi continuava a rimanere il centro internazionale per lo
stile anche dopo la prima guerra mondiale. L'Art Déco non era però nata con
l'Esposizione; era già uno degli stili principali in Europa dall'inizio degli anni '20,
anche se non ebbe successo negli Stati Uniti fino intorno al 1928, a partire dalla quale
data si tramutò rapidamente nello Streamline Moderne durante anni '30, la decade
associata maggiormente all'Art Déco americana. Parigi rimase il centro maggiore per
il design Art Déco, con la mobilia di Jacques Emile Ruhlmann, il miglior designer di
arredamento in stile Art Déco e forse l'ultimo ebanista parigino tradizionale, e di Jean
Jaques Rateau, con l'azienda di Süe et Mare, i pannelli di Eileen Gray, il ferro battuto
di Edgar Brandt, gli oggetti in metallo e le lacche di Jean Dunand, i lavori in vetro di
René Lalique e Maurice Marinot, con gli orologi e la gioielleria di Cartier. Anche se
il termine Art Déco venne coniato durante l'Esposizione del 1925, non ebbe un ampio
uso fino a che non fu rivalutato negli anni '60. I suoi fautori non formavano però una
comunità uniforme. È uno stile eclettico, influenzato da una molteplicità di fonti, tra
cui si possono citare:
• Le prime opere della Wiener Werkstätte, per il design industriale funzionale
• Le "arti primitive" come quella africana, egiziana o azteca
• La scultura e i vasi dell'Antica Grecia, del periodo arcaico, meno naturalistico
Gli scenari e i costumi di Léon Bakst per i Balletti Russi di Diaghilev
Le forme frazionarie, cristalline e sfaccettate del cubismo e del futurismo
Le gamme di colori del Fauvismo
Le forme severe del Neoclassicismo: Boullée, Schinkel
Tutto ciò che riguarda il jazz, o l'era Jazz
Motivi e forme di animali, il fogliame tropicale, le ziggurat, i cristalli, i motivi
solari e i getti d'acqua
• Forme femminili "moderne", agili e atletiche
• Tecnologia da "macchina del tempo" come la radio e i grattacieli.
Il municipio di Asheville, North Carolina 1926–1928 è un classico dello stile Art
Déco americano. Oltre a queste influenze, l'Art Déco è caratterizzata dall'uso di
materiali come l'alluminio, l'acciaio inox, lacca, legno intarsiato, pelle di squalo o di
zebra. L'uso massiccio di forme a zigzag o a scacchi, e curve vaste (diverse da quelle
sinuose dell'Art Nouveau) motivi a 'V' e a raggi solari. Alcuni di questi motivi erano
usati per opere molto diverse fra loro, come i motivi a forma di raggi solari: furono
utilizzati per delle scarpe da donna, griglie per termosifoni, l'auditorium del Radio
City Music Hall e la guglia del Chrysler Building. L'Art Déco fu uno stile opulento,
probabilmente in reazione all'austerità forzata dagli anni della prima guerra mondiale.
L'Art Déco fu uno stile molto popolare per gli interni dei cinema e dei transatlantici
come l'Ile de France e il Normandie. Un movimento parallelo che la seguiva da
vicino, lo "Streamline" o "Streamline Moderne" fu influenzato dalle tecniche
manifatturiere e di aerodinamicità che nacquero dalla scienza e dalla produzione di
massa di oggetti come i proiettili o le navi di linea, dove l'aerodinamicità era
coinvolta. Dopo che il design dell'Air-Flo Chrysler del 1933 ebbe successo, le forme
"streamlined" iniziarono ad essere usate anche per oggetti come frigoriferi o
temperini. In architettura, questo stile fu caratterizzato da angoli arrotondati,
soprattutto per edifici agli angoli delle strade. Alcuni storici considerano l'Art Déco
come una forma primitiva del Modernismo o del Movimento Moderno in architettura.
Di fatto, il Razionalismo Italiano utilizzò alcuni elementi di questa espressione
artistica frammisti a strutture razionali, soprattutto nelle città di fondazione in epoca
fascista in Italia e soprattutto nelle colonie (Dodecaneso, Libia, Eritrea, Etiopia) dove
riagganci alla tradizione locale ed un certo gusto dell'esotico ne furono il filo
conduttore. Come esempi più significativi potremmo citare diversi palazzi di Rodi,
che ne portano i segni più evidenti, mentre in città di nuova fondazione ma
essenzialmente razionaliste, come Portolago, nell'isola Greca di Leros, o Sabaudia in
Italia se ne leggono solo accenni in alcuni edifici. L'Art Déco aveva però lentamente
campo in Occidente dopo aver raggiunto la produzione di massa, nell'ambito della
quale iniziò a essere derisa perché si riteneva che fosse pacchiana e che presentasse
un'immagine falsa del lusso. Alla fine questo stile fu stroncato dall'austerità della
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seconda guerra mondiale. In Stati coloniali, come l'India, divenne il punto di partenza
del Modernismo e continuò ad essere usato fino agli anni '60. Vi fu un nuovo
interesse per l'Art Déco negli anni '80, grazie al design grafico di quel periodo, dove
la sua associazione ai film noir ed alla moda degli anni '30 portò al suo uso nella
pubblicità per la moda e la gioielleria.
Autoritratto
La pittura di Tamara de Lempicka riassume, riproponendoli con una certa platealità,
molti caratteri delle correnti contemporanee, la costruzione geometrica del volume di
matrice cubista, per la verità nella sua chiave di lettura più superficiale attraverso la
lezione di André Lhote, la mossa plasticità futurista (conobbe e frequentò Marinetti),
il decorativismo estetizzante dell'art decò, con spunti liberty collegabili alla
cartellonistica pubblicitaria, nuova forma d'arte di inizio secolo che punta sulla
gradevolezza della comunicazione e miscela elementi classici, romantici e surrealisti.
Pittrice di acclarate capacità tecniche, Tamara de Lempicka stende il colore in
pennellate estremamente accurate che mettono in risalto volumi netti e levigati, forme
corpose simili ad anomale decorazioni di vivace cromatismo e di indubbia eleganza,
monumentali figure allo specchio di decadente bellezza e maestosità classicheggiante
(traccia dell'insegnamento di Maurice Denis), seduttive nella loro leggiadria
stereotipata, assorte in pose plastiche studiatamente composte, in assoluta immobilità:
tema prediletto il ritratto, persone celebri, uomini, donne, nudi, presenze ambigue ed
inquietanti in sontuosi interni floreali.
Prima che artista, Tamara de Lempicka è un personaggio eccentrico ed anomalo che
pare uscito da un romanzo di Fitzgerald, dannunziana (conobbe il Vate in un suo
soggiorno italiano) negli eccessi e nelle contraddizioni di una vita spesa tra grandiose
messe in scena e teatrali mondanità.
Questo ,"Autoritratto" del 1928, olio su tavola di 35 x 26 cm, molto noto, eseguito in
origine per le pagine della rivista "Die Dame", è un'immagine-simbolo sia dell'artista,
sia del periodo storico a cui appartiene, è un autoritratto che propone un ideale
femminile bello ed altero, icona della donna moderna padrona del suo destino, al
volante di un'auto verde, una Bugatti, marchio di fabbrica simbolo del gusto estetico
di quei tempi, oggetto-culto della poetica futurista, simbolo-tipo della modernità, auto
che pare la de Lempicka non abbia mai avuto, ma che fa parte dei desideri di possesso
di tutta un'epoca, di un immaginario collettivo non solo degli anni '20-'30. Le linee del
disegno sono nette e precise, l'immagine è resa con estrema padronanza esecutiva e
tuttavia senza freddezza, il taglio scorciato crea la profondità spaziale dell'abitacolo
ed il senso del dinamismo, la donna ritratta, somigliante piuttosto vagamente
all'artista, avvolta in un mantello mosso dal vento, guarda nel vuoto con fredda fissità,
quasi annoiata: è una pittura marcata ed aggressiva, è l'ostentazione di una personalità
anticonformista, spregiudicata e trasgressiva come in realtà fu l'autrice, ribelle alle
norme borghesi, senza pregiudizi verso atteggiamenti saffici e comportamenti
androgini in un'ambiguità sessuale forse in parte esibita per consolidare il proprio
mito.
Certo è che le sue immagini raffinate ed eccessive sono il segno peculiare di un'epoca,
dello spirito di un tempo lussuoso e decadente, scintillante e squallido, pieno di
contraddizioni, come era lei stessa, artista per certi versi indecifrabile che ".......par
une apparente froideur, suggère des sentiments qui généralement logent à l'autre pole
et passe de l'expression de la volupté à celle da la chasteté".(Arséne Alexandre)
La belle Rafaela,
Young Lady with Gloves, 1930
Andromeda, c.1927-28