Segue TORNIAMO A PIANTARE MONUMENTI VERDI . DI SARA

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Segue TORNIAMO A PIANTARE MONUMENTI VERDI . DI SARA
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TORNIAMO A PIANTARE MONUMENTI VERDI . DI SARA GANDOLFI
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L’ippocastano di Anna Frank.
I pochi alberi che vengono ancora messi a dimora nelle città del mondo hanno una durata media di 8 anni,
senza grosse differenze ha Milano e New York. Otto anni, un soffio.
Tant’è che gli americani, pragmatici come sono, da tempo scelgono come arredo urbano soltanto individui
di specie che crescono velocemente, salici e pioppi, per poi sostituirli dopo pochi anni.
“C’è qualcosa che non va e non può essere soltanto l'inquinamento”, avvertono gli arboricoltori.
Basta guardare l’aspetto fragile dei filari che dovrebbero rallegrare le nostre piazze, con le radici strizzate
in buchi nel cemento o i rami amputati per non far ombra alle case.
Poco sole, tanto smog. E poi traffico, vibrazioni, rumore, potature estreme che tolgono vigore.
Nessuno dei nostri nuovi alberi urbani, probabilmente, arriverà alle venerande età dei Monumentali,
piante centenarie, imponenti, che hanno fatto la storia del nostro pianeta e anche delle nostre religioni,
più antichi dei Santi e di Cristo.
Come gli olivastri di Luras, provincia di Sassari, 3.5oo anni compiuti, che ancora oggi combattono con i
venti della Sardegna, accompagnando il genere umano silenziosi e pazienti.
Alla "cultura, filosofia e tecnica dei Veterani", nei giorni scorsi, Varese ha dedicato un convegno
internazionale che ha riunito nella "città giardino" esperti da tutto il mondo.
Il suo promotore, Daniele Zanzi (nella toto), è uno di quei rari uomini che pensano sia meglio deviare una
strada piuttosto che abbattere un albero.
Soprattutto se racconta una storia. Con questo spirito ha salvato l'ippocastano secolare che Anna Frank
guardava dalla sua finestra di prigionia ad Amsterdam, unico contatto visivo con il mondo esterno
occupato dai nazisti (“il nostro ippocastano quest'anno è coperto di foglie”, scriveva nel diario, maggio
1944). Un simbolo, uno fra i tanti che Zanzi è chiamato a salvare.
Ricordar sotto le chiome.
Monumento, dal latino 'monere", ricordare. Questo sono gli alberi, testimoni del nostro passato e, si spera,
anche del nostro futuro. E poi sopravvissuti a guerre, carestie, urbanizzazioni. Opere architettoniche
viventi che anche il Corpo forestale italiano da anni individua e cataloga. Ogni regione e provincia ormai
ha avviato il suo inventario, e quasi tutte si sono dotate di un regolamento per la tutela degli "alberi
notevoli". Ma ancora non esiste una definizione unica a livello nazionale, e ancor meno internazionale. In
Lombardia sono sei le caratteristiche che un albero deve avere per essere definito Monumentale:
dimensione, rarità botanica forma e portamento, valore paesaggistico, pregio in termini di architettura
vegetale e legame con eventi storici.
La pianta sacra dell'universo.
Migliaia d'anni di vita caratterizzano a volte questi esemplari, come i 4000 anni del mesopotamico
cipresso di Zoroastro, racconta Francesco Decembrini, per oltre vent'anni direttore delle Giardinerie
Comunali di Merano, in Alto Adige, dove ha combattuto e vinto molte battaglie in nome del verde urbano.
“In genere sono più antiche le aghifoglie rispetto alle latifoglie; di tanto in tanto nel mondo viene portata
un po'più in su l’asticella della vetustà: 4.000,
6000, 8000 anni adesso”.
Decembrini, che oltre a essere un paesaggista di fama internazionale è anche poeta e filoso, però, va oltre:
“Monumento significa ricordare, ed è questo aspetto che più mi interessa: la relazione dell’albero con noi
uomini”. Gli alberi sono da sempre testimoni muti della storia dell'umanità. Recentissima la ricerca del
Cnr, in coordinamento con l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige sugli ulivi dell’orto dei getsemani:
hanno circa 900 anni e sono fratelli tra di loro; risalgono quindi al tempo delle Crociate. “Ora sappiamo
tutto del loro Dna e stato di salute. Forse derivano da polloni su ceppaie ancor più antiche che ci fanno
sperare di avere, almeno come materiale genetico, gli ulivi che hanno visto le vicissitudini del Cristo”.
Gli alberi possono raccontarci molto di "chi siamo e da dove veniamo". Basta saperli ascoltare. Alcuni degli
alberi che ancora oggi popolano la nostra Terra esistevano già quando l'uomo iniziò a fondere il rame. E
ben prima che arrivassero le religioni monoteiste le piante erano oggetto di culto, sopra tutti l’albero
cosmico attorno al quale si organizzava l’universo, naturale e soprannaturale, fisico e metafisico.
Come il frassino Ygdrasill. Ne abbiamo una descrizione attorno al 1200 in Islanda, ma è evidente che
riflette mitologie nordiche precedenti. È il più grande e notevole degli alberi, i suoi rami si stendono al di
sopra di tutti i mondi e raggiungono il cielo. Ricorda l’albero della vita" immaginato nel film Avatar. “Sono
passati gli anni in cui si deviava una strada per salvare un albero ma mi piace pensare che tornino tempi in
cui si sappia sognare”, conclude Decembrini.
“All'inizio della mia carriera ho avuto un maestro che si chiamava Honek. A 80 anni piantava sequoie a
Merano che non avrebbe mai visto crescere. Aveva i monumenti nell'anima e li ha trasferiti alle future
generazioni. Se penso al futuro, sarebbe bello atterrare a Milano e vedere una Pianura Padana con qualche
albero e non soltanto una distesa di monocolore. Non ci sono difficolta oggettive nel fare questo: c’è
sempre posto per un albero se si vuole trovarlo. Invece, tutto è più importante: strade, costruzioni,
infrastrutture sopra e sotto il suolo. L’albero oggi è un eroe del nostro paesaggio e delle nostre città
perché per risparmiarlo si è rinunciato ad altro”.
Colosseo vegetale.
Non tutti gli alberi Millenari presenti sul suolo italiano sono stati catalogati nel censimento del Corpo
Forestale - “altrimenti non si spiega come mai Varese ne ha 150 e Mantova e Cremona
soltanto 3”, dice Zanzi - e non tutti godono di uguale protezione. L’Emilia Romagna si fa carico da vent'anni
delle spese di manutenzione anche se l’albero è in un giardino privato, in Lombardia no. Nel mondo va
anche peggio. Se il vecchio generale Sherman della California, una sequoia del peso di 5.000 tonnellate,
l’organismo vivente più massivo al mondo, è coccolato e accudito dai rangers del Sequoia National Park
manco fosse il Colosseo di Roma, nei Paesi in via di sviluppo i Monumentali sono soltanto ciò che si vede:
legna da ardere.
Con qualche magica eccezione. Per esempio, in Madagascar gli animisti recintano e venerano alcuni alberi,
considerati sacri, ai quali non possono avvicinarsi e che non possono neppure guardare.
Come la Torre Eiffel.
Contando gli anelli del tronco, oggi, analizzando il suo Dna, si riesce a stabilire l'età di un albero. Come
fanno vivere così a lungo, a volte con immense cavità all’interno dei loro tronchi, che spesso spingono gli
amministratori a chiederne l’abbattimento? In realtà anche la Tour Eiffel è cava eppure ha un ottima
stabilità, un trionfo dell’ingegneria moderna. Questa stabilità nell’albero, è garantita naturalmente dal
fatto che la pianta continua a crescere in ampiezza, un anello per volta, come se un cono si sovrapponesse
al precedente permettendo all'albero di
"guardare avanti' e scordarsi delle sue parti vecchie. “L'importante è che continui ad avere l'energia
necessaria dal Sole”, spiega Zanzi, svelando un altro "trucchetto" della natura: “Prendiamo il generale
Sherman: se dovesse alimentare tutta la sua massa per stare in piedi, crescere, fare i frutti, avrebbe
bisogno di una quantità di energia solare enorme, impensabile. Per sopravvivere, invece, fa come gli
antichi egizi e si imbalsama al suo interno. Una parte consistente del proprio corpo, all'interno
del tronco, è in uno stato di quiescenza; soltanto lo strato esterno resta attivo e richiede energia. È un
meccanismo che funziona per tutti gli albero.
Saggezza indigena.
L'Australia vanta molti alberi nativi millenari, e forse il più vecchio al mondo, una pianta che secondo
alcuni esperti ha compiuto oltre 10.000 anni d'età. Nella regione di Victoria e sull'isola di Tasmania, poi,
s'innalzano gli alberi fioriti più alti del mondo, gli Eucalyptus regnans. Cosa li minaccia in natura?
Praticamente nulla, sostiene Nicholas Rivett, tra i maggiori esperti arboricoltori del Paese oceanico: “Un
albero può morire soltanto per fame, cioè quando gli viene
a mancare l'energia prodotta attraverso la fotosintesi clorofilliana. Ma questo avviene solo in condizioni
climatiche estreme. La peggior minaccia per gli alberi, ma anche per gli esseri umani è, invece, la Nature
Deficit Syndrome (sindrome da deficit di natura): la maggior parte della popolazione occidentale o urbana
ha perso la consapevolezza di appartenere a un'"Three Dimensional Webwork of Life", una rete vitale tridimensionale. Allo stato di natura, ormai,
sopravvivono poche piante sul nostro pianeta, l’intrusione umana le ha quasi tutte trasformate in "piante
domestiche" di cui bisogna prendersi cura affinché possano sopravvivere in un ambiente antropizzato.
Come succede al nostro micio o cane di casa”.
Gli anni delle piante.
Foreste squarciate da strade, ferrovie, linee elettriche, recinzioni. Non è sempre andata così.
Sicuramente non in Australia. “I nativi australiani sono uno dei più antichi e civilizzati popoli
del mondo, con una storia di 50.000 anni alle spalle.
Il segreto della loro longevità è l’aver compreso che sono loro ad appartenere alla Terra non viceversa”,
racconta Rivett. Una regola che vale anche per gli alberi, monumenti alla vita che ci sovrastano per età ed
esperienza, veri e propri scrigni di diversità genetica.
”Dobbiamo imparare a contare la loro vita come facciamo per i cani: sappiamo che un anno di vita del cane
equivale a 7 anni di vita dell'uomo.
Bene, per gli alberi bisogna aumentare il rapporto: 100 anni della vita umana equivalgono a 1000 anni di
vita di un albero.
Solo quando sapremo fare i relativi conti, capiremo fino in fondo qual è la vera storia
di un albero”. Interessante anche l'esperienza dei Paesi scandinavi, in gran parte coperti da foreste
selvagge. “In Norvegia gli alberi veterani più antichi sono querce, alcune millenarie
ma anche olmi e tigli di 500-800 anni, spiega Glen Read, figura carismatica dell'arboricoltura europea
fondatore dell’European Arboricultural Council. Il pericolo, anche nel freddo e grande Nord, viene più
facilmente dall'uomo che non dalla natura: “Sono alberi sopravvissuti nei secoli a drastici cambiamenti
climatici e atmosferici. Molti sono nascosti nel paesaggio, in aree dove c’è poca o nessuna esperienza di
arboricoltura e questo è forse la peggior minaccia: una cura sbagliata può anche ucciderli. Ma anche
laddove la civilizzazione e l'urbanizzazione premono, gli alberi soffrono”. Una nuova cultura dell'albero è
necessaria e dovuta, concorda Read. “Sono sicuramente auspicabili progetti e finanziamenti europei
destinati alla protezione e alla cura dei Monumentali ma il loro futuro sarà garantito soltanto se le
comunità locali arriveranno a comprendere la loro importanza e il loro valore”
Sara Gandolfi