L`America della porta accanto

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L`America della porta accanto
14 novembre 2014 delle ore 05:10
L’America della porta accanto
Alla Fondazione Roma vanno in scena immagini, sentimenti e storie made in Usa. Il grande sogno
americano raccontato dallo sguardo sghembo di Norman Rockwell
L'11 novembre è arrivato nelle sale di Palazzo
Sciarra l'avvincente "film” di Norman
Rockwell. Girato in un bianco e nero molto
sporco interrotto da una sequenza di 300
illustrazioni a colori più accesi, sempre firmata
USA. Non si tratta di un regista vero e proprio
né dell'ultima uscita di Hollywood, ma quello
che Rockwell fa in bilico tra cinema,
giornalismo e illustrazione, è catturare con la
sua personale "cinepresa” la scena politica
americana degli anni tra Lincoln e Kennedy.
Insieme alla fotografia delle lotte razziali e
politiche non dimentica però anche l' America
dei fumetti, bonaria e piaciona di Santa Klaus.
In mostra a Roma, le opere si presentano come
flash-back temporali, dal primo decennio del
XX secolo al boom economico dei favolosi
Sixities, con il lancio della Ford, le
decappottabili e il primo piede sulla luna.
Intrappolati in fotogrammi filmici, sono i volti
sorridenti di bambini ed eroi comuni, chat e
gossip in formato comics, indiani, pirati,
minatori (Mine America's coal) e soldati. In
breve, è tutta la middle class, i workers e le facce
da copertina che hanno fatto l'America - "Senza
rifletterci troppo, quello che facevo era
mostrare a chi forse non li conosceva certi
aspetti dell'America che avevo sotto gli occhi",
commenta Rockwell - che va in scena alla
Fondazione Roma Museo fino all'8 febbraio.
La vasta retrospettiva, "American Chronicles:
The art of Norman Rockwell”, (l'ultima in Italia
risale al 1990) esplora però anche l'altra faccia
dell'America, quella dell'apartheid, del grido di
libertà e dei paradossi di una terra che madre di
ogni self made man accoglie nella sua galleria
di razze, colori, religioni, lingue, tutto il mondo
contemporaneo di allora, e di oggi. E si va, dalle
prime produzioni No Swimming, del 1921
all'Albero genealogico del 59, dall'ultimo post
dedicato a JFK appena scomparso, all'opera
conclusiva Murder in Mississipi (1965)
narrando tra tocchi di leggerezza e colpi d'arma
da fuoco, la storia del sogno (infranto)
americano. Grazie al Norman Rockwell
Museum, in collaborazione con la Soprintendenza
SPSAE e Polo Museale della Città di Roma e
la Fondazione NY, i disegni, celebri in tutto il
mondo, del Saturday Evening Post (con cui
Norman inizia a pubblicare a soli 22 anni) sono
esposti a cura di Danilo Eccher e Stephanie
Plunkett, suddivisi in sei sezioni insieme a una
serie di dipinti dell'artista, motivo dell'eccezionalità
della mostra.
E infatti, accanto al mondo patinato delle
illustrazioni, piatte e apparentemente senza
spessore dei post Boy Making Football Tackle,
the Flirts o Ragazza alla guida di una
decappottabile, istantanea lucida della vita
americana, ci sono i dipinti a olio. Il ritratto di
Abraham Lincoln ne è un esempio, o la
simpatica Girl With String, prototipo, forse, di
quella che sarà una desperate housewife da
pubblicità nel suo vestitino a quadri bianco e
verde con tanto di fiocco. L'inquadratura di
Rockwell finisce però anche su alcuni fermoimmagine da film western come per la
locandina del cow-boy Slim Pickens. E non è
un caso. Nel 1965 con la moglie Molly va a
Hollywood a far posare alcuni attori del cast di
Stagecoach. Il ritratto di Bing Crosby, attore e
cantante famoso, ritorna al contrario nei ricordi
delle atmosfere natalizie.
Fonte d'ispirazione dunque sono non solo i
racconti che il padre gli legge nelle sere
d'infanzia: A Christmas Carol, le peripezie di
Oliver Twist, e gli altri romanzi di Dickens, che
esploderanno in un'immaginazione prolifica e
gioiosa ma tutto quello che passa sotto la lente
del giovane Norman. La mostra, infatti, si
presenta come un documentario a volte leggero,
altre inquietante, di una terra che in parte non è
cambiata, raccontata allora da bollettini di
guerra, oggi da altre guerre di conquista,
confusion mass, trash tv, azioni politically
correct e uncorrect. Sogni e drammi che la storia
d'America attraversa da sempre. Fino ad
arrivare alla tragedia dell'11 settembre e sperare
dopo con Obama di vedere finalmente alla Casa
Bianca un'opera di Rockwell:The Problem We
All Live With. Una ragazzina nera è scortata in
strada per il suo primo giorno di scuola. Tra
muri imbrattati di parolacce e pomodori, e la
sigla KKK (Ku Klux Kan associazione razzista
di stampo terroristico di bianchi contro neri).
Peccato manchi solo l'opera The Connoisseur!
Sarebbe servita da volano al prossimo
appuntamento con l'arte in America, per la regia
di Jackson Pollock.
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