A difendere le donne son rimasti (solo) i gatti

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A difendere le donne son rimasti (solo) i gatti
Mercoledì, 15 Marzo 2017
Il commento
A difendere le donne son
rimasti (solo) i gatti
Passato l’otto marzo, la cronaca di venerdì
mattina ci ha regalato una prova
dell’immediata ripresa delle ostilità, con
un’altra vicenda di violenze, anzi di omicidio
volontario. Essere donna sembra esser
diventato una sorta di malattia sociale, al pari
dell’adolescenza e della gravidanza. Essere
donna, inoltre, sembra perdurare come
antitesi ai concetti di lavoro/occupazione
fuori di casa (perché in casa il lavoro per una
donna è ineludibile, dato per scontato). Essere
donna significa avere mille e mille costrizioni
sociali e comportamentali
Autore: Marika Borrelli
Data di pubblicazione: Sabato, 11 Marzo 2017
L’interesse verso la questione femminile, in Italia e nel mondo, non deve accendersi l’Ottomarzo e spegnersi nella
serata dello stesso giorno, magari con una pizza/cena-con-annesso-spettacolo tra amiche, come attualmente è
becera consuetudine. Lo so, forse non dovrei neanche farla questa precisazione, ma è che per tutti purtroppo vale
ancora, vale sempre il concetto candidamente espresso nel celebre libro del Maestro Marcello D’Orta:
“Io penzo (e credo) che la donna deve essere uguale a l’uomo, perché non è giusto che non è uguale.
L’otto Marzo la donna deve essere uguale, all’uomo!”
(È uno dei suoi alunni a scrivere esattamente così.)
Come ogni anno, i locali espongono menù ad hoc per la ricorrenza, sia per gruppi femminili che per festeggiamenti
di coppia, qualche carrier telefonico regala giga di dati (come a San Valentino, però). Si propongono offerte
personalizzate, tipo quella che una gentile signorina mi ha consegnato per il Corso mercoledì pomeriggio:
attaccato ad un ramettino di mimosa c’era un buono per ‘cera intera+ascelle+baff+sopracciglia a soli 15€’ presso
un istituto estetico della Città. (Mi sono anche chiesta dispiaciuta se il mio aspetto esteriore deponesse—a mia
insaputa—per una crescita indiscriminata di peli, tanto da meritarmi l’offerta promozionale.)
Fantastico, direi. A parte l’errore lessical-semantico per cui non si può promettere “+baff(i)” e “+sopracciglia” ad
una donna—infatti sono operazioni di sottrazione, non di addizione, esteticamente parlando—devo confessare
che l’omaggio floreale (a latere del coupon) è stato l’unico da me ricevuto in quella data.
Da una parte ne sono stata contenta, perché le mimose hanno il loro diritto a vivere sui rami, non regalati a
profusione, né legati a sconti commerciali, dall’altra mi sono chiesta se la penuria di infiorescenze gialle (e di
omaggi da parte di amici/colleghi/famigliari) sia dovuta al maxi sequestro operato il giorno prima dalle forze
dell’ordine locali, come si è potuto leggere in cronaca.
Comunque sia, la cronaca di venerdì mattina ci ha regalato l’immediata ripresa delle ostilità, con un’altra vicenda
di violenze, anzi di omicidio volontario. A Gambellara (VI) un uomo alla guida della sua utilitaria si è lanciato a folle
corsa contro un TIR per uccidersi assieme alla moglie da cui stava separandosi. La donna, accortasi dell’intento, ha
pure chiamato disperata i Carabinieri, cui ha urlato “Mi ammazza!”. Ma è stato inutile.
Insomma, pur di ‘punire’ la donna che gli ha minato l’autostima, un uomo si suicida uccidendola nel contempo, il
ché è situazione frequente. Uomini italici kamikaze dell’amore fallito, kamikaze per orgoglio incrinato. Mi chiedo
alla fine chi sia il sesso davvero debole.
Se non cambia la cultura e l’antropologia, le donne saranno sempre le principali vittime (ed anche un po’
vittimiste, lo confesso), che siano sfregiate dall’acido in Pakistan (ma anche in Italia, come la storia di Lucia
Annibali insegna) o vittime di stupri nei campus universitari statunitensi.
Così, mercoledì sera per provare a cambiare timidamente senso ai destini, un gruppetto di volenterose (me
compresa) si è riunito alla bottega Equomondo per narrare ed ascoltare storie di donne, dal mondo, dall’Italia e
dall’Irpinia. Storie di chi ce l’ha fatta, di chi chiede aiuto, di chi ancora combatte.
Storie di imprenditoria, di autorealizzazione nel sociale, di lotta nel privato, di gestioni famigliari complesse, in cui
le donne sono schiacciate tra cura della prole e cure di genitori e/o disabili in famiglia, se non acrobate del triplo
ingaggio: lavoro-figli-genitori, con variante martirizzante (grazie alla legge Fornero) lavoro-nipoti-figli disoccupatigenitori anziani disabili.
Coordinate da Giulia D’Argenio, abbiamo parlato di quanto siano vaste e varie le discriminazioni, dalla bracciante
agricola alla braccio destro di Hillary Clinton, dalla dipendente pubblica (che a parità di contratto e livello
comunque guadagna meno del suo analogo maschio) all’insegnante stritolata da famiglia, scuola e genitori degli
studenti, dalla migrante richiedente asilo fino alle donne simbolo adottate da Amnesty International
nell’appello di quest’anno (che vi chiediamo di sottoscrivere).
Abbiamo ascoltato come sia terribilmente complicato emergere anche nel campo del giornalismo e dell’editoria
(testimonianza di Donatella De Bartolomeis), così come resistere, anzi ‘resiliere’ (da resilienza) in famiglie segnate
da violenze domestiche (lettera di S. ragazza irpina).
C’è chi s’inventa e chi è costretta a reinventarsi, in un mondo che considera la pluritonale personalità femminile
alla stregua di un disturbo mentale (ci provò già Freud con le diagnosi di isteria e fu già una conquista rispetto alle
antiche accuse di stregoneria) da curare o quanto meno da regolare/tenere a bada, infatti sono le donne i maggiori
assuntori dei farmaci SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina).
Insomma, essere donna è diventato una sorta malattia sociale, al pari dell’adolescenza e della gravidanza. Essere
donna, inoltre, sembra perdurare come antitesi fattuale ai concetti di lavoro/occupazione fuori di casa (perché in
casa il lavoro per una donna è ineludibile, dato per scontato). Essere donna significa avere mille e mille costrizioni
sociali e comportamentali.
Leggevo di un divertente elenco di atteggiamenti che le donne adottano in un mondo aggressivo nei loro
confronti, lista piena di prescrizioni stra-vere, tipo avvisare gli amici prima di uscire, o far finta di parlare a telefono
per scoraggiare eventuali aggressori, mettersi una fede per evitare avances, e cose così. Lista invero lunga, ma
sintomatica di un mondo ostile, pericoloso, per colpa di una cultura che non cambia.
Finisce che gli unici difensori delle donne diventino gli animali domestici, come ho letto in una notizia su «La
Stampa», corredata del video in cui un marito, il quale faceva finta di picchiare la moglie, veniva aggredito dal
gatto di casa, corso a difenderla.
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