il sistema monetario internazionale: caratteristiche e

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il sistema monetario internazionale: caratteristiche e
UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE
FACOLTÀ DI ECONOMIA “GIORGIO FUÀ”
Corso di Laurea Specialistica in finanza, banche, assicurazioni.
IL SISTEMA MONETARIO
INTERNAZIONALE:
CARATTERISTICHE E CRITICITA’
Relatore:
Tesi di Laurea di:
Prof. Michele Fratianni
Federico Giri
Correlatore:
Prof. Riccardo Lucchetti
Anno Accademico 2008/2009
3
INDICE
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
1.5.1
1.5.2
1.6
INTRODUZIONE
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6
CAPITOLO I
LA TEORIA DELLE VALUTE DOMINANTI
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8
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8
Le valute dominati: cenni storici.........................................................................
Caratteristiche del paese che emette valuta di riserva internazionale....................
Le funzioni di una valuta internazionale...............................................................
I vantaggi e gli svantaggi di emettere valuta internazionale...................................
Le valute dominati ed i relativi strumenti di analisi empirica.................................
L'analisi della Granger causalità.........................................................................
La cointegrazione.............................................................................................
La letteratura empirica sulla Granger causalità e sulla cointegrazione nell'ambito
della teoria delle valute dominanti......................................................................
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CAPITOLO II
IL DOMINIO E L'ASCESA DELLA GRAN BRETAGNA: DAL GOLD
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STANDARD AGLI ACCORDI DI BRETTON WOODS
Introduzione alle vicende del XIX secolo...........................................................
Storia e funzionamento dei sistemi monetari dal 1813 al 1913............................
L'esperienza britannica del gold standard...........................................................
Il gold standard come sistema decentrato: l'analisi di Tullio e Wolters.................
La Granger causalità tra i tassi di sconto privati di Gran Bretagna, Francia e
Germania tra il 1876 ed il 1913.........................................................................
Conclusioni dell'analisi di Granger causalità........................................................
Il sistema monetario tra i due conflitti mondiali: il gold exchange standard.........
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
2.6
2.7
CAPITOLO III
IL SISTEMA MONETARIO DI BRETTON WOODS
3.1
3.2
3.3
3.4
3.4.1
3.4.2
3.4.3
3.4.4
La nascita del sistema di Bretton Woods...........................................................
Il funzionamento di Bretton Woods tra il 1946 ed il 1958...................................
Il periodo di piena convertibilità tra il 1959 ed il 1967........................................
I problemi dell'aggiustamento, della liquidità e della fiducia.................................
La Gran Bretagna.............................................................................................
la Germania......................................................................................................
L'asimmetria dell'aggiustamento degli Stati Uniti...................................................
I problemi della liquidità e della fiducia..............................................................
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107
3.5
3.6
3.7
3.7.1
3.7.2
3.7.3
3.7.4
3.8
I primi segnali della crisi....................................................................................
Il collasso del sistema di Bretton Woods...........................................................
La dominanza del dollaro: Un'analisi empirica di cointegrazione (1960-1971).....
La cointegrazione dei tassi nominali decennali....................................................
La cointegrazione dei tassi reali con inflazione attesa futura................................
L'analisi di Granger causalità in un VAR cointegrato...........................................
Conclusioni dell'analisi econometrica di cointegrazione.......................................
Conclusioni.....................................................................................................
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133
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136
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146
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151
CONCLUSIONI
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157
BIBLIOGRAFIA
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167
APPENDICE
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165
CAPITOLO IV
DALLA FINE DI BRETTON WOODS AL “PACIFIC DOLLAR
STANDARD”
4.1
4.2
4.2.1
4.2.2
4.2.3
4.2.4
4.2.5
4.3
4.3.1
4.3.2
4.4
Il sistema monetario dopo la fine degli accordi di Bretton Woods.......................
Il sistema monetario odierno: il “Pacific Dollar Standard”.....................................
Gli Stati Uniti....................................................................................................
La Cina............................................................................................................
L'Europa..........................................................................................................
Il resto del mondo............................................................................................
Il funzionamento del Pacific dollar standard.......................................................
I rischi insiti nel Pacific dollar standard...............................................................
Il nuovo “benign neglect”..................................................................................
La posizione dei pessimisti................................................................................
Dal piano Keynes al new international clearing union.........................................
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INTRODUZIONE
Il problema del debito estero americano e del destino del dollaro come valuta di
riserva internazionale è oramai sotto gli occhi di tutti e nessuno può più ignorarlo.
In un articolo redatto nel Marzo del 2009, il governatore della People's Bank of
China, Zhou Xiaochuan1, ha apertamente ammesso che la Cina è favorevole alla
creazione di una moneta sovranazionale con la quale regolare gli scambi
internazionali. Le parole del governatore, il quale rappresenta il maggior
finanziatore degli Stati Uniti ed il maggior acquirente di dollari del globo, sono
suonate alle orecchie dei mercati internazionali come un campanello di allarme
per la tenuta del dollaro e per il suo futuro come valuta di riferimento del sistema.
Nel corso della storia una moneta ha sempre prevalso sulle altre come valuta di
riferimento del sistema monetario. A partire dalla fine della seconda guerra
mondiale questo ruolo è stato delegato al dollaro americano, prima de iure con gli
gli accordi di Bretton Woods i quali prevedevano che il dollaro fosse l'unica
valuta convertibile con l'oro, poi de facto con la leadership del dollaro che non è
stata scalfita dalla fine del sistema di Bretton Woods, dalle crisi petrolifere degli
anni '70 e '80 e da una serie di crisi finanziarie più o meno intense. Il marco
tedesco e lo yen giapponese, i più seri contendenti allo scettro del dollaro, in
verità, per una serie di ragioni economiche e politiche, non hanno mai avuto la
1 L' articolo è uscito il 24 Marzo 2009 sul sito on-line della People's Bank of China.
http://www.pbc.gov.cn/english/detail.asp?col=6500&id=178.
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concreta possibilità di spodestare il dollaro dal suo ruolo di ancora del sistema
monetario internazionale.
All'alba del XXI secolo lo scenario è però mutato. Alcune scelte delle varie
amministrazioni americane hanno indebolito la posizione statunitense nei
confronti del resto del mondo rendendo il paese un debitore netto nei confronti del
mondo mentre nel 1999 ha fatto capolino sullo scenario planetario l'euro, la
moneta di cui si sono dotati i paesi europei in sostituzione delle vecchie divise
nazionali, il quale oggi è il più serio rivale del dollaro per la leadership valutaria
internazionale. Lo scopo di questa tesi è quello di analizzare i vari sistemi
monetari che si sono succeduti nel corso della storia, capire i loro punti di forza e
di debolezza ed eventuali punti di contatto con quello odierno, le valute dominati
di ogni epoca. Cercheremo poi di analizzare più a fondo il sistema monetario
odierno, il Pacific dollar standard, cogliendone le caratteristiche salienti ed i
rischi in esso presenti. Infine presenteremo alcune proposte per riformare il
sistema monetario internazionale.
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CAPITOLO I
LA TEORIA DELLE VALUTE DOMINANTI
I.1) Le valute dominanti: cenni storici
Come ricordato poc'anzi, non tutte le monete riescono ad ergersi al ruolo di valuta
internazionale. Questo perché le economie che esse rappresentano non sempre
mostrano alcune peculiarità che risultano poi fondamentali affinché altri paesi
decidano di regolare le proprie transazioni in quella determinata valuta.
Nel corso del tempo di valute usate sovra nazionalmente se ne sono susseguite
di innumerevoli e la storia ha spesso mostrato (Fratianni 2008) come vi sia stata la
tendenza per una sola di esse a dominare tutte le altre. Il sesterzio romano era la
moneta più diffusa per regolare i commerci internazionali ai tempi dell'impero
romano. Il solidus bizantino divenne la moneta dominante tra il V ed il VII secolo
d.c quando l'impero romano d'oriente si erse come unica potenza sopravvissuta nel
bacino del mediterraneo. Questa egemonia fu usurpata dall'impero arabo e dalla
sua moneta , il dinar, che tra il VIII secolo ed il XII secolo fu la valuta di scambio
internazionale. Dal XIII secolo in poi toccò alle monete italiane assumere il
suddetto ruolo. La diffusione del genoino genovese, del fiorino fiorentino e del
ducato veneziano, andava di pari passo con i movimenti dei mercanti di queste tre
nazioni che commerciavano dall'oceano Atlantico fino all'estremo oriente. Queste
tre valute circolarono e vennero usate come valute internazionale praticamente
8
contemporaneamente (Cipolla 1951). Questa affermazione sembra dunque in
contraddizione con quella che un valuta tende ad escludere le altre. Possiamo
ipotizzare che la grandezza di queste tra economie in una qualche maniera si
equivalesse. Nessuno dei tre paesi era in grado di dominare economicamente gli
altri due. Inoltre è verosimile che la potenza militare di ognuno di essi non fosse
in grado di soverchiare quella degli altri due messi insieme. Possiamo prendere in
prestito un'espressione matematica per dire che il sistema si trovava perfettamente
in equilibrio. Inoltre al di fuori della penisola italica, le grandi monarchie
nazionali, Spagna, Francia e Gran Bretagna, erano ancora ai loro albori e non
potevano ancora esercitare il ruolo dominante dei secoli a venire. Nel XXIV
secolo e sino al termine della prima guerra mondiale la valuta di riferimento fu
rappresentata dalla sterlina britannica e sostituita poi alla fine del secondo
conflitto bellico dal dollaro americano. Non ci dilungheremo troppo perché i
capitoli a seguire tratteranno ampiamente i due fenomeni storici citati.
I.2) Caratteristiche del paese che emette valuta di riserva internazionale.
La letteratura empirica ha spesso provato ad identificare le caratteristiche di
un'economia che permettono ad una valuta di essere usata internazionalmente
( vedi per esempio Chinn e Frankel 2008 e Eichengreen e Matieson 2001).
Un primo fattore chiave riguarda la dimensione dell'economia in questione.
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Solo le grandi potenze economiche possono sperare che la propria moneta venga
usata negli scambi internazionali: in un'economia di grandi dimensioni gli
investitori internazionali possono più facilmente trovare un' ampia gamma di
attività finanziare su cui riversare i propri risparmi. In questo senso appare
evidente come gli Stati Uniti siano stati la nazione più grande in termini di
ricchezza prodotta come nel XIX secolo questo ruolo fosse assunto dalla Gran
Bretagna.
Dopo la seconda guerra mondiale il divario con le altre nazioni è stato così
netto che nessuna economia, ne quella tedesca ne quella giapponese, ha mai avuto
la concreta possibilità di sopravanzare gli Stati Uniti in termini di PIL ed il dollaro
come valuta internazionale.
Oggi la situazione è decisamente cambiata. L'Europa, soprattutto se si arriverà
all'ingresso di Danimarca, Svezia e soprattutto della Gran Bretagna (Chinn e
Frankel 2005) nell'area euro, ha in numeri in termini di prodotto interno lordo per
poter competere ad armi pari con gli Stati Uniti. Molti ritengono comunque che
gli Stati Uniti mantengano ancora un certo vantaggio in quanto i mercati del
lavoro, dei capitali e dei fattori produttivi sono più flessibili e meno regolati in
America rispetto a quello che avviene in Europa (Posen 2008). Questi fattori
permettono una più rapida ricollocazione delle risorse verso i settori con maggiori
prospettive di guadagno in grado quindi di produrre una crescita futura più elevata
10
( vedi tra gli altri , Caballero (2004); Papaioannu (2008). Sebbene l'euro abbia
apportato significativi cambiamenti e benefici sia sul versante della mobilità del
mercato dei fattori produttivi (Alesina, Ardagna e Galasso 2008) sia su quella del
mercato finanziario (Hartmann 2007), l' Europa rimane ancora indietro agli Stati
Uniti in questo campo. In prospettiva futura, diciamo nei prossimi 50 anni, anche
la Cina ha la possibilità di sfidare gli altri due colossi in termini di ricchezza
prodotta. C'è chi addirittura ipotizza che entro il 2050 l'economia cinese
sopravanzerà quella americana in termini di PIL prodotto.
Un altro fattore che determina l'importanza internazionale di una valuta è la
struttura degli scambi con l'estero. Un esempio può essere chiarificatore: lo yen
giapponese, il quale rappresenta la seconda economia del mondo, non è una valuta
usata di frequente nei regolamenti internazionali. Analizzando la struttura delle
sue esportazioni e importazioni si evince come la maggior parte delle esportazioni
giapponesi vadano verso gli Stati Uniti, e dunque con regolamenti in dollari, e
verso l'Europa, con pagamenti in euro o in dollari, mentre le sue importazioni, che
consistono quasi esclusivamente in commodities, energetiche e non, sono
anch'esse prezzate in dollari. Questa struttura fa si che ben pochi scambi siano
effettuati nella valuta giapponese.
Un altro elemento cruciale è quello dello sviluppo del sistema finanziario
domestico come conditio sine qua non affinché una valuta possa essere accettata
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internazionalmente. Il sistema finanziario del paese che emette valuta di riserva
deve essere efficiente e sufficientemente liquido in modo da permettere al
detentore dell'attività in valuta un rapido disimpegno delle proprie attività che
possa comportare un costo di transazione il più basso possibile. Anche in questo
caso il predominio degli Usa in questo campo appare netto sebbene ci siano stati
segnali positivi in questo senso: l'evidenza empirica conferma che l'entrata in
vigore dell'euro ha innalzato la liquidità e l'efficienza dei mercati continentali. Lo
spread tra le quotazioni bid (ovvero le proposte di acquisto degli operatori
finanziarie sui mercati) e quelle ask (le proposte di vendita) delle obbligazioni e
azioni quotate in euro è diminuito sensibilmente assestandosi ai livelli di quelli
americani (Papaioannu e Portes 2008). A questo punto di forza il mercato a
statunitense ha sempre aggiunto una notevole appetibilità per quanto riguarda la
varietà e l'abbondanza di prodotti finanziari a disposizione. Dalle attività più
semplici ai derivati strutturati, Wall Street è sempre stata un passo in avanti
rispetto alle altre borse del globo, con l'eccezion fatta forse della piazza londinese.
Ecco perché uno dei fattori decisivi che potrebbe far pendere l'ago della bilancia
in prospettiva futura nei confronti dell'euro è se e quando la Gran Bretagna
deciderà di entrare nell'euro portandosi in dote il mercato finanziario londinese. A
quel punto il peso dell'economia europea e il grado di sviluppo del suo mercato
finanziario potrebbero veramente intaccare l'egemonia americana. Per il momento
12
però il vantaggio americano risulta ancora piuttosto pronunciato in tal senso ed è
sicuramente uno degli elementi su cui un paese come la Cina dovrà fare dei
notevoli progressi per potersi portare a livello degli altri due visto che il suo
sistema finanziario appare ancora arretrato, non efficiente e poco trasparente.
Un paese che ha ambizioni di emette valuta internazionale deve anche farsi
carico di mantenere un valore il più possibile stabile nei confronti delle altre
divise. In particolare due sono gli elementi critici da tenere sotto controllo: uno
riguarda il livello di inflazione, il quale deve essere tenuto ad un livello basso ed il
più stabile possibile, l'altro concerne il grado di indebitamento del paese, sia nei
riguardi del debito pubblico sia nei confronti dell'estero. Nel primo caso si capisce
come una valuta inflazionata non sia ben accetta da operatori stranieri in quanto
c'è il rischio che il loro potere d'acquisto possa essere eroso dal costante aumento
dei prezzi.
Nel caso di un debito, sia interno che esterno, crescente gli operatori
potrebbero cominciare ad avere dei dubbi sulla capacità del paese in questione di
onorare i propri debiti e quindi ad interrogarsi sull'opportunità meno di dirottare i
propri investimenti in una valuta che diano maggiore garanzia di solvibilità per il
futuro. In questo senso possiamo vedere un piccolo vantaggio per l'Europa nei
confronti degli Stati Uniti. Il vecchio continente risulta avere dei conti, sia interni
che con l'estero, decisamente migliori. In questo senso il patto di stabilità e
13
crescita rappresenta una garanzia contro eccessivi squilibri nei conti pubblici cosa
su cui non può contare l'economia statunitense.
Anche dal punto di vista della lotta all'inflazione l' Europa può mettere sul
piatto della bilancia una istituzione come la Banca Centrale Europea la quale, a
differenza della Federal Reserve che deve dare pari importanza ad altri obbiettivi
macroeconomici, come assicurare un elevato tasso di crescita interna, spesso in
contrasto con la lotta all'inflazione , è stata dotata di uno statuto che prevede come
primo ed unico obbiettivo il raggiungimento di un tasso d' inflazione per l'area
euro pari al 2% su base annua. Il fatto di avere una banca centrale credibile e che
in caso di crisi eserciti anche il ruolo di prestatore di ultima istanza è sicuramente
un fattore determinante nella scelta della valuta di riserva.
In retrospettiva storica, il mancato sorpasso del dollaro sulla sterlina all'inizio
del '900 può essere attribuito alla mancanza negli Usa di un istituto centrale che
garantisse le suddette funzioni2. Infatti, se l'economa americana aveva superato
quella britannica, lo stesso non si poteva dire del sistema finanziario, in cui
spiccava la presenza di una banca centrale che garantiva il corretto funzionamento
e preveniva eventuali crisi dei mercati finanziari.
Tornando al presente ci possiamo rendere conto dell'importanza di suddetta
2 La Federal Reserve, ultima in ordine di tempo tra le grandi banche centrali, fu istituita dal
presidente Wilson solamente nel 1913 con il Federal reserve act dopo una serie di crisi che
avevano minato la fiducia nel sistema del free banking.
14
istituzione pensando a quali danni ancora maggiori poteva compiere la crisi che si
è abbattuta sui mercati internazionali se non vi fossero state le ingenti immissioni
di liquidità delle banche centrali di tutto il mondo ed in particolar modo della
Federal Reserve. Anche nei momenti in cui la crisi sembrava irreversibile gli
operatori non hanno mai perso la fiducia nel dollaro come valuta di riserva tant'è
che tra settembre e dicembre del 2008 il dollaro è tornato sotto quota 1,30 nei
confronti dell'euro segno che nei momenti di crisi la valuta americana è ancora
percepita come il principale safe heaven.
Non bisogna trascurare il fatto che i mercati tendono in un certo qual modo ad
essere “abitudinari” adattandosi lentamente alle novità. Un certo filone rilevante
della letteratura economica (Rey 2001, Zhou (1997), Matsuyama, Kiyotaki e
Matsui (1993) cerca di spiegare che il dominio attuale del dollaro è da ricercarsi
principalmente nelle sue “network externatilities” ovvero nell'incremento di
efficienza che hanno i mercati, in termine di diminuzione di costi di transazione,
quando si adotta una singola moneta per regolare gli scambi internazionali.
Secondo questi economisti, il fatto che il dollaro sia ancora così usato può
dipendere dal fatto che è stato così negli ultimi 60 anni e che la transizione verso
un'altra valuta, se eventualmente ci sarà, sarà per forza di cose lenta. Posen (2008)
commenta che l'elevata significatività della variabile ritardata di un periodo delle
riserve detenute in valuta nelle regressioni proposte da Chinn e Frankel (2005,
15
pagina 51-2 tabelle 4,5,6) sta proprio a testimoniare l'elevata importanza della
variabile “network externatilities”. In questo senso il solito richiamo alla Gran
Bretagna (Eichengreen 2005) può essere illuminate. Sono occorsi diversi anni,
quelli a cavallo tra le due guerre, affinché al sorpasso economico si affiancasse
quello monetario. E una volta finita la guerra la sterlina ha mantenuto una certa
importanza seppur ridimensionata (vedi tabella 15 ed i capitoli II e III al
riguardo).
Infine non va trascurata la capacità del paese emittente di valuta internazionale
di difendere il proprio status anche con l'uso della forza. Non è un caso che le due
valute internazionali per eccellenza degli ultimi due secoli, la sterlina ed il dollaro,
siano state supportate dagli eserciti più grandi, potenti e temuti del mondo. Le
attività dei paesi militarmente avanzati possono dunque offrire una ulteriore
garanzia a supporto del valore della propria valuta. Uno dei maggiori sostenitori
della teoria che la valuta dominante del sistema venga scelta per ragioni
geopolitiche piuttosto che di natura prettamente economica è Adam Posen (2008).
Dall'articolo in questione emerge come, sebbene per molti paesi sarebbe più
consono mantenere un peg con l'euro o addirittura con lo yen o il renmimbi, in
virtù del fatto che gli scambi con l'estero sono principalmente indirizzati verso
quei paesi con conseguente sincronizzazione degli shock, la maggior parte di essi
sono riluttanti ad abbandonare un cambio fisso con il dollaro e a smettere di
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sostenere il deficit con l'estero americano.
Posen sottolinea come alla base della scelta della valuta di riserva vi siano
principalmente delle ragioni geo-strategiche e di sicurezza nazionale dei vari paesi
coinvolti. La Germania Ovest ed il Giappone sono gli esempi storici più eclatanti.
Entrambi i paesi, sconfitti nella seconda guerra mondiale, per lungo tempo, ed in
verità anche al giorno d'oggi, hanno dovuto ospitare all'interno dei propri confini
un significativo numero di truppe americane delegando di fatto ad essi la difesa
del proprio territorio. Non è un caso infatti che sia la Germania quanto il
Giappone non abbiano mai pensato seriamente di diversificare le proprie riserve in
valuta e tentato di sostituire il dollaro o addirittura di tentare di dare al marco e
allo yen un respiro internazionale. La Germania Ovest era ovviamente la prima
linea di contenimento dell' Unione Sovietica e, nonostante che il sistema di
Bretton Woods fosse già crollato da alcuni anni, nessuna significativa cessione di
dollari avvenne prima del 1979 (Posen 2008). Sicuramente è ancora meno un
caso, che un decisivo passo verso la nascita dell'euro avvenne solamente nel 1993
con gli accordi di Maastricht quando ormai la minaccia sovietica era scomparsa
dalla scena mondiale.
Per il Giappone invece la questione è ancora pienamente aperta. Essendo un
paese smilitarizzato e delegando pressoché in toto la sua difesa agli Stati Uniti
esso ha di fatto negli anni scambiato la propria politica militare, principalmente
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indirizzata al contenimento dell'espansionismo cinese nell'area, con una politica di
cambio fisso dollaro-yen in grado di fornire un congruo finanziamento al deficit
estero americano. Questa politica non è mai stata di fatto abbandonata neanche
con la fine della convertibilità del dollaro in oro nonostante che il Giappone fosse
probabilmente il paese più esposto alle perdite legate alla svalutazione del dollaro
americano (Posen 2008 pagina 89).
Alla luce di questi esempi non sembra una coincidenza che la Francia fosse il
paese più critico nei confronti dell'egemonia del dollaro. Nel 1966 De Gaulle
chiuse tutte le basi americane presenti sul proprio territorio, circa ventinove, e
decise di uscire dal comando integrato dalla NATO per alcuni contrasti con la
politica estera statunitense. La sicurezza francese non era mai dipesa in maniera
così preponderante dalla presenza americana permettendo alla Francia margini di
manovra che la Germania all'epoca non poteva certo permettersi.
Sembra dunque evidente da questi esempi storici come le ragioni geopolitiche
abbiano avuto nel corso degli anni una importanza fondamentale nell'ergere il
dollaro quale valuta dominate. La maggior parte dei paesi che ospitano truppe
americane sul proprio suolo (Posen 2008, tabella 1, pagina 93) sono quelli che
hanno scelto, de iure o de facto, una cambio fisso con il dollaro ed un
finanziamento del debito estero americano. Dal Giappone alla Corea del Sud
passando per l'Arabia Saudita, i maggiori finanziatori degli Stati Uniti (vedi
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tabella IV.2.2) sono quelli che più dipendono da essi per la proprio difesa
nazionale.
Proprio nella sua incapacità di proiettarsi al di fuori dei propri confini, Posen
vede il punto debole dell'euro e la sua futura impossibilità di soppiantare il dollaro
quale valuta di riserva internazionale. Al di là della propria area di influenza
naturale, che possiamo identificare con i Balcani e alcuni paesi che si affacciano
sul Mediterraneo, l'Europa e l'euro non possiedono una vera e propria sfera di
influenza. Le uniche ragioni che portano alcuni a ipotizzare un sorpasso dell'euro
sul biglietto verde sono da attribuirsi ad eventuali e catastrofici fallimenti delle
politiche di bilancio americane, non certo ad una intraprendenza delle politiche
europee in tal senso.
Visto in questa ottica si può meglio comprendere come l'ascesa della Cina sia
vista con sospetto e con preoccupazione dalle autorità americane. La Cina non è
legata agli Stati Uniti da alcun vincolo militare e anzi essa può essere percepita
essenzialmente come un paese rivale, sia economicamente che politicamente.
Come abbiamo visto, sino ad oggi i maggiori finanziatori americani sono stati dei
paesi che in un certo qual modo si appoggiano tutti agli Stati Uniti per la propria
difesa. Nella fattispecie della Cina abbiamo però il caso di un paese che è libero
da questo tipo di ragionamenti e può prendere le proprie decisioni in merito
solamente guardando a cosa è meglio per lei solamente dal punto di vista
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economico,politico e strategico. Uno scenario inedito e senza precedenti sullo
scacchiere mondiale.
I.3)Le funzioni di una valuta internazionale
La letteratura economica ha individuato una serie di funzioni che sono tipiche
della moneta di riserva internazionale (Fratianni 2008).
Essa viene utilizzata da esportatori ed importatori come valuta nella quale
eseguire transazioni e come unità di conto per la fatturazione dei propri bilanci,
viene usata come come mezzo di pagamento (essa non è la valuta né
dell'esportatore né dell'importatore) nei mercati internazionali. Inoltre, essa viene
anche detenuta come attività di riserva di valore sia dalle autorità monetarie che
dagli operatori privati che desiderano detenere attività sicure e prive di rischio.
Infine essa è anche la valuta con la quale le banche centrali intervengono sul
mercato dei cambi nel momento in cui esse decidono di adottare un cambio fisso.
Linda Golberg e Cédric Tille (2006, tavola 1 e 2 ) mostrano come il dollaro sia
a tutt'oggi la valuta più comunemente usata per la fatturazione al di fuori del
continente europeo dove, prevedibilmente, l'euro ha assunto questa funzione.
Dai rapporti pubblicati dalla Bank for International Settlements (BIS) nel 2007
(vedi tabella I.3.1) si può notare come la moneta più usata per le transazioni sul
Forex sia ancora il dollaro che viene utilizzato per un 43% (in aumento rispetto al
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periodo precedente) sul totale delle transazioni seguito ad una considerevole
distanza dall'euro con un 19% (al contrario in leggera flessione rispetto al 2004).
Tabella I.3.1: Tasso di turnover delle varie valute, Aprile 2007.
Valuta
Dollaro
Euro
Yen
Sterlina
Franco svizzero
Dollaro australiano
altre
totale
2001
76,16
48,06
19,89
15,47
7,22
5,16
28,04
200
2004
85,2
40
17,56
17,88
6,19
4,73
28,44
200
2007
86,35
36,98
16,54
14,95
6,78
4,21
34,19
200
Fonte: BIS (2007) tabella D.5 pagina 50.
Note: il totale ammonta al 200% in quanto ogni moneta viene considerata due volte. Ad esempio il dollaro
vine contabilizzato sia nel cambio dollaro/euro sia in quello euro/dollaro.
Tale risultato non è certo da disprezzare considerando che ad oggi l'euro conta una
quota maggiore sul mercato delle valute di cui ha preso il posto.
Sempre dal rapporto della BIS (2007) emerge come il più grande passo in
avanti dell'euro sia stato fatto nei mercati privati. Ad oggi le emissioni di bonds in
euro hanno superato quelle in dollari.
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Tabella I.3.2: Valuta di emissione obbligazioni (sia corporate che non),
miliardi di dollari.
Valuta
Dollaro
Euro
Yen
Sterlina
Franco svizzero
Dollaro australiano
01/12/08
8225
10875
748
1703
332
195
01/06/09
8994
11799
687
2115
349
227
01/09/09
9164
12492
726
2133
363
248
Fonte: annuario statistico BIS (2007)
Anche per quanto concerne le riserve detenute il dollaro rimane saldamente la
valuta di riferimento, con il 40% del totale delle riserve delle banche centrali
accumulate nella divisa statunitense (IMF 2008, tabelle 14 e 15 in appendice)
mentre l'euro che si attesta ad un 16% di riserve sul totale, in discesa rispetto al
25% del 2004 (Fratianni 2008). La cosa importate da sottolineare è che la somma
di marco tedesco, franco francese e fiorino olandese nel 1973 rappresentava
appena il 6,7% delle riserve totali (Fratianni 2008). L'euro è dunque una valuta
che oggi è più usata rispetto alle monete di cui ha preso il posto.
Si può tranquillamente affermare che, almeno stando alle nude cifre, l'euro sta
assumendo un ruolo sempre più importante tra le valute internazionali anche se
sembra che la sua ascesa sia finita e che le sue quote rispetto alle altre valute
sembrano essersi stabilizzate. Certo è che il dollaro rimane ancora molto distante e
nessun cambio di leadership probabilmente avverrà nel breve termine.
22
I.4) Vantaggi e gli svantaggi di emettere valuta internazionale.
Sembra dunque evidente che disporre di una valuta accettata internazionalmente
possa serbare alcuni vantaggi per i paesi emittenti (Chinn e Frankel 2005). Innanzi
tutto, poter concludere transazioni nella propria valuta permette di ridurre i costi
di transazione ed il rischio di cambio legati alla necessità di convertire la propria
valuta in una straniera trasferendoli alla controparte estera. Emerge dunque uno
dei vantaggi chiave di emettere valuta internazionale ovvero quello di poter
denominare le proprie passività sull'estero nella propria valuta.
Un altro vantaggio consiste nel poter applicare tassi d'interesse inferiori per le
proprie passività rispetto a quelli che possono fare gli altri paesi. Il fatto che le
attività siano considerate come una sicura riserva di valore fa si che gli operatori
siano disposti a rinunciare ad una parte della remunerazione, o meglio del premio
per il rischio, pur di disporre dei vantaggi e delle caratteristiche qualitative
intrinseche poc'anzi elencate della valuta di riserva, sicurezza, stabilità e liquidità.
Questo fatto viene comunemente definito “signoraggio” e viene ricondotto di fatto
all' “esorbitante privilegio”3 (Rogoff 19984, Papaioannu 2008) di potersi indebitare
ad un tasso inferiore di quello che si ottiene sulle proprie attività sull'estero.
3 L' espressione “esorbitante privilegio” viene spesso erroneamente attribuita al presidente
francese Charles de Gaulle mentre la paternità è da attribuirsi a Valery Giscard d'Estaing allora
ministro del tesoro e degli affari economici dell'allora governo di De Gaulle.
4 In particolare Rogoff nel suo lavoro quantifica l' “esorbitante privilegio” dal signoraggio
internazionale da parte degli Stati Uniti per una cifra che si aggira intorno allo 0,1%/0,2% del
prodotto interno lordo americano.
23
Al tempo stesso l'emissione di valuta di riserva internazionale presenta anche
alcuni punti di svantaggio come ad esempio quello di dover per forza di cose
accettare una variabilità più pronunciata nella domanda della propria valuta
rendendo più arduo per la banca centrale il compito di controllare gli stock
monetari nel caso in cui quest'ultima decida di intervenire sul mercato dei cambi.
Inoltre il paese si deve fare anche carico del fardello di operare non solo per il
perseguimento dei propri obbiettivi macroeconomici interni ma anche di agire in
modo tale da mantenere gli equilibri dei mercati mondiali. Un caso eclatante si è
avuto durante le varie crisi che si sono succedute a fine degli anni 90 (Messico
'95, Sud est asiatico '97, Russia '98, Brasile '98 e Argentina 2000). In questo caso
la Federal Reserve dovette abbassare i tassi d'interesse in maniera più aggressiva
rispetto a quello che avrebbe desiderato per aiutare le economie in crisi a potersi
finanziare sui mercati di capitali internazionali a costi più contenuti senza
svalutazioni eccessive delle loro valute (Chinn e Frankel 2005).
Come abbiamo visto il privilegio di emettere valuta internazionale è
saldamente in mano negli Stati Uniti e verosimilmente questo status non sarà
intaccato nei prossimi anni. La situazione attuale non è comunque uno status quo
immutabile e così come è avvenuto in passato il dollaro potrebbe cedere lo scettro
ad un' altra valuta. Alcune scelte delle ultime amministrazioni americane di non
curarsi del crescente disavanzo di partite correnti e del proprio debito con l'estero,
24
seguendo il reaganiano “i deficit non contano”5, potrebbero in qualche modo
favorire una ricollocazione degli assets verso altre valute. Ma come si capisce se
una moneta è il fulcro del sistema rispetto alla posizione subalterna delle altre
valute? La letteratura economica che prenderemo in considerazione si è avvalsa di
diversi strumenti statistico-econometrici per cercare di catturare empiricamente il
“dominio” di una valuta rispetto alle altre anche se molto spesso si sono rivelati
più utili l'utilizzo di strumenti più semplici e diretti come appunto l'analisi del
turnover valutario sul FOREX oppure l'andamento nel tempo delle riserve
detenute
dalle
banche
centrali.
Nella
prossima
sezione
descriveremo
minuziosamente alcuni delle procedure più utilizzate nell'economia applicata.
I.5) La teoria delle monete dominati e i relativi strumenti di analisi empirica.
In questa sezione cercheremo di vedere come può essere affrontato da un punto di
vista econometrico il problema di quale sia la valuta dominante del sistema. La
variabile quasi sempre presa come oggetto di studio è quella dei tassi d'interesse
di alcune attività, principalmente i titoli di stato. Si andrà poi a verificare se i tassi
domestici influenzano in una qualche misura i corrispettivi esteri ed in quale
misura essi ne siano influenzati. Prerogativa della valuta dominante sarà quella di
5 La frase è stata pronunciata dal vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney nei riguardi dell '
ex segretario del tesoro Paul O' Neill che aveva mostrato perplessità per la politica fiscale
troppo espansiva dell' aministrazione. Fonte: www.corriere.it 9 febbraio 2004.
25
influenzare fortemente i tassi delle altre valute ed al tempo stesso ricevere una
quantità limitata di feedback.
Lo strumento maggiormente utilizzato è quello della Granger causalità mentre
l'utilizzo della cointegrazione è stato per lo più utilizzato per verificare la
convergenza dei tassi d'interesse verso un valore comune. Nel nostro caso però
utilizzeremo la cointegrazione per testare la dominanza valutaria.
I.5.1) L'analisi della Granger-causalità.
L'analisi della causalità secondo Granger è legata strettamente alla capacità di una
certa variabile di predire l'andamento di un'altra. Il punto di partenza di tale analisi
è una rappresentazione di tipo vettoriale autoregressivo meglio conosciuta in
ambito econometrico come VAR(p) dove p rappresenta il numero di ritardi delle
variabili endogene da inserire nel sistema.
Il primo passo per poter costruire un modello di tipo VAR è però quello di
assicurarsi della stazionarietà delle serie storiche in questione eseguendo un test di
radice unitaria del tipo ADF (agumented Dickey-Fuller, dal nome dei due
ideatori). Una serie storica presenta una radice unitaria quando una delle soluzioni
del polinomio ritardo è pari all'unità. Nel caso di una rappresentazione
autoregressiva di ordine uno (AR(1)) del tipo
y t= y t −1e t
(1)
avremo una radice unitaria quando il coefficiente
26
 sarà uguale ad uno. La
presenza di una radice unitaria nel polinomio ritardo comporta che la serie storica
presenta alcune caratteristiche, dalla non esistenza dei momenti, alla mancanza di
mean reverting, che ne rendono difficile, se non impossibile, l'analisi a meno di
non ricorrere ad alcune trasformazioni, come la differenziazione della serie, o
l'utilizzo di tecniche come la cointegrazione di cui tratteremo ampiamente in
seguito.
Un test di radice unitaria serve appunto per individuare la presenza di un
coefficiente nel polinomio ritardo pari ad uno. Sottraendo da entrambi i membri
dell'equazione precedente y t −1  si otterrà l'espressione
 y t=−1 y t −1e t
(2)
dove −1= .
Il test di radice unitaria approntato da Dickey e da Fuller prevede un'ipotesi nulla
H 0 di radice unitaria per
=0 e un'ipotesi alternativa di stazionarietà
0 .
Il test di DF si presenta come un test ad una sola coda con una distribuzione di
probabilità che sotto l'ipotesi nulla si distribuisce in maniera non standard, ovvero
non riconducibile ad alcuna distribuzione nota come ad esempio quella della
normale o della t di student, con la maggior parte della distribuzione concentrata
su valori inferiori allo zero. Fortunatamente i due autori hanno presentato le tavole
27
dei vari punti critici con i diversi livelli di significatività del test in questione. La
versione augumented (ADF) tiene conto anche della persistenza di breve periodo
presente nella serie storica. In questo caso il test si presenterà come
 y t=t −1   y t −1 ... y t −net
Il numeri di ritardi di
residuo
(3)
 y t da inserire sarà determinato in modo tale che il
e t possa essere considerato a tutti gli effetti un white noise, ovvero un
processo stocastico senza persistenza.
Un altro elemento di cui tenere conto quando si specifica un test di tipo ADF è
quello se inserire o meno una componente deterministica. Questa scelta non è
senza conseguenze in quanto a seconda che si ipotizzi una serie storica stazionaria
intorno allo zero , stazionaria intorno ad una componente deterministica oppure un
stazionaria intorno ad un trend deterministico, i punti critici della distribuzione del
test muteranno a loro volta.
Un' altra questione da dirimere è quella di quanti ritardi p delle variabili
endogene inserire nella rappresentazione VAR in modo tale da tenere
adeguatamente conto della struttura di persistenza della serie. Solitamente il
metodo a cui si ricorre è quello di basarsi sui criteri d'informazione. I tre principali
criteri utilizzati sono il “criterio d'informazione di Akaike (AIC)” dell'omonimo
autore, il “criterio d'informazione Bayesiana (BIC)” di Schwarz, e il criterio di
informazione di Hannan e Quinn (HQC). Tutti e tre i criteri sono costruiti in modo
28
tale da essere negativamente correlati con il logaritmo della funzione di massima
verosimiglianza e positivamente con il numero di parametri inseriti nel modello.
La scelta del modello ricade su quella che presenta valori dei criteri
d'informazione più bassi. Specificamente i tre criteri sono così costruiti:

AIC =−2log  2k
(4)

BIC =−2log k
log n

HQC =−2log  2k
log log n
(5)
(6)
Solitamente il criterio AIC tende a scegliere modelli con un ampio numero di
parametri, mentre i modelli BIC e HQC scelgono modelli più parsimoniosi con
una dinamica più contenuta
A questo punto siamo in grado di costruire una rappresentazione VAR(p) con
due variabili endogene la quale si presenterà dunque nella forma
[ ]
p
[
][ ] [ ]
y 1,t 
a
a
y
u
=CD∑  11,i  12, i 1, t−i  1, t
y 2, t
a 22, i y  2,t−i 
u 2,t
i=1 a 21,i
dove
y 1, t  e
y 2, t  sono le due variabili endogene, CD rappresenta la parte
deterministica del modello, la matrice A rappresenta i coefficienti legati ai ritardi
delle variabili endogene,
u1, t  e
u1, t  sono i due termini di disturbo
indipendenti, identicamente distribuiti come una variabile casuale normale a
29
media 0 e varianza 1.
L'analisi di Granger causalità altro non è che un test F di azzeramento
congiunto dei parametri associati alla variabile di cui si vuole testare l'effettiva
capacità di predire i movimenti delle altre. Si dice che la variabile
Granger causa la variabile
y 1,t  non
y 2,t  quando i coefficienti a 21,i =0 .
Ovviamente nel caso in cui i coefficienti sulla diagonale maggiore sono zero
avremo che nessuna delle due variabili influenzerà si influenzerà a vicenda.
Il secondo test che si può approntare è quello di causalità istantanea tra le due
variabili. L'ipotesi nulla di questo test è data
H 0 : E [u1, t u 2,t  ]=0
(7)
Valori elevati del test, il quale si distribuisce come una variabile causale
2 ,
inducono a rifiutare l' ipotesi nulla ed accettare che le due variabili siano
istantaneamente correlate.
L' analisi di Granger causalità viene spesso impiegata in ambito
macroeconomico e nel caso che più ci interessa per verificare i rapporti di forza
tra le varie valute. Evidentemente, se uno, o più di uno, tassi d'interesse del paese
A, determinati dalla domanda e dall'offerta di moneta di quel mercato, sono in
grado di influenzare i tassi di un paese estero B senza a loro volta esserne
influenzati ci troveremo di fronte ad una valuta che domina ed ad una dominata.
30
In termini econometrici, i tassi del paese A Granger causano quelli del paese B.
Ritornando alla rappresentazione VAR un fenomeno di Granger causalità si
manifesterà con il rifiuto dell'ipotesi nulla dei coefficienti legati alla variabile di
cui si vuole testare l'effettiva capacità di predire l'altra
Il limite della Granger causalità è che essa può essere implementata solamente
quando le serie in questione sono stazionarie, caso più unico che raro quando si
trattano serie storiche di carattere macroeconomico come possono essere appunto
i tassi d'interesse di varia natura e scadenza. Quando , e la cosa accade di molto di
frequente, si ha a che fare con serie storiche non stazionarie si deve ricorrere ad
una modalità di analisi differente, chiamata appunto cointegrazione.
1.4.2) La cointegrazione.
Come abbiamo detto poc'anzi le serie storiche stazionarie in macroeconomia sono
sono molto rare e capita soventemente di imbattersi in serie che sono a tutti gli
effetti dei random walk. In caso di serie storiche non stazionarie, l'approccio
classico al problema prevede di differenziare la serie un numero di volte
sufficiente affinché la relativa trasformazione possa considerarsi stazionaria.
Consideriamo ad esempio il processo autoregressivo di ordine uno (AR(1)) con
coefficiente =1 . Avremo dunque un'espressione del tipo
y t= y t−1et , (8)
la quale contiene inequivocabilmente una radice unitaria. Sottraendo ad entrambi i
31
membri
y t −1  otterremo una formulazione del tipo
y t− y t−1= y t −1− y t −1e t
(9)
da cui logicamente segue
 y t=et
il quale chiaramente è un white noise e dunque un processo stocastico stazionario.
Tornando in ambito economico, se ad esempio disponiamo della serie dei
prezzi al consumo, la quale verosimilmente non sarà stazionaria, la
differenziazione ci permetterà di ottenere il tasso d'inflazione. Intuitivamente si
capisce come il tasso d'inflazione possa essere considerato come stazionario
intorno ad una certa componente deterministica. Questa procedura però non è
certo indolore. La perdita di informazione che si paga passando da una serie ai
livelli ad una alle differenze non è certo di poco conto. Attualmente ha però preso
piede un approccio alternativo alla trasformazione in differenze quando si
studiano serie storiche di carattere macroeconomico che è appunto quello della
cointegrazione. Come abbiamo detto in precedenza le serie storiche possono
contenere al loro in interno una radice unitaria ed essere così integrate di ordine
uno6 (ovvero , stazionarie dopo una differenziazione).
6 Le serie storiche possono contenere al loro interno più di una radice unitaria ed essere dunque
integrate di un ordine superiore ad uno. Alla stessa maniera l' ordine di integrazione può essere
compreso tra 0 e 1 ed essere dunque frazionale. Essendo una casistica molto rara quando si
opera con serie storiche economiche e con campioni finiti da ora in poi ogni volta che si parlerà
di cointegrazione sottintenderemo che l'ordine di integrazione sia 1.
32
Normalmente la combinazione lineare di due serie storiche I(0) è a sua volta
una serie stazionaria come altrettanto usuale è che la combinazione lineare di una
serie I(1) con una serie I(0) dia come risultato ancora un random walk. Il caso
della cointegrazione si ha quando la combinazione lineare di due variabili I(1) è
una variabile stazionaria. Se supponiamo che le variabili
yt e
z t siano I(1),
tra le due vi sarà cointegrazione se la combinazione lineare y t− z t è una serie
I(0). Il vettore
 è chiamato vettore di cointegrazione. L'effettiva funzione del
vettore di cointegrazione è dunque quella di elidere gli eventuali trend stocastici in
comune. Una volta eliminati, le combinazioni lineari dei trend comuni possono
essere trattate come serie stazionarie.
Un importante teorema a cui si fa riferimento quando si parla di
cointergrazione è il cosiddetto teorema di rappresentazione di Granger (Engle e
Granger 1987) il quale afferma, tra le altre cose, che se un sistema di due variabili
è cointegrato, è sempre possibile formularlo come un modello a correzione
d'errore (ECM) del tipo
p
 y t=c0 ∑  i  y t−i  ' y t −1t
(10)
i=1
Il vantaggio di utilizzare un modello ECM rispetto ad una rappresentazione in
differenze consiste nel poter descrivere le variazioni della variabile
funzione sia della componente transitoria di breve periodo alle differenze
33
y t in
p
∑   i  y t−i 
i=1
(11)
sia della componente di equilibrio di lungo periodo delle variabili ritardate nei
livelli
 ' y  t−1 .
Per comodità, la relazione di lungo periodo può essere riscritta in questa maniera
[ y t−1 − z t −1 ] . (12)
Se ad esempio al tempo t-1 y t −1 − x t −1 0 , il che accade quando
y t −1  si
trova al di sopra della relazione di equilibrio, scatta dunque il meccanismo di
correzione dell'errore.
 z t −1 Salirà di modo da permettere a
di scendere con conseguente variazione verso il basso di
y t −1 − z t −1
 y t . La grandezza
dell'aggiustamento nel periodo è determinata dal valore del parametro
 .
Maggiore è la grandezza e più elevata sarà la portata dell'aggiustamento. Un
valore di

nullo starà a significare che non c'è nessun aggiustamento in atto
mentre al contrario un valore pari all'unità indicherà che il riassorbimento del
disequilibrio avviene completamente nel periodo. Un valore maggiore di uno ( ma
inferiore a 2) implica un' oscillazione intorno alla relazione di lungo periodo.
Resta solamente da vedere come determinare la presenza o meno di una
eventuale relazione di cointegrazione tra due o più variabili. La procedura che
utilizzeremo è quella di Johansen (Johansen 1995). Essa si basa essenzialmente
34
sull'analisi del rango della matrice
'
=  tramite un test di azzeramento sui
suoi autovalori7. Nel caso in cui il rango di tale matrice sia 0 ci troveremo di
fronte all'assenza di cointegrazione e alla presenza di un random walk
multivariato. Al contrario, nel caso che la suddetta matrice abbia rango pieno,
ovvero nel caso in cui non vi sia nessuna combinazione lineare significativa tra le
colonne della matrice, saremo di fronte ad un insieme di serie storiche che sono
stazionarie.
0r . Il rango della matrice
La casistica più interessante si ha quando
corrisponde al numero di vettori di cointegrazione presenti nel sistema e dunque
alle equivalenti relazioni di lungo periodo. Per identificare il rango della matrice
 la procedura di Johansen prevede di analizzare gli autovalori di una matrice
M semidefinita positiva per costruzione e che possiede lo stesso rango di
 . Il
vantaggio di lavorare con M assicura che tutti gli autovalori siano reali e non
negativi . Della matrice M esiste una stima consistente
 i cui autovalori
M

sono a loro volta stime consistenti di M. Trovate le stime degli autovalori li si
ordina dal più grande 1 al più piccolo n .
[
]
1
...
... p


M = ... n−1 ... 
M
...
...
n
7 Gli autovalori di una matrice sono definiti come i
 A−  I  v = 0 .
35
(13)
 per cui vale l'espressione
Come ultimo stadio si procede ad eseguire due test sugli autovalori così ottenuti
per determinare il rango della matrice  .
Il primo test presentato da Johansen è quello del massimo autovalore ( detto
anche test
−max ) il quale prevede di testare l'ipotesi nulla per ogni singolo
autovalore partendo dal più piccolo. Il secondo è il cosiddetto test della traccia il
quale, sempre partendo dal più piccolo, prevede di annullare congiuntamente gli
ultimi n-p autovalori.
Il numero di autovalori significativamente diversi da zero rappresentano i
vettori di cointegrazione esistenti e le rispettive relazioni di lungo periodo presenti
nel sistema. I test in questione hanno una distribuzione non standard come il loro
equivalente univariato di Dickey e Fuller. Anche in questo caso però sono
disponibili le tavole con i punti critici per i vari livelli di significatività desiderati.
Alla stessa maniera del caso univariato, la distribuzione dei test non è invariante
alla presenza di una componente deterministica. Se si considera la componente
deterministica come un polinomio del tipo
d t =0 1 t... p t p
(14)
avremo dunque ben cinque possibili combinazioni e cinque differenti
distribuzioni.
•
d t =0 : in questo caso il sistema ECM non presenta una componente
deterministica. Sia la serie nei livelli che la componente di lungo periodo
36
oscillano intorno allo 0.
•
d t =0 ; ' ⊥ 0=0 : in questo caso la rappresentazione ECM vettoriale
ha un' intercetta che però non da origine ad un trend lineare nella
rappresentazione nei livelli, perché questi ultimi non hanno un drift. I dati
non hanno trend deterministici ma fluttuano intorno ad un valore diverso
da zero. Di fatto avremo un' intercetta nella relazione di cointegrazione
ovvero una relazione di lungo periodo che oscilla intorno ad una
componente deterministica.
•
d t =0 ; ' ⊥ 0 : in questo caso avremo un' intercetta sia nella relazione
di lungo periodo che nella rappresentazione a trend comuni. Osserveremo
dunque un trend nelle serie osservate.
•
d t =0 1 t ; ' ⊥ 1=0 : in questo caso la relazione di cointegrazione
presenta un trend lineare che non si traduce in un trend quadratico nei
livelli.
•
'
d t =0 1 t ;  ⊥ 1 : le serie esibiscono un trend quadratico nei livelli.
Gli ultimi due casi sono poco comuni quando si lavora con serie storiche di
carattere economico e l'attenzione si concentra sui primi tre casi. La scelta tra
queste tre possibilità si basa su un misto di osservazione empirica e di
ragionamento di tipo economico . Se le variabili in esame sembrano seguire un
37
trend lineare è opportuno non imporre alcun vincolo all'intercetta. Altrimenti
occorre chiedersi se ha senso specificare una relazione di cointegrazione che
includa un' intercetta diversa da zero. Prendiamo il caso di due tassi d'interesse: in
generale non hanno un trend8, ma il VAR potrebbe comunque avere un' intercetta
perché lo spread tra i due potrebbe essere stazionario su una media diversa da zero
per la presenza di un premio per la liquidità e per il rischio.
Una volta stimata l'eventuale matrice di cointegrazione
 ci troviamo di
fronte al problema che quest'ultima non è pienamente identificata. Infatti se
è una matrice di cointegrazione lo è anche

b= K , dove K è una matrice (r*r)
non singolare. Le due matrici sono esattamente equivalenti dal punto di vista
osservazionale. Siamo nel cosiddetto problema di sotto identificazione da cui se
ne esce imponendo dei vincoli sulla matrice di cointgrazione. Johansen (1995)
dimostra che il numero minimo di vincoli da imporre per ottenere la piena
identificazione è pari a
r2
dove r rappresenta il rango della matrice di
cointegrazione. Di fatto se il rango di cointegrazione è pari a due, il problema
dell'identificazione si risolve imponendo un vincolo per ciascun vettore di
cointegrazione. I vincoli imposti saranno poi conformi alla teoria economica ed
alle eventuali restrizioni che si desidera testare. La bontà del modello vincolato
8 Può anche verificarsi che i tassi d'interessi presentino dei trend come ad esempio la discesa dei
tassi d'interesse italiani ad inizio anni '90 in seguito alla discesa dell'inflazione. Se non
vogliamo curarci del contesto macroeconomico inseriamo un trend nella rappresentazione.
38
sarà poi testata tramite un test di rapporto delle verosimiglianze. In poche parole si
confrontano i valori della funzione di verosimiglianza per il modello libero e
quello vincolato. Se la differenza tra i due valori non è eccessivamente elevata 9 il
modello vincolato può essere tranquillamente accettato.
Il nostro fine sarà quello di eseguire un test di esogeneità debole sul
coefficiente  corrispondente alla relazione di lungo periodo nell'equazione dei
tassi d'interesse statunitensi. Prendiamo come esempio un sistema VECM tra i
tassi americani e quelli francesi. Il sistema si presenterà nella forma
[ ]
][
]
n
f
 r tf
 11, i 12, i  r t − 1
1
f
us
= mi 0  mi 1 t  [ 1 2 ]
r
 t
[r
] ∑
2  t −1   t −1  i = 1  21, i 22, i  r us
 r us
t
t − 1
[
[]
Eseguire un test di esogeneità debole consiste nel testare se sia accettabile l'ipotesi
che uno dei due coefficienti della matrice dei pesi  sia nullo.
[ ]
][
]
f
n
 r tf
 11, i  12, i  r t − 1
1 rf
us
=mi

mi
t


0
r

 t
[
]
[
]
∑
0
1
1
2 t −1 t −1 i =1  21, i  22, i  r us
 r us
t
t − 1
[
[]
Tale test permette di verificare se una o più variabili del sistema VECM possano
essere considerate forze esterne rispetto al sistema ovvero capaci di influenzare le
altre variabili ma di non esserne a sua volta condizionate nel lungo periodo. Più
avanti eseguiremo questo tipo di test per vari tipi di tassi d'interesse in diversi
periodi di tempo.
9 Anche in questo caso il test si distribuisce come una variabile casuale
39
2 .
Esiste inoltre la possibilità di eseguire un test di cointegrazione anche quando
stiamo utilizzando un sistema di tipo VECM. In questo caso avremo che
[ ]
][
]
n
 r tf
 r ft −1
11, i
0
1
f
us
=mi 0  mi 1 t  [ 1 2 ]
t
[ r  t −1  r t − 1 ]  ∑
0
 r us
 r us
i = 1 21, i  22, i 
t
 t −1
[]
[
La Granger causalità nell'ambito della cointegrazione prevede un test che azzeri
simultaneamente sia il coefficiente legato a quella determinata variabile nella
relazione di cointegrazione sia il coefficiente legato alla componente di breve
periodo. L'operazione non è così banale come può sembrare in quanto prevede
l'annullamento di due variabili, una sui livelli e l'altra alle differenze,
profondamente diverse tra loro. La distribuzione del test è dunque non standard.
Per ulteriori approfondimenti vedi Dolado e Lutkepohl (1996).
I.6) La letteratura empirica sulla cointegrazione e sull'analisi di Granger
casualità nell'ambito della teoria delle valute dominanti.
La letteratura empirica che si è occupata di accertare l'esistenza di possibili legami
e tra i tassi d'interesse dei vari paesi è piuttosto ampia. In questo paragrafo ne
daremo velocemente una panoramica d'insieme dei principali lavori eseguiti nel
corso degli anni. Gli strumenti maggiormente utilizzati dalla letteratura sono
quelli della Granger causalità e quello della cointegrazione.
Uno degli ambiti in cui la letteratura si è profusa in maniera più insistente è
40
stato quello nel cercare un effettivo riscontro dell' “ipotesi di dominanza dei tassi
tedeschi” all'interno del sistema monetario europeo. Questo tipo di analisi ha
frequentemente utilizzato sia i test di Granger causalità che quelli di
cointegrazione per stimare la forza dei legami tra i tassi d'interesse all'interno
dello SME.
DeGrauwe (1989) usando la Granger causalità ha analizzato a fondo i legami
tra i tassi d'interesse a breve dei paesi aderenti allo SME tra il 1979 ed il 1988
scoprendo dei legami bidirezionali tra i tassi tedeschi e quelli francesi e belgi e
l'esistenza di legami unidirezionali che partono dai tassi tedeschi nei confronti di
tutti gli altri. Eseguendo la stessa analisi per i tassi decennali, DeGrauwe ha
trovato scarso supporto all'ipotesi che tassi di un paese possano in qualche modo
essere significativi nello spiegare variazioni in quelli degli altri.
Alla stessa maniera Biltoft e Boersch (1992), sempre ricorrendo all'ausilio della
Granger causalità per il periodo 1983-1991, trovarono delle relazioni
unidirezionali tra i tassi tedeschi e e quelli degli altri paesi europei
Karfakis e Moschoes (1990) usando un'analisi VAR bivariata trovarono
riscontro di collegamenti unidirezionali tra i tassi d'interesse nominali a breve
termine tra la Germania e gli altri paesi dello SME tra il 1979 ed il 1988 con
l'Irlanda unica significativa eccezione. Gli autori proseguirono verificando se vi
fosse la presenza di eventuali relazioni di cointegrazione giungendo ad una
41
risposta negativa in proposito.
Kirchgassner e Wolters (1995) alla stessa maniera hanno investigato la presenza
di interdipendenza tra i tassi a breve termine dei vari paesi dello SME tra il 1974
ed il 1994 usando sia la Granger causalità che la cointegrazione. Per quanto
concerne la cointegrazione, gli autori hanno preferito eseguire un'analisi bivariata
tra i tassi tedeschi e quelli degli altri paesi dello SME presi singolarmente. I
risultati del lavoro in questione indicano un forte presenza di cointegrazione con
un livello di confidenza dell'1%,
Un approccio alternativo molto interessante è stato presentato da Von Hagen e
da Fratianni (1990) i quali hanno cercato di testare la cosiddetta “ipotesi di
dominanza tedesca” con un approccio diverso da quello della Granger causalità
bilaterale che si è spesso rivelata debole sotto molti punti di vista. Il modello da
loro approntato prevedeva un'analisi multivariata delle variazione dei tassi
d'interesse in sette paesi10. Il modello in questione risulta così formulato:
k
m
n
j =1
j =0
j=0
A0  Rt =d  ∑ A j  R t − j  ∑ B j  X t − j   ∑ C j  r us , t − j  e t (1)
L'ipotesi di dominanza tedesca in senso forte prevedeva la verifica di quattro
condizioni. La prima riguardava la cosiddetta “world insularity” ovvero che gli
effetti di variazioni dei tassi americani si esplicassero solamente attraverso
10 Germania, Francia, Italia, Belgio, Olanda, Danimarca e Irlanda.
42
variazioni di quelli tedeschi e non dei singoli paesi dello SME. Matematicamente
avremo dunque che
H1: World insularity : c j = 0 per i= 2,.. , 7 .
La seconda ipotesi, quella di “EMS insularity” , imponeva che ogni membro
diverso dalla Germania non interagisse con gli altri indipendentemente .
H2: EMS insularity : a ij =0 Per i ≠ j ; i , j = 2,... ,7 .
La terza ipotesi prevedeva poi che la politica monetaria di ogni stato membro
fosse influenzata da quella tedesca e che dunque andasse rifiutata la seguente
ipotesi
H3: Indipendence form German policy : a i1 =0 per i= 2,... ,7
La quarta ed ultima ipotesi da testare era quella che verificava l'indipendenza della
politica monetaria tedesca
H4: German policy indipendence : a 1i =0 per i= 2,... ,7 .
L'aspetto più interessante è che le quattro ipotesi così elencate possono avere
un'interpretazione in termini di Granger causalità: I tassi d'interesse statunitensi
non Granger causano quelli di nessun altro paese dello SME oltre che la
Germania; la politica monetaria di un una paese membro diverso dalla Germania
non Granger causa quella di un altro; i tassi tedeschi Granger causano quelli di un
qualsiasi altro paese dello SME mentre quelli degli altri paesi non Granger
causano quelli della Germania. I risultati empirici ottenuti mostrano come non sia
43
possibile accettare l'ipotesi di dominanza tedesca “forte” sullo SME anche se è
possibile accettare l'ipotesi di una dominanza “debole” su cui però rimandiamo
all'articolo in questione. Il risultato principale del lavoro in questione è stato
quello di dimostrare la debolezza delle analisi bivariate nei confronti di quelle
multivariate. Il rovescio della medaglia consiste però in una elevata difficoltà
nell'eseguire questo tipo di analisi ed è questa la principale motivazione che
spinge molti economisti a preferire analisi di tipo bivariato.
Un altro importante filone della letteratura ha indagato la presenza di legami
non solo all'interno dello SME ma anche a livello internazionale. Molto spesso si
è semplicemente trattato di inserire nelle relazioni di cointegrazione o di Granger
causalità i tassi d'interesse statunitensi. Katsimbris e Miller (1993) mostrano
l'esistenza di un qualche tipo di relazioni di cointegrazione (usando test di
cointegrazione bilaterali) tra i tassi tedeschi e quelli americani, quelli belgi e quelli
americani ( entrambi ad un livello di significatività del 5%) mentre tra i tassi
francesi e olandesi e americani esistono delle relazioni di cointegrazione
significative al 10%.
Sempre Kirchgassner e Wolters (1995) nel lavoro già precedentemente citato
testano anche la presenza di Granger causalità tra gli Stati Uniti ed i paesi dello
SME. Utilizzando un sistema a tre dimensioni, in modo tale da includere i tassi
americani nelle relazioni di cointegrazione tra i paesi dello SME e la Germania, i
44
due autori giungono alla conclusione che l'ipotesi nulla di assenza di
cointegrazione per il periodo che va dal 1983 al 1989 può essere rifiutata con un
intervallo di confidenza dell'1%.
Un altro filone della letteratura si è concentrato sull'indagine di relazioni di
Granger causalità e di cointegrazione tra i tassi reali e non quelli nominali.
Pain e Thomas hanno cercato riscontri di possibili trend comuni trai tassi
d'interesse reali a lungo termine di Stati Uniti, Giappone e Germania per il periodo
che va dalla fine del sistema a cambi fissi di Bretton Woods e la metà degli anni
'90. La loro analisi mostra come non vi sia traccia di cointegrazione sull'intero
campione mentre a partire dagli anni '80 vi sia un certa significatività di due
vettori di cointegrazione.
Throop (1994) alla stessa maniera analizza i possibili legami internazionali tra i
vari tassi d'interesse reali, sia a breve che a lungo termine, di Stati Uniti, Canada,
Giappone, Germani, includendo nelle relazioni di cointergrazione anche i tassi di
cambio tra il periodo che va dal 1974 ed il 1993. La conclusione del lavoro di
Throop porta a rifiutare l'esistenza di relazioni di cointegrazione tra i tassi dei vari
paesi.
Il riscontro empirico dell'eventuale cointegrazione tra tassi d'interesse come si
può vedere è piuttosto controverso ed in grado di portare a conclusioni piuttosto
differenti tra loro. Vedremo poi in seguito i risultati ottenuti cointegrando i tassi
45
d'interesse di vari paesi per diversi periodi di tempo.
46
47
CAPITOLO II
L'ASCESA ED IL DECLINO DELLA GRAN BRETAGNA: DAL GOLD
STANDARD AGLI ACCORDI DI BRETTON WOODS.
II.1) Introduzione alle vicende del XIX secolo.
Il XIX secolo è stata l'epoca dell'indiscusso dominio dell'impero britannico sul
globo terrestre. La potenza economica, militare e culturale inglese non aveva
rivali e nessun paese era in grado di sfidarne l'egemonia. Le vecchie potenze di un
tempo, Spagna e Portogallo, erano ormai decadute, l'Olanda ed il Belgio non
avevano le dimensioni e le risorse per poter scalfire il dominio britannico, la
Germania non esisteva ancora, e gli Usa erano nati da così pochi anni da non poter
ambire ancora ad assumere un ruolo planetario. L'unica sfidante credibile
all'egemonia inglese fu per un certo periodo la Francia la quale possedeva
dimensioni e capacità per rivaleggiare con la Gran Bretagna. Verso la fine del
XVIII secolo l'esito di questo scontro era tutt'altro che segnato e ancora incerto.
In questa sezione analizzeremo il comportamento dei titoli di debito emessi dai
due paesi confrontandoli con le più importanti e significative vicende storiche del
periodo che va dalla fine delle guerre napoleoniche fino allo scoppio della prima
guerra mondiale. Come abbiamo già argomentato, l'idea alla base di questa analisi
consiste nel ritenere che i titoli di stato del paese leader del sistema fruttino degli
interessi inferiori a quelli di altri paesi in virtù del fatto che la moneta è
48
considerata ancora il bene rifugio per eccellenza. Prima di far ciò faremo però
una breve introduzione sui sistemi monetari vigenti nel XVIII secolo
soffermandoci in particolare su uno di essi, il gold standard.
II.2) Storia e funzionamento dei sistemi monetari dal 1816 al 1913.
Dopo oltre un secolo in cui era in vigore, se pure non ufficialmente, la Gran
Bretagna adottò il sistema aureo de jure solamente con l' approvazione da parte
del parlamento del Liverpool Act del 1816. Il parlamento aveva approvato il
sistema aureo che de facto era stato ratificato dalle quotazioni dei prezzi dell'oro e
dell'argento sul mercato britannico.
Il prezzo di mercato dell'argento nel sistema bimetallico inglese era superiore al
valore delle monete d'argento in circolazione in Gran Bretagna con il risultato che
nessuno portava l'argento alla zecca di stato per far coniare monete in codesto
metallo. In circolazione rimasero dunque solamente le monete d'oro e di fatto, con
molto pragmatismo, il parlamento si limitò a ratificare un evento che era stato
determinato dal mercato dei metalli preziosi. La conversione delle monete in oro
era stata sospesa (corso forzoso) durante le guerre napoleoniche e fu ripristinata
solamente nel 182111.
Nel corso del XIX secolo, la Gran Bretagna, sviluppò un sistema monetario
11 Nel 1819 un atto del parlamento prevedeva il ritorno alla convertibilità delle banconote in oro
nel 1823. La Bank of England fu però in grado di assolvere questo compito a partire dal 1821.
49
aureo nel quale la Bank of England, custode delle riserve nazionali d'oro,
manteneva la convertibilità delle proprie banconote e utilizzava i tassi d'interesse
bancari e le operazioni sul mercato aperto per regolare le entrate e le uscite delle
riserve stesse. Un' erosione delle riserve auree poteva essere tamponata con
aumenti dei tassi bancari, atti ad attrarre capitali stranieri convertibili. Incrementi
delle riserve permettevano alla Bank of England di abbassare i tassi d'interesse,
riducendo l'afflusso di capitale straniero e incentivando il capitale nazionale a
cercare tassi più elevati all'estero. Le banche commerciali detenevano sterline in
banconote a riserva e la Bank of England possedeva l'oro a garanzia del valore
delle banconote stesse.
Il tallone aureo non fu l'unico sistema monetario in vigore nel XIX secolo ed
alcuni importanti paesi, Francia e Stati Uniti in primis, adottarono un sistema
monetario bimetallico basato sull'uso simultaneo di oro ed argento. Le ragioni di
questa scelta erano da ricercarsi nelle ingenti riserve e giacimenti di argento di cui
disponevano questi due paesi carenti, almeno agli inizi del XIX secolo 12, di riserve
auree. Il sistema bimetallico aveva però un difetto di fondo ineliminabile che si
presentava quando i prezzi di mercato di uno dei due metalli divergeva dai prezzi
offerti dalla zecca che coniava le monete. In uno scenario del genere gli
speculatori potavano lucrare sulla differenza tra il prezzo praticato dalla zecca e
12 Per dettagli più approfonditi sulle cifre vedi Lindert (1969) e le tavole del wordl gold council,
www.gold.org.
50
quello del libero mercato.
Se ad esempio il rapporto tra argento e oro della zecca era 15 a 1 e sul libero
mercato di 16 a 1 , gli speculatori potevano portare l' argento alla zecca per il
conio e successivamente scambiare le monete d'argento appena coniate con
monete d'oro. Con le monete d'oro si potevano acquistare monete d'argento in
quantità superiore rispetto a prima. Non essendoci nessuno incentivo a portare oro
alla zecca, le monete d'oro sparirono dalla circolazione ed i sistemi bimetallici, sia
quello francese che quello americano, divennero sistemi non ufficiali basati solo
sull'argento.
La svolta decisiva a favore del sistema aureo si ebbe nel 1873 quando la
Germania decise di adottare ufficialmente il gold standard. In seguito alla guerra
franco-prussiana (1870-1871) la Francia di Napoleone III fu costretta a pagare un
indennizzo in oro alla Germania imperiale di Bismarck. Le riserve così ottenute
permisero l'adozione del tallone aureo.
In seguito all' entrata della Germania nel sistema aureo molte nazioni, anche
quelle più restie come Francia e Stati Uniti, dovettero adeguarsi. L'adozione
dell'oro fece affluire un'enorme quantità di argento sul mercato con la
conseguenza che i prezzi di tale metallo crollarono e lo resero inutilizzabile per
garantire le banconote e dunque gli scambi internazionali . L'adozione del gold
standard tra i diversi paesi avvenne scaglionata nel tempo: Francia ( e con lei l'
51
unione monetaria latina comprendente tra gli altri anche Italia e Belgio) nel 1873,
Stati Uniti nel 1879, Impero austro-ungarico nel 1892, Russia e Giappone nel
1897.
I partecipanti al gold standard dovevano attenersi alle cosiddette rules of the
game (McKinnon 1993), le regole del gioco.
•
Le valute dovevano essere convertibili ad un tasso fisso con l'oro 13. La
sospensione della convertibilità (corso forzoso) poteva essere effettuata
solamente in circostanze eccezionali come in caso di guerre o crisi
finanziarie di particolare gravità.
•
I paesi aderenti dovevano emettere una quantità di circolante equivalente
alla quantità di oro detenuta a riserva.
•
L'oro e i capitali dovevano essere liberi di circolare tra i paesi senza
limitazioni di sorta.
•
Non era possibile intraprendere azioni di sterilizzazione della variazione
della base monetaria estera con variazioni equivalenti ma di segno opposto
sulla base monetaria domestica al fine di impedire l'aggiustamento degli
squilibri.
Di fatto le regole furono raramente rispettate appieno. Una certa tolleranza era
adottata nei confronti di lievi oscillazioni intorno alla parità. Quando il cambio
13 Il cambio ufficiale del periodo antecedente la prima guerra mondiale era di 3 sterline, 17
scellini e 10 pence per libbra di oro fino (Allen 2002).
52
toccava alcuni determinati valori, i cosiddetti gold points14, le banche centrali del
paese in questione dovevano intervenire sul mercato dei cambi comprando o
vendendo valuta estera a seconda dei casi. Il funzionamento del gold standard
classico avveniva in questa maniera.
Quando un paese registrava un deficit / surplus nella bilancia dei pagamenti,
esso sperimentava un deflusso / afflusso di oro nelle riserve ufficiali della banca
centrale del paese in questione. Tale variazione doveva essere seguita da una
variazione della base monetaria in circolazione. In caso di aumento delle riserve
auree (dovuto ad un surplus della bilancia dei pagamenti) la banca centrale doveva
espandere la base monetaria tramite una diminuzione del tasso di sconto ufficiale.
La diminuzione del tasso di sconto avrebbe poi favorito un innalzamento del
livello dei prezzi con conseguente diminuzione delle esportazioni, meno
convenienti, ed un innalzamento delle importazioni. Ciò avrebbe riportato la
bilancia dei pagamenti in equilibrio. E' questo il cosiddetto aggiustamento alla
Hume (1752). Naturalmente la diminuzione del tasso di sconto avrebbe agito
anche tramite movimenti di capitale rendendo le attività del paese in questione
meno richieste. Tale aggiustamento è comunque più un fenomeno del XX secolo
piuttosto che del XIX secolo.
Non raramente capitava che i paesi in questione sterilizzassero variazioni
14 I golds points erano dei valori delle quotazione per cui era materialmente conveniente
comprare e vendere oro lucrando sulla differenza tra la parità fissa e la quotazione di mercato.
53
indesiderate della base monetaria provocate da analoghi movimenti delle riserve
ufficiali. Nel caso di una diminuzione di queste ultime abbiamo visto come lo
schema classico prevedesse un aumento del tasso di sconto interno. Questo
aumento del tasso di sconto poteva non essere desiderato dai governi e dunque
soventemente le banche centrali dell'epoca, ben lontane dagli standard attuali di
indipendenza dal potere politico, compravano titoli domestici sul mercato interno
compensando così la variazione degli attivi esteri. La base monetaria rimaneva
così invariata come pure i tassi di mercato.
Un altro tema interessante che riguarda sempre l'asimmetria di aggiustamento
tra paesi è quello che riguarda appunto la forza e la credibilità dei vari paesi
dell'epoca. Il gold standard viene rappresentato dalla letteratura economica
(Fratianni 2008/2) come un sistema gerarchizzato, con la Gran Bretagna al vertice,
Francia e Germania subito sotto ed i restanti paesi a fungere da periferia. Una
variazione nelle riserve (e dunque nei tassi d'interesse) britanniche o francesi
metteva in moto un meccanismo che costringeva l'intero sistema ad aggiustarsi.
Non altrettanto accadeva quando le variazioni avvenivano in un paese della
periferia del sistema o in un paese secondario. Vedremo meglio in seguito questo
fatto.
Tra alterne vicissitudini il gold standard permise una stabilità e un fiorire dei
commerci come non era mai accaduto in nessuna altra epoca. La convertibilità
54
delle varie valute con l'oro fu sospesa allo scoppio della prima guerra mondiale
per permettere di finanziare liberamente le spese belliche.
II.3) L' esperienza britannica nel Gold Standard.
La centralità che il Regno Unito ha avuto per tutto il XIX secolo è stata spesso
identificata nella capacità di potersi indebitare a lungo termine nei confronti degli
altri paesi (Mauro, Sussman, Yafeh 2002). Il lavoro in questione focalizza la sua
attenzione principalmente sullo spread esistente tra i consolidati britannici e i
titoli emessi sul mercato di Londra 15 dai principali paesi emergenti dell'epoca
( vedi Mauro, Sussman, Yafeh 2002, tabella I pagina 707). Il nostro scopo sarà
però quello di confrontare un titolo a lungo termine per la Gran Bretagna e uno
per un altro paese facente parte del centro del sistema come appunto la Francia.
Altri confronti non sono purtroppo possibili visto che le potenze di Stati Uniti e
Germania emersero soltanto nella seconda parte del secolo.
I titoli di riferimento per questa analisi sono i cosiddetti consolidati inglesi o
british consul. I consolidati inglesi sono delle rendite perpetue le quali danno
diritto a riscuotere una cedola annua prefissata per un periodo di tempo indefinito
fino all'eventuale estinzione del debito. Durante gli anni furono emessi diversi tipi
di rendite: dal 1751 al 1889 i titoli in circolazione resero il 3% annuo. Dal 1889 al
15 I titoli sono ovviamente quotati in sterline.
55
1903 i consolidati al 3% furono estinti e sostituiti con altri al 2,75% annuo. Infine
dal 1903 i consolidati fruttarono il 2,5% annuo 16. Durante il periodo che va tra la
guerra dei sette anni (1756) alla battaglia di Waterloo è interessante notare come
l'andamento dei prezzi dei consolidati inglesi (ed inversamente dei loro
rendimenti) ebbe una volatilità molto significativa in risposta alle alterne vicende
dello scontro tra l'Inghilterra e la Francia. William Brown, Richard Burdekin e
Marc Weidmeir (2005) hanno raccolto le venti maggiori variazioni di prezzo, dieci
al rialzo e altrettante al ribasso, che hanno subito i consolidati dal 1729 al 1959.
Ebbene ben quindici ricadono nel periodo in questione. L'incertezza dello scontro
fra Gran Bretagna e Francia per il dominio del mondo viene fedelmente riflesso
dall'andamento delle quotazioni dei titoli dei rispettivi stati. Non ci si deve dunque
stupire se il giorno della sconfitta di Napoleone a Waterloo sia stata festeggiata
dagli operatori dell'epoca premiando i consolidati inglesi con un incremento del
prezzo di oltre l'11% .
Questa breve divagazione sul periodo antecedente al 1810 ci serve per meglio
comprendere la relativa stabilità del periodo che è susseguito. Da quel momento in
poi infatti, quando la supremazia britannica era cosa ormai conclamata, i prezzi
dei consolidati inglesi iniziarono una lenta ma inesorabile risalita verso la parità
con il prezzo di emissione con una simultanea diminuzione della volatilità ad essi
16 Tutti i dati in seguito riportati sui consolidati Inglesi e sulle rendite francesi provengono da “
Storia dei tassi d'interesse” di Sidney Homer e Richard Sylla.1995.
56
collegata. E' questo il cosiddetto periodo vittoriano (1837-1903) durante il quale
l'impero britannico raggiungerà i suoi fasti più elevati: la sua economia fu di gran
lunga la più sviluppata del mondo, le sue forze armate non ebbero rivali sul globo
terrestre, il mercato finanziario londinese fu il più sviluppato e dinamico attirando
capitali da tutto il mondo; inoltre, il suo sistema politico si basava su una
consolidata tradizione democratica da più di un secolo e ,infine, il suo impero si
estendeva su tutti i continenti. Non sorprende certo, dunque, che in uno scenario
del genere, con tali garanzie alle spalle, la valuta universalmente accettata e più
usata per i commerci internazionali fosse la sterlina.
L'adozione ufficiale del gold standard come sistema monetario internazionale
nel 1873 (Allen 2002), non modificò il ruolo della sterlina anzi, per certi versi, lo
rafforzò. Grazie al mercato finanziario londinese e alle molteplici possibilità
d'investimento e di scambio da esso concesse, detenere un conto in sterline con
cui regolare le proprie transazioni internazionali divenne una consuetudine per
molti esportatori ed importatori dell'epoca. Inoltre, molti paesi non disponevano di
riserve auree a sufficienza per mettere un'adeguata quantità di moneta in
circolazione. La soluzione più ovvia fu quella di detenere a riserva una valuta che
mantenesse stabilmente la sua parità fissa con l'oro. La scelta, nemmeno è il caso
di dirlo, cadde sulla sterlina (Lindert 1969). Come ha fatto notare Ferguson
(2003), durante il periodo vittoriano i prezzi dei consolidati inglesi divennero
57
molto meno sensibili agli shock di natura economica, militare o politica rispetto
ai corrispettivi titoli dell' Europa continentale. Ad esempio, quando nel 1883, circa
10.000 soldati dell'esercito britannico furono massacrati in Sudan, nessuna
ripercussione significativa si ebbe sulle quotazioni dei consolidati. Stessi effetti
marginali ebbero i rari conflitti dell'epoca: la guerra di Crimea 17 non fu neanche
registrata dagli operatori dell'epoca come una possibile minaccia all'egemonia
britannica. Al contrario, ai tempi delle guerre napoleoniche notizie simili ebbero
un impatto decisamente diverso sui mercati.
Il grafico riportato in figura n. 1 rende forse ancora meglio l'idea della
supremazia britannica sulla Francia. Per tutto il periodo che va dalla fine delle
guerre napoleoniche agli inizi del '900, la Gran Bretagna mantenne un
significativo vantaggio sul tasso a cui potersi indebitare rispetto alla Francia a
riprova della fiducia accordata dai mercati e della volontà di investire in attività
britanniche. La stessa cosa si evince osservando gli spread tra i consolidati inglesi
e i titoli equivalenti della Germania.
La supremazia indiscussa viene confermata da un altro dato: dal 1850 al 1915
la Gran Bretagna mantenne un considerevole surplus di partite correnti ad
ulteriore conferma della forza dell'economia inglese in grado di esportare i suoi
manufatti in tutto il mondo. Questo fatto mise il Regno unito in una posizione
17 La guerra di Crimea fu combattuta dal 1853 al 1856 dalla Russia zarista contro una coalizione
di stati europei, tra cui appunto la Gran Bretagna, alleati dell'impero ottomano.
58
invidiabile: il suo surplus di partite correnti le permetteva di essere un creditore
netto nei confronti del resto del mondo il quale a sua volta vedeva nel mercato
finanziario londinese un luogo attraente dove poter investire i propri risparmi,
attirato dalla gran quantità di attività finanziarie disponibili per ogni esigenza.
Questi capitali in entrata si indirizzavano principalmente su titoli del mercato
monetario a breve scadenza prontamente scambiabili e liquidabili. Ecco dunque
come la Gran Bretagna era capace di indebitarsi a breve termine con il resto del
mondo ed ad investire all'estero in attività meno liquide ma più redditizie.
Il ruolo della Gran Bretagna di “banchiere del mondo” 18 non è stato molto
diverso da quello degli Usa del XX secolo esercitando lo stesso “esorbitante
privilegio” anche se le differenze in merito sono piuttosto significative come
vedremo poi in seguito.
18 Il termine “banchiere del mondo”è stato coniato da Desperes, Kindleberger, Salant (1966) a
proposito degli Stati Uniti nel sistema di Bretton Woods.
59
Figura II.3.1: Equilibrio di conto corrente inglese, percentuale del PIL, 18591913.
Equilibrio conto corrente/PIL inglese, 1850-1913
Percentuale del PIl
10,00%
8,00%
6,00%
4,00%
2,00%
1913
1910
1907
1904
1901
1898
1895
1892
1889
1886
1883
1880
1877
1874
1871
1868
1865
1862
1859
1856
1853
1850
0,00%
Equilibrio conto corrente/PIL
Fonte: Obstfeld_Jones, database storico 1996, NBER. www.nber.org/nberhistory .
Nell'anno 1897 (vedi figura 1 in appendice) si raggiunse il picco di prezzo più
elevato (o se si preferisce il rendimento più basso) per le quotazioni dei
consolidati britannici. Da quel momento in poi comincia una lenta e inesorabile
discesa che li porterà nel 1920 ad essere scambiati ad un valore pari al 50% del
valore di emissione. Contemporaneamente si assiste ad un aumento della volatilità
(Williams, Burdekin, Weidmeir 2005) dei rendimenti dopo l'estrema tranquillità
del periodo vittoriano. Anche se la volatilità non raggiungerà più i picchi toccati
durante le guerre napoleoniche si manterrà comunque su livelli decisamente
elevati.
60
II.4) Il Gold Standard come sistema decentrato: una visione alternativa.
Nonostante che la posizione dominate all'interno del sistema monetario dell'epoca
sia un elemento abbastanza consolidato nel dibattito, alcuni studi in merito
lasciano pensare che la Gran Bretagna non fosse, per usare un'espressione coniata
da Keynes, il “conduttore d'orchestra internazionale” ma che potesse essere
piuttosto il vertice maggiore di un sistema triangolare alla cui base si trovavano il
marco tedesco e ed il franco francese.
E' questa la tesi di Giuseppe Tullio e di Jurgen Wolters (1996) i quali
sostengono che gli andamenti dei tassi d'interesse tra i tre paesi in questione sono
tra loro correlati. Se il fatto che i tassi britannici abbiano influenzato quelli degli
altri paesi non deve certo stupire, la novità del lavoro in questione è quella di
rivelare delle relazioni di Granger-causalità anche all'indirizzo dei tassi d'interesse
del Regno Unito. In particolare modo le variazioni dei tassi d'interesse tedeschi e
soprattutto francesi sembrano influenzare notevolmente quelli britannici. Visto da
quest'ottica il gold standard classico sembra più una “monarchia costituzionale”
che non una “dittatura della sterlina”.
Uno dei fattori che secondo i due autori sarebbero alla base di questa influenza
francese sui tassi inglesi, e che metterebbero in discussione il predominio della
sterlina, è il diverso ammontare di riserve auree detenute dai due paesi.
Storicamente la Francia ha avuto una certa diffidenza nei confronti della moneta
61
fiduciaria non garantita da riserve di metalli preziosi, oro o argento che siano.
Questo atteggiamento così prudente è da ricercarsi nei vari episodi di
iperinflazione19 che il paese ha sperimentato per l'eccesso di base monetaria in
circolazione. Questo fatto ha portato la Francia ad accumulare ingenti riserve di
metalli preziosi nel corso della sua storia. Nel 1910, da quanto riportato dagli
autori (vedi anche Lindert 1969 in proposito), la Banque de France possedeva uno
stock di riserve auree che andava coprire il 71% delle passività a breve contratte
dal paese contro un modesto 44% della banca d' Inghilterra.
Tabella II.4.1: Riserve ufficiali in milioni di dollari, fine 1913.
GB
Francia
Germania
Totale
Oro
169,4
678,9
278,7
1122,5
Argento
nd
123,5
65,9
189,4
Riserve valutarie
nd
3,2
49,6
52,8
Totale
169,4
805,6
304,2
1364,7
Altri paesi europei
Emisfero occidentale
Usa
Africa, Asia, Australia
1757
1764,9
1290,4
201,8
309,4
525,2
523,3
108,5
610,6
64,8
nd
403,9
2677
2354,9
1813,7
714,2
Totale mondo
4846,2
1132,5
1132,1
7110,8
Fonte: Lindert (1969) tavola 1 pagina 11.
Una così elevata quantità di riserve permetteva alla Francia di non dover
modificare frequentemente il proprio tasso di sconto in caso di lievi variazioni del
circolante cosa che invece era costretta ad eseguire la Bank of England per evitare
19 Vedi ad esempio il caso della “Missisipi bubble” e le emissioni di carta moneta della “Banque
Royal” del 1720 (Allen 2002).
62
nefasti deflussi di riserve auree.
Alla luce di questi risultati si può attribuire alla Francia un ruolo di
“guardiano” del sistema che costringeva la Gran Bretagna a mantenere una certa
disciplina fiscale e nei conti con l'estero. In caso di eventuali turbolenze londinesi
gli investitori si sarebbero potuti orientare su Parigi, ben garantite dalle riserve
della Banca di Francia.
Si può forse affermare dunque che il gold standard classico sia stato un regime
monetario molto più “democratico” di quello nato a seguito degli accordi di
Bretton Woods. Il divario che esisteva all'epoca tra l'economia britannica e quella
degli altri paesi esaminati era meno marcata di quella che esisteva tra gli Stati
Uniti ed il resto del mondo dall' alba degli anni '60 in poi. Ciò può aver dato vita
ad un sistema prettamente dollaro-centrico, potenzialmente più instabile, dove il
paese leader non ha nessun incentivo nel perseguire politiche economiche coerenti
con il suo ruolo.
A conferma di ciò è utile notare la differenza tra la percentuale di sterline
detenute a riserva dalle principali banche centrali nel periodo del gold standard
classico con la percentuale di dollari detenuta durante il sistema di Bretton Woods.
Nel 1965 il dollaro rappresentava il 56% delle riserve ufficiali mentre la sterlina
alla fine del 1913 rappresentava solamente il 40% circa del totale delle riserve.
Una differenza cospicua di circa 16 punti percentuali. Dalla tabella 135 emerge
63
anche come sterlina, franco francese e marco tedesco nel gold standard classico
fossero molto più alla pari rispetto al rapporto instauratosi tra il dollaro e le altre
valute nel periodo di Bretton Woods ed anche nei periodi successivi. Ciò sembra
avvalorare l'ipotesi di un gold standard come sistema decentrato per lo meno se
paragonato al sistema monetario del dopo guerra.
II.5) La Granger- causalità tra i tassi di sconto privati di Gran Bretagna,
Francia e Germania tra il 1876 ed il 1913.
I due autori sopracitati conducono la loro analisi empirica eseguendo un test di
Granger- causalità sui tassi privati di sconto20 per un periodo compreso tra il 1876
ed il 1913.
Tullio e Wolters suddividono il campione in due periodi distinti: il primo
periodo in questione va dal Gennaio del 1876 al Dicembre del 1895 mentre il
secondo va dal Gennaio del 1896 al Dicembre del 1913. Per entrambi i campioni i
test di radice unitaria escludono abbastanza tranquillamente la presenza di una
radice unitaria nelle serie e si può dunque accettare in maniera abbastanza
indolore l'ipotesi di stazionarietà e quindi autorizzano l'utilizzo di una
rappresentazione di tipo VAR che presuppone che le variabili utilizzate siano
20 L'utilizzo di un tasso di sconto può sembrare un controsenso visto che fino ad ora abbiamo
sempre parlato di tassi a lungo termine. Purtroppo la mancanza di dati per i tassi a lungo
termine tedeschi costringe gli autori ad analizzare scadenze più brevi.
64
appunto stazionarie. Nella seguente tabella II.5.1 vengono riportati i relativi valori
del test di ADF, i rispettivi p-value, i quali indicano la probabilità del manifestarsi
dell'ipotesi nulla ed il numero di ritardi implementati nel test ADF. I tassi di
sconto privati britannici e tedeschi tra il 1877 ed il 1895 risultano stazionari all'
1% mentre quelli francesi nello stesso periodo lo sono al 10%. Nel periodo
seguente i tassi britannici e francesi risultano stazionari al 5% mentre quelli
tedeschi all'1%.
Tabella II.5.1: test ADF di radice unitaria.
Gran Bretagna
Francia
Germania
Gran Bretagna
Francia
Germania
1877:01-1895:12
valore del test ADF
P-value
numero ritardi
-5,53
1,48E-006
3
-2,79
0,0590
4
-4,93
2,78E-005
6
1896:01-1913:12
-3,25
0,0172
6
-2,86
0,0490
4
-3,45
0,0094
6
Appurato che le serie in questione sono stazionarie il passo successivo consiste
nello specificare una rappresentazione VAR con un adeguato numero di ritardi che
possa tener conto della persistenza delle serie. Solitamente il metodo a cui si
ricorre è quello di basarsi sui criteri d'informazione. Come abbiamo già detto in
precedenza, i tre principali criteri utilizzati sono il “criterio d'informazione di
Akaike (AIC)” dell'omonimo autore, il “criterio d'informazione Bayesiana (BIC)”
di Schwarz, e il criterio di informazione di Hannan e Quinn (HQC). Riportiamo
65
nella tabella successiva i risultati ottenuti per i due periodi analizzati.
Tabella II.5.2: criteri di selezione del VAR, numero dei ritardi.
AIC
BIC
HQC
Numero di ritardi
1877:01-1895:12 1896:01-1913:12
13
14
2
4
4
6
la scelta degli autori ricade su una rappresentazione VAR a due ritardi per il
campione che va dal 1877 al 1895. Le stime ottenute ottenute sono riportate nella
seguente tabella in notazione matriciale. I coefficienti in neretto sono
r gb ,
significativamente diversi da zero.
rf ,
r g , rappresentano
rispettivamente i tassi privati di sconto sui mercati di Londra, Parigi e Berlino. In
appendice i risultati completi della regressione.
Tabella II.5.3: stime modello VAR(2) , 1876:01-1895:12.
[ ][
][ ] [
][ ] [ ]
gb
gb
r gb
e 1, t
t
0,125
0,891
0,523 0,058 r  t−1
−0,255 −0,360 0,036 r  t−2
f
f
f
r t = 0,200  −0,035 0,797 0,302 r  t−1  0,038
0,047 −0,244 r  t−2  e 2, t
g
g
0,559
0,258 −0,071 0,964 r  t−1
−0,240 0,077 −0,183 r gt−2
e 3, t
rt
][
Una volta eseguite le regressioni e trovate le stime si può procedere eseguendo i
già citati test di Granger-causalità tra le variabili del sistema e quello di causalità
istantanea. Ovviamente il tutto ripetuto per ogni paese. I risultati ottenuti sono
sintetizzati nella tabella II.5.4.
Tabella II.5.4: risultati del test di Granger-causalità con due ritardi nel VAR
66
1876:01-1895:12.
Granger causalità 1876:01-1895 :12
X
Z
Fx  z
2  x  z
PRE
PRF, PRG
8,12 (0,000)
32,68 (0,000)
PRF
PRE, PRG
5,65 (0,000)
12,21 (0,002)
PRG
PRE, PRF
12,95 (0,000)
29,01 (0,000)
Nota: I valori in parentesi corrispondono ai p-value.
Le stime eseguite ovviamente confermano tutte le conclusioni enunciate nel
lavoro di Tullio e Wolters.
I test di Granger-causalità evidenziano come i tassi di interesse britannici siano
fortemente influenzati da quelli francesi e tedeschi e
viceversa. L' evidenza
empirica dunque non conferma, per il periodo dal Gennaio 1876 al Dicembre
1895, la visione classica di un gold standard fortemente gerarchizzato con la
sterlina al vertice della piramide. Londra, Parigi e Berlino sembrano interagire
molto di più di quello che è stato in precedenza ipotizzato. Entrambi i test infatti
confermano la presenza di Granger-causalità e di causalità istantanea per tutte e
tre le serie in ogni direzione.
Interessante anche notare per quanto tempo uno shock in uno dei paesi crea
variazioni nei tassi degli altri e la magnitudine dello shock che si va ad osservare.
Lo strumento utilizzato in questo caso è la cosiddetta funzione di risposta
d'impulso (FRI). Tramite questo strumento si può appunto analizzare la portata e
67
l'andamento nel tempo di uno shock. L' asse delle ascisse corrisponde ai periodi in
cui lo shock va dispiegando i suoi effetti mentre sull'asse delle ordinate si trova la
grandezza dello shock. In seguito saranno riportate le funzioni di risposta
d'impulso tra i tre paesi sopra esaminati. La linea bianca corrisponde alla funzione
di risposta d'impulso vera e propria mentre le linea tratteggiata corrisponde
all'intervallo di confidenza del 95%. La prima FRI analizzata è quella tra Gran
Bretagna e Francia tra il 1876 ed il 1895.
Figura II.5.5: risposta della Francia ad uno shock unitario in Gran Bretagna
1876:01- 1895:12.
Come si evince dal grafico uno shock unitario nei tassi britannici porta ad una
risposta blanda dei corrispettivi francesi. Ad un aumento di 100 punti percentuali
corrisponde dopo un mese una diminuzione dei tassi di circa il 4% seguito da un
68
aumento del 5% dopo 3 mesi. Dopo questo periodo FRI decade verso lo zero il
quale viene raggiunto dopo circa 6 mesi. Dopo questa data uno shock nei tassi
britannici non causa più alcun movimento in quelli francesi. Alla stessa maniera si
può vedere l'impatto dei tassi britannici su quelli tedeschi con le predenti
modalità. Qua le cose cambiano decisamente e l'impatto è decisamente più
significativo in termini di grandezza. Infatti, ad un aumento dei tassi britannici
corrisponde dopo circa un mese un aumento di quelli tedeschi del 25% . Dopo due
mesi le funzioni di risposta d'impulso decadono verso lo zero che raggiungono
dopo circa 4 mesi.
Figura II.5.6: risposta della Germania ad uno shock unitario britannico
1876:01-1895:12
Per quanto riguarda la Gran Bretagna si può dunque concludere che la sua
69
influenza sui tassi tedeschi è decisamente marcata. Altrettanto non si può dire nei
riguardi dei tassi francesi. Seppur significativo statisticamente, l'impatto è poi
decisamente ridimensionato sul piano delle cifre. Vediamo ora l' impatto della
Francia sui tassi degli altri paesi cominciando dalla Gran Bretagna. In questo caso
l'impatto di una variazione unitaria nei tassi d'interesse francesi ne ha uno
notevole su quelli britannici. La FRI mostra come ad un aumento dei tassi francesi
corrisponda dopo un mese una variazione dello stesso segno del 50% circa nei
tassi britannici. Questo fatto da un certo punto di vista è sorprendente: da quello
che emerge dai dati, non solo sembrerebbe che la Gran Bretagna non sia stata il
centro del gold standard ma che anzi il ruolo di guida del sistema sia stato portato
avanti più dal dal mercato finanziario di Parigi.
70
Figura II.5.7: risposta della Gran Bretagna ad uno shock unitario in Francia
1876:01-1895:12.
Alla stessa maniera possiamo valutare l'incidenza dei tassi francesi sull'andamento
di quelli tedeschi
Figura II.5.8: risposta della Germania ad uno shock unitario in Francia
71
Stranamente l'impatto in questo caso è molto limitato, inferiore al 10%.
Si può dunque concludere che i tassi francesi sembrano influenzare in maniera
molto significativa i tassi britannici ma che abbiano una limitata capacità di
spiegare l'andamento di quelli tedeschi. Se effettivamente Parigi fosse stato il
centro del sistema ci saremmo aspettati una maggiore influenza sulla piazza
finanziaria berlinese.
Per completezza è doveroso analizzare anche gli impatti dei tassi tedeschi su
quelli britannici e francesi.
Figura II.5.9: risposta della Gran Bretagna ad una variazione unitaria dei
tassi della Germania 1876:01-1895:12.
L'impatto è decisamente significativo, del 30% dopo circa tre mesi dal primo
movimento dei tassi tedeschi. Il medesimo grafico nei confronti di quelli francesi
72
mostra come anche in questo caso l'impatto è certamente non trascurabile. Dopo
un mese una variazione di cento punti base nei tassi tedeschi provoca una
variazione di trenta in quelli francesi.
Figura II.5.10: risposta della Francia ad una variazione unitaria dei tassi
tedeschi 1876:01-1895:12.
In conclusione, si può affermare come nel periodo che va dal Gennaio 1876 al
Dicembre 1895 ci siano dei validi elementi per ritenere che l'egemonia assoluta
della sterlina vada un poco ridimensionata. Il fatto che i tre centri finanziari più
importanti dell'epoca siano influenzati dai corrispettivi movimenti degli altri paesi
lascia intendere come la struttura prettamente gerarchica del gold standard sia una
semplificazione troppo forte. Probabilmente la sterlina , e con essa il mercato
londinese, rimanevano il fulcro del sistema ma tutto sommato Parigi e Berlino non
73
erano poi così distanti e secondari.
L'analisi dei due autori prosegue per il periodo seguente che va dal Gennaio
1896 al dicembre 1913. Testata alla stessa maniera la stazionarietà delle serie
(vedi tabella II.2.1) ed il numero di ritardi del VAR (vedi tabella II.2.2) si
prosegue anche in questo caso stimando un VAR(2) di cui però omettiamo le
stime. Come nel periodo precedente vengono riportati test di Granger-causalità e
quello di causalità istantanea tra le variabili.
Tabella II.5.5: risultati del test di Granger-causalità con due ritardi nel VAR
1896:01-1913:12.
Granger causalità 1876:01-1895 :12
X
Z
Fx z
2  x  z
PRE
PRF, PRG
6,68 (0,000)
44,58 (0,000)
PRF
PRE, PRG
2,28 (0,0585)
23,06 (0,002)
PRG
PRE, PRF
8,52 (0,000)
41,78 (0,000)
I risultati non sembrano subire sostanziali mutamenti tranne per il fatto che
l'influenza della Francia sugli altri due paesi sembra ridursi essendo il test della
Granger-causalità al limite della regione di accettazione\rifiuto dell'ipotesi nulla. A
questo punto non resta che vedere le FRI per tutti i paesi. La FRI analizzata è
quella dei tassi britannici nei confronti di quelli francesi. Notiamo
immediatamente una differenza rispetto al periodo precedente. L'impatto dei tassi
britannici nel periodo provoca una reazione consistente in quelli francesi
74
dell'ordine del 20% dopo due mesi rispetto a quelli d'oltre Manica.
Figura II.5.11: risposta d'impulso della Francia ad uno shock unitario nella
Gran Bretagna 1896:01-1913:12.
Figura II.5.12: risposta d'impulso della Germania ad uno shock unitario
della Gran Bretagna 1896:01-1913:12.
75
Per quanto concerne la Germania possiamo ugualmente vedere un notevole
impatto dei tassi britannici, del 30 %, dopo un mese, sull'andamento di quelli
tedeschi. Da questi primi due grafici si evince come il ruolo della Gran Bretagna
in questo lasso di tempo sia decisamente preponderante con una notevole
influenza sui tassi degli altri due paesi.
Figura II.5.13: risposta d'impulso della Gran Bretagna ad uno shock unitario
della Francia 1896:01-1913:12.
76
Figura II.5.14: risposta d'impulso della Germania ad uno shock unitario
della Francia 1896:01-1913:12.
La Francia anche in questo periodo sembra mantenere una notevole influenza su
entrambi i paesi. Concludiamo infine con la Germania.
Figura II.5.15: risposta d'impulso della Gran Bretagna ad uno shock unitario
77
Figura II.5.16: risposta d'impulso della Francia ad uno shock unitario della
Germania 1896:01-1913:12.
Dai due grafici emerge un ruolo marginale della Germania nell'influenzare gli altri
due paesi. Pur esercitando su di essi una certa forza, quest'ultima è limitata
rispetto a quello che Francia e Gran Bretagna esercitano su di loro e sulla
Germania stessa.
II.6) Conclusioni dell'analisi della Granger-causalità.
Il lavoro in questione rileva una notevole presenza di impulsi reciproci tra i tre
centri finanziari di Londra, Parigi e Berlino. Dunque, da quello che emerge, la
Gran Bretagna non sembra il “conduttore d'orchestra internazionale” ma piuttosto
come il paese più influente di un sistema molto più decentralizzato e multipolare
78
di quello che fino ad oggi era apparso. Germania e Francia erano esportatori di
capitali netti nel resto del mondo, come del resto la Gran Bretagna , e le loro
riserve auree erano di gran lunga superiori a quelle di quest'ultima (vedi tabella
II.4.1). Inoltre la diffusione di franco e marco nel continente europeo come valute
di scambio era largamente maggiore rispetto a quella della sterlina, decisamente
più diffusa nei territori del Commowealth (sempre tabella II.4.1). Si potrebbe
concludere dicendo che pur mantenendo il ruolo di centro del sistema , questo non
impediva a Francia e Germania di esercitare una significativa influenza sulla
piazza finanziaria di Londra.
II.7) Il sistema monetario del periodo compreso tra i due conflitti mondiali: il
gold exchange standard.
Lo scoppio della prima guerra mondiale indebolì la posizione britannica nei
confronti del mondo. La sospensione della convertibilità della sterlina con l'oro fu
un destino condiviso da molte altre valute con l'importante eccezione degli Stati
Uniti. La sospensione fu attuata con il preciso scopo di finanziare la guerra
monetizzando il debito sganciandolo dunque dalle rigidità del gold standard e
della conversione aurea. Una volta finito il conflitto, l'enorme massa di circolante
si trasformò ben presto in inflazione. La conferenza di Genova del 1922 aveva
dunque lo scopo di programmare politiche fiscali adeguate ad un repentino ritorno
79
alla convertibilità delle varie valute alla parità aurea. Furono messe in atto delle
politiche deflative con il preciso scopo di fermare l'ascesa dei prezzi e
contemporaneamente di poter ricreare le condizioni per ritornare a pieno regime
nel sistema aureo alle parità pre-belliche. La Germania rientrò nel gold standard
nel 1924, la Gran Bretagna nel 1925 e la Francia nel 1928.
Il più fervente sostenitore del ritorno del gold standard alle parità pre-belliche
era sicuramente Winston Churchill, allora ministro delle Tesoro del governo
inglese, il quale, facendone un questione di orgoglio nazionale, cercò di accelerare
il più possibile il rientro della Gran Bretagna nel tallone aureo.
La Bank of England adottò dunque una politica monetaria restrittiva tramite un
deciso rialzo del tasso di sconto con il preciso scopo di prosciugare la liquidità in
eccesso, attirare capitali dall'estero, ricostituire le riserve auree ed infine tornare
de jure al tallone aureo cosa che come abbiamo visto avvenne nel 1925.
Le politiche deflative mirate a ristabilire la convertibilità non tennero conto
però delle conseguenze sull'economia inglese già in difficoltà per i traumi post
bellici (Allen 2002). Gli alti tassi d'interesse danneggiarono la ripresa industriale
inglese ed il continuo apprezzamento della sterlina verso i valori ante guerra,
chiaramente sopravvalutati rispetto alla reale posizione competitiva della Gran
Bretagna, minarono la competitività delle merci britannici all'estero. Proprio in
quegli anni comincia ad avvenire un cambiamento significativo nella struttura
80
commerciale con l'estero dell'Inghilterra. La posizione di creditore netto nei
confronti del mondo comincia ad indebolirsi.
Tra i più critici nei confronti delle politiche deflazioniste auspicate da Churchill
ci fu Keynes (1923) il quale sostenne che le politiche restrittive messe in atto
avrebbero avuto l'effetto di indebolire ancora di più la produzione industriale e
aumentare la disoccupazione mentre gli effetti sull'aggiustamento di prezzi e salari
sarebbe stato marginale. Mai previsione fu più corretta.
Progressivamente la Gran Bretagna vide deteriorarsi il suo surplus nei conti
con l'estero. Come mostrano Eichengreen e Cairncross (1983, vedi tabella 15)),
pur continuando a mantenere un surplus di conto corrente, anche se non
paragonabile quantitativamente a quello antecedente il conflitto, la Gran Bretagna
si ritrovava con una bilancia commerciale, esportazioni meno importazioni, in
deficit. Il surplus di partite correnti è dunque generato dai servizi esportati, in
maggioranza servizi di tipo finanziario, e dai redditi percepiti sulle attività
detenute all'estero.
Molto spesso il ritorno alla parità pre-bellica da parte della Gran Bretagna
viene motivata come una questione di principio che esula motivazioni prettamente
economiche. Alla luce di questi dati forse non è proprio così. Consapevoli di non
aver più la leadership mondiale in campo industriale, ormai dagli inizi del secolo
superati dagli Stati Uniti e anche dalla Germania, potevano però contare ancora su
81
un sistema finanziario molto avanzato. Il ritorno della sterlina al gold standard
poteva rientrare nell'ottica di consolidare questo predominio e di mantenere quella
funzione di ancora del sistema monetario a dispetto di fondamentali
macroeconomici che non rispecchiavano più quelli della potenza leader. Purtroppo
le politiche deflazionistiche adottate ebbero effetti devastanti sugli equilibri
economici interni.
Come già accennato, la disoccupazione prese il posto della stabilizzazione della
moneta sull'agenda delle priorità economiche da affrontare. Inoltre l' aumento dei
tassi d'interesse aggravò la situazione del debito pubblico aumentando la spesa per
interessi. Si cercarono soluzioni di ogni tipo per favorire la ripresa delle
esportazioni britanniche: sussidi agli esportatori, dazi sui prodotti importati e
persino accordi sindacali per cercare di ridurre i salari21 e di conseguenza favorire
l'export senza dover svalutare la sterlina.
Tutti gli sforzi in tal senso furono vani e nel Settembre del 1931 la sterlina uscì
definitivamente dal gold standard per non rientrarvi più . Fu probabilmente questo
l'evento che segnò il tramonto definitivo della sterlina come valuta di riserva
internazionale (Bordo 1992). Si può notare come in coincidenza dell'abbandono
del gold standard da parte del Regno Unito la serie degli spread dei consolidati
21 Quello che Keynes definì nel rapporto della commissione McMillan, incaricata di formulare
politiche economiche adatte per uscire dalla grande depressione, “A great National Treaty
among ourself”. Per i dettagli vedi Caincross e Eichengreen (1983).
82
inglesi con i titoli di stato francesi tocchi il suo minimo assoluto.
Differenza tra i rendimenti delle rentes e dei consolidati, 19141945
2,5
2
1,5
1
0,5
42
44
19
19
40
19
36
38
19
19
34
19
30
32
19
19
28
19
26
24
19
19
22
19
18
20
19
19
19
14
16
0
-0,5
-1
19
Differenza punti percentuali
Figura II.3.2: differenziale consolidati britannici e rentes francesi, 1914-1945.
-1,5
Spread rentes francesi consolidati inglesii
Fonte: H. Sidney, R. Sylla, (1995) storia dei tassi d'interesse pagine 621,622,623.
Non c'è infatti da stupirsi infatti visto che la Francia, unica tra le grandi nazioni,
mantenne la convertibilità con l'oro fino al 1936. Per un brevissimo lasso di tempo
dunque la Francia fu vista come un “safe heaven”(Bordo 1992) più appetibile
della Gran Bretagna anche grazie alle sue cospicue riserve auree 22. Come vedremo
più avanti non era però al paese d'oltralpe che si doveva guardare per trovare il
successore designato della sterlina.
La letteratura economica ha poi indagato a fondo sulle ragioni del fallimento
dell'esperienza del gold standard nel periodo compreso tra le due guerre
individuando tre fattori di debolezza e instabilità insiti nel meccanismo di
funzionamento del sistema monetario degli anni '30, il problema delle asimmetrie
22 I dati sulle riserve auree citati provengono dal “world gold council”
83
dell'aggiustamento, la liquidità e la credibilità del sistema (Johnson 1972)23.
Il primo problema trattato è quella delle asimmetrie di aggiustamento tra il
paesi in surplus del sistema (Stati Uniti e Francia su tutti) e quelli in deficit come
il Regno Unito ( o quanto meno in una posizione in cui i surplus di partite correnti
si stavano decisamente assottigliando rispetto a quelli corposi del gold standard
classico). Gli Stati Uniti e la Francia insieme assorbivano il 53% delle riserve
auree esistenti (Eichengreen 1990, tabella 10.1). Come paesi in surplus essi
potevano permettersi, violando le regole del gioco, di sterilizzare gli afflussi di
oro e mantenere inalterata la base monetaria interna. Al tempo stesso i paesi in
deficit vedevano diminuire le proprie riserve auree ed erano costretti a contrarre la
propria base monetaria interna con le nefaste conseguenze che abbiamo visto
sull'economia reale. Questo problema si ripresentò poi in maniera diversa anche
nel sistema di Bretton Woods.
La seconda questione affrontata dalla letteratura è quello della liquidità del
sistema. Un sistema rigidamente ancorato alle riserve auree dipende chiaramente
in maniera eccessivamente vincolante dall'offerta di oro disponibile sul mercato.
Tale offerta è chiaramente estremamente rigida e vincolata alla scoperta di nuovi
giacimenti minerari. Il gold exchange standard per economizzare le riserve auree
prevedeva che la periferia del sistema detenesse a riserva le valute ancora del
23 Questi sono i classici difetti attribuiti anche al sistema di Bretton Woods classico (Bordo 1992).
84
sistema, la sterlina in primis. Il paese emittente della valuta chiave del sistema
doveva provvedere a fornire la quantità di moneta richiesta. Facendo ciò però il
rapporto tra quantità di valuta in circolazione e riserve aure si innalzava e i paesi
della periferia cominciavano a temere per la solvibilità del paese leader. Questo
altro non è che lo stesso paradosso di Triffin (Triffin 1960) che l'economista belga
teorizzò a proposito del sistema di Bretton Woods. Il sistema monetario degli anni
'30 per funzionare correttamente necessitava di liquidità che poteva essere fornita
solo a discapito della credibilità di debitore del paese leader.
L'ultimo punto trattato è strettamente connesso al precedente e riguarda
appunto la perdita di fiducia nella capacità del paese leader di essere un creditore
affidabile nei confronti del resto del mondo. Dopo che la sterlina abbandonò il
gold exchange standard molti capitali defluirono dalla Gran Bretagna per
accasarsi nel nuovo “safe heaven” dell'epoca, ovvero il dollaro. La divisa
americana era ormai pronta per prendere il posto della valuta britannica come
moneta di riferimento per gli scambi internazionali e solamente la crisi del 1929
che colpì gli Usa ritardò questa transizione. Il passaggio non è stato però
certamente indolore. Il vecchio centro del sistema, il Regno Unito, messo sotto
pressione dalla crescente fuga di capitali, si ritrovò indebolito. In questi casi
(Bordo 1992) il rischio che tale paese possa diventare l'epicentro della crisi è
piuttosto elevato contagiando poi tutto il sistema.
85
Osservando gli spread tra i consolidati inglesi e gli equivalenti titoli a lungo
termine emessi dal governo americano si evince che negli anni a cavallo tra le due
guerre i titoli americani abbiano goduto di tassi d'interesse più bassi rispetto a
quelli britannici. Probabilmente è proprio in questo lasso di tempo che il dollaro
comincia a sopravanzare la sterlina come valuta di riserva internazionale
(Eichengreen 2005).
Figura II.3.3: differenziale tra i consolidati e i titoli di stato americano
trentennali, 1920-1944.
spread tassi uk e Us
.Fonte: H. Sidney, R. Sylla, (1995) storia dei tassi d'interesse pagine 621,622,623.
86
19
44
19
42
19
40
19
38
19
36
19
34
19
32
19
30
19
28
19
26
19
24
19
22
1,6
1,4
1,2
1
0,8
0,6
0,4
0,2
0
-0,2
19
20
punti percentuali
Spread tassi uk e Us, 1920-1944
87
CAPITOLO III
IL SISTEMA MONETARIO DI BRETTON WOODS
III.1) la nascita del sistema sistema di Bretton Woods.
Ancor prima della fine del secondo conflitto mondiale, Stati uniti e Gran Bretagna
cominciarono a sedersi al tavolo delle trattative per cercare di definire i futuri
equilibri dello scacchiere mondiale. Uno dei temi centrali delle trattative fu quello
di come ricostruire un sistema monetario che potesse garantire stabilità e lo
sviluppo del commercio internazionale. Si cercò soprattutto di eliminare le cause
intrinseche di debolezza che portarono al collasso del sistema del gold exchange
standard adottato ufficiosamente da molte nazioni nel periodo a cavallo tra i due
conflitti. Il sistema che si stava architettando doveva dunque garantire una
maggiore stabilità dei tassi di cambio, un aggiustamento simmetrico tra i paesi in
surplus di bilancia dei pagamenti e quelli in deficit, negare la possibilità di
svalutazioni competitive a discapito degli altri paesi e garantire appieno gli
equilibri macroeconomici interni senza farli entrare in conflitto con quelli esterni
(Bordo 1992).
le trattative, che avvennero nella cittadina americana di Bretton Woods, nel
New Hampshire, videro la partecipazione di una delegazione britannica, guidata
da John Maynard Keynes, e di una statunitense capeggiata da Hanry Dexter
White. Lo scenario mondiale e i rapporti di forza tra le nazioni che le due
88
delegazioni si trovarono a fronteggiare era decisamente mutato rispetto a quello
del secolo precedente. L' Europa continentale usciva a pezzi dal conflitto così
come pure il Giappone. Ad est minacciosamente l' Unione Sovietica iniziava la
sua ascesa a potenza mondiale.
Il fatto sicuramente più eclatante fu però sicuramente il cambio di leadership ai
vertici del potere mondiale con l'ascesa inarrestabile degli Stati Uniti ed il lento
ma inesorabile declino della Gran Bretagna che era stata la potenza egemone nei
precedenti centocinquanta anni.
Il Regno Unito uscì pesantemente indebitato dal conflitto, sia nei confronti
degli altri paesi del Commonwealth sia, anche se in misura minore, nei confronti
degli Stati Uniti i quali a loro volta si ritrovarono ad essere una nazione creditrice
netta nei confronti del mondo. Durante le trattative emerse la volontà da parte
delle autorità britanniche di continuare, forse un po' presuntuosamente,a
perseguire una politica di piena occupazione incuranti delle conseguenze sulla
bilancia dei pagamenti. Volevano inoltre mantenere il Commonwealth, ricevere
assistenza per la ricostruzione e ottenere condizioni meno stringenti per la
restituzione dei prestiti che le erano stati concessi (Bordo 1992).
Dal canto loro gli Stati Uniti puntavano ad ottenere un accordo che rilanciasse
il più in fretta possibile il commercio internazionale soprattutto puntando ad una
progressiva eliminazione dei dazi e degli accordi bilaterali tra i paesi che si erano
89
andati affermando sin dagli inizi degli anni trenta. (Gardner, 1969, capitolo I e II).
Di fronte a queste due diverse concezioni e richieste da parte della politica, le
due delegazioni arrivarono a formulare due piani distinti su come riorganizzare il
sistema monetario internazionale.
Il piano Keynes24 (Keynes 1943) focalizzava la sua attenzione sul come fornire
un' adeguata liquidità internazionale per garantire una crescita economica stabile e
costante nel tempo cosa che secondo l'autore era stata una delle cause alla base del
collasso del gold standard degli anni '20. L'essenza del piano consisteva nella
creazione di una camera di compensazione internazionale (ICU, dall'inglese
international clearing union)che fosse in grado di emettere una valuta
internazionale denominata bancor. Il bancor a sua volta era agganciato ad una
parità fissa in termini di oro. Il piano keynesiano prevedeva inoltre che le banche
centrali dei paesi membri del nuovo sistema internazionale conferissero all' ICU
parte dei propri attivi domestici, sia riserve auree che valutarie, e che detenessero
un conto in bancor presso questa istituzione e che i regolamenti tra paesi
avvenissero tramite una diminuzione o un aumento dei confronti della camera di
compensazione. Un paese in deficit con la bilancia dei pagamenti avrebbe visto
diminuire le proprie attività nei confronti dell' ICU mentre un paese in surplus
avrebbe viste aumentare la sua posizione creditizia.
24 In appendice viene presentata una descrizione più dettagliata del funzionamento del piano
keynesiano.
90
Nel caso in cui un paese in deficit non disponesse di adeguate riserve in bancor
la camera di compensazione poteva erogare dei prestiti per poter garantire il
corretto funzionamento del sistema. Ovviamente i tassi d'interesse diventavano
sempre più onerosi mano a mano che la quota di indebitamento aumentava di
modo da disincentivare i paesi a mantenere dei deficit di bilancia dei pagamenti
oltre il tempo strettamente necessario a ristabilire l'equilibrio. Il piano Keynes
prevedeva inoltre che un paese potesse come extrema ratio svalutare la propria
valuta se il deficit della bilancia dei pagamenti fosse stato strutturale e non legato
a dinamiche di breve periodo. Dal canto loro i paesi in surplus erano coinvolti nel
processo di aggiustamento con misure di espansione del credito, rivalutazione
delle proprie valute, diminuzione delle tariffe e dei dazi sulle importazioni,
concessioni di prestiti internazionali. Il piano prevedeva inoltre pervasivi controlli
di capitale, sia in entrata che in uscita, in particolare nei confronti dei movimenti
a breve termine con fini prettamente speculativi.
Keynes aveva infatti compreso, probabilmente prima e meglio dei suoi
contemporanei, che l'asimmetria degli aggiustamenti tra i paesi in deficit e quelli
in surplus era stato il vero vulnus del gold standard. Un paese in una cronica
posizione di deficit della bilancia dei pagamenti rischiava infatti di esaurire ben
presto le sue riserve ufficiali e di dover ricorrere ad una pesante quanto repentina
svalutazione. Un paese in surplus invece poteva tranquillamente sterilizzare le
91
variazioni indesiderate degli attivi esteri, e dunque non aggiustarsi rispetto al
sistema, tramite movimenti uguali ma di segno opposto sul lato domestico degli
attivi. I controlli di capitali erano proprio finalizzati a sventare eventuali attacchi
speculativi sui paesi in deficit della bilancia dei pagamenti.
Il piano White (White 1943) puntava maggiormente l'attenzione sulla stabilità
dei tassi di cambio piuttosto che sul problema della liquidità internazionale. Ogni
paese si impegnava a stabilire una parità con una unità di conto internazionale,
detta unitas. Ogni membro era dunque obbligato a mantenere la parità con questa
unità di conto. In caso di squilibri cronici della bilancia dei pagamenti, la nazione
in questione doveva chiedere il permesso agli altri paesi membri prima di
procedere con una svalutazione della propria valuta . Per essere più precisi,
svalutazioni nell'ordine del 10% potevano essere effettuate previa comunicazione
agli altri membri del sistema (Bordo 1992). Svalutazioni di portata più consistente
dovevano essere approvate dai ¾ delle nazioni aderenti.
Fu pensata l'istituzione di una organizzazione internazionale in grado di
garantire prestiti ai membri che risultavano carenti di liquidità internazionale, ai
paesi
momentaneamente
in
difficoltà,
con
modalità
progressivamente
disincentivanti come quelle previste dall' ICU keynesiano. Richieste di
aggiustamento più lasche e meno pressanti furono imposte ai paesi creditori più
di quanto non prevedesse il piano Keynes.
92
Venne fuori un compromesso, quello che Keynes definì “il cane bastardo”, tra i
due piani previsti dai due economisti che sfociò nel Articles of agreement of the
international monetary fund (22 Luglio 1944) in cui però le istanze della
delegazione americane assunsero un peso preponderante. La linea di Keynes fu
sostanzialmente bocciata e la richiesta di creare una clearing house internazionale
fu definitivamente accantonata.
Non si trattava però di una bocciatura delle idee keynesiane, che anzi oggi
vengono riabilitate e riportate alla ribalta sia dai tecnici (Xiaochuan 2009) che
dagli accademici (Alessandrini e Fratianni 2008), ma semplicemente si sancirono i
nuovi rapporti di forza tra gli Stati Uniti, la vera potenza vincitrice della guerra, e
la Gran Bretagna, ormai avviata verso un lento quanto inesorabile declino rispetto
ai fasti del secolo precedente.
I punti salienti e i temi toccati dall'articolo possono essere così riassunti:
•
Determinazione delle parità tra le varie valute
•
Funzionamento multilaterale del sistema dei pagamenti
•
La gestione delle risorse del Fondo
•
Il potere di intervento del Fondo stesso
•
la sua organizzazione
Come abbiamo già detto in precedenza, ogni paese aderente al sistema monetario
93
doveva dichiarare una parità con le altre valute ed impegnarsi ad intervenire sul
mercato valutario per mantenerla nel tempo entro una banda di oscillazione di +/1% rispetto alla parità stessa. Svalutazione per un importo inferiore al 10% erano
concesse liberamente previa comunicazione agli altri paesi aderenti. Svalutazioni
di importi superiori dovevano essere ratificate dal Fondo.
Svalutazioni unilaterali erano sanzionate con l'impossibilità di accedere a
prestiti del Fondo Monetario ed in caso di reticenza potevano portare
all'esclusione permanente della nazione dall'organizzazione. Infine una modifica
permanente delle parità di tutte le valute nei confronti dell'oro doveva essere
ratificata
dalla
maggioranza
qualificata
dei
votanti
e
doveva
essere
successivamente approvata da tutti i paesi con una quota nel Fondo superiore al
10%. Come si può notare questo punto è fortemente influenzato dalle posizioni di
White piuttosto che da quelle keynesiane.
Un' altra clausola imponeva ai paesi di mantenere la convertibilità delle proprie
valute per regolare le transazioni della bilancia commerciale ma al tempo stesso
era concesso di mantenere controlli sui capitali in entrata ed in uscita. Era un
tentativo di mantenere un sistema di pagamenti multipolare non accentrando il
ruolo di valuta internazionale sulle spalle di una singola divisa.
Un altro punto dirimente era quello della gestione delle risorse del Fondo e
della loro successiva assegnazione nel momento di un eventuale intervento. Il
94
totale del capitale del Fondo stabilito ammontò a circa nove miliardi di dollari
composti per ¼ da oro e per i restanti ¾ in riserve ufficiali (Bordo 1992). Il Fondo
impose una serie di restrizioni e una serie di vincoli per l'uso delle risorse per i
paesi in disavanzo della bilancia dei pagamenti in modo da impedire che esso
potesse accumulare una quantità ingente di monete deboli esaurendo
contemporaneamente le sue riserve di valute pregiate. Il Fondo poteva poi
decidere in che valuta i paesi membri dovevano saldare i propri debiti. Nel caso di
valute legate a paesi con un ampio avanzo di partite correnti poteva scattare la
clausola di scarce currency ( articolo VII ). Se il Fondo dichiarava una valuta
scarsa e insufficiente a sostenere la domanda degli altri paesi esso poteva
razionarne l'uso sul mercato tramite misure di controllo sui tassi di cambio.
Per far rispettare tutte queste condizioni il Fondo doveva disporre di un
notevole di intervento e, nel caso di inadempienze dei paesi, sanzionatorio. Il
potere di questa autorità prevedeva tra le altre cose approvare e disapprovare i
seguenti eventi:
•
cambiamenti della parità
•
controlli sui tassi di cambio
•
concessione dei prestiti e le condizioni di emissione
•
dichiarare una valuta scarsa
95
•
potere di dichiarare un membro interdetto alle risorse del Fondo
•
estromettere una nazione dall'organizzazione
Con grande rammarico di Keynes e dello stesso White, il Fondo ebbe un'
influenza decisamente limitata nel poter intervenire nelle questioni riguardanti la
politica fiscale interna dei singoli paesi ma, vedendo le difficoltà e la diffidenza
che persistono ancora oggi nel cedere parte del controllo delle politiche interne ad
una organizzazione sovranazionale, non stupisce che le idee dei due fossero
probabilmente troppo ambiziose per i governanti dell'epoca.
III.2) Il funzionamento del sistema di Bretton Woods tra 1946 ed il 1958.
Il lasso di tempo che occorse al sistema di Bretton Woods per diventare
pienamente operativo fu decisamente lungo, sicuramente si protrasse molto di più
di quanto i suoi due ideatori avessero immaginato.
Il periodo di pre-convertibilità delle valute fu uno dei periodi più difficili della
seconda metà del XX secolo. Le economie europee e quella giapponese uscirono
devastate dal conflitto bellico e pesantemente indebitate. Il deficit dei paesi
aderenti a quello che poi sarebbe diventato l' OECD raggiunse un picco di 59
miliardi di dollari nel 1947 (Vedi Triffin 1957, pag 329) che ammontava
pressapoco al surplus che contemporaneamente gli Stati Uniti avevano
accumulato nei confronti del mondo (Vedi Bordo 1992 figura 12) essendo l'unico
96
paese industrializzato ad aver mantenuto inalterata la propria capacità di
produzione industriale. Il fatto di essere un paese in forte surplus portò ad una
mancanza di dollari sul mercato e, in virtù del ruolo di unica valuta convertibile
con l'oro, ad una conseguente scarsità di liquidità del sistema.
La soluzione a questo problema era tanto semplice e ovvia quanto di
complicata attuazione. I paesi europei dovevano essere in grado di generare dei
surplus cosa che, alla luce della ridotta capacità industriale post bellica, essi non
erano più in grado di compiere adeguatamente. La scarsità di liquidità
internazionale era ulteriormente aggravata dalle parità stabilite basandosi sui
valori pre-bellici (Bordo 1992, figura 2) che erano eccessivamente sopravvalutate
e che danneggiavano ulteriormente le già traballanti esportazioni europee.
Si decise dunque di fornire un adeguato supporto all'industria europea e di
ricostruire a poco a poco la sua capacità produttiva. Tutto questo sfociò nel
cosiddetto piano Marshall per l' Europa.
Il piano Marshall, nel periodo che va dal 1948 al 1952, fornì all' Europa
Occidentale i capitali necessari ( Quasi 13 miliardi di dollari, una cifra enorme,
vedi Milward 1984) per puntellare le economie domestiche, ripristinare la propria
capacità di esportare e ricostituire dunque le proprie riserve in valuta pregiata.
Alla fine del 1952 la capacità industriale dei paesi europei migliorò del 39% e
sfociò infine in surplus di partite correnti ( vedi Solomon 1976 pag 18). Si può
97
dunque dire (Eichengreen e Uzan 1991) che il piano Marshall aumentò in maniera
permanente il tasso di crescita dei paesi che ricevettero gli aiuti senza però passare
per i soliti canali di spesa pubblica ma tramite un aumento permanente del tasso di
produttività dei paesi in questione cercando dunque di intervenire sui deficit
strutturali di tali paesi.
Il problema delle parità sopravvalutate si risolse molto semplicemente con una
serie di svalutazioni delle principali valute per raggiungere livelli di parità che
rispecchiassero in nuovi rapporti di forza tra le valute di queste nazioni. Tra le
principali svalutazioni di questo periodo annoveriamo quella del franco francese
nel 1947, quella per certi aspetti clamorosa ed inaspettata della sterlina inglese nel
194925 e la altrettanto sorprendente decisione del Canada nel 1950 di lasciare
fluttuare liberamente sul mercato dei cambi la sua moneta.
La svalutazione della sterlina poc'anzi annunciata diede un pesante colpo alle
ambizioni di quest'ultima come valuta di riserva (Bordo 1992 e Eichengreen
1991). Per un certo periodo infatti si pensava che la sterlina avrebbe comunque
mantenuto il suo status di valuta internazionale in coabitazione con il dollaro. C'è
da dire che molto spesso la posizione della sterlina come valuta di riserva viene
sopravvalutata in quanto una ingente quantità di sterline detenute a riserva
proveniva dai paesi del Commonwealth i quali erano legati alla Gran Bretagna da
25 La svalutazione del Settembre del 1949 portò la sterlina a svalutarsi nei confronti del dollaro da
1£=4,08$ a 1£=2,8$.
98
un legame molto stretto, soprattutto in termini militari, in virtù del quale essi
decisero di non abbandonare la sterlina al proprio destino, almeno in un primo
momento (Bordo 1992).
Al di fuori dei confini del Commonwealth il dollaro americano aveva già
soppiantato ampiamente la sterlina come valuta di riserva internazionale. Grazie
alla quota di ricchezza detenuta sul totale mondiale e grazie soprattutto al suo
mercato di capitali così aperto e liquido, il dollaro americano emerse dapprima
come valuta di riserva e di scambio privilegiata tra gli operatori privati. Era prassi
per gli esportatori ed importatori dell'epoca fatturare le proprie transazioni in
dollari. Quasi contemporaneamente il dollaro assunse il ruolo di rifermento anche
nell'ambito degli operatori ufficiali come le banche centrali le quali sempre più
spesso decidevano di intervenire sul mercato dei cambi in dollari al fine di
mantenere inalterate le parità dichiarate.
III.3) Il periodo di piena convertibilità tra il 1959 ed il 1967.
Nel Dicembre del 1958, dopo più di un decennio dalla sua ideazione, il sistema di
Bretton Woods poté finalmente operare a pieno regime. Come stabilito dagli
accordi originari, ogni paese si impegnava a mantenere una parità fissa con le altre
valute entro una banda di oscillazione la quale nel frattempo era passata dall' 1%
dell'accordo originario ad un 2%. Il ministero del Tesoro americano si impegnava
99
inoltre a garantire la convertibilità del dollaro ad un tasso fisso di 35$ per un'
oncia di oro.
Questo fatto ancorava indirettamente le varie valute alle riserve auree, usando
come tramite il dollaro americano. L'arbitraggio triangolare tra oro, dollaro e la
valuta di un paese terzo rendeva possibile il mantenimento dell'equilibrio tra
queste tre componenti. Pervasivi controlli ai capitali in entrata ed in uscita erano
presenti in quasi tutti i paesi in modo da prevenire destabilizzanti attacchi
speculativi sulle valute dei paesi che presentavano accentuati deficit di partite
correnti.
Il sistema di Bretton Woods, nel corso dei dodici anni che intercorsero tra la sua
ideazione e la sua effettiva entrata a regime, mutò de facto in maniera piuttosto
consistente. L'idea che ogni valuta dovesse essere trattata in maniera paritaria
rispetto alle altre ben presto lasciò di fatto il posto ad un realtà in cui il dollaro era
decisamente preponderante ( il cosiddetto dollar exchange standard Bordo 1992).
Inoltre in questo periodo il declino della sterlina divenne sempre più evidente ed
accentuato. Come già accennato in precedenza, una crescita consistente del tasso
d'inflazione ad inizio degli anni '60 (Bordo 1992 ma anche tabella 17) portò la
sterlina ad essere usata solo nell'ambito degli scambi tra i paesi membri del
Commonwealth per poi essere abbandonata anche da questi ultimi paesi quando la
moneta britannica venne svalutata nuovamente nel 1967.
100
Una seconda evidente differenza con la stesura originale era il passaggio da un
sistema di parità fisse ma al tempo stesso aggiustabili ad un sistema rigidamente a
cambi fissi. Questo era accaduto perché le autorità monetarie dei vari paesi si
erano rese conto di come la probabilità di un attacco speculativo fosse più elevata
in un sistema in cui era tutto sommato abbastanza agevole fare una svalutazione
moderata della propria valuta. In questo sistema era molto più conveniente
mantenere un tasso fisso e svalutare solamente quando questo evento non era più
assolutamente prorogabile. Evolvendo da un sistema a cambi flessibili ad uno a
cambi fissi, esattamente come prevedeva il gold exchange standard, non stupisce
certo che si ricadde nuovamente nei sui stessi difetti originari che sia White che
Keynes avevano cercato in tutti i modi di correggere. I tre problemi, di cui
abbiamo già detto, ma che negli anni '60 si ripresentarono in una nuova veste,
sono quelli dell' aggiustamento, della liquidità e della fiducia.
III.4) I problemi dell' aggiustamento, della liquidità e della fiducia.
Il problema dell'aggiustamento del sistema di Bretton Woods può essere scisso in
due distinte problematiche. Da una parte vi era la differenza tra il fardello
dell'aggiustamento che il sistema prevedeva per i paesi in surplus rispetto a quello
più marcato e pericoloso per quelli in deficit. Dall'altro lato il sistema dollaro
centrico che si era andato affermando nel corso del tempo permetteva agli Stati
101
uniti di non aggiustare i suoi squilibri con l'estero e di essere un forza esogena
rispetto al sistema. Per quanto riguarda il primo problema ci focalizzeremo su due
esempi, quello della Gran Bretagna, all'epoca paese in deficit, e quello della
Germania, paese in surplus con la bilancia dei pagamenti, completamente opposti
che meglio di altri esemplificano la diversità di aggiustamento tra i paesi in
disavanzo e quelli in avanzo.
III.4.1) La Gran Bretagna
La Gran Bretagna degli anni '60 era un paese in deficit della bilancia dei
pagamenti causato dalle politiche monetarie e fiscali espansive che le autorità
implementavano con l'obbiettivo di garantire la piena occupazione nel mercato del
lavoro britannico. Le politiche espansive portavano inevitabilmente ad un
aumento delle pressioni inflative, ad un peggioramento dei conti con l'estero e ad
un assottigliamento delle riserve ufficiali, cedendo al mercato valuta estera, in
questo caso dollari, e ritirando valuta domestica dal mercato, con il fine di
mantenere il tasso di cambio all'interno delle bande di oscillazione consentite ed
evitare dunque azioni speculative contro la valuta britannica (Bordo 1992).
Gli anni '60 furono un calvario per la sterlina sottoposta a continui e logoranti
attacchi speculativi che culminarono con una svalutazione nel Novembre del
1967. La chiusura del canale di Suez in seguito alla guerra dei sei giorni (5
Giugno 1967, 11 Giugno 1967) alimentò una pesante speculazione sulla sterlina.
102
Tre miliardi di aiuti da parte del fondo non furono sufficienti ad evitare una
svalutazione di oltre il 14%26 (Caincross e Eichengreen 1983). La svalutazione
della sterlina del 1967 pose fine al suo utilizzo come valuta di riserva
internazionale anche da parte di quelle banche centrali appartenenti al
Commonwealth che fino a quel momento avevano mantenuto considerevoli quote
di attività nella valuta britannica (Bordo 1992). La crisi della sterlina del 1967
fece capire più chiaramente come un paese con un deficit cronico di partite
correnti poteva essere forzato ad aggiustare i propri equilibri con l'estero tramite
una repentina quanto brutale svalutazione della valuta domestica.
Il vero problema era che nel tentativo di difendere strenuamente il proprio tasso
di cambio dalle mire degli speculatori, la banca centrale di un paese in deficit
andava dilapidando una enorme quantità di riserve ufficiali in valuta pregiata. Alla
fine della crisi dunque l'istituto centrale in questione si ritrovava comunque con
una moneta svalutata e con un enorme spreco di risorse difficilmente ripristinabile
in tempi brevi. Inoltre il tentativo di difesa ad oltranza del tasso di cambio era
accompagnato da un rialzo dei tassi d'interesse interni da parte della banca
centrale con il preciso scopo di tamponare la fuga di capitali verso l'estero. Questo
rialzo dei tassi non poteva certo non avere conseguenze negative sulla crescita
interna ed in definitiva sull'occupazione.
26 La sterlina passò dunque da un valore di 1£=2,8$ ad uno di 1£=2,41$.
103
III.4.2) La Germania.
All'estremo opposto della Gran Bretagna si trovava sempre durante gli anni '60 la
Germania Ovest. Un rapido aumento del tasso di crescita coniugato con un tasso
d' inflazione relativamente basso rispetto agli altri partners commerciali permise al
paese di accumulare un cospicuo surplus nei propri conti con l'estero.
Il problema della Germania non risiedeva certo nella possibile fuga di capitali
con conseguente deprezzamento del marco, quanto piuttosto in un eccessivo
afflusso di capitali che ne facesse salire la domanda con conseguente pressioni
speculative su una possibile rivalutazione. Per mantenere la parità prefissata la
Bundesbank doveva acquistare sul mercato dei cambi la quantità di dollari in
eccesso immettendo sul mercato il loro controvalore in marchi. Così facendo però
il paese si esponeva ad un aumento indesiderato della base monetaria interna ed in
ultima istanza si creavano i presupposti per un rialzo delle attese future di
inflazione. Parte di questo aumento sgradito della base monetaria veniva
sterilizzato dalle autorità monetarie tedesche tramite operazioni di mercato aperto
di vendita di titoli di stato domestici per riassorbire parte della base monetaria.
Un'altra soluzione, effettivamente molto usata, era quella di imporre severi
vincoli e restrizioni sui capitali in entrata. Quando però anche i controlli sui
capitali non furono più sufficienti, la Germania dovette rivalutare del 5% il marco
nel 1961. Come possiamo vedere, l'aggiustamento di un paese in surplus è
104
certamente meno doloroso di quello di un paese in deficit. Dopo che la Germania
rivalutò il marco, la sua posizione nei confronti con l'estero non mutò e le sue
esportazioni non ne furono danneggiate in maniera sensibile (Obstfeld 2007).
Aprendo una breve finestra sul presente, questa è una delle esperienze storiche che
si portano all'attenzione quando si vuole incoraggiare la Cina ad allentare la sua
politica di tasso fisso con il dollaro e di permettere un rivalutazione della sua
moneta senza per ciò danneggiare le proprie esportazioni (Obstfeld 2007).
Le autorità tedesche attribuivano la maggior parte dei problemi del sistema
monetario internazionale all' inflazione che i paesi erano costretti ed “importare”
dall'esterno, in particolar modo dagli Stati Uniti. Questo problema è strettamente
legato a quello dell'aggiustamento (o per meglio dire, del mancato aggiustamento)
del paese emittente la valuta di riserva.
III.4.3) L'asimmetria dell'aggiustamento degli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti cominciarono a presentare un deficit nella bilancia dei pagamenti a
partire dal 1958 che si protrasse, tranne che nel 1968-1969, fino alla fine del
sistema a cambi fissi (Bordo figura 18 per il 1958 e 1959, tabella n 3 in
appendice). Sempre dalla figura in questione si evince come però il paese
presentasse contemporaneamente un surplus di partite correnti mantenuto
praticamente per tutto il periodo. Il deficit di bilancia dei pagamenti era dunque
causato da un deflusso di capitali verso l'estero non compensato a sufficienza dalle
105
esportazioni americane. Due questioni distinte emersero connesse al deficit della
bilancia dei pagamenti americana.
Il primo problema era chiaramente legato al declino della fiducia che le autorità
americane fossero effettivamente in grado di garantire la convertibilità dei dollari
sparsi nelle banche centrali di tutto il mondo. A questo era legata la convinzione
che il deficit di bilancia dei pagamenti statunitense non poteva essere riassorbito
senza che nel sistema si generasse un crisi di liquidità. Da tutto ciò scaturivano le
perplessità dei paesi europei, in particolare di Francia e Germania. Come paese
emittente di valuta di riserva gli Stati Uniti erano esonerati dall'aggiustare la
propria economia in funzione degli squilibri con l'estero. Era prassi per la Federal
Reserve sterilizzare i flussi di capitali in uscita con l'immissione di nuova liquidità
nel sistema impedendo ai tassi americani di alzarsi, all'economia di contrarsi ed in
ultimo al deficit di riassorbirsi. La domanda internazionale di dollari, essendo la
valuta di riserva, non diminuiva mai e ciò permetteva agli Stati Uniti di scaricare
il fardello dell'aggiustamento, tramite “esportazione” di inflazione, sui paesi in
surplus.
Una politica di disavanzo eccessivo sarebbe stata punita dagli speculatori con
una fuga di capitali dal paese ed in ultima istanza da una svalutazione come nel
caso precedentemente analizzato della Gran Bretagna. Il fatto di emettere valuta
accettata internazionalmente metteva gli Stati Uniti al riparo da questa eventualità.
106
Molti economisti sostengono che il deficit di bilancia dei pagamenti americano
non sia mai stato un problema e che esso non lo sia in realtà nemmeno oggi
(Bernanke 2005). Il resto del mondo infatti volutamente vuole detenere dollari e
finanziare il deficit americano perché trova nel mercato di capitali americano
caratteristiche non riscontrabili da nessuna altra parte.
In questo contesto gli Stati Uniti erano considerati durante gli anni '60 il
“banchiere del mondo” (Despres, Kindleberger e Salant 1966), capaci di attirare
capitali a breve termine da ogni parte del mondo e reinvestire, sia all'interno che
all'estero, a scadenze più lunghe. Come ogni buon intermediario bancario gli Stati
Uniti lucravano sulla differenza tra il costo di indebitarsi a breve termine
sull'estero, un costo esiguo visto la costante ed elevata domanda di attività in
dollari, e il ritorno sui propri investimenti a lunga scadenza. Questa politica di
disinteresse nei confronti del deficit con l'estero viene definita di “benign neglect”
in quanto la mancanza di attenzione da parte delle amministrazioni americane nei
confronti del proprio deficit permetteva ai restanti paesi del mondo di ottenere la
liquidità necessaria per finanziare le propria crescita economica.
III.4.4) I problemi della liquidità e della fiducia.
Gli altri due problemi, quello della liquidità e quello della fiducia, sono in ogni
caso strettamente legati al problema del mancato aggiustamento da parte degli
Stati Uniti.
107
Triffin (Triffin 1960) sosteneva che la mancanza di liquidità che cominciò a
manifestarsi ad inizio degli anni '60 era strettamente legata all'inadeguatezza della
quantità di riserve auree presenti nel sistema. Vincolare l'offerta di moneta
all'offerta di un bene, l'oro, che per sua natura tende ad essere abbastanza rigida
significava creare un sistema in cui la carenza di liquidità era endemica. Come
abbiamo detto il “benign neglect” degli Stati Uniti permise dunque di far fronte a
questa carenza di liquidità. Questo comportamento simultaneamente però andava
ad erodere il rapporto tra le passività emesse in dollari e le quantità di riserve
auree detenute dagli Stati Uniti. Più questi ultimi fornivano la liquidità necessaria
al funzionamento del sistema più essi diminuivano la propria capacità di
convertire i dollari in circolazione in oro come prevedevano gli accordi originali
di Bretton Woods. E' il cosidetto “paradosso di Triffin” (Triffin 1960).
III.5) I primi segnali della crisi.
Segnali di possibili avvisaglie di crisi divennero sempre più frequenti nel corso
della seconda metà degli anni '60. Nell'Ottobre del 1960 la speculazione spinse il
prezzo dell'oro presso il mercato di Londra sopra i 40$ l'oncia contro un cambio
ufficiale da parte del tesoro americano di circa 35$ per oncia (Bordo 1992).
Immediatamente si temette una corsa alla conversione dei dollari in circolazione
in oro ed ad una repentina diminuzione di delle riserve auree americane. Rapidi
108
provvedimenti furono presi da parte delle banche centrali dei maggiori paesi per
stabilizzare il prezzo dell'oro intorno alla parità ufficialmente dichiarata. Il
cosiddetto gold pool, che si formò ufficialmente nel novembre del 1961, riuscì a
stabilizzare il prezzo dell'oro sul mercato ma non riuscì ovviamente a tamponare il
declino delle riserve auree americane rapportate alle loro passività fintanto che gli
Stati Uniti continuavano a presentare deficit di bilancia dei pagamenti.
Al di là dell'esempio di positiva collaborazione offerto dal gold pool, gli anni
'60 furono caratterizzati da due forze che andarono a minare il legame tra l'oro ed
il dollaro. La prima fu la crescente scarsità del metallo pregiato, la seconda,
l'inizio di un periodo di crescita inflativa negli Stati Uniti (Bordo 1992). La
produzione di oro si andò a stabilizzare ad inizio degli anni '60 ed iniziò a
declinare nel 1966 (vedi Bordo 1992 figura 21). Contemporaneamente la domanda
privata di oro iniziò ad aumentare (Bordo figure 22 e 27) tanto che il gold pool
diventò un venditore netto di riserve auree nel 1966 per prevenirne un aumento di
prezzo.
Sempre in quegli anni l' amministrazione democratica del presidente Johnson
diede inizio ad una politica economica definita di “guns and butter” che
consisteva in un aumento della spesa sia per quanto concerneva la sfera sociale sia
per quello che riguardava l'impegno americano in Vietnam (1962-1975). Il
conseguente aumento della base monetaria portò ad un aumento dell'inflazione
109
(Bordo 1992, figura 1 e 28) e ad un ulteriore peggioramento della bilancia dei
pagamenti e, novità della seconda metà degli anni '60, anche il conto corrente
andò in disavanzo nel 1964. Nello scenario appena descritto non vi è alcun
meccanismo che costringa il paese leader del sistema, in questo caso gli Stati
Uniti, a portare avanti una politico monetaria quanto più stabile possibile.
Questo fatto, a partire dalla seconda metà degli anni '60, creò dei pesanti
malumori tra i paesi europei che mal sopportavano di doversi accollare il peso
dell'aggiustamento americano sotto forma di inflazione importata. Tra i critici più
accaniti verso la politica americana di “benign neglect” vi era il presidente
francese Charles De Gaulle che più volte minacciò di convertire in oro i dollari
detenuti a riserva dalla Banque de France.
III.6) Il collasso del sistema di Bretton Woods.
A partire dal 1968 la pressione per un aggiustamento delle parità dei tassi di
cambio divenne insostenibile e ci furono numerosi e significativi riallineamenti
delle parità. Come abbiamo già detto, la Gran Bretagna svalutò la sterlina nel
1967. Di lì a poco anche la Francia seguì quella strada svalutando il franco di oltre
l' 11% nell' Agosto del 1969, seguita dalla Germania che nel mese di Settembre
dello stesso anno rivalutò il marco tedesco del 9%. Contemporaneamente ( vedi
tabella 3 in appendice) l' avanzo di conto corrente degli Stati Uniti iniziò a
110
deteriorarsi a partire dal 1968. Da questo momento le fuoriuscite di capitali dagli
Stati Uniti verso i paesi in surplus, specialmente la Germania, cominciarono a
divenire ogni giorno più consistenti. La base monetaria tedesca crebbe dal 6% al
12% nel 1971 ed il tasso d' inflazione passò dal 1,8% al 5,3% nello stesso anno
(Melzer, 1991, pag 73). Non potendo più tollerare tassi d'inflazione così elevati la
Germania decise di ricorrere all' extrema ratio e di sospendere dunque le
operazioni sul mercato monetario e di lasciare dunque fluttuare liberamente il
marco tedesco. Simili provvedimenti furono presi dai governi di Austria, Belgio,
Paesi Bassi e Svizzera (Solomon 1971 pag 179)
Nel 1971 per la prima volta (vedi tabella 3) il conto corrente degli Stati Uniti
virò verso il deficit (dopo che già dal 1958 la bilancia dei pagamenti era in
disavanzo) e da più parti si iniziò a ipotizzare una possibile svalutazione del
dollaro nei confronti dell'oro.
Sotto la minaccia francese e britannica di convertire tutte le riserve in dollari in
oro, il 15 Agosto del 1971 il presidente americano Richard Nixon annunciò di “to
suspend temporarily the convertibility of the dollar into gold or other reserve
assets...”27 accompagnando il tutto con un blocco di novanta giorni dei salari, una
tassa del 10% sulle importazioni e una tassa del 10% sul credito per investimenti.
19 mesi più tardi, nel Gennaio 1973, sparirono anche le parità aggiustabili tra le
27 “di sospendere temporaneamente la conversione del dollaro in oro o in altre attività di
riserva...”
111
varie valute ed il sistema di Bretton Woods ebbe ufficialmente termine.
III.7) La dominanza del dollaro: un' analisi empirica di cointegrazione (19601971).
Credo che ci siano ben pochi dubbi che il dollaro sia stata la valuta più usata e
trattata tra gli anni 1960 e 1971, grossomodo quelli della piena convertibilità del
sistema di Bretton Woods. La tabella 15 mostra come il suo ruolo come valuta
usata come riserva ufficiale sia progressivamente aumentato negli anni a partire
dalla metà degli anni '60. Nel 1965 le riserve in dollari rappresentavano il 56,1%
del totale. Alla fine del sistema di Bretton Woods la quota era salita al 64,5% e
dopo altri cinque anni al 79,2% del totale. Queste cifre sembrano non lasciare
adito ad alcun dubbio sui rapporti di forza tra le valute mondiali durante gli anni
'60 e '70. Un altro dato che emerge abbastanza chiaramente è l'abbandono della
sterlina come valuta di riserva dopo la svalutazione del 1967 passando da una
quota mondiale del 20% nel 1965 ad un misero 4,02% nel 1973. Se si fa un
confronto storico si nota immediatamente come il dollaro nel 1965 avesse una
posizione di dominanza maggiore rispetto a quella che aveva la sterlina nel 1913
(vedi tabella 15).
Anche osservando le statistiche descrittive dei tassi di interesse decennali (vedi
tabella 17) di cinque paesi che possiamo definire il centro del sistema, possiamo
112
notare come gli Stati Uniti abbiano di gran lunga i tassi più bassi dell'intero
periodo di riferimento confermando uno dei fattori caratterizzanti la dominanza di
una valuta.
Fatta questa premessa proveremo ora a stabilire la dominanza del dollaro
sfruttando un'analisi econometrica di cointegrazione di cui abbiamo parlato in
precedenza nel capitolo II.
III.7.1) La cointegrazione dei tassi decennali nominali.
Proveremo per prima cosa a vedere se vi sono delle relazioni di cointegrazione
bilaterali tra i tassi d' interesse nominali decennali tra gli Stati Uniti e Canada,
Francia, Gran Bretagna e Germania. La scelta dei tassi decennali è dovuta sia per
scelta obbligata, in quanto non sono disponibili dati per tassi d'interesse a minor
scadenza per il periodo antecedente al 1966 per tutti i paesi, sia perché il tasso
decennale rappresenta il tasso di riferimento quando si vuole analizzare il rischio
di insolvenza di un paese28. Se, come abbiamo visto nel capitolo II, una delle
determinanti che influisce sulla scelta della valuta di riserva internazionale è la
relativa sicurezza e stabilità di tale paese. Il tasso decennale, sia nominale che
reale, sembra dunque un buon riferimento per tale analisi.
Il primo passo, dopo aver verificato la presenza di una radice unitaria (vedi
28 Solitamente un indicatore di rischio molto semplice e molto usato è quello dello spread tra i
tassi decennali di un paese considerato sicuro e quello di un paese considerato invece a rischio.
Maggiore è la differenza maggiore è il rischio di insolvenza attribuito a tale paese.
113
tabella n 4) e la seguente scelta del numero dei ritardi del VAR da inserire sulla
medesima scia di quanto fatto per l'analisi dei tassi nel gold standard, è quello di
verificare l'effettiva presenza di relazioni di cointegrazione tra i suddetti tassi. I
risultati dei test di Johansen sono riportati nelle tabelle 5,6 e 7 in appendice.
Per quanto riguarda i tassi nominali il test di cointegrazione di Johnasen (per il
caso di costante non vincolata) suggerisce la presenza di relazioni di
cointegrazione tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna (livello di significatività del
5%), il Canada (livello di significatività del 5%) , la Francia (livello di
significatività del 10%) mentre non si riscontra nessuna relazione di
cointegrazione significativa con i tassi d'interesse tedeschi. I test di cointegrazione
nel caso di costante vincolata non modificano i risultati raggiunti anche se i livelli
di significatività peggiorano lievemente. Continueremo ora analizzando i risultati
per il caso di costante non vincolata anche se in appendice saranno riportati i
risultati per tutta la casistica.
Nella tabella 7 in appendice sono riportati i risultati delle stime prodotte per il
modello a correzione d'errore tra Stati Uniti e Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna
e Stati Uniti e Canada.
Quello che a noi interessa è verificare se i tassi statunitensi possono essere
considerati una forza esogena al sistema ovvero se possono influenzare tramite un
relazione di lungo periodo i tassi dell'altro paese senza venirne a loro volta
114
condizionati. Questo test, anche chiamato di esogeneità debole, e che prevede di
porre il coefficiente
 di lungo periodo legato agli Stati Uniti come nullo,
permette appunto di verificare questo scenario. Come riportato nel capitolo II
questo test viene eseguito mediante un test di rapporto delle verosimiglianze tra il
modello libero e quello vincolato. Se la differenza tra i valori delle due
verosimiglianze non è troppo marcata allora il modello vincolato è accettabile in
luogo di quello libero.
Dai risultati emerge che pur vincolando il coefficiente della matrice dei pesi
collegato agli Stati Uniti ad essere nullo, questo però non porta all'accettazione del
modello vincolato essendo il valore del test di rapporto di verosimiglianza troppo
elevato.
C'è da dire inoltre che i test di autocorrelazione e di eteroschedasticità
mostrano una significativa presenza di quest'ultima. In un'analisi di serie storiche
essa può stare ad indicare che il modello non è correttamente specificato e che vi
sia un'abbondante quantità di informazione non spiegata nel modello.
III.7.2) La cointegrazione dei tassi reali con inflazione attesa futura.
Riproveremo adesso inserendo nel modello a correzione di errore l' inflazione
attesa futura in modo da costruire dei tassi d'interesse reali ex ante. Un'analisi di
quelli ex post sarebbe infatti poco significativa. I mercati infatti fanno le loro
scelte sulle previsioni di inflazione e non sui valori passati.
115
I nostri tassi reali saranno costruiti sommando a quelli decennali la media del
tasso d'inflazione dei dodici mesi seguenti a quelli del mese di partenza. Si può
ovviamente anche operare una ulteriore distinzione nel caso si voglia considerare
valida oppure no l'equazione di Fisher che definisce i tassi reali come
ṙ = i̇ − ̇
dove
ṙ
nominali e
rappresenta la variazione dei tassi reali,
̇
i̇ la variazione dei tassi
la variazione del tasso di inflazione futura attesa. In caso di
assunzione di validità della relazione di Fisher il coefficiente legato all'inflazione
è da considerarsi unitario. In alternativa tale coefficiente sarà diverso dall'unità. In
appendice i risultati di entrambe le possibilità.
Per quanto riguarda i tassi d'interesse reali che implicano la validità
dell'equazione di Fisher possiamo vedere come non vi sia traccia di significative
relazioni di cointegrazione (Tabella 6).
Almeno una relazione di cointegrazione risulta essere presente per tutti i paesi
nel caso di tassi d'interesse reali in cui non viene assunta valida l'equazione di
Fisher (Tabella 7). Anche in questo caso però i vincoli imposti per testare
l'esogeneità dei tassi americani vengono sistematicamente rifiutati per tutti i paesi.
Inoltre il test LM-ARCH segnala la presenza di eteroschedasticità in varie
equazioni del sistema VECM.
116
III.7.4) L'analisi di Granger- causalità in un VAR cointegrato
Un approccio leggermente diverso può essere seguito, cercando di implementare
un test di Granger-causalità in un VAR cointegrato (Dolado e Lutkepohl 1996).
Utilizzando sempre le stesse serie storiche dei tassi nominali decennali tra il 1960
ed il 1961, è possibile eseguire un test di cointegrazione, questa volta multivariato,
e successivamente eseguire il test di Granger- causalità di cui sopra accennato.
Come riportato nella tabella 3 in appendice le serie storiche dei tassi sono
chiaramente non stazionarie e quindi adatte per un eventuale test di
cointegrazione. Le tabelle 10A e 10B mostrano come i tassi d'interesse decennali
mostrino una elevata significatività (1%) nell' aiutare ad esplicare eventuali
movimenti dei corrispettivi tassi negli altri paesi. Al contrario, i restanti paesi
mostrano una minore significatività ( Gran Bretagna livello di significatività pari
al 5% ) o una capacità davvero limitata nell'esplicare eventuali movimenti nei
tassi degli altri paesi (Germania, Francia e Canada).
Da questa analisi sembrerebbe invece confermata l'idea degli Stati Uniti centro
del sistema monetario, ipotesi peraltro mai messa in discussione. C'è da
aggiungere come i risultati di questo test di Granger-causalità in un VAR
cointegrato sia soggetto a numerose critiche in quanto i risultati dei test ad esso
connesso risultano essere poco potenti29. Le stime prodotte debbono essere dunque
29 Ricordiamo che per potenza del test si intende la capacità di accettare l'ipotesi alternativa
essendo questa effettivamente vera.
117
prese con una certa cautela.
IV.7.3) Conclusioni dell'analisi econometrica di cointegrazione.
Contrariamente alle previsioni, per il periodo che va dagli inizi degli anni '60 al
1971, l'analisi econometrica di cointegrazione sembra non supportare l'ipotesi che
i tassi d'interesse americani possano essere considerati come una forza esogena al
sistema in grado dunque di indirizzare i tassi d'interesse degli altri paesi e di non
esserne a loro volta influenzati.
I vari vincoli imposti sui modelli presentati vengono infatti rifiutati
sistematicamente dai test di rapporto delle verosimiglianze che bocciano dunque
l'ipotesi di esogeneità debole da parte dei tassi statunitensi.
Inoltre la presenza dell' eteroschedasticità in un campione di serie storiche
suggerisce che il modello potrebbe non essere correttamente specificato
suggerendo una bassa capacità del modello di spiegare i movimenti dei tassi
d'interesse. Sembra chiaro che i tassi d'interesse decennali si muovano per altri
motivi che non sono strettamente legati all'andamento dei tassi esteri o dei tassi
d'inflazione di altri paesi. Probabilmente vi sono altre variabili macroeconomiche,
come ad esempio la condizione dei conti con l'estero, in grado di spiegare più
adeguatamente l'andamento dei tassi decennali.
D'altro canto bisogna sottolineare come l'inserimento di codeste variabili
implicherebbe un passaggio dai tassi d'interesse mensili a quelli trimestrali
118
operazione altrettanto discutibile. Infatti, la media mensile di un tasso d'interesse è
già una semplificazione molto forte di una variabile che muta praticamente
istantaneamente con le quotazioni sui mercati. Come abbiamo visto nel capitolo
della letteratura sull'argomento, molti preferiscono mantenere la cadenza mensile
che aumentare
l'informazione
presente diminuendo
la frequenza delle
osservazioni.
Detto questo non si deve certo cadere nella tentazione di escludere la
dominanza del dollaro del periodo di pieno funzionamento del sistema di Bretton
Woods. Le cifre riportate nella tabella 15 non sembrano certo mostrare alcuna
possibilità di fraintendimento. Semplicemente, un approccio di tipo econometrico
non è il più adatto a supportare l'evidenza empirica di dominanza del dollaro. Alla
luce dell'ambiguità dei risultati raggiunti da altri lavori non dissimili in questo
campo non si deve certo rimanere sorpresi di tale conclusione non positiva.
III.8) Conclusioni.
Il sistema di Bretton Woods collassò principalmente per tre ragioni (Bordo 1992).
Per prima cosa, due crepe piuttosto evidenti minacciavano il sistema dall'interno.
La prima è che il paese leader si andava esponendo inevitabilmente ad una crisi di
convertibilità dovendo esso fornire al mondo la liquidità necessaria, tramite i
propri deficit di bilancia dei pagamenti, da permettere al sistema di funzionare ed
119
al tempo stesso far si che non sorgessero dubbi sulla sua effettiva capacità di
convertire i dollari in circolazione in oro (Triffin 1960).
Il secondo difetto endemico era da ricercarsi nel fatto che il sistema si era
evoluto da uno in cui le parità erano aggiustabili ad un altro in cui i tassi di
cambio era di fatto fissi senza prevedere alcun tipo di aggiustamento ufficiale tra i
paesi in surplus e quelli in deficit.
La seconda ragione che viene spesso evidenziata è quella di come la politica
monetaria statunitense, a partire dalla seconda metà degli anni '60, sia stata
inappropriata per il ruolo di valuta cardine attribuita al dollaro. L'aumento della
spesa pubblica portò ad una politica inflazionistica che portò rapidamente il
sistema al collasso.
I paesi in surplus, Germania in primis, erano riluttanti ad accumulare ingenti
riserve di dollari e a rivalutare la propria moneta penalizzando così le proprie
esportazioni
120
121
CAPITOLO IV
DALLA FINE DEL SISTEMA DI BRETTON WOODS AL “PACIFIC
DOLLAR STANDARD”
IV.1) Il sistema monetario dopo la fine degli accordi di Bretton Woods.
All'indomani della fine del sistema di Bretton Woods il mondo si ritrovò in uno
scenario del tutto inedito con l'adozione di un sistema di cambi flessibili. Le
oscillazioni dei tassi di cambio divennero dunque determinate dai mercati e
sempre meno dall'intervento delle banche centrali anche se quest' ultime
mantennero ancora un notevole potere di intervento per molti degli anni a seguire.
I cambi fissi vennero progressivamente abbandonati in quanto si cominciò a
capire che molte delle crisi valutarie che accaddero tra gli anni '70 e '80,
specialmente in America Latina, erano da attribuirsi principalmente ad attacchi
speculativi contro valute che non erano più in linea con i fondamentali
dell'economia causando gravi perdite di ricchezza ai paesi colpiti.
Una significativa eccezione fu quella dell'istituzione del sistema monetario
europeo meglio conosciuto come SME. Questo sistema prevedeva che le valute
europee dovessero oscillare intorno ad una parità prefissata rispetto alle altre
valute e che le autorità centrali fossero in grado di intervenire sul mercato per
mantenere queste parità. Ovviamente non vi erano interventi sul mercato dei
cambi nei confronti di valute extra SME.
122
Tolto il caso fortunato dello SME che, tra alti e bassi, alla fine degli anni '90 ha
portato alla alla creazione della nuova valuta europea, l' euro, i restanti tentativi di
sistemi monetari a cambi fissi hanno riguardato paesi di secondaria importanza o
si sono conclusi in maniera disastrosa e deleteria per chi li ha adottati (vedi il caso
eclatante del currency board argentino). Unica, ma significativa eccezione, tra i
sistemi a cambi fissi attualmente in vigore è quello che vige tra il dollaro
americano ed il renmimbi cinese che andremo di seguito ad analizzare.
IV.2) Il sistema monetario odierno: il Pacific dollar standard.
Le autorità del paese asiatico mantengono fisso il cambio renmimbi/dollaro
americano a quota 7 renmimbi per un dollaro. Questo intervento della banca
centrale cinese, la People's Bank of China, ha de facto prodotto quella che Dooley,
Folkerts-Landau e Garber (2003) hanno recentemente definito la “Bretton Wood
II”, concetto poi ripreso successivamente in alcuni influenti paper da Nouriel
Roubini (2004 e 2005) e che noi chiameremo Pacific dollar standard in virtù del
fatto che l'asse centro (Stati Uniti) /nuova periferia (Cina) si affaccia sull' Oceano
Pacifico (vedi figura 6).
Seguendo la tradizionale relazione che sussiste in un’ economia aperta, il
surplus/deficit di partite correnti che presenta un paese è equivalente alla
differenza che c’è tra il risparmio nazionale, sia pubblico che privato, e gli
123
investimenti. Se il risparmio nazionale eccede gli investimenti il paese in
questione si troverà in una situazione di surplus di partite correnti, viceversa un
risparmio nazionale inferiore alla quota degli investimenti provocherà un
disavanzo di partite correnti e la necessità per il paese di finanziare questo eccesso
di investimenti andando a prelevare risparmio e capitali dall’estero. Nel caso di un
sistema monetario a cambi fissi, il surplus/deficit di partite correnti si tramuta in
un accumulo/decrescita di riserve ufficiali. In formule potremmo dunque
sintetizzare così:
S tp  Deficit t − I t = Cat = Rut
dove
S tp rappresenta il risparmio privato,
bilancio dello stato,
corrente e
I t gli investimenti,
Deficit t rappresenta il deficit nel
Ca t rappresenta il saldo di conto
Rut le riserve ufficiali.
Come abbiamo visto nel sistema classico di Bretton Woods gli Stati Uniti
finanziavano il proprio deficit della bilancia dei pagamenti attirando risorse dalla
periferia del sistema, che negli anni '60 era rappresentata principalmente dai paesi
europei, Germania Ovest in primis e dal Giappone, la quale presentava un cronico
surplus della bilancia dei pagamenti e con la quale gli Stati Uniti mantenevano un
cambio fisso ad una parità prestabilita.
Il sistema monetario attuale si basa invece essenzialmente su cambi flessibili
124
tra gli Stati Uniti ed i paesi che corrispondono a quelli della vecchia periferia, i
quali di fatto non partecipano in alcun modo al finanziamento esterno degli Stati
Uniti. Al contrario i paesi asiatici, quelli che appartengono a ciò che abbiamo
definito la “nuova periferia”, hanno deciso di adottare un tasso di cambio fisso
con il dollaro americano in alcuni casi de iure come la Cina, in altri de facto come
nel caso del Giappone30 , riproponendo sostanzialmente il medesimo schema di
funzionamento del sistema di Bretton Woods ovvero con il centro del sistema, gli
Stati Uniti, in deficit nei confronti del mondo, e con i paesi asiatici nel ruolo di
finanziatori di questo deficit.
Le politiche di cambio fisso dei paesi asiatici permettono dunque agli Stati
Uniti di avere un vincolo esterno morbido. Inoltre, il fatto che il dollaro sia ancora
la valuta di riferimento internazionale fa sì che i paesi asiatici fino ad ora si siano
dimostrati desiderosi di accumulare questa ingente quantità di dollari nelle
casseforti delle proprie banche centrali. Analizzeremo ora più in dettaglio le
caratteristiche ed i problemi che incombono sui paesi che de facto aderiscono a
questo sistema a cambi fissi, focalizzandoci principalmente sugli Stati Uniti e la
Cina e in maniera più defilata anche sull'Europa.
IV.2.1) Gli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti sono in una posizione di crescente deficit di conto corrente
30 Il Giappone faceva parte , come abbiamo visto, anche dei paesi finanziatori degli Stati Uniti nel
sistema di Bretton Woods. Può essere considerato dunque “vecchia periferia”.
125
all’incirca dall’inizio degli anni ’9031 e la situazione fino ad oggi non ha fatto che
deteriorarsi (Vedi per maggiori dettagli la figura 2 e la tabella 11 in appendice).
Agli inizi dell'era del presidente democratico Clinton si è assistito ad un
significativo aumento degli investimenti privati i quali sono passati da circa il
16% rispetto al prodotto interno lordo ad un valore che nell'anno 2000 ha sfiorato
quasi il 20% (vedi tabella 5.2.1). Mentre gli investimenti privati aumentavano la
quota di risparmio privato sul PIL è rimasta pressoché invariata. Per le usuali
relazioni che sussistono in una economia aperta che abbiamo poc'anzi citato,
questa differenza tra investimenti e risparmio privato è stata finanziata dagli Stati
Uniti attirando capitali dall'estero ed incrementando il proprio deficit di conto
corrente. C'è da dire che durante gli anni '90 il deficit di partite correnti è stato in
una certa maniera contenuto dal fatto che il deficit della finanza pubblica
americana si è mantenuto su livelli incredibilmente bassi, anzi registrando negli
anni '97,98 e 99 un surplus.
31 In verità, tranne un lieve surplus nel 1991, il disavanzo di partite correnti si protrae dal 1983 in
poi (vedi tabella 2).
126
Tabella IV.2.1: saldo dei conti pubblici, saldo dei conti con l'estero,
investimenti e risparmio, percentuale del PIL, 1992-2007.
saldo
di
federale partite
Investimenti Risparmio (%
Pil
correnti
% (% del PIL) del PIL)
del PIL
-4,02%
-0,80%
16,42%
15,90%
-3,05%
-1,28%
17,00%
16,00%
-2,31%
-1,73%
18,12%
16,80%
-1,45%
-1,55%
18,15%
16,90%
-0,28%
-1,61%
18,56%
17,30%
0,83%
-1,71%
19,46%
18,20%
1,43%
-2,47%
19,96%
18,10%
2,53%
-3,27%
20,34%
17,50%
1,29%
-4,27%
20,49%
16,60%
-1,53%
-3,82%
18,85%
15,20%
-3,55%
-4,41%
18,07%
14,00%
-3,70%
-4,79%
18,08%
13,50%
-2,68%
-5,49%
18,91%
13,60%
-1,96%
-6,09%
19,31%
13,50%
-1,20%
-6,16%
20,00%
15,40%
-3,26%
-4,89%
18,70%
14,10%
Amministrazione
Bush
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Amministrazione
Clinton
Saldo
% del
Fonte: World Development Indicator 2008 (WDI).
E’ negli anni dell' amministrazione Clinton che si comincia ad innescare la bolla
speculativa della new economy e dei titoli dotcom e il boom di investimenti di cui
abbiamo poc'anzi parlato è andato a finanziare proprio il comparto delle aziende
del ramo tecnologico.
Con l'inizio del nuovo millennio lo scenario, economico e politico, muta
rapidamente. Una nuova amministrazione repubblicana guidata dal presidente
Bush viene eletta nel Novembre del 2000 e contemporaneamente scoppia la bolla
127
speculativa legata ai titoli della new economy trascinando gli Stati Uniti in una
breve quanto lieve recessione. L’amministrazione Bush decide però di agire
massicciamente a sostegno dell’economia tramite un congruo taglio fiscale per
rilanciare i consumi interni. Contemporaneamente la Federal Reserve, allora
guidata da Alan Greenspan, decide di intraprendere anch’essa una politica
monetaria fortemente espansiva. Queste due mosse hanno dato il via a due
tendenze: la finanza pubblica degli Stati Uniti passa nel giro di poco tempo da una
situazione di sostanziale equilibrio ad una di accentuato deficit mentre il denaro a
tassi così bassi ha spinto le famiglie americane a diminuire il risparmio, già
storicamente molto basso rispetto a quello di altri paesi, in maniera consistente e a
ricorrere sempre più al debito per finanziare l’ acquisto di beni durevoli e non.
Nel frattempo avviene il tragico attentato alle torri gemelle di New York dell'11
settembre 2001. Gli interventi militari che seguirono,in Afghanistan prima ed in
Iraq poi, non hanno fatto altro che peggiorare il deficit della finanza pubblica ed in
ultima istanza incrementando il deficit di partite correnti che proprio ad inizio
degli anni 2000 comincia ad aumentare in maniera significativa (vedi tabella
IV.2.1).
Gli Stati Uniti sono in una situazione che viene definita di “twin deficit” in cui
ad un consistente deficit della finanza pubblica si associa un deficit nei conti con
l'estero. Da una situazione in cui questi squilibri dipendevano principalmente da
128
elevati investimenti, si è passati ad una in cui ad una diminuzione di quest’ultimi,
fisiologica dopo lo scoppio di una bolla, è seguita una diminuzione ancora più
marcata del risparmio, sia privato che pubblico. Il deficit di conto corrente attuale
è in definitiva da attribuirsi al basso livello di risparmio. La differenza non è solo
numerica: un' elevata spesa per investimenti può lasciar presupporre in futuro
redditi maggiori oppure un significativo aumento della produttività cosa che
difficilmente accadde quando l'incremento è di spesa pubblica.
Al di là dei giudizi qualitativi che si possono dare sulle variazioni del saldo di
parte corrente, una cosa accomuna entrambi i tipi di deficit ovvero il loro bisogno
di trovare finanziatori sul mercato dei capitali esteri per poter essere colmati. Nel
caso degli Stati Uniti questo generoso finanziatore prende il nome di Repubblica
Popolare Cinese.
IV.2.2) La Cina
Come abbiamo ricordato sopra, un deficit di conto corrente implica che il paese in
questione debba rivolgersi ai mercati di capitali internazionali per poter finanziare
il proprio disavanzo. Il modello economico di sviluppo adottato dalla Cina si è
basato e continua ad imperniarsi tutt'oggi essenzialmente sul favorire il più
possibile le esportazioni di beni a basso contenuto tecnologico di modo che il
mercato del lavoro interno possa assorbire i milioni di lavoratori che ogni anno
dalle campagne si riversano nelle città industrializzate in cerca di un impiego.
129
Uno degli strumenti cardine della politica economica cinese per incentivare
l'export (vedi figura 6) è quello di tenere un tasso di cambio tra dollaro ed il
renmimbi fisso ed ampiamente sottovalutato. Questa politica di tasso di cambio, la
quale ha generato un enorme surplus di partite correnti, ha permesso alla Cina di
diventare nell’arco di un ventennio un creditore netto nei confronti del mondo
specialmente nei confronti degli Stati Uniti. La politica di cambio fisso
renmimbi/dollaro coniugata con l'immenso surplus di partite correnti ha permesso
alla Cina di accumulare un' ingente quantità di riserve valutarie in dollari, per un
valore che si aggira intono agli 800 miliardi di dollari (vedi tabella IV.2.2).
IV.2.3) L' Europa
L' Europa sembra tagliati fuori da questo duopolio Stati Uniti-Estremo Oriente in
quanto, essendo una unione monetaria la cui banca centrale non interviene sul
mercato dei cambi per statuto costituente, essa risulta essere un'area in sostanziale
equilibrio di conti con l'estero (vedi tabella 1) non partecipando dunque al
processo di finanziamento del deficit di partite correnti americano. L' Europa più
che altro risulta danneggiata dal cambio fisso renmimbi/dollaro ogni qual volta
l'euro si rafforza nei confronti della valuta americana. Questo fatto corrisponde nei
fatti ad un apprezzamento dell'euro sul renmimbi ed un'ulteriore perdita di
competitività dell'industria manifatturiera europea nei confronti di quella cinese.
Anche se per il momento vengono esclusi nella maniera più categorica
130
interventi sul mercato valutario da parte della BCE, non è impensabile che in
futuro, di fronte ad ulteriori apprezzamenti indesiderati dell'euro nei confronti del
dollaro, la politica monetaria della banca centrale possa mutare, intervenendo sul
mercato dei cambi per frenare il rafforzamento dell'euro, ed unirsi alle banche
centrali asiatiche nel finanziamento del deficit americano (Roubini 2005).
IV.2.4) Il resto del mondo
La Cina e l'estremo oriente non sono certo i soli paesi che finanziano il deficit
estero americano. A questi paesi si devono infatti aggiungere i paesi esportatori di
petrolio, in particolar modo l' Arabia Saudita, la Russia ed il Brasile (vedi tabella 1
in appendice). La quota di finanziamento, seppur non raggiungendo i livelli dei
paesi asiatici, è tutt'altro che marginale, oltre i 400 miliardi di dollari.
Roubini (2005) afferma che il via ad una eventuale fuga dal dollaro potrà
arrivare più da questi paesi che da quelli asiatici, visto che le economie di questi
paesi sarebbero meno danneggiate dall'apprezzamento delle proprie valute. Paesi
come la Cina infatti potranno diversificare le proprie riserve in valuta solamente a
discapito di un apprezzamento delle proprie divise nazionali danneggiando così le
proprie produzioni industriali e manifatturiere a basso costo (oltre che ad esporsi a
grandi perdite sulle riserve in dollari accumulate che comunque è un problema
anche degli altri paesi). Gli altri paesi sono invece essenzialmente produttori di
commodities (Brasile) e di prodotti petroliferi (Russia e Arabia Saudita). Essendo
131
la domanda di questi beni essenzialmente inelastica ad aumenti di prezzo è lecito
pensare che questi paesi verrebbero danneggiati in maniera marginale dalla
sostituzione del dollaro con un' altra valuta di riserva.
IV.2.5) Il funzionamento del Pacific dollar standard.
Il sistema così descritto funziona pressapoco in questa maniera: il paese in deficit,
gli Stati uniti, il quale rappresenta l’ 85% del totale dei deficit mondiali (vedi
tabella 1), importa beni e servizi dai paesi emergenti del sud est asiatico in
particolar modo dalla Cina e paga questa afflusso di merci emettendo dollari i
quali, in virtù del loro status di valuta internazionale di riserva, vengono
accumulati dalle banche centrali dei paesi asiatici nelle loro riserve valutarie.
Tabella IV.2.2: maggiori detentori di riserve valutarie in dollari, Aprile 2009.
Paese
Cina
Giappone
paesi dei Caraibi (a)
paesi esportatori di petrolio (b)
Regno Unito
Russia
Brasile
Lussemburgo
Hong Kong
Riserve in miliardi $
763,5
685,9
204,7
189,5
152,8
137
126
97,5
80,9
Fonte: Department of the Treasury/ Federal Reserve Board, Giugno 2009. www.treas.gov/tic/mfh.txt .
Note: (a): I paesi dei Caraibi includono: Bahamas, Bermuda, isole Cayman, Panama e Antille olandesi, isole
vergini britanniche
(b): i paesi esportatori di petrolio includono: Ecuador, Venezuela, Indonesia, Barhain, Iran, Iraq, Kuwait,
Oman, Qutar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Algeria, Gabon, Libia e Nigeria.
132
Le banche centrali dei paesi che, come quella Cinese, desiderano mantenere un
tasso di cambio fisso con il dollaro devono essere pronte ad assorbire l’eccesso di
dollari sul mercato per evitare che le proprie valute si apprezzino causando una
perdita di competitività delle merci domestiche. Per far ciò, le banche centrali
asiatiche debbono aumentare gli attivi esteri in bilancio ed immettere valuta
nazionale nel mercato monetario aumentando così il circolante e gli aggregati
monetari domestici e contemporaneamente accumulare riserve ufficiali.
IV.3) I rischi insiti Pacific dollar standard.
IV.3.1) Il nuovo “benign neglect”.
Il dibattito oggi è più che mai aperto se il sistema del pacific dollar standard sia
stabile oppure se esso sia destinato prima o poi a crollare come tutti i sistemi a
cambi fissi che si sono succeduti nella storia, dal gold standard a Bretton Woods.
Molti ritengono (Vedi ad esempio Bernanke 2005) che l'attuale deficit di conto
corrente americano sia una risposta endogena del sistema ad un aumento esogeno
del tasso di risparmio delle nuove economie emergenti non adeguatamente
compensato da un equivalente aumento della spesa, sia pubblica che privata. E' il
cosiddetto problema del saving glut. Secondo questo filone, gli Stati Uniti, con il
loro mercato finanziario liquido e sviluppato, offrono un naturale canale di sbocco
per i capitali provenienti dai paesi in via di sviluppo i quali solitamente difettano
133
di mercati finanziari adeguati per collocare una tale massa di investimenti.
Questo scenario ricorda molto da vicino la politica di benign neglect che di
fatto ha portato alla fine del sistema di Bretton Woods. Nella rivisitazione
moderna gli Stati Uniti non si curano affatto dei propri conti con l'estero ben
sapendo che questo comportamento è ben gradito dai paesi asiatici i quali possono
continuare a perseguire una politica di cambio fisso con il dollaro, accumulare
riserve in dollari e con le quali finanziare il deficit di partite correnti americano.
Per entrare più nello specifico, anche il ruolo degli Stati Uniti è cambiato
rispetto a quello che essi avevano nel sistema di Bretton Woods. Da “banchiere
del mondo” , il quale semplicemente si indebitava a breve sull'estero a tassi
d'interesse bassi e poi reinvestiva a scadenze più elevati e con ritorni più elevati,
essi sono diventati il “venture capitalist” del mondo. Essi dunque si indebitano
sempre a breve nei confronti del mondo ma poi vanno a finanziare gli investimenti
esteri diretti (I.E.D) nelle nuove economie emergenti proprio come una normale
banca d'affari. Analizzando la bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti (vedi tabella
n. 11 in appendice) si può vedere come il flusso di IED in uscita dagli Stati Uniti
in questi anni non sia mai diminuito nonostante il persistente deficit di conto
corrente suggerirebbe che questi capitali dovrebbero essere impiegati per
finanziarie la propria domanda interna di capitali.
Chiusa la parentesi sul ruolo degli Stati Uniti, c'è da dire che il sistema fino ad
134
ora ha funzionato molto bene in quanto ha permesso ai paesi asiatici di potersi
sviluppare in maniera esponenziale e a agli Stati Uniti di poter ammorbidire il
proprio vincolo di bilancio esterno e finanziare una parte consistente della propria
crescita tramite il ricorso al debito, sia da parte delle famiglie sia da parte
dell'amministrazione statale.
Ammettendo che la situazione non sia ovviamente prorogabile all'infinito, i
sostenitori della tesi secondo la quale il deficit di conto corrente statunitense è una
risposta endogena ad uno shock esogeno affermano che tali squilibri si
riaggiusteranno automaticamente e senza traumi negli anni a venire. Tali
esponenti, che potremmo definire “gli ottimisti” in virtù delle loro posizioni
concilianti verso tale scenario, prevedono dunque che ad un certo punto in Cina
l'inevitabile aumento dei salari porterà ad un incremento dei prezzi dei beni
prodotti. Questo fatto, coniugato con le possibile pressioni inflative dovute alla
grandi quantità di circolante immessa sul mercato in questi anni, farà sì che le
merci cinesi diventeranno meno competitive sui mercati internazionali riducendo
lentamente la posizione di surplus nei confronti dell'estero. Gli Stati Uniti
diminuiranno le importazioni dalla Cina mentre la Cina aumenterà i propri
consumi interni. Questi due fatti uniti riequilibreranno i conti con l'estero di
entrambi i paesi senza dover passare per aggiustamenti repentini e brutali dei conti
con l'estero o dei tassi di cambio.
135
IV.3.2) la posizione dei pessimisti.
Una parte del mondo economico si sta però preoccupando che questo scenario non
solo non sia sostenibile nel lungo periodo ma che esso possa portare ad un
aggiustamento repentino in seguito al verificarsi di un non meglio precisato shock
esterno. Roubini e Setser (2004 e 2005), Obstfeld e Rogoff (2006), Alessandrini e
Fratianni (2008) in una serie di influenti paper hanno messo in guardia sui vari
fattori di rischio insiti nel Pacific dollar standard che pongono una spada di
Damocle sulla tenuta dell'intera struttura. Per quanto essi stessi ammettano che il
sistema vigente abbia garantito indubbiamente un certo grado di benessere a tutti i
partecipanti coinvolti, essi sottolineano che i rischi e le fragilità che stanno
emergendo dovrebbero destare una preoccupazione decisamente maggiore, quanto
meno tale almeno da giustificare un intervento regolatore.
Paradossalmente il paese che si sta assumendo i rischi maggiori, pur essendo
quello che ha tratto maggior beneficio dalla politica di cambio fisso, è la Cina.
Due sono i principali problemi che le autorità cinesi si dovranno trovare ad
affrontare nel prossimo futuro: l' aumento incontrollato dell'inflazione dovuto
all'aumento della base monetaria in circolazione e le perdite in conto capitale che
il paese potrebbe subire sulle sue riserve in dollari in caso di un pesante
deprezzamento di quest'ultimo.
Il primo problema è strettamente legato alla politica di cambio fisso
136
implementata dalle autorità monetarie di Pechino. Per mantenere il tasso di
cambio prefissato la People's Bank of China deve essere pronta ad acquistare con
operazioni di mercato aperto tutti i dollari in eccesso sul mercato per prevenirne il
deprezzamento nei confronti del renmimbi. Per far ciò però l'istituto centrale
cinese immette sul mercato valuta locale andando così ad aumentare la base
monetaria e, secondo la teoria quantitativa della moneta, le aspettative di
inflazione futura.
Per contrastare questa creazione incontrollata di base monetaria le autorità
centrali hanno applicato per lo più delle strategie indirette in modo da non
penalizzare lo strepitoso boom economico in atto nel paese: da una parte esse
hanno provveduto ad implementare operazioni di sterilizzazione della base
monetaria domestica, immettendo titoli domestici sul mercato e ritirando valuta
nazionale. Questa operazione non riesce però a controbilanciare totalmente la
quantità di renminbi immessa in circolazione. Roubini (2005) calcola che
solamente un 50% dell'incremento di base monetaria dovuta alle politiche di tasso
di cambio fisso viene poi sterilizzata dalla banca centrale cinese.
Contemporaneamente per prevenire questa espansione monetaria si sta agendo
anche sul moltiplicatore monetario con incrementi dei tassi di sconto della banca
centrale e del coefficiente di riserva obbligatoria ma anche utilizzando misure più
draconiane come il massimale sugli impieghi e sul credito che le banche possono
137
concedere a propri clienti con il fine di limitare l'immissione di credito nel sistema
e capillari controlli sui capitali, soprattutto in entrata. La crisi dei mutui sub-prime
di fine 2008 ha di fatto ridimensionato queste operazioni anche se è di pochi
giorni fa la notizia che la People's Bank of China è sul punto di riprendere
politiche monetarie restrittive32 a partire dal Gennaio 2010.
Il secondo problema è probabilmente il vero punto debole del sistema che lo
può rendere potenzialmente instabile sotto molti punti di vista. La già ampiamente
descritta politica di cambio fisso ha permesso alla Cina di accumulare sino ad ora
un qualcosa come ottocento miliardi di riserve in dollari (vedi tabella IV.2.2).
Questo accumulo di riserve in dollari espone la Cina a possibili ed ingenti perdite
in conto capitale legate ad un possibile deprezzamento del dollaro.
Obstfeld e Rogoff (2006) ipotizzano che se il deficit di conto corrente
statunitense dovesse improvvisamente riassorbirsi, per una qualche causa esterna
non meglio precisata, la svalutazione del dollaro nei confronti delle principali
valute potrebbe aggirarsi, a seconda degli scenari, per un valore che si aggira
intorno al 30%. Il dilemma a cui si trovano di fronte le autorità del paese asiatico,
se continuare o meno il proprio sostegno al dollaro, è a questo punto evidente.
La stabilità del dollaro dipende in definitiva dalla volontà dei cinesi di
continuare a finanziare il deficit di partite correnti statunitense. Ma più il paese
32 Vedi www.milanofinanza.it del 12/01/10.
138
finanzia questo disavanzo e più il suo stock di riserve valutarie in dollari
incrementa e più esso si espone ad un rischio di consistenti perdite in conto
capitale nel momento in cui decidesse di fermare o comunque ridimensionare il
flusso di capitali verso gli Stati Uniti.
La posizione delle autorità cinesi non è dunque facile. Perseguire nella politica
di cambio fisso e sottovalutato implica dei costi, sia in termini di inflazione attesa
che di perdite in conto capitale, decisamente ingenti. D'altro canto l'abbandono del
peg renmimbi-dollaro comporterebbe una istantanea rivalutazione della moneta
cinese sui mercati e la perdita di competitività internazionale delle merci cinesi
con pesanti ricadute sul tasso di occupazione interno.
Obstfeld (2006) suggerisce che una graduale rivalutazione della divisa cinese
avrebbe un impatto limitato sulla competitività delle sue esportazioni. L'autore fa
riferimento in questo caso alle continue rivalutazioni del marco da parte della
Germania Ovest nel sistema di Bretton Woods. Tali rivalutazioni non hanno infatti
minato la competitività delle merci tedesche consentendo al paese di mantenere un
ingente surplus di bilancia dei pagamenti anche dopo aver ripetutamente rivalutato
il marco (Bordo 1992). Che la Cina prima o poi dovrà in qualche modo rivedere la
sua politica di cambio fisso è sotto gli occhi di tutti. Quando ed in che misura non
ci è però dato saperlo e anche sugli effetti, anche solamente di tipo psicologico,
che avrà l'immissione di una tale quantità di riserve in dollari sui mercati, non
139
possiamo che fare supposizioni.
Dal canto loro anche gli Stati Uniti si stanno esponendo a considerevoli rischi
anche se di natura diversa da quelli della loro controparte asiatica. Il
finanziamento del debito estero da parte della Cina ha permesso agli Stati Uniti di
consumare ed investire per una quantità maggiore di quello che il loro basso
risparmio nazionale concederebbe. Inoltre il continuo supporto all'offerta da parte
degli istituti centrali asiatici ai titoli americani ha permesso di mantenere i tassi di
quest'ultimi a livelli incredibilmente bassi. Tale intervento può essere considerato
a tutti gli effetti come un intervento distorsivo nella corretta allocazione tra
risparmio ed investimento e tra quali settori economici ripartire questi ultimi
(Roubini 2005).
Se i bassi tassi d'interesse intuitivamente hanno facilitato i consumi a discapito
del risparmio delle famiglie americane, creando i presupposti per una corsa
all'indebitamento selvaggio, più sottile è il meccanismo che si annida nella scelta
di collocare gli investimenti in un settore piuttosto che in un altro.
I bassi tassi d'interesse hanno certamente favorito lo sviluppo di quei settori
come ad esempio quello dei settori dei beni non tradable, come ad esempio
l'edilizia, a discapito dei beni commerciati internazionalmente, i cosiddetti
tradable. Questo fatto, coniugato alla grande concorrenza internazionale delle
merci a basso costo asiatiche, ha fatto si l'industria manifatturiera americana sia
140
stata pesantemente ridimensionata dal sistema del Pacific dollar standard
(Obstfeld e Rogoff 2006). Un eventuale aggiustamento del deficit di conto
corrente americano sarà tanto più facile da fronteggiare quanto l'economia
americana sarà in grado di sostituire i beni importati dall'estero con quelli prodotti
tra le mura domestiche. Se questa capacità come abbiamo visto negli anni è
venuta meno, l'aggiustamento dovrà per forza di cose prevedere una diminuzione
più marcata dei consumi interni ed un aumento molto forte del prezzo dei beni
d'importazione in seguito ad un deprezzamento del dollaro.
Bisogna inoltre considerare però un altro fatto che può sembrare paradossale.
Quando il dollaro perde terreno nei confronti delle altre valute (vedi figura 4),
oltre che far guadagnare competitività alle merci prodotte sul suolo americano, si
assiste anche al miglioramento della posizione netta sull'estero (vedi tabella n. 13
A, quinta colonna da sinistra). Questo fatto curioso avviene perché lo status di
valuta internazionale del dollaro permette agli Stati Uniti di emettere le passività
nella propria valuta e di detenere attività sull'estero nelle valute locali. Ciò
consente agli Stati Uniti di essere l'unico paese che migliora la sua posizione netta
sull'estero, che comunque rimane ancora ampiamente negativa (vedi tabella n 11),
quando la propria moneta si deprezza. Questo ulteriore spunto ci fa capire come
gli Stati Uniti siano ben poco interessati ad una repentina riforma di un sistema
monetario che tolga loro la possibilità di emettere valuta di riserva internazionale.
141
Un ulteriore elemento di preoccupazione per gli Stati Uniti può essere
rappresentato dalla diminuzione della scadenza media del proprio debito (Roubini
2005 e vedi tabella 14). La maturity media è passata dai 68 mesi del 1990 ai 49
del 2008 esponendo il paese al rischio di doversi rifinanziare più spesso che in
passato ed a tassi decisamente superiori. Il rischio è così sentito che nel bollettino
redatto trimestralmente dal ministero del Tesoro del 4 Novembre 2009 33 viene
esplicitamente menzionata l'opportunità di approntare politiche atte ad innalzare la
scadenza media del debito americano. Questi dati si riferiscono però alla totalità
del debito americano ma sarebbe interessante analizzare la scadenza del debito
nelle mani degli investitori stranieri per vedere se le scadenze diminuiscono
ancora di più.
Un altro elemento di criticità del Pacific dollar standard che può toccare gli
Stati Uniti è di natura più politica che economica. Infatti, nonostante i potenziali
rischi a cui si sta esponendo, i circa ottocento miliardi di dollari di riserve in
dollari sono una formidabile arma di ricatto che la Cina può esibire in qualsiasi
momento nei confronti degli Stati Uniti. La minaccia, anche solo velata, di
smettere di finanziare il deficit di conto corrente americano è uno spauracchio che
obbliga l'amministrazione americana a muoversi con prudenza ogni qual volta si
deve esporre su argomenti spinosi per le autorità cinesi. Dalla questione del Tibet
33 http://www.treas.gov/press/releases/tg348.htm
142
a quella di Taiwan, dalle minaccia nucleare Nord Coreana al tema dei diritti civili
passando per la possibile rivalutazione del renmimbi, ogni volta la diplomazia
americana deve ricordarsi dell' ingente quantità di Treasury bills nelle casse di
Pechino. Un primo esempio di come l'opinione cinese a Washington cominci a
pesare ed anche molto si è avuto al momento del salvataggio da parte del Tesoro
americano dei due colossi erogatori di mutui Freddie Mac e Fannie Mae in cui i
vari fondi sovrani cinesi avevano investito una quota considerevole 34. Una
telefonata del presidente Hu Jintao deve aver ricordato gli interessi cinesi sul
suolo americano dando il là ad una delle più massicce e cospicue operazioni di
salvataggio del 2008.
Quest'ultimo caso ci porta a parlare anche del ruolo e della preoccupazione che
i cosiddetti fondi sovrani stanno suscitando negli Stati Uniti. Stanchi di investire
solamente in titoli di stato, molti paesi detentori di riserve in dollari stanno
creando questi fondi d'investimento (Vedi tabella IV.3.3) per diversificare la
propria gamma di investimenti, puntando ad acquisire partecipazioni in società
quotate, le quali possano garantire un rendimento maggiore rispetto al semplice
Buono del tesoro. Il timore è che questi fondi possano entrare nei consigli di
amministrazione di molte imprese considerate strategiche per gli Stati Uniti.
34 C'è chi parla di una valore dell'investimento pari al 10% del prodotto interno lordo cinese.
Purtroppo questo valore proviene dal web e non da una fonte ufficiale. Altre fonti
(www.chinadaily.com) parlano addirittura di 1/5 del totale delle riserve cinesi in dollari
investite nelle due banche in questione.
143
Eclatante è stato il caso della sospensione da parte delle autorità americane
dell'acquisizione da parte del fondo sovrano di Abu Dhabi della società che
gestisce i porti sul territorio statunitense, la P&O 35, adducendo come motivazione
il mantenimento della sicurezza nazionale. Evidentemente negli Stati Uniti l'idea
che in settori strategici per il paese, siedano amministratori delegati che possano
rispondere direttamente a Hu Jintao o a Vladimir Putin piuttosto che a logiche
prettamente di mercato, desta evidentemente più di una preoccupazione.
Tabella IV.3.3: lista dei primi dieci fondi sovrani per capitalizzazione, fine
2008.
Paese
Abu Dhabi
Arabia Saudita
Singapore
Norvegia
Kuwait
Russia
Russia
Cina
Hong Kong
Singapore
Nome del fondo
Abhu Dhabi Investment Authority
Governament Pension Fund
Governament of Singapore investment corporation
Governament Pension Fund
kuwait Investment Authority
National Social Security Fund
National welfare Fund
China Investment Corporation
Hong Kong Monetary Authority Investment Portfolio
Temasek Holding
attività (miliardi di $)
875
433
330
301
265
225
93
200
173
134
Fonte:International Financial Service London (IFSL).
C'è da dire che sino ad oggi nessun tracollo e nessuna fuga dal dollaro è stata
messa in atto. Anzi, durante la crisi finanziaria che ha colpito gli Stati Uniti lo
scorso anno, il dollaro si è rafforzato nei confronti di tutte le principali valute in
particolar modo nei confronti dell'euro. Questo segnale è stato interpretato come
35 Penisula & Oriental Steam Navigation company.
144
la volontà da parte dei mercati di considerare le attività in dollari ancora come il
bene rifugio per eccellenza nonostante che negli Stati Uniti fioccassero fallimenti
(Lehman brothers ed i già citati Freddie Mac e Fannie Mae i casi più eclatanti) e
interventi statali a sostegno degli istituti di credito in difficoltà.
Il fatto che fino ad ora non sia accaduto non ci assicura certo che in futuro uno
shock esterno non meglio precisato possa dare il là ad una fuga dal dollaro.
Magari, come abbiamo sottolineato, non di natura economica, ma un eventuale
scontro di natura geo politica tra Cina e Stati Uniti per l'egemonia nel sud est
asiatico.
Il merito di questi accademici, al di là delle previsioni che per lo più si sono
rivelate sbagliate36, è quello di focalizzare l'attenzione sulle possibili e ingenti
perdite che il disfacimento del Pacific dollar standar provocherebbe. Di fronte a
tale minaccia ci sembra più indicata una politica di tipo costruttivo in grado
dunque di gestire attivamente gli squilibri mondiali piuttosto che continuare a
perseguire una politica di new benign neglect , la quale lascia la porta aperta ad
una serie di punti interrogativi .
Nel prossimo paragrafo riporteremo un'idea presentata da Alessandrini e
Fratianni (2008) i quali propongono di riesumare la vecchia idea keynesiana
36 Roubini nei suoi paper (2005 e 2006) affermava che c'era una seria possibilità che il sistema di
Bretton Woods 2 sarebbe potuto crollare entro il 2008. All'inizio del 2010è sotto gli occhi di
tutti che ciò non sia ancora avvenuto.
145
(Keynes 1943) di cui abbiamo parlato nel capitolo 4 e di riadattarla al sistema
monetario moderno. L'idea è di per sé affascinante al punto che, come abbiamo
già citato nell'introduzione, anche il governatore della People's Bank of China,
Zhou Xiauchuan, ha lanciato la proposta di creare una valuta sovranazionale per
gestire i pagamenti internazionali.
IV.4) Dal piano Keynes al New international clearing union.
Il progetto keynesiano può essere tranquillamente riproposto per ristrutturare e
riformare il sistema monetario odierno ovviamente aggiornandolo con le
caratteristiche di quello attuale.
Innanzi tutto occorre partire da dove il sistema di Bretton Woods aveva fallito
ovvero nella mancanza di accordi vincolanti che regolino le azioni dei vari
partecipanti al nuovo sistema internazionale. Il primo passo in direzione di una
riforma convincente del sistema monetario internazionale prevederebbe un
accordo tra i tre paesi che di fatto dominano la scena valutaria. Mentre appare
scontata la partecipazione a questo accordo da parte della FED e della BCE
altrettanto non si può dire di un eventuale sottoscrizione da parte della Cina. Molti
sono gli scettici in tal senso i quali affermano che la Cina non sia ancora pronta
per un ruolo così importante sul piano internazionale. Ribattiamo dicendo che è
ormai tempo che tutti prendano atto che la Cina diverrà, se già non lo è, una delle
146
economie leader del prossimo futuro,
e che non è più pensabile di poterla
escludere da decisioni di portata planetaria. Anzi probabilmente sarebbe
opportuno, come sottolineeremo in seguito, ampliare questo accordo anche ad
altre economie emergenti, Russia e Brasile in testa, ed hai paesi esportatori di
prodotti petroliferi. La quantità di riserve ufficiali accumulate da tali paesi è tale e
tanta che qualsiasi tentativo di riformare il sistema e di stabilizzarlo senza il loro
consenso e approvazione appare pura utopia.
Il passo successivo da parte delle banche centrali sarebbe quello di cedere parte
dei propri attivi domestici presso il conto del NICU e ricevere in cambio una
quantità prestabilita della nuova moneta sovranazionale (SBM). Naturalmente per
poter far ciò esse devono perseguire nel medio-lungo termine un tasso d'inflazione
non dissimile (e di conseguenza anche tassi d'interesse). Analiticamente
l'operazione si potrebbe riassumere nella seguente maniera.
j
SMB =S  j / dcm  qdc s  j / scm  q sc 
dove
S  j / i
(incerto/certo),
rappresenta la quantità di valuta j per una unità di valuta i
q dc = Ddc ,
q sc = D sc ovvero che la quantità dei depositi
presso il NICU è una frazione di quelli domestici. Con la sigla
sc indicheremo
tutti i surplus country, di cui ovviamente la Cina è ovviamente l'esponente di
spicco, mentre con la sigla
dc rappresenta tutti i deficit country, di cui gli Stati
147
Uniti rappresentano l'85% (vedi tabella n 1).
Supponiamo ora che le poste in bilancio del NICU siano per comodità espresse
in dollari. Avremo dunque
 Dus S  $/ odcm  Dodc S  $ / scm  Dscm =q usS $ / odcm qodc S $ / scm q sc =SMS $S .
la quale rappresenta l'offerta di SBM in dollari statunitensi. La sigla
odc sta a
rappresentare gli other deficit country.
La creazione di SBM non altera dunque la quantità di base monetaria presente
nel sistema ma modifica semplicemente la composizioni degli attivi esteri delle
varie banche centrali introducendo la SBM. Ad esempio la base monetaria della
Federal Reserve dopo lo “swap” con il NICU diverrà
Bus=1− D usRu usSMB us
con
 Dus =SMB us
dove appunto
SBM us rappresenta la quantità di valuta sovranazionale ottenuta
dalla Federal Reserve consegnando  Dus dei suoi attivi domestici.
Vediamo ora come doverebbe funzionare l' aggiustamento degli Stati Uniti
tramite il NICU. Sotto il regime del NICU le banche centrali dei paesi in surplus,
nel nostro caso la People's Bank of China, hanno la facoltà, secondo gli accordi
stipulati, di chiedere il regolamento in SBM. La base monetaria degli Stati Uniti si
148
modificherà dunque di conseguenza
Bus =1 − Dus  Ru us 1− SMB us
dove
 rappresenta il valore monetario del deficit americano nei confronti dei
paesi in surplus. Questa ultima espressione ci dice che la quantità di valuta sovra
nazionale detenuta dagli Stati Uniti diminuirà di un ammontare monetario pari al
suo deficit di conto corrente.
Come si vede la quantità di base monetaria nel sistema rimane inalterata e la
posizione della clearing house internazionale perfettamente coperta.
NICU S =SBM us − SBM us  SBM odc  SBM c  SBM us  SBM osc .
Alla fine del processo, secondo le regole del gioco e in assenza di sterilizzazione,
la base monetaria del paese in surplus si espande, quella americana si contrae ed il
NICU si trova perfettamente coperto e non esposto a rischi di cambio. Il fardello
dell'aggiustamento viene equamente diviso tra paesi in surplus e quelli in deficit.
Assumiamo ora che
1 ovvero che la dotazione di SBM degli Stati Uniti
sia inadeguata per far fronte alla richiesta della controparte in surplus. Il NICU
provvederà a concedere un prestito temporaneo (OD) agli Usa dell'importo pari a
1− SBM us =ODus
Solo in codesto caso avremo che la camera di compensazione altererà la sua base
monetaria, ampliandola. Le poste di bilancio della Federal Reserve diverranno
149
Bus =1 − Dus  Ruus OD us .
Nelle poste del NICU invece avremo il temporaneo aumento esogeno di base
monetaria.
NICU A = Dodc   D c  Dosc = SBM odc  SBM c  SBM osc OD us = NICU P
dove chiaramente i prestiti del NICU saranno offerti a tassi progressivamente
svantaggiosi e con un limite di quantità stabilito in precedenza di modo che
nessun paese possa indebitarsi per più di quello che le è consentito dall'accordo.
Questa temporanea espansione della base monetaria internazionale deve
permettere al paese di attuare le giuste politiche di rientro con elasticità. Nel lungo
termine se nel sistema prevale l'inflazione sarà il paese in deficit a dover
sopportare il pese dell'aggiustamento, riducendo la base monetaria ed innalzando i
tassi d'interesse. Se prevale la disoccupazione dovrà essere il paese in surplus ad
usare le proprie riserve per innalzare la crescita globale.
150
CONCLUSIONI
Non sono state presentate le conclusioni per la parte econometrica riguardante il
Pacific dollar standard a causa della scarsa significatività dei risultati ottenuti da
quest'ultima. Le analisi eseguite mostrano come non vi sia una significativa
presenza di cointegrazione tra i tassi d'interesse dei vari paesi nel periodo che va
dal 1995 al 200837. Alla luce dei risultati deboli ottenuti per il periodo 1960- 1971,
periodo in cui ricordiamo che il dollaro era la valuta cardine del sistema per
statuto, la mancanza di robustezza per la cointegrazione dei tassi nel secondo lasso
di tempo non deve certo stupire. Probabilmente la cointegrazione non è lo
strumento più adatto per verificare la dominanza di una valuta sulle altre. Ciò non
significa che non possiamo trarre nessuna conclusione interessante dal confronto
con i sistemi monetari delle varie epoche.
Tutti i dati raccolti suggeriscono come il gold standard classico possa essere
considerato un sistema molto più decentrato se paragonato ai sistemi monetari che
si sono poi susseguiti nei periodi successivi. Dalla tabella 15 emerge come la
quantità di sterline detenute a riserva alla fine del 1913 rappresenti una quota
decisamente inferiore di quelle contabilizzate in dollari e si può anche notare
come la differenza esistente tra la sterlina con il marco tedesco ed il franco
37 Come già detto in precedenza il 1995 è l'anno in cui le autorità monetarie cinesi svalutano il
renmimbi e decidono di agganciarlo al dollaro ad un tasso di 1$=7R circa dando il via a tutto il
sistema monetario di cui abbiamo abbondantemente argomentato.
151
francese nel 1913 fosse decisamente inferiore rispetto a quella esistente tra il
dollaro e qualsiasi altra valuta nel sistema di Bretton Woods. C'è da dire che
probabilmente se fossero disponibili statistiche affidabili sulle valute detenute a
riserva dagli investitori privati dell'epoca, probabilmente la posizione della
sterlina ne risulterebbe decisamente rivalutata e più in linea con una visione del
gold standard piramidale.
Dal canto suo il dollaro, almeno per quanto riguarda le riserve detenute
(sempre tabella 15), risulta essere la valuta dominante sia nel periodo di Bretton
Woods, il che è in una certa qual misura prevedibile si se considera, come
abbiamo detto, che il dollaro era l'unica valuta convertibile con l'oro, sia anche in
seguito al crollo del regime a cambi fissi. La cosa sorprendente è che il dollaro
non solo è sopravvissuto, ma per un certo periodo ha rafforzato addirittura la sua
posizione : nel 1977 il dollaro rappresentava circa 80% delle riserve valutarie
contro un 56% per cento del 1965. Ad oggi il dollaro rappresenta circa il 64%
delle riserve delle banche centrali e risulta, quindi, essere la valuta più scambiata
sul mercato dei cambi (vedi tabella I.3.1) e quella più usata per la fatturazione da
parte delle aziende (Golberg e Tille tavole 1 e 2). Solo per quanto riguarda
l'emissione di nuovi assets l'euro ha superato il dollaro come principale valuta
( vedi tabella I.3.2). Da quello che emerge dai dati, dunque, si può affermare che
il dollaro abbia assunto il ruolo di valuta di riserva in una maniera molto più
152
accentrata rispetto alla sterlina di fine XIX secolo.
Anche le statistiche descrittive dei tassi d'interesse sui titoli a lungo termine
(vedi tabella 17) conferma come sia la Gran Bretagna del XIX secolo sia gli Stati
Uniti durante il periodo di Bretton Woods abbiano potuto godere di tassi
d'interesse a lungo termine inferiori rispetto a quelli degli altri paesi, confermando
dunque uno degli elementi caratteristici della dominanza delle rispettive valute. La
stessa cosa non si può dire per il periodo 1995-200838. I tassi d'interesse americani
risultano essere in media più alti, seppur di poco, dei corrispettivi di Francia e
Germania
I test econometrici di cointegrazione per il periodo 1960-1971 non aggiungono
elementi significativi al dibattito eccezion fatta per il test di Granger-causalità
utilizzando un VAR cointegrato. La bassa potenza di questo tipo di analisi
suggerisce di prendere con molta cautela i risultati da esso ottenuti.
Il vero elemento di differenziazione che emerge tra i tre periodi in questione è
però un altro. La Gran Bretagna, per tutto il lasso di tempo che la sterlina è stata la
valuta di riferimento del sistema, era un paese con una enorme capacità di
generare un consistente surplus di partite correnti (vedi figura n 2). Ciò le
permetteva di accumulare una ingente quantità di riserve auree (vedi tabella II.4.1)
anche se non al livello di Germania e, soprattutto, Francia. Nel periodo tra le due
38 La data del 1995 non è casuale ma coincide con l'inizio della politica di cambio fisso
Renmimbi/dollaro di cui si è discusso ampiamente nel capitolo IV.
153
guerre mondiali la posizione sull'estero britannica iniziò a declinare (vedi tabella
2) diventando negativa nel 1931. E' in questo periodo che di fatto inizia la
transizione con il dollaro che, lentamente ma inesorabilmente, si approprierà dello
scettro di valuta di riserva internazionale. Gli Stati Uniti del periodo 1960-1971
risultano anch'essi un paese con un lieve surplus di partite correnti (vedi figura n
3) ma con una bilancia dei pagamenti negativa già a partire dal 1958 (Bordo
1992). Tramite questo deficit della
bilancia dei pagamenti, gli Stati Uniti
fornivano la liquidità necessaria al funzionamento del sistema. Così facendo però
perdevano credibilità come debitore affidabile nei confronti del mondo. E' questo
il già ampiamente citato paradosso di Triffin (Triffin 1960). Un solo anno di
deficit di partite correnti, il 1971, fa saltare il sistema a cambi fissi.
Il dollaro è sopravvissuto alla fine di Bretton Woods ma lo scenario attuale è
veramente un caso unico nella storia. Il paese leader del sistema, gli Stati Uniti, è
anche un debitore netto con l'estero presentando un saldo di partite correnti
decisamente negativo (vedi tabella 11 e figura 3), sia in termini assoluti che
rapportato al PIL, e una posizione netta sull'estero altrettanto deficitaria (figura
12). Nonostante ciò, il ruolo del dollaro negli ultimi anni non è certo uscito
ridimensionato (tabella 15), e questo perché il finanziamento del debito estero
statunitense (vedi figura n 6) è passato principalmente attraverso le banche
centrali di alcuni paesi asiatici, dei quali senza dubbio la Cina è l'esponente più di
154
spicco. Questi hanno tra i loro obbiettivi principali quello di mantenere un tasso di
cambio fisso, e nella maggior parte dei casi decisamente sottovalutato, tra le loro
valute ed il dollaro americano.
Emerge dunque la vera differenza tra il Pacific dollar standard e tutti i suoi
predecessori: là dove i sistemi monetari in passato, sia il gold standard che
Bretton Woods, erano stati concepiti per preservare la stabilità delle valute e dei
prezzi e favorire dunque il più possibile i commerci internazionali, al contrario
oggi ve ne è uno che, adottato unilateralmente senza alcun accordo di tipo
internazionale a ratificarne la validità, è l'effetto di una politica di cambio fisso
renmimbi/dollaro studiata per avvantaggiare sensibilmente le esportazioni cinesi
ed in generale del Sud Est asiatico.
Il sistema in questione, che pure ha servito egregiamente le finalità di quei
paesi i quali hanno conosciuto uno sviluppo senza precedenti, ha però posto seri
interrogativi sul futuro del sistema monetario: dalle potenziali perdite dei paesi
detentori di riserve in dollari connessi ad una svalutazione del biglietto verde per
riequilibrare i conti con l'estero, passando per l'incontrollato aumento della massa
monetaria, il Pacific dollar standard sembra essere dunque un sistema
profondamente instabile.
Anche se lo scenario di una fuga precipitosa dal dollaro sembra piuttosto
remoto, la portata degli eventuali aggiustamenti, suggerirebbe di adottare una
155
strategia pro attiva in grado quanto meno di garantire un graduale riassorbimento
degli squilibri nei conti con l'estero attuali.
Ecco perché la proposta di creare una moneta sovranazionale sull'idea del
bancor keynesiano sta riscuotendo diversi favori tra gli addetti ai lavori. Essa
rappresenta infatti una soluzione fattibile per evitare futuri squilibri troppo elevati
nei conti con l'estero di un paese anche se questo è il leader del sistema.
156
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166
APPENDICE
Appendice al capitolo III: il piano Keynes e la creazione dell'ICU.
Come abbiamo detto ampiamente nel capitolo III, Keynes aveva capito prima di
molti altri economisti suoi contemporanei come il fardello dell'aggiustamento in
un sistema a cambi fissi si distribuisca in maniera asimmetrica tra paesi in surplus
e quelli in deficit. I paesi in deficit si espongono infatti al rischio di subire attacchi
speculative nel caso in cui il livello di deficit con l'estero raggiunga livelli
insostenibili.
L'idea di fondo di come strutturare il SMI si basa appunto sul presupposto che
questa possibilità di indebitamento incontrollato sia preclusa a qualsiasi
partecipante al sistema, anche al paese che fino a quel momento ha emesso valuta
di riserva internazionale, mediante l'introduzione di una moneta sovranazionale
tramite la quale regolare le transazioni tra paesi. Sempre secondo Keynes, la
gestione di questa moneta sovranazionale viene portata avanti da una
international clearing house (ICU) il cui compito risultava essere quello di
raccogliere i depositi in oro delle varie banche centrali e a fronte di questi
emettere la valuta internazionale,chiamata dallo stesso Keynes, bancor, il cui
valore sarebbe stato agganciato ad un tasso fisso, ma aggiustabile, alle riserve
auree depositate presso l'ICU.
Altro compito della camera di compensazione sarebbe stato quello di emettere
167
dei prestiti temporanei ai paesi in difficoltà con i deficit di bilancia dei pagamenti
e permettere loro di rientrare gradualmente in una situazione di equilibrio.
Le poste di bilancio della i-esima banca centrale sarebbero state dunque così
composte:
attivi i=Bancor iRui Di =BM iOD i= passivi i
dove per
Rui
si intendono le riserve ufficiali in valuta estera, che insieme al
bancor costituisce la componente estera degli attivi di una banca centrale mentre
Di
corrisponde appunto agli attivi domestici. Dal lato delle passività,
corrisponde alla base monetaria emessa e
ODi
BM i
rappresenta i prestiti ottenuti
dal' ICU e che permettono di espandere temporaneamente la base monetaria del
sistema.
La quantità di bancor detenuta da un istituto centrale corrispondeva alla
quantità di oro detenuto inizialmente presso la camera di compensazione. Nel
sistema di Bretton Woods un paese in deficit (surplus) era obbligato a stabilizzare
il proprio tasso di cambio rispetto al dollaro diminuendo (aumentando) le proprie
riserve ufficiali nella valuta americana o in generale nella valuta eletta ancora del
sistema. Nel sistema pensato da Keynes il paese, sia che sia in deficit o in surplus,
poteva esercitare il diritto di regolare le proprie transazioni diminuendo o
aumentando la propria posizione in bancor presso l' ICU. Il paese in deficit
168
avrebbe visto un aumento delle proprie passività in bancor o una diminuzione dei
propri attivi in quella valuta mentre il paese in surplus un aumento delle proprie
attività o una diminuzione delle proprie passività sempre presso l' ICU. La
caratteristica principale di questo sistema è che avrebbe agito simmetricamente tra
i paesi in surplus e quelli in deficit, anche nei confronti del paese emittente la
valuta di riserva internazionale.
Un esempio in tal senso può essere chiarificatore: mettiamo caso che la
Germania abbia un surplus commerciale nei confronti degli Stati uniti. Nel
sistema di BW questo avrebbe comportato un regolamento di questo surplus da
parte degli Usa usando dollari (la valuta internazionale del sistema) ed ad un
accumulo da parte della Bundesbank di riserve ufficiali in dollari. La Germania
non aveva nessun' altra alternativa valida a quella di accettare i dollari americani
ancor quando le politiche economiche americane non fossero state coerenti con la
salvaguardia del valore del dollaro.
Nel sistema architettato da Keynes l'alternativa consisteva nell'uso del bancor.
La Germania avrebbe potuto richiedere un pagamento in bancor agli Usa, con
conseguente miglioramento della posizione tedesca presso l' ICU, seguito da un
incremento della base monetaria mentre la posizione statunitense sarebbe
peggiorata con conseguente diminuzione del circolante ed aumento dei propri
tassi d'interesse. In tale sistema, gli Usa sono vincolati esternamente alla loro
169
posizione in bancor senza poter abusare della loro posizione dominante. In questo
scenario paesi in deficit e paesi in surplus condividevano lo stesso peso
dell'aggiustamento. Naturalmente operazioni di sterilizzazione non potevano
essere consentite.
Keynes non era però contrario all'utilizzo di processi di sterilizzazione purchè
operassero nel breve periodo. Secondo Keynes gli obbiettivi macroeconomici
interni, inflazione e disoccupazione, non dovevano mai essere subordinati a quelli
esterni, come ad esempio il mantenimento del tasso di un cambio fisso. Nel lungo
periodo l'aggiustamento doveva avvenire con modalità diverse a secondo che il
problema fosse l'inflazione oppure la disoccupazione. In caso di prevalenza
mondiale della prima, il peso dell'aggiustamento doveva cadere sui paesi in
deficit, i quali avrebbero dovuto diminuire la domanda interna e di conseguenza i
prezzi mondiali. Nel caso in cui a prevalere fosse stata la disoccupazione
sarebbero stati i paesi in surplus a dover supportare la domanda mondiale tramite
una maggiore spesa.
La partecipazioni dei paesi creditori all'aggiustamento è la più grande sfida del
piano keynesiano. Secondo l'economista inglese bisognava convincere questi
ultimi ad accettare bancor nel breve periodo ma non accumularli nel lungo. Come
si è dimostrato negli anni un meccanismo che si basa solamente sulle “regole del
gioco” non può essere un valido pilastro su cui regolare le scelte valutarie future.
170
Appendice al capitolo IV: traccia di un possibile modello dinamico per il
Pacific dollar standard.
Qui di seguito daremo una traccia di un possibile modello dinamico (Obstfeld e
Rogoff 1996) in grado di sintetizzare matematicamente le possibile relazioni del
Pacific dollar standard.
Come abbiamo detto in precedenza, la politica economica cinese è stata tutta
indirizzata in questi anni nel cercare di favorire il più possibile le esportazioni nel
tentativo di garantire un tasso di occupazione il più elevato possibile. Lo
strumento cardine di questa politica è stato il mantenere un tasso di cambio fisso e
ampiamente sottovalutato con il dollaro statunitense. In termini formali la Cina
cerca di massimizzare una funzione obbiettivo
∞
max V = ∫ e−rt  U [Cat  , Rut ]dt
t =0
con
 U / Ca 0
 U / Ru 0
dove
Ca t rappresenta il saldo delle partite correnti e la nostra variabile di
controllo mentre
Ru t rappresenta lo stock di riserve ufficiali accumulate e la
nostra variabile di stato e e −rt  il fattore di sconto intertemporale.
All'aumentare dell'attivo delle partite correnti aumenterà anche la funzione di
171
utilità della Cina, mentre l'incremento dello stock di riserve ufficiali provocherà,
in virtù delle politiche monetarie da effettuare in presenza di un cambio fisso, un
aumento della base monetaria in circolazione e delle conseguenti aspettative di
inflazione attesa ed inoltre acuisce la possibilità di maggiori perdite future in
conto capitale. La funzione di utilità sarà dunque correlata in maniera negativa nei
confronti dell'aumento dello stock di riserve ufficiali.
Chiaramente le partite correnti cinesi dipenderanno positivamente dal tasso di
cambio: in caso di deprezzamento della valuta cinese ( ex t  R /$   ), le merci di
questo paese saranno più competitive, le partite correnti miglioreranno
( Ca t  ) e con essa la relativa funzione di utilità.
Ca t= f ex t  R / $ 
con
 Ca / ex R / $  0 .
Il tasso di cambio renmimbi/dollaro a sua volta sarà determinato dalla quantità di
riserve ufficiali

che la Cina deciderà eventualmente di immettere sul
mercato.
ex t = f  Rut Cina 
Dove 01
con
 ex /  Ru 0 .
172
Quando
=0 significa che la Cina non immette riserve ufficiali in dollari sul
Forex, il che corrisponde grossomodo alla situazione attuale, il cambio rimane
fisso mentre se
cinesi.
≠0 il tasso di cambio varierà per l'intervento delle autorità
 È dunque la vera variabile di politica economica che la Cina può
manovrare: a seconda infatti di quante riserve essa decide di immettere sul
mercato si stabilisce anche il valore delle partite correnti e la quantità di riserve da
accumulare in futuro.
Per quanto riguarda la quantità di riserve ufficiali accumulate, una bilancia dei
pagamenti in attivo conduce ad una posizione netta sull'estero positiva (la Cina è
un creditore netto sull'estero)ed in definitiva ad un accumulo di riserve ufficiali.
˙ t =r Ru tCa t
Ru
Dove
˙ rappresenta la variazione di riserve ufficiali al tempo t,
Ru
rappresenta lo stock di riserve al tempo t-1 più i relativi interessi mentre
r Ru t
Ca t
è il solito saldo delle partite correnti.
Gli Usa a loro volta massimizzeranno una funzione di utilità che dipenderà
principalmente dal livello dei loro consumi interni. I consumi interni
dipenderanno in maniera negativa dalle partite correnti Usa: un maggiore
indebitamento implicherà consumi maggiori e di conseguenza un' utilità più
elevata. Gli Usa non hanno però alcun modo di intervenire sul tasso di cambio che
viene determinato dalle esogenamente dalle autorità cinesi ma al tempo stesso
173
possono stabilire quanto consumare una volta fissato il tasso di cambio.
∞
max V = ∫ e−rt U [C t , Pnt ]
t =0
con
 U / C  0
 U / Pn 0
da cui i consumi
C t = f Caus ,t  
con
 C / Ca 0
ovvero al peggiorare delle partite correnti statunitensi avremo un aumento dei
consumi negli Stati Uniti e un successivo aumento della funzione di utilità.
Viceversa la funzione sarà negativamente correlata con la posizione netta con
l'estero degli Stati Uniti: al peggiorare della posizione netta sull'estero aumenterà
il
rischio
di
una
possibile
insolvenza,
i
tassi
d'interesse
americani
conseguentemente saliranno penalizzando investimenti e consumi ed in ultima
istanza peggiorerà anche l'utilità americana.
Come abbiamo visto il meccanismo penalizzante per il paese leader scatta
solamente dopo aver raggiunto un certo livello negativo di indebitamento con l'
174
estero
Pncritico , un valore incognito non meglio precisato. La funzione
obbiettivo americana può essere così riscritta
V=
[
∞
∫ U [C t] se Pn t Pncritico
∞
t=0
∫ U [C t , Pn t] se Pn t  Pncritico
t=0
]
Essendo la posizione netta sull'estero uguale all'incremento/ decremento di riserve
ufficiali avremo che la legge di moto degli Stati Uniti sarà uguale all'opposto di
quella cinese e dunque che ad un peggioramento della posizione netta sull'estero
americana corrisponderà un accumulo di riserve ufficiali da parte delle People's
bank of China.
˙ t Cina= pn
Ru
˙ t Cina=− ṗntUs 
infine si avranno le due condizioni di trasversalità che impongono che le
posizione sull'estero di entrambi i paesi devono chiudersi nel lungo periodo
ovvero le posizioni sull'estero di entrambi i paesi devono tendere a zero al
crescere del tempo.
lim pncina =− pnus =0
175
Dopo aver deciso se il modello va approntato nel continuo o nel discreto ed aver
deciso la forma funzionale della funzione di utilità si procederà con il cercare di
risolvere il problema di ottimizzazione dinamica al fine di trovare la traiettoria
ottimale per le variabili di controllo e di stato. Per una questione di semplicità e di
eleganza svolgeremo questa parte del continuo adottando come forma funzionale
della funzione di utilità quella della CRRA (Constant relative risk adversion) la
quale si presenta nella forma:
U ces =
[c , s] 1− 
1−
Per la Cina avremo dunque:
∞
−zt
Max V =∫ e
0
[Ca t Rut ]1− 
dt sotto il vincolo
1−
Con Ca t= variabile di controllo e
˙ c=r Ruc t Cat  .
Ru
Ru t= variabile di controllo .
La relativa funzione Hamiltoniana sarà dunque:
H =e
−zt
[Cat  Ru t]1−−1
[r Ru tCa t Ru t ]
1−
con  che rappresenta la cosiddetta variabile di co-stato (prezzi ombra).
176
Le relative condizioni del primo ordine saranno:
1)
 H 
=0 la quale ci dice che la derivata della funzione hamiltoniana
 Cat 
rispetto alla variabile di stato deve essere uguale a zero.
2) −[
 H 
]=̇t la quale ci dice che l'opposto della derivata della
 Rut 
funzione hamiltoniana rispetto alla variabile di stato deve essere uguale alla
variazione della variabile di co-stato.
3)
 H 
˙ t  la quale ci dice assicura il rispetto del vincolo.
= Ru
 
Le traiettorie così ottenute saranno le condizioni necessarie ma non sufficienti per
determinare le traiettorie ottime della variabile di controllo e di stato. Sviluppando
completamente il sistema sarà possibile ottenere le traiettorie ottimali delle partite
correnti e delle riserve ufficiali in grado di ottimizzare l'utilità-paese della Cina.
Lo stesso medesimo procedimento potrà essere eseguito Per gli Stati Uniti.
Risolvendo congiuntamente il sistema sarà possibile trovare la traiettoria ideale
delle variabili di controllo e di stato per entrambi i paesi contemporaneamente.
177
Tabella 1 : Saldo di conto corrente di varie aree e paesi, fine 2008.
Paesi
Europa
Area euro
di cui
Germania
Francia
Italia
Spagna
Saldo di conto corrente (miliardi di dollari)
-16,41
23,86
255,53
-31,25
-51,03
-145,36
Regno Unito
Svizzera
Norvegia
Svezia
Danimarca
Islanda
Est Europa
-119,16
58,02
60,46
38,42
3,4
-3,18
-78,22
Nord America
Stati Uniti
Canada
Messico
Altri
-732,26
-731,21
12,64
-5,52
-8,17
Asia
Giappone
Cina
Arabia Saudita
Russia
Altri
738,41
210,49
371,83
95,08
76,24
-15,23
Sud America
Brasile
Argentina
Cile
Venezuela
Altri
34,41
1,46
7,11
7,2
20
-2,87
Africa
Nigeria
Sud Africa
Angola
Altri
-0,93
21,97
-20,63
9,4
-11,67
Oceania
Australia
Nuova Zelanda
-66,82
-56,58
-10,24
Totale deficit mondiali
% deficit Stati Uniti sul totale
-855,29
85,49%
Fonte: IMF database 2008.
Note: Est Europa: Polonia, Romania, Ungheria, Croazia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Ucraina, Serbia,
Macedonia, Moldavia, Bielorussia, Albania.
177
Tabella 2: bilancia dei pagamenti britannica, 1925-1938, in milioni di sterline.
Importazioni
Esportazioni
Bilancia commerciale
Bilancia dei servizi
1925
1208
943
-265
296
1926
1140
794
-346
307
1927
1115
845
-270
348
1928
1095
858
-237
341
1929
1117
854
-263
339
1930
953
670
-283
298
1931
786
464
-322
208
1932
641
425
-216
154
1933
619
427
-192
174
1934
683
463
-220
188
1935
724
541
-183
196
1936
786
523
-263
223
1937
950
614
-336
279
1938
849
564
-285
220
Saldo conto corrente
31
-39
78
104
76
15
-114
-62
-18
-32
13
-40
-57
-65
Flussi capitali lungo termine
Flussi capitali breve termine
Aiuti esteri
Conto capitale
-78
45
-89
151
-138
78
-111
-11
-52
-32
-61
53
-36
78
-18
84
-2
253
-3
189
20
-223
62
-60
-122
-84
-8
9
196
-114
91
-12
152
-33
-5
3
82
80
140
42
66
251
186
-203
Variazione riserve ufficiali
-2
23
18
-18
-8
7
-34
29
122
10
79
211
129
-268
Fonte: Caincross e Eichengreen (1983) pagina 35.
178
Tabella 3: saldo della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti, 1960-1970, milioni di dollari.
Conto corrente
1964
1965
1960
1961
1962
1963
1966
1967
1968
1969
1970
30556
31402
33340
35776
40165
42722
46454
49353
54911
60132
68387
25940
4616
26403
4999
27722
5618
29620
6157
33341
6824
35285
7437
38926
7528
41333
8021
45543
9367
49220
10913
56640
11748
-23670
-23453
-25676
-26970
-29102
-32708
-38468
-41476
-48671
-53998
-59901
-22432
-1238
-22208
-1245
-24352
-1324
-25410
-1560
-27319
-1783
-30621
-2088
-35987
-2481
-38729
-2747
-45293
-3378
-49129
-4869
-54386
-5515
7 Trasferimenti unilaterali netti
-4062
-4127
-4277
-4392
-4240
-4583
-4955
-5294
-5629
-5735
-6156
8 Saldo conto corrente (1+4+7)
9 Saldo bilancia commerciale (1+4)
10 Saldo redditi da capitale (3+6)
2824
3508
3379
3822
4195
3755
3387
3370
4294
4414
4210
4596
6823
6022
5041
5431
4664
5350
3031
2940
5047
2583
2604
5274
611
250
5990
399
91
6044
2331
2254
6233
1960
1961
1962
1963
Conto finanziario
1964
1965
1966
1967
1968
1969
1970
11 Attività estere americane, esclusi i derivati
Di cui:
12 Riserve ufficiali
13 Titoli di stato diversi dalle riserve ufficiali
14 Attività private
Di cui:
Investimenti esteri diretti
15
attività di portafoglio
16
-4099
-5538
-4174
-7270
-9560
-5716
-7321
-9757
-10977
-11585
-8470
2145
-1100
-5144
607
-910
-5235
1535
-1085
-4623
378
-1662
-5986
171
-1680
-8050
1225
-1605
-5336
570
-1543
-6347
53
-2423
-7386
-870
-2274
-7833
-1179
-2200
-8206
3348
-1589
-10229
-2940
-663
-2653
-762
-2851
-969
-3483
-1105
-3760
-677
-5011
-759
-5418
-720
-4805
-1308
-5295
-1569
-5960
-1549
-7590
-1076
17 Attività estere negli Stati Uniti, esclusi i derivati
Di cui:
18 Riserve ufficiali negli Stati Uniti
Di cui:
In attività del governo
19
In titoli del tesoro
20
21 Altre attività estere negli Stati Uniti
Investimenti esteri diretti
22
Titoli del tesoro
23
2294
2705
1911
3217
3643
742
3661
7379
9928
12702
6359
1473
765
1270
1986
1660
134
-672
3451
-774
-1301
6908
655
655
821
315
-364
233
233
1939
311
151
1409
1410
641
346
-66
816
803
1231
231
-149
432
434
1983
322
-146
-141
-134
607
415
-131
-1527
-1548
4333
425
-356
2261
2222
3928
698
-135
-769
-798
10703
807
136
-2343
-2269
14002
1263
-68
9439
9411
-550
1464
81
24 Saldo conto finanziario (11+17)
-1805
-2833
-2263
-4053
-5917
-4974
-3660
-2378
-1049
1117
-2111
1 Esportazioni beni e servizi e redditi da capitale
Di cui:
2 Esportazioni beni e servizi
3 Redditi da capitale
4 Importazione beni e servizi e interessi passivi
Di cui:
5 Importazioni beni e servizi
6 Interessi passivi
Fonte: Buareau of Economics Analysis 2009.
179
Tabella 4: Test Dickey-Fuller per la presenza di radice unitaria, 1960-1971.
Variabile
r_c
r_f
r_g
r_uk
r_us
fli_c
fli_f
fli_g
fli_uk
fli_us
rr_c
rr_f
rr_g
rr_uk
rr_us
Valore Test ADF con costante
-1,2035
0,2142
-1,6806
-1,4522
-1,1645
-2,0863
-2,2378
-2,2455
-2,5240
-1,7507
-3,4971
-2,9703
-2,5666
-4,1494
-1,8454
P-value
0,6753
0,9727
0,4412
0,5581
0,6920
0,2504
0,1929
0,1902
0,1097
0,4056
0,0081
0,0378
0,1000
0,0008
0,3587
Valore test ADF costante e trend
-1,8179
-2,3540
-2,8776
-1,5404
-2,5221
-3,9675
-2,3686
-2,2857
-4,3607
-2,2661
-3,5980
-3,4349
-2,3716
-4,2744
-2,5641
Fonte: OECD database 2009, www.oecd.org .
180
P-value
0,6963
0,4021
0,1698
0,8159
0,3173
0,0097
0,3961
0,4412
0,0025
0,4521
0,0299
0,0468
0,3945
0,0034
0,2971
Ritardi
9
1
3
1
9
9
3
10
10
9
9
5
10
10
2
Tabella 5: Riassunto procedura di Johansen per i tassi d'interesse nominali decennali di Canada,, Gran Bretagna, Francia e Germania, nei confronti con
gli Stati Uniti 1960-1971.
selezione ritardi del VAR
Ritardo scelto H 0
Paese
AIC
BIC
HQC
caso scelto
Regno Unito
3
2
2
C.N.V
4
Germania
4
2
3
C.N.V
3
Francia
2
1
2
C.N.V
2
Canada
3
3
3
C.N.V
2
Rango=0
Rango=1
Rango=0
Rango=1
Rango=0
Rango=1
Rango=0
Rango=1
Autovalore
Test della Traccia
P-value
Test del massimo autovalore
P-value
0,10646
0,00767
0,03404
0,01385
0,09204
0,00000
0,16796
0,00896
16,837
1,078
6,849
1,967
13,710
0,000
27,389
1,278
0,0295
0,2992
0,6011
0,1608
0,0907
0,9935
0,0004
0,2583
15,760
1,078
4,883
1,967
13,710
0,000
26,111
1,278
0,0267
0,2992
0,7561
0,1608
0,0593
0,9935
0,0003
0,2583
Autovalore
Test della Traccia
P-value
Test del massimo autovalore
P-value
0,10692
0,01114
0,03767
0,01395
0,09315
0,02000
0,16850
0,01083
17,398
1,568
7,395
1,980
16,753
2,868
27,747
1,546
0,1192
0,8511
0,8657
0,7779
0,1438
0,6131
0,0030
0,8548
15,831
1,568
5,415
1,980
13,884
2,868
26,202
1,546
0,0492
0,8501
0,8425
0,7768
0,1015
0,6119
0,0005
0,8538
selezione ritardi del VAR
Ritardo scelto H 0
Paese
AIC
BIC
HQC
caso scelto
Regno Unito
3
2
2
C.V
4
Germania
4
2
3
C.V
3
Francia
2
1
2
C.V
2
Canada
3
3
3
C.V
2
Rango=0
Rango=1
Rango=0
Rango=1
Rango=0
Rango=1
Rango=0
Rango=1
Fonte: OECD database 2009, www.oecd.org .
181
Tabella 6: Riassunto procedura di Johansen per i tassi d'interesse reali attesi (validità relazione di Fisher) di Canada, Gran Bretagna, Francia e
Germania, nei confronti degli Stati Uniti, 1960-1971.
Paese
selezione ritardi del VAR
AIC
BIC HQC
caso scelto
Regno Unito
10
1
1
C.N.V
Germania
4
2
2
C.N.V
Francia
1
1
1
C.N.V
Canada
2
1
2
C.N.V
Paese
selezione ritardi del VAR
AIC
BIC HQC
caso scelto
Regno Unito
10
1
1
C.V
Germania
4
2
2
C.V
Francia
1
1
1
C.V
Canada
2
1
2
C.V
Ritardo scelto H 0
Rango=0
1
Rango=1
Rango=0
2
Rango=1
Rango=0
1
Rango=1
Rango=0
2
Rango=1
Autovalore
0,04934
0,01400
0,04804
0,01740
0,03584
0,03046
0,10423
0,06045
Test della Traccia
8,539
1,861
8,749
2,300
8,901
4,084
22,588
8,168
P-value
0,4168
0,1726
0,3961
0,1294
0,3815
0,0433
0,0029
0,0043
Test del massimo autovalore
6,679
1,861
6,449
2,300
4,818
4,084
14,420
8,168
P-value
0,5358
0,1726
0,5637
0,1294
0,7637
0,0433
0,0453
0,0043
Ritardo scelto H 0
Rango=0
1
Rango=1
Rango=0
2
Rango=1
Rango=0
1
Rango=1
Rango=0
2
Rango=1
Autovalore
0,05071
0,01532
0,06009
0,00741
0,03587
0,03052
0,10494
0,06101
Test della Traccia
8,907
2,038
9,093
0,974
8,913
4,091
22,769
8,246
P-value
0,7460
0,7674
0,7294
0,9395
0,7455
0,4108
0,0203
0,0751
Test del massimo autovalore
6,870
2,038
8,118
0,974
4,822
4,091
14,523
8,246
P-value
0,6892
0,7663
0,5443
0,9389
0,8926
0,4099
0,0806
0,0751
Fonte: OECD database 2009, www.oecd.org .
182
Tabella 7: riassunto procedura di Johansen per i tassi d'interesse reali decennali di Canada, Gran Bretagna, Francia e Germania, nei confronti degli Stati
Uniti,1960-1971, con inflazione attesa ( non validità relazione di Fisher) .
Paese
selezione ritardi del VAR
AIC
BIC
HQC
caso scelto
Regno Unito
13
1
1
C.N.V
Germania
13
1
2
C.N.V
Francia
1
1
1
C.N.V
Canada
13
1
2
C.N.V
Paese
selezione ritardi del VAR
AIC
BIC
HQC
caso scelto
Regno Unito
13
1
1
C.V
Germania
13
1
2
C.V
Francia
1
1
1
C.V
Canada
13
1
2
C.V
Ritardo scelto H 0
Rango=0
Rango=1
2
Rango=2
Rango=3
Rango=0
Rango=1
2
Rango=2
Rango=3
Rango=0
Rango=1
2
Rango=2
Rango=3
Rango=0
Rango=1
2
Rango=2
Rango=3
Autovalore
0,21462
0,11095
0,05922
0,01902
0,17696
0,10044
0,06420
0,02299
0,17121
0,08043
0,04856
0,01542
0,23204
0,19630
0,11515
0,00423
Test della Traccia
57,567
25,919
10,513
2,515
51,117
25,604
11,739
3,047
44,140
19,541
8,557
2,036
79,795
45,209
16,58200
0,55504
P-value
0,0040
0,1348
0,2476
0,1127
0,0223
0,1451
0,1719
0,0809
0,1063
0,4655
0,4151
0,1536
0,0000
0,0003
0,0325
0,4563
Test del massimo autovalore
31,648
15,406
7,998
2,515
25,513
13,866
8,692
3,047
24,600
10,984
6,521
2,036
34,586
28,627
16,0270
0,5550
P-value
0,0114
0,2724
0,3874
0,1127
0,0889
0,3903
0,3200
0,0809
0,1156
0,6573
0,5550
0,1536
0,0037
0,0026
0,0240
0,4563
Ritardo scelto H 0
Rango=0
Rango=1
2
Rango=2
Rango=3
Rango=0
Rango=1
2
Rango=2
Rango=3
Rango=0
Rango=1
2
Rango=2
Rango=3
Rango=0
Rango=1
2
Rango=2
Rango=3
Autovalore
0,21737
0,12419
0,06610
0,02118
0,17740
0,11095
0,06426
0,02312
0,17315
0,09804
0,05176
0,02178
0,23405
0,19638
0,11657
0,01375
Test della Traccia
61,242
29,135
11,763
2,805
52,752
27,170
11,765
3,064
48,270
23,363
9,846
2,885
81,621
46,691
18,05100
1,81390
P-value
0,0089
0,1962
0,4788
0,6246
0,0642
0,2841
0,4786
0,5779
0,1498
0,5088
0,6596
0,6101
0,0000
0,0015
0,0980
0,8081
Test del massimo autovalore
32,108
17,372
8,958
2,805
25,582
15,405
8,701
3,064
24,907
13,517
6,962
2,885
34,930
28,640
16,2370
1,8139
P-value
0,0140
0,2194
0,4506
0,6235
0,1169
0,3551
0,4785
0,5768
0,1407
0,5192
0,6786
0,6089
0,0047
0,0041
0,0420
0,8070
Fonte: OECD database 2009, www.oecd.org .
183
Tabella 8: risultati delle stime del vettore dei cointegrazione per i tassi d'interesse nominali e dei relativi modelli vincolati, per il periodo che va dal 1960al 1971.
Modello libero (costante non vincolata)
Modello vincolato (costante non vincolata)
Deviazione standard
vincoli
Deviazione standard test t ECM P-value Test rapporto verosimiglianza
Test LM-autocorrelazione
Test LM-ARCH
Test t parte ECM P-value
Paesi


Numero ritardi 





Valore
P-value
Valore
P-value
Valore
P-value
0,28600
9,32723 0,67476
0,67600 48,82230 0,00000
Regno Unito
Usa
4
1,0000
-0,9734
-0,0702
0,0817
0,0000
0,0983
0,0317
0,0297
-2,213
2,753
0,02860
0,00670
1
-0,8793
-0,0907
0
0,0000
0,1330
0,0309
0,0000
-2,9340
NA
0,0039
NA
7,29778
0,00690
14,23350
9,30832
Francia
Usa
2
1,0000
-1,0671
-0,0382
0,1172
0,0000
0,0846
0,0244
0,0371
-1,567
3,163
0,11930
0,00190
1
-1,0682
-0,0481
0
0,0000
0,1588
0,0241
0,0000
-1,9960
NA
0,0479
NA
9,93885
0,00162
6,29427
16,41860
0,90100
0,17300
0,55843
53,64900
1,00000
0,00000
Canada
Usa
2
1,0000
-0,8893
-0,0731
0,2561
0,0000
0,0274
0,0633
0,0809
-1,154
3,168
0,25050
0,00190
1
-0,8664
-0,2050
0
0,0000
0,0339
0,0480
0,0000
-4,2680
NA
0,0000
NA
9,50600
0,00205
13,00530
15,25510
0,36900
0,22800
34,34340
55,53850
0,00060
0,00000
Paesi
Regno Unito
Usa
Francia
Usa
Canada
Usa
Modello libero (costante vincolata)
Deviazione standard Test t parte ECM P-value

Numero ritardi



Modello vincolato (costante vincolata)
Deviazione standard test t ECM P-value
vincoli




Test rapporto verosimiglianza
Valore
P-value
Test LM-autocorrelazione
Valore
Test LM-ARCH
P-value
Valore
P-value
0,28500
9,22371 0,68371
0,67700 47,71040 0,00000
4
1,0000
-0,9746
-1,8950
-0,0688
0,0828
0,0000
0,0983
0,5064
0,0317
0,0296
-2,173
2,794
0,03150
0,00600
1
-0,8793
-2,4491
-0,0907
0
0,0000
0,1325
0,0307
0,0000
-2,9590
NA
0,0037
NA
7,26774
0,00702
14,24380
9,30268
2
1,0000
-1,0671
-1,2696
-0,0428
0,1126
0,0000
0,0846
0,4350
0,0243
0,0369
-1,758
3,053
0,08100
0,00270
1
-1,0682
-1,5216
-0,0481
0
0,0000
0,1582
0,0186
0,0000
-2,5890
NA
0,0106
NA
7,38754
0,00657
6,30025
16,55520
0,90000
0,16700
0,55628
50,99270
1,00000
0,00000
2
1,0000
-0,8895
-1,49350
-0,0710
0,2582
0,0000
0,0274
0,14081
0,0633
0,0807
-1,123
3,198
0,26350
0,00170
1
-0,8664
-1,62140
-0,2050
0
0,0000
0,0339
0,0479
0,0000
-4,2840
NA
0,0000
NA
9,58726
0,00196
13,01310
15,36580
0,36800
0,22200
34,35560
52,76790
0,00059
0,00000
Fonte: OECD database 2009, www.oecd.org .
184
Tabella 9: risultati delle stime del vettore dei cointegrazione per i tassi d'interesse reali attesi (non validità relazione di Fisher) e dei relativi modelli
vincolati, per il periodo che va dal 1960-al 1971.
Paesi
Numero ritardi 
Regno Unito
1,0000
Infl_UK
1,8861
2
Usa
-10,3660
Infl_us
4,3772
Modello libero (costante non vincolata)
Deviazione standard
Test t parte ECM


P-value

vincoli


Modello vincolato (costante non vincolata)
Deviazione standard
test t ECM
P-value


0,0000
0,0109
-3,5850
0,0005
0,2392
0,0309
1,5080
0,1340
0,6451
0,0000
NA
NA
0,3377
0,0183
-2,0990
0,0378
0,0085
-0,0153
0,0118
0,0132
0,0000
0,6370
1,7180
0,8994
0,0033
0,0091
0,0029
0,0054
2,543
-1,681
4,022
2,464
0,01220
0,09530
0,00010
0,01510
1
-0,8378
2,1832
-1,2610
-0,0390
0,0466
0
-0,0384
0,0036
-0,0054
0,0822
0,0815
0,0000
0,1105
0,2201
0,1551
0,0149
0,0518
0,0197
0,0359
0,243
-0,104
4,174
2,269
0,80870
0,91760
0,00006
0,02500
1
0,1597
-1,1968
-0,0815
-0,0412
-0,0202
0
0,1376
0,0000
0,1075
0,2140
0,1508
0,0213
0,0752
0,0000
0,0520
-1,9320
-0,2681
NA
2,6470
0,0556
0,7891
NA
0,0092
12,13900
Francia
Infl_F
Usa
Infl_us
2
1,0000
0,0866
-1,7745
0,4832
Canada
Infl_C
Usa
Infl_us
2
1,0000
0,3167
-0,2181
-0,61517
-0,1908
0,1242
-0,2391
0,01412
0,0000
0,0601
0,0937
0,08316
0,0353
0,1495
0,0459
0,08822
-5,404
0,831
-5,204
0,16010
0,00000
0,40750
0,00000
0,87310
1
0,1522
-0,7130
-0,20314
-0,2711
-0,1546
0
0,34708
0,0000
0,0333
0,0519
0,04607
0,0575
0,2920
0,0000
0,17066
-4,7130
-0,5293
NA
2,03400
0,0000
0,5975
NA
0,04410
Germania
Infl_G
Usa
Infl_us
2
1,0000
1,5379
-7,2846
3,8803
0,0015
-0,0241
0,0136
0,0116
0,0000
0,7594
1,3131
0,8304
0,0031
0,0088
0,0039
0,0070
0,4653
-2,7430
3,4730
1,6500
0,6425
0,0070
0,0007
0,1015
1,0000
0,9991
-2,6911
1,0292
-0,0049
-0,0906
0,0000
0,0154
0,0000
0,3442
0,5951
0,3763
0,0080
0,0221
0,0000
0,0185
-0,6084
-4,0900
NA
0,8326
0,5440
0,0001
NA
0,4067
Paesi
Numero ritardi 
Regno Unito
1,0000
Infl_UK
1,8861
2
Usa
-10,3660
Infl_us
4,3772
Modello libero (costante vincolata)
Deviazione standard
Test t parte ECM


P-value

vincoli


Modello vincolato (costante vincolata)
Deviazione standard
test t ECM
P-value


0,0000
0,0109
-3,5850
0,0005
0,2392
0,0309
1,5080
0,1340
0,6451
0,0000
NA
NA
0,3377
0,0183
-2,0990
0,0378
0,00049
0,57009
36,49440
53,76010
7,01999
1,00000
0,00027
0,00000
0,85629
4,91508
0,02662
9,70851
44,40380
17,00570
43,97550
0,64200
0,00001
0,14900
0,00002
20,45450
17,26950
55,61760
13,24830
0,05896
0,13974
0,00000
0,35125
7,0862
0,0078
9,8193
50,1680
19,6168
41,5253
0,6320
0,0000
0,0747
0,0000
22,6955
15,4793
55,0051
10,7013
0,0304
0,2163
0,0000
0,5547
Test rapporto verosimiglianza
Valore
P-value
Valore
2,543
-1,681
4,022
2,464
0,01220
0,09530
0,00010
0,01510
1
-0,8378
2,1832
-1,2610
-0,0390
0,0466
0
-0,0384
0,0036
-0,0054
0,0822
0,0815
0,0000
0,1105
0,2201
0,1551
0,0149
0,0518
0,0197
0,0359
0,243
-0,104
4,174
2,269
0,80870
0,91760
0,00006
0,02500
1
0,1597
-1,1968
-0,0815
-0,0412
-0,0202
0
0,1376
0,0000
0,1075
0,2140
0,1508
0,0213
0,0752
0,0000
0,0520
-1,9320
-0,2681
NA
2,6470
0,0556
0,7891
NA
0,0092
12,13900
4,91508
Canada
Infl_C
Usa
Infl_us
2
1,0000
0,3167
-0,2181
-0,61517
-0,1908
0,1242
-0,2391
0,01412
0,0000
0,0601
0,0937
0,08316
0,0353
0,1495
0,0459
0,08822
-5,404
0,831
-5,204
0,16010
0,00000
0,40750
0,00000
0,87310
1
0,1522
-0,7130
-0,20314
-0,2711
-0,1546
0
0,34708
0,0000
0,0333
0,0519
0,04607
0,0575
0,2920
0,0000
0,17066
-4,7130
-0,5293
NA
2,03400
0,0000
0,5975
NA
0,04410
1,0000
1,5783
-7,7295
4,1492
0,0015
-0,0215
0,0130
0,0113
0,0000
0,8109
1,4022
0,8868
0,0029
0,0083
0,0037
0,0066
0,5007
-2,6060
3,5440
1,7110
0,6174
0,0103
0,0006
0,0895
1,0000
1,0187
-2,6214
0,9985
-0,0049
-0,0936
0,0000
0,0110
0,0000
0,3383
0,5849
0,3699
0,0080
0,0221
0,0000
0,0185
-0,6084
-4,0900
NA
0,8326
0,5440
0,0001
NA
0,4067
Fonte: OECD database, www.oecd.org .
185
Test LM-ARCH
Valore
P-value
12,03350
0,44299
38,97090
0,00011
57,18010
0,00000
8,29293
0,76184
0,97100
0,00034
0,06360
0,00008
0,0033
0,0091
0,0029
0,0054
2
0,00052
Test LM-autocorrelazione
P-value
21,07990
0,04920
62,15010
0,00000
19,14810
0,08500
38,62180
0,00012
4,57672
35,84720
20,18880
39,70030
0,0000
0,6370
1,7180
0,8994
1,0000
0,0866
-1,7745
0,4832
2
12,05580
0,0085
-0,0153
0,0118
0,0132
Francia
Infl_F
Usa
Infl_us
Germania
Infl_G
Usa
Infl_us
Test rapporto verosimiglianza
Valore
P-value
Valore
12,05580
6,6585
0,00052
Test LM-autocorrelazione
P-value
21,07990
0,04920
62,15010
0,00000
19,14810
0,08500
38,62180
0,00012
Test LM-ARCH
Valore
P-value
12,03350
0,44299
38,97090
0,00011
57,18010
0,00000
8,29293
0,76184
0,00049
4,57672
35,84720
20,18880
39,70030
0,97100
0,00034
0,06360
0,00008
0,57009
36,49440
53,76010
7,01999
1,00000
0,00027
0,00000
0,85629
0,02662
9,70851
44,40380
17,00570
43,97550
0,64200
0,00001
0,14900
0,00002
20,45450
17,26950
55,61760
13,24830
0,05896
0,13974
0,00000
0,35125
0,0099
9,8193
50,1680
19,6168
41,5253
0,6320
0,0000
0,0747
0,0000
22,6955
15,4793
55,0051
10,7013
0,0304
0,2163
0,0000
0,5547
Tabella 10 A e B: Riassunto analisi di Granger causalità in un VAR cointegrato nel periodo 1960-1971
Numero
ritardi
2
X
r_us
r_uk
r_g
r_c
r_f
Rango di
cointegrazione
0
1
2
3
4
Autovalore
Test traccia
P-value
Test L-Max
P-value
0,2631
0,1317
0,1046
0,0353
0,0137
86,1650
42,8130
22,7560
7,0728
1,9646
0,0011
0,1372
0,2667
0,5755
0,1610
43,3520
20,0580
15,6830
5,1083
1,9646
0,0016
0,3486
0,2540
0,7292
0,1610
Granger causalità 1960:01-1971 :12
Z
r_uk, r_g, r_c, r_f
2,6846
r_us, r_g, r_c, r_f
1,8301
r_us, r_uk, r_c, r_f
1,5132
r_us, r_uk, r_g, r_f
1,7161
r_us, r_uk, r_g , r_c
1,5575
Fonte: OECD database, www.oecd.org .
186
0,0016
0,0405
0,1146
0,0596
0,0998
Tabella 11: saldo della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti, 2000-2008, in milioni di dollari.
Conto corrente
2003
2004
2005
2006
2007
2008
1572971
1816723
2133905
2462099
2591233
1020191
320456
1159233
413739
1281460
535263
1451684
682221
1643168
818931
1826596
764637
-1652615
-1790372
-2115739
-2459633
-2846179
-3072675
-3168938
-1370400
-259075
-1399071
-253544
-1515225
-275147
-1769220
-346519
-1996728
-462905
-2212043
-634136
-2344590
-728085
-2522532
-646406
-58645
-64487
-64948
-71794
-88362
-105772
-91273
-115996
-128363
-417426
-379835
21054
-398270
-365505
31722
-459151
-421601
27398
-521519
-495034
45309
-631130
-609987
67219
-748683
-715268
72358
-803547
-760359
48085
-726573
-701422
90845
-706068
-695936
118231
2000
2001
2002
2005
2006
2007
2008
11 Attività estere americane, esclusi i derivati
Di cui:
12 Riserve ufficiali
13 Titoli di stato diversi dalle riserve ufficiali
14 Attività private
Di cui:
Investimenti esteri diretti
15
attività di portafoglio
16
-560523
-382616
-294646
-325424
-1000870
-546631
-1285729
-1472126
-106
-290
-941
-559292
-4911
-486
-377219
-3681
345
-291310
1523
537
-327484
2805
1710
-1005385
14096
5539
-566266
2374
5346
-1293449
-122
-22273
-1449731
-4848
-529615
534357
-159212
-127908
-142349
-90644
-154460
-48568
-149564
-146722
-316223
-170549
-36235
-251199
-244922
-365129
-398597
-366524
-332012
60761
17 Attività estere negli Stati Uniti, esclusi i derivati
Di cui:
18 Riserve ufficiali negli Stati Uniti
Di cui:
In attività del governo
19
In titoli del tesoro
20
21 Altre attività estere negli Stati Uniti
Investimenti esteri diretti
22
Titoli del tesoro
23
1038224
782870
795161
858303
1533201
1247347
2065169
2129460
534071
42758
28059
115945
278069
397755
259268
487939
480949
487021
35710
-5199
995466
321274
-69983
54620
33700
754811
167021
-14378
90971
60466
679216
84372
100403
224874
184931
580234
63750
91455
314941
273279
1135446
145966
93608
213334
112841
988079
112638
132300
428401
208564
1577230
243151
-58229
269897
98432
1648511
275758
66807
543498
477652
47050
319737
196619
1 Esportazioni beni e servizi e redditi da capitale
Di cui:
2 Esportazioni beni e servizi
3 Redditi da capitale
4 Importazione beni e servizi e interessi passivi
Di cui:
5 Importazioni beni e servizi
6 Interessi passivi
7 Trasferimenti unilaterali netti
8 Saldo conto corrente (1+4+7)
9 Saldo bilancia commerciale (1+4)
10 Saldo redditi da capitale (3+6)
2000
2001
2002
1421515
1295692
1258411
1340647
1070597
350918
1004895
290797
977469
280942
-1780296
-1629475
-1450432
-329864
Fonte: Buareau of Economics Analysis 2009.
187
Conto finanziario
2003
2004
Tabella 12: posizione netta sull'estero degli Stati Uniti, 2000- 2008, milioni di dollari.
1
2
3
2000
6.238.785
2001
6.308.681
2002
6.649.079
2003
7.638.086
2004
9.340.634
2005
11.961.552
2006
14.428.137
2007
18.278.842
2008
19.888.158
128.400
85.168
6.025.217
129.961
85.654
6.093.066
158.602
85.309
6.405.168
183.577
84.772
7.369.737
189.591
83.062
9.067.981
188.043
77.523
10.505.957
219.853
72.189
12.897.100
277.211
94.471
15.347.828
293.732
624.100
12.345.777
1.531.607
2.425.534
1.693.131
2.169.735
1.867.043
2.076.722
2.054.464
2.948.370
2.498.494
3.545.396
2.651.721
4.329.259
2.948.172
5.604.475
3.451.482
6.835.079
3.698.784
4.244.311
Attività estere negli Stati Uniti
di cui
Riserve ufficiali
di cui
Attività del governo
Attività del tesoro
Attività private
di cui
Investimenti esteri diretti
Attività del tesoro
7.569.415
8.177.556
8.687.049
9.724.599
11.586.051
13.886.698
16.612.419
20.418.758
23.357.404
1.030.708
1.109.072
1.250.977
1.562.564
2.011.899
2.306.292
2.825.628
3.403.995
3.871.362
756.155
639.796
6.538.707
847.005
720.149
7.068.484
970.359
811.995
7.436.072
1.186.500
986.301
8.162.035
1.509.986
1.251.943
9.574.152
1.725.193
1.340.598
10.448.292
2.167.112
1.558.317
12.607.632
2.540.062
1.736.687
14.526.903
3.228.438
2.325.672
13.021.075
1.421.017
381.630
1.518.473
375.059
1.499.952
473.503
1.580.994
527.223
1.742.716
561.610
1.905.979
643.793
2.154.062
567.861
2.450.132
639.715
2.646.847
884.965
Posizione netta sull'estero (1-2)
-1.330.630
-1.868.875
-2.037.970
-2.086.513
-2.245.417
-1.925.146
-2.184.282
-2.139.916
-3.469.246
Attività estere degli Stati Uniti
di cui
Riserve ufficiali
Titoli di stato diversi dalle riserve ufficiali
Attività private
di cui
Investimenti esteri diretti
Attività di portafoglio
Fonte. Buareau of Economics Analysis 2009.
188
Tabella 13 A e 13 B: componenti delle variazioni della posizione netta sull'estero del Stati Uniti, 2000-2008, milioni di dollari.
Componenti delle variazioni delle attività estere degli Stati Uniti
con investimenti diretti a prezzi di mercato, 2008-2008
[Milioni di dollari]
variazione nella posizione esclusi i derivati
Anno
2000
2001
2002
2003
2004
4
2005
2006
2007
2008
posizione
iniziale
7.399.678
7.401.192
6.930.484
6.804.624
8.312.748
10.204.936
12.947.827
15.950.308
20.055.322
Flussi
finanziari
(a)
560.523
382.616
294.646
325.424
1.000.870
546.631
1.285.729
1.472.126
106
variazioni di
prezzo
(b)
-305.366
-714.070
-848.839
767.481
468.747
1.079.180
1.111.633
558.117
-4.225.894
variazioni
tasso di
altre variazioni
cambio
(c)
(d)
-298.276
44.633
-168.687
29.433
265.971
162.362
483.631
-68.412
308.986
113.585
-441.684
1.558.764
412.526
143.627
719.377
35.057
-775.766
141.578
Totale
(a+b+c+d)
1.514
-470.708
-125.860
1.508.124
1.892.188
2.742.891
2.953.515
2.784.677
-4.859.976
Variazioni
derivati
finanziari
......
......
......
......
......
......
48.966
1.320.337
4.065.217
posizione
finale
7.401.192
6.930.484
6.804.624
8.312.748
10.204.936
12.947.827
15.950.308
20.055.322
19.260.563
Componenti delle variazioni delle attività estere negli Stati Uniti
con investimenti diretti a prezzi di mercato, 2008-2008
[Milioni di dollari]
variazione nella posizione esclusi i derivati
Anno
2000
2001
2002
2003
2004
4
2005
2006
2007
2008
posizione
iniziale
8.395.221
8.931.633
9.219.377
9.208.914
10.598.482
12.560.718
14.798.689
17.751.410
21.561.917
Flussi
finanziari
(a)
1.038.224
782.870
795.161
858.303
1.533.201
1.247.347
2.065.169
2.129.460
534.071
variazioni di
prezzo
(b)
-439.082
-489.886
-783.562
775.363
278.469
-66.777
529.069
243.201
-2.469.888
variazioni
tasso di
altre variazioni
cambio
(c)
(d)
-27.682
-35.048
-17.002
11.762
34.724
-56.786
68.161
-312.259
39.204
111.362
-49.990
1.107.391
44.005
267.433
80.653
48.492
-91.633
-244.135
Fonte: Buareau of Economics Analysis 2009.
189
Totale
(a+b+c+d)
536.412
287.744
-10.463
1.389.568
1.962.236
2.237.971
2.905.676
2.501.806
-2.271.585
Variazioni
derivati
finanziari
......
......
......
......
......
......
47.045
1.308.701
3.977.107
posizione
finale
8.931.633
9.219.377
9.208.914
10.598.482
12.560.718
14.798.689
17.751.410
21.561.917
23.267.439
Tabella 14: composizione valutaria delle riserve ufficiali, 1995-2008, milioni di dollari.
Totale riserve ufficiali
di cui
dollari
euro
franchi
marchi
yen
sterline
1995
1,389,801
1996
1,566,268
1997
1,616,248
1998
1,643,803
1999
1,781,947
2000
1,936,282
2001
2,049,630
2002
2,408,109
2003
3,025,110
2004
3,748,400
2005
4,174,556
2006
5,036,925
2007
6,411,087
2008
6,909,257
610,34
760,07
828,89
888,72
979,78
246,95
1,079,916
277,69
1,122,431
301,03
1,204,673
427,33
1,465,752
559,25
1,751,012
658,53
1,902,535
683,81
2,171,075
831,95
2,641,645
1,082,276
2,703,311
1,112,260
24,36
163,09
70,07
21,87
22,64
179,92
82,31
32,88
18,31
184,35
73,49
32,86
20,81
176,95
80,03
34,14
87,94
39,83
92,08
41,8
79,19
42,4
78,15
50,54
87,61
61,66
101,79
89,46
101,77
102,24
102,05
145,21
120,48
192,66
131,7
170,71
Fonte: IMF database 2008, currency composition of official foreign exchange reserve (COFER), pagina 7 e 8.
Tabella 15: percentuale riserve ufficiali di una determinata valuta sul totale delle riserve.
Anno
1913
1965
1973
1977
1982
1987
1992
1997
2003
2004
2005
2006
2007
Dollaro
n.d
56,10%
64,50%
79,20%
57,90%
53,90%
48,90%
59,10%
65,90%
65,90%
66,90%
65,50%
63,90%
Sterlina
40,61%
20%
4,02%
1,01%
1,00%
1,09%
2,06%
3,03%
2,08%
3,04%
3,06%
4,04%
4,07%
Marco
14,33%
0,01%
5,05%
9,03%
11,06%
13,08%
14%
13,07%
n.d
n.d
n.d
n.d
n.d
Franco francese
25,88%
0,09%
0,07%
1,01%
1%
0,09%
2,06%
1,05%
n.d
n.d
n.d
n.d
n.d
Yen
n.d
0%
0,01%
2,02%
4,01%
6,08%
7,04%
5,01%
3,09%
3,08%
3,06%
3,01%
2,09%
Franco svizzero
n.d
0%
1,01%
1,09%
2,03%
1,07%
0,08%
0,05%
0,02%
0,02%
0,01%
0,02%
0,02%
Fonti: Lindert (1969) per il 1913, Chinn e Frankel (2005) dal 1965 al 1997, IMF 2008 dal 2003 al 2007.
190
Fiorino olandese
n.d
0%
0,05%
0,07%
1%
1,02%
0,07%
0,05%
n.d
n.d
n.d
n.d
n.d
Euro
n.d
n.d
n.d
n.d
n.d
n.d
n.d
n.d
25,20%
24,80%
24,10%
25,10%
26,50%
Tabella 16: scadenza e composizione del debito americano, 1990- 2008
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Scadenza media del debito americano in
mesi
68
68
67
65
63
60
61
63
65
67
69
66
60
56
54
53
54
55
49
Bills
23,10%
23,80%
23,80%
22,80%
22,70%
22,70%
22,40%
20,50%
19,20%
20,30%
20,60%
25,20%
27,80%
26,50%
25,00%
22,60%
21,40%
21,70%
28,50%
2-3 anni
20,10%
20,90%
21,20%
21,50%
21,70%
21,50%
21,50%
21,40%
19,70%
17,90%
16,20%
13,30%
18,20%
23,70%
24,40%
23,90%
21,50%
18,10%
15,30%
Fonte: Treasury Bulletin 30/09/09, www.treas.gov .
191
Composizione debito americano
4-7 anni
10-15 anni
Bonds
24,20%
14,40%
18,20%
23,30%
14,20%
17,80%
23,80%
13,80%
17,30%
24,80%
13,70%
17,20%
25,10%
13,90%
16,60%
25,90%
13,90%
16,00%
25,80%
14,40%
16,00%
25,70%
15,00%
16,80%
25,10%
15,90%
18,40%
22,20%
16,80%
20,00%
19,90%
18,20%
21,20%
16,80%
19,10%
21,00%
13,20%
17,40%
19,00%
11,50%
16,80%
16,70%
13,60%
16,90%
14,40%
15,90%
17,10%
12,80%
18,60%
16,70%
12,60%
20,40%
16,70%
12,70%
19,30%
15,70%
11,20%
TIPS
n.d
n.d
n.d
n.d
n.d
n.d
n.d
0,70%
1,80%
2,90%
3,80%
4,60%
4,40%
4,80%
5,80%
7,50%
9,30%
10,40%
10,00%
Tabella 17: Riassunto statistiche descrittive tassi d'interesse a lungo termine e tassi di inflazione per vari paesi.
Tassi interesse
r_uk
r_f
r_g
Periodo 1880- 1913
Media
Dev.Standard
2,84
0,26
3,25
0,3
3,68
0,23
r_us
r_uk
r_c
r_g
r_f
Periodo 1960- 1971
Media
Dev. Standard
5,02
1,17
6,8
1,18
5,97
1,04
6,85
0,88
6,58
1,18
r_us
r_uk
r_g
r_f
Periodo 1995-2008
Media
Dev. Standard
5,11
1
5,48
1,25
4,72
1
4,85
1,09
Tassi inflazione
infl_uk
infl_f
infl_g
Periodo 1880-1913
Media
Dev. Standard
nd
nd
nd
nd
nd
nd
infl_us
infl_uk
infl_c
infl_g
infl_f
Periodo 1960-1971
Media
Dev.Standard
2,8
2,91
4,4
5,59
2,66
4,69
2,71
4,03
4,1
4,1
infl_us
Infl_uk
Infl_g
infl_f
Periodo 1995-2008
Media
Dev.Standard
2,44
4,54
1,86
4,38
1,55
3,63
1,6
2,92
Fonte: Per il periodo dal 1880 al 1913 Homer e Sylla (1996), per i restanti due periodi OECD database 2008.
Note: i tassi per il periodo 1880- 1913 rappresentano rendite perpetue, i restanti sono tassi decennali.
192
Figura 1: rendimenti medi annui consolidati britannici e rentes francesi, 1810-1913.
10
8
6
4
2
rendimento consolidati inglesi
Fonte: H. Sidney, R. Sylla (1995), Storia dei tassi d'interesse, pagina 311 .
193
rendimento rentes francesi
1910
1905
1900
1895
1890
1885
1880
1875
1870
1865
1860
1855
1850
1845
1840
1835
1830
1825
1820
1815
0
1810
rendimento medio annuo %
Rendimenti medi annui consolidati inglesi e rentes francesi,
1810-1913
Figura 2: saldo di conto corrente britannico in rapporto al PIL, 1850-1944.
Fonte: Jones-Obstefeld database, 1996, NBER. www.nber.org/nberhistory .
194
Figura 3: saldo di conto corrente americano in rapporto al PIL, 1960-2008.
Saldo di conto corrente/PIL, percentuale
19
60
19
63
19
66
19
69
19
72
19
75
19
78
19
81
19
84
19
87
19
90
19
93
19
96
19
99
20
02
20
05
20
08
2,00%
1,00%
0,00%
-1,00%
-2,00%
-3,00%
-4,00%
-5,00%
-6,00%
-7,00%
Saldo di conto corrente/PIL
Fonte: Federal Reserve di St. louis database (FRED) 2009.
195
Figura 4: Trade weighted exchange index: maggiori valute, da Marzo 2000 a Settembre 2009.
Trade weighted exchange index: valute principali
120,00
110,00
100,00
90,00
80,00
70,00
60,00
03/01/2000
03/01/2002
03/01/2004
03/01/2006
03/01/2008
Trade weighted exchange index: valute principali
Fonte: Board of Governor of the Federal Reserve System, settembre 2009
Note: maggiori valute: euro, dollaro canadese, yen, sterlina, dollaro australiano, franco svizzero e corona svedese.
196
Figura 5: dislocazione geografica dei surplus e dei deficit di partite correnti, 2008.
Fonte: IMF database 2008.
Surplus> 50 miliardi
0<surplus<50 miliardi
0<deficit<50 miliardi
197
Deficit>50 miliardi
Figura 6: a chi è in mano il debito estero americano?
Fonte: Limes n 5, Ottobre 2009 e www.limesonline.it .
198
Figura 7: importazioni americane dalla Cina, miliardi di dollari, 1995-2008.
400
300
200
100
0
19
95
19
96
19
97
19
98
19
99
20
00
20
01
20
02
20
03
20
04
20
05
20
06
20
07
20
08
Miliardi di dollari
Importazioni dalla Cina degli Stati Uniti,miliardi di
dollari 1995-2008
imp dalla Cina
Fonte: Federal Reserve di St. louis database (FRED) 2009.
199