il sistema monetario internazionale: caratteristiche e
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il sistema monetario internazionale: caratteristiche e
UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE FACOLTÀ DI ECONOMIA “GIORGIO FUÀ” Corso di Laurea Specialistica in finanza, banche, assicurazioni. IL SISTEMA MONETARIO INTERNAZIONALE: CARATTERISTICHE E CRITICITA’ Relatore: Tesi di Laurea di: Prof. Michele Fratianni Federico Giri Correlatore: Prof. Riccardo Lucchetti Anno Accademico 2008/2009 3 INDICE 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.5.1 1.5.2 1.6 INTRODUZIONE Pag 6 CAPITOLO I LA TEORIA DELLE VALUTE DOMINANTI Pag 8 Pag 8 Le valute dominati: cenni storici......................................................................... Caratteristiche del paese che emette valuta di riserva internazionale.................... Le funzioni di una valuta internazionale............................................................... I vantaggi e gli svantaggi di emettere valuta internazionale................................... Le valute dominati ed i relativi strumenti di analisi empirica................................. L'analisi della Granger causalità......................................................................... La cointegrazione............................................................................................. La letteratura empirica sulla Granger causalità e sulla cointegrazione nell'ambito della teoria delle valute dominanti...................................................................... Pag 9 Pag 20 Pag 23 Pag 25 Pag 26 Pag 31 Pag 40 CAPITOLO II IL DOMINIO E L'ASCESA DELLA GRAN BRETAGNA: DAL GOLD Pag STANDARD AGLI ACCORDI DI BRETTON WOODS Introduzione alle vicende del XIX secolo........................................................... Storia e funzionamento dei sistemi monetari dal 1813 al 1913............................ L'esperienza britannica del gold standard........................................................... Il gold standard come sistema decentrato: l'analisi di Tullio e Wolters................. La Granger causalità tra i tassi di sconto privati di Gran Bretagna, Francia e Germania tra il 1876 ed il 1913......................................................................... Conclusioni dell'analisi di Granger causalità........................................................ Il sistema monetario tra i due conflitti mondiali: il gold exchange standard......... 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 CAPITOLO III IL SISTEMA MONETARIO DI BRETTON WOODS 3.1 3.2 3.3 3.4 3.4.1 3.4.2 3.4.3 3.4.4 La nascita del sistema di Bretton Woods........................................................... Il funzionamento di Bretton Woods tra il 1946 ed il 1958................................... Il periodo di piena convertibilità tra il 1959 ed il 1967........................................ I problemi dell'aggiustamento, della liquidità e della fiducia................................. La Gran Bretagna............................................................................................. la Germania...................................................................................................... L'asimmetria dell'aggiustamento degli Stati Uniti................................................... I problemi della liquidità e della fiducia.............................................................. 4 48 Pag 48 Pag 49 Pag 55 Pag 61 Pag 64 Pag 78 Pag 79 Pag 88 Pag 88 Pag 96 Pag 99 Pag 101 Pag 102 Pag 104 Pag 105 Pag 107 3.5 3.6 3.7 3.7.1 3.7.2 3.7.3 3.7.4 3.8 I primi segnali della crisi.................................................................................... Il collasso del sistema di Bretton Woods........................................................... La dominanza del dollaro: Un'analisi empirica di cointegrazione (1960-1971)..... La cointegrazione dei tassi nominali decennali.................................................... La cointegrazione dei tassi reali con inflazione attesa futura................................ L'analisi di Granger causalità in un VAR cointegrato........................................... Conclusioni dell'analisi econometrica di cointegrazione....................................... Conclusioni..................................................................................................... Pag 108 Pag 110 Pag 112 Pag 113 Pag 115 Pag 117 Pag 118 Pag 119 Pag 122 Pag 122 Pag 123 Pag 125 Pag 129 Pag 130 Pag 131 Pag 132 Pag 133 Pag 136 Pag 146 Pag 151 CONCLUSIONI Pag 157 BIBLIOGRAFIA Pag 167 APPENDICE Pag 165 CAPITOLO IV DALLA FINE DI BRETTON WOODS AL “PACIFIC DOLLAR STANDARD” 4.1 4.2 4.2.1 4.2.2 4.2.3 4.2.4 4.2.5 4.3 4.3.1 4.3.2 4.4 Il sistema monetario dopo la fine degli accordi di Bretton Woods....................... Il sistema monetario odierno: il “Pacific Dollar Standard”..................................... Gli Stati Uniti.................................................................................................... La Cina............................................................................................................ L'Europa.......................................................................................................... Il resto del mondo............................................................................................ Il funzionamento del Pacific dollar standard....................................................... I rischi insiti nel Pacific dollar standard............................................................... Il nuovo “benign neglect”.................................................................................. La posizione dei pessimisti................................................................................ Dal piano Keynes al new international clearing union......................................... 5 INTRODUZIONE Il problema del debito estero americano e del destino del dollaro come valuta di riserva internazionale è oramai sotto gli occhi di tutti e nessuno può più ignorarlo. In un articolo redatto nel Marzo del 2009, il governatore della People's Bank of China, Zhou Xiaochuan1, ha apertamente ammesso che la Cina è favorevole alla creazione di una moneta sovranazionale con la quale regolare gli scambi internazionali. Le parole del governatore, il quale rappresenta il maggior finanziatore degli Stati Uniti ed il maggior acquirente di dollari del globo, sono suonate alle orecchie dei mercati internazionali come un campanello di allarme per la tenuta del dollaro e per il suo futuro come valuta di riferimento del sistema. Nel corso della storia una moneta ha sempre prevalso sulle altre come valuta di riferimento del sistema monetario. A partire dalla fine della seconda guerra mondiale questo ruolo è stato delegato al dollaro americano, prima de iure con gli gli accordi di Bretton Woods i quali prevedevano che il dollaro fosse l'unica valuta convertibile con l'oro, poi de facto con la leadership del dollaro che non è stata scalfita dalla fine del sistema di Bretton Woods, dalle crisi petrolifere degli anni '70 e '80 e da una serie di crisi finanziarie più o meno intense. Il marco tedesco e lo yen giapponese, i più seri contendenti allo scettro del dollaro, in verità, per una serie di ragioni economiche e politiche, non hanno mai avuto la 1 L' articolo è uscito il 24 Marzo 2009 sul sito on-line della People's Bank of China. http://www.pbc.gov.cn/english/detail.asp?col=6500&id=178. 6 concreta possibilità di spodestare il dollaro dal suo ruolo di ancora del sistema monetario internazionale. All'alba del XXI secolo lo scenario è però mutato. Alcune scelte delle varie amministrazioni americane hanno indebolito la posizione statunitense nei confronti del resto del mondo rendendo il paese un debitore netto nei confronti del mondo mentre nel 1999 ha fatto capolino sullo scenario planetario l'euro, la moneta di cui si sono dotati i paesi europei in sostituzione delle vecchie divise nazionali, il quale oggi è il più serio rivale del dollaro per la leadership valutaria internazionale. Lo scopo di questa tesi è quello di analizzare i vari sistemi monetari che si sono succeduti nel corso della storia, capire i loro punti di forza e di debolezza ed eventuali punti di contatto con quello odierno, le valute dominati di ogni epoca. Cercheremo poi di analizzare più a fondo il sistema monetario odierno, il Pacific dollar standard, cogliendone le caratteristiche salienti ed i rischi in esso presenti. Infine presenteremo alcune proposte per riformare il sistema monetario internazionale. 7 CAPITOLO I LA TEORIA DELLE VALUTE DOMINANTI I.1) Le valute dominanti: cenni storici Come ricordato poc'anzi, non tutte le monete riescono ad ergersi al ruolo di valuta internazionale. Questo perché le economie che esse rappresentano non sempre mostrano alcune peculiarità che risultano poi fondamentali affinché altri paesi decidano di regolare le proprie transazioni in quella determinata valuta. Nel corso del tempo di valute usate sovra nazionalmente se ne sono susseguite di innumerevoli e la storia ha spesso mostrato (Fratianni 2008) come vi sia stata la tendenza per una sola di esse a dominare tutte le altre. Il sesterzio romano era la moneta più diffusa per regolare i commerci internazionali ai tempi dell'impero romano. Il solidus bizantino divenne la moneta dominante tra il V ed il VII secolo d.c quando l'impero romano d'oriente si erse come unica potenza sopravvissuta nel bacino del mediterraneo. Questa egemonia fu usurpata dall'impero arabo e dalla sua moneta , il dinar, che tra il VIII secolo ed il XII secolo fu la valuta di scambio internazionale. Dal XIII secolo in poi toccò alle monete italiane assumere il suddetto ruolo. La diffusione del genoino genovese, del fiorino fiorentino e del ducato veneziano, andava di pari passo con i movimenti dei mercanti di queste tre nazioni che commerciavano dall'oceano Atlantico fino all'estremo oriente. Queste tre valute circolarono e vennero usate come valute internazionale praticamente 8 contemporaneamente (Cipolla 1951). Questa affermazione sembra dunque in contraddizione con quella che un valuta tende ad escludere le altre. Possiamo ipotizzare che la grandezza di queste tra economie in una qualche maniera si equivalesse. Nessuno dei tre paesi era in grado di dominare economicamente gli altri due. Inoltre è verosimile che la potenza militare di ognuno di essi non fosse in grado di soverchiare quella degli altri due messi insieme. Possiamo prendere in prestito un'espressione matematica per dire che il sistema si trovava perfettamente in equilibrio. Inoltre al di fuori della penisola italica, le grandi monarchie nazionali, Spagna, Francia e Gran Bretagna, erano ancora ai loro albori e non potevano ancora esercitare il ruolo dominante dei secoli a venire. Nel XXIV secolo e sino al termine della prima guerra mondiale la valuta di riferimento fu rappresentata dalla sterlina britannica e sostituita poi alla fine del secondo conflitto bellico dal dollaro americano. Non ci dilungheremo troppo perché i capitoli a seguire tratteranno ampiamente i due fenomeni storici citati. I.2) Caratteristiche del paese che emette valuta di riserva internazionale. La letteratura empirica ha spesso provato ad identificare le caratteristiche di un'economia che permettono ad una valuta di essere usata internazionalmente ( vedi per esempio Chinn e Frankel 2008 e Eichengreen e Matieson 2001). Un primo fattore chiave riguarda la dimensione dell'economia in questione. 9 Solo le grandi potenze economiche possono sperare che la propria moneta venga usata negli scambi internazionali: in un'economia di grandi dimensioni gli investitori internazionali possono più facilmente trovare un' ampia gamma di attività finanziare su cui riversare i propri risparmi. In questo senso appare evidente come gli Stati Uniti siano stati la nazione più grande in termini di ricchezza prodotta come nel XIX secolo questo ruolo fosse assunto dalla Gran Bretagna. Dopo la seconda guerra mondiale il divario con le altre nazioni è stato così netto che nessuna economia, ne quella tedesca ne quella giapponese, ha mai avuto la concreta possibilità di sopravanzare gli Stati Uniti in termini di PIL ed il dollaro come valuta internazionale. Oggi la situazione è decisamente cambiata. L'Europa, soprattutto se si arriverà all'ingresso di Danimarca, Svezia e soprattutto della Gran Bretagna (Chinn e Frankel 2005) nell'area euro, ha in numeri in termini di prodotto interno lordo per poter competere ad armi pari con gli Stati Uniti. Molti ritengono comunque che gli Stati Uniti mantengano ancora un certo vantaggio in quanto i mercati del lavoro, dei capitali e dei fattori produttivi sono più flessibili e meno regolati in America rispetto a quello che avviene in Europa (Posen 2008). Questi fattori permettono una più rapida ricollocazione delle risorse verso i settori con maggiori prospettive di guadagno in grado quindi di produrre una crescita futura più elevata 10 ( vedi tra gli altri , Caballero (2004); Papaioannu (2008). Sebbene l'euro abbia apportato significativi cambiamenti e benefici sia sul versante della mobilità del mercato dei fattori produttivi (Alesina, Ardagna e Galasso 2008) sia su quella del mercato finanziario (Hartmann 2007), l' Europa rimane ancora indietro agli Stati Uniti in questo campo. In prospettiva futura, diciamo nei prossimi 50 anni, anche la Cina ha la possibilità di sfidare gli altri due colossi in termini di ricchezza prodotta. C'è chi addirittura ipotizza che entro il 2050 l'economia cinese sopravanzerà quella americana in termini di PIL prodotto. Un altro fattore che determina l'importanza internazionale di una valuta è la struttura degli scambi con l'estero. Un esempio può essere chiarificatore: lo yen giapponese, il quale rappresenta la seconda economia del mondo, non è una valuta usata di frequente nei regolamenti internazionali. Analizzando la struttura delle sue esportazioni e importazioni si evince come la maggior parte delle esportazioni giapponesi vadano verso gli Stati Uniti, e dunque con regolamenti in dollari, e verso l'Europa, con pagamenti in euro o in dollari, mentre le sue importazioni, che consistono quasi esclusivamente in commodities, energetiche e non, sono anch'esse prezzate in dollari. Questa struttura fa si che ben pochi scambi siano effettuati nella valuta giapponese. Un altro elemento cruciale è quello dello sviluppo del sistema finanziario domestico come conditio sine qua non affinché una valuta possa essere accettata 11 internazionalmente. Il sistema finanziario del paese che emette valuta di riserva deve essere efficiente e sufficientemente liquido in modo da permettere al detentore dell'attività in valuta un rapido disimpegno delle proprie attività che possa comportare un costo di transazione il più basso possibile. Anche in questo caso il predominio degli Usa in questo campo appare netto sebbene ci siano stati segnali positivi in questo senso: l'evidenza empirica conferma che l'entrata in vigore dell'euro ha innalzato la liquidità e l'efficienza dei mercati continentali. Lo spread tra le quotazioni bid (ovvero le proposte di acquisto degli operatori finanziarie sui mercati) e quelle ask (le proposte di vendita) delle obbligazioni e azioni quotate in euro è diminuito sensibilmente assestandosi ai livelli di quelli americani (Papaioannu e Portes 2008). A questo punto di forza il mercato a statunitense ha sempre aggiunto una notevole appetibilità per quanto riguarda la varietà e l'abbondanza di prodotti finanziari a disposizione. Dalle attività più semplici ai derivati strutturati, Wall Street è sempre stata un passo in avanti rispetto alle altre borse del globo, con l'eccezion fatta forse della piazza londinese. Ecco perché uno dei fattori decisivi che potrebbe far pendere l'ago della bilancia in prospettiva futura nei confronti dell'euro è se e quando la Gran Bretagna deciderà di entrare nell'euro portandosi in dote il mercato finanziario londinese. A quel punto il peso dell'economia europea e il grado di sviluppo del suo mercato finanziario potrebbero veramente intaccare l'egemonia americana. Per il momento 12 però il vantaggio americano risulta ancora piuttosto pronunciato in tal senso ed è sicuramente uno degli elementi su cui un paese come la Cina dovrà fare dei notevoli progressi per potersi portare a livello degli altri due visto che il suo sistema finanziario appare ancora arretrato, non efficiente e poco trasparente. Un paese che ha ambizioni di emette valuta internazionale deve anche farsi carico di mantenere un valore il più possibile stabile nei confronti delle altre divise. In particolare due sono gli elementi critici da tenere sotto controllo: uno riguarda il livello di inflazione, il quale deve essere tenuto ad un livello basso ed il più stabile possibile, l'altro concerne il grado di indebitamento del paese, sia nei riguardi del debito pubblico sia nei confronti dell'estero. Nel primo caso si capisce come una valuta inflazionata non sia ben accetta da operatori stranieri in quanto c'è il rischio che il loro potere d'acquisto possa essere eroso dal costante aumento dei prezzi. Nel caso di un debito, sia interno che esterno, crescente gli operatori potrebbero cominciare ad avere dei dubbi sulla capacità del paese in questione di onorare i propri debiti e quindi ad interrogarsi sull'opportunità meno di dirottare i propri investimenti in una valuta che diano maggiore garanzia di solvibilità per il futuro. In questo senso possiamo vedere un piccolo vantaggio per l'Europa nei confronti degli Stati Uniti. Il vecchio continente risulta avere dei conti, sia interni che con l'estero, decisamente migliori. In questo senso il patto di stabilità e 13 crescita rappresenta una garanzia contro eccessivi squilibri nei conti pubblici cosa su cui non può contare l'economia statunitense. Anche dal punto di vista della lotta all'inflazione l' Europa può mettere sul piatto della bilancia una istituzione come la Banca Centrale Europea la quale, a differenza della Federal Reserve che deve dare pari importanza ad altri obbiettivi macroeconomici, come assicurare un elevato tasso di crescita interna, spesso in contrasto con la lotta all'inflazione , è stata dotata di uno statuto che prevede come primo ed unico obbiettivo il raggiungimento di un tasso d' inflazione per l'area euro pari al 2% su base annua. Il fatto di avere una banca centrale credibile e che in caso di crisi eserciti anche il ruolo di prestatore di ultima istanza è sicuramente un fattore determinante nella scelta della valuta di riserva. In retrospettiva storica, il mancato sorpasso del dollaro sulla sterlina all'inizio del '900 può essere attribuito alla mancanza negli Usa di un istituto centrale che garantisse le suddette funzioni2. Infatti, se l'economa americana aveva superato quella britannica, lo stesso non si poteva dire del sistema finanziario, in cui spiccava la presenza di una banca centrale che garantiva il corretto funzionamento e preveniva eventuali crisi dei mercati finanziari. Tornando al presente ci possiamo rendere conto dell'importanza di suddetta 2 La Federal Reserve, ultima in ordine di tempo tra le grandi banche centrali, fu istituita dal presidente Wilson solamente nel 1913 con il Federal reserve act dopo una serie di crisi che avevano minato la fiducia nel sistema del free banking. 14 istituzione pensando a quali danni ancora maggiori poteva compiere la crisi che si è abbattuta sui mercati internazionali se non vi fossero state le ingenti immissioni di liquidità delle banche centrali di tutto il mondo ed in particolar modo della Federal Reserve. Anche nei momenti in cui la crisi sembrava irreversibile gli operatori non hanno mai perso la fiducia nel dollaro come valuta di riserva tant'è che tra settembre e dicembre del 2008 il dollaro è tornato sotto quota 1,30 nei confronti dell'euro segno che nei momenti di crisi la valuta americana è ancora percepita come il principale safe heaven. Non bisogna trascurare il fatto che i mercati tendono in un certo qual modo ad essere “abitudinari” adattandosi lentamente alle novità. Un certo filone rilevante della letteratura economica (Rey 2001, Zhou (1997), Matsuyama, Kiyotaki e Matsui (1993) cerca di spiegare che il dominio attuale del dollaro è da ricercarsi principalmente nelle sue “network externatilities” ovvero nell'incremento di efficienza che hanno i mercati, in termine di diminuzione di costi di transazione, quando si adotta una singola moneta per regolare gli scambi internazionali. Secondo questi economisti, il fatto che il dollaro sia ancora così usato può dipendere dal fatto che è stato così negli ultimi 60 anni e che la transizione verso un'altra valuta, se eventualmente ci sarà, sarà per forza di cose lenta. Posen (2008) commenta che l'elevata significatività della variabile ritardata di un periodo delle riserve detenute in valuta nelle regressioni proposte da Chinn e Frankel (2005, 15 pagina 51-2 tabelle 4,5,6) sta proprio a testimoniare l'elevata importanza della variabile “network externatilities”. In questo senso il solito richiamo alla Gran Bretagna (Eichengreen 2005) può essere illuminate. Sono occorsi diversi anni, quelli a cavallo tra le due guerre, affinché al sorpasso economico si affiancasse quello monetario. E una volta finita la guerra la sterlina ha mantenuto una certa importanza seppur ridimensionata (vedi tabella 15 ed i capitoli II e III al riguardo). Infine non va trascurata la capacità del paese emittente di valuta internazionale di difendere il proprio status anche con l'uso della forza. Non è un caso che le due valute internazionali per eccellenza degli ultimi due secoli, la sterlina ed il dollaro, siano state supportate dagli eserciti più grandi, potenti e temuti del mondo. Le attività dei paesi militarmente avanzati possono dunque offrire una ulteriore garanzia a supporto del valore della propria valuta. Uno dei maggiori sostenitori della teoria che la valuta dominante del sistema venga scelta per ragioni geopolitiche piuttosto che di natura prettamente economica è Adam Posen (2008). Dall'articolo in questione emerge come, sebbene per molti paesi sarebbe più consono mantenere un peg con l'euro o addirittura con lo yen o il renmimbi, in virtù del fatto che gli scambi con l'estero sono principalmente indirizzati verso quei paesi con conseguente sincronizzazione degli shock, la maggior parte di essi sono riluttanti ad abbandonare un cambio fisso con il dollaro e a smettere di 16 sostenere il deficit con l'estero americano. Posen sottolinea come alla base della scelta della valuta di riserva vi siano principalmente delle ragioni geo-strategiche e di sicurezza nazionale dei vari paesi coinvolti. La Germania Ovest ed il Giappone sono gli esempi storici più eclatanti. Entrambi i paesi, sconfitti nella seconda guerra mondiale, per lungo tempo, ed in verità anche al giorno d'oggi, hanno dovuto ospitare all'interno dei propri confini un significativo numero di truppe americane delegando di fatto ad essi la difesa del proprio territorio. Non è un caso infatti che sia la Germania quanto il Giappone non abbiano mai pensato seriamente di diversificare le proprie riserve in valuta e tentato di sostituire il dollaro o addirittura di tentare di dare al marco e allo yen un respiro internazionale. La Germania Ovest era ovviamente la prima linea di contenimento dell' Unione Sovietica e, nonostante che il sistema di Bretton Woods fosse già crollato da alcuni anni, nessuna significativa cessione di dollari avvenne prima del 1979 (Posen 2008). Sicuramente è ancora meno un caso, che un decisivo passo verso la nascita dell'euro avvenne solamente nel 1993 con gli accordi di Maastricht quando ormai la minaccia sovietica era scomparsa dalla scena mondiale. Per il Giappone invece la questione è ancora pienamente aperta. Essendo un paese smilitarizzato e delegando pressoché in toto la sua difesa agli Stati Uniti esso ha di fatto negli anni scambiato la propria politica militare, principalmente 17 indirizzata al contenimento dell'espansionismo cinese nell'area, con una politica di cambio fisso dollaro-yen in grado di fornire un congruo finanziamento al deficit estero americano. Questa politica non è mai stata di fatto abbandonata neanche con la fine della convertibilità del dollaro in oro nonostante che il Giappone fosse probabilmente il paese più esposto alle perdite legate alla svalutazione del dollaro americano (Posen 2008 pagina 89). Alla luce di questi esempi non sembra una coincidenza che la Francia fosse il paese più critico nei confronti dell'egemonia del dollaro. Nel 1966 De Gaulle chiuse tutte le basi americane presenti sul proprio territorio, circa ventinove, e decise di uscire dal comando integrato dalla NATO per alcuni contrasti con la politica estera statunitense. La sicurezza francese non era mai dipesa in maniera così preponderante dalla presenza americana permettendo alla Francia margini di manovra che la Germania all'epoca non poteva certo permettersi. Sembra dunque evidente da questi esempi storici come le ragioni geopolitiche abbiano avuto nel corso degli anni una importanza fondamentale nell'ergere il dollaro quale valuta dominate. La maggior parte dei paesi che ospitano truppe americane sul proprio suolo (Posen 2008, tabella 1, pagina 93) sono quelli che hanno scelto, de iure o de facto, una cambio fisso con il dollaro ed un finanziamento del debito estero americano. Dal Giappone alla Corea del Sud passando per l'Arabia Saudita, i maggiori finanziatori degli Stati Uniti (vedi 18 tabella IV.2.2) sono quelli che più dipendono da essi per la proprio difesa nazionale. Proprio nella sua incapacità di proiettarsi al di fuori dei propri confini, Posen vede il punto debole dell'euro e la sua futura impossibilità di soppiantare il dollaro quale valuta di riserva internazionale. Al di là della propria area di influenza naturale, che possiamo identificare con i Balcani e alcuni paesi che si affacciano sul Mediterraneo, l'Europa e l'euro non possiedono una vera e propria sfera di influenza. Le uniche ragioni che portano alcuni a ipotizzare un sorpasso dell'euro sul biglietto verde sono da attribuirsi ad eventuali e catastrofici fallimenti delle politiche di bilancio americane, non certo ad una intraprendenza delle politiche europee in tal senso. Visto in questa ottica si può meglio comprendere come l'ascesa della Cina sia vista con sospetto e con preoccupazione dalle autorità americane. La Cina non è legata agli Stati Uniti da alcun vincolo militare e anzi essa può essere percepita essenzialmente come un paese rivale, sia economicamente che politicamente. Come abbiamo visto, sino ad oggi i maggiori finanziatori americani sono stati dei paesi che in un certo qual modo si appoggiano tutti agli Stati Uniti per la propria difesa. Nella fattispecie della Cina abbiamo però il caso di un paese che è libero da questo tipo di ragionamenti e può prendere le proprie decisioni in merito solamente guardando a cosa è meglio per lei solamente dal punto di vista 19 economico,politico e strategico. Uno scenario inedito e senza precedenti sullo scacchiere mondiale. I.3)Le funzioni di una valuta internazionale La letteratura economica ha individuato una serie di funzioni che sono tipiche della moneta di riserva internazionale (Fratianni 2008). Essa viene utilizzata da esportatori ed importatori come valuta nella quale eseguire transazioni e come unità di conto per la fatturazione dei propri bilanci, viene usata come come mezzo di pagamento (essa non è la valuta né dell'esportatore né dell'importatore) nei mercati internazionali. Inoltre, essa viene anche detenuta come attività di riserva di valore sia dalle autorità monetarie che dagli operatori privati che desiderano detenere attività sicure e prive di rischio. Infine essa è anche la valuta con la quale le banche centrali intervengono sul mercato dei cambi nel momento in cui esse decidono di adottare un cambio fisso. Linda Golberg e Cédric Tille (2006, tavola 1 e 2 ) mostrano come il dollaro sia a tutt'oggi la valuta più comunemente usata per la fatturazione al di fuori del continente europeo dove, prevedibilmente, l'euro ha assunto questa funzione. Dai rapporti pubblicati dalla Bank for International Settlements (BIS) nel 2007 (vedi tabella I.3.1) si può notare come la moneta più usata per le transazioni sul Forex sia ancora il dollaro che viene utilizzato per un 43% (in aumento rispetto al 20 periodo precedente) sul totale delle transazioni seguito ad una considerevole distanza dall'euro con un 19% (al contrario in leggera flessione rispetto al 2004). Tabella I.3.1: Tasso di turnover delle varie valute, Aprile 2007. Valuta Dollaro Euro Yen Sterlina Franco svizzero Dollaro australiano altre totale 2001 76,16 48,06 19,89 15,47 7,22 5,16 28,04 200 2004 85,2 40 17,56 17,88 6,19 4,73 28,44 200 2007 86,35 36,98 16,54 14,95 6,78 4,21 34,19 200 Fonte: BIS (2007) tabella D.5 pagina 50. Note: il totale ammonta al 200% in quanto ogni moneta viene considerata due volte. Ad esempio il dollaro vine contabilizzato sia nel cambio dollaro/euro sia in quello euro/dollaro. Tale risultato non è certo da disprezzare considerando che ad oggi l'euro conta una quota maggiore sul mercato delle valute di cui ha preso il posto. Sempre dal rapporto della BIS (2007) emerge come il più grande passo in avanti dell'euro sia stato fatto nei mercati privati. Ad oggi le emissioni di bonds in euro hanno superato quelle in dollari. 21 Tabella I.3.2: Valuta di emissione obbligazioni (sia corporate che non), miliardi di dollari. Valuta Dollaro Euro Yen Sterlina Franco svizzero Dollaro australiano 01/12/08 8225 10875 748 1703 332 195 01/06/09 8994 11799 687 2115 349 227 01/09/09 9164 12492 726 2133 363 248 Fonte: annuario statistico BIS (2007) Anche per quanto concerne le riserve detenute il dollaro rimane saldamente la valuta di riferimento, con il 40% del totale delle riserve delle banche centrali accumulate nella divisa statunitense (IMF 2008, tabelle 14 e 15 in appendice) mentre l'euro che si attesta ad un 16% di riserve sul totale, in discesa rispetto al 25% del 2004 (Fratianni 2008). La cosa importate da sottolineare è che la somma di marco tedesco, franco francese e fiorino olandese nel 1973 rappresentava appena il 6,7% delle riserve totali (Fratianni 2008). L'euro è dunque una valuta che oggi è più usata rispetto alle monete di cui ha preso il posto. Si può tranquillamente affermare che, almeno stando alle nude cifre, l'euro sta assumendo un ruolo sempre più importante tra le valute internazionali anche se sembra che la sua ascesa sia finita e che le sue quote rispetto alle altre valute sembrano essersi stabilizzate. Certo è che il dollaro rimane ancora molto distante e nessun cambio di leadership probabilmente avverrà nel breve termine. 22 I.4) Vantaggi e gli svantaggi di emettere valuta internazionale. Sembra dunque evidente che disporre di una valuta accettata internazionalmente possa serbare alcuni vantaggi per i paesi emittenti (Chinn e Frankel 2005). Innanzi tutto, poter concludere transazioni nella propria valuta permette di ridurre i costi di transazione ed il rischio di cambio legati alla necessità di convertire la propria valuta in una straniera trasferendoli alla controparte estera. Emerge dunque uno dei vantaggi chiave di emettere valuta internazionale ovvero quello di poter denominare le proprie passività sull'estero nella propria valuta. Un altro vantaggio consiste nel poter applicare tassi d'interesse inferiori per le proprie passività rispetto a quelli che possono fare gli altri paesi. Il fatto che le attività siano considerate come una sicura riserva di valore fa si che gli operatori siano disposti a rinunciare ad una parte della remunerazione, o meglio del premio per il rischio, pur di disporre dei vantaggi e delle caratteristiche qualitative intrinseche poc'anzi elencate della valuta di riserva, sicurezza, stabilità e liquidità. Questo fatto viene comunemente definito “signoraggio” e viene ricondotto di fatto all' “esorbitante privilegio”3 (Rogoff 19984, Papaioannu 2008) di potersi indebitare ad un tasso inferiore di quello che si ottiene sulle proprie attività sull'estero. 3 L' espressione “esorbitante privilegio” viene spesso erroneamente attribuita al presidente francese Charles de Gaulle mentre la paternità è da attribuirsi a Valery Giscard d'Estaing allora ministro del tesoro e degli affari economici dell'allora governo di De Gaulle. 4 In particolare Rogoff nel suo lavoro quantifica l' “esorbitante privilegio” dal signoraggio internazionale da parte degli Stati Uniti per una cifra che si aggira intorno allo 0,1%/0,2% del prodotto interno lordo americano. 23 Al tempo stesso l'emissione di valuta di riserva internazionale presenta anche alcuni punti di svantaggio come ad esempio quello di dover per forza di cose accettare una variabilità più pronunciata nella domanda della propria valuta rendendo più arduo per la banca centrale il compito di controllare gli stock monetari nel caso in cui quest'ultima decida di intervenire sul mercato dei cambi. Inoltre il paese si deve fare anche carico del fardello di operare non solo per il perseguimento dei propri obbiettivi macroeconomici interni ma anche di agire in modo tale da mantenere gli equilibri dei mercati mondiali. Un caso eclatante si è avuto durante le varie crisi che si sono succedute a fine degli anni 90 (Messico '95, Sud est asiatico '97, Russia '98, Brasile '98 e Argentina 2000). In questo caso la Federal Reserve dovette abbassare i tassi d'interesse in maniera più aggressiva rispetto a quello che avrebbe desiderato per aiutare le economie in crisi a potersi finanziare sui mercati di capitali internazionali a costi più contenuti senza svalutazioni eccessive delle loro valute (Chinn e Frankel 2005). Come abbiamo visto il privilegio di emettere valuta internazionale è saldamente in mano negli Stati Uniti e verosimilmente questo status non sarà intaccato nei prossimi anni. La situazione attuale non è comunque uno status quo immutabile e così come è avvenuto in passato il dollaro potrebbe cedere lo scettro ad un' altra valuta. Alcune scelte delle ultime amministrazioni americane di non curarsi del crescente disavanzo di partite correnti e del proprio debito con l'estero, 24 seguendo il reaganiano “i deficit non contano”5, potrebbero in qualche modo favorire una ricollocazione degli assets verso altre valute. Ma come si capisce se una moneta è il fulcro del sistema rispetto alla posizione subalterna delle altre valute? La letteratura economica che prenderemo in considerazione si è avvalsa di diversi strumenti statistico-econometrici per cercare di catturare empiricamente il “dominio” di una valuta rispetto alle altre anche se molto spesso si sono rivelati più utili l'utilizzo di strumenti più semplici e diretti come appunto l'analisi del turnover valutario sul FOREX oppure l'andamento nel tempo delle riserve detenute dalle banche centrali. Nella prossima sezione descriveremo minuziosamente alcuni delle procedure più utilizzate nell'economia applicata. I.5) La teoria delle monete dominati e i relativi strumenti di analisi empirica. In questa sezione cercheremo di vedere come può essere affrontato da un punto di vista econometrico il problema di quale sia la valuta dominante del sistema. La variabile quasi sempre presa come oggetto di studio è quella dei tassi d'interesse di alcune attività, principalmente i titoli di stato. Si andrà poi a verificare se i tassi domestici influenzano in una qualche misura i corrispettivi esteri ed in quale misura essi ne siano influenzati. Prerogativa della valuta dominante sarà quella di 5 La frase è stata pronunciata dal vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney nei riguardi dell ' ex segretario del tesoro Paul O' Neill che aveva mostrato perplessità per la politica fiscale troppo espansiva dell' aministrazione. Fonte: www.corriere.it 9 febbraio 2004. 25 influenzare fortemente i tassi delle altre valute ed al tempo stesso ricevere una quantità limitata di feedback. Lo strumento maggiormente utilizzato è quello della Granger causalità mentre l'utilizzo della cointegrazione è stato per lo più utilizzato per verificare la convergenza dei tassi d'interesse verso un valore comune. Nel nostro caso però utilizzeremo la cointegrazione per testare la dominanza valutaria. I.5.1) L'analisi della Granger-causalità. L'analisi della causalità secondo Granger è legata strettamente alla capacità di una certa variabile di predire l'andamento di un'altra. Il punto di partenza di tale analisi è una rappresentazione di tipo vettoriale autoregressivo meglio conosciuta in ambito econometrico come VAR(p) dove p rappresenta il numero di ritardi delle variabili endogene da inserire nel sistema. Il primo passo per poter costruire un modello di tipo VAR è però quello di assicurarsi della stazionarietà delle serie storiche in questione eseguendo un test di radice unitaria del tipo ADF (agumented Dickey-Fuller, dal nome dei due ideatori). Una serie storica presenta una radice unitaria quando una delle soluzioni del polinomio ritardo è pari all'unità. Nel caso di una rappresentazione autoregressiva di ordine uno (AR(1)) del tipo y t= y t −1e t (1) avremo una radice unitaria quando il coefficiente 26 sarà uguale ad uno. La presenza di una radice unitaria nel polinomio ritardo comporta che la serie storica presenta alcune caratteristiche, dalla non esistenza dei momenti, alla mancanza di mean reverting, che ne rendono difficile, se non impossibile, l'analisi a meno di non ricorrere ad alcune trasformazioni, come la differenziazione della serie, o l'utilizzo di tecniche come la cointegrazione di cui tratteremo ampiamente in seguito. Un test di radice unitaria serve appunto per individuare la presenza di un coefficiente nel polinomio ritardo pari ad uno. Sottraendo da entrambi i membri dell'equazione precedente y t −1 si otterrà l'espressione y t=−1 y t −1e t (2) dove −1= . Il test di radice unitaria approntato da Dickey e da Fuller prevede un'ipotesi nulla H 0 di radice unitaria per =0 e un'ipotesi alternativa di stazionarietà 0 . Il test di DF si presenta come un test ad una sola coda con una distribuzione di probabilità che sotto l'ipotesi nulla si distribuisce in maniera non standard, ovvero non riconducibile ad alcuna distribuzione nota come ad esempio quella della normale o della t di student, con la maggior parte della distribuzione concentrata su valori inferiori allo zero. Fortunatamente i due autori hanno presentato le tavole 27 dei vari punti critici con i diversi livelli di significatività del test in questione. La versione augumented (ADF) tiene conto anche della persistenza di breve periodo presente nella serie storica. In questo caso il test si presenterà come y t=t −1 y t −1 ... y t −net Il numeri di ritardi di residuo (3) y t da inserire sarà determinato in modo tale che il e t possa essere considerato a tutti gli effetti un white noise, ovvero un processo stocastico senza persistenza. Un altro elemento di cui tenere conto quando si specifica un test di tipo ADF è quello se inserire o meno una componente deterministica. Questa scelta non è senza conseguenze in quanto a seconda che si ipotizzi una serie storica stazionaria intorno allo zero , stazionaria intorno ad una componente deterministica oppure un stazionaria intorno ad un trend deterministico, i punti critici della distribuzione del test muteranno a loro volta. Un' altra questione da dirimere è quella di quanti ritardi p delle variabili endogene inserire nella rappresentazione VAR in modo tale da tenere adeguatamente conto della struttura di persistenza della serie. Solitamente il metodo a cui si ricorre è quello di basarsi sui criteri d'informazione. I tre principali criteri utilizzati sono il “criterio d'informazione di Akaike (AIC)” dell'omonimo autore, il “criterio d'informazione Bayesiana (BIC)” di Schwarz, e il criterio di informazione di Hannan e Quinn (HQC). Tutti e tre i criteri sono costruiti in modo 28 tale da essere negativamente correlati con il logaritmo della funzione di massima verosimiglianza e positivamente con il numero di parametri inseriti nel modello. La scelta del modello ricade su quella che presenta valori dei criteri d'informazione più bassi. Specificamente i tre criteri sono così costruiti: AIC =−2log 2k (4) BIC =−2log k log n HQC =−2log 2k log log n (5) (6) Solitamente il criterio AIC tende a scegliere modelli con un ampio numero di parametri, mentre i modelli BIC e HQC scelgono modelli più parsimoniosi con una dinamica più contenuta A questo punto siamo in grado di costruire una rappresentazione VAR(p) con due variabili endogene la quale si presenterà dunque nella forma [ ] p [ ][ ] [ ] y 1,t a a y u =CD∑ 11,i 12, i 1, t−i 1, t y 2, t a 22, i y 2,t−i u 2,t i=1 a 21,i dove y 1, t e y 2, t sono le due variabili endogene, CD rappresenta la parte deterministica del modello, la matrice A rappresenta i coefficienti legati ai ritardi delle variabili endogene, u1, t e u1, t sono i due termini di disturbo indipendenti, identicamente distribuiti come una variabile casuale normale a 29 media 0 e varianza 1. L'analisi di Granger causalità altro non è che un test F di azzeramento congiunto dei parametri associati alla variabile di cui si vuole testare l'effettiva capacità di predire i movimenti delle altre. Si dice che la variabile Granger causa la variabile y 1,t non y 2,t quando i coefficienti a 21,i =0 . Ovviamente nel caso in cui i coefficienti sulla diagonale maggiore sono zero avremo che nessuna delle due variabili influenzerà si influenzerà a vicenda. Il secondo test che si può approntare è quello di causalità istantanea tra le due variabili. L'ipotesi nulla di questo test è data H 0 : E [u1, t u 2,t ]=0 (7) Valori elevati del test, il quale si distribuisce come una variabile causale 2 , inducono a rifiutare l' ipotesi nulla ed accettare che le due variabili siano istantaneamente correlate. L' analisi di Granger causalità viene spesso impiegata in ambito macroeconomico e nel caso che più ci interessa per verificare i rapporti di forza tra le varie valute. Evidentemente, se uno, o più di uno, tassi d'interesse del paese A, determinati dalla domanda e dall'offerta di moneta di quel mercato, sono in grado di influenzare i tassi di un paese estero B senza a loro volta esserne influenzati ci troveremo di fronte ad una valuta che domina ed ad una dominata. 30 In termini econometrici, i tassi del paese A Granger causano quelli del paese B. Ritornando alla rappresentazione VAR un fenomeno di Granger causalità si manifesterà con il rifiuto dell'ipotesi nulla dei coefficienti legati alla variabile di cui si vuole testare l'effettiva capacità di predire l'altra Il limite della Granger causalità è che essa può essere implementata solamente quando le serie in questione sono stazionarie, caso più unico che raro quando si trattano serie storiche di carattere macroeconomico come possono essere appunto i tassi d'interesse di varia natura e scadenza. Quando , e la cosa accade di molto di frequente, si ha a che fare con serie storiche non stazionarie si deve ricorrere ad una modalità di analisi differente, chiamata appunto cointegrazione. 1.4.2) La cointegrazione. Come abbiamo detto poc'anzi le serie storiche stazionarie in macroeconomia sono sono molto rare e capita soventemente di imbattersi in serie che sono a tutti gli effetti dei random walk. In caso di serie storiche non stazionarie, l'approccio classico al problema prevede di differenziare la serie un numero di volte sufficiente affinché la relativa trasformazione possa considerarsi stazionaria. Consideriamo ad esempio il processo autoregressivo di ordine uno (AR(1)) con coefficiente =1 . Avremo dunque un'espressione del tipo y t= y t−1et , (8) la quale contiene inequivocabilmente una radice unitaria. Sottraendo ad entrambi i 31 membri y t −1 otterremo una formulazione del tipo y t− y t−1= y t −1− y t −1e t (9) da cui logicamente segue y t=et il quale chiaramente è un white noise e dunque un processo stocastico stazionario. Tornando in ambito economico, se ad esempio disponiamo della serie dei prezzi al consumo, la quale verosimilmente non sarà stazionaria, la differenziazione ci permetterà di ottenere il tasso d'inflazione. Intuitivamente si capisce come il tasso d'inflazione possa essere considerato come stazionario intorno ad una certa componente deterministica. Questa procedura però non è certo indolore. La perdita di informazione che si paga passando da una serie ai livelli ad una alle differenze non è certo di poco conto. Attualmente ha però preso piede un approccio alternativo alla trasformazione in differenze quando si studiano serie storiche di carattere macroeconomico che è appunto quello della cointegrazione. Come abbiamo detto in precedenza le serie storiche possono contenere al loro in interno una radice unitaria ed essere così integrate di ordine uno6 (ovvero , stazionarie dopo una differenziazione). 6 Le serie storiche possono contenere al loro interno più di una radice unitaria ed essere dunque integrate di un ordine superiore ad uno. Alla stessa maniera l' ordine di integrazione può essere compreso tra 0 e 1 ed essere dunque frazionale. Essendo una casistica molto rara quando si opera con serie storiche economiche e con campioni finiti da ora in poi ogni volta che si parlerà di cointegrazione sottintenderemo che l'ordine di integrazione sia 1. 32 Normalmente la combinazione lineare di due serie storiche I(0) è a sua volta una serie stazionaria come altrettanto usuale è che la combinazione lineare di una serie I(1) con una serie I(0) dia come risultato ancora un random walk. Il caso della cointegrazione si ha quando la combinazione lineare di due variabili I(1) è una variabile stazionaria. Se supponiamo che le variabili yt e z t siano I(1), tra le due vi sarà cointegrazione se la combinazione lineare y t− z t è una serie I(0). Il vettore è chiamato vettore di cointegrazione. L'effettiva funzione del vettore di cointegrazione è dunque quella di elidere gli eventuali trend stocastici in comune. Una volta eliminati, le combinazioni lineari dei trend comuni possono essere trattate come serie stazionarie. Un importante teorema a cui si fa riferimento quando si parla di cointergrazione è il cosiddetto teorema di rappresentazione di Granger (Engle e Granger 1987) il quale afferma, tra le altre cose, che se un sistema di due variabili è cointegrato, è sempre possibile formularlo come un modello a correzione d'errore (ECM) del tipo p y t=c0 ∑ i y t−i ' y t −1t (10) i=1 Il vantaggio di utilizzare un modello ECM rispetto ad una rappresentazione in differenze consiste nel poter descrivere le variazioni della variabile funzione sia della componente transitoria di breve periodo alle differenze 33 y t in p ∑ i y t−i i=1 (11) sia della componente di equilibrio di lungo periodo delle variabili ritardate nei livelli ' y t−1 . Per comodità, la relazione di lungo periodo può essere riscritta in questa maniera [ y t−1 − z t −1 ] . (12) Se ad esempio al tempo t-1 y t −1 − x t −1 0 , il che accade quando y t −1 si trova al di sopra della relazione di equilibrio, scatta dunque il meccanismo di correzione dell'errore. z t −1 Salirà di modo da permettere a di scendere con conseguente variazione verso il basso di y t −1 − z t −1 y t . La grandezza dell'aggiustamento nel periodo è determinata dal valore del parametro . Maggiore è la grandezza e più elevata sarà la portata dell'aggiustamento. Un valore di nullo starà a significare che non c'è nessun aggiustamento in atto mentre al contrario un valore pari all'unità indicherà che il riassorbimento del disequilibrio avviene completamente nel periodo. Un valore maggiore di uno ( ma inferiore a 2) implica un' oscillazione intorno alla relazione di lungo periodo. Resta solamente da vedere come determinare la presenza o meno di una eventuale relazione di cointegrazione tra due o più variabili. La procedura che utilizzeremo è quella di Johansen (Johansen 1995). Essa si basa essenzialmente 34 sull'analisi del rango della matrice ' = tramite un test di azzeramento sui suoi autovalori7. Nel caso in cui il rango di tale matrice sia 0 ci troveremo di fronte all'assenza di cointegrazione e alla presenza di un random walk multivariato. Al contrario, nel caso che la suddetta matrice abbia rango pieno, ovvero nel caso in cui non vi sia nessuna combinazione lineare significativa tra le colonne della matrice, saremo di fronte ad un insieme di serie storiche che sono stazionarie. 0r . Il rango della matrice La casistica più interessante si ha quando corrisponde al numero di vettori di cointegrazione presenti nel sistema e dunque alle equivalenti relazioni di lungo periodo. Per identificare il rango della matrice la procedura di Johansen prevede di analizzare gli autovalori di una matrice M semidefinita positiva per costruzione e che possiede lo stesso rango di . Il vantaggio di lavorare con M assicura che tutti gli autovalori siano reali e non negativi . Della matrice M esiste una stima consistente i cui autovalori M sono a loro volta stime consistenti di M. Trovate le stime degli autovalori li si ordina dal più grande 1 al più piccolo n . [ ] 1 ... ... p M = ... n−1 ... M ... ... n 7 Gli autovalori di una matrice sono definiti come i A− I v = 0 . 35 (13) per cui vale l'espressione Come ultimo stadio si procede ad eseguire due test sugli autovalori così ottenuti per determinare il rango della matrice . Il primo test presentato da Johansen è quello del massimo autovalore ( detto anche test −max ) il quale prevede di testare l'ipotesi nulla per ogni singolo autovalore partendo dal più piccolo. Il secondo è il cosiddetto test della traccia il quale, sempre partendo dal più piccolo, prevede di annullare congiuntamente gli ultimi n-p autovalori. Il numero di autovalori significativamente diversi da zero rappresentano i vettori di cointegrazione esistenti e le rispettive relazioni di lungo periodo presenti nel sistema. I test in questione hanno una distribuzione non standard come il loro equivalente univariato di Dickey e Fuller. Anche in questo caso però sono disponibili le tavole con i punti critici per i vari livelli di significatività desiderati. Alla stessa maniera del caso univariato, la distribuzione dei test non è invariante alla presenza di una componente deterministica. Se si considera la componente deterministica come un polinomio del tipo d t =0 1 t... p t p (14) avremo dunque ben cinque possibili combinazioni e cinque differenti distribuzioni. • d t =0 : in questo caso il sistema ECM non presenta una componente deterministica. Sia la serie nei livelli che la componente di lungo periodo 36 oscillano intorno allo 0. • d t =0 ; ' ⊥ 0=0 : in questo caso la rappresentazione ECM vettoriale ha un' intercetta che però non da origine ad un trend lineare nella rappresentazione nei livelli, perché questi ultimi non hanno un drift. I dati non hanno trend deterministici ma fluttuano intorno ad un valore diverso da zero. Di fatto avremo un' intercetta nella relazione di cointegrazione ovvero una relazione di lungo periodo che oscilla intorno ad una componente deterministica. • d t =0 ; ' ⊥ 0 : in questo caso avremo un' intercetta sia nella relazione di lungo periodo che nella rappresentazione a trend comuni. Osserveremo dunque un trend nelle serie osservate. • d t =0 1 t ; ' ⊥ 1=0 : in questo caso la relazione di cointegrazione presenta un trend lineare che non si traduce in un trend quadratico nei livelli. • ' d t =0 1 t ; ⊥ 1 : le serie esibiscono un trend quadratico nei livelli. Gli ultimi due casi sono poco comuni quando si lavora con serie storiche di carattere economico e l'attenzione si concentra sui primi tre casi. La scelta tra queste tre possibilità si basa su un misto di osservazione empirica e di ragionamento di tipo economico . Se le variabili in esame sembrano seguire un 37 trend lineare è opportuno non imporre alcun vincolo all'intercetta. Altrimenti occorre chiedersi se ha senso specificare una relazione di cointegrazione che includa un' intercetta diversa da zero. Prendiamo il caso di due tassi d'interesse: in generale non hanno un trend8, ma il VAR potrebbe comunque avere un' intercetta perché lo spread tra i due potrebbe essere stazionario su una media diversa da zero per la presenza di un premio per la liquidità e per il rischio. Una volta stimata l'eventuale matrice di cointegrazione ci troviamo di fronte al problema che quest'ultima non è pienamente identificata. Infatti se è una matrice di cointegrazione lo è anche b= K , dove K è una matrice (r*r) non singolare. Le due matrici sono esattamente equivalenti dal punto di vista osservazionale. Siamo nel cosiddetto problema di sotto identificazione da cui se ne esce imponendo dei vincoli sulla matrice di cointgrazione. Johansen (1995) dimostra che il numero minimo di vincoli da imporre per ottenere la piena identificazione è pari a r2 dove r rappresenta il rango della matrice di cointegrazione. Di fatto se il rango di cointegrazione è pari a due, il problema dell'identificazione si risolve imponendo un vincolo per ciascun vettore di cointegrazione. I vincoli imposti saranno poi conformi alla teoria economica ed alle eventuali restrizioni che si desidera testare. La bontà del modello vincolato 8 Può anche verificarsi che i tassi d'interessi presentino dei trend come ad esempio la discesa dei tassi d'interesse italiani ad inizio anni '90 in seguito alla discesa dell'inflazione. Se non vogliamo curarci del contesto macroeconomico inseriamo un trend nella rappresentazione. 38 sarà poi testata tramite un test di rapporto delle verosimiglianze. In poche parole si confrontano i valori della funzione di verosimiglianza per il modello libero e quello vincolato. Se la differenza tra i due valori non è eccessivamente elevata 9 il modello vincolato può essere tranquillamente accettato. Il nostro fine sarà quello di eseguire un test di esogeneità debole sul coefficiente corrispondente alla relazione di lungo periodo nell'equazione dei tassi d'interesse statunitensi. Prendiamo come esempio un sistema VECM tra i tassi americani e quelli francesi. Il sistema si presenterà nella forma [ ] ][ ] n f r tf 11, i 12, i r t − 1 1 f us = mi 0 mi 1 t [ 1 2 ] r t [r ] ∑ 2 t −1 t −1 i = 1 21, i 22, i r us r us t t − 1 [ [] Eseguire un test di esogeneità debole consiste nel testare se sia accettabile l'ipotesi che uno dei due coefficienti della matrice dei pesi sia nullo. [ ] ][ ] f n r tf 11, i 12, i r t − 1 1 rf us =mi mi t 0 r t [ ] [ ] ∑ 0 1 1 2 t −1 t −1 i =1 21, i 22, i r us r us t t − 1 [ [] Tale test permette di verificare se una o più variabili del sistema VECM possano essere considerate forze esterne rispetto al sistema ovvero capaci di influenzare le altre variabili ma di non esserne a sua volta condizionate nel lungo periodo. Più avanti eseguiremo questo tipo di test per vari tipi di tassi d'interesse in diversi periodi di tempo. 9 Anche in questo caso il test si distribuisce come una variabile casuale 39 2 . Esiste inoltre la possibilità di eseguire un test di cointegrazione anche quando stiamo utilizzando un sistema di tipo VECM. In questo caso avremo che [ ] ][ ] n r tf r ft −1 11, i 0 1 f us =mi 0 mi 1 t [ 1 2 ] t [ r t −1 r t − 1 ] ∑ 0 r us r us i = 1 21, i 22, i t t −1 [] [ La Granger causalità nell'ambito della cointegrazione prevede un test che azzeri simultaneamente sia il coefficiente legato a quella determinata variabile nella relazione di cointegrazione sia il coefficiente legato alla componente di breve periodo. L'operazione non è così banale come può sembrare in quanto prevede l'annullamento di due variabili, una sui livelli e l'altra alle differenze, profondamente diverse tra loro. La distribuzione del test è dunque non standard. Per ulteriori approfondimenti vedi Dolado e Lutkepohl (1996). I.6) La letteratura empirica sulla cointegrazione e sull'analisi di Granger casualità nell'ambito della teoria delle valute dominanti. La letteratura empirica che si è occupata di accertare l'esistenza di possibili legami e tra i tassi d'interesse dei vari paesi è piuttosto ampia. In questo paragrafo ne daremo velocemente una panoramica d'insieme dei principali lavori eseguiti nel corso degli anni. Gli strumenti maggiormente utilizzati dalla letteratura sono quelli della Granger causalità e quello della cointegrazione. Uno degli ambiti in cui la letteratura si è profusa in maniera più insistente è 40 stato quello nel cercare un effettivo riscontro dell' “ipotesi di dominanza dei tassi tedeschi” all'interno del sistema monetario europeo. Questo tipo di analisi ha frequentemente utilizzato sia i test di Granger causalità che quelli di cointegrazione per stimare la forza dei legami tra i tassi d'interesse all'interno dello SME. DeGrauwe (1989) usando la Granger causalità ha analizzato a fondo i legami tra i tassi d'interesse a breve dei paesi aderenti allo SME tra il 1979 ed il 1988 scoprendo dei legami bidirezionali tra i tassi tedeschi e quelli francesi e belgi e l'esistenza di legami unidirezionali che partono dai tassi tedeschi nei confronti di tutti gli altri. Eseguendo la stessa analisi per i tassi decennali, DeGrauwe ha trovato scarso supporto all'ipotesi che tassi di un paese possano in qualche modo essere significativi nello spiegare variazioni in quelli degli altri. Alla stessa maniera Biltoft e Boersch (1992), sempre ricorrendo all'ausilio della Granger causalità per il periodo 1983-1991, trovarono delle relazioni unidirezionali tra i tassi tedeschi e e quelli degli altri paesi europei Karfakis e Moschoes (1990) usando un'analisi VAR bivariata trovarono riscontro di collegamenti unidirezionali tra i tassi d'interesse nominali a breve termine tra la Germania e gli altri paesi dello SME tra il 1979 ed il 1988 con l'Irlanda unica significativa eccezione. Gli autori proseguirono verificando se vi fosse la presenza di eventuali relazioni di cointegrazione giungendo ad una 41 risposta negativa in proposito. Kirchgassner e Wolters (1995) alla stessa maniera hanno investigato la presenza di interdipendenza tra i tassi a breve termine dei vari paesi dello SME tra il 1974 ed il 1994 usando sia la Granger causalità che la cointegrazione. Per quanto concerne la cointegrazione, gli autori hanno preferito eseguire un'analisi bivariata tra i tassi tedeschi e quelli degli altri paesi dello SME presi singolarmente. I risultati del lavoro in questione indicano un forte presenza di cointegrazione con un livello di confidenza dell'1%, Un approccio alternativo molto interessante è stato presentato da Von Hagen e da Fratianni (1990) i quali hanno cercato di testare la cosiddetta “ipotesi di dominanza tedesca” con un approccio diverso da quello della Granger causalità bilaterale che si è spesso rivelata debole sotto molti punti di vista. Il modello da loro approntato prevedeva un'analisi multivariata delle variazione dei tassi d'interesse in sette paesi10. Il modello in questione risulta così formulato: k m n j =1 j =0 j=0 A0 Rt =d ∑ A j R t − j ∑ B j X t − j ∑ C j r us , t − j e t (1) L'ipotesi di dominanza tedesca in senso forte prevedeva la verifica di quattro condizioni. La prima riguardava la cosiddetta “world insularity” ovvero che gli effetti di variazioni dei tassi americani si esplicassero solamente attraverso 10 Germania, Francia, Italia, Belgio, Olanda, Danimarca e Irlanda. 42 variazioni di quelli tedeschi e non dei singoli paesi dello SME. Matematicamente avremo dunque che H1: World insularity : c j = 0 per i= 2,.. , 7 . La seconda ipotesi, quella di “EMS insularity” , imponeva che ogni membro diverso dalla Germania non interagisse con gli altri indipendentemente . H2: EMS insularity : a ij =0 Per i ≠ j ; i , j = 2,... ,7 . La terza ipotesi prevedeva poi che la politica monetaria di ogni stato membro fosse influenzata da quella tedesca e che dunque andasse rifiutata la seguente ipotesi H3: Indipendence form German policy : a i1 =0 per i= 2,... ,7 La quarta ed ultima ipotesi da testare era quella che verificava l'indipendenza della politica monetaria tedesca H4: German policy indipendence : a 1i =0 per i= 2,... ,7 . L'aspetto più interessante è che le quattro ipotesi così elencate possono avere un'interpretazione in termini di Granger causalità: I tassi d'interesse statunitensi non Granger causano quelli di nessun altro paese dello SME oltre che la Germania; la politica monetaria di un una paese membro diverso dalla Germania non Granger causa quella di un altro; i tassi tedeschi Granger causano quelli di un qualsiasi altro paese dello SME mentre quelli degli altri paesi non Granger causano quelli della Germania. I risultati empirici ottenuti mostrano come non sia 43 possibile accettare l'ipotesi di dominanza tedesca “forte” sullo SME anche se è possibile accettare l'ipotesi di una dominanza “debole” su cui però rimandiamo all'articolo in questione. Il risultato principale del lavoro in questione è stato quello di dimostrare la debolezza delle analisi bivariate nei confronti di quelle multivariate. Il rovescio della medaglia consiste però in una elevata difficoltà nell'eseguire questo tipo di analisi ed è questa la principale motivazione che spinge molti economisti a preferire analisi di tipo bivariato. Un altro importante filone della letteratura ha indagato la presenza di legami non solo all'interno dello SME ma anche a livello internazionale. Molto spesso si è semplicemente trattato di inserire nelle relazioni di cointegrazione o di Granger causalità i tassi d'interesse statunitensi. Katsimbris e Miller (1993) mostrano l'esistenza di un qualche tipo di relazioni di cointegrazione (usando test di cointegrazione bilaterali) tra i tassi tedeschi e quelli americani, quelli belgi e quelli americani ( entrambi ad un livello di significatività del 5%) mentre tra i tassi francesi e olandesi e americani esistono delle relazioni di cointegrazione significative al 10%. Sempre Kirchgassner e Wolters (1995) nel lavoro già precedentemente citato testano anche la presenza di Granger causalità tra gli Stati Uniti ed i paesi dello SME. Utilizzando un sistema a tre dimensioni, in modo tale da includere i tassi americani nelle relazioni di cointegrazione tra i paesi dello SME e la Germania, i 44 due autori giungono alla conclusione che l'ipotesi nulla di assenza di cointegrazione per il periodo che va dal 1983 al 1989 può essere rifiutata con un intervallo di confidenza dell'1%. Un altro filone della letteratura si è concentrato sull'indagine di relazioni di Granger causalità e di cointegrazione tra i tassi reali e non quelli nominali. Pain e Thomas hanno cercato riscontri di possibili trend comuni trai tassi d'interesse reali a lungo termine di Stati Uniti, Giappone e Germania per il periodo che va dalla fine del sistema a cambi fissi di Bretton Woods e la metà degli anni '90. La loro analisi mostra come non vi sia traccia di cointegrazione sull'intero campione mentre a partire dagli anni '80 vi sia un certa significatività di due vettori di cointegrazione. Throop (1994) alla stessa maniera analizza i possibili legami internazionali tra i vari tassi d'interesse reali, sia a breve che a lungo termine, di Stati Uniti, Canada, Giappone, Germani, includendo nelle relazioni di cointergrazione anche i tassi di cambio tra il periodo che va dal 1974 ed il 1993. La conclusione del lavoro di Throop porta a rifiutare l'esistenza di relazioni di cointegrazione tra i tassi dei vari paesi. Il riscontro empirico dell'eventuale cointegrazione tra tassi d'interesse come si può vedere è piuttosto controverso ed in grado di portare a conclusioni piuttosto differenti tra loro. Vedremo poi in seguito i risultati ottenuti cointegrando i tassi 45 d'interesse di vari paesi per diversi periodi di tempo. 46 47 CAPITOLO II L'ASCESA ED IL DECLINO DELLA GRAN BRETAGNA: DAL GOLD STANDARD AGLI ACCORDI DI BRETTON WOODS. II.1) Introduzione alle vicende del XIX secolo. Il XIX secolo è stata l'epoca dell'indiscusso dominio dell'impero britannico sul globo terrestre. La potenza economica, militare e culturale inglese non aveva rivali e nessun paese era in grado di sfidarne l'egemonia. Le vecchie potenze di un tempo, Spagna e Portogallo, erano ormai decadute, l'Olanda ed il Belgio non avevano le dimensioni e le risorse per poter scalfire il dominio britannico, la Germania non esisteva ancora, e gli Usa erano nati da così pochi anni da non poter ambire ancora ad assumere un ruolo planetario. L'unica sfidante credibile all'egemonia inglese fu per un certo periodo la Francia la quale possedeva dimensioni e capacità per rivaleggiare con la Gran Bretagna. Verso la fine del XVIII secolo l'esito di questo scontro era tutt'altro che segnato e ancora incerto. In questa sezione analizzeremo il comportamento dei titoli di debito emessi dai due paesi confrontandoli con le più importanti e significative vicende storiche del periodo che va dalla fine delle guerre napoleoniche fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Come abbiamo già argomentato, l'idea alla base di questa analisi consiste nel ritenere che i titoli di stato del paese leader del sistema fruttino degli interessi inferiori a quelli di altri paesi in virtù del fatto che la moneta è 48 considerata ancora il bene rifugio per eccellenza. Prima di far ciò faremo però una breve introduzione sui sistemi monetari vigenti nel XVIII secolo soffermandoci in particolare su uno di essi, il gold standard. II.2) Storia e funzionamento dei sistemi monetari dal 1816 al 1913. Dopo oltre un secolo in cui era in vigore, se pure non ufficialmente, la Gran Bretagna adottò il sistema aureo de jure solamente con l' approvazione da parte del parlamento del Liverpool Act del 1816. Il parlamento aveva approvato il sistema aureo che de facto era stato ratificato dalle quotazioni dei prezzi dell'oro e dell'argento sul mercato britannico. Il prezzo di mercato dell'argento nel sistema bimetallico inglese era superiore al valore delle monete d'argento in circolazione in Gran Bretagna con il risultato che nessuno portava l'argento alla zecca di stato per far coniare monete in codesto metallo. In circolazione rimasero dunque solamente le monete d'oro e di fatto, con molto pragmatismo, il parlamento si limitò a ratificare un evento che era stato determinato dal mercato dei metalli preziosi. La conversione delle monete in oro era stata sospesa (corso forzoso) durante le guerre napoleoniche e fu ripristinata solamente nel 182111. Nel corso del XIX secolo, la Gran Bretagna, sviluppò un sistema monetario 11 Nel 1819 un atto del parlamento prevedeva il ritorno alla convertibilità delle banconote in oro nel 1823. La Bank of England fu però in grado di assolvere questo compito a partire dal 1821. 49 aureo nel quale la Bank of England, custode delle riserve nazionali d'oro, manteneva la convertibilità delle proprie banconote e utilizzava i tassi d'interesse bancari e le operazioni sul mercato aperto per regolare le entrate e le uscite delle riserve stesse. Un' erosione delle riserve auree poteva essere tamponata con aumenti dei tassi bancari, atti ad attrarre capitali stranieri convertibili. Incrementi delle riserve permettevano alla Bank of England di abbassare i tassi d'interesse, riducendo l'afflusso di capitale straniero e incentivando il capitale nazionale a cercare tassi più elevati all'estero. Le banche commerciali detenevano sterline in banconote a riserva e la Bank of England possedeva l'oro a garanzia del valore delle banconote stesse. Il tallone aureo non fu l'unico sistema monetario in vigore nel XIX secolo ed alcuni importanti paesi, Francia e Stati Uniti in primis, adottarono un sistema monetario bimetallico basato sull'uso simultaneo di oro ed argento. Le ragioni di questa scelta erano da ricercarsi nelle ingenti riserve e giacimenti di argento di cui disponevano questi due paesi carenti, almeno agli inizi del XIX secolo 12, di riserve auree. Il sistema bimetallico aveva però un difetto di fondo ineliminabile che si presentava quando i prezzi di mercato di uno dei due metalli divergeva dai prezzi offerti dalla zecca che coniava le monete. In uno scenario del genere gli speculatori potavano lucrare sulla differenza tra il prezzo praticato dalla zecca e 12 Per dettagli più approfonditi sulle cifre vedi Lindert (1969) e le tavole del wordl gold council, www.gold.org. 50 quello del libero mercato. Se ad esempio il rapporto tra argento e oro della zecca era 15 a 1 e sul libero mercato di 16 a 1 , gli speculatori potevano portare l' argento alla zecca per il conio e successivamente scambiare le monete d'argento appena coniate con monete d'oro. Con le monete d'oro si potevano acquistare monete d'argento in quantità superiore rispetto a prima. Non essendoci nessuno incentivo a portare oro alla zecca, le monete d'oro sparirono dalla circolazione ed i sistemi bimetallici, sia quello francese che quello americano, divennero sistemi non ufficiali basati solo sull'argento. La svolta decisiva a favore del sistema aureo si ebbe nel 1873 quando la Germania decise di adottare ufficialmente il gold standard. In seguito alla guerra franco-prussiana (1870-1871) la Francia di Napoleone III fu costretta a pagare un indennizzo in oro alla Germania imperiale di Bismarck. Le riserve così ottenute permisero l'adozione del tallone aureo. In seguito all' entrata della Germania nel sistema aureo molte nazioni, anche quelle più restie come Francia e Stati Uniti, dovettero adeguarsi. L'adozione dell'oro fece affluire un'enorme quantità di argento sul mercato con la conseguenza che i prezzi di tale metallo crollarono e lo resero inutilizzabile per garantire le banconote e dunque gli scambi internazionali . L'adozione del gold standard tra i diversi paesi avvenne scaglionata nel tempo: Francia ( e con lei l' 51 unione monetaria latina comprendente tra gli altri anche Italia e Belgio) nel 1873, Stati Uniti nel 1879, Impero austro-ungarico nel 1892, Russia e Giappone nel 1897. I partecipanti al gold standard dovevano attenersi alle cosiddette rules of the game (McKinnon 1993), le regole del gioco. • Le valute dovevano essere convertibili ad un tasso fisso con l'oro 13. La sospensione della convertibilità (corso forzoso) poteva essere effettuata solamente in circostanze eccezionali come in caso di guerre o crisi finanziarie di particolare gravità. • I paesi aderenti dovevano emettere una quantità di circolante equivalente alla quantità di oro detenuta a riserva. • L'oro e i capitali dovevano essere liberi di circolare tra i paesi senza limitazioni di sorta. • Non era possibile intraprendere azioni di sterilizzazione della variazione della base monetaria estera con variazioni equivalenti ma di segno opposto sulla base monetaria domestica al fine di impedire l'aggiustamento degli squilibri. Di fatto le regole furono raramente rispettate appieno. Una certa tolleranza era adottata nei confronti di lievi oscillazioni intorno alla parità. Quando il cambio 13 Il cambio ufficiale del periodo antecedente la prima guerra mondiale era di 3 sterline, 17 scellini e 10 pence per libbra di oro fino (Allen 2002). 52 toccava alcuni determinati valori, i cosiddetti gold points14, le banche centrali del paese in questione dovevano intervenire sul mercato dei cambi comprando o vendendo valuta estera a seconda dei casi. Il funzionamento del gold standard classico avveniva in questa maniera. Quando un paese registrava un deficit / surplus nella bilancia dei pagamenti, esso sperimentava un deflusso / afflusso di oro nelle riserve ufficiali della banca centrale del paese in questione. Tale variazione doveva essere seguita da una variazione della base monetaria in circolazione. In caso di aumento delle riserve auree (dovuto ad un surplus della bilancia dei pagamenti) la banca centrale doveva espandere la base monetaria tramite una diminuzione del tasso di sconto ufficiale. La diminuzione del tasso di sconto avrebbe poi favorito un innalzamento del livello dei prezzi con conseguente diminuzione delle esportazioni, meno convenienti, ed un innalzamento delle importazioni. Ciò avrebbe riportato la bilancia dei pagamenti in equilibrio. E' questo il cosiddetto aggiustamento alla Hume (1752). Naturalmente la diminuzione del tasso di sconto avrebbe agito anche tramite movimenti di capitale rendendo le attività del paese in questione meno richieste. Tale aggiustamento è comunque più un fenomeno del XX secolo piuttosto che del XIX secolo. Non raramente capitava che i paesi in questione sterilizzassero variazioni 14 I golds points erano dei valori delle quotazione per cui era materialmente conveniente comprare e vendere oro lucrando sulla differenza tra la parità fissa e la quotazione di mercato. 53 indesiderate della base monetaria provocate da analoghi movimenti delle riserve ufficiali. Nel caso di una diminuzione di queste ultime abbiamo visto come lo schema classico prevedesse un aumento del tasso di sconto interno. Questo aumento del tasso di sconto poteva non essere desiderato dai governi e dunque soventemente le banche centrali dell'epoca, ben lontane dagli standard attuali di indipendenza dal potere politico, compravano titoli domestici sul mercato interno compensando così la variazione degli attivi esteri. La base monetaria rimaneva così invariata come pure i tassi di mercato. Un altro tema interessante che riguarda sempre l'asimmetria di aggiustamento tra paesi è quello che riguarda appunto la forza e la credibilità dei vari paesi dell'epoca. Il gold standard viene rappresentato dalla letteratura economica (Fratianni 2008/2) come un sistema gerarchizzato, con la Gran Bretagna al vertice, Francia e Germania subito sotto ed i restanti paesi a fungere da periferia. Una variazione nelle riserve (e dunque nei tassi d'interesse) britanniche o francesi metteva in moto un meccanismo che costringeva l'intero sistema ad aggiustarsi. Non altrettanto accadeva quando le variazioni avvenivano in un paese della periferia del sistema o in un paese secondario. Vedremo meglio in seguito questo fatto. Tra alterne vicissitudini il gold standard permise una stabilità e un fiorire dei commerci come non era mai accaduto in nessuna altra epoca. La convertibilità 54 delle varie valute con l'oro fu sospesa allo scoppio della prima guerra mondiale per permettere di finanziare liberamente le spese belliche. II.3) L' esperienza britannica nel Gold Standard. La centralità che il Regno Unito ha avuto per tutto il XIX secolo è stata spesso identificata nella capacità di potersi indebitare a lungo termine nei confronti degli altri paesi (Mauro, Sussman, Yafeh 2002). Il lavoro in questione focalizza la sua attenzione principalmente sullo spread esistente tra i consolidati britannici e i titoli emessi sul mercato di Londra 15 dai principali paesi emergenti dell'epoca ( vedi Mauro, Sussman, Yafeh 2002, tabella I pagina 707). Il nostro scopo sarà però quello di confrontare un titolo a lungo termine per la Gran Bretagna e uno per un altro paese facente parte del centro del sistema come appunto la Francia. Altri confronti non sono purtroppo possibili visto che le potenze di Stati Uniti e Germania emersero soltanto nella seconda parte del secolo. I titoli di riferimento per questa analisi sono i cosiddetti consolidati inglesi o british consul. I consolidati inglesi sono delle rendite perpetue le quali danno diritto a riscuotere una cedola annua prefissata per un periodo di tempo indefinito fino all'eventuale estinzione del debito. Durante gli anni furono emessi diversi tipi di rendite: dal 1751 al 1889 i titoli in circolazione resero il 3% annuo. Dal 1889 al 15 I titoli sono ovviamente quotati in sterline. 55 1903 i consolidati al 3% furono estinti e sostituiti con altri al 2,75% annuo. Infine dal 1903 i consolidati fruttarono il 2,5% annuo 16. Durante il periodo che va tra la guerra dei sette anni (1756) alla battaglia di Waterloo è interessante notare come l'andamento dei prezzi dei consolidati inglesi (ed inversamente dei loro rendimenti) ebbe una volatilità molto significativa in risposta alle alterne vicende dello scontro tra l'Inghilterra e la Francia. William Brown, Richard Burdekin e Marc Weidmeir (2005) hanno raccolto le venti maggiori variazioni di prezzo, dieci al rialzo e altrettante al ribasso, che hanno subito i consolidati dal 1729 al 1959. Ebbene ben quindici ricadono nel periodo in questione. L'incertezza dello scontro fra Gran Bretagna e Francia per il dominio del mondo viene fedelmente riflesso dall'andamento delle quotazioni dei titoli dei rispettivi stati. Non ci si deve dunque stupire se il giorno della sconfitta di Napoleone a Waterloo sia stata festeggiata dagli operatori dell'epoca premiando i consolidati inglesi con un incremento del prezzo di oltre l'11% . Questa breve divagazione sul periodo antecedente al 1810 ci serve per meglio comprendere la relativa stabilità del periodo che è susseguito. Da quel momento in poi infatti, quando la supremazia britannica era cosa ormai conclamata, i prezzi dei consolidati inglesi iniziarono una lenta ma inesorabile risalita verso la parità con il prezzo di emissione con una simultanea diminuzione della volatilità ad essi 16 Tutti i dati in seguito riportati sui consolidati Inglesi e sulle rendite francesi provengono da “ Storia dei tassi d'interesse” di Sidney Homer e Richard Sylla.1995. 56 collegata. E' questo il cosiddetto periodo vittoriano (1837-1903) durante il quale l'impero britannico raggiungerà i suoi fasti più elevati: la sua economia fu di gran lunga la più sviluppata del mondo, le sue forze armate non ebbero rivali sul globo terrestre, il mercato finanziario londinese fu il più sviluppato e dinamico attirando capitali da tutto il mondo; inoltre, il suo sistema politico si basava su una consolidata tradizione democratica da più di un secolo e ,infine, il suo impero si estendeva su tutti i continenti. Non sorprende certo, dunque, che in uno scenario del genere, con tali garanzie alle spalle, la valuta universalmente accettata e più usata per i commerci internazionali fosse la sterlina. L'adozione ufficiale del gold standard come sistema monetario internazionale nel 1873 (Allen 2002), non modificò il ruolo della sterlina anzi, per certi versi, lo rafforzò. Grazie al mercato finanziario londinese e alle molteplici possibilità d'investimento e di scambio da esso concesse, detenere un conto in sterline con cui regolare le proprie transazioni internazionali divenne una consuetudine per molti esportatori ed importatori dell'epoca. Inoltre, molti paesi non disponevano di riserve auree a sufficienza per mettere un'adeguata quantità di moneta in circolazione. La soluzione più ovvia fu quella di detenere a riserva una valuta che mantenesse stabilmente la sua parità fissa con l'oro. La scelta, nemmeno è il caso di dirlo, cadde sulla sterlina (Lindert 1969). Come ha fatto notare Ferguson (2003), durante il periodo vittoriano i prezzi dei consolidati inglesi divennero 57 molto meno sensibili agli shock di natura economica, militare o politica rispetto ai corrispettivi titoli dell' Europa continentale. Ad esempio, quando nel 1883, circa 10.000 soldati dell'esercito britannico furono massacrati in Sudan, nessuna ripercussione significativa si ebbe sulle quotazioni dei consolidati. Stessi effetti marginali ebbero i rari conflitti dell'epoca: la guerra di Crimea 17 non fu neanche registrata dagli operatori dell'epoca come una possibile minaccia all'egemonia britannica. Al contrario, ai tempi delle guerre napoleoniche notizie simili ebbero un impatto decisamente diverso sui mercati. Il grafico riportato in figura n. 1 rende forse ancora meglio l'idea della supremazia britannica sulla Francia. Per tutto il periodo che va dalla fine delle guerre napoleoniche agli inizi del '900, la Gran Bretagna mantenne un significativo vantaggio sul tasso a cui potersi indebitare rispetto alla Francia a riprova della fiducia accordata dai mercati e della volontà di investire in attività britanniche. La stessa cosa si evince osservando gli spread tra i consolidati inglesi e i titoli equivalenti della Germania. La supremazia indiscussa viene confermata da un altro dato: dal 1850 al 1915 la Gran Bretagna mantenne un considerevole surplus di partite correnti ad ulteriore conferma della forza dell'economia inglese in grado di esportare i suoi manufatti in tutto il mondo. Questo fatto mise il Regno unito in una posizione 17 La guerra di Crimea fu combattuta dal 1853 al 1856 dalla Russia zarista contro una coalizione di stati europei, tra cui appunto la Gran Bretagna, alleati dell'impero ottomano. 58 invidiabile: il suo surplus di partite correnti le permetteva di essere un creditore netto nei confronti del resto del mondo il quale a sua volta vedeva nel mercato finanziario londinese un luogo attraente dove poter investire i propri risparmi, attirato dalla gran quantità di attività finanziarie disponibili per ogni esigenza. Questi capitali in entrata si indirizzavano principalmente su titoli del mercato monetario a breve scadenza prontamente scambiabili e liquidabili. Ecco dunque come la Gran Bretagna era capace di indebitarsi a breve termine con il resto del mondo ed ad investire all'estero in attività meno liquide ma più redditizie. Il ruolo della Gran Bretagna di “banchiere del mondo” 18 non è stato molto diverso da quello degli Usa del XX secolo esercitando lo stesso “esorbitante privilegio” anche se le differenze in merito sono piuttosto significative come vedremo poi in seguito. 18 Il termine “banchiere del mondo”è stato coniato da Desperes, Kindleberger, Salant (1966) a proposito degli Stati Uniti nel sistema di Bretton Woods. 59 Figura II.3.1: Equilibrio di conto corrente inglese, percentuale del PIL, 18591913. Equilibrio conto corrente/PIL inglese, 1850-1913 Percentuale del PIl 10,00% 8,00% 6,00% 4,00% 2,00% 1913 1910 1907 1904 1901 1898 1895 1892 1889 1886 1883 1880 1877 1874 1871 1868 1865 1862 1859 1856 1853 1850 0,00% Equilibrio conto corrente/PIL Fonte: Obstfeld_Jones, database storico 1996, NBER. www.nber.org/nberhistory . Nell'anno 1897 (vedi figura 1 in appendice) si raggiunse il picco di prezzo più elevato (o se si preferisce il rendimento più basso) per le quotazioni dei consolidati britannici. Da quel momento in poi comincia una lenta e inesorabile discesa che li porterà nel 1920 ad essere scambiati ad un valore pari al 50% del valore di emissione. Contemporaneamente si assiste ad un aumento della volatilità (Williams, Burdekin, Weidmeir 2005) dei rendimenti dopo l'estrema tranquillità del periodo vittoriano. Anche se la volatilità non raggiungerà più i picchi toccati durante le guerre napoleoniche si manterrà comunque su livelli decisamente elevati. 60 II.4) Il Gold Standard come sistema decentrato: una visione alternativa. Nonostante che la posizione dominate all'interno del sistema monetario dell'epoca sia un elemento abbastanza consolidato nel dibattito, alcuni studi in merito lasciano pensare che la Gran Bretagna non fosse, per usare un'espressione coniata da Keynes, il “conduttore d'orchestra internazionale” ma che potesse essere piuttosto il vertice maggiore di un sistema triangolare alla cui base si trovavano il marco tedesco e ed il franco francese. E' questa la tesi di Giuseppe Tullio e di Jurgen Wolters (1996) i quali sostengono che gli andamenti dei tassi d'interesse tra i tre paesi in questione sono tra loro correlati. Se il fatto che i tassi britannici abbiano influenzato quelli degli altri paesi non deve certo stupire, la novità del lavoro in questione è quella di rivelare delle relazioni di Granger-causalità anche all'indirizzo dei tassi d'interesse del Regno Unito. In particolare modo le variazioni dei tassi d'interesse tedeschi e soprattutto francesi sembrano influenzare notevolmente quelli britannici. Visto da quest'ottica il gold standard classico sembra più una “monarchia costituzionale” che non una “dittatura della sterlina”. Uno dei fattori che secondo i due autori sarebbero alla base di questa influenza francese sui tassi inglesi, e che metterebbero in discussione il predominio della sterlina, è il diverso ammontare di riserve auree detenute dai due paesi. Storicamente la Francia ha avuto una certa diffidenza nei confronti della moneta 61 fiduciaria non garantita da riserve di metalli preziosi, oro o argento che siano. Questo atteggiamento così prudente è da ricercarsi nei vari episodi di iperinflazione19 che il paese ha sperimentato per l'eccesso di base monetaria in circolazione. Questo fatto ha portato la Francia ad accumulare ingenti riserve di metalli preziosi nel corso della sua storia. Nel 1910, da quanto riportato dagli autori (vedi anche Lindert 1969 in proposito), la Banque de France possedeva uno stock di riserve auree che andava coprire il 71% delle passività a breve contratte dal paese contro un modesto 44% della banca d' Inghilterra. Tabella II.4.1: Riserve ufficiali in milioni di dollari, fine 1913. GB Francia Germania Totale Oro 169,4 678,9 278,7 1122,5 Argento nd 123,5 65,9 189,4 Riserve valutarie nd 3,2 49,6 52,8 Totale 169,4 805,6 304,2 1364,7 Altri paesi europei Emisfero occidentale Usa Africa, Asia, Australia 1757 1764,9 1290,4 201,8 309,4 525,2 523,3 108,5 610,6 64,8 nd 403,9 2677 2354,9 1813,7 714,2 Totale mondo 4846,2 1132,5 1132,1 7110,8 Fonte: Lindert (1969) tavola 1 pagina 11. Una così elevata quantità di riserve permetteva alla Francia di non dover modificare frequentemente il proprio tasso di sconto in caso di lievi variazioni del circolante cosa che invece era costretta ad eseguire la Bank of England per evitare 19 Vedi ad esempio il caso della “Missisipi bubble” e le emissioni di carta moneta della “Banque Royal” del 1720 (Allen 2002). 62 nefasti deflussi di riserve auree. Alla luce di questi risultati si può attribuire alla Francia un ruolo di “guardiano” del sistema che costringeva la Gran Bretagna a mantenere una certa disciplina fiscale e nei conti con l'estero. In caso di eventuali turbolenze londinesi gli investitori si sarebbero potuti orientare su Parigi, ben garantite dalle riserve della Banca di Francia. Si può forse affermare dunque che il gold standard classico sia stato un regime monetario molto più “democratico” di quello nato a seguito degli accordi di Bretton Woods. Il divario che esisteva all'epoca tra l'economia britannica e quella degli altri paesi esaminati era meno marcata di quella che esisteva tra gli Stati Uniti ed il resto del mondo dall' alba degli anni '60 in poi. Ciò può aver dato vita ad un sistema prettamente dollaro-centrico, potenzialmente più instabile, dove il paese leader non ha nessun incentivo nel perseguire politiche economiche coerenti con il suo ruolo. A conferma di ciò è utile notare la differenza tra la percentuale di sterline detenute a riserva dalle principali banche centrali nel periodo del gold standard classico con la percentuale di dollari detenuta durante il sistema di Bretton Woods. Nel 1965 il dollaro rappresentava il 56% delle riserve ufficiali mentre la sterlina alla fine del 1913 rappresentava solamente il 40% circa del totale delle riserve. Una differenza cospicua di circa 16 punti percentuali. Dalla tabella 135 emerge 63 anche come sterlina, franco francese e marco tedesco nel gold standard classico fossero molto più alla pari rispetto al rapporto instauratosi tra il dollaro e le altre valute nel periodo di Bretton Woods ed anche nei periodi successivi. Ciò sembra avvalorare l'ipotesi di un gold standard come sistema decentrato per lo meno se paragonato al sistema monetario del dopo guerra. II.5) La Granger- causalità tra i tassi di sconto privati di Gran Bretagna, Francia e Germania tra il 1876 ed il 1913. I due autori sopracitati conducono la loro analisi empirica eseguendo un test di Granger- causalità sui tassi privati di sconto20 per un periodo compreso tra il 1876 ed il 1913. Tullio e Wolters suddividono il campione in due periodi distinti: il primo periodo in questione va dal Gennaio del 1876 al Dicembre del 1895 mentre il secondo va dal Gennaio del 1896 al Dicembre del 1913. Per entrambi i campioni i test di radice unitaria escludono abbastanza tranquillamente la presenza di una radice unitaria nelle serie e si può dunque accettare in maniera abbastanza indolore l'ipotesi di stazionarietà e quindi autorizzano l'utilizzo di una rappresentazione di tipo VAR che presuppone che le variabili utilizzate siano 20 L'utilizzo di un tasso di sconto può sembrare un controsenso visto che fino ad ora abbiamo sempre parlato di tassi a lungo termine. Purtroppo la mancanza di dati per i tassi a lungo termine tedeschi costringe gli autori ad analizzare scadenze più brevi. 64 appunto stazionarie. Nella seguente tabella II.5.1 vengono riportati i relativi valori del test di ADF, i rispettivi p-value, i quali indicano la probabilità del manifestarsi dell'ipotesi nulla ed il numero di ritardi implementati nel test ADF. I tassi di sconto privati britannici e tedeschi tra il 1877 ed il 1895 risultano stazionari all' 1% mentre quelli francesi nello stesso periodo lo sono al 10%. Nel periodo seguente i tassi britannici e francesi risultano stazionari al 5% mentre quelli tedeschi all'1%. Tabella II.5.1: test ADF di radice unitaria. Gran Bretagna Francia Germania Gran Bretagna Francia Germania 1877:01-1895:12 valore del test ADF P-value numero ritardi -5,53 1,48E-006 3 -2,79 0,0590 4 -4,93 2,78E-005 6 1896:01-1913:12 -3,25 0,0172 6 -2,86 0,0490 4 -3,45 0,0094 6 Appurato che le serie in questione sono stazionarie il passo successivo consiste nello specificare una rappresentazione VAR con un adeguato numero di ritardi che possa tener conto della persistenza delle serie. Solitamente il metodo a cui si ricorre è quello di basarsi sui criteri d'informazione. Come abbiamo già detto in precedenza, i tre principali criteri utilizzati sono il “criterio d'informazione di Akaike (AIC)” dell'omonimo autore, il “criterio d'informazione Bayesiana (BIC)” di Schwarz, e il criterio di informazione di Hannan e Quinn (HQC). Riportiamo 65 nella tabella successiva i risultati ottenuti per i due periodi analizzati. Tabella II.5.2: criteri di selezione del VAR, numero dei ritardi. AIC BIC HQC Numero di ritardi 1877:01-1895:12 1896:01-1913:12 13 14 2 4 4 6 la scelta degli autori ricade su una rappresentazione VAR a due ritardi per il campione che va dal 1877 al 1895. Le stime ottenute ottenute sono riportate nella seguente tabella in notazione matriciale. I coefficienti in neretto sono r gb , significativamente diversi da zero. rf , r g , rappresentano rispettivamente i tassi privati di sconto sui mercati di Londra, Parigi e Berlino. In appendice i risultati completi della regressione. Tabella II.5.3: stime modello VAR(2) , 1876:01-1895:12. [ ][ ][ ] [ ][ ] [ ] gb gb r gb e 1, t t 0,125 0,891 0,523 0,058 r t−1 −0,255 −0,360 0,036 r t−2 f f f r t = 0,200 −0,035 0,797 0,302 r t−1 0,038 0,047 −0,244 r t−2 e 2, t g g 0,559 0,258 −0,071 0,964 r t−1 −0,240 0,077 −0,183 r gt−2 e 3, t rt ][ Una volta eseguite le regressioni e trovate le stime si può procedere eseguendo i già citati test di Granger-causalità tra le variabili del sistema e quello di causalità istantanea. Ovviamente il tutto ripetuto per ogni paese. I risultati ottenuti sono sintetizzati nella tabella II.5.4. Tabella II.5.4: risultati del test di Granger-causalità con due ritardi nel VAR 66 1876:01-1895:12. Granger causalità 1876:01-1895 :12 X Z Fx z 2 x z PRE PRF, PRG 8,12 (0,000) 32,68 (0,000) PRF PRE, PRG 5,65 (0,000) 12,21 (0,002) PRG PRE, PRF 12,95 (0,000) 29,01 (0,000) Nota: I valori in parentesi corrispondono ai p-value. Le stime eseguite ovviamente confermano tutte le conclusioni enunciate nel lavoro di Tullio e Wolters. I test di Granger-causalità evidenziano come i tassi di interesse britannici siano fortemente influenzati da quelli francesi e tedeschi e viceversa. L' evidenza empirica dunque non conferma, per il periodo dal Gennaio 1876 al Dicembre 1895, la visione classica di un gold standard fortemente gerarchizzato con la sterlina al vertice della piramide. Londra, Parigi e Berlino sembrano interagire molto di più di quello che è stato in precedenza ipotizzato. Entrambi i test infatti confermano la presenza di Granger-causalità e di causalità istantanea per tutte e tre le serie in ogni direzione. Interessante anche notare per quanto tempo uno shock in uno dei paesi crea variazioni nei tassi degli altri e la magnitudine dello shock che si va ad osservare. Lo strumento utilizzato in questo caso è la cosiddetta funzione di risposta d'impulso (FRI). Tramite questo strumento si può appunto analizzare la portata e 67 l'andamento nel tempo di uno shock. L' asse delle ascisse corrisponde ai periodi in cui lo shock va dispiegando i suoi effetti mentre sull'asse delle ordinate si trova la grandezza dello shock. In seguito saranno riportate le funzioni di risposta d'impulso tra i tre paesi sopra esaminati. La linea bianca corrisponde alla funzione di risposta d'impulso vera e propria mentre le linea tratteggiata corrisponde all'intervallo di confidenza del 95%. La prima FRI analizzata è quella tra Gran Bretagna e Francia tra il 1876 ed il 1895. Figura II.5.5: risposta della Francia ad uno shock unitario in Gran Bretagna 1876:01- 1895:12. Come si evince dal grafico uno shock unitario nei tassi britannici porta ad una risposta blanda dei corrispettivi francesi. Ad un aumento di 100 punti percentuali corrisponde dopo un mese una diminuzione dei tassi di circa il 4% seguito da un 68 aumento del 5% dopo 3 mesi. Dopo questo periodo FRI decade verso lo zero il quale viene raggiunto dopo circa 6 mesi. Dopo questa data uno shock nei tassi britannici non causa più alcun movimento in quelli francesi. Alla stessa maniera si può vedere l'impatto dei tassi britannici su quelli tedeschi con le predenti modalità. Qua le cose cambiano decisamente e l'impatto è decisamente più significativo in termini di grandezza. Infatti, ad un aumento dei tassi britannici corrisponde dopo circa un mese un aumento di quelli tedeschi del 25% . Dopo due mesi le funzioni di risposta d'impulso decadono verso lo zero che raggiungono dopo circa 4 mesi. Figura II.5.6: risposta della Germania ad uno shock unitario britannico 1876:01-1895:12 Per quanto riguarda la Gran Bretagna si può dunque concludere che la sua 69 influenza sui tassi tedeschi è decisamente marcata. Altrettanto non si può dire nei riguardi dei tassi francesi. Seppur significativo statisticamente, l'impatto è poi decisamente ridimensionato sul piano delle cifre. Vediamo ora l' impatto della Francia sui tassi degli altri paesi cominciando dalla Gran Bretagna. In questo caso l'impatto di una variazione unitaria nei tassi d'interesse francesi ne ha uno notevole su quelli britannici. La FRI mostra come ad un aumento dei tassi francesi corrisponda dopo un mese una variazione dello stesso segno del 50% circa nei tassi britannici. Questo fatto da un certo punto di vista è sorprendente: da quello che emerge dai dati, non solo sembrerebbe che la Gran Bretagna non sia stata il centro del gold standard ma che anzi il ruolo di guida del sistema sia stato portato avanti più dal dal mercato finanziario di Parigi. 70 Figura II.5.7: risposta della Gran Bretagna ad uno shock unitario in Francia 1876:01-1895:12. Alla stessa maniera possiamo valutare l'incidenza dei tassi francesi sull'andamento di quelli tedeschi Figura II.5.8: risposta della Germania ad uno shock unitario in Francia 71 Stranamente l'impatto in questo caso è molto limitato, inferiore al 10%. Si può dunque concludere che i tassi francesi sembrano influenzare in maniera molto significativa i tassi britannici ma che abbiano una limitata capacità di spiegare l'andamento di quelli tedeschi. Se effettivamente Parigi fosse stato il centro del sistema ci saremmo aspettati una maggiore influenza sulla piazza finanziaria berlinese. Per completezza è doveroso analizzare anche gli impatti dei tassi tedeschi su quelli britannici e francesi. Figura II.5.9: risposta della Gran Bretagna ad una variazione unitaria dei tassi della Germania 1876:01-1895:12. L'impatto è decisamente significativo, del 30% dopo circa tre mesi dal primo movimento dei tassi tedeschi. Il medesimo grafico nei confronti di quelli francesi 72 mostra come anche in questo caso l'impatto è certamente non trascurabile. Dopo un mese una variazione di cento punti base nei tassi tedeschi provoca una variazione di trenta in quelli francesi. Figura II.5.10: risposta della Francia ad una variazione unitaria dei tassi tedeschi 1876:01-1895:12. In conclusione, si può affermare come nel periodo che va dal Gennaio 1876 al Dicembre 1895 ci siano dei validi elementi per ritenere che l'egemonia assoluta della sterlina vada un poco ridimensionata. Il fatto che i tre centri finanziari più importanti dell'epoca siano influenzati dai corrispettivi movimenti degli altri paesi lascia intendere come la struttura prettamente gerarchica del gold standard sia una semplificazione troppo forte. Probabilmente la sterlina , e con essa il mercato londinese, rimanevano il fulcro del sistema ma tutto sommato Parigi e Berlino non 73 erano poi così distanti e secondari. L'analisi dei due autori prosegue per il periodo seguente che va dal Gennaio 1896 al dicembre 1913. Testata alla stessa maniera la stazionarietà delle serie (vedi tabella II.2.1) ed il numero di ritardi del VAR (vedi tabella II.2.2) si prosegue anche in questo caso stimando un VAR(2) di cui però omettiamo le stime. Come nel periodo precedente vengono riportati test di Granger-causalità e quello di causalità istantanea tra le variabili. Tabella II.5.5: risultati del test di Granger-causalità con due ritardi nel VAR 1896:01-1913:12. Granger causalità 1876:01-1895 :12 X Z Fx z 2 x z PRE PRF, PRG 6,68 (0,000) 44,58 (0,000) PRF PRE, PRG 2,28 (0,0585) 23,06 (0,002) PRG PRE, PRF 8,52 (0,000) 41,78 (0,000) I risultati non sembrano subire sostanziali mutamenti tranne per il fatto che l'influenza della Francia sugli altri due paesi sembra ridursi essendo il test della Granger-causalità al limite della regione di accettazione\rifiuto dell'ipotesi nulla. A questo punto non resta che vedere le FRI per tutti i paesi. La FRI analizzata è quella dei tassi britannici nei confronti di quelli francesi. Notiamo immediatamente una differenza rispetto al periodo precedente. L'impatto dei tassi britannici nel periodo provoca una reazione consistente in quelli francesi 74 dell'ordine del 20% dopo due mesi rispetto a quelli d'oltre Manica. Figura II.5.11: risposta d'impulso della Francia ad uno shock unitario nella Gran Bretagna 1896:01-1913:12. Figura II.5.12: risposta d'impulso della Germania ad uno shock unitario della Gran Bretagna 1896:01-1913:12. 75 Per quanto concerne la Germania possiamo ugualmente vedere un notevole impatto dei tassi britannici, del 30 %, dopo un mese, sull'andamento di quelli tedeschi. Da questi primi due grafici si evince come il ruolo della Gran Bretagna in questo lasso di tempo sia decisamente preponderante con una notevole influenza sui tassi degli altri due paesi. Figura II.5.13: risposta d'impulso della Gran Bretagna ad uno shock unitario della Francia 1896:01-1913:12. 76 Figura II.5.14: risposta d'impulso della Germania ad uno shock unitario della Francia 1896:01-1913:12. La Francia anche in questo periodo sembra mantenere una notevole influenza su entrambi i paesi. Concludiamo infine con la Germania. Figura II.5.15: risposta d'impulso della Gran Bretagna ad uno shock unitario 77 Figura II.5.16: risposta d'impulso della Francia ad uno shock unitario della Germania 1896:01-1913:12. Dai due grafici emerge un ruolo marginale della Germania nell'influenzare gli altri due paesi. Pur esercitando su di essi una certa forza, quest'ultima è limitata rispetto a quello che Francia e Gran Bretagna esercitano su di loro e sulla Germania stessa. II.6) Conclusioni dell'analisi della Granger-causalità. Il lavoro in questione rileva una notevole presenza di impulsi reciproci tra i tre centri finanziari di Londra, Parigi e Berlino. Dunque, da quello che emerge, la Gran Bretagna non sembra il “conduttore d'orchestra internazionale” ma piuttosto come il paese più influente di un sistema molto più decentralizzato e multipolare 78 di quello che fino ad oggi era apparso. Germania e Francia erano esportatori di capitali netti nel resto del mondo, come del resto la Gran Bretagna , e le loro riserve auree erano di gran lunga superiori a quelle di quest'ultima (vedi tabella II.4.1). Inoltre la diffusione di franco e marco nel continente europeo come valute di scambio era largamente maggiore rispetto a quella della sterlina, decisamente più diffusa nei territori del Commowealth (sempre tabella II.4.1). Si potrebbe concludere dicendo che pur mantenendo il ruolo di centro del sistema , questo non impediva a Francia e Germania di esercitare una significativa influenza sulla piazza finanziaria di Londra. II.7) Il sistema monetario del periodo compreso tra i due conflitti mondiali: il gold exchange standard. Lo scoppio della prima guerra mondiale indebolì la posizione britannica nei confronti del mondo. La sospensione della convertibilità della sterlina con l'oro fu un destino condiviso da molte altre valute con l'importante eccezione degli Stati Uniti. La sospensione fu attuata con il preciso scopo di finanziare la guerra monetizzando il debito sganciandolo dunque dalle rigidità del gold standard e della conversione aurea. Una volta finito il conflitto, l'enorme massa di circolante si trasformò ben presto in inflazione. La conferenza di Genova del 1922 aveva dunque lo scopo di programmare politiche fiscali adeguate ad un repentino ritorno 79 alla convertibilità delle varie valute alla parità aurea. Furono messe in atto delle politiche deflative con il preciso scopo di fermare l'ascesa dei prezzi e contemporaneamente di poter ricreare le condizioni per ritornare a pieno regime nel sistema aureo alle parità pre-belliche. La Germania rientrò nel gold standard nel 1924, la Gran Bretagna nel 1925 e la Francia nel 1928. Il più fervente sostenitore del ritorno del gold standard alle parità pre-belliche era sicuramente Winston Churchill, allora ministro delle Tesoro del governo inglese, il quale, facendone un questione di orgoglio nazionale, cercò di accelerare il più possibile il rientro della Gran Bretagna nel tallone aureo. La Bank of England adottò dunque una politica monetaria restrittiva tramite un deciso rialzo del tasso di sconto con il preciso scopo di prosciugare la liquidità in eccesso, attirare capitali dall'estero, ricostituire le riserve auree ed infine tornare de jure al tallone aureo cosa che come abbiamo visto avvenne nel 1925. Le politiche deflative mirate a ristabilire la convertibilità non tennero conto però delle conseguenze sull'economia inglese già in difficoltà per i traumi post bellici (Allen 2002). Gli alti tassi d'interesse danneggiarono la ripresa industriale inglese ed il continuo apprezzamento della sterlina verso i valori ante guerra, chiaramente sopravvalutati rispetto alla reale posizione competitiva della Gran Bretagna, minarono la competitività delle merci britannici all'estero. Proprio in quegli anni comincia ad avvenire un cambiamento significativo nella struttura 80 commerciale con l'estero dell'Inghilterra. La posizione di creditore netto nei confronti del mondo comincia ad indebolirsi. Tra i più critici nei confronti delle politiche deflazioniste auspicate da Churchill ci fu Keynes (1923) il quale sostenne che le politiche restrittive messe in atto avrebbero avuto l'effetto di indebolire ancora di più la produzione industriale e aumentare la disoccupazione mentre gli effetti sull'aggiustamento di prezzi e salari sarebbe stato marginale. Mai previsione fu più corretta. Progressivamente la Gran Bretagna vide deteriorarsi il suo surplus nei conti con l'estero. Come mostrano Eichengreen e Cairncross (1983, vedi tabella 15)), pur continuando a mantenere un surplus di conto corrente, anche se non paragonabile quantitativamente a quello antecedente il conflitto, la Gran Bretagna si ritrovava con una bilancia commerciale, esportazioni meno importazioni, in deficit. Il surplus di partite correnti è dunque generato dai servizi esportati, in maggioranza servizi di tipo finanziario, e dai redditi percepiti sulle attività detenute all'estero. Molto spesso il ritorno alla parità pre-bellica da parte della Gran Bretagna viene motivata come una questione di principio che esula motivazioni prettamente economiche. Alla luce di questi dati forse non è proprio così. Consapevoli di non aver più la leadership mondiale in campo industriale, ormai dagli inizi del secolo superati dagli Stati Uniti e anche dalla Germania, potevano però contare ancora su 81 un sistema finanziario molto avanzato. Il ritorno della sterlina al gold standard poteva rientrare nell'ottica di consolidare questo predominio e di mantenere quella funzione di ancora del sistema monetario a dispetto di fondamentali macroeconomici che non rispecchiavano più quelli della potenza leader. Purtroppo le politiche deflazionistiche adottate ebbero effetti devastanti sugli equilibri economici interni. Come già accennato, la disoccupazione prese il posto della stabilizzazione della moneta sull'agenda delle priorità economiche da affrontare. Inoltre l' aumento dei tassi d'interesse aggravò la situazione del debito pubblico aumentando la spesa per interessi. Si cercarono soluzioni di ogni tipo per favorire la ripresa delle esportazioni britanniche: sussidi agli esportatori, dazi sui prodotti importati e persino accordi sindacali per cercare di ridurre i salari21 e di conseguenza favorire l'export senza dover svalutare la sterlina. Tutti gli sforzi in tal senso furono vani e nel Settembre del 1931 la sterlina uscì definitivamente dal gold standard per non rientrarvi più . Fu probabilmente questo l'evento che segnò il tramonto definitivo della sterlina come valuta di riserva internazionale (Bordo 1992). Si può notare come in coincidenza dell'abbandono del gold standard da parte del Regno Unito la serie degli spread dei consolidati 21 Quello che Keynes definì nel rapporto della commissione McMillan, incaricata di formulare politiche economiche adatte per uscire dalla grande depressione, “A great National Treaty among ourself”. Per i dettagli vedi Caincross e Eichengreen (1983). 82 inglesi con i titoli di stato francesi tocchi il suo minimo assoluto. Differenza tra i rendimenti delle rentes e dei consolidati, 19141945 2,5 2 1,5 1 0,5 42 44 19 19 40 19 36 38 19 19 34 19 30 32 19 19 28 19 26 24 19 19 22 19 18 20 19 19 19 14 16 0 -0,5 -1 19 Differenza punti percentuali Figura II.3.2: differenziale consolidati britannici e rentes francesi, 1914-1945. -1,5 Spread rentes francesi consolidati inglesii Fonte: H. Sidney, R. Sylla, (1995) storia dei tassi d'interesse pagine 621,622,623. Non c'è infatti da stupirsi infatti visto che la Francia, unica tra le grandi nazioni, mantenne la convertibilità con l'oro fino al 1936. Per un brevissimo lasso di tempo dunque la Francia fu vista come un “safe heaven”(Bordo 1992) più appetibile della Gran Bretagna anche grazie alle sue cospicue riserve auree 22. Come vedremo più avanti non era però al paese d'oltralpe che si doveva guardare per trovare il successore designato della sterlina. La letteratura economica ha poi indagato a fondo sulle ragioni del fallimento dell'esperienza del gold standard nel periodo compreso tra le due guerre individuando tre fattori di debolezza e instabilità insiti nel meccanismo di funzionamento del sistema monetario degli anni '30, il problema delle asimmetrie 22 I dati sulle riserve auree citati provengono dal “world gold council” 83 dell'aggiustamento, la liquidità e la credibilità del sistema (Johnson 1972)23. Il primo problema trattato è quella delle asimmetrie di aggiustamento tra il paesi in surplus del sistema (Stati Uniti e Francia su tutti) e quelli in deficit come il Regno Unito ( o quanto meno in una posizione in cui i surplus di partite correnti si stavano decisamente assottigliando rispetto a quelli corposi del gold standard classico). Gli Stati Uniti e la Francia insieme assorbivano il 53% delle riserve auree esistenti (Eichengreen 1990, tabella 10.1). Come paesi in surplus essi potevano permettersi, violando le regole del gioco, di sterilizzare gli afflussi di oro e mantenere inalterata la base monetaria interna. Al tempo stesso i paesi in deficit vedevano diminuire le proprie riserve auree ed erano costretti a contrarre la propria base monetaria interna con le nefaste conseguenze che abbiamo visto sull'economia reale. Questo problema si ripresentò poi in maniera diversa anche nel sistema di Bretton Woods. La seconda questione affrontata dalla letteratura è quello della liquidità del sistema. Un sistema rigidamente ancorato alle riserve auree dipende chiaramente in maniera eccessivamente vincolante dall'offerta di oro disponibile sul mercato. Tale offerta è chiaramente estremamente rigida e vincolata alla scoperta di nuovi giacimenti minerari. Il gold exchange standard per economizzare le riserve auree prevedeva che la periferia del sistema detenesse a riserva le valute ancora del 23 Questi sono i classici difetti attribuiti anche al sistema di Bretton Woods classico (Bordo 1992). 84 sistema, la sterlina in primis. Il paese emittente della valuta chiave del sistema doveva provvedere a fornire la quantità di moneta richiesta. Facendo ciò però il rapporto tra quantità di valuta in circolazione e riserve aure si innalzava e i paesi della periferia cominciavano a temere per la solvibilità del paese leader. Questo altro non è che lo stesso paradosso di Triffin (Triffin 1960) che l'economista belga teorizzò a proposito del sistema di Bretton Woods. Il sistema monetario degli anni '30 per funzionare correttamente necessitava di liquidità che poteva essere fornita solo a discapito della credibilità di debitore del paese leader. L'ultimo punto trattato è strettamente connesso al precedente e riguarda appunto la perdita di fiducia nella capacità del paese leader di essere un creditore affidabile nei confronti del resto del mondo. Dopo che la sterlina abbandonò il gold exchange standard molti capitali defluirono dalla Gran Bretagna per accasarsi nel nuovo “safe heaven” dell'epoca, ovvero il dollaro. La divisa americana era ormai pronta per prendere il posto della valuta britannica come moneta di riferimento per gli scambi internazionali e solamente la crisi del 1929 che colpì gli Usa ritardò questa transizione. Il passaggio non è stato però certamente indolore. Il vecchio centro del sistema, il Regno Unito, messo sotto pressione dalla crescente fuga di capitali, si ritrovò indebolito. In questi casi (Bordo 1992) il rischio che tale paese possa diventare l'epicentro della crisi è piuttosto elevato contagiando poi tutto il sistema. 85 Osservando gli spread tra i consolidati inglesi e gli equivalenti titoli a lungo termine emessi dal governo americano si evince che negli anni a cavallo tra le due guerre i titoli americani abbiano goduto di tassi d'interesse più bassi rispetto a quelli britannici. Probabilmente è proprio in questo lasso di tempo che il dollaro comincia a sopravanzare la sterlina come valuta di riserva internazionale (Eichengreen 2005). Figura II.3.3: differenziale tra i consolidati e i titoli di stato americano trentennali, 1920-1944. spread tassi uk e Us .Fonte: H. Sidney, R. Sylla, (1995) storia dei tassi d'interesse pagine 621,622,623. 86 19 44 19 42 19 40 19 38 19 36 19 34 19 32 19 30 19 28 19 26 19 24 19 22 1,6 1,4 1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 -0,2 19 20 punti percentuali Spread tassi uk e Us, 1920-1944 87 CAPITOLO III IL SISTEMA MONETARIO DI BRETTON WOODS III.1) la nascita del sistema sistema di Bretton Woods. Ancor prima della fine del secondo conflitto mondiale, Stati uniti e Gran Bretagna cominciarono a sedersi al tavolo delle trattative per cercare di definire i futuri equilibri dello scacchiere mondiale. Uno dei temi centrali delle trattative fu quello di come ricostruire un sistema monetario che potesse garantire stabilità e lo sviluppo del commercio internazionale. Si cercò soprattutto di eliminare le cause intrinseche di debolezza che portarono al collasso del sistema del gold exchange standard adottato ufficiosamente da molte nazioni nel periodo a cavallo tra i due conflitti. Il sistema che si stava architettando doveva dunque garantire una maggiore stabilità dei tassi di cambio, un aggiustamento simmetrico tra i paesi in surplus di bilancia dei pagamenti e quelli in deficit, negare la possibilità di svalutazioni competitive a discapito degli altri paesi e garantire appieno gli equilibri macroeconomici interni senza farli entrare in conflitto con quelli esterni (Bordo 1992). le trattative, che avvennero nella cittadina americana di Bretton Woods, nel New Hampshire, videro la partecipazione di una delegazione britannica, guidata da John Maynard Keynes, e di una statunitense capeggiata da Hanry Dexter White. Lo scenario mondiale e i rapporti di forza tra le nazioni che le due 88 delegazioni si trovarono a fronteggiare era decisamente mutato rispetto a quello del secolo precedente. L' Europa continentale usciva a pezzi dal conflitto così come pure il Giappone. Ad est minacciosamente l' Unione Sovietica iniziava la sua ascesa a potenza mondiale. Il fatto sicuramente più eclatante fu però sicuramente il cambio di leadership ai vertici del potere mondiale con l'ascesa inarrestabile degli Stati Uniti ed il lento ma inesorabile declino della Gran Bretagna che era stata la potenza egemone nei precedenti centocinquanta anni. Il Regno Unito uscì pesantemente indebitato dal conflitto, sia nei confronti degli altri paesi del Commonwealth sia, anche se in misura minore, nei confronti degli Stati Uniti i quali a loro volta si ritrovarono ad essere una nazione creditrice netta nei confronti del mondo. Durante le trattative emerse la volontà da parte delle autorità britanniche di continuare, forse un po' presuntuosamente,a perseguire una politica di piena occupazione incuranti delle conseguenze sulla bilancia dei pagamenti. Volevano inoltre mantenere il Commonwealth, ricevere assistenza per la ricostruzione e ottenere condizioni meno stringenti per la restituzione dei prestiti che le erano stati concessi (Bordo 1992). Dal canto loro gli Stati Uniti puntavano ad ottenere un accordo che rilanciasse il più in fretta possibile il commercio internazionale soprattutto puntando ad una progressiva eliminazione dei dazi e degli accordi bilaterali tra i paesi che si erano 89 andati affermando sin dagli inizi degli anni trenta. (Gardner, 1969, capitolo I e II). Di fronte a queste due diverse concezioni e richieste da parte della politica, le due delegazioni arrivarono a formulare due piani distinti su come riorganizzare il sistema monetario internazionale. Il piano Keynes24 (Keynes 1943) focalizzava la sua attenzione sul come fornire un' adeguata liquidità internazionale per garantire una crescita economica stabile e costante nel tempo cosa che secondo l'autore era stata una delle cause alla base del collasso del gold standard degli anni '20. L'essenza del piano consisteva nella creazione di una camera di compensazione internazionale (ICU, dall'inglese international clearing union)che fosse in grado di emettere una valuta internazionale denominata bancor. Il bancor a sua volta era agganciato ad una parità fissa in termini di oro. Il piano keynesiano prevedeva inoltre che le banche centrali dei paesi membri del nuovo sistema internazionale conferissero all' ICU parte dei propri attivi domestici, sia riserve auree che valutarie, e che detenessero un conto in bancor presso questa istituzione e che i regolamenti tra paesi avvenissero tramite una diminuzione o un aumento dei confronti della camera di compensazione. Un paese in deficit con la bilancia dei pagamenti avrebbe visto diminuire le proprie attività nei confronti dell' ICU mentre un paese in surplus avrebbe viste aumentare la sua posizione creditizia. 24 In appendice viene presentata una descrizione più dettagliata del funzionamento del piano keynesiano. 90 Nel caso in cui un paese in deficit non disponesse di adeguate riserve in bancor la camera di compensazione poteva erogare dei prestiti per poter garantire il corretto funzionamento del sistema. Ovviamente i tassi d'interesse diventavano sempre più onerosi mano a mano che la quota di indebitamento aumentava di modo da disincentivare i paesi a mantenere dei deficit di bilancia dei pagamenti oltre il tempo strettamente necessario a ristabilire l'equilibrio. Il piano Keynes prevedeva inoltre che un paese potesse come extrema ratio svalutare la propria valuta se il deficit della bilancia dei pagamenti fosse stato strutturale e non legato a dinamiche di breve periodo. Dal canto loro i paesi in surplus erano coinvolti nel processo di aggiustamento con misure di espansione del credito, rivalutazione delle proprie valute, diminuzione delle tariffe e dei dazi sulle importazioni, concessioni di prestiti internazionali. Il piano prevedeva inoltre pervasivi controlli di capitale, sia in entrata che in uscita, in particolare nei confronti dei movimenti a breve termine con fini prettamente speculativi. Keynes aveva infatti compreso, probabilmente prima e meglio dei suoi contemporanei, che l'asimmetria degli aggiustamenti tra i paesi in deficit e quelli in surplus era stato il vero vulnus del gold standard. Un paese in una cronica posizione di deficit della bilancia dei pagamenti rischiava infatti di esaurire ben presto le sue riserve ufficiali e di dover ricorrere ad una pesante quanto repentina svalutazione. Un paese in surplus invece poteva tranquillamente sterilizzare le 91 variazioni indesiderate degli attivi esteri, e dunque non aggiustarsi rispetto al sistema, tramite movimenti uguali ma di segno opposto sul lato domestico degli attivi. I controlli di capitali erano proprio finalizzati a sventare eventuali attacchi speculativi sui paesi in deficit della bilancia dei pagamenti. Il piano White (White 1943) puntava maggiormente l'attenzione sulla stabilità dei tassi di cambio piuttosto che sul problema della liquidità internazionale. Ogni paese si impegnava a stabilire una parità con una unità di conto internazionale, detta unitas. Ogni membro era dunque obbligato a mantenere la parità con questa unità di conto. In caso di squilibri cronici della bilancia dei pagamenti, la nazione in questione doveva chiedere il permesso agli altri paesi membri prima di procedere con una svalutazione della propria valuta . Per essere più precisi, svalutazioni nell'ordine del 10% potevano essere effettuate previa comunicazione agli altri membri del sistema (Bordo 1992). Svalutazioni di portata più consistente dovevano essere approvate dai ¾ delle nazioni aderenti. Fu pensata l'istituzione di una organizzazione internazionale in grado di garantire prestiti ai membri che risultavano carenti di liquidità internazionale, ai paesi momentaneamente in difficoltà, con modalità progressivamente disincentivanti come quelle previste dall' ICU keynesiano. Richieste di aggiustamento più lasche e meno pressanti furono imposte ai paesi creditori più di quanto non prevedesse il piano Keynes. 92 Venne fuori un compromesso, quello che Keynes definì “il cane bastardo”, tra i due piani previsti dai due economisti che sfociò nel Articles of agreement of the international monetary fund (22 Luglio 1944) in cui però le istanze della delegazione americane assunsero un peso preponderante. La linea di Keynes fu sostanzialmente bocciata e la richiesta di creare una clearing house internazionale fu definitivamente accantonata. Non si trattava però di una bocciatura delle idee keynesiane, che anzi oggi vengono riabilitate e riportate alla ribalta sia dai tecnici (Xiaochuan 2009) che dagli accademici (Alessandrini e Fratianni 2008), ma semplicemente si sancirono i nuovi rapporti di forza tra gli Stati Uniti, la vera potenza vincitrice della guerra, e la Gran Bretagna, ormai avviata verso un lento quanto inesorabile declino rispetto ai fasti del secolo precedente. I punti salienti e i temi toccati dall'articolo possono essere così riassunti: • Determinazione delle parità tra le varie valute • Funzionamento multilaterale del sistema dei pagamenti • La gestione delle risorse del Fondo • Il potere di intervento del Fondo stesso • la sua organizzazione Come abbiamo già detto in precedenza, ogni paese aderente al sistema monetario 93 doveva dichiarare una parità con le altre valute ed impegnarsi ad intervenire sul mercato valutario per mantenerla nel tempo entro una banda di oscillazione di +/1% rispetto alla parità stessa. Svalutazione per un importo inferiore al 10% erano concesse liberamente previa comunicazione agli altri paesi aderenti. Svalutazioni di importi superiori dovevano essere ratificate dal Fondo. Svalutazioni unilaterali erano sanzionate con l'impossibilità di accedere a prestiti del Fondo Monetario ed in caso di reticenza potevano portare all'esclusione permanente della nazione dall'organizzazione. Infine una modifica permanente delle parità di tutte le valute nei confronti dell'oro doveva essere ratificata dalla maggioranza qualificata dei votanti e doveva essere successivamente approvata da tutti i paesi con una quota nel Fondo superiore al 10%. Come si può notare questo punto è fortemente influenzato dalle posizioni di White piuttosto che da quelle keynesiane. Un' altra clausola imponeva ai paesi di mantenere la convertibilità delle proprie valute per regolare le transazioni della bilancia commerciale ma al tempo stesso era concesso di mantenere controlli sui capitali in entrata ed in uscita. Era un tentativo di mantenere un sistema di pagamenti multipolare non accentrando il ruolo di valuta internazionale sulle spalle di una singola divisa. Un altro punto dirimente era quello della gestione delle risorse del Fondo e della loro successiva assegnazione nel momento di un eventuale intervento. Il 94 totale del capitale del Fondo stabilito ammontò a circa nove miliardi di dollari composti per ¼ da oro e per i restanti ¾ in riserve ufficiali (Bordo 1992). Il Fondo impose una serie di restrizioni e una serie di vincoli per l'uso delle risorse per i paesi in disavanzo della bilancia dei pagamenti in modo da impedire che esso potesse accumulare una quantità ingente di monete deboli esaurendo contemporaneamente le sue riserve di valute pregiate. Il Fondo poteva poi decidere in che valuta i paesi membri dovevano saldare i propri debiti. Nel caso di valute legate a paesi con un ampio avanzo di partite correnti poteva scattare la clausola di scarce currency ( articolo VII ). Se il Fondo dichiarava una valuta scarsa e insufficiente a sostenere la domanda degli altri paesi esso poteva razionarne l'uso sul mercato tramite misure di controllo sui tassi di cambio. Per far rispettare tutte queste condizioni il Fondo doveva disporre di un notevole di intervento e, nel caso di inadempienze dei paesi, sanzionatorio. Il potere di questa autorità prevedeva tra le altre cose approvare e disapprovare i seguenti eventi: • cambiamenti della parità • controlli sui tassi di cambio • concessione dei prestiti e le condizioni di emissione • dichiarare una valuta scarsa 95 • potere di dichiarare un membro interdetto alle risorse del Fondo • estromettere una nazione dall'organizzazione Con grande rammarico di Keynes e dello stesso White, il Fondo ebbe un' influenza decisamente limitata nel poter intervenire nelle questioni riguardanti la politica fiscale interna dei singoli paesi ma, vedendo le difficoltà e la diffidenza che persistono ancora oggi nel cedere parte del controllo delle politiche interne ad una organizzazione sovranazionale, non stupisce che le idee dei due fossero probabilmente troppo ambiziose per i governanti dell'epoca. III.2) Il funzionamento del sistema di Bretton Woods tra 1946 ed il 1958. Il lasso di tempo che occorse al sistema di Bretton Woods per diventare pienamente operativo fu decisamente lungo, sicuramente si protrasse molto di più di quanto i suoi due ideatori avessero immaginato. Il periodo di pre-convertibilità delle valute fu uno dei periodi più difficili della seconda metà del XX secolo. Le economie europee e quella giapponese uscirono devastate dal conflitto bellico e pesantemente indebitate. Il deficit dei paesi aderenti a quello che poi sarebbe diventato l' OECD raggiunse un picco di 59 miliardi di dollari nel 1947 (Vedi Triffin 1957, pag 329) che ammontava pressapoco al surplus che contemporaneamente gli Stati Uniti avevano accumulato nei confronti del mondo (Vedi Bordo 1992 figura 12) essendo l'unico 96 paese industrializzato ad aver mantenuto inalterata la propria capacità di produzione industriale. Il fatto di essere un paese in forte surplus portò ad una mancanza di dollari sul mercato e, in virtù del ruolo di unica valuta convertibile con l'oro, ad una conseguente scarsità di liquidità del sistema. La soluzione a questo problema era tanto semplice e ovvia quanto di complicata attuazione. I paesi europei dovevano essere in grado di generare dei surplus cosa che, alla luce della ridotta capacità industriale post bellica, essi non erano più in grado di compiere adeguatamente. La scarsità di liquidità internazionale era ulteriormente aggravata dalle parità stabilite basandosi sui valori pre-bellici (Bordo 1992, figura 2) che erano eccessivamente sopravvalutate e che danneggiavano ulteriormente le già traballanti esportazioni europee. Si decise dunque di fornire un adeguato supporto all'industria europea e di ricostruire a poco a poco la sua capacità produttiva. Tutto questo sfociò nel cosiddetto piano Marshall per l' Europa. Il piano Marshall, nel periodo che va dal 1948 al 1952, fornì all' Europa Occidentale i capitali necessari ( Quasi 13 miliardi di dollari, una cifra enorme, vedi Milward 1984) per puntellare le economie domestiche, ripristinare la propria capacità di esportare e ricostituire dunque le proprie riserve in valuta pregiata. Alla fine del 1952 la capacità industriale dei paesi europei migliorò del 39% e sfociò infine in surplus di partite correnti ( vedi Solomon 1976 pag 18). Si può 97 dunque dire (Eichengreen e Uzan 1991) che il piano Marshall aumentò in maniera permanente il tasso di crescita dei paesi che ricevettero gli aiuti senza però passare per i soliti canali di spesa pubblica ma tramite un aumento permanente del tasso di produttività dei paesi in questione cercando dunque di intervenire sui deficit strutturali di tali paesi. Il problema delle parità sopravvalutate si risolse molto semplicemente con una serie di svalutazioni delle principali valute per raggiungere livelli di parità che rispecchiassero in nuovi rapporti di forza tra le valute di queste nazioni. Tra le principali svalutazioni di questo periodo annoveriamo quella del franco francese nel 1947, quella per certi aspetti clamorosa ed inaspettata della sterlina inglese nel 194925 e la altrettanto sorprendente decisione del Canada nel 1950 di lasciare fluttuare liberamente sul mercato dei cambi la sua moneta. La svalutazione della sterlina poc'anzi annunciata diede un pesante colpo alle ambizioni di quest'ultima come valuta di riserva (Bordo 1992 e Eichengreen 1991). Per un certo periodo infatti si pensava che la sterlina avrebbe comunque mantenuto il suo status di valuta internazionale in coabitazione con il dollaro. C'è da dire che molto spesso la posizione della sterlina come valuta di riserva viene sopravvalutata in quanto una ingente quantità di sterline detenute a riserva proveniva dai paesi del Commonwealth i quali erano legati alla Gran Bretagna da 25 La svalutazione del Settembre del 1949 portò la sterlina a svalutarsi nei confronti del dollaro da 1£=4,08$ a 1£=2,8$. 98 un legame molto stretto, soprattutto in termini militari, in virtù del quale essi decisero di non abbandonare la sterlina al proprio destino, almeno in un primo momento (Bordo 1992). Al di fuori dei confini del Commonwealth il dollaro americano aveva già soppiantato ampiamente la sterlina come valuta di riserva internazionale. Grazie alla quota di ricchezza detenuta sul totale mondiale e grazie soprattutto al suo mercato di capitali così aperto e liquido, il dollaro americano emerse dapprima come valuta di riserva e di scambio privilegiata tra gli operatori privati. Era prassi per gli esportatori ed importatori dell'epoca fatturare le proprie transazioni in dollari. Quasi contemporaneamente il dollaro assunse il ruolo di rifermento anche nell'ambito degli operatori ufficiali come le banche centrali le quali sempre più spesso decidevano di intervenire sul mercato dei cambi in dollari al fine di mantenere inalterate le parità dichiarate. III.3) Il periodo di piena convertibilità tra il 1959 ed il 1967. Nel Dicembre del 1958, dopo più di un decennio dalla sua ideazione, il sistema di Bretton Woods poté finalmente operare a pieno regime. Come stabilito dagli accordi originari, ogni paese si impegnava a mantenere una parità fissa con le altre valute entro una banda di oscillazione la quale nel frattempo era passata dall' 1% dell'accordo originario ad un 2%. Il ministero del Tesoro americano si impegnava 99 inoltre a garantire la convertibilità del dollaro ad un tasso fisso di 35$ per un' oncia di oro. Questo fatto ancorava indirettamente le varie valute alle riserve auree, usando come tramite il dollaro americano. L'arbitraggio triangolare tra oro, dollaro e la valuta di un paese terzo rendeva possibile il mantenimento dell'equilibrio tra queste tre componenti. Pervasivi controlli ai capitali in entrata ed in uscita erano presenti in quasi tutti i paesi in modo da prevenire destabilizzanti attacchi speculativi sulle valute dei paesi che presentavano accentuati deficit di partite correnti. Il sistema di Bretton Woods, nel corso dei dodici anni che intercorsero tra la sua ideazione e la sua effettiva entrata a regime, mutò de facto in maniera piuttosto consistente. L'idea che ogni valuta dovesse essere trattata in maniera paritaria rispetto alle altre ben presto lasciò di fatto il posto ad un realtà in cui il dollaro era decisamente preponderante ( il cosiddetto dollar exchange standard Bordo 1992). Inoltre in questo periodo il declino della sterlina divenne sempre più evidente ed accentuato. Come già accennato in precedenza, una crescita consistente del tasso d'inflazione ad inizio degli anni '60 (Bordo 1992 ma anche tabella 17) portò la sterlina ad essere usata solo nell'ambito degli scambi tra i paesi membri del Commonwealth per poi essere abbandonata anche da questi ultimi paesi quando la moneta britannica venne svalutata nuovamente nel 1967. 100 Una seconda evidente differenza con la stesura originale era il passaggio da un sistema di parità fisse ma al tempo stesso aggiustabili ad un sistema rigidamente a cambi fissi. Questo era accaduto perché le autorità monetarie dei vari paesi si erano rese conto di come la probabilità di un attacco speculativo fosse più elevata in un sistema in cui era tutto sommato abbastanza agevole fare una svalutazione moderata della propria valuta. In questo sistema era molto più conveniente mantenere un tasso fisso e svalutare solamente quando questo evento non era più assolutamente prorogabile. Evolvendo da un sistema a cambi flessibili ad uno a cambi fissi, esattamente come prevedeva il gold exchange standard, non stupisce certo che si ricadde nuovamente nei sui stessi difetti originari che sia White che Keynes avevano cercato in tutti i modi di correggere. I tre problemi, di cui abbiamo già detto, ma che negli anni '60 si ripresentarono in una nuova veste, sono quelli dell' aggiustamento, della liquidità e della fiducia. III.4) I problemi dell' aggiustamento, della liquidità e della fiducia. Il problema dell'aggiustamento del sistema di Bretton Woods può essere scisso in due distinte problematiche. Da una parte vi era la differenza tra il fardello dell'aggiustamento che il sistema prevedeva per i paesi in surplus rispetto a quello più marcato e pericoloso per quelli in deficit. Dall'altro lato il sistema dollaro centrico che si era andato affermando nel corso del tempo permetteva agli Stati 101 uniti di non aggiustare i suoi squilibri con l'estero e di essere un forza esogena rispetto al sistema. Per quanto riguarda il primo problema ci focalizzeremo su due esempi, quello della Gran Bretagna, all'epoca paese in deficit, e quello della Germania, paese in surplus con la bilancia dei pagamenti, completamente opposti che meglio di altri esemplificano la diversità di aggiustamento tra i paesi in disavanzo e quelli in avanzo. III.4.1) La Gran Bretagna La Gran Bretagna degli anni '60 era un paese in deficit della bilancia dei pagamenti causato dalle politiche monetarie e fiscali espansive che le autorità implementavano con l'obbiettivo di garantire la piena occupazione nel mercato del lavoro britannico. Le politiche espansive portavano inevitabilmente ad un aumento delle pressioni inflative, ad un peggioramento dei conti con l'estero e ad un assottigliamento delle riserve ufficiali, cedendo al mercato valuta estera, in questo caso dollari, e ritirando valuta domestica dal mercato, con il fine di mantenere il tasso di cambio all'interno delle bande di oscillazione consentite ed evitare dunque azioni speculative contro la valuta britannica (Bordo 1992). Gli anni '60 furono un calvario per la sterlina sottoposta a continui e logoranti attacchi speculativi che culminarono con una svalutazione nel Novembre del 1967. La chiusura del canale di Suez in seguito alla guerra dei sei giorni (5 Giugno 1967, 11 Giugno 1967) alimentò una pesante speculazione sulla sterlina. 102 Tre miliardi di aiuti da parte del fondo non furono sufficienti ad evitare una svalutazione di oltre il 14%26 (Caincross e Eichengreen 1983). La svalutazione della sterlina del 1967 pose fine al suo utilizzo come valuta di riserva internazionale anche da parte di quelle banche centrali appartenenti al Commonwealth che fino a quel momento avevano mantenuto considerevoli quote di attività nella valuta britannica (Bordo 1992). La crisi della sterlina del 1967 fece capire più chiaramente come un paese con un deficit cronico di partite correnti poteva essere forzato ad aggiustare i propri equilibri con l'estero tramite una repentina quanto brutale svalutazione della valuta domestica. Il vero problema era che nel tentativo di difendere strenuamente il proprio tasso di cambio dalle mire degli speculatori, la banca centrale di un paese in deficit andava dilapidando una enorme quantità di riserve ufficiali in valuta pregiata. Alla fine della crisi dunque l'istituto centrale in questione si ritrovava comunque con una moneta svalutata e con un enorme spreco di risorse difficilmente ripristinabile in tempi brevi. Inoltre il tentativo di difesa ad oltranza del tasso di cambio era accompagnato da un rialzo dei tassi d'interesse interni da parte della banca centrale con il preciso scopo di tamponare la fuga di capitali verso l'estero. Questo rialzo dei tassi non poteva certo non avere conseguenze negative sulla crescita interna ed in definitiva sull'occupazione. 26 La sterlina passò dunque da un valore di 1£=2,8$ ad uno di 1£=2,41$. 103 III.4.2) La Germania. All'estremo opposto della Gran Bretagna si trovava sempre durante gli anni '60 la Germania Ovest. Un rapido aumento del tasso di crescita coniugato con un tasso d' inflazione relativamente basso rispetto agli altri partners commerciali permise al paese di accumulare un cospicuo surplus nei propri conti con l'estero. Il problema della Germania non risiedeva certo nella possibile fuga di capitali con conseguente deprezzamento del marco, quanto piuttosto in un eccessivo afflusso di capitali che ne facesse salire la domanda con conseguente pressioni speculative su una possibile rivalutazione. Per mantenere la parità prefissata la Bundesbank doveva acquistare sul mercato dei cambi la quantità di dollari in eccesso immettendo sul mercato il loro controvalore in marchi. Così facendo però il paese si esponeva ad un aumento indesiderato della base monetaria interna ed in ultima istanza si creavano i presupposti per un rialzo delle attese future di inflazione. Parte di questo aumento sgradito della base monetaria veniva sterilizzato dalle autorità monetarie tedesche tramite operazioni di mercato aperto di vendita di titoli di stato domestici per riassorbire parte della base monetaria. Un'altra soluzione, effettivamente molto usata, era quella di imporre severi vincoli e restrizioni sui capitali in entrata. Quando però anche i controlli sui capitali non furono più sufficienti, la Germania dovette rivalutare del 5% il marco nel 1961. Come possiamo vedere, l'aggiustamento di un paese in surplus è 104 certamente meno doloroso di quello di un paese in deficit. Dopo che la Germania rivalutò il marco, la sua posizione nei confronti con l'estero non mutò e le sue esportazioni non ne furono danneggiate in maniera sensibile (Obstfeld 2007). Aprendo una breve finestra sul presente, questa è una delle esperienze storiche che si portano all'attenzione quando si vuole incoraggiare la Cina ad allentare la sua politica di tasso fisso con il dollaro e di permettere un rivalutazione della sua moneta senza per ciò danneggiare le proprie esportazioni (Obstfeld 2007). Le autorità tedesche attribuivano la maggior parte dei problemi del sistema monetario internazionale all' inflazione che i paesi erano costretti ed “importare” dall'esterno, in particolar modo dagli Stati Uniti. Questo problema è strettamente legato a quello dell'aggiustamento (o per meglio dire, del mancato aggiustamento) del paese emittente la valuta di riserva. III.4.3) L'asimmetria dell'aggiustamento degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti cominciarono a presentare un deficit nella bilancia dei pagamenti a partire dal 1958 che si protrasse, tranne che nel 1968-1969, fino alla fine del sistema a cambi fissi (Bordo figura 18 per il 1958 e 1959, tabella n 3 in appendice). Sempre dalla figura in questione si evince come però il paese presentasse contemporaneamente un surplus di partite correnti mantenuto praticamente per tutto il periodo. Il deficit di bilancia dei pagamenti era dunque causato da un deflusso di capitali verso l'estero non compensato a sufficienza dalle 105 esportazioni americane. Due questioni distinte emersero connesse al deficit della bilancia dei pagamenti americana. Il primo problema era chiaramente legato al declino della fiducia che le autorità americane fossero effettivamente in grado di garantire la convertibilità dei dollari sparsi nelle banche centrali di tutto il mondo. A questo era legata la convinzione che il deficit di bilancia dei pagamenti statunitense non poteva essere riassorbito senza che nel sistema si generasse un crisi di liquidità. Da tutto ciò scaturivano le perplessità dei paesi europei, in particolare di Francia e Germania. Come paese emittente di valuta di riserva gli Stati Uniti erano esonerati dall'aggiustare la propria economia in funzione degli squilibri con l'estero. Era prassi per la Federal Reserve sterilizzare i flussi di capitali in uscita con l'immissione di nuova liquidità nel sistema impedendo ai tassi americani di alzarsi, all'economia di contrarsi ed in ultimo al deficit di riassorbirsi. La domanda internazionale di dollari, essendo la valuta di riserva, non diminuiva mai e ciò permetteva agli Stati Uniti di scaricare il fardello dell'aggiustamento, tramite “esportazione” di inflazione, sui paesi in surplus. Una politica di disavanzo eccessivo sarebbe stata punita dagli speculatori con una fuga di capitali dal paese ed in ultima istanza da una svalutazione come nel caso precedentemente analizzato della Gran Bretagna. Il fatto di emettere valuta accettata internazionalmente metteva gli Stati Uniti al riparo da questa eventualità. 106 Molti economisti sostengono che il deficit di bilancia dei pagamenti americano non sia mai stato un problema e che esso non lo sia in realtà nemmeno oggi (Bernanke 2005). Il resto del mondo infatti volutamente vuole detenere dollari e finanziare il deficit americano perché trova nel mercato di capitali americano caratteristiche non riscontrabili da nessuna altra parte. In questo contesto gli Stati Uniti erano considerati durante gli anni '60 il “banchiere del mondo” (Despres, Kindleberger e Salant 1966), capaci di attirare capitali a breve termine da ogni parte del mondo e reinvestire, sia all'interno che all'estero, a scadenze più lunghe. Come ogni buon intermediario bancario gli Stati Uniti lucravano sulla differenza tra il costo di indebitarsi a breve termine sull'estero, un costo esiguo visto la costante ed elevata domanda di attività in dollari, e il ritorno sui propri investimenti a lunga scadenza. Questa politica di disinteresse nei confronti del deficit con l'estero viene definita di “benign neglect” in quanto la mancanza di attenzione da parte delle amministrazioni americane nei confronti del proprio deficit permetteva ai restanti paesi del mondo di ottenere la liquidità necessaria per finanziare le propria crescita economica. III.4.4) I problemi della liquidità e della fiducia. Gli altri due problemi, quello della liquidità e quello della fiducia, sono in ogni caso strettamente legati al problema del mancato aggiustamento da parte degli Stati Uniti. 107 Triffin (Triffin 1960) sosteneva che la mancanza di liquidità che cominciò a manifestarsi ad inizio degli anni '60 era strettamente legata all'inadeguatezza della quantità di riserve auree presenti nel sistema. Vincolare l'offerta di moneta all'offerta di un bene, l'oro, che per sua natura tende ad essere abbastanza rigida significava creare un sistema in cui la carenza di liquidità era endemica. Come abbiamo detto il “benign neglect” degli Stati Uniti permise dunque di far fronte a questa carenza di liquidità. Questo comportamento simultaneamente però andava ad erodere il rapporto tra le passività emesse in dollari e le quantità di riserve auree detenute dagli Stati Uniti. Più questi ultimi fornivano la liquidità necessaria al funzionamento del sistema più essi diminuivano la propria capacità di convertire i dollari in circolazione in oro come prevedevano gli accordi originali di Bretton Woods. E' il cosidetto “paradosso di Triffin” (Triffin 1960). III.5) I primi segnali della crisi. Segnali di possibili avvisaglie di crisi divennero sempre più frequenti nel corso della seconda metà degli anni '60. Nell'Ottobre del 1960 la speculazione spinse il prezzo dell'oro presso il mercato di Londra sopra i 40$ l'oncia contro un cambio ufficiale da parte del tesoro americano di circa 35$ per oncia (Bordo 1992). Immediatamente si temette una corsa alla conversione dei dollari in circolazione in oro ed ad una repentina diminuzione di delle riserve auree americane. Rapidi 108 provvedimenti furono presi da parte delle banche centrali dei maggiori paesi per stabilizzare il prezzo dell'oro intorno alla parità ufficialmente dichiarata. Il cosiddetto gold pool, che si formò ufficialmente nel novembre del 1961, riuscì a stabilizzare il prezzo dell'oro sul mercato ma non riuscì ovviamente a tamponare il declino delle riserve auree americane rapportate alle loro passività fintanto che gli Stati Uniti continuavano a presentare deficit di bilancia dei pagamenti. Al di là dell'esempio di positiva collaborazione offerto dal gold pool, gli anni '60 furono caratterizzati da due forze che andarono a minare il legame tra l'oro ed il dollaro. La prima fu la crescente scarsità del metallo pregiato, la seconda, l'inizio di un periodo di crescita inflativa negli Stati Uniti (Bordo 1992). La produzione di oro si andò a stabilizzare ad inizio degli anni '60 ed iniziò a declinare nel 1966 (vedi Bordo 1992 figura 21). Contemporaneamente la domanda privata di oro iniziò ad aumentare (Bordo figure 22 e 27) tanto che il gold pool diventò un venditore netto di riserve auree nel 1966 per prevenirne un aumento di prezzo. Sempre in quegli anni l' amministrazione democratica del presidente Johnson diede inizio ad una politica economica definita di “guns and butter” che consisteva in un aumento della spesa sia per quanto concerneva la sfera sociale sia per quello che riguardava l'impegno americano in Vietnam (1962-1975). Il conseguente aumento della base monetaria portò ad un aumento dell'inflazione 109 (Bordo 1992, figura 1 e 28) e ad un ulteriore peggioramento della bilancia dei pagamenti e, novità della seconda metà degli anni '60, anche il conto corrente andò in disavanzo nel 1964. Nello scenario appena descritto non vi è alcun meccanismo che costringa il paese leader del sistema, in questo caso gli Stati Uniti, a portare avanti una politico monetaria quanto più stabile possibile. Questo fatto, a partire dalla seconda metà degli anni '60, creò dei pesanti malumori tra i paesi europei che mal sopportavano di doversi accollare il peso dell'aggiustamento americano sotto forma di inflazione importata. Tra i critici più accaniti verso la politica americana di “benign neglect” vi era il presidente francese Charles De Gaulle che più volte minacciò di convertire in oro i dollari detenuti a riserva dalla Banque de France. III.6) Il collasso del sistema di Bretton Woods. A partire dal 1968 la pressione per un aggiustamento delle parità dei tassi di cambio divenne insostenibile e ci furono numerosi e significativi riallineamenti delle parità. Come abbiamo già detto, la Gran Bretagna svalutò la sterlina nel 1967. Di lì a poco anche la Francia seguì quella strada svalutando il franco di oltre l' 11% nell' Agosto del 1969, seguita dalla Germania che nel mese di Settembre dello stesso anno rivalutò il marco tedesco del 9%. Contemporaneamente ( vedi tabella 3 in appendice) l' avanzo di conto corrente degli Stati Uniti iniziò a 110 deteriorarsi a partire dal 1968. Da questo momento le fuoriuscite di capitali dagli Stati Uniti verso i paesi in surplus, specialmente la Germania, cominciarono a divenire ogni giorno più consistenti. La base monetaria tedesca crebbe dal 6% al 12% nel 1971 ed il tasso d' inflazione passò dal 1,8% al 5,3% nello stesso anno (Melzer, 1991, pag 73). Non potendo più tollerare tassi d'inflazione così elevati la Germania decise di ricorrere all' extrema ratio e di sospendere dunque le operazioni sul mercato monetario e di lasciare dunque fluttuare liberamente il marco tedesco. Simili provvedimenti furono presi dai governi di Austria, Belgio, Paesi Bassi e Svizzera (Solomon 1971 pag 179) Nel 1971 per la prima volta (vedi tabella 3) il conto corrente degli Stati Uniti virò verso il deficit (dopo che già dal 1958 la bilancia dei pagamenti era in disavanzo) e da più parti si iniziò a ipotizzare una possibile svalutazione del dollaro nei confronti dell'oro. Sotto la minaccia francese e britannica di convertire tutte le riserve in dollari in oro, il 15 Agosto del 1971 il presidente americano Richard Nixon annunciò di “to suspend temporarily the convertibility of the dollar into gold or other reserve assets...”27 accompagnando il tutto con un blocco di novanta giorni dei salari, una tassa del 10% sulle importazioni e una tassa del 10% sul credito per investimenti. 19 mesi più tardi, nel Gennaio 1973, sparirono anche le parità aggiustabili tra le 27 “di sospendere temporaneamente la conversione del dollaro in oro o in altre attività di riserva...” 111 varie valute ed il sistema di Bretton Woods ebbe ufficialmente termine. III.7) La dominanza del dollaro: un' analisi empirica di cointegrazione (19601971). Credo che ci siano ben pochi dubbi che il dollaro sia stata la valuta più usata e trattata tra gli anni 1960 e 1971, grossomodo quelli della piena convertibilità del sistema di Bretton Woods. La tabella 15 mostra come il suo ruolo come valuta usata come riserva ufficiale sia progressivamente aumentato negli anni a partire dalla metà degli anni '60. Nel 1965 le riserve in dollari rappresentavano il 56,1% del totale. Alla fine del sistema di Bretton Woods la quota era salita al 64,5% e dopo altri cinque anni al 79,2% del totale. Queste cifre sembrano non lasciare adito ad alcun dubbio sui rapporti di forza tra le valute mondiali durante gli anni '60 e '70. Un altro dato che emerge abbastanza chiaramente è l'abbandono della sterlina come valuta di riserva dopo la svalutazione del 1967 passando da una quota mondiale del 20% nel 1965 ad un misero 4,02% nel 1973. Se si fa un confronto storico si nota immediatamente come il dollaro nel 1965 avesse una posizione di dominanza maggiore rispetto a quella che aveva la sterlina nel 1913 (vedi tabella 15). Anche osservando le statistiche descrittive dei tassi di interesse decennali (vedi tabella 17) di cinque paesi che possiamo definire il centro del sistema, possiamo 112 notare come gli Stati Uniti abbiano di gran lunga i tassi più bassi dell'intero periodo di riferimento confermando uno dei fattori caratterizzanti la dominanza di una valuta. Fatta questa premessa proveremo ora a stabilire la dominanza del dollaro sfruttando un'analisi econometrica di cointegrazione di cui abbiamo parlato in precedenza nel capitolo II. III.7.1) La cointegrazione dei tassi decennali nominali. Proveremo per prima cosa a vedere se vi sono delle relazioni di cointegrazione bilaterali tra i tassi d' interesse nominali decennali tra gli Stati Uniti e Canada, Francia, Gran Bretagna e Germania. La scelta dei tassi decennali è dovuta sia per scelta obbligata, in quanto non sono disponibili dati per tassi d'interesse a minor scadenza per il periodo antecedente al 1966 per tutti i paesi, sia perché il tasso decennale rappresenta il tasso di riferimento quando si vuole analizzare il rischio di insolvenza di un paese28. Se, come abbiamo visto nel capitolo II, una delle determinanti che influisce sulla scelta della valuta di riserva internazionale è la relativa sicurezza e stabilità di tale paese. Il tasso decennale, sia nominale che reale, sembra dunque un buon riferimento per tale analisi. Il primo passo, dopo aver verificato la presenza di una radice unitaria (vedi 28 Solitamente un indicatore di rischio molto semplice e molto usato è quello dello spread tra i tassi decennali di un paese considerato sicuro e quello di un paese considerato invece a rischio. Maggiore è la differenza maggiore è il rischio di insolvenza attribuito a tale paese. 113 tabella n 4) e la seguente scelta del numero dei ritardi del VAR da inserire sulla medesima scia di quanto fatto per l'analisi dei tassi nel gold standard, è quello di verificare l'effettiva presenza di relazioni di cointegrazione tra i suddetti tassi. I risultati dei test di Johansen sono riportati nelle tabelle 5,6 e 7 in appendice. Per quanto riguarda i tassi nominali il test di cointegrazione di Johnasen (per il caso di costante non vincolata) suggerisce la presenza di relazioni di cointegrazione tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna (livello di significatività del 5%), il Canada (livello di significatività del 5%) , la Francia (livello di significatività del 10%) mentre non si riscontra nessuna relazione di cointegrazione significativa con i tassi d'interesse tedeschi. I test di cointegrazione nel caso di costante vincolata non modificano i risultati raggiunti anche se i livelli di significatività peggiorano lievemente. Continueremo ora analizzando i risultati per il caso di costante non vincolata anche se in appendice saranno riportati i risultati per tutta la casistica. Nella tabella 7 in appendice sono riportati i risultati delle stime prodotte per il modello a correzione d'errore tra Stati Uniti e Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna e Stati Uniti e Canada. Quello che a noi interessa è verificare se i tassi statunitensi possono essere considerati una forza esogena al sistema ovvero se possono influenzare tramite un relazione di lungo periodo i tassi dell'altro paese senza venirne a loro volta 114 condizionati. Questo test, anche chiamato di esogeneità debole, e che prevede di porre il coefficiente di lungo periodo legato agli Stati Uniti come nullo, permette appunto di verificare questo scenario. Come riportato nel capitolo II questo test viene eseguito mediante un test di rapporto delle verosimiglianze tra il modello libero e quello vincolato. Se la differenza tra i valori delle due verosimiglianze non è troppo marcata allora il modello vincolato è accettabile in luogo di quello libero. Dai risultati emerge che pur vincolando il coefficiente della matrice dei pesi collegato agli Stati Uniti ad essere nullo, questo però non porta all'accettazione del modello vincolato essendo il valore del test di rapporto di verosimiglianza troppo elevato. C'è da dire inoltre che i test di autocorrelazione e di eteroschedasticità mostrano una significativa presenza di quest'ultima. In un'analisi di serie storiche essa può stare ad indicare che il modello non è correttamente specificato e che vi sia un'abbondante quantità di informazione non spiegata nel modello. III.7.2) La cointegrazione dei tassi reali con inflazione attesa futura. Riproveremo adesso inserendo nel modello a correzione di errore l' inflazione attesa futura in modo da costruire dei tassi d'interesse reali ex ante. Un'analisi di quelli ex post sarebbe infatti poco significativa. I mercati infatti fanno le loro scelte sulle previsioni di inflazione e non sui valori passati. 115 I nostri tassi reali saranno costruiti sommando a quelli decennali la media del tasso d'inflazione dei dodici mesi seguenti a quelli del mese di partenza. Si può ovviamente anche operare una ulteriore distinzione nel caso si voglia considerare valida oppure no l'equazione di Fisher che definisce i tassi reali come ṙ = i̇ − ̇ dove ṙ nominali e rappresenta la variazione dei tassi reali, ̇ i̇ la variazione dei tassi la variazione del tasso di inflazione futura attesa. In caso di assunzione di validità della relazione di Fisher il coefficiente legato all'inflazione è da considerarsi unitario. In alternativa tale coefficiente sarà diverso dall'unità. In appendice i risultati di entrambe le possibilità. Per quanto riguarda i tassi d'interesse reali che implicano la validità dell'equazione di Fisher possiamo vedere come non vi sia traccia di significative relazioni di cointegrazione (Tabella 6). Almeno una relazione di cointegrazione risulta essere presente per tutti i paesi nel caso di tassi d'interesse reali in cui non viene assunta valida l'equazione di Fisher (Tabella 7). Anche in questo caso però i vincoli imposti per testare l'esogeneità dei tassi americani vengono sistematicamente rifiutati per tutti i paesi. Inoltre il test LM-ARCH segnala la presenza di eteroschedasticità in varie equazioni del sistema VECM. 116 III.7.4) L'analisi di Granger- causalità in un VAR cointegrato Un approccio leggermente diverso può essere seguito, cercando di implementare un test di Granger-causalità in un VAR cointegrato (Dolado e Lutkepohl 1996). Utilizzando sempre le stesse serie storiche dei tassi nominali decennali tra il 1960 ed il 1961, è possibile eseguire un test di cointegrazione, questa volta multivariato, e successivamente eseguire il test di Granger- causalità di cui sopra accennato. Come riportato nella tabella 3 in appendice le serie storiche dei tassi sono chiaramente non stazionarie e quindi adatte per un eventuale test di cointegrazione. Le tabelle 10A e 10B mostrano come i tassi d'interesse decennali mostrino una elevata significatività (1%) nell' aiutare ad esplicare eventuali movimenti dei corrispettivi tassi negli altri paesi. Al contrario, i restanti paesi mostrano una minore significatività ( Gran Bretagna livello di significatività pari al 5% ) o una capacità davvero limitata nell'esplicare eventuali movimenti nei tassi degli altri paesi (Germania, Francia e Canada). Da questa analisi sembrerebbe invece confermata l'idea degli Stati Uniti centro del sistema monetario, ipotesi peraltro mai messa in discussione. C'è da aggiungere come i risultati di questo test di Granger-causalità in un VAR cointegrato sia soggetto a numerose critiche in quanto i risultati dei test ad esso connesso risultano essere poco potenti29. Le stime prodotte debbono essere dunque 29 Ricordiamo che per potenza del test si intende la capacità di accettare l'ipotesi alternativa essendo questa effettivamente vera. 117 prese con una certa cautela. IV.7.3) Conclusioni dell'analisi econometrica di cointegrazione. Contrariamente alle previsioni, per il periodo che va dagli inizi degli anni '60 al 1971, l'analisi econometrica di cointegrazione sembra non supportare l'ipotesi che i tassi d'interesse americani possano essere considerati come una forza esogena al sistema in grado dunque di indirizzare i tassi d'interesse degli altri paesi e di non esserne a loro volta influenzati. I vari vincoli imposti sui modelli presentati vengono infatti rifiutati sistematicamente dai test di rapporto delle verosimiglianze che bocciano dunque l'ipotesi di esogeneità debole da parte dei tassi statunitensi. Inoltre la presenza dell' eteroschedasticità in un campione di serie storiche suggerisce che il modello potrebbe non essere correttamente specificato suggerendo una bassa capacità del modello di spiegare i movimenti dei tassi d'interesse. Sembra chiaro che i tassi d'interesse decennali si muovano per altri motivi che non sono strettamente legati all'andamento dei tassi esteri o dei tassi d'inflazione di altri paesi. Probabilmente vi sono altre variabili macroeconomiche, come ad esempio la condizione dei conti con l'estero, in grado di spiegare più adeguatamente l'andamento dei tassi decennali. D'altro canto bisogna sottolineare come l'inserimento di codeste variabili implicherebbe un passaggio dai tassi d'interesse mensili a quelli trimestrali 118 operazione altrettanto discutibile. Infatti, la media mensile di un tasso d'interesse è già una semplificazione molto forte di una variabile che muta praticamente istantaneamente con le quotazioni sui mercati. Come abbiamo visto nel capitolo della letteratura sull'argomento, molti preferiscono mantenere la cadenza mensile che aumentare l'informazione presente diminuendo la frequenza delle osservazioni. Detto questo non si deve certo cadere nella tentazione di escludere la dominanza del dollaro del periodo di pieno funzionamento del sistema di Bretton Woods. Le cifre riportate nella tabella 15 non sembrano certo mostrare alcuna possibilità di fraintendimento. Semplicemente, un approccio di tipo econometrico non è il più adatto a supportare l'evidenza empirica di dominanza del dollaro. Alla luce dell'ambiguità dei risultati raggiunti da altri lavori non dissimili in questo campo non si deve certo rimanere sorpresi di tale conclusione non positiva. III.8) Conclusioni. Il sistema di Bretton Woods collassò principalmente per tre ragioni (Bordo 1992). Per prima cosa, due crepe piuttosto evidenti minacciavano il sistema dall'interno. La prima è che il paese leader si andava esponendo inevitabilmente ad una crisi di convertibilità dovendo esso fornire al mondo la liquidità necessaria, tramite i propri deficit di bilancia dei pagamenti, da permettere al sistema di funzionare ed 119 al tempo stesso far si che non sorgessero dubbi sulla sua effettiva capacità di convertire i dollari in circolazione in oro (Triffin 1960). Il secondo difetto endemico era da ricercarsi nel fatto che il sistema si era evoluto da uno in cui le parità erano aggiustabili ad un altro in cui i tassi di cambio era di fatto fissi senza prevedere alcun tipo di aggiustamento ufficiale tra i paesi in surplus e quelli in deficit. La seconda ragione che viene spesso evidenziata è quella di come la politica monetaria statunitense, a partire dalla seconda metà degli anni '60, sia stata inappropriata per il ruolo di valuta cardine attribuita al dollaro. L'aumento della spesa pubblica portò ad una politica inflazionistica che portò rapidamente il sistema al collasso. I paesi in surplus, Germania in primis, erano riluttanti ad accumulare ingenti riserve di dollari e a rivalutare la propria moneta penalizzando così le proprie esportazioni 120 121 CAPITOLO IV DALLA FINE DEL SISTEMA DI BRETTON WOODS AL “PACIFIC DOLLAR STANDARD” IV.1) Il sistema monetario dopo la fine degli accordi di Bretton Woods. All'indomani della fine del sistema di Bretton Woods il mondo si ritrovò in uno scenario del tutto inedito con l'adozione di un sistema di cambi flessibili. Le oscillazioni dei tassi di cambio divennero dunque determinate dai mercati e sempre meno dall'intervento delle banche centrali anche se quest' ultime mantennero ancora un notevole potere di intervento per molti degli anni a seguire. I cambi fissi vennero progressivamente abbandonati in quanto si cominciò a capire che molte delle crisi valutarie che accaddero tra gli anni '70 e '80, specialmente in America Latina, erano da attribuirsi principalmente ad attacchi speculativi contro valute che non erano più in linea con i fondamentali dell'economia causando gravi perdite di ricchezza ai paesi colpiti. Una significativa eccezione fu quella dell'istituzione del sistema monetario europeo meglio conosciuto come SME. Questo sistema prevedeva che le valute europee dovessero oscillare intorno ad una parità prefissata rispetto alle altre valute e che le autorità centrali fossero in grado di intervenire sul mercato per mantenere queste parità. Ovviamente non vi erano interventi sul mercato dei cambi nei confronti di valute extra SME. 122 Tolto il caso fortunato dello SME che, tra alti e bassi, alla fine degli anni '90 ha portato alla alla creazione della nuova valuta europea, l' euro, i restanti tentativi di sistemi monetari a cambi fissi hanno riguardato paesi di secondaria importanza o si sono conclusi in maniera disastrosa e deleteria per chi li ha adottati (vedi il caso eclatante del currency board argentino). Unica, ma significativa eccezione, tra i sistemi a cambi fissi attualmente in vigore è quello che vige tra il dollaro americano ed il renmimbi cinese che andremo di seguito ad analizzare. IV.2) Il sistema monetario odierno: il Pacific dollar standard. Le autorità del paese asiatico mantengono fisso il cambio renmimbi/dollaro americano a quota 7 renmimbi per un dollaro. Questo intervento della banca centrale cinese, la People's Bank of China, ha de facto prodotto quella che Dooley, Folkerts-Landau e Garber (2003) hanno recentemente definito la “Bretton Wood II”, concetto poi ripreso successivamente in alcuni influenti paper da Nouriel Roubini (2004 e 2005) e che noi chiameremo Pacific dollar standard in virtù del fatto che l'asse centro (Stati Uniti) /nuova periferia (Cina) si affaccia sull' Oceano Pacifico (vedi figura 6). Seguendo la tradizionale relazione che sussiste in un’ economia aperta, il surplus/deficit di partite correnti che presenta un paese è equivalente alla differenza che c’è tra il risparmio nazionale, sia pubblico che privato, e gli 123 investimenti. Se il risparmio nazionale eccede gli investimenti il paese in questione si troverà in una situazione di surplus di partite correnti, viceversa un risparmio nazionale inferiore alla quota degli investimenti provocherà un disavanzo di partite correnti e la necessità per il paese di finanziare questo eccesso di investimenti andando a prelevare risparmio e capitali dall’estero. Nel caso di un sistema monetario a cambi fissi, il surplus/deficit di partite correnti si tramuta in un accumulo/decrescita di riserve ufficiali. In formule potremmo dunque sintetizzare così: S tp Deficit t − I t = Cat = Rut dove S tp rappresenta il risparmio privato, bilancio dello stato, corrente e I t gli investimenti, Deficit t rappresenta il deficit nel Ca t rappresenta il saldo di conto Rut le riserve ufficiali. Come abbiamo visto nel sistema classico di Bretton Woods gli Stati Uniti finanziavano il proprio deficit della bilancia dei pagamenti attirando risorse dalla periferia del sistema, che negli anni '60 era rappresentata principalmente dai paesi europei, Germania Ovest in primis e dal Giappone, la quale presentava un cronico surplus della bilancia dei pagamenti e con la quale gli Stati Uniti mantenevano un cambio fisso ad una parità prestabilita. Il sistema monetario attuale si basa invece essenzialmente su cambi flessibili 124 tra gli Stati Uniti ed i paesi che corrispondono a quelli della vecchia periferia, i quali di fatto non partecipano in alcun modo al finanziamento esterno degli Stati Uniti. Al contrario i paesi asiatici, quelli che appartengono a ciò che abbiamo definito la “nuova periferia”, hanno deciso di adottare un tasso di cambio fisso con il dollaro americano in alcuni casi de iure come la Cina, in altri de facto come nel caso del Giappone30 , riproponendo sostanzialmente il medesimo schema di funzionamento del sistema di Bretton Woods ovvero con il centro del sistema, gli Stati Uniti, in deficit nei confronti del mondo, e con i paesi asiatici nel ruolo di finanziatori di questo deficit. Le politiche di cambio fisso dei paesi asiatici permettono dunque agli Stati Uniti di avere un vincolo esterno morbido. Inoltre, il fatto che il dollaro sia ancora la valuta di riferimento internazionale fa sì che i paesi asiatici fino ad ora si siano dimostrati desiderosi di accumulare questa ingente quantità di dollari nelle casseforti delle proprie banche centrali. Analizzeremo ora più in dettaglio le caratteristiche ed i problemi che incombono sui paesi che de facto aderiscono a questo sistema a cambi fissi, focalizzandoci principalmente sugli Stati Uniti e la Cina e in maniera più defilata anche sull'Europa. IV.2.1) Gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti sono in una posizione di crescente deficit di conto corrente 30 Il Giappone faceva parte , come abbiamo visto, anche dei paesi finanziatori degli Stati Uniti nel sistema di Bretton Woods. Può essere considerato dunque “vecchia periferia”. 125 all’incirca dall’inizio degli anni ’9031 e la situazione fino ad oggi non ha fatto che deteriorarsi (Vedi per maggiori dettagli la figura 2 e la tabella 11 in appendice). Agli inizi dell'era del presidente democratico Clinton si è assistito ad un significativo aumento degli investimenti privati i quali sono passati da circa il 16% rispetto al prodotto interno lordo ad un valore che nell'anno 2000 ha sfiorato quasi il 20% (vedi tabella 5.2.1). Mentre gli investimenti privati aumentavano la quota di risparmio privato sul PIL è rimasta pressoché invariata. Per le usuali relazioni che sussistono in una economia aperta che abbiamo poc'anzi citato, questa differenza tra investimenti e risparmio privato è stata finanziata dagli Stati Uniti attirando capitali dall'estero ed incrementando il proprio deficit di conto corrente. C'è da dire che durante gli anni '90 il deficit di partite correnti è stato in una certa maniera contenuto dal fatto che il deficit della finanza pubblica americana si è mantenuto su livelli incredibilmente bassi, anzi registrando negli anni '97,98 e 99 un surplus. 31 In verità, tranne un lieve surplus nel 1991, il disavanzo di partite correnti si protrae dal 1983 in poi (vedi tabella 2). 126 Tabella IV.2.1: saldo dei conti pubblici, saldo dei conti con l'estero, investimenti e risparmio, percentuale del PIL, 1992-2007. saldo di federale partite Investimenti Risparmio (% Pil correnti % (% del PIL) del PIL) del PIL -4,02% -0,80% 16,42% 15,90% -3,05% -1,28% 17,00% 16,00% -2,31% -1,73% 18,12% 16,80% -1,45% -1,55% 18,15% 16,90% -0,28% -1,61% 18,56% 17,30% 0,83% -1,71% 19,46% 18,20% 1,43% -2,47% 19,96% 18,10% 2,53% -3,27% 20,34% 17,50% 1,29% -4,27% 20,49% 16,60% -1,53% -3,82% 18,85% 15,20% -3,55% -4,41% 18,07% 14,00% -3,70% -4,79% 18,08% 13,50% -2,68% -5,49% 18,91% 13,60% -1,96% -6,09% 19,31% 13,50% -1,20% -6,16% 20,00% 15,40% -3,26% -4,89% 18,70% 14,10% Amministrazione Bush 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Amministrazione Clinton Saldo % del Fonte: World Development Indicator 2008 (WDI). E’ negli anni dell' amministrazione Clinton che si comincia ad innescare la bolla speculativa della new economy e dei titoli dotcom e il boom di investimenti di cui abbiamo poc'anzi parlato è andato a finanziare proprio il comparto delle aziende del ramo tecnologico. Con l'inizio del nuovo millennio lo scenario, economico e politico, muta rapidamente. Una nuova amministrazione repubblicana guidata dal presidente Bush viene eletta nel Novembre del 2000 e contemporaneamente scoppia la bolla 127 speculativa legata ai titoli della new economy trascinando gli Stati Uniti in una breve quanto lieve recessione. L’amministrazione Bush decide però di agire massicciamente a sostegno dell’economia tramite un congruo taglio fiscale per rilanciare i consumi interni. Contemporaneamente la Federal Reserve, allora guidata da Alan Greenspan, decide di intraprendere anch’essa una politica monetaria fortemente espansiva. Queste due mosse hanno dato il via a due tendenze: la finanza pubblica degli Stati Uniti passa nel giro di poco tempo da una situazione di sostanziale equilibrio ad una di accentuato deficit mentre il denaro a tassi così bassi ha spinto le famiglie americane a diminuire il risparmio, già storicamente molto basso rispetto a quello di altri paesi, in maniera consistente e a ricorrere sempre più al debito per finanziare l’ acquisto di beni durevoli e non. Nel frattempo avviene il tragico attentato alle torri gemelle di New York dell'11 settembre 2001. Gli interventi militari che seguirono,in Afghanistan prima ed in Iraq poi, non hanno fatto altro che peggiorare il deficit della finanza pubblica ed in ultima istanza incrementando il deficit di partite correnti che proprio ad inizio degli anni 2000 comincia ad aumentare in maniera significativa (vedi tabella IV.2.1). Gli Stati Uniti sono in una situazione che viene definita di “twin deficit” in cui ad un consistente deficit della finanza pubblica si associa un deficit nei conti con l'estero. Da una situazione in cui questi squilibri dipendevano principalmente da 128 elevati investimenti, si è passati ad una in cui ad una diminuzione di quest’ultimi, fisiologica dopo lo scoppio di una bolla, è seguita una diminuzione ancora più marcata del risparmio, sia privato che pubblico. Il deficit di conto corrente attuale è in definitiva da attribuirsi al basso livello di risparmio. La differenza non è solo numerica: un' elevata spesa per investimenti può lasciar presupporre in futuro redditi maggiori oppure un significativo aumento della produttività cosa che difficilmente accadde quando l'incremento è di spesa pubblica. Al di là dei giudizi qualitativi che si possono dare sulle variazioni del saldo di parte corrente, una cosa accomuna entrambi i tipi di deficit ovvero il loro bisogno di trovare finanziatori sul mercato dei capitali esteri per poter essere colmati. Nel caso degli Stati Uniti questo generoso finanziatore prende il nome di Repubblica Popolare Cinese. IV.2.2) La Cina Come abbiamo ricordato sopra, un deficit di conto corrente implica che il paese in questione debba rivolgersi ai mercati di capitali internazionali per poter finanziare il proprio disavanzo. Il modello economico di sviluppo adottato dalla Cina si è basato e continua ad imperniarsi tutt'oggi essenzialmente sul favorire il più possibile le esportazioni di beni a basso contenuto tecnologico di modo che il mercato del lavoro interno possa assorbire i milioni di lavoratori che ogni anno dalle campagne si riversano nelle città industrializzate in cerca di un impiego. 129 Uno degli strumenti cardine della politica economica cinese per incentivare l'export (vedi figura 6) è quello di tenere un tasso di cambio tra dollaro ed il renmimbi fisso ed ampiamente sottovalutato. Questa politica di tasso di cambio, la quale ha generato un enorme surplus di partite correnti, ha permesso alla Cina di diventare nell’arco di un ventennio un creditore netto nei confronti del mondo specialmente nei confronti degli Stati Uniti. La politica di cambio fisso renmimbi/dollaro coniugata con l'immenso surplus di partite correnti ha permesso alla Cina di accumulare un' ingente quantità di riserve valutarie in dollari, per un valore che si aggira intono agli 800 miliardi di dollari (vedi tabella IV.2.2). IV.2.3) L' Europa L' Europa sembra tagliati fuori da questo duopolio Stati Uniti-Estremo Oriente in quanto, essendo una unione monetaria la cui banca centrale non interviene sul mercato dei cambi per statuto costituente, essa risulta essere un'area in sostanziale equilibrio di conti con l'estero (vedi tabella 1) non partecipando dunque al processo di finanziamento del deficit di partite correnti americano. L' Europa più che altro risulta danneggiata dal cambio fisso renmimbi/dollaro ogni qual volta l'euro si rafforza nei confronti della valuta americana. Questo fatto corrisponde nei fatti ad un apprezzamento dell'euro sul renmimbi ed un'ulteriore perdita di competitività dell'industria manifatturiera europea nei confronti di quella cinese. Anche se per il momento vengono esclusi nella maniera più categorica 130 interventi sul mercato valutario da parte della BCE, non è impensabile che in futuro, di fronte ad ulteriori apprezzamenti indesiderati dell'euro nei confronti del dollaro, la politica monetaria della banca centrale possa mutare, intervenendo sul mercato dei cambi per frenare il rafforzamento dell'euro, ed unirsi alle banche centrali asiatiche nel finanziamento del deficit americano (Roubini 2005). IV.2.4) Il resto del mondo La Cina e l'estremo oriente non sono certo i soli paesi che finanziano il deficit estero americano. A questi paesi si devono infatti aggiungere i paesi esportatori di petrolio, in particolar modo l' Arabia Saudita, la Russia ed il Brasile (vedi tabella 1 in appendice). La quota di finanziamento, seppur non raggiungendo i livelli dei paesi asiatici, è tutt'altro che marginale, oltre i 400 miliardi di dollari. Roubini (2005) afferma che il via ad una eventuale fuga dal dollaro potrà arrivare più da questi paesi che da quelli asiatici, visto che le economie di questi paesi sarebbero meno danneggiate dall'apprezzamento delle proprie valute. Paesi come la Cina infatti potranno diversificare le proprie riserve in valuta solamente a discapito di un apprezzamento delle proprie divise nazionali danneggiando così le proprie produzioni industriali e manifatturiere a basso costo (oltre che ad esporsi a grandi perdite sulle riserve in dollari accumulate che comunque è un problema anche degli altri paesi). Gli altri paesi sono invece essenzialmente produttori di commodities (Brasile) e di prodotti petroliferi (Russia e Arabia Saudita). Essendo 131 la domanda di questi beni essenzialmente inelastica ad aumenti di prezzo è lecito pensare che questi paesi verrebbero danneggiati in maniera marginale dalla sostituzione del dollaro con un' altra valuta di riserva. IV.2.5) Il funzionamento del Pacific dollar standard. Il sistema così descritto funziona pressapoco in questa maniera: il paese in deficit, gli Stati uniti, il quale rappresenta l’ 85% del totale dei deficit mondiali (vedi tabella 1), importa beni e servizi dai paesi emergenti del sud est asiatico in particolar modo dalla Cina e paga questa afflusso di merci emettendo dollari i quali, in virtù del loro status di valuta internazionale di riserva, vengono accumulati dalle banche centrali dei paesi asiatici nelle loro riserve valutarie. Tabella IV.2.2: maggiori detentori di riserve valutarie in dollari, Aprile 2009. Paese Cina Giappone paesi dei Caraibi (a) paesi esportatori di petrolio (b) Regno Unito Russia Brasile Lussemburgo Hong Kong Riserve in miliardi $ 763,5 685,9 204,7 189,5 152,8 137 126 97,5 80,9 Fonte: Department of the Treasury/ Federal Reserve Board, Giugno 2009. www.treas.gov/tic/mfh.txt . Note: (a): I paesi dei Caraibi includono: Bahamas, Bermuda, isole Cayman, Panama e Antille olandesi, isole vergini britanniche (b): i paesi esportatori di petrolio includono: Ecuador, Venezuela, Indonesia, Barhain, Iran, Iraq, Kuwait, Oman, Qutar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Algeria, Gabon, Libia e Nigeria. 132 Le banche centrali dei paesi che, come quella Cinese, desiderano mantenere un tasso di cambio fisso con il dollaro devono essere pronte ad assorbire l’eccesso di dollari sul mercato per evitare che le proprie valute si apprezzino causando una perdita di competitività delle merci domestiche. Per far ciò, le banche centrali asiatiche debbono aumentare gli attivi esteri in bilancio ed immettere valuta nazionale nel mercato monetario aumentando così il circolante e gli aggregati monetari domestici e contemporaneamente accumulare riserve ufficiali. IV.3) I rischi insiti Pacific dollar standard. IV.3.1) Il nuovo “benign neglect”. Il dibattito oggi è più che mai aperto se il sistema del pacific dollar standard sia stabile oppure se esso sia destinato prima o poi a crollare come tutti i sistemi a cambi fissi che si sono succeduti nella storia, dal gold standard a Bretton Woods. Molti ritengono (Vedi ad esempio Bernanke 2005) che l'attuale deficit di conto corrente americano sia una risposta endogena del sistema ad un aumento esogeno del tasso di risparmio delle nuove economie emergenti non adeguatamente compensato da un equivalente aumento della spesa, sia pubblica che privata. E' il cosiddetto problema del saving glut. Secondo questo filone, gli Stati Uniti, con il loro mercato finanziario liquido e sviluppato, offrono un naturale canale di sbocco per i capitali provenienti dai paesi in via di sviluppo i quali solitamente difettano 133 di mercati finanziari adeguati per collocare una tale massa di investimenti. Questo scenario ricorda molto da vicino la politica di benign neglect che di fatto ha portato alla fine del sistema di Bretton Woods. Nella rivisitazione moderna gli Stati Uniti non si curano affatto dei propri conti con l'estero ben sapendo che questo comportamento è ben gradito dai paesi asiatici i quali possono continuare a perseguire una politica di cambio fisso con il dollaro, accumulare riserve in dollari e con le quali finanziare il deficit di partite correnti americano. Per entrare più nello specifico, anche il ruolo degli Stati Uniti è cambiato rispetto a quello che essi avevano nel sistema di Bretton Woods. Da “banchiere del mondo” , il quale semplicemente si indebitava a breve sull'estero a tassi d'interesse bassi e poi reinvestiva a scadenze più elevati e con ritorni più elevati, essi sono diventati il “venture capitalist” del mondo. Essi dunque si indebitano sempre a breve nei confronti del mondo ma poi vanno a finanziare gli investimenti esteri diretti (I.E.D) nelle nuove economie emergenti proprio come una normale banca d'affari. Analizzando la bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti (vedi tabella n. 11 in appendice) si può vedere come il flusso di IED in uscita dagli Stati Uniti in questi anni non sia mai diminuito nonostante il persistente deficit di conto corrente suggerirebbe che questi capitali dovrebbero essere impiegati per finanziarie la propria domanda interna di capitali. Chiusa la parentesi sul ruolo degli Stati Uniti, c'è da dire che il sistema fino ad 134 ora ha funzionato molto bene in quanto ha permesso ai paesi asiatici di potersi sviluppare in maniera esponenziale e a agli Stati Uniti di poter ammorbidire il proprio vincolo di bilancio esterno e finanziare una parte consistente della propria crescita tramite il ricorso al debito, sia da parte delle famiglie sia da parte dell'amministrazione statale. Ammettendo che la situazione non sia ovviamente prorogabile all'infinito, i sostenitori della tesi secondo la quale il deficit di conto corrente statunitense è una risposta endogena ad uno shock esogeno affermano che tali squilibri si riaggiusteranno automaticamente e senza traumi negli anni a venire. Tali esponenti, che potremmo definire “gli ottimisti” in virtù delle loro posizioni concilianti verso tale scenario, prevedono dunque che ad un certo punto in Cina l'inevitabile aumento dei salari porterà ad un incremento dei prezzi dei beni prodotti. Questo fatto, coniugato con le possibile pressioni inflative dovute alla grandi quantità di circolante immessa sul mercato in questi anni, farà sì che le merci cinesi diventeranno meno competitive sui mercati internazionali riducendo lentamente la posizione di surplus nei confronti dell'estero. Gli Stati Uniti diminuiranno le importazioni dalla Cina mentre la Cina aumenterà i propri consumi interni. Questi due fatti uniti riequilibreranno i conti con l'estero di entrambi i paesi senza dover passare per aggiustamenti repentini e brutali dei conti con l'estero o dei tassi di cambio. 135 IV.3.2) la posizione dei pessimisti. Una parte del mondo economico si sta però preoccupando che questo scenario non solo non sia sostenibile nel lungo periodo ma che esso possa portare ad un aggiustamento repentino in seguito al verificarsi di un non meglio precisato shock esterno. Roubini e Setser (2004 e 2005), Obstfeld e Rogoff (2006), Alessandrini e Fratianni (2008) in una serie di influenti paper hanno messo in guardia sui vari fattori di rischio insiti nel Pacific dollar standard che pongono una spada di Damocle sulla tenuta dell'intera struttura. Per quanto essi stessi ammettano che il sistema vigente abbia garantito indubbiamente un certo grado di benessere a tutti i partecipanti coinvolti, essi sottolineano che i rischi e le fragilità che stanno emergendo dovrebbero destare una preoccupazione decisamente maggiore, quanto meno tale almeno da giustificare un intervento regolatore. Paradossalmente il paese che si sta assumendo i rischi maggiori, pur essendo quello che ha tratto maggior beneficio dalla politica di cambio fisso, è la Cina. Due sono i principali problemi che le autorità cinesi si dovranno trovare ad affrontare nel prossimo futuro: l' aumento incontrollato dell'inflazione dovuto all'aumento della base monetaria in circolazione e le perdite in conto capitale che il paese potrebbe subire sulle sue riserve in dollari in caso di un pesante deprezzamento di quest'ultimo. Il primo problema è strettamente legato alla politica di cambio fisso 136 implementata dalle autorità monetarie di Pechino. Per mantenere il tasso di cambio prefissato la People's Bank of China deve essere pronta ad acquistare con operazioni di mercato aperto tutti i dollari in eccesso sul mercato per prevenirne il deprezzamento nei confronti del renmimbi. Per far ciò però l'istituto centrale cinese immette sul mercato valuta locale andando così ad aumentare la base monetaria e, secondo la teoria quantitativa della moneta, le aspettative di inflazione futura. Per contrastare questa creazione incontrollata di base monetaria le autorità centrali hanno applicato per lo più delle strategie indirette in modo da non penalizzare lo strepitoso boom economico in atto nel paese: da una parte esse hanno provveduto ad implementare operazioni di sterilizzazione della base monetaria domestica, immettendo titoli domestici sul mercato e ritirando valuta nazionale. Questa operazione non riesce però a controbilanciare totalmente la quantità di renminbi immessa in circolazione. Roubini (2005) calcola che solamente un 50% dell'incremento di base monetaria dovuta alle politiche di tasso di cambio fisso viene poi sterilizzata dalla banca centrale cinese. Contemporaneamente per prevenire questa espansione monetaria si sta agendo anche sul moltiplicatore monetario con incrementi dei tassi di sconto della banca centrale e del coefficiente di riserva obbligatoria ma anche utilizzando misure più draconiane come il massimale sugli impieghi e sul credito che le banche possono 137 concedere a propri clienti con il fine di limitare l'immissione di credito nel sistema e capillari controlli sui capitali, soprattutto in entrata. La crisi dei mutui sub-prime di fine 2008 ha di fatto ridimensionato queste operazioni anche se è di pochi giorni fa la notizia che la People's Bank of China è sul punto di riprendere politiche monetarie restrittive32 a partire dal Gennaio 2010. Il secondo problema è probabilmente il vero punto debole del sistema che lo può rendere potenzialmente instabile sotto molti punti di vista. La già ampiamente descritta politica di cambio fisso ha permesso alla Cina di accumulare sino ad ora un qualcosa come ottocento miliardi di riserve in dollari (vedi tabella IV.2.2). Questo accumulo di riserve in dollari espone la Cina a possibili ed ingenti perdite in conto capitale legate ad un possibile deprezzamento del dollaro. Obstfeld e Rogoff (2006) ipotizzano che se il deficit di conto corrente statunitense dovesse improvvisamente riassorbirsi, per una qualche causa esterna non meglio precisata, la svalutazione del dollaro nei confronti delle principali valute potrebbe aggirarsi, a seconda degli scenari, per un valore che si aggira intorno al 30%. Il dilemma a cui si trovano di fronte le autorità del paese asiatico, se continuare o meno il proprio sostegno al dollaro, è a questo punto evidente. La stabilità del dollaro dipende in definitiva dalla volontà dei cinesi di continuare a finanziare il deficit di partite correnti statunitense. Ma più il paese 32 Vedi www.milanofinanza.it del 12/01/10. 138 finanzia questo disavanzo e più il suo stock di riserve valutarie in dollari incrementa e più esso si espone ad un rischio di consistenti perdite in conto capitale nel momento in cui decidesse di fermare o comunque ridimensionare il flusso di capitali verso gli Stati Uniti. La posizione delle autorità cinesi non è dunque facile. Perseguire nella politica di cambio fisso e sottovalutato implica dei costi, sia in termini di inflazione attesa che di perdite in conto capitale, decisamente ingenti. D'altro canto l'abbandono del peg renmimbi-dollaro comporterebbe una istantanea rivalutazione della moneta cinese sui mercati e la perdita di competitività internazionale delle merci cinesi con pesanti ricadute sul tasso di occupazione interno. Obstfeld (2006) suggerisce che una graduale rivalutazione della divisa cinese avrebbe un impatto limitato sulla competitività delle sue esportazioni. L'autore fa riferimento in questo caso alle continue rivalutazioni del marco da parte della Germania Ovest nel sistema di Bretton Woods. Tali rivalutazioni non hanno infatti minato la competitività delle merci tedesche consentendo al paese di mantenere un ingente surplus di bilancia dei pagamenti anche dopo aver ripetutamente rivalutato il marco (Bordo 1992). Che la Cina prima o poi dovrà in qualche modo rivedere la sua politica di cambio fisso è sotto gli occhi di tutti. Quando ed in che misura non ci è però dato saperlo e anche sugli effetti, anche solamente di tipo psicologico, che avrà l'immissione di una tale quantità di riserve in dollari sui mercati, non 139 possiamo che fare supposizioni. Dal canto loro anche gli Stati Uniti si stanno esponendo a considerevoli rischi anche se di natura diversa da quelli della loro controparte asiatica. Il finanziamento del debito estero da parte della Cina ha permesso agli Stati Uniti di consumare ed investire per una quantità maggiore di quello che il loro basso risparmio nazionale concederebbe. Inoltre il continuo supporto all'offerta da parte degli istituti centrali asiatici ai titoli americani ha permesso di mantenere i tassi di quest'ultimi a livelli incredibilmente bassi. Tale intervento può essere considerato a tutti gli effetti come un intervento distorsivo nella corretta allocazione tra risparmio ed investimento e tra quali settori economici ripartire questi ultimi (Roubini 2005). Se i bassi tassi d'interesse intuitivamente hanno facilitato i consumi a discapito del risparmio delle famiglie americane, creando i presupposti per una corsa all'indebitamento selvaggio, più sottile è il meccanismo che si annida nella scelta di collocare gli investimenti in un settore piuttosto che in un altro. I bassi tassi d'interesse hanno certamente favorito lo sviluppo di quei settori come ad esempio quello dei settori dei beni non tradable, come ad esempio l'edilizia, a discapito dei beni commerciati internazionalmente, i cosiddetti tradable. Questo fatto, coniugato alla grande concorrenza internazionale delle merci a basso costo asiatiche, ha fatto si l'industria manifatturiera americana sia 140 stata pesantemente ridimensionata dal sistema del Pacific dollar standard (Obstfeld e Rogoff 2006). Un eventuale aggiustamento del deficit di conto corrente americano sarà tanto più facile da fronteggiare quanto l'economia americana sarà in grado di sostituire i beni importati dall'estero con quelli prodotti tra le mura domestiche. Se questa capacità come abbiamo visto negli anni è venuta meno, l'aggiustamento dovrà per forza di cose prevedere una diminuzione più marcata dei consumi interni ed un aumento molto forte del prezzo dei beni d'importazione in seguito ad un deprezzamento del dollaro. Bisogna inoltre considerare però un altro fatto che può sembrare paradossale. Quando il dollaro perde terreno nei confronti delle altre valute (vedi figura 4), oltre che far guadagnare competitività alle merci prodotte sul suolo americano, si assiste anche al miglioramento della posizione netta sull'estero (vedi tabella n. 13 A, quinta colonna da sinistra). Questo fatto curioso avviene perché lo status di valuta internazionale del dollaro permette agli Stati Uniti di emettere le passività nella propria valuta e di detenere attività sull'estero nelle valute locali. Ciò consente agli Stati Uniti di essere l'unico paese che migliora la sua posizione netta sull'estero, che comunque rimane ancora ampiamente negativa (vedi tabella n 11), quando la propria moneta si deprezza. Questo ulteriore spunto ci fa capire come gli Stati Uniti siano ben poco interessati ad una repentina riforma di un sistema monetario che tolga loro la possibilità di emettere valuta di riserva internazionale. 141 Un ulteriore elemento di preoccupazione per gli Stati Uniti può essere rappresentato dalla diminuzione della scadenza media del proprio debito (Roubini 2005 e vedi tabella 14). La maturity media è passata dai 68 mesi del 1990 ai 49 del 2008 esponendo il paese al rischio di doversi rifinanziare più spesso che in passato ed a tassi decisamente superiori. Il rischio è così sentito che nel bollettino redatto trimestralmente dal ministero del Tesoro del 4 Novembre 2009 33 viene esplicitamente menzionata l'opportunità di approntare politiche atte ad innalzare la scadenza media del debito americano. Questi dati si riferiscono però alla totalità del debito americano ma sarebbe interessante analizzare la scadenza del debito nelle mani degli investitori stranieri per vedere se le scadenze diminuiscono ancora di più. Un altro elemento di criticità del Pacific dollar standard che può toccare gli Stati Uniti è di natura più politica che economica. Infatti, nonostante i potenziali rischi a cui si sta esponendo, i circa ottocento miliardi di dollari di riserve in dollari sono una formidabile arma di ricatto che la Cina può esibire in qualsiasi momento nei confronti degli Stati Uniti. La minaccia, anche solo velata, di smettere di finanziare il deficit di conto corrente americano è uno spauracchio che obbliga l'amministrazione americana a muoversi con prudenza ogni qual volta si deve esporre su argomenti spinosi per le autorità cinesi. Dalla questione del Tibet 33 http://www.treas.gov/press/releases/tg348.htm 142 a quella di Taiwan, dalle minaccia nucleare Nord Coreana al tema dei diritti civili passando per la possibile rivalutazione del renmimbi, ogni volta la diplomazia americana deve ricordarsi dell' ingente quantità di Treasury bills nelle casse di Pechino. Un primo esempio di come l'opinione cinese a Washington cominci a pesare ed anche molto si è avuto al momento del salvataggio da parte del Tesoro americano dei due colossi erogatori di mutui Freddie Mac e Fannie Mae in cui i vari fondi sovrani cinesi avevano investito una quota considerevole 34. Una telefonata del presidente Hu Jintao deve aver ricordato gli interessi cinesi sul suolo americano dando il là ad una delle più massicce e cospicue operazioni di salvataggio del 2008. Quest'ultimo caso ci porta a parlare anche del ruolo e della preoccupazione che i cosiddetti fondi sovrani stanno suscitando negli Stati Uniti. Stanchi di investire solamente in titoli di stato, molti paesi detentori di riserve in dollari stanno creando questi fondi d'investimento (Vedi tabella IV.3.3) per diversificare la propria gamma di investimenti, puntando ad acquisire partecipazioni in società quotate, le quali possano garantire un rendimento maggiore rispetto al semplice Buono del tesoro. Il timore è che questi fondi possano entrare nei consigli di amministrazione di molte imprese considerate strategiche per gli Stati Uniti. 34 C'è chi parla di una valore dell'investimento pari al 10% del prodotto interno lordo cinese. Purtroppo questo valore proviene dal web e non da una fonte ufficiale. Altre fonti (www.chinadaily.com) parlano addirittura di 1/5 del totale delle riserve cinesi in dollari investite nelle due banche in questione. 143 Eclatante è stato il caso della sospensione da parte delle autorità americane dell'acquisizione da parte del fondo sovrano di Abu Dhabi della società che gestisce i porti sul territorio statunitense, la P&O 35, adducendo come motivazione il mantenimento della sicurezza nazionale. Evidentemente negli Stati Uniti l'idea che in settori strategici per il paese, siedano amministratori delegati che possano rispondere direttamente a Hu Jintao o a Vladimir Putin piuttosto che a logiche prettamente di mercato, desta evidentemente più di una preoccupazione. Tabella IV.3.3: lista dei primi dieci fondi sovrani per capitalizzazione, fine 2008. Paese Abu Dhabi Arabia Saudita Singapore Norvegia Kuwait Russia Russia Cina Hong Kong Singapore Nome del fondo Abhu Dhabi Investment Authority Governament Pension Fund Governament of Singapore investment corporation Governament Pension Fund kuwait Investment Authority National Social Security Fund National welfare Fund China Investment Corporation Hong Kong Monetary Authority Investment Portfolio Temasek Holding attività (miliardi di $) 875 433 330 301 265 225 93 200 173 134 Fonte:International Financial Service London (IFSL). C'è da dire che sino ad oggi nessun tracollo e nessuna fuga dal dollaro è stata messa in atto. Anzi, durante la crisi finanziaria che ha colpito gli Stati Uniti lo scorso anno, il dollaro si è rafforzato nei confronti di tutte le principali valute in particolar modo nei confronti dell'euro. Questo segnale è stato interpretato come 35 Penisula & Oriental Steam Navigation company. 144 la volontà da parte dei mercati di considerare le attività in dollari ancora come il bene rifugio per eccellenza nonostante che negli Stati Uniti fioccassero fallimenti (Lehman brothers ed i già citati Freddie Mac e Fannie Mae i casi più eclatanti) e interventi statali a sostegno degli istituti di credito in difficoltà. Il fatto che fino ad ora non sia accaduto non ci assicura certo che in futuro uno shock esterno non meglio precisato possa dare il là ad una fuga dal dollaro. Magari, come abbiamo sottolineato, non di natura economica, ma un eventuale scontro di natura geo politica tra Cina e Stati Uniti per l'egemonia nel sud est asiatico. Il merito di questi accademici, al di là delle previsioni che per lo più si sono rivelate sbagliate36, è quello di focalizzare l'attenzione sulle possibili e ingenti perdite che il disfacimento del Pacific dollar standar provocherebbe. Di fronte a tale minaccia ci sembra più indicata una politica di tipo costruttivo in grado dunque di gestire attivamente gli squilibri mondiali piuttosto che continuare a perseguire una politica di new benign neglect , la quale lascia la porta aperta ad una serie di punti interrogativi . Nel prossimo paragrafo riporteremo un'idea presentata da Alessandrini e Fratianni (2008) i quali propongono di riesumare la vecchia idea keynesiana 36 Roubini nei suoi paper (2005 e 2006) affermava che c'era una seria possibilità che il sistema di Bretton Woods 2 sarebbe potuto crollare entro il 2008. All'inizio del 2010è sotto gli occhi di tutti che ciò non sia ancora avvenuto. 145 (Keynes 1943) di cui abbiamo parlato nel capitolo 4 e di riadattarla al sistema monetario moderno. L'idea è di per sé affascinante al punto che, come abbiamo già citato nell'introduzione, anche il governatore della People's Bank of China, Zhou Xiauchuan, ha lanciato la proposta di creare una valuta sovranazionale per gestire i pagamenti internazionali. IV.4) Dal piano Keynes al New international clearing union. Il progetto keynesiano può essere tranquillamente riproposto per ristrutturare e riformare il sistema monetario odierno ovviamente aggiornandolo con le caratteristiche di quello attuale. Innanzi tutto occorre partire da dove il sistema di Bretton Woods aveva fallito ovvero nella mancanza di accordi vincolanti che regolino le azioni dei vari partecipanti al nuovo sistema internazionale. Il primo passo in direzione di una riforma convincente del sistema monetario internazionale prevederebbe un accordo tra i tre paesi che di fatto dominano la scena valutaria. Mentre appare scontata la partecipazione a questo accordo da parte della FED e della BCE altrettanto non si può dire di un eventuale sottoscrizione da parte della Cina. Molti sono gli scettici in tal senso i quali affermano che la Cina non sia ancora pronta per un ruolo così importante sul piano internazionale. Ribattiamo dicendo che è ormai tempo che tutti prendano atto che la Cina diverrà, se già non lo è, una delle 146 economie leader del prossimo futuro, e che non è più pensabile di poterla escludere da decisioni di portata planetaria. Anzi probabilmente sarebbe opportuno, come sottolineeremo in seguito, ampliare questo accordo anche ad altre economie emergenti, Russia e Brasile in testa, ed hai paesi esportatori di prodotti petroliferi. La quantità di riserve ufficiali accumulate da tali paesi è tale e tanta che qualsiasi tentativo di riformare il sistema e di stabilizzarlo senza il loro consenso e approvazione appare pura utopia. Il passo successivo da parte delle banche centrali sarebbe quello di cedere parte dei propri attivi domestici presso il conto del NICU e ricevere in cambio una quantità prestabilita della nuova moneta sovranazionale (SBM). Naturalmente per poter far ciò esse devono perseguire nel medio-lungo termine un tasso d'inflazione non dissimile (e di conseguenza anche tassi d'interesse). Analiticamente l'operazione si potrebbe riassumere nella seguente maniera. j SMB =S j / dcm qdc s j / scm q sc dove S j / i (incerto/certo), rappresenta la quantità di valuta j per una unità di valuta i q dc = Ddc , q sc = D sc ovvero che la quantità dei depositi presso il NICU è una frazione di quelli domestici. Con la sigla sc indicheremo tutti i surplus country, di cui ovviamente la Cina è ovviamente l'esponente di spicco, mentre con la sigla dc rappresenta tutti i deficit country, di cui gli Stati 147 Uniti rappresentano l'85% (vedi tabella n 1). Supponiamo ora che le poste in bilancio del NICU siano per comodità espresse in dollari. Avremo dunque Dus S $/ odcm Dodc S $ / scm Dscm =q usS $ / odcm qodc S $ / scm q sc =SMS $S . la quale rappresenta l'offerta di SBM in dollari statunitensi. La sigla odc sta a rappresentare gli other deficit country. La creazione di SBM non altera dunque la quantità di base monetaria presente nel sistema ma modifica semplicemente la composizioni degli attivi esteri delle varie banche centrali introducendo la SBM. Ad esempio la base monetaria della Federal Reserve dopo lo “swap” con il NICU diverrà Bus=1− D usRu usSMB us con Dus =SMB us dove appunto SBM us rappresenta la quantità di valuta sovranazionale ottenuta dalla Federal Reserve consegnando Dus dei suoi attivi domestici. Vediamo ora come doverebbe funzionare l' aggiustamento degli Stati Uniti tramite il NICU. Sotto il regime del NICU le banche centrali dei paesi in surplus, nel nostro caso la People's Bank of China, hanno la facoltà, secondo gli accordi stipulati, di chiedere il regolamento in SBM. La base monetaria degli Stati Uniti si 148 modificherà dunque di conseguenza Bus =1 − Dus Ru us 1− SMB us dove rappresenta il valore monetario del deficit americano nei confronti dei paesi in surplus. Questa ultima espressione ci dice che la quantità di valuta sovra nazionale detenuta dagli Stati Uniti diminuirà di un ammontare monetario pari al suo deficit di conto corrente. Come si vede la quantità di base monetaria nel sistema rimane inalterata e la posizione della clearing house internazionale perfettamente coperta. NICU S =SBM us − SBM us SBM odc SBM c SBM us SBM osc . Alla fine del processo, secondo le regole del gioco e in assenza di sterilizzazione, la base monetaria del paese in surplus si espande, quella americana si contrae ed il NICU si trova perfettamente coperto e non esposto a rischi di cambio. Il fardello dell'aggiustamento viene equamente diviso tra paesi in surplus e quelli in deficit. Assumiamo ora che 1 ovvero che la dotazione di SBM degli Stati Uniti sia inadeguata per far fronte alla richiesta della controparte in surplus. Il NICU provvederà a concedere un prestito temporaneo (OD) agli Usa dell'importo pari a 1− SBM us =ODus Solo in codesto caso avremo che la camera di compensazione altererà la sua base monetaria, ampliandola. Le poste di bilancio della Federal Reserve diverranno 149 Bus =1 − Dus Ruus OD us . Nelle poste del NICU invece avremo il temporaneo aumento esogeno di base monetaria. NICU A = Dodc D c Dosc = SBM odc SBM c SBM osc OD us = NICU P dove chiaramente i prestiti del NICU saranno offerti a tassi progressivamente svantaggiosi e con un limite di quantità stabilito in precedenza di modo che nessun paese possa indebitarsi per più di quello che le è consentito dall'accordo. Questa temporanea espansione della base monetaria internazionale deve permettere al paese di attuare le giuste politiche di rientro con elasticità. Nel lungo termine se nel sistema prevale l'inflazione sarà il paese in deficit a dover sopportare il pese dell'aggiustamento, riducendo la base monetaria ed innalzando i tassi d'interesse. Se prevale la disoccupazione dovrà essere il paese in surplus ad usare le proprie riserve per innalzare la crescita globale. 150 CONCLUSIONI Non sono state presentate le conclusioni per la parte econometrica riguardante il Pacific dollar standard a causa della scarsa significatività dei risultati ottenuti da quest'ultima. Le analisi eseguite mostrano come non vi sia una significativa presenza di cointegrazione tra i tassi d'interesse dei vari paesi nel periodo che va dal 1995 al 200837. Alla luce dei risultati deboli ottenuti per il periodo 1960- 1971, periodo in cui ricordiamo che il dollaro era la valuta cardine del sistema per statuto, la mancanza di robustezza per la cointegrazione dei tassi nel secondo lasso di tempo non deve certo stupire. Probabilmente la cointegrazione non è lo strumento più adatto per verificare la dominanza di una valuta sulle altre. Ciò non significa che non possiamo trarre nessuna conclusione interessante dal confronto con i sistemi monetari delle varie epoche. Tutti i dati raccolti suggeriscono come il gold standard classico possa essere considerato un sistema molto più decentrato se paragonato ai sistemi monetari che si sono poi susseguiti nei periodi successivi. Dalla tabella 15 emerge come la quantità di sterline detenute a riserva alla fine del 1913 rappresenti una quota decisamente inferiore di quelle contabilizzate in dollari e si può anche notare come la differenza esistente tra la sterlina con il marco tedesco ed il franco 37 Come già detto in precedenza il 1995 è l'anno in cui le autorità monetarie cinesi svalutano il renmimbi e decidono di agganciarlo al dollaro ad un tasso di 1$=7R circa dando il via a tutto il sistema monetario di cui abbiamo abbondantemente argomentato. 151 francese nel 1913 fosse decisamente inferiore rispetto a quella esistente tra il dollaro e qualsiasi altra valuta nel sistema di Bretton Woods. C'è da dire che probabilmente se fossero disponibili statistiche affidabili sulle valute detenute a riserva dagli investitori privati dell'epoca, probabilmente la posizione della sterlina ne risulterebbe decisamente rivalutata e più in linea con una visione del gold standard piramidale. Dal canto suo il dollaro, almeno per quanto riguarda le riserve detenute (sempre tabella 15), risulta essere la valuta dominante sia nel periodo di Bretton Woods, il che è in una certa qual misura prevedibile si se considera, come abbiamo detto, che il dollaro era l'unica valuta convertibile con l'oro, sia anche in seguito al crollo del regime a cambi fissi. La cosa sorprendente è che il dollaro non solo è sopravvissuto, ma per un certo periodo ha rafforzato addirittura la sua posizione : nel 1977 il dollaro rappresentava circa 80% delle riserve valutarie contro un 56% per cento del 1965. Ad oggi il dollaro rappresenta circa il 64% delle riserve delle banche centrali e risulta, quindi, essere la valuta più scambiata sul mercato dei cambi (vedi tabella I.3.1) e quella più usata per la fatturazione da parte delle aziende (Golberg e Tille tavole 1 e 2). Solo per quanto riguarda l'emissione di nuovi assets l'euro ha superato il dollaro come principale valuta ( vedi tabella I.3.2). Da quello che emerge dai dati, dunque, si può affermare che il dollaro abbia assunto il ruolo di valuta di riserva in una maniera molto più 152 accentrata rispetto alla sterlina di fine XIX secolo. Anche le statistiche descrittive dei tassi d'interesse sui titoli a lungo termine (vedi tabella 17) conferma come sia la Gran Bretagna del XIX secolo sia gli Stati Uniti durante il periodo di Bretton Woods abbiano potuto godere di tassi d'interesse a lungo termine inferiori rispetto a quelli degli altri paesi, confermando dunque uno degli elementi caratteristici della dominanza delle rispettive valute. La stessa cosa non si può dire per il periodo 1995-200838. I tassi d'interesse americani risultano essere in media più alti, seppur di poco, dei corrispettivi di Francia e Germania I test econometrici di cointegrazione per il periodo 1960-1971 non aggiungono elementi significativi al dibattito eccezion fatta per il test di Granger-causalità utilizzando un VAR cointegrato. La bassa potenza di questo tipo di analisi suggerisce di prendere con molta cautela i risultati da esso ottenuti. Il vero elemento di differenziazione che emerge tra i tre periodi in questione è però un altro. La Gran Bretagna, per tutto il lasso di tempo che la sterlina è stata la valuta di riferimento del sistema, era un paese con una enorme capacità di generare un consistente surplus di partite correnti (vedi figura n 2). Ciò le permetteva di accumulare una ingente quantità di riserve auree (vedi tabella II.4.1) anche se non al livello di Germania e, soprattutto, Francia. Nel periodo tra le due 38 La data del 1995 non è casuale ma coincide con l'inizio della politica di cambio fisso Renmimbi/dollaro di cui si è discusso ampiamente nel capitolo IV. 153 guerre mondiali la posizione sull'estero britannica iniziò a declinare (vedi tabella 2) diventando negativa nel 1931. E' in questo periodo che di fatto inizia la transizione con il dollaro che, lentamente ma inesorabilmente, si approprierà dello scettro di valuta di riserva internazionale. Gli Stati Uniti del periodo 1960-1971 risultano anch'essi un paese con un lieve surplus di partite correnti (vedi figura n 3) ma con una bilancia dei pagamenti negativa già a partire dal 1958 (Bordo 1992). Tramite questo deficit della bilancia dei pagamenti, gli Stati Uniti fornivano la liquidità necessaria al funzionamento del sistema. Così facendo però perdevano credibilità come debitore affidabile nei confronti del mondo. E' questo il già ampiamente citato paradosso di Triffin (Triffin 1960). Un solo anno di deficit di partite correnti, il 1971, fa saltare il sistema a cambi fissi. Il dollaro è sopravvissuto alla fine di Bretton Woods ma lo scenario attuale è veramente un caso unico nella storia. Il paese leader del sistema, gli Stati Uniti, è anche un debitore netto con l'estero presentando un saldo di partite correnti decisamente negativo (vedi tabella 11 e figura 3), sia in termini assoluti che rapportato al PIL, e una posizione netta sull'estero altrettanto deficitaria (figura 12). Nonostante ciò, il ruolo del dollaro negli ultimi anni non è certo uscito ridimensionato (tabella 15), e questo perché il finanziamento del debito estero statunitense (vedi figura n 6) è passato principalmente attraverso le banche centrali di alcuni paesi asiatici, dei quali senza dubbio la Cina è l'esponente più di 154 spicco. Questi hanno tra i loro obbiettivi principali quello di mantenere un tasso di cambio fisso, e nella maggior parte dei casi decisamente sottovalutato, tra le loro valute ed il dollaro americano. Emerge dunque la vera differenza tra il Pacific dollar standard e tutti i suoi predecessori: là dove i sistemi monetari in passato, sia il gold standard che Bretton Woods, erano stati concepiti per preservare la stabilità delle valute e dei prezzi e favorire dunque il più possibile i commerci internazionali, al contrario oggi ve ne è uno che, adottato unilateralmente senza alcun accordo di tipo internazionale a ratificarne la validità, è l'effetto di una politica di cambio fisso renmimbi/dollaro studiata per avvantaggiare sensibilmente le esportazioni cinesi ed in generale del Sud Est asiatico. Il sistema in questione, che pure ha servito egregiamente le finalità di quei paesi i quali hanno conosciuto uno sviluppo senza precedenti, ha però posto seri interrogativi sul futuro del sistema monetario: dalle potenziali perdite dei paesi detentori di riserve in dollari connessi ad una svalutazione del biglietto verde per riequilibrare i conti con l'estero, passando per l'incontrollato aumento della massa monetaria, il Pacific dollar standard sembra essere dunque un sistema profondamente instabile. Anche se lo scenario di una fuga precipitosa dal dollaro sembra piuttosto remoto, la portata degli eventuali aggiustamenti, suggerirebbe di adottare una 155 strategia pro attiva in grado quanto meno di garantire un graduale riassorbimento degli squilibri nei conti con l'estero attuali. Ecco perché la proposta di creare una moneta sovranazionale sull'idea del bancor keynesiano sta riscuotendo diversi favori tra gli addetti ai lavori. Essa rappresenta infatti una soluzione fattibile per evitare futuri squilibri troppo elevati nei conti con l'estero di un paese anche se questo è il leader del sistema. 156 Bibliografia Alessandrini P., Fratianni M., (2009) “Resurrecting Keynes to stabilize the international monetary system”. Open Economies Review, pag 339-358 Alessandrini P., Fratianni M., (2009) “Dominant monies, special drawning rights, and supernational monay” Open Economies Review, pag 45-67. Allen L. ,(2002) “Il sistema finanziario globale”. Editore Mondadori. Bank for International Settlement, (2007) “Triennal central bank survey:foreign exchange and derivative market activity in 2007”. Basilea, Svizzera. Bernanke B., (2005) “The global saving glut and the U.S. Current account deficit”. Discorso tenuto a Virginia association of economists, Richmond, disponibile presso www.federalreserve.gov/boarddocs/speeches/2005/200503102/default.htm, . 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I paesi in deficit si espongono infatti al rischio di subire attacchi speculative nel caso in cui il livello di deficit con l'estero raggiunga livelli insostenibili. L'idea di fondo di come strutturare il SMI si basa appunto sul presupposto che questa possibilità di indebitamento incontrollato sia preclusa a qualsiasi partecipante al sistema, anche al paese che fino a quel momento ha emesso valuta di riserva internazionale, mediante l'introduzione di una moneta sovranazionale tramite la quale regolare le transazioni tra paesi. Sempre secondo Keynes, la gestione di questa moneta sovranazionale viene portata avanti da una international clearing house (ICU) il cui compito risultava essere quello di raccogliere i depositi in oro delle varie banche centrali e a fronte di questi emettere la valuta internazionale,chiamata dallo stesso Keynes, bancor, il cui valore sarebbe stato agganciato ad un tasso fisso, ma aggiustabile, alle riserve auree depositate presso l'ICU. Altro compito della camera di compensazione sarebbe stato quello di emettere 167 dei prestiti temporanei ai paesi in difficoltà con i deficit di bilancia dei pagamenti e permettere loro di rientrare gradualmente in una situazione di equilibrio. Le poste di bilancio della i-esima banca centrale sarebbero state dunque così composte: attivi i=Bancor iRui Di =BM iOD i= passivi i dove per Rui si intendono le riserve ufficiali in valuta estera, che insieme al bancor costituisce la componente estera degli attivi di una banca centrale mentre Di corrisponde appunto agli attivi domestici. Dal lato delle passività, corrisponde alla base monetaria emessa e ODi BM i rappresenta i prestiti ottenuti dal' ICU e che permettono di espandere temporaneamente la base monetaria del sistema. La quantità di bancor detenuta da un istituto centrale corrispondeva alla quantità di oro detenuto inizialmente presso la camera di compensazione. Nel sistema di Bretton Woods un paese in deficit (surplus) era obbligato a stabilizzare il proprio tasso di cambio rispetto al dollaro diminuendo (aumentando) le proprie riserve ufficiali nella valuta americana o in generale nella valuta eletta ancora del sistema. Nel sistema pensato da Keynes il paese, sia che sia in deficit o in surplus, poteva esercitare il diritto di regolare le proprie transazioni diminuendo o aumentando la propria posizione in bancor presso l' ICU. Il paese in deficit 168 avrebbe visto un aumento delle proprie passività in bancor o una diminuzione dei propri attivi in quella valuta mentre il paese in surplus un aumento delle proprie attività o una diminuzione delle proprie passività sempre presso l' ICU. La caratteristica principale di questo sistema è che avrebbe agito simmetricamente tra i paesi in surplus e quelli in deficit, anche nei confronti del paese emittente la valuta di riserva internazionale. Un esempio in tal senso può essere chiarificatore: mettiamo caso che la Germania abbia un surplus commerciale nei confronti degli Stati uniti. Nel sistema di BW questo avrebbe comportato un regolamento di questo surplus da parte degli Usa usando dollari (la valuta internazionale del sistema) ed ad un accumulo da parte della Bundesbank di riserve ufficiali in dollari. La Germania non aveva nessun' altra alternativa valida a quella di accettare i dollari americani ancor quando le politiche economiche americane non fossero state coerenti con la salvaguardia del valore del dollaro. Nel sistema architettato da Keynes l'alternativa consisteva nell'uso del bancor. La Germania avrebbe potuto richiedere un pagamento in bancor agli Usa, con conseguente miglioramento della posizione tedesca presso l' ICU, seguito da un incremento della base monetaria mentre la posizione statunitense sarebbe peggiorata con conseguente diminuzione del circolante ed aumento dei propri tassi d'interesse. In tale sistema, gli Usa sono vincolati esternamente alla loro 169 posizione in bancor senza poter abusare della loro posizione dominante. In questo scenario paesi in deficit e paesi in surplus condividevano lo stesso peso dell'aggiustamento. Naturalmente operazioni di sterilizzazione non potevano essere consentite. Keynes non era però contrario all'utilizzo di processi di sterilizzazione purchè operassero nel breve periodo. Secondo Keynes gli obbiettivi macroeconomici interni, inflazione e disoccupazione, non dovevano mai essere subordinati a quelli esterni, come ad esempio il mantenimento del tasso di un cambio fisso. Nel lungo periodo l'aggiustamento doveva avvenire con modalità diverse a secondo che il problema fosse l'inflazione oppure la disoccupazione. In caso di prevalenza mondiale della prima, il peso dell'aggiustamento doveva cadere sui paesi in deficit, i quali avrebbero dovuto diminuire la domanda interna e di conseguenza i prezzi mondiali. Nel caso in cui a prevalere fosse stata la disoccupazione sarebbero stati i paesi in surplus a dover supportare la domanda mondiale tramite una maggiore spesa. La partecipazioni dei paesi creditori all'aggiustamento è la più grande sfida del piano keynesiano. Secondo l'economista inglese bisognava convincere questi ultimi ad accettare bancor nel breve periodo ma non accumularli nel lungo. Come si è dimostrato negli anni un meccanismo che si basa solamente sulle “regole del gioco” non può essere un valido pilastro su cui regolare le scelte valutarie future. 170 Appendice al capitolo IV: traccia di un possibile modello dinamico per il Pacific dollar standard. Qui di seguito daremo una traccia di un possibile modello dinamico (Obstfeld e Rogoff 1996) in grado di sintetizzare matematicamente le possibile relazioni del Pacific dollar standard. Come abbiamo detto in precedenza, la politica economica cinese è stata tutta indirizzata in questi anni nel cercare di favorire il più possibile le esportazioni nel tentativo di garantire un tasso di occupazione il più elevato possibile. Lo strumento cardine di questa politica è stato il mantenere un tasso di cambio fisso e ampiamente sottovalutato con il dollaro statunitense. In termini formali la Cina cerca di massimizzare una funzione obbiettivo ∞ max V = ∫ e−rt U [Cat , Rut ]dt t =0 con U / Ca 0 U / Ru 0 dove Ca t rappresenta il saldo delle partite correnti e la nostra variabile di controllo mentre Ru t rappresenta lo stock di riserve ufficiali accumulate e la nostra variabile di stato e e −rt il fattore di sconto intertemporale. All'aumentare dell'attivo delle partite correnti aumenterà anche la funzione di 171 utilità della Cina, mentre l'incremento dello stock di riserve ufficiali provocherà, in virtù delle politiche monetarie da effettuare in presenza di un cambio fisso, un aumento della base monetaria in circolazione e delle conseguenti aspettative di inflazione attesa ed inoltre acuisce la possibilità di maggiori perdite future in conto capitale. La funzione di utilità sarà dunque correlata in maniera negativa nei confronti dell'aumento dello stock di riserve ufficiali. Chiaramente le partite correnti cinesi dipenderanno positivamente dal tasso di cambio: in caso di deprezzamento della valuta cinese ( ex t R /$ ), le merci di questo paese saranno più competitive, le partite correnti miglioreranno ( Ca t ) e con essa la relativa funzione di utilità. Ca t= f ex t R / $ con Ca / ex R / $ 0 . Il tasso di cambio renmimbi/dollaro a sua volta sarà determinato dalla quantità di riserve ufficiali che la Cina deciderà eventualmente di immettere sul mercato. ex t = f Rut Cina Dove 01 con ex / Ru 0 . 172 Quando =0 significa che la Cina non immette riserve ufficiali in dollari sul Forex, il che corrisponde grossomodo alla situazione attuale, il cambio rimane fisso mentre se cinesi. ≠0 il tasso di cambio varierà per l'intervento delle autorità È dunque la vera variabile di politica economica che la Cina può manovrare: a seconda infatti di quante riserve essa decide di immettere sul mercato si stabilisce anche il valore delle partite correnti e la quantità di riserve da accumulare in futuro. Per quanto riguarda la quantità di riserve ufficiali accumulate, una bilancia dei pagamenti in attivo conduce ad una posizione netta sull'estero positiva (la Cina è un creditore netto sull'estero)ed in definitiva ad un accumulo di riserve ufficiali. ˙ t =r Ru tCa t Ru Dove ˙ rappresenta la variazione di riserve ufficiali al tempo t, Ru rappresenta lo stock di riserve al tempo t-1 più i relativi interessi mentre r Ru t Ca t è il solito saldo delle partite correnti. Gli Usa a loro volta massimizzeranno una funzione di utilità che dipenderà principalmente dal livello dei loro consumi interni. I consumi interni dipenderanno in maniera negativa dalle partite correnti Usa: un maggiore indebitamento implicherà consumi maggiori e di conseguenza un' utilità più elevata. Gli Usa non hanno però alcun modo di intervenire sul tasso di cambio che viene determinato dalle esogenamente dalle autorità cinesi ma al tempo stesso 173 possono stabilire quanto consumare una volta fissato il tasso di cambio. ∞ max V = ∫ e−rt U [C t , Pnt ] t =0 con U / C 0 U / Pn 0 da cui i consumi C t = f Caus ,t con C / Ca 0 ovvero al peggiorare delle partite correnti statunitensi avremo un aumento dei consumi negli Stati Uniti e un successivo aumento della funzione di utilità. Viceversa la funzione sarà negativamente correlata con la posizione netta con l'estero degli Stati Uniti: al peggiorare della posizione netta sull'estero aumenterà il rischio di una possibile insolvenza, i tassi d'interesse americani conseguentemente saliranno penalizzando investimenti e consumi ed in ultima istanza peggiorerà anche l'utilità americana. Come abbiamo visto il meccanismo penalizzante per il paese leader scatta solamente dopo aver raggiunto un certo livello negativo di indebitamento con l' 174 estero Pncritico , un valore incognito non meglio precisato. La funzione obbiettivo americana può essere così riscritta V= [ ∞ ∫ U [C t] se Pn t Pncritico ∞ t=0 ∫ U [C t , Pn t] se Pn t Pncritico t=0 ] Essendo la posizione netta sull'estero uguale all'incremento/ decremento di riserve ufficiali avremo che la legge di moto degli Stati Uniti sarà uguale all'opposto di quella cinese e dunque che ad un peggioramento della posizione netta sull'estero americana corrisponderà un accumulo di riserve ufficiali da parte delle People's bank of China. ˙ t Cina= pn Ru ˙ t Cina=− ṗntUs infine si avranno le due condizioni di trasversalità che impongono che le posizione sull'estero di entrambi i paesi devono chiudersi nel lungo periodo ovvero le posizioni sull'estero di entrambi i paesi devono tendere a zero al crescere del tempo. lim pncina =− pnus =0 175 Dopo aver deciso se il modello va approntato nel continuo o nel discreto ed aver deciso la forma funzionale della funzione di utilità si procederà con il cercare di risolvere il problema di ottimizzazione dinamica al fine di trovare la traiettoria ottimale per le variabili di controllo e di stato. Per una questione di semplicità e di eleganza svolgeremo questa parte del continuo adottando come forma funzionale della funzione di utilità quella della CRRA (Constant relative risk adversion) la quale si presenta nella forma: U ces = [c , s] 1− 1− Per la Cina avremo dunque: ∞ −zt Max V =∫ e 0 [Ca t Rut ]1− dt sotto il vincolo 1− Con Ca t= variabile di controllo e ˙ c=r Ruc t Cat . Ru Ru t= variabile di controllo . La relativa funzione Hamiltoniana sarà dunque: H =e −zt [Cat Ru t]1−−1 [r Ru tCa t Ru t ] 1− con che rappresenta la cosiddetta variabile di co-stato (prezzi ombra). 176 Le relative condizioni del primo ordine saranno: 1) H =0 la quale ci dice che la derivata della funzione hamiltoniana Cat rispetto alla variabile di stato deve essere uguale a zero. 2) −[ H ]=̇t la quale ci dice che l'opposto della derivata della Rut funzione hamiltoniana rispetto alla variabile di stato deve essere uguale alla variazione della variabile di co-stato. 3) H ˙ t la quale ci dice assicura il rispetto del vincolo. = Ru Le traiettorie così ottenute saranno le condizioni necessarie ma non sufficienti per determinare le traiettorie ottime della variabile di controllo e di stato. Sviluppando completamente il sistema sarà possibile ottenere le traiettorie ottimali delle partite correnti e delle riserve ufficiali in grado di ottimizzare l'utilità-paese della Cina. Lo stesso medesimo procedimento potrà essere eseguito Per gli Stati Uniti. Risolvendo congiuntamente il sistema sarà possibile trovare la traiettoria ideale delle variabili di controllo e di stato per entrambi i paesi contemporaneamente. 177 Tabella 1 : Saldo di conto corrente di varie aree e paesi, fine 2008. Paesi Europa Area euro di cui Germania Francia Italia Spagna Saldo di conto corrente (miliardi di dollari) -16,41 23,86 255,53 -31,25 -51,03 -145,36 Regno Unito Svizzera Norvegia Svezia Danimarca Islanda Est Europa -119,16 58,02 60,46 38,42 3,4 -3,18 -78,22 Nord America Stati Uniti Canada Messico Altri -732,26 -731,21 12,64 -5,52 -8,17 Asia Giappone Cina Arabia Saudita Russia Altri 738,41 210,49 371,83 95,08 76,24 -15,23 Sud America Brasile Argentina Cile Venezuela Altri 34,41 1,46 7,11 7,2 20 -2,87 Africa Nigeria Sud Africa Angola Altri -0,93 21,97 -20,63 9,4 -11,67 Oceania Australia Nuova Zelanda -66,82 -56,58 -10,24 Totale deficit mondiali % deficit Stati Uniti sul totale -855,29 85,49% Fonte: IMF database 2008. Note: Est Europa: Polonia, Romania, Ungheria, Croazia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Ucraina, Serbia, Macedonia, Moldavia, Bielorussia, Albania. 177 Tabella 2: bilancia dei pagamenti britannica, 1925-1938, in milioni di sterline. Importazioni Esportazioni Bilancia commerciale Bilancia dei servizi 1925 1208 943 -265 296 1926 1140 794 -346 307 1927 1115 845 -270 348 1928 1095 858 -237 341 1929 1117 854 -263 339 1930 953 670 -283 298 1931 786 464 -322 208 1932 641 425 -216 154 1933 619 427 -192 174 1934 683 463 -220 188 1935 724 541 -183 196 1936 786 523 -263 223 1937 950 614 -336 279 1938 849 564 -285 220 Saldo conto corrente 31 -39 78 104 76 15 -114 -62 -18 -32 13 -40 -57 -65 Flussi capitali lungo termine Flussi capitali breve termine Aiuti esteri Conto capitale -78 45 -89 151 -138 78 -111 -11 -52 -32 -61 53 -36 78 -18 84 -2 253 -3 189 20 -223 62 -60 -122 -84 -8 9 196 -114 91 -12 152 -33 -5 3 82 80 140 42 66 251 186 -203 Variazione riserve ufficiali -2 23 18 -18 -8 7 -34 29 122 10 79 211 129 -268 Fonte: Caincross e Eichengreen (1983) pagina 35. 178 Tabella 3: saldo della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti, 1960-1970, milioni di dollari. Conto corrente 1964 1965 1960 1961 1962 1963 1966 1967 1968 1969 1970 30556 31402 33340 35776 40165 42722 46454 49353 54911 60132 68387 25940 4616 26403 4999 27722 5618 29620 6157 33341 6824 35285 7437 38926 7528 41333 8021 45543 9367 49220 10913 56640 11748 -23670 -23453 -25676 -26970 -29102 -32708 -38468 -41476 -48671 -53998 -59901 -22432 -1238 -22208 -1245 -24352 -1324 -25410 -1560 -27319 -1783 -30621 -2088 -35987 -2481 -38729 -2747 -45293 -3378 -49129 -4869 -54386 -5515 7 Trasferimenti unilaterali netti -4062 -4127 -4277 -4392 -4240 -4583 -4955 -5294 -5629 -5735 -6156 8 Saldo conto corrente (1+4+7) 9 Saldo bilancia commerciale (1+4) 10 Saldo redditi da capitale (3+6) 2824 3508 3379 3822 4195 3755 3387 3370 4294 4414 4210 4596 6823 6022 5041 5431 4664 5350 3031 2940 5047 2583 2604 5274 611 250 5990 399 91 6044 2331 2254 6233 1960 1961 1962 1963 Conto finanziario 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 11 Attività estere americane, esclusi i derivati Di cui: 12 Riserve ufficiali 13 Titoli di stato diversi dalle riserve ufficiali 14 Attività private Di cui: Investimenti esteri diretti 15 attività di portafoglio 16 -4099 -5538 -4174 -7270 -9560 -5716 -7321 -9757 -10977 -11585 -8470 2145 -1100 -5144 607 -910 -5235 1535 -1085 -4623 378 -1662 -5986 171 -1680 -8050 1225 -1605 -5336 570 -1543 -6347 53 -2423 -7386 -870 -2274 -7833 -1179 -2200 -8206 3348 -1589 -10229 -2940 -663 -2653 -762 -2851 -969 -3483 -1105 -3760 -677 -5011 -759 -5418 -720 -4805 -1308 -5295 -1569 -5960 -1549 -7590 -1076 17 Attività estere negli Stati Uniti, esclusi i derivati Di cui: 18 Riserve ufficiali negli Stati Uniti Di cui: In attività del governo 19 In titoli del tesoro 20 21 Altre attività estere negli Stati Uniti Investimenti esteri diretti 22 Titoli del tesoro 23 2294 2705 1911 3217 3643 742 3661 7379 9928 12702 6359 1473 765 1270 1986 1660 134 -672 3451 -774 -1301 6908 655 655 821 315 -364 233 233 1939 311 151 1409 1410 641 346 -66 816 803 1231 231 -149 432 434 1983 322 -146 -141 -134 607 415 -131 -1527 -1548 4333 425 -356 2261 2222 3928 698 -135 -769 -798 10703 807 136 -2343 -2269 14002 1263 -68 9439 9411 -550 1464 81 24 Saldo conto finanziario (11+17) -1805 -2833 -2263 -4053 -5917 -4974 -3660 -2378 -1049 1117 -2111 1 Esportazioni beni e servizi e redditi da capitale Di cui: 2 Esportazioni beni e servizi 3 Redditi da capitale 4 Importazione beni e servizi e interessi passivi Di cui: 5 Importazioni beni e servizi 6 Interessi passivi Fonte: Buareau of Economics Analysis 2009. 179 Tabella 4: Test Dickey-Fuller per la presenza di radice unitaria, 1960-1971. Variabile r_c r_f r_g r_uk r_us fli_c fli_f fli_g fli_uk fli_us rr_c rr_f rr_g rr_uk rr_us Valore Test ADF con costante -1,2035 0,2142 -1,6806 -1,4522 -1,1645 -2,0863 -2,2378 -2,2455 -2,5240 -1,7507 -3,4971 -2,9703 -2,5666 -4,1494 -1,8454 P-value 0,6753 0,9727 0,4412 0,5581 0,6920 0,2504 0,1929 0,1902 0,1097 0,4056 0,0081 0,0378 0,1000 0,0008 0,3587 Valore test ADF costante e trend -1,8179 -2,3540 -2,8776 -1,5404 -2,5221 -3,9675 -2,3686 -2,2857 -4,3607 -2,2661 -3,5980 -3,4349 -2,3716 -4,2744 -2,5641 Fonte: OECD database 2009, www.oecd.org . 180 P-value 0,6963 0,4021 0,1698 0,8159 0,3173 0,0097 0,3961 0,4412 0,0025 0,4521 0,0299 0,0468 0,3945 0,0034 0,2971 Ritardi 9 1 3 1 9 9 3 10 10 9 9 5 10 10 2 Tabella 5: Riassunto procedura di Johansen per i tassi d'interesse nominali decennali di Canada,, Gran Bretagna, Francia e Germania, nei confronti con gli Stati Uniti 1960-1971. selezione ritardi del VAR Ritardo scelto H 0 Paese AIC BIC HQC caso scelto Regno Unito 3 2 2 C.N.V 4 Germania 4 2 3 C.N.V 3 Francia 2 1 2 C.N.V 2 Canada 3 3 3 C.N.V 2 Rango=0 Rango=1 Rango=0 Rango=1 Rango=0 Rango=1 Rango=0 Rango=1 Autovalore Test della Traccia P-value Test del massimo autovalore P-value 0,10646 0,00767 0,03404 0,01385 0,09204 0,00000 0,16796 0,00896 16,837 1,078 6,849 1,967 13,710 0,000 27,389 1,278 0,0295 0,2992 0,6011 0,1608 0,0907 0,9935 0,0004 0,2583 15,760 1,078 4,883 1,967 13,710 0,000 26,111 1,278 0,0267 0,2992 0,7561 0,1608 0,0593 0,9935 0,0003 0,2583 Autovalore Test della Traccia P-value Test del massimo autovalore P-value 0,10692 0,01114 0,03767 0,01395 0,09315 0,02000 0,16850 0,01083 17,398 1,568 7,395 1,980 16,753 2,868 27,747 1,546 0,1192 0,8511 0,8657 0,7779 0,1438 0,6131 0,0030 0,8548 15,831 1,568 5,415 1,980 13,884 2,868 26,202 1,546 0,0492 0,8501 0,8425 0,7768 0,1015 0,6119 0,0005 0,8538 selezione ritardi del VAR Ritardo scelto H 0 Paese AIC BIC HQC caso scelto Regno Unito 3 2 2 C.V 4 Germania 4 2 3 C.V 3 Francia 2 1 2 C.V 2 Canada 3 3 3 C.V 2 Rango=0 Rango=1 Rango=0 Rango=1 Rango=0 Rango=1 Rango=0 Rango=1 Fonte: OECD database 2009, www.oecd.org . 181 Tabella 6: Riassunto procedura di Johansen per i tassi d'interesse reali attesi (validità relazione di Fisher) di Canada, Gran Bretagna, Francia e Germania, nei confronti degli Stati Uniti, 1960-1971. Paese selezione ritardi del VAR AIC BIC HQC caso scelto Regno Unito 10 1 1 C.N.V Germania 4 2 2 C.N.V Francia 1 1 1 C.N.V Canada 2 1 2 C.N.V Paese selezione ritardi del VAR AIC BIC HQC caso scelto Regno Unito 10 1 1 C.V Germania 4 2 2 C.V Francia 1 1 1 C.V Canada 2 1 2 C.V Ritardo scelto H 0 Rango=0 1 Rango=1 Rango=0 2 Rango=1 Rango=0 1 Rango=1 Rango=0 2 Rango=1 Autovalore 0,04934 0,01400 0,04804 0,01740 0,03584 0,03046 0,10423 0,06045 Test della Traccia 8,539 1,861 8,749 2,300 8,901 4,084 22,588 8,168 P-value 0,4168 0,1726 0,3961 0,1294 0,3815 0,0433 0,0029 0,0043 Test del massimo autovalore 6,679 1,861 6,449 2,300 4,818 4,084 14,420 8,168 P-value 0,5358 0,1726 0,5637 0,1294 0,7637 0,0433 0,0453 0,0043 Ritardo scelto H 0 Rango=0 1 Rango=1 Rango=0 2 Rango=1 Rango=0 1 Rango=1 Rango=0 2 Rango=1 Autovalore 0,05071 0,01532 0,06009 0,00741 0,03587 0,03052 0,10494 0,06101 Test della Traccia 8,907 2,038 9,093 0,974 8,913 4,091 22,769 8,246 P-value 0,7460 0,7674 0,7294 0,9395 0,7455 0,4108 0,0203 0,0751 Test del massimo autovalore 6,870 2,038 8,118 0,974 4,822 4,091 14,523 8,246 P-value 0,6892 0,7663 0,5443 0,9389 0,8926 0,4099 0,0806 0,0751 Fonte: OECD database 2009, www.oecd.org . 182 Tabella 7: riassunto procedura di Johansen per i tassi d'interesse reali decennali di Canada, Gran Bretagna, Francia e Germania, nei confronti degli Stati Uniti,1960-1971, con inflazione attesa ( non validità relazione di Fisher) . Paese selezione ritardi del VAR AIC BIC HQC caso scelto Regno Unito 13 1 1 C.N.V Germania 13 1 2 C.N.V Francia 1 1 1 C.N.V Canada 13 1 2 C.N.V Paese selezione ritardi del VAR AIC BIC HQC caso scelto Regno Unito 13 1 1 C.V Germania 13 1 2 C.V Francia 1 1 1 C.V Canada 13 1 2 C.V Ritardo scelto H 0 Rango=0 Rango=1 2 Rango=2 Rango=3 Rango=0 Rango=1 2 Rango=2 Rango=3 Rango=0 Rango=1 2 Rango=2 Rango=3 Rango=0 Rango=1 2 Rango=2 Rango=3 Autovalore 0,21462 0,11095 0,05922 0,01902 0,17696 0,10044 0,06420 0,02299 0,17121 0,08043 0,04856 0,01542 0,23204 0,19630 0,11515 0,00423 Test della Traccia 57,567 25,919 10,513 2,515 51,117 25,604 11,739 3,047 44,140 19,541 8,557 2,036 79,795 45,209 16,58200 0,55504 P-value 0,0040 0,1348 0,2476 0,1127 0,0223 0,1451 0,1719 0,0809 0,1063 0,4655 0,4151 0,1536 0,0000 0,0003 0,0325 0,4563 Test del massimo autovalore 31,648 15,406 7,998 2,515 25,513 13,866 8,692 3,047 24,600 10,984 6,521 2,036 34,586 28,627 16,0270 0,5550 P-value 0,0114 0,2724 0,3874 0,1127 0,0889 0,3903 0,3200 0,0809 0,1156 0,6573 0,5550 0,1536 0,0037 0,0026 0,0240 0,4563 Ritardo scelto H 0 Rango=0 Rango=1 2 Rango=2 Rango=3 Rango=0 Rango=1 2 Rango=2 Rango=3 Rango=0 Rango=1 2 Rango=2 Rango=3 Rango=0 Rango=1 2 Rango=2 Rango=3 Autovalore 0,21737 0,12419 0,06610 0,02118 0,17740 0,11095 0,06426 0,02312 0,17315 0,09804 0,05176 0,02178 0,23405 0,19638 0,11657 0,01375 Test della Traccia 61,242 29,135 11,763 2,805 52,752 27,170 11,765 3,064 48,270 23,363 9,846 2,885 81,621 46,691 18,05100 1,81390 P-value 0,0089 0,1962 0,4788 0,6246 0,0642 0,2841 0,4786 0,5779 0,1498 0,5088 0,6596 0,6101 0,0000 0,0015 0,0980 0,8081 Test del massimo autovalore 32,108 17,372 8,958 2,805 25,582 15,405 8,701 3,064 24,907 13,517 6,962 2,885 34,930 28,640 16,2370 1,8139 P-value 0,0140 0,2194 0,4506 0,6235 0,1169 0,3551 0,4785 0,5768 0,1407 0,5192 0,6786 0,6089 0,0047 0,0041 0,0420 0,8070 Fonte: OECD database 2009, www.oecd.org . 183 Tabella 8: risultati delle stime del vettore dei cointegrazione per i tassi d'interesse nominali e dei relativi modelli vincolati, per il periodo che va dal 1960al 1971. Modello libero (costante non vincolata) Modello vincolato (costante non vincolata) Deviazione standard vincoli Deviazione standard test t ECM P-value Test rapporto verosimiglianza Test LM-autocorrelazione Test LM-ARCH Test t parte ECM P-value Paesi Numero ritardi Valore P-value Valore P-value Valore P-value 0,28600 9,32723 0,67476 0,67600 48,82230 0,00000 Regno Unito Usa 4 1,0000 -0,9734 -0,0702 0,0817 0,0000 0,0983 0,0317 0,0297 -2,213 2,753 0,02860 0,00670 1 -0,8793 -0,0907 0 0,0000 0,1330 0,0309 0,0000 -2,9340 NA 0,0039 NA 7,29778 0,00690 14,23350 9,30832 Francia Usa 2 1,0000 -1,0671 -0,0382 0,1172 0,0000 0,0846 0,0244 0,0371 -1,567 3,163 0,11930 0,00190 1 -1,0682 -0,0481 0 0,0000 0,1588 0,0241 0,0000 -1,9960 NA 0,0479 NA 9,93885 0,00162 6,29427 16,41860 0,90100 0,17300 0,55843 53,64900 1,00000 0,00000 Canada Usa 2 1,0000 -0,8893 -0,0731 0,2561 0,0000 0,0274 0,0633 0,0809 -1,154 3,168 0,25050 0,00190 1 -0,8664 -0,2050 0 0,0000 0,0339 0,0480 0,0000 -4,2680 NA 0,0000 NA 9,50600 0,00205 13,00530 15,25510 0,36900 0,22800 34,34340 55,53850 0,00060 0,00000 Paesi Regno Unito Usa Francia Usa Canada Usa Modello libero (costante vincolata) Deviazione standard Test t parte ECM P-value Numero ritardi Modello vincolato (costante vincolata) Deviazione standard test t ECM P-value vincoli Test rapporto verosimiglianza Valore P-value Test LM-autocorrelazione Valore Test LM-ARCH P-value Valore P-value 0,28500 9,22371 0,68371 0,67700 47,71040 0,00000 4 1,0000 -0,9746 -1,8950 -0,0688 0,0828 0,0000 0,0983 0,5064 0,0317 0,0296 -2,173 2,794 0,03150 0,00600 1 -0,8793 -2,4491 -0,0907 0 0,0000 0,1325 0,0307 0,0000 -2,9590 NA 0,0037 NA 7,26774 0,00702 14,24380 9,30268 2 1,0000 -1,0671 -1,2696 -0,0428 0,1126 0,0000 0,0846 0,4350 0,0243 0,0369 -1,758 3,053 0,08100 0,00270 1 -1,0682 -1,5216 -0,0481 0 0,0000 0,1582 0,0186 0,0000 -2,5890 NA 0,0106 NA 7,38754 0,00657 6,30025 16,55520 0,90000 0,16700 0,55628 50,99270 1,00000 0,00000 2 1,0000 -0,8895 -1,49350 -0,0710 0,2582 0,0000 0,0274 0,14081 0,0633 0,0807 -1,123 3,198 0,26350 0,00170 1 -0,8664 -1,62140 -0,2050 0 0,0000 0,0339 0,0479 0,0000 -4,2840 NA 0,0000 NA 9,58726 0,00196 13,01310 15,36580 0,36800 0,22200 34,35560 52,76790 0,00059 0,00000 Fonte: OECD database 2009, www.oecd.org . 184 Tabella 9: risultati delle stime del vettore dei cointegrazione per i tassi d'interesse reali attesi (non validità relazione di Fisher) e dei relativi modelli vincolati, per il periodo che va dal 1960-al 1971. Paesi Numero ritardi Regno Unito 1,0000 Infl_UK 1,8861 2 Usa -10,3660 Infl_us 4,3772 Modello libero (costante non vincolata) Deviazione standard Test t parte ECM P-value vincoli Modello vincolato (costante non vincolata) Deviazione standard test t ECM P-value 0,0000 0,0109 -3,5850 0,0005 0,2392 0,0309 1,5080 0,1340 0,6451 0,0000 NA NA 0,3377 0,0183 -2,0990 0,0378 0,0085 -0,0153 0,0118 0,0132 0,0000 0,6370 1,7180 0,8994 0,0033 0,0091 0,0029 0,0054 2,543 -1,681 4,022 2,464 0,01220 0,09530 0,00010 0,01510 1 -0,8378 2,1832 -1,2610 -0,0390 0,0466 0 -0,0384 0,0036 -0,0054 0,0822 0,0815 0,0000 0,1105 0,2201 0,1551 0,0149 0,0518 0,0197 0,0359 0,243 -0,104 4,174 2,269 0,80870 0,91760 0,00006 0,02500 1 0,1597 -1,1968 -0,0815 -0,0412 -0,0202 0 0,1376 0,0000 0,1075 0,2140 0,1508 0,0213 0,0752 0,0000 0,0520 -1,9320 -0,2681 NA 2,6470 0,0556 0,7891 NA 0,0092 12,13900 Francia Infl_F Usa Infl_us 2 1,0000 0,0866 -1,7745 0,4832 Canada Infl_C Usa Infl_us 2 1,0000 0,3167 -0,2181 -0,61517 -0,1908 0,1242 -0,2391 0,01412 0,0000 0,0601 0,0937 0,08316 0,0353 0,1495 0,0459 0,08822 -5,404 0,831 -5,204 0,16010 0,00000 0,40750 0,00000 0,87310 1 0,1522 -0,7130 -0,20314 -0,2711 -0,1546 0 0,34708 0,0000 0,0333 0,0519 0,04607 0,0575 0,2920 0,0000 0,17066 -4,7130 -0,5293 NA 2,03400 0,0000 0,5975 NA 0,04410 Germania Infl_G Usa Infl_us 2 1,0000 1,5379 -7,2846 3,8803 0,0015 -0,0241 0,0136 0,0116 0,0000 0,7594 1,3131 0,8304 0,0031 0,0088 0,0039 0,0070 0,4653 -2,7430 3,4730 1,6500 0,6425 0,0070 0,0007 0,1015 1,0000 0,9991 -2,6911 1,0292 -0,0049 -0,0906 0,0000 0,0154 0,0000 0,3442 0,5951 0,3763 0,0080 0,0221 0,0000 0,0185 -0,6084 -4,0900 NA 0,8326 0,5440 0,0001 NA 0,4067 Paesi Numero ritardi Regno Unito 1,0000 Infl_UK 1,8861 2 Usa -10,3660 Infl_us 4,3772 Modello libero (costante vincolata) Deviazione standard Test t parte ECM P-value vincoli Modello vincolato (costante vincolata) Deviazione standard test t ECM P-value 0,0000 0,0109 -3,5850 0,0005 0,2392 0,0309 1,5080 0,1340 0,6451 0,0000 NA NA 0,3377 0,0183 -2,0990 0,0378 0,00049 0,57009 36,49440 53,76010 7,01999 1,00000 0,00027 0,00000 0,85629 4,91508 0,02662 9,70851 44,40380 17,00570 43,97550 0,64200 0,00001 0,14900 0,00002 20,45450 17,26950 55,61760 13,24830 0,05896 0,13974 0,00000 0,35125 7,0862 0,0078 9,8193 50,1680 19,6168 41,5253 0,6320 0,0000 0,0747 0,0000 22,6955 15,4793 55,0051 10,7013 0,0304 0,2163 0,0000 0,5547 Test rapporto verosimiglianza Valore P-value Valore 2,543 -1,681 4,022 2,464 0,01220 0,09530 0,00010 0,01510 1 -0,8378 2,1832 -1,2610 -0,0390 0,0466 0 -0,0384 0,0036 -0,0054 0,0822 0,0815 0,0000 0,1105 0,2201 0,1551 0,0149 0,0518 0,0197 0,0359 0,243 -0,104 4,174 2,269 0,80870 0,91760 0,00006 0,02500 1 0,1597 -1,1968 -0,0815 -0,0412 -0,0202 0 0,1376 0,0000 0,1075 0,2140 0,1508 0,0213 0,0752 0,0000 0,0520 -1,9320 -0,2681 NA 2,6470 0,0556 0,7891 NA 0,0092 12,13900 4,91508 Canada Infl_C Usa Infl_us 2 1,0000 0,3167 -0,2181 -0,61517 -0,1908 0,1242 -0,2391 0,01412 0,0000 0,0601 0,0937 0,08316 0,0353 0,1495 0,0459 0,08822 -5,404 0,831 -5,204 0,16010 0,00000 0,40750 0,00000 0,87310 1 0,1522 -0,7130 -0,20314 -0,2711 -0,1546 0 0,34708 0,0000 0,0333 0,0519 0,04607 0,0575 0,2920 0,0000 0,17066 -4,7130 -0,5293 NA 2,03400 0,0000 0,5975 NA 0,04410 1,0000 1,5783 -7,7295 4,1492 0,0015 -0,0215 0,0130 0,0113 0,0000 0,8109 1,4022 0,8868 0,0029 0,0083 0,0037 0,0066 0,5007 -2,6060 3,5440 1,7110 0,6174 0,0103 0,0006 0,0895 1,0000 1,0187 -2,6214 0,9985 -0,0049 -0,0936 0,0000 0,0110 0,0000 0,3383 0,5849 0,3699 0,0080 0,0221 0,0000 0,0185 -0,6084 -4,0900 NA 0,8326 0,5440 0,0001 NA 0,4067 Fonte: OECD database, www.oecd.org . 185 Test LM-ARCH Valore P-value 12,03350 0,44299 38,97090 0,00011 57,18010 0,00000 8,29293 0,76184 0,97100 0,00034 0,06360 0,00008 0,0033 0,0091 0,0029 0,0054 2 0,00052 Test LM-autocorrelazione P-value 21,07990 0,04920 62,15010 0,00000 19,14810 0,08500 38,62180 0,00012 4,57672 35,84720 20,18880 39,70030 0,0000 0,6370 1,7180 0,8994 1,0000 0,0866 -1,7745 0,4832 2 12,05580 0,0085 -0,0153 0,0118 0,0132 Francia Infl_F Usa Infl_us Germania Infl_G Usa Infl_us Test rapporto verosimiglianza Valore P-value Valore 12,05580 6,6585 0,00052 Test LM-autocorrelazione P-value 21,07990 0,04920 62,15010 0,00000 19,14810 0,08500 38,62180 0,00012 Test LM-ARCH Valore P-value 12,03350 0,44299 38,97090 0,00011 57,18010 0,00000 8,29293 0,76184 0,00049 4,57672 35,84720 20,18880 39,70030 0,97100 0,00034 0,06360 0,00008 0,57009 36,49440 53,76010 7,01999 1,00000 0,00027 0,00000 0,85629 0,02662 9,70851 44,40380 17,00570 43,97550 0,64200 0,00001 0,14900 0,00002 20,45450 17,26950 55,61760 13,24830 0,05896 0,13974 0,00000 0,35125 0,0099 9,8193 50,1680 19,6168 41,5253 0,6320 0,0000 0,0747 0,0000 22,6955 15,4793 55,0051 10,7013 0,0304 0,2163 0,0000 0,5547 Tabella 10 A e B: Riassunto analisi di Granger causalità in un VAR cointegrato nel periodo 1960-1971 Numero ritardi 2 X r_us r_uk r_g r_c r_f Rango di cointegrazione 0 1 2 3 4 Autovalore Test traccia P-value Test L-Max P-value 0,2631 0,1317 0,1046 0,0353 0,0137 86,1650 42,8130 22,7560 7,0728 1,9646 0,0011 0,1372 0,2667 0,5755 0,1610 43,3520 20,0580 15,6830 5,1083 1,9646 0,0016 0,3486 0,2540 0,7292 0,1610 Granger causalità 1960:01-1971 :12 Z r_uk, r_g, r_c, r_f 2,6846 r_us, r_g, r_c, r_f 1,8301 r_us, r_uk, r_c, r_f 1,5132 r_us, r_uk, r_g, r_f 1,7161 r_us, r_uk, r_g , r_c 1,5575 Fonte: OECD database, www.oecd.org . 186 0,0016 0,0405 0,1146 0,0596 0,0998 Tabella 11: saldo della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti, 2000-2008, in milioni di dollari. Conto corrente 2003 2004 2005 2006 2007 2008 1572971 1816723 2133905 2462099 2591233 1020191 320456 1159233 413739 1281460 535263 1451684 682221 1643168 818931 1826596 764637 -1652615 -1790372 -2115739 -2459633 -2846179 -3072675 -3168938 -1370400 -259075 -1399071 -253544 -1515225 -275147 -1769220 -346519 -1996728 -462905 -2212043 -634136 -2344590 -728085 -2522532 -646406 -58645 -64487 -64948 -71794 -88362 -105772 -91273 -115996 -128363 -417426 -379835 21054 -398270 -365505 31722 -459151 -421601 27398 -521519 -495034 45309 -631130 -609987 67219 -748683 -715268 72358 -803547 -760359 48085 -726573 -701422 90845 -706068 -695936 118231 2000 2001 2002 2005 2006 2007 2008 11 Attività estere americane, esclusi i derivati Di cui: 12 Riserve ufficiali 13 Titoli di stato diversi dalle riserve ufficiali 14 Attività private Di cui: Investimenti esteri diretti 15 attività di portafoglio 16 -560523 -382616 -294646 -325424 -1000870 -546631 -1285729 -1472126 -106 -290 -941 -559292 -4911 -486 -377219 -3681 345 -291310 1523 537 -327484 2805 1710 -1005385 14096 5539 -566266 2374 5346 -1293449 -122 -22273 -1449731 -4848 -529615 534357 -159212 -127908 -142349 -90644 -154460 -48568 -149564 -146722 -316223 -170549 -36235 -251199 -244922 -365129 -398597 -366524 -332012 60761 17 Attività estere negli Stati Uniti, esclusi i derivati Di cui: 18 Riserve ufficiali negli Stati Uniti Di cui: In attività del governo 19 In titoli del tesoro 20 21 Altre attività estere negli Stati Uniti Investimenti esteri diretti 22 Titoli del tesoro 23 1038224 782870 795161 858303 1533201 1247347 2065169 2129460 534071 42758 28059 115945 278069 397755 259268 487939 480949 487021 35710 -5199 995466 321274 -69983 54620 33700 754811 167021 -14378 90971 60466 679216 84372 100403 224874 184931 580234 63750 91455 314941 273279 1135446 145966 93608 213334 112841 988079 112638 132300 428401 208564 1577230 243151 -58229 269897 98432 1648511 275758 66807 543498 477652 47050 319737 196619 1 Esportazioni beni e servizi e redditi da capitale Di cui: 2 Esportazioni beni e servizi 3 Redditi da capitale 4 Importazione beni e servizi e interessi passivi Di cui: 5 Importazioni beni e servizi 6 Interessi passivi 7 Trasferimenti unilaterali netti 8 Saldo conto corrente (1+4+7) 9 Saldo bilancia commerciale (1+4) 10 Saldo redditi da capitale (3+6) 2000 2001 2002 1421515 1295692 1258411 1340647 1070597 350918 1004895 290797 977469 280942 -1780296 -1629475 -1450432 -329864 Fonte: Buareau of Economics Analysis 2009. 187 Conto finanziario 2003 2004 Tabella 12: posizione netta sull'estero degli Stati Uniti, 2000- 2008, milioni di dollari. 1 2 3 2000 6.238.785 2001 6.308.681 2002 6.649.079 2003 7.638.086 2004 9.340.634 2005 11.961.552 2006 14.428.137 2007 18.278.842 2008 19.888.158 128.400 85.168 6.025.217 129.961 85.654 6.093.066 158.602 85.309 6.405.168 183.577 84.772 7.369.737 189.591 83.062 9.067.981 188.043 77.523 10.505.957 219.853 72.189 12.897.100 277.211 94.471 15.347.828 293.732 624.100 12.345.777 1.531.607 2.425.534 1.693.131 2.169.735 1.867.043 2.076.722 2.054.464 2.948.370 2.498.494 3.545.396 2.651.721 4.329.259 2.948.172 5.604.475 3.451.482 6.835.079 3.698.784 4.244.311 Attività estere negli Stati Uniti di cui Riserve ufficiali di cui Attività del governo Attività del tesoro Attività private di cui Investimenti esteri diretti Attività del tesoro 7.569.415 8.177.556 8.687.049 9.724.599 11.586.051 13.886.698 16.612.419 20.418.758 23.357.404 1.030.708 1.109.072 1.250.977 1.562.564 2.011.899 2.306.292 2.825.628 3.403.995 3.871.362 756.155 639.796 6.538.707 847.005 720.149 7.068.484 970.359 811.995 7.436.072 1.186.500 986.301 8.162.035 1.509.986 1.251.943 9.574.152 1.725.193 1.340.598 10.448.292 2.167.112 1.558.317 12.607.632 2.540.062 1.736.687 14.526.903 3.228.438 2.325.672 13.021.075 1.421.017 381.630 1.518.473 375.059 1.499.952 473.503 1.580.994 527.223 1.742.716 561.610 1.905.979 643.793 2.154.062 567.861 2.450.132 639.715 2.646.847 884.965 Posizione netta sull'estero (1-2) -1.330.630 -1.868.875 -2.037.970 -2.086.513 -2.245.417 -1.925.146 -2.184.282 -2.139.916 -3.469.246 Attività estere degli Stati Uniti di cui Riserve ufficiali Titoli di stato diversi dalle riserve ufficiali Attività private di cui Investimenti esteri diretti Attività di portafoglio Fonte. Buareau of Economics Analysis 2009. 188 Tabella 13 A e 13 B: componenti delle variazioni della posizione netta sull'estero del Stati Uniti, 2000-2008, milioni di dollari. Componenti delle variazioni delle attività estere degli Stati Uniti con investimenti diretti a prezzi di mercato, 2008-2008 [Milioni di dollari] variazione nella posizione esclusi i derivati Anno 2000 2001 2002 2003 2004 4 2005 2006 2007 2008 posizione iniziale 7.399.678 7.401.192 6.930.484 6.804.624 8.312.748 10.204.936 12.947.827 15.950.308 20.055.322 Flussi finanziari (a) 560.523 382.616 294.646 325.424 1.000.870 546.631 1.285.729 1.472.126 106 variazioni di prezzo (b) -305.366 -714.070 -848.839 767.481 468.747 1.079.180 1.111.633 558.117 -4.225.894 variazioni tasso di altre variazioni cambio (c) (d) -298.276 44.633 -168.687 29.433 265.971 162.362 483.631 -68.412 308.986 113.585 -441.684 1.558.764 412.526 143.627 719.377 35.057 -775.766 141.578 Totale (a+b+c+d) 1.514 -470.708 -125.860 1.508.124 1.892.188 2.742.891 2.953.515 2.784.677 -4.859.976 Variazioni derivati finanziari ...... ...... ...... ...... ...... ...... 48.966 1.320.337 4.065.217 posizione finale 7.401.192 6.930.484 6.804.624 8.312.748 10.204.936 12.947.827 15.950.308 20.055.322 19.260.563 Componenti delle variazioni delle attività estere negli Stati Uniti con investimenti diretti a prezzi di mercato, 2008-2008 [Milioni di dollari] variazione nella posizione esclusi i derivati Anno 2000 2001 2002 2003 2004 4 2005 2006 2007 2008 posizione iniziale 8.395.221 8.931.633 9.219.377 9.208.914 10.598.482 12.560.718 14.798.689 17.751.410 21.561.917 Flussi finanziari (a) 1.038.224 782.870 795.161 858.303 1.533.201 1.247.347 2.065.169 2.129.460 534.071 variazioni di prezzo (b) -439.082 -489.886 -783.562 775.363 278.469 -66.777 529.069 243.201 -2.469.888 variazioni tasso di altre variazioni cambio (c) (d) -27.682 -35.048 -17.002 11.762 34.724 -56.786 68.161 -312.259 39.204 111.362 -49.990 1.107.391 44.005 267.433 80.653 48.492 -91.633 -244.135 Fonte: Buareau of Economics Analysis 2009. 189 Totale (a+b+c+d) 536.412 287.744 -10.463 1.389.568 1.962.236 2.237.971 2.905.676 2.501.806 -2.271.585 Variazioni derivati finanziari ...... ...... ...... ...... ...... ...... 47.045 1.308.701 3.977.107 posizione finale 8.931.633 9.219.377 9.208.914 10.598.482 12.560.718 14.798.689 17.751.410 21.561.917 23.267.439 Tabella 14: composizione valutaria delle riserve ufficiali, 1995-2008, milioni di dollari. Totale riserve ufficiali di cui dollari euro franchi marchi yen sterline 1995 1,389,801 1996 1,566,268 1997 1,616,248 1998 1,643,803 1999 1,781,947 2000 1,936,282 2001 2,049,630 2002 2,408,109 2003 3,025,110 2004 3,748,400 2005 4,174,556 2006 5,036,925 2007 6,411,087 2008 6,909,257 610,34 760,07 828,89 888,72 979,78 246,95 1,079,916 277,69 1,122,431 301,03 1,204,673 427,33 1,465,752 559,25 1,751,012 658,53 1,902,535 683,81 2,171,075 831,95 2,641,645 1,082,276 2,703,311 1,112,260 24,36 163,09 70,07 21,87 22,64 179,92 82,31 32,88 18,31 184,35 73,49 32,86 20,81 176,95 80,03 34,14 87,94 39,83 92,08 41,8 79,19 42,4 78,15 50,54 87,61 61,66 101,79 89,46 101,77 102,24 102,05 145,21 120,48 192,66 131,7 170,71 Fonte: IMF database 2008, currency composition of official foreign exchange reserve (COFER), pagina 7 e 8. Tabella 15: percentuale riserve ufficiali di una determinata valuta sul totale delle riserve. Anno 1913 1965 1973 1977 1982 1987 1992 1997 2003 2004 2005 2006 2007 Dollaro n.d 56,10% 64,50% 79,20% 57,90% 53,90% 48,90% 59,10% 65,90% 65,90% 66,90% 65,50% 63,90% Sterlina 40,61% 20% 4,02% 1,01% 1,00% 1,09% 2,06% 3,03% 2,08% 3,04% 3,06% 4,04% 4,07% Marco 14,33% 0,01% 5,05% 9,03% 11,06% 13,08% 14% 13,07% n.d n.d n.d n.d n.d Franco francese 25,88% 0,09% 0,07% 1,01% 1% 0,09% 2,06% 1,05% n.d n.d n.d n.d n.d Yen n.d 0% 0,01% 2,02% 4,01% 6,08% 7,04% 5,01% 3,09% 3,08% 3,06% 3,01% 2,09% Franco svizzero n.d 0% 1,01% 1,09% 2,03% 1,07% 0,08% 0,05% 0,02% 0,02% 0,01% 0,02% 0,02% Fonti: Lindert (1969) per il 1913, Chinn e Frankel (2005) dal 1965 al 1997, IMF 2008 dal 2003 al 2007. 190 Fiorino olandese n.d 0% 0,05% 0,07% 1% 1,02% 0,07% 0,05% n.d n.d n.d n.d n.d Euro n.d n.d n.d n.d n.d n.d n.d n.d 25,20% 24,80% 24,10% 25,10% 26,50% Tabella 16: scadenza e composizione del debito americano, 1990- 2008 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Scadenza media del debito americano in mesi 68 68 67 65 63 60 61 63 65 67 69 66 60 56 54 53 54 55 49 Bills 23,10% 23,80% 23,80% 22,80% 22,70% 22,70% 22,40% 20,50% 19,20% 20,30% 20,60% 25,20% 27,80% 26,50% 25,00% 22,60% 21,40% 21,70% 28,50% 2-3 anni 20,10% 20,90% 21,20% 21,50% 21,70% 21,50% 21,50% 21,40% 19,70% 17,90% 16,20% 13,30% 18,20% 23,70% 24,40% 23,90% 21,50% 18,10% 15,30% Fonte: Treasury Bulletin 30/09/09, www.treas.gov . 191 Composizione debito americano 4-7 anni 10-15 anni Bonds 24,20% 14,40% 18,20% 23,30% 14,20% 17,80% 23,80% 13,80% 17,30% 24,80% 13,70% 17,20% 25,10% 13,90% 16,60% 25,90% 13,90% 16,00% 25,80% 14,40% 16,00% 25,70% 15,00% 16,80% 25,10% 15,90% 18,40% 22,20% 16,80% 20,00% 19,90% 18,20% 21,20% 16,80% 19,10% 21,00% 13,20% 17,40% 19,00% 11,50% 16,80% 16,70% 13,60% 16,90% 14,40% 15,90% 17,10% 12,80% 18,60% 16,70% 12,60% 20,40% 16,70% 12,70% 19,30% 15,70% 11,20% TIPS n.d n.d n.d n.d n.d n.d n.d 0,70% 1,80% 2,90% 3,80% 4,60% 4,40% 4,80% 5,80% 7,50% 9,30% 10,40% 10,00% Tabella 17: Riassunto statistiche descrittive tassi d'interesse a lungo termine e tassi di inflazione per vari paesi. Tassi interesse r_uk r_f r_g Periodo 1880- 1913 Media Dev.Standard 2,84 0,26 3,25 0,3 3,68 0,23 r_us r_uk r_c r_g r_f Periodo 1960- 1971 Media Dev. Standard 5,02 1,17 6,8 1,18 5,97 1,04 6,85 0,88 6,58 1,18 r_us r_uk r_g r_f Periodo 1995-2008 Media Dev. Standard 5,11 1 5,48 1,25 4,72 1 4,85 1,09 Tassi inflazione infl_uk infl_f infl_g Periodo 1880-1913 Media Dev. Standard nd nd nd nd nd nd infl_us infl_uk infl_c infl_g infl_f Periodo 1960-1971 Media Dev.Standard 2,8 2,91 4,4 5,59 2,66 4,69 2,71 4,03 4,1 4,1 infl_us Infl_uk Infl_g infl_f Periodo 1995-2008 Media Dev.Standard 2,44 4,54 1,86 4,38 1,55 3,63 1,6 2,92 Fonte: Per il periodo dal 1880 al 1913 Homer e Sylla (1996), per i restanti due periodi OECD database 2008. Note: i tassi per il periodo 1880- 1913 rappresentano rendite perpetue, i restanti sono tassi decennali. 192 Figura 1: rendimenti medi annui consolidati britannici e rentes francesi, 1810-1913. 10 8 6 4 2 rendimento consolidati inglesi Fonte: H. Sidney, R. Sylla (1995), Storia dei tassi d'interesse, pagina 311 . 193 rendimento rentes francesi 1910 1905 1900 1895 1890 1885 1880 1875 1870 1865 1860 1855 1850 1845 1840 1835 1830 1825 1820 1815 0 1810 rendimento medio annuo % Rendimenti medi annui consolidati inglesi e rentes francesi, 1810-1913 Figura 2: saldo di conto corrente britannico in rapporto al PIL, 1850-1944. Fonte: Jones-Obstefeld database, 1996, NBER. www.nber.org/nberhistory . 194 Figura 3: saldo di conto corrente americano in rapporto al PIL, 1960-2008. Saldo di conto corrente/PIL, percentuale 19 60 19 63 19 66 19 69 19 72 19 75 19 78 19 81 19 84 19 87 19 90 19 93 19 96 19 99 20 02 20 05 20 08 2,00% 1,00% 0,00% -1,00% -2,00% -3,00% -4,00% -5,00% -6,00% -7,00% Saldo di conto corrente/PIL Fonte: Federal Reserve di St. louis database (FRED) 2009. 195 Figura 4: Trade weighted exchange index: maggiori valute, da Marzo 2000 a Settembre 2009. Trade weighted exchange index: valute principali 120,00 110,00 100,00 90,00 80,00 70,00 60,00 03/01/2000 03/01/2002 03/01/2004 03/01/2006 03/01/2008 Trade weighted exchange index: valute principali Fonte: Board of Governor of the Federal Reserve System, settembre 2009 Note: maggiori valute: euro, dollaro canadese, yen, sterlina, dollaro australiano, franco svizzero e corona svedese. 196 Figura 5: dislocazione geografica dei surplus e dei deficit di partite correnti, 2008. Fonte: IMF database 2008. Surplus> 50 miliardi 0<surplus<50 miliardi 0<deficit<50 miliardi 197 Deficit>50 miliardi Figura 6: a chi è in mano il debito estero americano? Fonte: Limes n 5, Ottobre 2009 e www.limesonline.it . 198 Figura 7: importazioni americane dalla Cina, miliardi di dollari, 1995-2008. 400 300 200 100 0 19 95 19 96 19 97 19 98 19 99 20 00 20 01 20 02 20 03 20 04 20 05 20 06 20 07 20 08 Miliardi di dollari Importazioni dalla Cina degli Stati Uniti,miliardi di dollari 1995-2008 imp dalla Cina Fonte: Federal Reserve di St. louis database (FRED) 2009. 199