Introduzione alle Simmetrie Quantistiche.

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Introduzione alle Simmetrie Quantistiche.
Capitolo 11
Introduzione alle Simmetrie
Quantistiche.
In questo capitolo continueremo la presentazione della struttura matematica della Meccanica
Quantistica, introducendo alcune nozioni fondamentali e strumenti matematici di grande rilievo.
La prima sezione è dedicata alla nozione e caratterizzazione di simmetra quantistica. Dopo avere
dato qualche esempio, ed avere discusso quallo che accade in presenza di regole di superselezione,
daremo la definizione di simmetria nel senso di Kadison e poi di simmetria nel senso di Wigner.
Dimostreremo poi i teoremi di Wigner e Kadison che provano che le due nozioni coincidono e
sono implementate da operatori unitari oppure anti unitari.
Nella seconda sezione, passeremo quindi al problema della rappresentazione di gruppi di simmetria, introducendo le nozioni di rappresentazioni proiettive, unitarie proiettive e di estensione
centrale di un gruppo (di simmetria) tramite U (1).
La terza sezione sarà inizialmente dedicata alla nozione di gruppo di simmetria topologico ed allo
studio delle rappresentazioni unitarie proiettive fortemente continue. Esamineremo, in particolare il caso notevole del gruppo topologico abeliano R, che ha importanti applicazioni in Meccanica
Quantistica. Successivamente, dopo avere richiamato alcune definizioni e risultati generali della
teoria dei gruppi ed algebre di Lie, presenteremo alcuni importanti risultati dovuti a Bargmann,
Gårding e Nelson (ed alcune generalizzazioni di tali risultati), riguardanti le rappresentazioni
unitarie proiettive ed unitarie di gruppi di Lie. A titolo di esempio di grande importanza fisica
studieremo le rappresentazioni unitarie del gruppo di simmetria SO(3) in realzione allo spin.
Per concludere, applicheremo tutta la teoria presentata al gruppo di Galileo fino ad enunciare e
provare la regola di Bargmann di superselezione della massa.
11.1
Nozione e caratterizzazione di simmetrie quantistiche.
Una nozione estremamente importante in meccanica quantistica, anche per gli sviluppi successivi
nelle teorie quantistiche dei campi, è la nozione di simmetria di un sistema quantistico. In
393
realtà esistono due nozioni di simmetria, una dinamica ed una più elementare, che non coinvolge
l’evoluzione temporale. In questa sezione ci occuperemo del caso più elementare.
Consideriamo un sistema fisico S, descritto nello spazio di Hilbert HS e con spazio degli stati
S(HS ) e sottoinsieme degli stati puri Sp (HS ). Quando agiamo con una trasformazione fisica g
sul sistema S, ne alteriamo lo stato quantistico. Alla trasformazione fisica g corrisponderà quindi
un’applicazione γg : S(HS ) → S(HS ) nello spazio degli stati oppure, volendoci restringere agli
stati puri: γg : Sp (HS ) → Sp (HS ). Il legame tra g e γg per il momento non ci interessa ed
ammetteremo solo che sia noto; in ogni caso dipenderà dalla descrizione matematica di S. Se
γg soddisfa certi requisiti che preciseremo in seguito, γg viene detta simmetria del sistema. Con
abuso di linguaggio diremo a volte che g stessa è una simmetria del sistema quando lo è γg . I
requisiti affinché γg sia una simmetria sono due:
(a) che γg sia biettiva,
(b) che conservi qualche struttura matematica, per il momento non ancora specificata, dello
spazio degli stati S(HS ) o in quello degli stati puri Sp (HS ), che abbia qualche significato fisico
preciso.
Da un punto di vista fisico, il requisito (a) può essere in realtà imposto sulla trasformazione
fisica g che agisce sul sistema, e corrisponde alla richiesta che g sia reversibile, cioè che (i) esista
una trasformazione fisica inversa g−1 , associata all’applicazione γg−1 : S(HS ) → S(HS ), che
ritrasformi il sistema, rispettivamente, lo stato quantistico, nella situazione iniziale, e (ii) si deve
poter raggiungere qualsiasi configurazione del sistema, rispettivamente, qualsiasi stato quantistico, attraverso l’azione di g, rispettivamente di γg , scegliendo opportunamente la situazione di
partenza.
Le differenze tra le varie nozioni note di simmetria dipendono dalla precisazione del requisito
(b), cioè dal tipo di struttura che rimane invariata sotto l’azione di γg . La struttura più semplice
che tale applicazione può conservare è quella convessa dello spazio degli stati, che corrisponde
fisicamente al fatto che uno stato si possa costruire miscelando altri stati con certi pesi statistici.
Le operazioni di simmetria, in questo caso, alterano lo stato, ma non alterano i pesi statistici
usati nella miscela. Questo genere di simmetrie quantistiche sono quelle definite da Kadison1 .
Un seconda classe di simmetrie è quella dovuta a Wigner2 e si riferisce alle funzioni che agiscono
da Sp (HS ) in Sp (HS ) e richiede che le simmetrie preservino la struttura di spazio metrico che
ha lo spazio dei raggi. Tradotto nel linguaggio fisico, le trasformazioni modificano gli stati puri,
ma lasciano invariate le probabilità di transizione tra coppie di stati puri. Una terza classe, della
quale non ci occuperemo, è quella individuata da Segal3 che concerne la struttura di algebra di
Jordan delle osservabili. Nel seguito studieremo i primi due tipi di simmetrie e proveremo che, a
livello matematico, sono in realtà la stessa cosa, ma anche che sono sempre descritte dall’azione
1
Vedi R. Kadison, Isometries of Operator Algebras, Annals of Mathematics, 54 325-338, 1951.
E. Wigner, Group Theory and its Applications to the Quantum Theory of Atomic Spectra, Academic Press,
1959.
3
I. Segal, Ann. Math. 48, 930-940 (1947)
2
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di operatori unitari oppure anti unitari (quindi le simmetrie di Wigner si possono estendere a
simmetrie di Kadison su tutto lo spazio degli stati). Questo risultato di caratterizzazione delle
simmetrie in termini di operatori unitari o antiunitari è di enorme importanza in fisica ed è stato
formulato in due teoremi che portano il nome di Teorema di Kadison e Teorema di Wigner
rispettivamente. Il secondo è molto più noto del primo tra i fisici, anche se il primo è almeno
altrettanto importante.
11.1.1
Qualche esempio.
Prima di entrare nei dettagli matematici, facciamo qualche esempio di operazioni fisiche che
risultano essere simmetrie di sistemi quantistici (sia di Wigner che di Kadison).
Descrivendo un sistema fisico isolato S in un certo sistema di sistema di riferimento inerziale I,
una trasformazione che, come ben noto, produce una simmetria di S, è ogni traslazione rigida di
S secondo un fissato vettore, oppure la rotazione di un qualsiasi angolo attorno ad ogni fissato
asse asse. In altre parole le isometrie continue dello spazio di quiete dei riferimenti inerziali
producono simmetrie quantistiche. Un’altra trasformazione è il cambiamento di sistema di riferimento inerziale (anche nelle teorie relativistiche) nel senso che segue. Trasformiamo il sistema
isolato S nel riferimento inerziale I, in modo tale che il sistema fisico trasformato appaia, in un
altro sistema di riferimento inerziale I′ 6= I, come appariva all’inizio in I. Infine, un altro tipo
di trasformazione, per sistemi fisici isolati descritti in riferimenti inerziali, che produce simmetrie è la traslazione temporale (da non confondersi con l’evoluzione temporale) che discuteremo
più avanti.
Si deve notare che questo genere di trasformazioni sono tutte attive, nel senso che cambiano il
sistema S (il suo stato quantistico).
Bisogna anche avere ben chiaro che le trasformazioni di cui parliamo non avvengono in seguito
ad evoluzione dello stato del sistema: sono trasformazioni ideali, cioè puramente matematiche.
Tra l’altro, alcune di esse non potrebbero mai avvenire nella realtà in seguito all’evoluzione temporale del sistema secondo la propria legge dinamica, o potrebbero avvenire molto difficilmente.
Un tipico esempio è l’inversione di parità . Con questa trasformazione fisica, il sistema S viene
sostituito da un nuovo sistema che corrisponde all’immagine del sistema riflessa in uno specchio.
In certi casi l’unico modo di ottenere in pratica l’inversione di parità è quello, idealmente, di distruggere il sistema e ricostruirne uno che corrisponde all’immagine speculare di quello iniziale.
In taluni casi anche questa operazione astratta non è fisicamente sensata a causa della natura
delle stesse leggi fisiche. Le particelle che interagiscono tramite l’interazione debole costituiscono, sorprendentemente, sistemi i cui stati non ammettono l’inversione di parità come simmetria
in un senso molto drastico: nello spazio degli stati non vi è alcuna trasformazione γ che rappresenti la trasformazione fisica ideale d’inversione di parità . Questo significa, semplicemente, che
la presunta simmetria non è , in realtà , una simmetria del sistema.
Un altro genere di trasformazione che ha alcune particolarità in comune con l’inversione di parità e che, talvolta, è associata a simmetrie, è l’inversione del tempo. Le simmetrie illustrate fino
ad ora sono relative da isometrie spaziotemporali. Benché siano sempre trasformazioni attive
sugli stati, sono legate a trasformazioni passive di cambiamento di sistema di riferimento (o
395
semplicemente di coordinate) per mezzo di isometrie passive dello spaziotempo. In questo caso
ci si aspetta (ma come visto non è sempre vero) che le trasformazioni attive sugli stati siano
simmetrie, proprio in conseguenza del fatto che, i diversi sistemi di riferimento o coordinate
connessi dalle corrispondenti trasformazioni passive (trasformazioni di Galileo o trasformazioni
di Poincaré ) che usiamo per descrivere la realtà (almeno a livello macroscopica), sono equivalenti. In altre parole, se agisco sul sistema fisico S con una di queste trasformazioni attive, posso
comunque annullare l’effetto della trasformazione cambiando riferimento (o semplicemente coordinate) e con la garanzia che il nuovo riferimento sia fisicamente equivalente al precedente.
Ci sono trasformazioni associabili a simmetrie che, a differenza di tutte quelle menzionate fino
ad ora, non sono associate ad isometrie dello spaziotempo e non sono annullabili cambiando
riferimento. Un tipico esempio è la coniugazione di carica, attraverso la quale si cambia segno a
tutte le cariche (del genere considerato) presenti in S e si cambia quindi settore di superselezione della carica. Esistono infine trasformazioni ancora più astratte legate a simmetrie interne e
simmetrie di gauge, sulle quali non ci soffermiamo.
Per concludere vogliamo sottolineare un fatto molto importante dal punto di vista fisico. La
lezione che si impara dal caso delle interazioni deboli è che la questione se una trasformazione
agente, idealmente, su un sistema rappresenti o meno una simmetria quantistica è , in ultima
analisi e dopo che il requisito (b) è stato specificato, un fatto da decidere a livello sperimentale.
Dopo avere enunciato e provato i teoremi di Kadison e Wigner, ci occuperemo della descrizione delle simmetrie, in termini di operatori unitari o antiunitari, nella situazione in cui le trasformazioni fisiche abbiano la struttura di un gruppo algebrico, topologico o di Lie [War75, NaSt84].
Nel prossimo capitolo ci occuperemo delle simmetrie dinamiche, che vengono introdotte nel
momento in cui viene definita la nozione di evoluzione temporale dello stato quantistico di un
sistema S. In questo contesto, si ritroverà lo stretto legame tra esistenza di simmetrie dinamiche
ed esistenza di associate leggi di conservazione (come ben noto, a livello classico, codificato dalle
varie formulazioni del celebre teorema di Nöther).
11.1.2
Simmetrie in presenza di regole di superselezione.
Se M è un sottospazio chiuso dello spazio di Hilbert H possiamo identificare in modo naturale
S(M ) (Sp (M )) con un sottoinsieme di S(H) (rispettivamente di Sp (H)), pensando S(M ) (risp.
Sp (M )) come il sottoinsieme che contiene gli stati ρ ∈ S(H) (risp. Sp (H)), tali che Ran(ρ) ⊂ M .
Tale identificazione è equivalente ad estendere ogni ρ ∈ S(M ) ad un operatore definito su tutto
H, imponendo che sia l’operatore nullo su M ⊥ . In tutto il resto del capitolo assumeremo tacitamente tale identificazione. L’esistenza di tale identificazione risulta essere utile nella situazione
che andiamo a considerare ora.
Ricordiamo che, in talune situazioni, gli stati possibili per un sistema fisico non sono tutti gli
elementi di S(HS ) (o Sp (HS ) nel caso di stati puri), ma sono in numero ridotto perché alcune
combinazioni convesse di stati sono vietate. Questo accade in presenza di regole di superselezione (vedi cap.7). Senza ripetere quanto abbiamo spiegato precedentemente, diciamo solo che nel
caso di presenza di regole di superselezione si ha una decomposizione di HS nella somma diretta
396
in sottospazi chiusi ortogonali detti settori coerenti:
HS =
M
HSk .
k∈K
Possiamo allora definire gli spazi degli stati e degli stati puri di ciascun settore S(HSk ), Sp (HSk ).
Si noti che S(HSk ) ∩ S(HSj ) = ∅ e Sp (HSk ) ∩ Sp (HSj ) = ∅ se k 6= j. Per quanto riguarda gli
stati puri fisicamente ammissibili dalla regola di superselezione per il sistema fisico S descritto
su H, questi saranno tutti e soli quelli dell’insieme:
[
Sp (HSk ) .
k∈K
Gli stati misti fisicamente ammissibili dalla regola di superselezione per il sistema fisico S descritto su H saranno invece tutte e sole le possibili le combinazioni lineari convesse (anche infinite
in riferimento alla topologia operatoriale forte) degli elementi dell’insieme:
[
S(HSk ) .
k∈K
Quanto appena scritto è equivalente alla richiesta che gli stati fisicamente ammissibili siano gli
elementi ρ di S(HS ) (o Sp (HS )) che ammettano ogni sottospazio HSk come spazio invariante.
In questa situazione le simmetrie devono rispettare la struttura della decomposizione in stati
coerenti e quello che si assume è che si possano avere simmetrie tra settori anche distinti, quindi
funzioni: γkk′ : S(HSk ) → S(HSk′ ), k, k′ ∈ K. Eventualmente può essere k′ = k, ma ci si
aspetta che le simmetrie, in generale, possano mischiare i vari settori. Ogni applicazione γkk′ :
S(HSk ) → S(HSk′ ) deve essere biettiva e soddisfare il requisito d’invarianza di Wigner o di
Kadison.
11.1.3
Simmetrie nel senso di Kadison.
Consideriamo un sistema fisico quantistico S descritto sullo spazio di Hilbert HS e con spazio
degli stati γ(HS ). Una richiesta (fisicamente molto debole) per definire una simmetria è quella
che si riferisce alla procedura di miscela degli stati quantistici. Un’operazione sul sistema definisce una simmetria del sistema se la costruzione di miscele è invariante rispetto ad essa. In
termini precisi:
se uno stato si può ottenere come una miscela di altri stati, con certi pesi statistici, allora, trasformando il sistema secondo un’operazione fisica che individua una simmetria del sistema, lo
stato trasformato si deve poter ottenere come miscela degli stati trasformati della miscela iniziale, con gli stessi pesi statistici.
In altre parole un’applicazione biettiva γ : S(HS ) → S(HS ) rappresenta una simmetria del
sistema quando conserva la struttura di insieme convesso di S(HS ): se ρi ∈ S(HS ), 0 ≤ pi ≤ 1
P
e i∈J pi = 1, allora:
!
γ
X
pi ρi
=
X
i∈J
i∈J
397
pi γ(ρi ) .
Nel seguito assumeremo che J sia finito. In tal caso è ovvio che, senza perdere generalità , possiamo ridurci ad imporre il vincolo di sopra con J composto da due soli elementi. Possiamo dare
la seguente definizione, che non è proprio quella dovuta a Kadison – la si ottiene comunque con
una procedura di dualità – ma è più conforme con il nostro approccio.
Diamo la definizione formalmente, tenendo conto della possibile presenza di settori coerenti di
superselezione.
Definizione 11.1 (Simmetria di Kadison). Si consideri un sistema fisico quantistico S
descritto sullo spazio di Hilbert HS . Si supponga che HS sia decomposto in settori coerenti
HS = ⊕k∈K HSk .
Una simmetria (di Kadison) di S dal settore HSk al settore HSk′ , con k, k′ ∈ K, è un’applicazione
γ : S(HSk ) → S(HSk′ )
che goda delle due seguenti proprietà :
(a) γ è biettiva;
(b) γ conserva la struttura convessa di S(HSk ) e S(HSk′ ). In altre parole:
γ (p1 ρ1 + p2 ρ2 ) = p1 γ(ρ1 ) + p2 γ(ρ2 )
se ρ1 , ρ2 ∈ S(HS ), p1 + p2 = 1 e p1 , p2 ∈ [0, 1].
(11.1)
Nel caso in cui lo spazio di Hilbert H non contenga settori coerenti, ogni γ : S(H) → S(H), che
sia biettiva e conservi la struttura di insieme convesso, è detta automorfismo di Kadison su H.
Un esempio di simmetria nel senso della definizione 11.1 è quella indotta da un operatore U :
HSk → HSk′ che sia unitario o antiunitario (definizione 5.10), definendo
γ (U ) (ρ) := U ρU −1
per ogni ρ ∈ S(HSk ) .
(11.2)
Dimostriamolo. Abbiamo bisogno di un lemma elementare.
Lemma 11.1 Sia U : H → H′ un operatore antiunitario dallo spazio di Hilbert H allo spazio
di Hilbert H′ e N ⊂ H una base hilbertiana. Allora U = V C, dove V : H → H′ è un operatore
unitario e C : H → H è un operatore di coniugazione (definizione 5.11) naturale associata a N
definita da:
X
(z|ψ)z .
Cψ :=
z∈N
P
Prova. Definendo V ψ := z∈N (z|ψ)U z, la dimostrazione segue immediatamente dalla proprietà di antiisometricità e continuità di ogni operatore antiunitario e dalle proprietà elementari
delle basi hilbertiane, in particolare si osservi che {U z}z∈N è ancora una base hilbertiana. 2
Possiamo allora enunciare e provare la annunciata.
398
Proposizione 11.1. Sia U : HSk → HSk′ un operatore unitario (cioè isometrico e suriettivo)
oppure antiunitario, sullo spazio di Hilbert HS , associato al sistema quantistico S con spazio
degli stati S(H) e dove HSk e HSk′ sono due settori coerenti. γ (U ) : S(HSk ) → B(H) definita in
(11.2) è una simmetria di Kadison per S dal settore HSk al settore HSk′ .
Prova. La proprietà (11.1) è banalmente vera in ciascuna delle due ipotesi per U (si osservi
che non lo sarebbe se permettessimo ai coefficienti pi di essere complessi). Dimostriamo che
γ (U ) (ρ) ∈ S(HSk′ ) se ρ ∈ S(HSk ). Assumiamo inizialmente che U sia unitario. Se ρ è di classe
traccia in HS lo deve essere anche U ρU −1 , dato che lo spazio degli operatori di classe traccia è un
ideale bilatero in B(HS ) per (b) in teorema 4.7 interpretando U ρU −1 come una composizione
di operatori di B(HS ). Per fare ciò è sufficiente, pensare ρ come operatore in S(HS ) che è nullo
sull’ortogonale di
sHSk e ρ(HSk ) ⊂ HSk quindi estendere U e U −1 come operatori nulli sull’ortogonale di HSk
e HSk′ rispettivamente, estendendoli in tal modo ad operatori in B(HS ). Se ρ ≥ 0 allora
(ψ|U ρU −1 ψ) = (U ∗ ψ|ρU ∗ ψ) ≥ 0 e pertanto γ (U ) (ρ) ≥ 0. Infine, usando una base€hilbertiana
Š
data dall’unione di una base hilbertiana in HSk e una in (HSk )⊥ si ha subito che tr γ (U ) (ρ) =
tr U ρU −1 = tr(U −1 U ρ) = tr(ρ) = 1. Nell’ultimo passaggio, calcolando la traccia sulla base
prima menzionata, abbiamo usato l’identità U −1 U ↾HSk = I ↾HSk ed abbiamo tenuto conto del
fatto che ρ = 0 su (HSk )⊥ . Pertanto γ (U ) (ρ) ∈ S(HSk′ ) se ρ ∈ S(HSk ). Passiamo al caso
di U antiunitario. Decomponiamo U come detto nel lemma 5.1: U = V C, in riferimento alla
base hilbertiana N ⊂ HS che preciseremo più avanti. Mostriamo che U ρU −1 è positivo, di
classe traccia e con traccia unitaria. Dato che V è unitario (nel qual caso la tesi vale per la
dimostrazione appena fatta) e che U ρU −1 = V (CρC −1 )V −1 , è sufficiente dimostrare la tesi per
U = C. Specializziamo N , e quindi C, ad una base Hilbertiana N costituita di autovettori ψ
dell’operatore ρ (che esiste per il teorema 4.3 di Hilbert) e pertanto, se φ ∈ H:
ρφ =
X
pψ (ψ|φ)ψ .
ψ∈N
Di conseguenza, usando il fatto che C è continuo ed antilineare, che vale CC = I e (f |g) =
(Cf |Cg) per definizione di coniugazione, che ogni autovettore di ρ, pψ è reale (e positivo) e,
infine, che Cψ = ψ, otteniamo:
CρC −1 φ =
X
pψ (ψ|Cφ)Cψ =
X
ψ∈N
pψ (CCψ|Cφ)Cψ =
ψ∈N
ψ∈N
=
X
pψ (Cψ|φ)Cψ =
X
pψ (ψ|Cφ)ψ = ρφ .
ψ∈N
Abbiamo provato che CρC −1 = ρ e quindi CρC −1 è di classe traccia, positivo e con traccia pari
a 1 se ρ ∈ S(HSk ). 2
Esempi 11.1. Nel caso in cui la regola di superselezione sia quella della carica elettrica di un
sistema fisico, ci saranno (in generale infiniti) settori Hq uno per ogni valore fissato della carica
399
q. La coniugazione di carica può essere costruita come una classe di simmetrie tra settori di tipo
γ (Uq ) e vale che Uq : Hq → H−q per ogni valore di q.
Mostreremo più avanti che, in realtà , tutte le simmetrie di Kadison hanno la struttura (11.2) per
qualche operatore unitario o antiunitario U dipendente dalla simmetria. Questo è l’enunciato
del famoso teorema di Kadison.
11.1.4
Simmetrie nel senso di Wigner.
Passiamo ora alla nozione di simmetria quantistica nel senso proposto da Wigner. Consideriamo il solito sistema quantistico S descritto sullo spazio di Hilbert HS e con spazio degli stati
S(HS ). Concentriamo l’attenzione sull’insieme degli stati puri Sp (HS ) (cioè sui raggi di HS ).
Restringiamoci a trasformazioni δ : Sp (HS ) → Sp (HS ). Dal punto di vista sperimentale possiamo controllare le probabilità di transizione |(ψ|ψ ′ )|2 = tr(ρρ′ ) tra due stati puri ρ = ψ(ψ| ) e
ρ′ = ψ ′ (ψ ′ | ). La richiesta di Wigner perché una funzione biettiva δ : Sp (HS ) → Sp (HS ) sia una
simmetria è che preservi le probabilità di transizione. Se due stati puri hanno una certa probabilità di transizione, allora, trasformando il sistema secondo un’operazione fisica che individua
una simmetria del sistema, gli stati trasformati devono avere la stessa probabilità di transizione
di quelli iniziali.
Possiamo dare la definizione seguente che tiene anche conto della possibile presenza di settori
coerenti.
Definizione 11.2 (Simmetria di Wigner). Si consideri un sistema fisico quantistico S
descritto sullo spazio di Hilbert HS e con spazio degli stati S(HS ). Si supponga che HS sia
decomposto in settori coerenti HS = ⊕k∈K HSk .
Una simmetria (di Wigner) di S dal settore HSk al settore HSk′ , con k, k′ ∈ K, è un’applicazione
δ : Sp (HSk ) → Sp (HSk′ )
che goda delle due seguenti proprietà :
(a) δ è biettiva;
(b) δ conserva le probabilità di transizione. In altre parole:
T r (ρ1 ρ2 ) = tr (δ(ρ1 )δ(ρ2 ))
se ρ1 , ρ2 ∈ Sp (HSk ) .
(11.3)
Nel caso in cui lo spazio di Hilbert H non contenga settori coerenti, ogni δ : S(H) → S(H), che
sia biettiva e che conservi le probabilità di transizione, è detta automorfismo di Wigner su H.
Un esempio di simmetria nel senso della definizione 10.2, come nel caso delle simmetrie di
Kadison, è quella indotta da un operatore U : HSk → HSk′ che sia unitario o antiunitario
(definizione 5.10), definendo:
δ(U ) (ρ) := U ρU −1
per ogni ρ ∈ Sp (HSk ) .
400
(11.4)
A differenza del caso delle simmetrie di Kadison, qui la verifica è veramente immediata.
Osservazioni.
(1) Dato che gli stati puri sono tutti del tipo ψ(ψ| ) con ||ψ|| = 1, l’azione di δ(U ) sugli stati
puri è equivalentemente descrivibile, con una certa improprietà di linguaggio, dicendo che δ(U )
trasforma lo stato puro ψ nello stato puro U ψ. Questo è la maniera in cui, molto spesso, si descrivono le simmetrie indotte dagli operatori (anti)unitari nei manuali di Meccanica Quantistica.
(2) Ogni simmetria di Kadison mappa stati puri in stati puri e pertanto definisce un’applicazione
biettiva sullo spazio degli stati puri. Tuttavia non è detto, a priori, che definisca una simmetria
di Wigner, perchè non è affatto evidente che conservi le probabilità di transizione.
Una simmetria nel senso di Wigner non si estende in modo ovvio dalla classe degli stati puri
a quella degli stati misti. Pertanto non è ovvio che le due nozioni di simmetria siano la stessa.
Tuttavia ogni operatore unitario oppure anti unitario individua contemporaneamente una simmetria di Wigner ed una di Kadison tramite la mappa ρ 7→ U ρU −1 . Questa sarà l’osservazione
per provare che le due simmetrie sono in realtà la stessa cosa.
Mostreremo nella prossima sezione che tutte le simmetrie di Wigner tra coppie di settori hanno
la struttura (11.4) per qualche operatore unitario o antiunitario U dipendente dalla simmetria.
Questo è l’enunciato del famoso teorema di Wigner.
Per concludere, possiamo dare una nozione di simmetria di Wigner in senso generale, senza
precisare i settori.
Definizione 11.3 (Simmetria di Wigner generale). Si consideri lo spazio di Hilbert HS
del sistema S e si assuma che sia decomposto in settori coerenti, in modo che gli stati puri
fisicamente ammissibili siano solo gli elementi dell’insieme:
[
Sp (HS )ammiss :=
Sp (HSk ) .
k∈K
Una simmetria di Wigner δ (senza specificare i settori) è un’applicazione da Sp (HS )ammiss
in Sp (HS )ammiss biettiva che conserva le probabilità di transizione.
In realtà questa definizione si può ricondurre alla definizione di simmetria di Wigner tra coppie
settori nel modo che segue.
Proposizione 11.2. Sia δ una simmetria di Wigner del sistema S e si assuma che lo spazio
di Hilbert HS di S sia decomposto in settori coerenti, in modo che gli stati puri fisicamente
ammissibili siano solo gli elementi dell’insieme:
Sp (HS )ammiss =
[
k∈K
401
Sp (HSk ) .
Allora esiste una funzione biettiva f : K → K e una classe di simmetrie di Wigner, con settori
fissati,
δf,f (k) : Sp (HSk ) → Sp (HSf (k) ) con k ∈ K,
tali che δ↾Sp (HSk ) = δf,f (k) per ogni k. In questo senso δ non è altro che una classe di simmetrie
di Wigner che scambiano i settori senza sovrapporsi.
Prova. Si definisca su Sp (HS ) la distanza d(ρ, ρ′ ) := ||ρ − ρ′ ||1 := tr(|ρ − ρ′ |), dove || ||1 è la
norma naturale nello spazio degli operatori di classe traccia. Con questa definizione risulta
che gli insiemi Sp (HSk ) sono le componenti connesse di Sp (HS )ammiss (vedi esercizi 11.1). La
funzione δ : Sp (HS )ammiss → Sp (HS )ammiss è un isometria biettiva in riferimento alla distanza
d, in particolare è un omeomorfismo. Pertanto trasforma insiemi connessi massimali in insiemi
connessi massimali e di conseguenza si deve decomporre in isometrie biettive che operano tra
coppie di settori differenti, cioè simmetrie di Wigner tra coppie di settori differenti. 2
11.1.5
Teoremi di Wigner, di Kadison.
Cominciamo ad enunciare e provare il teorema di Wigner. Successivamente, usando tale risultato, proveremo il teorema di Kadison. L’enunciato dei due teoremi permette di definire in
modo elementare un’azione duale delle simmetrie sulle osservabili del sistema quantistico, come
vedremo dopo avere dimostrato il teorema di Kadison.
La dimostrazione del teorema di Wigner che daremo ora è molto diretta. Ne esistono di più eleganti,
ma indirette, come quella dovuta Bargmann4 . Quella che presenteremo ha il merito di mostrare
esplicitamente come si costruisce U su una base hilbertiana.
Teorema 11.1 (Teorema di Wigner) Si consideri un sistema fisico quantistico S descritto
sullo spazio di Hilbert (complesso separabile) HS . Si supponga che HS sia decomposto in settori
coerenti HS = ⊕k∈K HSk (dove eventualmente K = ∅ ed in tal caso quanto segue vale sostituendo
ovunque HSk e HSk′ con HS ). Se la funzione:
δ : Sp (HSk ) → Sp (HSk′ )
è una simmetria (di Wigner) di S dal settore HSk al settore HSk′ , con k, k′ ∈ K, allora valgono
i fatti seguenti.
(a) Esiste un operatore U : HSk → HSk′ , unitario oppure antiunitario (e la scelta è fissata da δ
stessa), tale che:
δ(ρ) = U ρU −1 per ogni stato puro ρ ∈ Sp (HSk ).
(11.5)
(b) U è determinato a meno di una fase, cioè U1 e U2 (entrambi unitari oppure entrambi antiunitari) soddisfano (11.5) (sostituendo separatamente ciascuno di essi a U ) se e solo se U2 = χU1
dove χ ∈ C con |χ| = 1.
4
J. Bargamann, J. math. Phys. 5, 862-868, (1964).
402
(c) Se {ψn }n∈N è una base hilbertiana di HSk e scegliamo i vettori ψn′ ∈ HSk′ in modo tale che
ψn′ (ψn′ | ) = δ (ψn′ (ψn′ | )), allora {ψn′ }n∈N è base hilbertiana di HSk′ , inoltre un operatore U che
soddisfa (11.5) risulta essere:
U :ψ=
X
n∈N
oppure:
U :ψ=
X
n∈N
an ψn 7→
an ψn 7→
X
an ψn′
nel caso unitario,
n∈N
X
an ψn′
nel caso antiunitario.
n∈N
Prova. (b) Prima di tutto mostriamo che U , se esiste, è unico a meno di una fase. Ovviamente,
se U1 soddisfa la tesi rispetto a δ, allora U2 := χU1 la soddisferà ancora se χ ∈ C con |χ| = 1.
Mostriamo che questo è l’unico caso possibile. Supponiamo che esistano U1 e U2 (entrambi
unitari oppure anti unitari) che soddisfino la tesi in riferimento a δ. Deve accadere che, se
ρ = ψ(ψ| ), allora, posto L := U1−1 U2 , vale Lψ(ψ|L−1 φ) = ψ(ψ|φ) per ogni coppia di vettori
normalizzati a 1, ψ, φ. Di conseguenza varrà Lψ(Lψ|φ) = ψ(ψ|φ), dato che L è unitario. In
definitiva, essendo Lψ(Lψ| ) = ψ(ψ| ), Lψ e ψ determinano lo stesso stato puro, per cui deve
essere Lψ = χψ ψ e cioé U1 ψ = χψ U2 ψ, oppure U1 ψ = χψ U2 ψ (se gli operatori sono antiunitari)
per ogni ψ ∈ HSk , e per qualche χψ ∈ C con |χψ | = 1. Moltiplicando i due membri per un
numero c ∈ C, segue che l’identità vale per ogni ψ ∈ HSk . Mostriamo χψ non dipende da ψ.
Scegliendo ψ 6= ψ ′ e a, b ∈ C \ {0}, la linearità di L implica che:
χaψ+bψ′ (aψ + bψ ′ ) = L(aψ + bψ ′ ) = aLψ + bLψ ′ = aχψ ψ + bχψ′ ψ ′ .
Di conseguenza:
a(χaψ+bψ′ − χψ )ψ = b(χψ′ − χaψ+bψ′ )ψ ′ .
Dato che ψ 6= ψ ′ , a, b 6= 0, deve essere (χaψ+bψ′ − χψ ) = 0 e (χψ′ − χaψ+bψ′ ) = 0 e quindi
χψ = χψ′ . Abbiamo ottenuto che, per qualche χ ∈ C con |χ| = 1, vale:
U2 ψ = χU1 ψ
per ogni ψ ∈ HSk .
(a) e (c) Passiamo ora a costruire un operatore U che rappresenti δ. Sia {ψn }n∈N una base hilbertiana di HSk . Ad ognuno dei vettori ψn associamo il corrispondente stato puro ρn := ψn (ψn | ).
Quindi facciamo agire δ su tali stati, ottenendo la classe di stati puri δ(ρn ) = ψn′ (ψn′ |) ∈ Sp (HSk′ ),
dove i vettori unitari ψn′ ∈ HSk′ sono individuati a meno di una fase. Supponiamo di fissare una
volta per tutte tale fase in modo arbitrario. Per prima cosa notiamo che {ψn′ }n∈N è una base
′ )|2 = tr(δ(ρ )δ(ρ )) =
hilbertiana di HSk′ . Infatti, i vettori sono ortonormali valendo: |(ψn′ |ψm
n
m
tr(ρn ρm ) = |(ψn |ψm )|2 = δnm , inoltre ψ ′ ⊥ ψn′ implica ψ ′ = 0 come ora dimostriamo. Sia
ψ ′ ⊥ ψn′ per ogni n ∈ N. Se ψ ′ 6= 0, senza perdere generalità possiamo assumere che ||ψ ′ || = 1 e
definire ρ′ := ψ ′ (ψ ′ | ) ∈ Sp (HSk′ ). Dato che δ è suriettiva, deve essere ρ′ = δ(ρ) con ρ = ψ(ψ| ),
per qualche ψ ∈ HSk con ||ψ|| = 1. Di conseguenza:
|(ψ ′ |ψn′ )|2 = tr(δ(ρ′ )δ(ρ′n )) = tr(ρρn ) = |(ψ|ψn )|2 = 0
403
e quindi deve essere ψ = 0, dato che {ψn }n∈N è base hilbertiana, ma questo è impossibile dato
che ||ψ|| = 1. Deve dunque essere ψ ′ = 0, e quindi {ψn′ }n∈N è base hilbertiana.
Ora, usando le due basi {ψn }n∈N e {ψn′ }n∈N definiremo l’operatore U in varie tappe. Per prima
cosa definiamo i vettori unitari ausiliari:
Ψk := 2−1/2 (ψ0 + ψk )
per k ∈ N \ {0}
ed i corrispondenti stati puri: (Ψk | ) Ψk , per k ∈ N \{0}. Il trasformato δ(Ψk (Ψk | )) = Ψ′k (Ψ′k | )
deve soddisfare, in particolare:
|(Ψ′k |ψn′ )|2 = tr Ψ′k (Ψ′k | )δ(ρn ) = tr (δ(Ψk (Ψk | ))δ(ρn )) = |(Ψk |ψn )|2 =
e deve anche essere ||Ψ′k || = 1. Decomponendo Ψ′k =
P
′
n an ψn ,
δ0n + δkn
,
2
si vede che l’unica possibilità è :
Ψ′k = χ′k 2−1/2 (ψk′ + χk ψk′ )
con |χ′k | = |χk | = 1. Le fasi χk sono individuate da δ mentre le fasi χ′k si possono fissare
arbitrariamente. Le fasi χk portano l’informazione di √
δ e ne faremo uso tra poco.
Cominciamo a definire U sui vettori ψn , (ψ0 + ψk )/ 2 stabilendo che, per definizione, dove
k ∈ N \ {0}:
U ψ0 := ψ0′ ,
U ψk := χk ψk′ ,
U (2−1/2 (ψ0 + ψk )) := 2−1/2 (ψ0′ + χk ψk′ ) .
(11.6)
Con questa scelta siamo sicuri che, se φ è uno dei vettori nell’argomento di U scritti sopra e ρφ
è lo stato puro associato ad esso, allora δ(ρφ ) è associato a U φ.
Ora estenderemo U su ogni vettore:
ψ=
X
n∈N
an ψn ∈ HSk ,
in modo che U continui a rappresentare δ. Assumiamo sopra che ||ψ|| = 1 e che a0 ∈ R \ {0}.
Sia poi ψ ′ ∈ HSk′ con ||ψ ′ || = 1, tale che ψ ′ (ψ ′ | ) = δ(ρψ ). Avremo uno sviluppo:
ψ′ =
X
a′n ψn′ .
(11.7)
n∈N
i coefficienti a′k sono individuati, a meno di una fase globale, dai coefficienti an e da δ. Nelle
nostre ipotesi su δ vale comunque:
|(ψ ′ |ψn′ )|2 = tr(δ(ρψ )δ(ρn )) = tr(ρψ ρn ) = |(ψ|ψn )|2 .
Il risultato si può riscrivere come |a′n | = |an |. Usando questo risultato insieme alle prime due
identità in (11.6) nel secondo membro di (11.7), arriviamo a:
„
Ž
ψ′ = χ
a0 U ψ0 +
X
n∈N\{0}
404
′
χ−1
n an U ψn
,
dove χ, con |χ| = 1, è arbitrario. Possiamo allora definire:
U ψ := a0 U ψ0 +
X
′
χ−1
n an U ψn .
(11.8)
n∈N\{0}
In questo modo siamo sicuri che, per costruzione, U ψ(U ψ| ) = δ(ρψ ) e si verifica che la
definizione appena data di U estende quella già data in (11.6). Tuttavia non abbiamo ancora
completamente definito U ψ, perché non conosciamo quanto valgono i coefficienti a′n in funzione
delle componenti an di ψ. Siamo ora in grado di determinare tale legame. Per costruzione di U
e nelle nostre ipotesi su δ, deve risultare |(Ψk |ψ)| = |(U Ψk |U ψ)|, che significa, facendo uso di
(11.8):
′
|a0 + ak |2 = |a0 + χ−1
k ak | .
Questa identità , tenendo conto che |ak | = |a′k |, implica che:
′
Re(a0 ak ) = Re(a0 χ−1
k ak ) .
Tenendo infine conto del fatto che a0 ∈ R \ {0}, le identità di sopra sono possibili solo in uno dei
seguenti casi:
a′k = χk ak oppure a′k = χk ak .
Di conseguenza, per ogni ψ =
P
n an ψn
con a0 ∈ R \ {0} vale:
ψ′ = U ψ =
X
an ψn′ +
n∈Aψ
X
an ψn′ .
n∈Bψ
Si osservi che, per il fissato vettore ψ, si può sempre sempre scegliere uno dei due insiemi Aψ e
Bψ come vuoto5 . Supponiamo infatti che ciò non sia possibile. Allora per le componenti di ψ
e del corrispondente ψ ′ deve succedere che a′p = χp ap mentre a′q = χq aq , per qualche coppia di
indici p 6= q, dove Imap , Imaq 6= 0. Se φ = 3−1/2 (ψ0 +ψp +ψq ) deve allora essere per costruzione:
|(φ′ |ψ ′ )|2 = |(φ|ψ)|2 ,
dove φ′ := U φ = 3−1/2 (ψ0′ + ψp′ + ψq′ ). L’identità tra i moduli quadri si esplicita in:
|a0 + ap + aq |2 = |a0 + ap + aq |2 ,
cioè , con qualche calcolo:
Re(ap aq ) = Re(ap aq )
che è impossibile nelle nostre ipotesi, perché implica che Imaq = −Imaq .
P
Se ψ = n an ψn ∈ HSk con ||ψ|| = 1 e se a0 ∈ R \ {0}, abbiamo pertanto le due alternative per
definire U ψ:
X
X
an ψn .
(11.9)
Uψ =
an ψn oppure U ψ =
n∈N
n∈N
5
Si osservi che c’è una certa ambiguità nel definire gli insiemi Aψ e Bψ dato che gli indici n degli eventuali
coefficienti an reali possono essere scelti come membri di An oppure Bn indifferentemente.
405
Mostriamo ora che la scelta tra i due casi non dipende da ψ e quindi deve dipendere dalla natura
P
di δ. Consideriamo un generico vettore ψ = n an ψn ∈ HSk con ||ψ|| = 1 e a0 ∈ R \ {0}. Quindi
definiamo il vettore ψ (nc) associato a c ∈ C con Imc 6= 0, per ogni n = 1, 2, . . ., dato da:
1
ψ (nc) := È
1 + |c|2
(ψ0 + cψn ) .
Dovendo essere valido il vincolo: |(ψ|ψ (nc) )| = |(U ψ|U ψ (nc) )|, si vede immediatamente che questo
è possibile solo se ψ (nc) e ψ sono dello stesso tipo tra le due possibilità in (11.9). Di conseguenza
P
tutti i vettori ψ = n an ψn ∈ HSk con ||ψ|| = 1 e a0 ∈ R \ {0} sono dello stesso tipo.
Definiamo ora l’operatore U : HSk → HSk′ dato da:
U :ψ=
X
n∈N
oppure:
U :ψ=
X
n∈N
an ψn 7→
an ψn 7→
X
an ψn′
nel caso lineare,
n∈N
X
an ψn′
nel caso antilineare.
n∈N
Si osservi che, per costruzione, il primo operatore è isometrico surgettivo cioè unitario, il secondo
è antisometrico surgettivo, cioè antiunitario. Si deve osservare che la scelta tra il caso unitario
e quello antiunitario deve dipendere dalla natura di δ e non è possibile rappresentare lo stesso δ
si con un operatore unitario che con uno anti unitario. Questo segue dal fatto che è impossibile
P
P
P
P
che ψ ′ := n∈N an ψn 7→ n∈N an ψn′ e ψ̃ ′ = n∈N an ψn 7→ n∈N an ψn′ differiscano per una
sola fase per ogni scelta dei coefficienti an , cioè del vettore ψ, come dovrebbe essere se ψ ′ e ψ̃ ′
individuassero lo stesso stato puro δ(ψ(ψ| )).
Per costruzione, questo operatore soddisfa U ρU −1 = δ(ρ) purché si possa esprimere ρ ∈ Sp (HSk )
P
come ψ(ψ| ) dove, nello sviluppo ψ = n∈N an ψn , a0 6= 0. Infatti, in tal caso è possibile ridefinire
ψ cambiando una sola fase totale: ψ̃ = χψ, senza alterare ρ = ψ(ψ| ) = ψ̃(ψ̃| ), in modo tale
che, nello sviluppo di ψ̃, ã0 ∈ R \ {0}; a questo punto la costruzione che abbiamo fatto per U
implica che:
U ρU −1 = U ψ(ψ| )U −1 = U ψ̃(ψ̃| )U −1 = U ψ̃(U ψ̃| ) = δ(ρ) .
Rimane da provare che questo risultato vale anche per gli stati puri associati a vettori ψ =
P
n∈N an ψn con a0 = 0. A tal fine notiamo che tutta la costruzione può essere rifatta rimpiazzando ψ0 con un qualsiasi altro vettore di base ψk . In tal caso si trova banalmente che, se
si definisce U esattamente come detto sopra, vale U ρU −1 = δ(ρ) per gli stati puri associati a
P
vettori ψ = n∈N an ψn con ak 6= 0. (Non può accadere che, usando come vettore di riferimento
ψk invece di ψ0 , il nuovo operatore U sia di tipo diverso (lineare o antilineare) di quello definito
P
prendendo come riferimento ψ0 . Infatti, sui vettori ψ = n∈N an ψn con ak 6= 0 e a0 6= 0 insieme,
i due operatori si devono comportare nello stesso modo e questo ne determina il tipo come provato sopra.) L’osservazione fatta conclude la dimostrazione, perché se consideriamo ρ ∈ Sp (HSk )
P
e ρ = ψ(ψ| ), con ψ = n∈N an ψn , e a0 = 0, ci deve essere comunque almeno un coefficiente
ak 6= 0 essendo ||ψ|| = 1. Pertanto possiamo rifare la dimostrazione di sopra rimpiazzando ψ0
406
con quel ψk . 2
Passiamo ora al teorema di Kadison con una procedura di riduzione al teorema di Wigner dovuta
a Roberts e Roepstorff6 . Per prima cosa dimostriamo parte del teorema nel caso bidimensionale.
Proposizione 11.3. Se H è uno spazio di Hilbert bidimensionale e se γ : S(H) → S(H) è un
automorfismo di Kadison, allora esiste U : H → H unitario oppure anti unitario tale che:
γ(ρ) = U ρU −1
per ogni ρ ∈ S(H).
Prova. Per prima cosa caratterizziamo geometricamente gli stati e gli stati puri su H attraverso la
cosiddetta sfera di Poincarè . Uno stato ρ ∈ S(H) è , nel caso in esame, una matrice hermitiana
positiva con traccia pari a 1. Lo spazio vettoriale reale delle matrici hermitiane possiede una
base costituita dall’identità I e dalle 3 matrici di Pauli:
–
™
–
™
–
™
0 1
0 −i
1 0
, σ2 =
, σ3 =
.
(11.10)
σ1 =
1 0
i 0
0 −1
Quindi, dovrà essere per a, bn ∈ R:
ρ = aI +
3
X
bn σ n .
n=1
La condizione tr(ρ) = 1 fissa a = 1/2, dato che le tre matrici σn hanno traccia nulla. La richiesta
di positività , cioè
È la richiesta che gli autovalori di ρ siano entrambi positivi, risulta allora essere
equivalente a b11 + b22 + b23 ≤ 1/2. La verifica è immediata per computo diretto. In definitiva
gli elementi ρ di S(H) risultano essere in corrispondenza biunivoca con i vettori n ∈ R3 con
||n|| ≤ 1 attraverso la relazione, con ovvie notazioni:
ρ=
1
(I + n · σ) .
2
(11.11)
Infine, la richiesta che ρ sia puro, e cioè che si abbia un unico autovalore pari a 1, è equivalente
al fatto che ||n|| = 1, come si prova per verifica diretta. In definitiva, gli elementi di S(H) sono
in corrispondenza biunivoca con la palla chiusa B in R3 di raggio 1 e centrata nell’origine, e gli
elementi del sottoinsieme degli stati puri, Sp (H), sono in corrispondenza biunivoca con i punti
sulla superficie della palla ∂B. La corrispondenza biunivoca appena definita:
B ∋ n 7→ ρn ∈ S(H)
è in realtà un vero isomorfismo, dato che conserva le strutture convesse dei rispettivi spazi,
risultando da (11.11):
ρpn+qm = pρn + qρm
6
per ogni coppia n, m ∈ B se p, q ≥ 0 e p + q = 1 .
J. Roberts and G. Roepstorff, Commun. Math. Phys. 11, 321-338, (1969).
407
Una proprietà importante nel seguito dell’isomorfismo trovato è la seguente formula che segue
immediatamente dalle relazioni (che si provano per verifica diretta): tr(σj ) = 0, tr(σi σj ) = 2δij .
tr (ρm ρn ) =
1
(1 + m · n) .
2
(11.12)
Possiamo ora caratterizzare gli automorfismi di Kadison. Assegnare un automorfismo di Kadison
γ : S(H) → S(H) è evidentemente equivalente ad assegnare una corrispondente funzione biettiva
γ ′ : B → B che soddisfi:
γ ′ (pn + qm) = pγ ′ (n) + qγ ′ (m)
per ogni coppia n, m ∈ B se p, q ≥ 0 e p + q = 1 .
Se l’automorfismo di Kadison γ : S(H) → S(H) individua la funzione γ ′ : B → B come detto
sopra, la funzione Γ : R3 → R3 definita da:
‚
Œ
v
′
, se v ∈ R3 \ {0}
Γ(0) := 0 , Γ(v) := ||v||γ
||v||
risulta allora essere un’estensione di γ ′ e risulta anche essere lineare e biettiva. La prova di
ciò è diretta. (Bisogna tuttavia osservare che non tutte le funzioni lineari biettive L : R3 → R3
si restringono ad automorfismi di Kadison quando ristrette a B: deve essere soddisfatta la
condizione che L(B) = B.) Si osservi che gli automorfismi di Kadison, essendo isomorfismi,
devono trasformare elementi estremali in elementi estremali e pertanto deve anche risultare:
Γ(n) = γ ′ (n) = 1 se ||n|| = 1 e ancora, per la linearità di Γ:
||Γ(v)|| = ||v||
per ogni v ∈ R3 .
Concludiamo che la funzione lineare Γ : R3 → R3 associata all’automorfismo di Kadison γ deve
essere un’isometria di R3 che ammette l’origine come punto fisso. Questo è possibile se e solo se
Γ ∈ O(3), il gruppo delle matrici ortogonali reali di dimensione 3. (Viceversa, se Γ ∈ O(3), allora
la sua restrizione a B individua un automorfismo di Kadison come si prova immediatamente.)
Questo risultato, tenendo conto del teorema di Wigner, conclude la prova del teorema di Kadison
nel caso in esame. In effetti, il fatto che Γ ∈ O(3) implica che γ ↾Sp (H) sia un automorfismo di
Wigner per la proprietà (11.12). Se infatti ρn e ρm sono stati puri, la probabilità di transizione
ad essi associata è :
1
tr (ρn ρm ) = (1 + n · m) .
2
D’altra parte, usando il fatto che Γ è una matrice ortogonale, si ha anche:
tr (γ(ρn )γ(ρm )) =
1
1
(1 + Γ(n) · Γ(m)) = (1 + n · m) ,
2
2
e quindi:
tr (γ(ρn )γ(ρm )) = tr (ρn ρm ) .
Tenendo conto del fatto che γ ′ ↾∂B = Γ↾∂B : ∂B → ∂B è banalmente una biezione (ciò accade per
tutte le metrici ortogonali), abbiamo che γ↾Sp (H) : Sp (H) → Sp (H) è una biezione. Concludiamo
408
che γ↾Sp (H) : Sp (H) → Sp (H) è un automorfismo di Wigner. Il teorema di Wigner implica allora
che esiste un operatore unitario o anti unitario U : H → H tale che
γ(ρ) = U ρU −1
per ogni ρ ∈ Sp (H) .
Se ρ ∈ S(H) si potrà comunque decomporre come combinazione convessa di due stati puri
associati agli autovettori di ρ. Se ρ1 , ρ2 ∈ Sp (H) sono questi stati, per qualche p ∈ [0, 1]
dovrà essere:
ρ = pρ1 + (1 − p)ρ2 .
Quindi
γ(ρ) = pγ(ρ1 ) + (1 − p)γ(ρ2 ) = pU ρ1 U −1 + (1 − p)U ρ2 U −1 = U (pρ1 + (1 − p)ρ2 ) U −1 = U ρU −1 .
Concludiamo che l’operatore unitario o antiunitario U verifica la tesi della proposizione e la
dimostrazione si conclude. 2
Osserviamo che, nella dimostrazione appena conclusa, l’esistenza dell’operatore U si può dimostrare
usando la teoria delle rappresentazioni del gruppo SU (2), delle matrici unitarie 2 × 2 a determinante unitario, e del fatto che esso sia il rivestimento universale di SO(3), senza invocare il
teorema di Wigner. Non abbiamo seguito questa strada per non dover introdurre nuove nozioni.
Passiamo ad enunciare e provare il teorema di Kadison nel caso generale. (Il contenuto originale
del teorema provato realmente da Kadison si riferisce solo ai punti (a) e (b)).
Teorema 11.2 (Teorema di Kadison) Si consideri un sistema fisico quantistico S descritto
sullo spazio di Hilbert (complesso separabile) HS . Si supponga che HS sia decomposto in settori
coerenti HS = ⊕k∈K HSk (dove eventualmente K = ∅ ed in tal caso quanto segue vale sostituendo
ovunque HSk e HSk′ con HS ). Se la funzione:
γ : S(HSk ) → S(HSk′ )
è una simmetria (di Kadison) di S dal settore HSk al settore HSk′ , con k, k′ ∈ K, allora valgono
i fatti seguenti.
(a) Esiste un operatore U : HSk → HSk′ , unitario oppure antiunitario, tale che:
γ(ρ) = U ρU −1
per ogni stato puro ρ ∈ S(HSk ).
(11.13)
(b) U è determinato a meno di una fase, cioè U1 e U2 (entrambi unitari oppure entrambi antiunitari) soddisfano (11.13) (sostituendo separatamente ciascuno di essi a U ) se e solo se U2 = χU1
dove χ ∈ C con |χ| = 1.
(c) La restrizione di γ allo spazio degli stati puri è una simmetria di Wigner (e la scelta del
carattere unitario o anti unitario di U in (a) è fissata da γ↾Sp (HSk ) ).
(d) Ogni simmetria di Wigner δ : Sp (HSk ) → Sp (HSk′ ) si estende, in modo unico, ad una
simmetria di Kadison γ (δ) : S(HSk ) → S(HSk′ ).
409
Prova. (b) Prima di tutto mostriamo che U , se esiste ed è unitario oppure è anti unitario, è unico
a meno di una fase nella corrispondente classe di operatori. Ovviamente, se U1 soddisfa la tesi
rispetto a γ, allora U2 := χU1 la soddisferà ancora se χ ∈ C con |χ| = 1. Mostriamo che questo
è l’unico caso possibile. Supponiamo che esistano U1 e U2 (entrambi unitari oppure anti unitari)
che soddisfino la tesi in riferimento a γ. Deve accadere in particolare che, se ρ ∈ S(HSk ), allora
U1 ρU1−1 = U2 ρU2−1 e quindi: LρL−1 = ρ dove L := U1−1 U2 è lineare ed unitario. Scegliendo uno
stato puro ρ = ψ(ψ| ), l’identità trovata si riscrive:
Lψ(Lψ| ) = ψ(ψ| )
e quindi Lψ deve appartenere allo stesso raggio di ψ e pertanto Lψ = χψ ψ per qualche numero
χψ ∈ C con |χ| = 1. Esattamente come nella dimostrazione del punto (b) del teorema di Wigner,
si trova allora che χψ non dipende da ψ e questo conclude la dimostrazione di (b).
Passiamo a dimostrare (a). Dividiamo la dimostrazione in alcuni passi. Per prima cosa notiamo
che γ è biettiva e conserva la struttura convessa. Conseguentemente, trasforma elementi estremali in elementi estremali ed elementi non estremali in elementi non estremali, cioè stati puri in
stati puri e stati misti in stati misti. Di conseguenza, se M ⊂ HSk è un sottospazio bidimensionale allora esisterà un analogo sottospazio bidimensionale M′ ⊂ HSk′ tale che γ (S(M)) ⊂ S(M′ ).
(Se ψ1 , ψ2 è una base di M, il generico elemento di S(M) è ρ = pψ1 (ψ1 | )+ qψ2 (ψ2 | ) con p + q = 1
e p, q ≥ 0. Quindi
γ(ρ) = pγ(ψ1 (ψ1 | )) + qγ(ψ2 (ψ2 | )) = pψ1′ (ψ1′ | ) + q(ψ2′ (ψ2′ | ) ,
dove, i vettori unitari ψ1′ e ψ2′ si ottengono (a meno di fasi) richiedendo che individuino gli stati
puri γ(ψ1 (ψ1 | )) e γ(ψ1 (ψ1 | )) rispettivamente. Questi due stati puri devono essere differenti
tra di loro, altrimenti la biezione γ −1 : S(HSk′ ) → S(HSk ) che conserva la struttura conforme,
mapperebbe uno stato puro in uno stato misto. Pertanto i vettori ψ1′ e ψ2′ , che devono essere di
norma unitaria, soddisfano necessariamente: ψ1′ 6= aψ2′ per ogni a ∈ C e pertanto sono linearmente indipendenti. Lo spazio M ′ è allora quello generato da ψ1′ e ψ2′ .)
Abbiamo ora due lemmi.
Lemma 1. Nelle nostre ipotesi su γ, esiste una simmetria di Wigner δ : Sp (HSk ) → Sp (HSk′ )
che soddisfa γ(ρ) = δ(ρ) per ogni ρ ∈ Sp (HSk ).
Prova del lemma 1. Dato che γ e γ −1 trasformano elementi estremali in elementi estremali ed
elementi non estremali in elementi non estremali, γ ↾Sp (HSk ) : Sp (HSk ) → Sp (HSk′ ) è biettiva,
dato che la sua inversa destra e sinistra non è altro che γ −1 ↾Sp (HSk′ ) : Sp (HSk′ ) → Sp (HSk ). La
dimostrazione si conclude provando che γ ↾Sp (HSk ) conserva le probabilità di transizione. Dato
φ, ψ ∈ HSk supposti essere unitari e diversi, sia M lo spazio vettoriale generato da essi e sia
M ′ ⊂ HSk′ lo spazio bidimensionale che soddisfa γ (S(M )) ⊂ S(M ′ ) menzionato sopra. Sia
infine U : M ′ → M un qualsiasi operatore unitario. Definiamo:
γ ′ (ρ) := U γ(ρ)U −1
per ogni ρ ∈ S(M ).
410
Si verifica immediatamente che γ ′ è una simmetria di Kadison se ci si restringe a lavorare nello
spazio di Hilbert 2-dimensionale H = M . Come provato nella proposizione 11.3, in questo caso
il teorema di Kadison è vero e quindi esiste un operatore unitario o anti unitario V : M → M
tale che γ ′ (ρ) = U γ(ρ)U −1 = V ρV −1 . In altre parole:
γ(ρ) = U V ρ(U V )−1
per ogni ρ ∈ S(M ).
In particolare, scegliendo ρ = ψ(ψ| ) e poi ρ = φ(φ| ) abbiamo che
€
Š
tr (γ(ψ(ψ| ))γ(φ(φ| ))) = tr U V ψ(ψ| )(U V )−1 U V φ(φ| )(U V )−1 =
€
Š
= tr U V ψ(ψ| )φ(φ| )(U V )−1 = tr (ψ(ψ| )φ(φ| )) .
Nel caso ψ(ψ| ) = φ(φ| ) si ottiene banalmente lo stesso risultato come è immediato verificare.
Abbiamo provato che γ↾Sp (HSk ) conserva le probabilità di transizione ed è quindi una simmetria
di Wigner. 2
Per il lemma precedente ed applicando il teorema 11.1 di Wigner, esiste un operatore unitario
oppure anti unitario U : HSk → HSk′ tale che:
γ(ρ) = U ρU −1
per ogni ρ ∈ Sp (HSk ).
(11.14)
La dimostrazione si conclude dimostrando che l’identà trovata vale anche nel caso di ρ ∈ S(HSk ).
A tal fine, notiamo che (11.14) è equivalente a:
U −1 γ(ρ)U = ρ
per ogni ρ ∈ Sp (HSk ),
e quindi Γ : S(HSk ) → Sp (HSk ) è ancora una simmetria di Kadison (anzi un automorfismo di
Kadison) che si riduce all’identità sugli stati puri. La dimostrazione del teorema di Kadison si
conclude immediatamente provando il seguente lemma.
Lemma 2. Sia H uno spazio di Hilbert. Se Γ : S(H) → S(H) è un automorfismo di Kadison
che si riduce all’identità sugli stati puri, allora è l’identità .
Prova del lemma 2. Se ρ =
puri, allora:
Γ(ρ) = Γ
PN
N
X
k=0
k=0 pk ψk (ψk |
!
) è una combinazione lineare (convessa) finita di stati
pk ψk (ψk | ) =
N
X
k=0
pk Γ (ψk (ψk | )) =
N
X
k=0
!
pk I = I .
Di conseguenza, la tesi varrà per ogni ρ ∈ S(H), se le combinazioni lineari (convesse) finite di
stati puri sono dense in S(H) in una topologia rispetto alla quale Γ è continuo. Mostriamo che
ciò accade rispetto alla topologia degli operatori di classe traccia indotta dalla norma ||T ||1 :=
411
tr(|T |) (vedi cap.4).
Se ρ ∈ S(H), possiamo decomporre l’operatore nel suo sviluppo spettrale:
ρ=
X
k∈N
P
pk ψk (ψk | ) .
dove pk > 0 e k∈N pk = 1. La convergenza è nella topologia operatoriale forte e anche nella topologia di || ||1 . Mostriamo che possiamo approssimare ρ con elementi ρN ∈ S(H), combinazioni
lineari (convesse) finite di stati puri, in modo tale che:
||ρN − ρ||1 → 0
per N → +∞.
A tal fine definiamo:
ρN :=
N
X
k=0
(N )
qk ψk (ψk | ) ,
(N )
qk
pk
:= PN
j=0 pj
,
N=0,1,2,. . . .
(N )
Evidentemente ρN ∈ S(H) per ogni N ∈ N ed inoltre, tenendo conto che qk < pk e che i
vettori unitari ψk (aggiungendo una base hilbertiana di ker(ρ) ⊃ ker(ρN )) formano una base
hilbertiana di H, fatta di autovettori di ρ e di ρN , si trova facilmente che, per N → +∞
||ρ − ρN ||1 = tr (|ρ − ρN |) = −
N
X
(N )
(pk − qk ) +
k=0
+∞
X
pk =
k=N +1
P+∞
1−
PN
PN
j=0 pj
j=0 pj
N
X
k=0
pk +
+∞
X
k=N +1
pk → 0 ,
in virthù dei soli fatti che pn > 0 e n=1 pn = 1.
Mostriamo ora che Γ è continua nella topologia di || ||1 e questo completa la dimostrazione.
Per prima cosa estendiamo Γ da S(H) alla classe degli operatori di classe traccia positivi su H
definendo, se A ∈ B1 (H) con A ≥ 0 (e quindi tr(A) > 0 se A 6= 0):

‹
1
A , Γ1 (0) := 0 .
Γ1 (A) := tr(A)Γ
trA
Con questa definizione, segue immediatamente che Γ1 (A) ∈ B1 (H) e Γ1 (A) ≥ 0, inoltre:
Γ1 (αA) = αΓ1 (A)
se α ≥ 0,
e
tr (Γ1 (A)) = tr(A) .
Tenendo conto che Γ conserva la struttura convessa, si prova immediatamente che
Γ1 (A + B) = Γ1 (A) + Γ1 (B) .
Per concludere estendiamo Γ1 sulla classe degli operatori autoaggiunti di classe traccia, definendo:
Γ2 (A) := Γ1 (A+ ) − Γ1 (A− ) ,
412
R
R
dove A− := − (−∞,0) xdP (A) (x) e A+ := (0,+∞) xdP (A) (x). Si osservi che A+ − A− = A e
|A| = A+ + A− , per definizione, essendo P (A) la PVM di A.
Con questa definizione, se A ∈ B1 (H) è autoaggiunto, allora Γ2 (A) ∈ B1 (H) ed è autoaggiunto,
inoltre:
||Γ2 (A)||1 ≤ ||Γ1 (A+ )||1 + ||Γ1 (A− )||1 = tr (A+ ) + tr (A− ) = ||A||1 .
Segue che Γ2 è continua nella topologia di || ||1 e di conseguenza lo è Γ : S(H) → S(H) che ne
è una restrizione. 2
Abbiamo quindi provato l’esistenza di U unitario o anti unitario che soddisfa la richiesta γ(ρ) =
U ρU −1 per ogni ρ ∈ S(HSk ). Questo conclude la prova di (a).
(c) Si osservi che, valendo: γ↾Sp (HSk ) (ρ) = U ρU −1 , si conclude che γ↾Sp (HSk ) è una simmetria di
Wigner come si prova immediatamente. In particolare, l’operatore U che verifica (a) (di questo
teorema) soddisfa anche la tesi in (a) del teorema di Wigner per γ↾Sp (HSk ) . In base al teorema
di Wigner il carattere unitario o antiunitario di U che soddisfa (a) è quindi fissato da γ↾Sp (HSk ) .
(d) Se δ è una simmetria di Wigner, per il teorema di Wigner esiste U , unitario o antiunitario
per cui δ(ρ) = U ρU −1 per ogni stato puro. U definisce la simmetria di Kadison γ (δ) (ρ) =
U ρU −1 che estende δ su tutto lo spazio degli stati. Dimostriamo l’unicità . Se due simmetrie di
Kadison, γ, γ ′ , associate agli operatori (unitari o antiunitari) U , U ′ rispettivamente, coincidono
′
su Sp (HSk ), allora le simmetrie di Wigner δ(U ) = U · U −1 e δ(U ) = U ′ · U ′−1 coincidono. Per il
teorema di Wigner U e U ′ devono essere entrambi unitari o entrambi antiunitari e U = χU ′ con
|χ| = 1. Conseguentemente, per le simmetrie di Kadison iniziali vale
γ(ρ) = U ρU −1 = χU ′ ρU ′−1 χ−1 = χχ−1 U ′ ρU ′−1 = U ′ ρU ′−1 = γ ′ (ρ)
per ogni ρ ∈ S(HSk ) e quindi γ = γ ′ . Questo conclude la dimostrazione del teorema di Kadison.
2
Dall’ultima parte della dimostrazione estraiamo una proposizione che è interessante per sua natura.
Proposizione 11.4. Sia γ un automorfismo di Wigner, oppure di Kadison, sullo spazio di
Hilbert H, e B1 (H)R ⊂ B1 (H) indichi il sottospazio reale di B1 (H) contenente gli operatori autoaggiunti di classe traccia sullo spazio di Hilbert complesso H.
Esiste, ed è unico, un operatore lineare γ2 : B1 (H)R → B1 (H)R , continuo nella norma naturale || ||1 di B1 (H), tale che si restringa a γ su Sp (H) oppure, rispettivamente, su S(H).
Più precisamente vale:
||γ2 (A)||1 ≤ ||A||1 per ogni A ∈ B1 (H)R
Prova. La dimostrazione di esistenza, nel caso di automorfismi di Kadison è stata data nella dimostrazione, del lemma 2, dimostrando l’esistenza di Γ2 (ora indicato con γ2 ), quando
è assegnato Γ (ora indicato con γ). L’unicità segue direttamente dalla costruzione fatta, nella
413
dimostrazione del lemma 2, per ottenere Γ2 (ora indicato con γ2 ) da Γ (ora indicato con γ). Per
gli automorfismi di Wigner, la dimostrazione segue immediatamente da quella per gli automorfismi di Kadison, applicando (d) del teorema di Kadison.
11.1.6
Azione duale delle simmetrie sulle osservabili.
I teoremi di Wigner e Kadison consentono di definire in modo molto elementare la nozione di
azione (duale) di una simmetria sulle osservabili del sistema fisico. Consideriamo un sistema
fisico S descritto sullo spazio di Hilbert (complesso separabile) HS . Per semplicità ci occuperemo
della situazione in cui si abbia un unico settore, dato che la generalizzazione al caso di presenza di
più settori coerenti è immediata. Sia P(HS ) l’insieme delle osservabili elementari su S, descritte,
come sappiamo dai proiettori ortogonali su H. Le osservabili su S sono PVM costruite con tali
proiettori, ovvero sono gli operatori autoaggiunti (non limitati in generale) associati a tali PVM.
Supponiamo che γ : S(HS ) → S(HS ) sia una simmetria. Definiamo l’azione duale di γ sul
reticolo dei proiettori, γ ∗ : P(HS ) → P(HS ) come:
γ ∗ (P ) := U −1 P U
per ogni P ∈ P(HS ).
(11.15)
Con questa scelta vale l’identità di dualità :
tr (ργ ∗ (P )) = tr (γ(ρ)P ) ,
(11.16)
come si verifica immediatamente, tenendo conto che γ(ρ) = U ρU −1 per il teorema di Kadison
e tenendo conto, nel calcolo della traccia e nel caso in cui U sia antinunitario, che gli operatori
antiunitari trasformano basi hilbertiane in basi hilbertiane.
L’applicazione γ ∗ : P(HS ) → P(HS ) non solo trasforma proiettori ortogonali in proiettori ortogonali, ma preserva la struttura di reticolo limitato, ortocomplementato e σ-completo. Per
esempio i proiettori ortogonali P e Q di P(HS ) commutano se e solo se γ ∗ (P ) e γ ∗ (Q) commutano. In tal caso γ ∗ (P ∨ Q) = γ ∗ (P ) ∨ γ ∗ (Q) e via di seguito.
Se A : D(A) → H è un operatore autoaggiunto su H con misura spettrale P (A) ⊂ P(HS ), risulta
facilmente (vedi (1) in esercizi 9.1 per il caso unitario, e (6) in esercizi 11.1 per il caso
€ antiunitario)
Š
−1
−1
∗
che U AU : U D(A) → HS è ancora autoaggiunto ed ha misura spettrale γ P (A) . Questa
osservazione consente di estendere l’azione di γ ∗ a tutte le osservabili in modo coerente con l’idea
della decomposizione spettrale, definendo, se A : D(A) → HS è un operatore autoaggiunto che
rappresenta qualche osservabile di S:
γ ∗ (A) := U −1 AU .
(11.17)
Il significato fisico di γ ∗ (A) è il seguente. Nel momento in cui definiamo una simmetria di
Kadison γ, assegniamo una serie di prescrizioni sperimentali con cui trasformare il sistema
S. Matematicamente parlando, l’azione sugli stati è descritta proprio da γ : S(HS ) → S(HS ).
L’azione γ ∗ sulle osservabili rappresenta invece una serie di prescrizioni operative sugli strumenti
di misura che, in termini intuitivi, corrisponde e generalizza la nozione di trasformazione passiva
414
di coordinate. Più precisamente, tale prescrizione è tale che se attuiamo γ sul sistema oppure γ ∗
sull’apparato di misura, otteniamo lo stesso risultato (valori di aspettazione, varianze, frequenze
di esiti) quando guardiamo gli esiti delle misure.
Per esempio, il valore di aspettazione hγ ∗ (A)iρ risulta essere lo stesso di hAiγ(ρ) :
€
Š
€
Š
hγ ∗ (A)iρ = tr (γ ∗ (A)ρ) = tr U −1 AU ρ = tr AU ρU −1 = tr(Aγ(ρ)) = hAiγ(ρ) .
Questo è , in definitiva, il risultato espresso nell’equazione di dualità (11.16). Il risultato è equivalente
a dire che l’azione di γ sul sistema può essere annullata, ai fini dell’osservazione degli esiti delle
misure sul sistema, dall’azione contemporanea di (γ ∗ )−1 sugli strumenti. Si noti che, dal punto
di vista sperimentale non è affatto ovvio che una trasformazione agente sul sistema possa essere
annullata da un’azione contemporanea sull’apparto di misura. Le simmetrie, nel senso di Kadison e di Wigner, hanno la proprietà che questo deve essere possibile possibile.
Esempi 11.2.
(1) Consideriamo una particella quantistica senza spin descritta su R3 , pensato come spazio di
quiete di un sistema di riferimento inerziale descritto da fissate coordinate ortonormali destrorse.
Sappiamo, dal cap 10, che in tal caso lo spazio di Hilbert della particella è L2 (R3 , dx). Gli stati
puri sono dunque individuati,
a meno di fasi arbitrarie, dalle funzioni d’onda, cioè dai vettori
R
ψ ∈ L2 (R3 , dx) tali che R3 |ψ(x)|2 dx = 1.
Le isometrie di R3 individuano simmetrie di Wigner (e quindi di Kadison) nel modo che segue,
a causa dell’invarianza della misura di Lebesgue dx sotto di esse.
Alcune nozioni di teoria dei gruppi che useremo di seguito saranno richiamate più avanti (la
teoria elementare è brevemente richiamata nell’Appendice A). Indichiamo con IO(3) il gruppo
(di Lie) delle isometrie di R3 che risulta essere il prodotto semidiretto (vedi Appendice A) di
O(3) e del gruppo abeliano delle traslazioni R3 . In pratica, ogni elemento del gruppo Γ ∈ IO(3)
è una coppia Γ = (R, t) che agisce sui punti di R3 come segue: Γ(x) := t + Rx. La legge di
composizione gruppale di IO(3) si ottiene di conseguenza come:
(t′ , R′ ) ◦ (t, R) = (t′ + R′ t, R′ R) e quindi (t, R)−1 = (−R−1 t, R−1 ) .
Sia Γ : R3 → R3 un elemento di IO(3), quindi in particolare Γ potrebbe essere una traslazione
lungo un asse t, Γ : R3 ∋ x 7→ x + t oppure una rotazione di O(3) attorno all’origine R3 ∋
x 7→ Rx (includendo le rotazioni improprie descritte dagli elementi di O(3) con determinante
negativo) oppure una combinazione di questi due tipi di trasformazioni. Possiamo allora definire
la trasformazione delle funzioni a quadrato integrabile:
€
Š
per ogni ψ ∈ L2 (R3 , dx).
(11.18)
(UΓ ψ) (x) := ψ Γ−1 x
L’operatore U è evidentemente lineare, suriettivo (dato che ogni isometria Γ di R3 è biettiva) ed
è un operatore isometrico, dato che la matrice jacobiana J di ogni isometria ha determinante
che vale ±1:
Z
Z
Z €
Š2
ψ x′ 2 |detJ|dx′ =
ψ x′ 2 dx′ = ||ψ||2 .
||UΓ ψ||2 =
ψ Γ−1 x dx =
R3
R3
R3
415
La trasformazione γΓ indotta dall’operatore unitario UΓ sugli stati (puri e non) è una simmetria
(di Wigner o Kadison rispettivamente), che ha come significato naturale l’azione dell’isometria
Γ sul sistema S dato dalla particella in esame.
Si osservi che l’applicazione IO(3) ∋ Γ 7→ UΓ soddisfa, in virtù di (11.18) e dove id è l’identità di
IO(3):
Uid = I , UΓ UΓ′ = UΓ◦Γ′ per ogni Γ, Γ′ ∈ IO(3).
Abbiamo quindi che IO(3) ∋ Γ 7→ UΓ conserva la struttura di gruppo (in particolare UΓ−1 =
(UΓ )−1 ) ed è pertanto una rappresentazione del gruppo IO(3) in termini di operatori unitari.
Discuteremo tali rappresentazioni nella prossima sezione.
Consideriamo ora una PVM su R3 , che indicheremo con P (X) , e che è detta misura spettrale
congiunta dei tre operatori posizione ed è definita da:
(X)
(PE ψ)(x) = χE (x)ψ(x)
per ogni ψ ∈ L2 (R3 , dx).
Si dimostra facilmente che i tre operatori posizione si ottengono integrando le corrispondenti
funzioni rispetto a tale PVM:
Xi =
Z
R3
xi dP (X) (x) per i = 1, 2, 3.
Direttamente dalla definizione (11.18) si verifica che vale la condizione di imprimitività :
(X)
(X)
= UΓ PE UΓ−1 = PΓ(E) .
(11.19)
Infatti, per una generica funzione ψ ∈ L2 (R3 , dx):
€
Š € €
ŠŠ
(X)
(X)
UΓ PE UΓ−1 ψ (x) = χE Γ−1 (x) ψ( Γ Γ−1 (x) ) = χΓ(E) (x)ψ(x) = PΓ(E) ψ (x) .
Per l’arbitrarietà di ψ segue la (11.19). Si osservi che la condizione di imprimitività si può equivalentemente
scrivere in termini dell’azione duale della simmetria di Kadison:
(X)
γΓ∗ PE
(X)
= PΓ−1 (E) .
In generale, se abbiamo (i) una misura spettrale P sull’algebra di Borel dello spazio topologico
a base numerabile e localmente compatto X, (ii) un gruppo topologico G di trasformazioni di X
ed (iii) una rappresentazione unitaria G ∋ g 7→ Vg che sia continua nella topologia operatoriale
forte, se vale la condizione:
Vg PE Vg−1 = Pg(E) ,
si dice che si ha un sistema di imprimitività su X. Abbiamo verificato (a parte le questioni
topologiche che in ogni caso valgono dotando IO(3) della sua naturale struttura di gruppo di Lie
matriciale sottogruppo di GL(4)), che P (X) , IO(3), U , formano un sistema di imprimitività su
R3 .
L’azione di γΓ∗ sugli operatori posizione si può ottenere per computo diretto, analogamente a
416
come abbiamo ricavato la condizione di imprimitività , oppure tenendo conto di quest’ultima
ed integrando la misura spettrale. Se X = (X1 , X2 , X3 ) indica il vettore colonna di operatori
X1 , X2 , X3 ristretti al dominio comune invariante dato dalla spazio di Schwartz S(R3 ) su cui
sono essenzialmente autoaggiunti:
γΓ∗ (X) = UΓ−1 XUΓ = RX + tI ,
(11.20)
in particolare, per traslazioni pure:
−1
∗
γ(t,I)
(X) = U(t,I)
XU(t,I) = X + tI ,
(11.21)
−1
∗
γ(0,R)
(X) = U(0,R)
XU(0,R) = RX .
(11.22)
e per rotazioni pure:
L’elemento (0, −I) ∈ IO(3) definisce la riflessione rispetto all’origine. La rappresentazione unitaria P := U(0,−I) , ed anche la simmetria di Wigner o Kadison γP ad essa associata, si dice
inversione di parità . Un po’ impropriamente, la stessa (0, −I) è spesso detta inversione di
parità . Si verifica facilmente che P∗ = P (e quindi PP = I, dato che vale anche P−1 = P∗ ).
Pertanto l’inversione di parità ammette un’osservabile ad essa associata che si chiama parità
ed ha i due possibili autovalori ±1. Bisogna però precisare che, in realtà , l’operatore unitario
che rappresenta (0, −I) è al solito definita a meno di una fase e quindi l’osservabile P, associata
alla simmetria di inversione di parità , corrisponde ad una precisa scelta di tale fase. Sono in
realtà possibili due scelta, dato che −P è ancora un’osservabile e rappresenta l’inversione di parità .
(2) Consideriamo ora il sistema trattato nell’esempio precedente, ma studiamo il sistema nella rappresentazione impulso. In altre parole, sfruttando la trasformata di Fourier-Plancherel,
identifichiamo H con L2 (R3 , dk), in modo tale che le tre osservabili impulso (le tra componenti
dell’impulso riferite al sistema di coordinate cartesiane ortonormali solidali con un riferimento
inerziale) siano rappresentati dagli operatori moltiplicativi
€
Š
e
Pi ψb (k) = ~ki ψ(k)
,
b
come discusso nel cap. 10. Abbiamo indicato con ψe = F(ψ)
la trasformata di Fourier-Plancherel
2
3
di ψ ∈ L (R , dx). Una simmetria di grande interesse fisico è l’inversione del tempo, γT ,
che è descritta da operatori antiunitari (vedremo più avanti perché ). Dal punto di vista fisico
corrisponde all’operazione che cambia segno al tempo, ma anche alle velocità delle particelle
quindi al loro impulso. Una scelta (l’unica a meno di fasi) per l’operatore anti unitario Tf che
descrive l’inversione del tempo è :
€
Š
e
Tfψe (k) := ψ(−k)
per ogni ψe ∈ L2 (R3 , dk).
(11.23)
Si osservi che, a differenza di P nell’esempio precedente, con ogni scelta per la fase arbitraria
dell’operatore Tf, vale sempre TfTf = I a causa dell’antiunitarietà di Tf. Tuttavia Tf non
417
è un’osservabile perchè l’operatore non è lineare. Si può facilmente dimostrare che, tornando in
rappresentazione posizione e con la scelta fatta per la fase, la simmetria γT è associata ad un
b è la trasformata di Fourier-Plancherel usata come nel cap. 10):
operatore antiunitario (dove F
tale che:
b −1 T
fF
b −1
T := F
(T ψ) (x) := ψ(x)
per ogni ψ ∈ L2 (R3 , dx).
(11.24)
(3) Consideriamo una particella con carica elettrica rappresentata dall’osservabile Q con spettro
discreto di autovalori ±1. Fissando un riferimento inerziale I, dotato di un sistema di coordinate
solidali cartesiane ortonormali che identificano lo spazio di quiete del riferimento con R3 , lo spazio
di Hilbert del sistema è dato, in questo caso, da
H = C2 ⊗ L2 (R3 , dx) ≡ L2 (R3 , dx) ⊕ (R3 , dx) ,
dove ⊕ si deve intendere come una somma diretta ortogonale. L’isomorfismo canonico tra i due
spazi scritti sopra, segue dal fatto che ogni vettore Ψ ∈ C2 ⊗ L2 (R3 , dx) è scrivibile come
Ψ = |+i ⊗ ψ+ + |−i ⊗ ψ− ,
dove {|+i, |−i} è la base canonica di C2 , costituita da due autovettori della matrice di Pauli
σ3 (vedi (11.10)) rispettivamente con autovalore +1 e autovalore −1. L’isomorfismo canonico
è dato dunque da:
L2 (R3 , dx) ⊕ (R3 , dx) ∋ (ψ+ , ψ− ) 7→ |+i ⊗ ψ+ + |−i ⊗ ψ− ∈ C2 ⊗ L2 (R3 , dx) .
Si verifica subito che l’isomorfismo conserva la struttura di spazio di Hilbert (cioè il prodotto
scalare), quando si pensa L2 (R3 , dx)⊕(R3 , dx) come una somma diretta ortogonale. L’osservabile
di carica può pensarsi come la matrice di Pauli σ3 in C2 e quindi, sullo spazio completo:
Q = σ3 ⊗ I
dove I è l’operatore identità su L2 (R3 , dx). La regola di superselezione della carica, in questo
caso elementare, richiede che lo spazio si decomponga in due settori coerenti H = H+ ⊕ H− ,
dove H± sono, rispettivamente, i due autospazi di Q con autovalore ±. Per costruzione, la
decomposizione in settori coerenti coincide proprio con la decomposizione naturale:
H = L2 (R3 , dx) ⊕ (R3 , dx) .
In riferimento a tale decomposizione, gli stati puri fisicamente ammissibili sono allora solamente
quelli individuati dai vettori (ψ, 0) oppure dai vettori (0, ψ) con ψ ∈ L2 (R3 , dx). Abbiamo
418
allora che la simmetria γC+ detta coniugazione di carica dal settore H+ al settore H−
erappresentata dall’operatore unitario C : H+ → H− :
C+ : (ψ, 0) 7→ (0, ψ)
per ogni ψ ∈ L2 (R3 , dx).
(11.25)
La simmetria γC− detta coniugazione di carica dal settore H− al settore H+ si definisce
analogamente
C− : (0, φ) 7→ (φ, 0) per ogni φ ∈ L2 (R3 , dx).
(11.26)
Si noti che C− risulta essere l’inverso di C+ . Possiamo infine definire la simmetria di Wigner di
coniugazione di carica, che opera su tutto lo spazio di Hilbert (tenendo conto della presenza
dei settori), e che si riduce alle due simmetrie tra settori definite sopra su ogni spazio coerente.
C := C+ ⊕ C− .
Si osservi che, per costruzione, CC = I e pertanto C = C∗ , per cui I è autoaggiunto. Inoltre si
ha che:
C∗ QC = −Q .
(11.27)
Esercizi 11.1.
(1) In riferimento all’esempio (1), e con IO(3) ∋ Γ = (t, R), dimostrare che
γΓ∗ (P) = UΓ−1 PUΓ = RP ,
(11.28)
dove P indica la terna dei tre operatori corrispondenti alle tre componenti dell’impulso e l’identità di sopra vale restringendosi allo spazio di Schwartz S(R) come dominio per gli operatori
impulso.
(2) In riferimento agli esempi (1) e (2), e con le convenzioni dell’esercizio (1) per le notazioni e
riguardanti i domini degli operatori, dimostrare che:
∗
γP
(X) = P−1 XP = −X ,
∗
γP
(P) = P−1 PP = −P
(11.29)
γT∗ (P) = T −1 PT = −P
(11.30)
mentre:
γT∗ (X) = T −1 XT = X ,
dove P indica la terna dei tre operatori corrispondenti alle tre componenti dell’impulso e l’identità di sopra vale restringendosi allo spazio di Schwartz S(R) come dominio per gli operatori
impulso.
(3) Considerare i tre operatori autoaggiunti L1 , L2 , L3 che rappresentano le tre componenti
dell’operatore momento angolare orbitale (vedi cap 9). Se L indica il vettore colonna contenente
i tre operatori menzionati, vale:
L↾S(R3 ) = X↾S(R3 ) ∧P↾S(R3 ) .
419
Dimostrare i seguenti fatti, dove i domini sono ristretti a S(R3 ): In riferimento all’esempio (1),
e con SO(3) ∋ Γ = (0, R), dimostrare che vale quanto segue.
γΓ∗ (L) = UΓ−1 LUΓ = RL ,
(11.31)
∗
γP
(L) = P−1 LP = L ,
(11.32)
γT∗
(L) = T
−1
LT = −L .
(11.33)
SO(3) è il sottogruppo di O(3) contenente le matrici con determinante positivo (quindi pari a
+1) ed il prodotto vettoriale è definito sopra con la regola del determinante formale in riferimento ad una base destrorsa.
(4) Si consideri lo spazio di Hilbert HS del sistema S e si assuma che sia decomposto in settori
coerenti, in modo che lo spazio degli stati puri fisicamente ammissibili sia decomposto come:
Sp (HS )ammiss =
[
Sp (HSk ) .
k∈K
Si definisca su Sp (HS ) la distanza d(ρ, ρ′ ) := ||ρ − ρ′ ||1 := tr(|ρ − ρ′ |), dove || ||1 è la norma
naturale nello spazio degli operatori di classe traccia. Si provi che gli insiemi Sp (HSk ) sono le
componenti connesse di Sp (HS )ammiss . Può essere utile sapere che,È
come proveremo in seguito,
′
′
′
′
se ρ = ψ(ψ| ) e ρ = ψ (ψ | ) sono in Sp (HSk ), allora ||ρ − ρ ||1 = 2 1 − |(ψ|ψ ′ )|2 .
Traccia di soluzione. Per la prima domanda si considerino due stati puri ρ, ρ′ ∈ Sp (HSk )
con ρ = ψ(ψ| ) e ρ′ = ψ ′ (ψ ′ | ) e ψ non parallelo a ψ ′ (altrimenti individuano lo stesso stato),
si definisca ψt = tψ + (1 − t)ψ ′ ed infine la curva [0, 1] ∋ t 7→ ||ψψtt||2 (ψt | ). Si provi che tale
curva è continua ed è tutta contenuta in Sp (HSk ). Per la seconda domanda è sufficiente calcolare
||ρ − ρ′ ||1 quando ρ ∈ Sp (HSk ) e ρ′ ∈ Sp (HSk′ ) con k 6= k′ . Notare che in tal caso i vettori
che individuano ρ e ρ′ sono sempre perpendicolari e pertanto ρ − ρ′ è già la decomposizione in
parte positiva e parte negativa di ρ − ρ′ e quindi |ρ − ρ′ | = ρ + ρ′ , per cui ||ρ − ρ′ ||1 = 2.
Consideriamo allora un aperto Ak ⊃ Sp (HSk ), unione di palle aperte di raggio 1/2 centrate sugli
elementi di Sp (HSk ), ed un aperto Ak′ ⊃ Sp (HSk′ ), unione di palle aperte di raggio 1/2 centrate
sugli elementi di Sp (HSk′ ). I due aperti non possono intersecarsi a causa della disuguaglianza
triangolare e quindi Sp (HSk ) e Sp (HSk′ ) sono sconnessi.
(5) Si dimostri che la distanza d(ρ, ρ′ ) tra stati puri introdotta nell’esercizio 4 soddisfa:
d ψ(ψ| ), ψ ′ (ψ| ) = ψ(ψ| ) − ψ ′ (ψ ′ | )B(H)
per ogni coppia di vettori ψ, ψ ′ ∈ H con ||ψ|| = ||ψ ′ || = 1 e dove la norma || ||B(H) indica la
norma operatoriale standard.
(6) Sia U : H → H un operatore anti unitario sullo spazio di Hilbert H e sia A : D(A) → H un
operatore autoaggiunto su H. Si dimostri che valgono i seguenti fatti:
420
(a) U −1 AU : U −1 (D(A)) → H è autoaggiunto,
(b) σ(U −1 AU ) = σ(A),
(A)
(c) B(R) ∋ E 7→ U −1 PE U è la misura spettrale associata a U −1 AU dal teorema spettrale,
cioé
Z
Z
λd(U −1 P (A) U )(λ) ,
U −1 λdP (A) (λ)U =
R
U −1 eitA U
R
−1
eitU AU .
(d)
=
Suggerimenti. (a) e (b) seguono dalla definizione di operatore autoaggiunto. (c) si ottiene
provando che per funzioni f : R → C limitate, direttamente
dalla definizione
di integrale di funR
R
zioni limitate rispetto a una PVM (cap 8), vale U −1 R f (x)dP (A) (x)U = R fR (x)d(U −1 P (A) U )(x);
quindi osservando che per ogni operatore autoaggiunto vale T = s-limn→+∞ R χ[−n,n](x)dP (T ) (x).
(d) si ottiene da (d) oppure, direttamente, sviluppando in serie l’esponenziale sull’insieme denso
(A)
di vettori analitici di U −1 AU della forma ψ ∈ U −1 P[−n,n] (H) con n ∈ N.
11.2
Introduzione ai gruppi di simmetria.
In questa sezione introdurremo alcuni argomenti elementari della teoria delle rappresentazioni
proiettive applicata ai gruppi di simmetria quantistica. Vista la vastità e l’importanza dell’argomento, rimandiamo all’esaustivo trattato [BaRa86] per approfondimenti.
11.2.1
Rappresentazioni proiettive, unitarie proiettive, estensioni centrali.
Consideriamo la situazione in cui esista un gruppo G (con prodotto gruppale indicato con · ed
elemento neutro e) che possa essere interpretato come gruppo di trasformazioni che possano
agire su un sistema fisico S, descritto nello spazio di Hilbert HS . Per semplicità supponiamo
che HS non ammetta settori coerenti (quindi HS stesso è l’unico settore). Supponiamo infine
che, a ciascuna di queste trasformazioni g ∈ G, sia associata una simmetria γg , che quindi
possiamo pensare come automorfismo di Kadison (o di Wigner). Abbiamo incontrato questa
situazione in (1) in esempi 11.1. In tal caso G era il gruppo delle isometrie dello spazio di
quiete tridimensionale di un riferimento inerziale e S era la particella senza carica e senza spin.
Gli automorfismi di Kadison da S(HS ) in S(HS ) formano naturalmente un gruppo rispetto
alla composizione di applicazioni. Arriviamo naturalmente in questo modo all’idea che esista
una rappresentazione di G in termini di automorfismi di Kadison che rappresentino l’azione
del gruppo di trasformazioni G sugli stati quantistici del sistema S. In altre parole, possiamo
supporre che l’applicazione G ∋ g 7→ γg sia un omomorfismo gruppale, cioè conservi la struttura
di gruppo:
γg·g′ = γg ◦ γg′ , γe = id , γg−1 = γg−1 per ogni g, g′ ∈ G,
dove abbiamo indicato con id l’automorfismo identità . In realtà non è necessario imporre la terza condizione, dato che essa segue dalle precedenti due in virtù dell’unicità dell’elemento inverso
in un gruppo. Ci si aspetta anche che, come accade nella maggior parte dei casi concreti in
fisica, la rappresentazione G ∋ g 7→ γg sia fedele, cioè che l’omomorfismo gruppale G ∋ g 7→ γg
421
sia iniettivo. La situazione descritta è molto frequente in fisica.
Definizione 11.4. Si consideri un sistema quantistico S descritto sullo spazio di Hilbert HS .
Sia G un gruppo che ammette un omomorfismo gruppale iniettivo (cioè una rappresentazione
fedele) G ∋ g 7→ γg , in termini di automorfismi di Wigner γg ∈ Sp (HS ) → Sp (HS ). In tal
caso diremo che G è un gruppo di simmetria di S e G ∋ g 7→ γg è la sua rappresentazione
proiettiva su Sp (HS ).
Osservazioni.
(1) Nella definizione ci siamo riferiti solo a simmetrie di Wigner, questo non è riduttivo dato
che, per il teorema di Kadison (nella formulazione che abbiamo dato noi), ogni automorfismo di
Wigner γg si estende, in modo unico, ad un automorfismo di Kadison γg′ : S(HS ) → S(HS ). Si
prova immediatamente che G ∋ g 7→ γg′ è un omomorfismo gruppale iniettivo, cioè una rappresentazione fedele di G in termini di automorfismi di Kadison. Viceversa, ogni rappresentazione
fedele di G in termini di automorfismi di Kadison individua univocamente una rappresentazione
fedele di G in termini di automorfismi di Wigner, restringendo ogni automorfismo di Kadison a
Sp (HS ).
Nel seguito, anche se scriveremo prevalentemente simmetria di Wigner, penseremo indifferentemente la rappresentazione G ∋ g 7→ γg come costituita da automorfismi di Wigner o di Kadison
a seconda di quello che è conveniente.
(2) Il termine rappresentazione proiettiva, è appropriato perché Sp (Hs ) è uno spazio proiettivo
come menzionato nel capitolo 7 e l’applicazione γg ↾Sp (HS ) : Sp (HS ) → Sp (HS ) è ben definita.
(3) Dato che l’omomorfismo G ∋ g 7→ γg è esplicitamente supposto essere iniettivo, possiamo
equivalentemente considerare come gruppo di simmetria, o più precisamente il gruppo di simmetrie, l’insieme degli automorfismi γg , con g ∈ G, dotato della struttura naturale di gruppo
rispetto alla legge di composizione dei funzioni. Tale gruppo è infatti isomorfo a G per costruzione.
Una questione interessante è la seguente. Supponiamo ancora di avere un gruppo di simmetria,
con rappresentazione proiettiva G ∋ g 7→ γg . L’applicazione G 7→ γg è certamente una rappresentazione, ma non è una rappresentazione lineare, dato che le funzioni γg : Sp (HS ) → Sp (HS )
non sono funzioni lineari. Notando però che ad ogni automorfismo γg corrisponde un operatore unitario (lineare) o antiunitario Ug : HS → HS , che soddisfa γg (ρ) = Ug ρUg−1 per ogni
ρ ∈ Sp (HS ), sorge spontanea la questione se possa accadere che l’applicazione G ∋ g 7→ Ug
sia una rappresentazione (anti)lineare di G cioè in termini di operatori (anti)lineari (unitari e/o
antiunitari) di B(H). In altre parole ci chiediamo se sia possibile che l’applicazione G ∋ g 7→ Ug
sia un omomorfismo gruppale, cioè conservi la struttura di gruppo:
Ug·g′ = Ug Ug′ ,
Ue = I ,
Ug−1 = Ug−1
per ogni g, g′ ∈ G,
(11.34)
dove I : HS → HS è l’operatore identità . La questione è importante anche dal punto di vista tecnico, in quanto esistono moltissimi risultati della teoria delle rappresentazioni lineari dei gruppi
422
su spazi vettoriali (di Hilbert), che possono essere usati nello studio dei gruppi di simmetria dei
sistemi quantistici. La risposta, in generale è negativa, dato che la condizione Ug·g′ = Ug Ug′ non
è in generale verificata. Infatti, dato che γg ◦ γg′ = γgg′ , deve essere:
−1
Ug Ug′ ρ(Ug Ug′ )−1 = Ug·g′ ρUg·g
′
per ogni ρ ∈ S(HS ).
Conseguentemente:
(Ug·g′ )−1 Ug Ug′ ρ(Ug Ug′ )−1 Ug·g′ = ρ per ogni ρ ∈ Sp (HS ).
Questi significa che, se ρ = ψ(ψ| ), allora (Ug·g′ )−1 Ug Ug′ ψ e ψ devono differire al più per una fase.
Tale fase non può dipendere da ψ (la dimostrazione è la stessa che abbiamo fatto nell’enunciato
relativo all’unicità nel teorema di Wigner), tuttavia tale fase può dipendere da g e g′ . Deve essere
chiaro che è impossibile ottenere un risultato più preciso, proprio perchè gli stessi operatori U
sono definiti a meno di una fase. In definitiva, se gli Ug sono gli operatori (unitari o antiunitari)
associati ad una rappresentazione proiettiva di un certo gruppo di simmetria, la condizione
Ug·g′ = Ug Ug′ , nel caso generale si indebolisce in:
Ug Ug′ = ω(g, g′ )Ug·g′
per ogni g, g′ ∈ G,
dove ω(g, g′ ) ∈ C con |ω(g, g′ )| = 1 sono numeri complessi che dipendono dalla scelta che abbiamo fatto nell’associare gli operatori Ug agli automorfismo γg in rispetto della libertà permessa
dai teoremi di Wigner e Kadison. Quindi se U (1) indica il gruppo dei numeri complessi di modulo unitario, deve accadere che ω(g, g′ ) ∈ U (1).
Non è affatto ovvio che sia possibile riassegnare le fasi degli operatori Ug , in modo tale che risulti
ω(g, g′ ) = 1 per ogni g, g′ ∈ G.
Nota. D’ora in poi ci restringeremo a lavorare con operatori esplicitamente unitari tralasciando
il caso antiunitario. Daremo qualche motivazione alla fine di questa sezione.
Le funzioni G × G ∋ (g, g′ ) 7→ ω(g, g′ ) ∈ U (1) non sono completamente arbitrarie, dato che deve
valere la proprietà associativa:
(Ug Ug′ )Ug′′ = Ug (Ug′ Ug′′ ) .
Il calcolo prova immediatamente che la proprietà associativa è valida se e solo se è soddisfatta
l’identità :
ω(g, g′ )ω(g · g′ , g′′ ) = ω(g, g′ · g′′ )ω(g′ , g′′ )
(11.35)
Da questa identità seguono immediatamente le importanti proprietà (dove e è l’elemento neutro
di G):
ω(g, e) = ω(e, g) ,
ω(g, e) = ω(g1 , e) ,
ω(g, g−1 ) = ω(g−1 , g) ,
423
per ogni g, g1 ∈ G. (11.36)
Possiamo dare la seguente definizione che prescinde dal significato fisico degli oggetti matematici
coinvolti.
Definizione 11.5. Se G è un gruppo e H uno spazio di Hilbert (complesso), una rappresentazione unitaria proiettiva di G su H è applicazione:
G ∋ g 7→ Ug ∈ B(H) ,
(11.37)
in cui Ug sono operatori unitari e, definiti i moltiplicatori della rappresentazione:
−1
ω(g, g′ ) := Ug·g
′ Ug Ug ′
per ogni g, g′ ∈ G,
(11.38)
risulti ω(g, g′ ) ∈ U (1) (e di conseguenza vale la (11.35)) per ogni g, g′ ∈ G.
La rappresentazione proiettiva su Sp (H) individuata da (con ovvie notazioni):
G ∋ g 7→ Ug · Ug∗
si dice essere indotta dalla rappresentazione unitaria proiettiva (11.37).
La rappresentazione unitaria proiettiva (11.37) è detta rappresentazione (propriamente)
unitaria di G su H se tutti i suoi moltiplicatori sono 1.
La rappresentazione unitaria proiettiva (11.37) è detta irriducibilerappresentazione unitaria
proiettiva irriducibile, se non esiste alcun sottospazio chiuso H0 ⊂ H diverso da H e da {0} tale
che Ug (H0 ) ⊂ H0 per ogni g ∈ G.
Due rappresentazioni unitarie proiettive G ∋ g 7→ Ug ∈ B(H) e G ∋ g 7→ Ug′ ∈ B(H′ ), con H e
H′ spazi di Hilbert (eventualmente coincidenti), si dicono equivalentirappresentazioni unitarie
proiettive equivalenti se esiste un operatore unitario S : H → H′ ed una funzione χ : G ∋ g 7→
χ(g) ∈ U (1) tali che:
χ(g)SUg S −1 = Ug′ per ogni g ∈ G.
(11.39)
Nota. Il lettore deve avere ben chiara la differenza tra rappresentazioni proiettive e rappresentazioni unitarie proiettive e rappresentazioni unitarie. Le prime agiscono su Sp (HS ) o S(HS )
rappresentando gruppi di simmetria e non contengono scelte arbitrarie senza significato fisico.
Quelle di secondo e terzo tipo agiscono su HS , inducono rappresentazioni proiettive, ma sono
affette da scelte arbitrarie nella definizione delle fasi degli operatori unitari che le costituiscono.
Osservazioni.
(1) La nozione data di rappresentazioni unitarie proiettive equivalenti è : transitiva, simmetrica e riflessiva. Pertanto individua una relazione di equivalenza tra le rappresentazioni unitarie
proiettive di un fissato gruppo su un fissato spazio di Hilbert. Se G è un gruppo di simmetria
per il sistema fisico S, descritto sullo spazio di Hilbert HS , le rappresentazioni proiettive di G
su Sp (HS ) sono evidentemente in corrispondenza biunivoca con le classi di equivalenza di rappresentazioni unitarie proiettive di G.
(2) La proprietà che una data rappresentazione unitaria proiettiva G ∋ g 7→ Ug sia equivalente
424
ad una rappresentazione unitaria, è in realtà una proprietà riguardante classe di equivalenza di
tale rappresentazione unitaria proiettiva: corrisponde al fatto che la classe di equivalenza contenga una rappresentazione unitaria. Nel caso in cui ci riferiamo ad un gruppo di simmetrie di
un sistema quantistico, è dunque una proprietà della rappresentazione proiettiva su S(HS ) alla
quale corrisponde tale classe di equivalenza.
(3) La proprietà che una data rappresentazione unitaria proiettiva G ∋ g 7→ Ug sia irriducibile
è in realtà una proprietà riguardante tutti gli elementi della classe di equivalenza di tale rappresentazione unitaria proiettiva: se un elemento è irriducibile, allora lo sono tutti gli altri, come si
verifica immediatamente dalle definizioni date. L’importanza delle rappresentazioni irriducibili
è dovuta al fatto che con tali rappresentazioni si costruiscono tutte le rimanenti rappresentazioni
come somma diretta o come integrale diretto di rappresentazioni irriducibili [BaRa86].
La questione se un data rappresentazione proiettiva G ∋ g 7→ γg di un gruppo di simmetria
G ammetta una descrizione, sullo spazio HS , in termini di una rappresentazione unitaria di
g può porsi come segue, in termini concreti. Nella classe di equivalenza di rappresentazioni
proiettive unitarie associate a G ∋ g 7→ γg , se ne fissa una arbitrariamente (quanto segue non
dipende dal particolare elemento della classe di equivalenza per l’osservazione (2) di sopra) e si
considerano i suoi moltiplicatori.
La questione si riduce ora allo stabilire se esista o meno una funzione χ : G ∋ g 7→ χ(g) ∈ C con
|χ(g)| = 1 che verifichi la condizione:
ω(g, g′ ) =
χ(g · g′ )
χ(g)χ(g′ )
per ogni g, g′ ∈ G .
(11.40)
Infatti se la suddetta funzione χ esiste, inserendo essa a primo membro in (11.39), i moltiplicatori di G ∋ g 7→ Ug′ risultano essere banali per le identità (11.40). Se, viceversa i moltiplicatori
di G ∋ g 7→ Ug′ sono banali, la funzione χ, che appare a primo membro in (11.39), soddisfa la
(11.40).
Esistono vari approcci per affrontare e risolvere il problema dell’esistenza di χ suddetta [BaRa86],
e si vede che ci sono gruppi, in particolare i gruppi di Lorentz e Poincaré , le cui rappresentazioni proiettive sono descrivibili da rappresentazioni unitarie sullo spazio di Hilbert associato al
sistema fisico. Altri, come il gruppo di Galileo, le cui rappresentazioni proiettive (non banali)
non ammettono descrizioni in termini di rappresentazioni unitarie, ma solo unitarie proiettive e
non si possono sopprimere i moltiplicatori.
Esiste una vasta letteratura in proposito e le rappresentazioni unitarie proiettive irriducibili dei
gruppi di interesse fisico (specialmente gruppi di Lie) sono state studiate e catalogate.
Come ultima osservazione vogliamo precisare che se, per un certo gruppo di simmetria G, esistono rappresentazioni unitarie proiettive differenti associate a classi di equivalenza disgiunte,
allora si possono avere conseguenti regole di superselezione come spiegato nell’esempio 11.3 sotto.
Torniamo ora ad esaminare la questione dell’unitarietà o antiunitarietà degli operatori Ug . Supponiamo di avere un gruppo di simmetria, con rappresentazione proiettiva G ∋ g 7→ γg . Ad
ogni automorfismo γg corrisponde un operatore unitario oppure antiunitario, Ug : HS → HS ,
425
che soddisfa γg (ρ) = Ug ρUg−1 per ogni ρ ∈ Sp (HS ), in base al teorema di Wigner. Ci sono
criteri per decidere se gli operatori Ug sono tutti unitari, tutti anti unitari oppure di tipo differente a seconda del particolare g ∈ G? Se Ug e Ug′ fossero entrambi antiunitari, il vincolo
Ug Ug′ = χ(g, g′ )Ug·g′ imporrebbe che Ug·g′ sia, al contrario, unitario. Di conseguenza rappresentazioni con più di due elementi costituite da soli operatori antiunitari (a parte l’identità che
è sempre unitaria) non possono esistere e la situazione in cui appaiono alcuni (più di uno) operatori antiunitari è comunque non banale per l’esistenza di vincoli come quello trovato. Sussiste la
seguente elementare proposizione a riguardo, che mostra che la natura stessa di G può imporre
che gli operatori siano tutti unitari.
Proposizione 11.5. Sia H uno spazio di Hilbert complesso e G un gruppo. Si supponga che
ogni g ∈ G sia il prodotto di elementi g1 , g2 , . . . , gn ∈ G (dipendenti da g) che ammettono una
radice quadrata (cioè esiste rk ∈ G tale che gk = rk · rk per ogni k = 1, . . . , n). Allora per ogni
rappresentazione proiettiva G ∋ g 7→ γg gli elementi γg possono essere associati solo ad operatori
unitari in base al teorema di Wigner (o Kadison).
Prova. La prova è ovvia, essendo Urk Urk lineare anche quando Urk è antilineare e valendo
Ugk = χ(rk , rk )Urk Urk , segue che Ugk deve essere lineare ed, infine, anche Ug deve essere lineare. 2
Abbiamo il seguente importante caso per le applicazioni, specialmente per n = 1.
Proposizione 11.6. In riferimento alla proposizione 11.5, le rappresentazioni proiettive del
gruppo additivo G = Rn possono solo essere associate ad operatori unitari.
Prova. Se t ∈ Rn allora t = t/2 + t/2. La tesi allora segue dalla proposizione 11.5. 2.
Come vedremo più avanti, l’ipotesi della proposizione 11.5 è automaticamente soddisfatta nel
momento in cui si assume che G sia un gruppo di Lie connesso, e la presenza di operatori antiunitari si ha solo in presenza di gruppi discreti o discontinuità (cambiando componente connessa
del gruppo di Lie). Pertanto nel seguito ci riferiremo al caso in cui tutti gli operatori Ug siano
sempre unitari.
Esiste un approccio [BaRa86] che permette di studiare tutte le possibili rappresentazioni proiettive unitarie di un gruppo, vedendole come restrizioni di rappresentazioni unitarie di un gruppo
più grande detto estensione centrale del gruppo iniziale. Questa procedura, apparentemente
macchinosa, risulta invece tecnicamente utile (anche per determinare l’esistenza di eventuali
rappresentazioni unitarie del gruppo iniziale G) perché permette di utilizzare tecniche proprie
della teoria delle rappresentazioni unitarie (dell’estensione centrale), che è molto più semplice di
quella delle rappresentazioni proiettive. Spieghiamo brevemente l’idea fondamentale di questa
procedura. Bisogna precisare che essa è davvero utile nel caso in cui G sia un gruppo di Lie
(semplicemente connesso) come vedremo più avanti; tuttavia questa caratterizzazione non entra
426
in gioco nell’idea fondamentale che stiamo per spiegare, in cui la sola struttura algebrica di
gruppo è sufficiente.
Se G è un gruppo arbitrario, e G ∋ g 7→ Ug è una rappresentazione proiettiva sullo spazio di
b che ha come elementi le coppie
Hilbert H con moltiplicatori ω, definiamo il nuovo gruppo G
ω
b
(χ, g) ∈ U (1) × G e definiamo il prodotto gruppale in Gω come:
(χ, g) ◦ (χ′ , g) = χχ′ ω(g, g′ ) , g · g′
per ogni (χ, g), (χ′ , g′ ) ∈ U (1) × G.
Lasciamo al lettore la verifica che la definizione data sia ben posta, come sola conseguenza del
fatto che la funzione ω soddisfi (11.35), e che individui effettivamente una struttura di gruppo
con elemento neutro (χ(e, e)−1 , e), essendo e l’elemento neutro di G (si tenga conto delle (11.36)).
Possiamo dare la seguente definizione che prescinde da come abbiamo ottenuto la funzione ω,
purché essa soddisfi (11.35).
Definizione 11.6. si consideri un gruppo G ed una funzione ω : G × G → U (1) che soddisfa
b ω costruito sull’insieme U (1) × G con prodotto gruppale
(11.35). Il gruppo G
(χ, g) ◦ (χ′ , g) = χχ′ ω(g, g′ ) , g · g′
per ogni (χ, g), (χ′ , g′ ) ∈ U (1) × G,
lo diremo estensione centrale del gruppo G tramite U (1) con funzione dei moltiplicatori ω.
b ω e l’omomorfismo surgettivo G
b ω ∋ (χ, g) 7→ g ∈
L’omomorfismo iniettivo U (1) ∋ χ 7→ (χ, e) ∈ G
G sono detti, rispettivamente, l’iniezione canonica e la proiezione canonica dell’estensione
centrale.
A giustificazione della terminologia (vedi Appendice A), notiamo che la proiezione canonica
b ∋ (χ, g) 7→ g ∈ G è un omomorfismo surgettivo, il cui nucleo è dato dal sottogruppo normale
G
ω
N (immagine dell’iniezione canonica e isomorfo a U (1)) di elementi (χ, e) con χ ∈ U (1). N
b dato che i suoi elementi commutano con tutti gli elementi di
è incluso nel centro del gruppo G,
b ω (visto che ω(e, g) = ω(g, e)). In pratica, il gruppo G è stato esteso fino ad ottenere il gruppo
G
b ω , la cui parte che differisce da G (il nucleo dell’applicazione surgettiva G
b ω ∋ (χ, g) 7→ g ∈ G)
G
è nel centro dell’estensione. Si osservi anche che G si identifica naturalmente con il gruppo
b ω /N.
quoziente G
Ci sono ora tre importanti osservazioni che portano ad individuare una procedura per ottenere
tutte le rappresentazioni unitarie proiettive di G.
(1) Il primo punto importante è che, ora, l’applicazione:
b ω ∋ (χ, g) 7→ V
G
(χ,g) := χUg ,
b su H, infatti, gli operatori V
è sempre una vera rappresentazione unitaria di G
ω
(χ,g) : H → H
sono tutti unitari, risulta subito che V(1,e) = I ed infine:
V(χ,g) V(χ′ ,g′ ) = χUg χ′ Ug′ = χχ′ ω(g, g′ )Ug·g′ = V(χ,g)◦(χ′ ,g′ ) .
(2) Il secondo punto importante è che la rappresentazione unitaria proiettiva di partenza, si
b ∋ (χ, g) 7→ V
ottiene dalla rappresentazione unitaria G
ω
(χ,g) per restrizione: restringendo cioè il
427
dominio di V all’insieme di elementi (1, g) con g ∈ G cioè , con un piccolo abuso di linguaggio,
restringendo la rappresentazione unitaria V a G .
(3) Il terzo punto importante è che, data una qualsiasi rappresentazione unitaria
b ∋ (χ, g) 7→ V
G
ω
(χ,g)
di un’estensione centrale che soddisfi la condizione (notare che Ue = χ(e, e)I nelle rappresentazioni unitarie proiettive):
V(χ,e) = χω(e, e)I
per ogni χ ∈ U (1),
(11.41)
la sua restrizione all’insieme di elementi (1, g) con g ∈ G produce sempre una rappresentazione
unitaria proiettiva.
Concludiamo che vale la seguente proposizione.
Proposizione 11.7. Ogni rappresentazione unitaria proiettiva di un gruppo G si ottiene restringendo a G una opportuna rappresentazione unitaria di una opportuna estensione centrale
b la cui funzione dei moltiplicatori soddisfa (11.41).
G
ω
In definitiva, considerando prima tutte le possibili estensioni centrali di G, ottenute tramite tutte
le funzioni dei moltiplicatori G × G ∋ (g, g′ ) 7→ ω(g, g′ ) ∈ U (1) (che soddisfino (11.35)), e poi
studiando tutte le possibili rappresentazioni unitarie di tali estensioni che soddisfino (11.41), si
ottengono anche, per restrizione a G, tutte le rappresentazioni unitarie proiettive di G.
Questa procedura in certi casi, in particolare considerando gruppi G che abbiano struttura di
gruppi di Lie, è estremamente potente e, applicando metodi di coomologia gruppale consente di
catalogare le rappresentazioni unitarie proiettive continue in un certa topologia (e le eventuali
rappresentazioni unitarie) di un gruppo di Lie semplicemente connesso, partendo dalla sola conoscenza dell’algebra di Lie di G [BaRa86]. Torneremo su ciò più avanti.
Nella procedura proposta sopra per ottenere tutte le rappresentazioni unitarie proiettive di Gω
b , non è necessario conoscere
restringendo le rappresentazioni unitarie delle estensioni centrali G
ω
tutte le estensioni centrali di G. In effetti, è sufficiente conoscere le estensioni centrali i cui
moltiplicatori non sono equivalenti nel senso che segue. Date due funzioni dei moltiplicatori
sullo stesso gruppo, G × G ∋ (g, g′ ) 7→ ω(g, g′ ) ∈ U (1) e G × G ∋ (g, g′ ) 7→ ω ′ (g, g′ ) ∈ U (1),
diremo che esse sono equivalenti, se esiste una funzione χ : G → U (1) tale che:
ω(g, g′ ) =
χ(g · g′ ) ′
ω (g, g′ ) per ogni g, g′ ∈ G.
χ(g)χ(g′ )
Se due rappresentazioni unitarie proiettive U e U ′ di G sono equivalenti, allora si possono cob eG
b ′ che hanno
struire restringendo a G due rappresentazioni unitarie di estensioni centrali G
ω
ω
funzioni dei moltiplicatori ω e ω ′ equivalenti. Quindi, se conosciamo tutte le estensioni centrali
di G i cui moltiplicatori non sono equivalenti e le rappresentazioni unitarie di esse, conosciamo
428
tutte le classi di equivalenza di rappresentazioni unitarie proiettive di G e di conseguenza tutte
le rappresentazioni unitarie proiettive di G.
Si noti ancora che, se ω(e, e) 6= 1 per una certa scelta della funzione ω, attraverso una trasformazione di equivalenza con una funzione χ costante, possiamo sempre ridurci ad avere soddisfatta
la condizione χ(e, e) = 1. In questo caso, l’estensione centrale ha come elemento neutro (1, e) e
la condizione (11.41) si riduce a:
V(χ,e) = χI
per ogni χ ∈ U (1) .
(11.42)
Di conseguenza, senza perdere generalità , possiamo sempre lavorare con rappresentazioni unitarie proiettive (che si ottengono restringendo a G le rappresentazioni unitarie dell’estensione centrale) che soddisfano Ue (:= V(1,e) ) = I. Moltiplicatori tali che ω(e, e) = 1 (e quindi
ω(e, g) = ω(g, e) = ω(e, e) = 1) vengono detti normalizzati.
b nel caso in cui non
Per concludere, facciamo qualche considerazione fisica sul significato di G,
esistano rappresentazioni unitarie di G, ma solo rappresentazioni unitarie proiettive. Supponiamo quindi di avere un gruppo di simmetria G ∋ g 7→ γg per il sistema fisico S, e quindi una
sua rappresentazione proiettiva su S(HS ), che non sia descrivibile tramite una rappresentazione
unitaria. Possiamo comunque fare una scelta delle fasi arbitrarie ed estendere il gruppo da G
b usando i moltiplicatori trovati e pensare G
b come il vero gruppo di simmetria di S. Tale
aG
ω
ω
gruppo esteso ammette dunque due rappresentazioni: una data dal gruppo G stesso:
b ω ∋ (χ, g) 7→ g ∈ G ,
G
che rappresenta l’azione classica del gruppo. L’altra quantistica ed unitaria:
b ω ∋ (χ, g) 7→ χUg ,
G
che rappresenta l’azione del gruppo sugli stati del sistema (in realtà sui vettori dello spazio di
Hilbert del sistema e, di conseguenza, sugli stati).
b ω è a volte detto il gruppo quantistico associato a quello classico G.
In quest’ottica, il gruppo G
b ω non può essere fatta con
Si osservi che tuttavia la scelta di una precisa estensione centrale G
la costruzione che abbiamo presentato fino ad ora, in cui solo le rappresentazioni proiettive in
termini di automorfismi di Wigner o di Kadison hanno un significato fisico. Per poter scegliere
tra le varie estensioni centrali è necessario dare un significato fisico alle singole rappresentazioni unitarie proiettive di G oppure alle singole rappresentazioni unitarie delle possibili estensioni
b Questo può essere fatto arricchendo la struttura di G fino a farlo diventare un gruppo
centrali G.
di Lie, come vedremo più avanti. Nel caso delle rappresentazioni unitarie proiettive del gruppo
di Galileo, i moltiplicatori hanno un diretto significato fisico perché sono legati alla massa del
sistema fisico come chiariremo meglio più avanti, dopo avere introdotto i gruppi di Lie come
gruppi di simmetria.
429
11.2.2
Gruppi di simmetria topologici.
Ci occupiamo ora di introdurre la nozione di gruppo di simmetria topologico, dando alcuni semplici risultati generali per lo più dovuti a Wigner. Studieremo in particolare il caso del gruppo
topologico additivo R che riveste un particolare significato fisico oltre ad essere tecnicamente
importante.
La maggior parte dei gruppi di simmetria quantistici, escluse in particolare le simmetrie discrete (inversione di parità ed inversione del tempo) sono date da gruppi di Lie, di cui diremo nel
prossimo paragrafo. I gruppi di Lie sono un sottocaso dei gruppi topologici.
Un gruppo topologico, per definizione, è un gruppo G che è anche spazio topologico e le cui
operazioni di composizione, G×G ∋ (f, g) 7→ f ·g ∈ G, e di calcolo dell’inverso G ∋ g 7→ g−1 , sono
funzioni continue rispetto alla topologia prodotto di G ed alla topologia di G, rispettivamente.
La teoria dei gruppi topologici e delle loro rappresentazioni è un capitolo molto vasto della matematica [NaSt84], noi ci limiteremo a presentare alcuni risultati elementarissimi e strettamente
legati ai nostri modelli fisici.
Esempi 11.3.
(1) Il gruppo GL(n, R), ovvero GL(n, C), delle matrici n×n non singolari reali, rispettivamente,
complesse, è (evidentemente) un gruppo topologico, quando lo si pensa dotato della topologia
2
2
indotta da Rn , rispettivamente Cn .
(2) Sono quindi gruppi topologici tutti i sottogruppi di GL(n, R) e GL(n, C) che si incontrano
in fisica, come il gruppo unitario U (n) = {U ∈ GL(n, C) | U U ∗ = I}, il gruppo unitario speciale
SU (n) := {U ∈ SU (n) | detU = 1}7 , il gruppo ortogonale O(n) := {R ∈ GL(n, R) | RRt = I}
ed il suo sottogruppo speciale SO(n) := {R ∈ O(n) | detR = 1}, il sottogruppo lineare speciale
SL(n, R) := SGL(n, R) := {A ∈ GL(n) | detA = 1}, i gruppi simplettici Sp(n, R) ecc...
(3) Vi sono gruppi topologici che, apparentemente, non sono gruppi matriciali, come il gruppo
additivo R. In realtà anche tale gruppo topologico, come il gruppo additivo Rn (delle traslazioni di Rn ) o il gruppo IO(n) delle isometrie proprie di Rn , si possono realizzare come gruppi
matriciali. Nel caso di Rn , la sua realizzazione matriciale è data dal gruppo – sottogruppo di
2
GL(n + 1, R) e dotato della topologia indotta da R(n+1) – delle matrici reali (n + 1) × (n + 1)
della forma:
–
™
1 0t
per ogni t ∈ Rn .
(11.43)
M (t) :=
t I
Sopra I indica la matrice identità n × n. La funzione R ∋ t 7→ M (t) è un isomorfismo gruppale,
ma anche un omeomorfismo, dotando il gruppo di matrici suddette della topologia indotta da
2
R(n+1) .
(4) Il gruppo di Galileo e quello di Poincaré , oltre che quello di Lorentz, sono gruppi topologici,
che si possono costruire come gruppi matriciali. Esistono comunque gruppi topologici (che sono
7
Ricordiamo che speciale, nella teoria dei gruppi matriciali, significa con determinante 1 e si indica con la
lettera S davanti al (o all’interno del) nome del gruppo di cui il gruppo speciale è sottogruppo.
430
comunque gruppi di Lie), che non ammettono nessuna realizzazione matriciale, come il rivestimento universale del gruppo conforme (matriciale) SL(2, R).
Vogliamo ora specializzare la nozione di gruppo di simmetria al caso in cui il gruppo sia topologico, imponendo requisiti topologici anche sulla rappresentazione proiettiva associata.
Supponiamo dunque di avere una gruppo di simmetria quantistico G ∋ g 7→ γg per il sistema
fisico S descritto sullo spazio di Hilbert HS . Se G è un gruppo topologico, ci aspettiamo che
l’omomorfismo gruppale g 7→ γg sia continuo in qualche senso. Dobbiamo in particolare scegliere una topologia per lo spazio delle funzioni γg , che possiamo pensare, indifferentemente come
automorfismi di Kadison oppure di Wigner. Nel seguito adotteremo il punto di vista di Wigner.
Diamo la nostra definizione che poi giustificheremo sia matematicamente che fisicamente.
Definizione 11.7. Si consideri un sistema fisico quantistico S descritto sullo spazio di Hilbert
HS . Sia G un gruppo topologico che ammette una rappresentazione proiettiva su H, G ∋ g 7→ γg
che soddisfa:
lim tr (ρ1 γg (ρ2 )) = tr (ρ1 γg0 (ρ2 ))
g→g0
per ogni g0 ∈ G e ogni ρ1 , ρ2 ∈ Sp (HS ).
In tal caso G è detto gruppo topologico di simmetria per S e G ∋ g 7→ γg , è detta rappresentazione proiettiva continua su Sp (HS ).
Dal punto di vista fisico, la definizione è ragionevole e afferma che le probabilità di transizione
tra due stati puri, di cui uno trasformato dall’azione del gruppo di simmetria, sono funzioni
continue sotto l’azione del gruppo. Nell’ottica dell’analisi di Wigner della nozione di simmetria
quantistica, questa definizione di continuità è accettabile.
Tuttavia la definizione data ha anche una sua naturalezza in termini matematici come andiamo a dimostrare. Nel seguito B1 (HS )R è spazio vettoriale reale degli operatori autoaggiunti di
classe traccia dotato della norma || ||1 degli operatori di classe traccia. Come sappiamo, dalla proposizione 11.4, ogni automorfismo di Wigner γg è individuato restringendo, sullo spazio
Sp (HS ), un unico operatore lineare (γ2 )g : B1 (HS )R → B1 (HS )R continuo nella norma naturale
di tale spazio || ||1 . Consideriamo allora l’applicazione Γ : G ∋ g 7→ (γ2 )g . Usando la topologia
operatoriale forte in B1 (HS )R e quella di G nel dominio, possiamo dire che Γ è continua quando,
per ogni ρ ∈ B1 (HS ) e g0 ∈ G vale:
lim ||(γ2 )g (ρ) − (γ2 )g0 (ρ)||1 = 0 .
g→g0
Restringendoci a lavorare su Sp (HS ) e tornando a alla nostra rappresentazione iniziale G ∋
g 7→ γg in termini di automorfismi di Wigner, diremo che G ∋ g 7→ γg è continua, se per ogni
ρ ∈ Sp (HS ) e g0 ∈ G vale:
lim ||γg (ρ) − γg0 (ρ)||1 = 0 .
g→g0
Apparentemente, questa nozione di continuità è differente da quella usata nella definizione 11.7.
In realtà è esattamente la stessa, come ora proveremo. Vale a tal fine il seguente semplice risultato. Nella prossima proposizione l’ultima affermazione è interessante perché Sp (H) non è uno
431
spazio normato, non essendo uno spazio vettoriale. Tuttavia risulta essere uno spazio metrico e
la funzione distanza ha un significato fisico, essendo legata all’ampiezza di probabilità .
Proposizione 11.8. Sia H spazio di Hilbert complesso. Se ||ρ||1 = tr(|ρ|) indica norma dello
spazio S(HS ) degli operatori di classe traccia, allora, riducendosi a lavorare con stati puri, vale:
È
(11.44)
||ρ − ρ′ ||1 = 2 1 − (tr(ρρ′ ))2 se ρ, ρ′ ∈ Sp (H).
Equivalentemente:
È
||ψ(ψ| ) − ψ ′ (ψ ′ | )||1 = 2 1 − |(ψ|ψ ′ )|2
se ψ, ψ ′ ∈ H e ||ψ|| = ||ψ ′ || = 1.
(11.45)
Pertanto Sp (H) è uno spazio metrico se dotato della funzione distanza:
È
d(ρ, ρ′ ) := 2 1 − (tr(ρρ′ ))2 per ogni ρ, ρ′ ∈ Sp (H).
Prova. Possiamo dimostrare la seconda affermazione dato che la prima è , banalmente, una
trascrizione della seconda e la terza è ovvia, se valgono le prime due, dalle proprietà generali
delle norme. Per dimostrare la seconda è sufficiente costruire una base ortonormale ψ1 , ψ2 dello
spazio generato da ψ e ψ ′ , assumendo ψ1 = ψ e decomponendo ψ ′ sulla stessa base. Si vede
allora che, se b := (ψ ′ |ψ2 ), vale:
ψ(ψ| ) − ψ ′ (ψ ′ | ) = −|b|ψ1 (ψ1 | ) + |b|ψ2 (ψ2 | ) .
Dato che quella ottenuta è la decomposizione spettrale di ρ − ρ′ , deve essere:
|ρ′ − ρ| = |b|ψ1 (ψ1 | ) + |b|ψ2 (ψ2 | ) = |b|I ,
e quindi, dato che 1 = ||ψ ′ ||2 = |(ψ ′ |ψ1 )|2 + |(ψ ′ |ψ2 )|2 , vale:
È
È
||ψ(ψ| ) − ψ ′ (ψ ′ | )||1 = tr(|b|I) = 2|b| = 2 1 − |(ψ ′ |ψ1 )|2 = 2 1 − |(ψ ′ |ψ)|2 .
Questo completa la dimostrazione. 2
Possiamo allora concludere che vale il seguente risultato che riappacifica fisica e matematica.
Proposizione 11.9. Si consideri un sistema fisico quantistico S descritto sullo spazio di Hilbert
HS . Sia G un gruppo topologico. Una rappresentazione proiettiva su H, G ∋ g 7→ γg è continua
nel senso della definizione 11.7, e quindi G è un gruppo di simmetria topologico per S, se e solo
se è continua adottando:
(i) la topologia di G nel dominio,
432
(ii) la topologia operatoriale forte, ristretta a Sp (HS ), nel codominio,
cioè :
lim ||γg (ρ) − γg0 (ρ)||1 = 0 per ogni ρ ∈ Sp (HS ) e g0 ∈ G.
g→g0
(11.46)
Prova. La (11.44) implica che:
È
||γg (ρ) − γg0 (ρ)||1 = 2 1 − tr (γg (ρ)γg0 (ρ)) .
Se G ∋ g 7→ γg è continua nel senso della definizione 11.7 allora limg→g0 tr (γg (ρ)γg0 (ρ)) =
tr (γg0 (ρ)γg0 (ρ)) = 1. Sostituendo nell’identità di sopra si ha che vale (11.46):
lim ||γg (ρ) − γg0 (ρ)||1 = 0 .
g→g0
Viceversa, dalla (11.44) si ha anche che usando la proprietà ciclica della traccia:
1
tr (γg0 (ρ)γg (ρ)) = 1 − ||γg (ρ) − γg0 (ρ)||21 ,
4
ponendo poi ρ1 := γg0 (ρ) (senza perdere generalità dato che γg0 è suriettiva), e ρ2 := ρ, abbiamo:
lim tr (ρ1 γg (ρ2 )) = 1 −
g→g0
1
1
lim ||γg0 (ρ) − γg (ρ)||21 = 1 − ||γg0 (ρ) − γg0 (ρ)||21 = tr (ρ1 γg0 (ρ2 )) .
4 g→g0
4
Quindi (11.46) implica la continuità della rappresentazione nel senso della definizione 11.7. 2
11.2.3
Rappresentazioni unitarie proiettive fortemente continue.
Consideriamo un sistema fisico S, descritto sullo spazio di Hilbert HS , ed un suo gruppo di
simmetria topologico, G, con rappresentazione proiettiva continua G ∋ g 7→ γg . Associamo
al gruppo di simmetria topologico una rappresentazione unitaria proiettiva G ∋ g 7→ Ug , nel
senso che γg (ρ) = Ug ρUg−1 per ogni stato puro ρ ∈ Sp (HS ) del sistema e per ogni elemento
del gruppo g ∈ G. Un problema interessante, che si pone immediatamente, è allora quello di
stabilire se sia possibile fissare le fasi arbitrarie per gli operatori unitari Ug in modo da ottener
una rappresentazione unitaria proiettiva che sia fortemente continua. Cioè :
Ug ψ → Ug0 ψ
se g → g0 e per ogni ψ ∈ H.
Il problema è molto difficile nel caso generale, benchè esista un risultato generale locale dovuto
a Wigner. Mostreremo infatti che, se G è un gruppo di simmetria topologico e G ∋ g 7→ γg la
sua rappresentazione proiettiva continua, allora è possibile fissare i moltiplicatori ω di una sua
rappresentazione unitaria proiettiva G ∋ g 7→ Ug in modo tale che essa risulti fortemente continua
in un intorno dell’elemento neutro del gruppo G ed i moltiplicatori stessi risultano continui in
433
tale intorno. Tale risultato, in generale, non si estende a tutto il gruppo. Successivamente
useremo questo risultato, restringendoci al caso di G = R, per provare che in quel caso, non solo
il risultato detto si estende a tutto il gruppo, ma è possibile porre tutti i moltiplicatori uguali a
1 ed ottenere una rappresentazione che è , contemporaneamente, unitaria e fortemente continua.
Le conseguenze fisiche di tale risultato sono molto profonde e riguarderanno la giustificazione
del postulato di evoluzione temporale ed il legame tra l’esistenza di simmetrie e la presenza di
quantità conservate sotto l’evoluzione temporale del sistema S: una formulazione quantistica del
teorema di Nöther. Esamineremo più avanti tali implicazioni, ora ci concentreremo solo sugli
aspetti matematici.
Proposizione 11.10. Si consideri un sistema fisico quantistico S descritto sullo spazio di
Hilbert HS e sia G un gruppo topologico con rappresentazione proiettiva continua γ : G ∋ g 7→ γg .
Esistono un intorno aperto A ⊂ G dell’elemento neutro e ∈ G ed una rappresentazione unitaria
proiettiva associata a γ, G ∋ g 7→ Ug che è continua su A nella topologia operatoriale forte.
Infine i moltiplicatori:
ω(g, g′ ) = Ug·g′
−1
Ug Ug′
per ogni g, g′ ∈ G
definiscono una funzione continua in un intorno aperto A′ di e con A′ · A′ ⊂ A.
Prova. Fissiamo φ ∈ H con ||φ|| = 1. Dato che G ∋ g 7→ tr(φ(φ| )γg (φ(φ| ))) è continua e vale 1
per g = 1, esiste un intorno aperto A0 di e in cui tr(φ(φ| )γg (φ(φ| ))) 6= 0. Rappresentiamo γ
con una rappresentazione unitaria proiettiva V . Per essa varrà allora, nell’intorno A0 :
0 6= tr(φ(φ| )γg (φ(φ| ))) = (φ|Vg φ) .
Definiamo allora (e la condizione (φ|Vg φ) 6= 0 assicura che ciò sia possibile):
χg :=
(φ|Vg φ)
|(φ|Vg φ)|
e quindi passiamo ad una nuova rappresentazione unitaria proiettiva, U , tale che, se g ∈ A0 :
Ug := χg Vg .
(Non importa come U venga definita fuori da A0 .) Con la scelta fatta risulta immediatamente
che, in A:
|(φ|Vg φ)|2
= (φ|Ug φ)
0<
|(φ|Vg φ)|
e quindi:
0 < (φ|Ug φ) = |(φ|Ug φ)| = tr(φ(φ| )γg (φ(φ| )))
per ogni g ∈ A0 .
(11.47)
La (11.47) ha due conseguenze, valide in qualche intorno aperto A di e con A ⊂ A0 :
Ue = 1 ,
e
Ug−1 = Ug−1
434
se g ∈ A.
(11.48)
Infatti, in generale deve essere Ue = χI per qualche χ ∈ U (1) e quindi (φ|Ue φ) = χ(φ|φ) = χ.
Dato che (φ|Ue φ) > 0, l’unica possibilità è χ = 1. Per quanto riguarda la seconda proprietà ,
notiamo subito che deve essere Ug−1 = χ′g Ug−1 per qualche χ′g ∈ U (1), inoltre, essendo g 7→ g−1
continua e valendo e−1 = e, ci deve essere un intorno aperto di e, A ⊂ A0 , per cui g−1 ∈ A0 se
g ∈ A. Lavorando in A, vale, essendo (φ|Ug φ) reale per cui (φ|Ug φ) = (Ug φ|φ):
0 < (φ|Ug−1 φ) = χ′g (φ|Ug−1 φ) = χ′g (φ|Ug∗ φ) = χ′g (Ug φ|φ) = χ′g (φ|Ug φ) .
Dato che (φ|Ug φ) > 0, l’unica possibilità è χ′g = 1. Abbiamo dimostrato (11.48).
Fissiamo ora ψ ∈ H con ||ψ|| = 1. Dalla continutià di γ riferita allo stato puro ψ(ψ| ) segue che:
lim |(Ur ψ|Us ψ)| = |(Us ψ|Us ψ)| = 1 .
(11.49)
lim |(φ|Us ψ)| = |(φ|Us ψ)| .
(11.50)
r→s
e
r→s
Usando queste nelle identità generali:
||Us ψ − (Ur ψ|Us ψ)Ur ψ||2 = 1 − |(Ur ψ|Us ψ)|2 ,
(11.51)
si ottiene immediatamente che:
lim (Ur ψ|Us ψ)Ur ψ = Us ψ
(11.52)
lim (Ur φ|Us φ)(φ|Ur φ) = (φ|Us φ) .
(11.53)
r→s
e quindi:
r→s
D’altra parte, con la nostra scelta della fase per U si ha:
lim (φ|Ur φ) = lim |(φ|Ur φ)| = |(φ|Us φ)| = (φ|Us φ) ,
r→s
r→s
(11.54)
e dunque, usando la (11.54) in (11.53), si trova:
lim (Ur φ|Us φ) = 1 .
r→s
(11.55)
Tenendo conto che:
||Ur φ − Us φ||2 = (Ur φ|Ur φ) + (Ur φ|Ur φ) − (Ur φ|Us φ) − (Us φ|Ur φ) = 2 − Re(Ur φ|Us φ) ,
la (11.55) implica che, per r ∈ A, la funzione r 7→ Ur φ è continua. Allora la funzione r 7→ (Ur )−1 φ
deve essere continua, dato che (11.53) deve valere anche per r sostituito da r −1 e s da s−1 essendo
la funzione g 7→ g−1 continua, e valendo infine (Ur )−1 = Ur−1 come provato in (11.48). Infine,
dalla (11.52) segue allora che:
lim (Ur ψ|Us ψ)(φ|Ur ψ) = (φ|Us ψ)
r→s
cioè
435
lim (Ur ψ|Us ψ)((Ur )−1 φ|ψ) = (φ|Us ψ) ,
r→s
e dunque r 7→ (φ|Ur ψ) è continua. Usando questo risultato ancora nella (11.52), si ha infine
lim (Ur ψ|Us ψ)(φ|Ur ψ) = (φ|Us ψ) ,
r→s
(11.56)
e dunque:
lim (Ur ψ|Us ψ) = 1 e, ragionando come per Ur φ, vale
r→s
lim ||Ur ψ − Us ψ|| = 0 .
r→s
(11.57)
Abbiamo provato che A ∋ g 7→ Ug è fortemente continua.
Proviamo la seconda affermazione della tesi. Valendo U (e) = 1 e Ug−1 = Ug−1 segue che su A:
ω(g, e) = ω(e, g) = 1 ,
(11.58)
(Ur−1 φ|Us φ) = ω(r, s)−1 (φ|Ur·s φ) ,
(11.59)
Dall’uguaglianza:
e dal fatto che (φ|Ur·s φ) > 0 se r · s ∈ A, segue che (r, s) 7→ χ(r, s)−1 è continua se r, s, r · s ∈ A.
Dato che il prodotto in G è continuo e e · e = e, esiste sicuramente un intorno A′ ⊂ A di e per cui
r, s ∈ A′ implica r · s ∈ A. Se A′ è sufficientemente piccolo, anche A′ × A′ ∋ (r, s) 7→ χ(r, s) =
(χ(r, s)−1 )−1 sarà un funzione continua, dato che l’operazione di prendere l’inverso è continua in
G e e−1 = e. 2
11.2.4
Il caso notevole del gruppo topologico R.
Enunceremo e proveremo qui una risultato molto importante, che riguarda le rappresentazioni
continue del gruppo topologico additivo R. Questo risultato è di fondamentale importanza in
fisica come vedremo in seguito.
Teorema 11.3. Se R ∋ r 7→ γr è una rappresentazione proiettiva continua del gruppo topologico
R nello spazio di Hilbert H, allora vale quanto segue.
(a) Esiste un gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo (nel senso della definizione
9.3) R ∋ r 7→ Wr tale che
γr (ρ) = Wr ρWr−1
per ogni r ∈ R e ρ ∈ Sp (H).
(11.60)
(b) Un altro gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo R ∋ r 7→ Ur soddisfa (11.60)
(con Ur in luogo di Wr ) se e solo se esiste c ∈ R tale che:
Ur = e−icr Wr
per ogni r ∈ R.
(c) Esiste un operatore autoaggiunto A : D(A) → H in H, unico a meno di una costante additiva
tale che:
γr (ρ) = e−irA ρeirA per ogni r ∈ R e ρ ∈ Sp (H).
436
Prova. (a) Sia [−b, b] ⊂ A, con b > 0 un intervallo incluso nell’intorno aperto di 0, A ⊂ R, che
soddisfa la tesi della proposizione 11.10 nel caso di G = R. Decomponiamo R come l’unione degli
intervalli disgiunti (na, (n + 1)a], con n ∈ Z, dove a = b/2. Quindi notiamo che, se r ∈ R allora
r cade in uno solo degli intervalli disgiunti detti e quindi r = nr a + tr con un unico tr ∈ (0, a]
per un unico nr ∈ Z. Allora deve valere, dato che γx γy = γx+y :
γr = γnr a+tr = (γa )nr γtr .
Di conseguenza si dovrà anche avere, se R ∋ r →
7 Ur è la rappresentazione unitaria proiettiva
individuata nella proposizione 11.10, e per ogni ρ ∈ Sp (HS ):
γr (ρ) = ((Ua )nr Utr ) ρ ((Ua )nr Utr )−1 ,
Dato che, per t ∈ (−a − ǫ, a + ǫ), per qualche ǫ > 0, la funzione t 7→ Ut è fortemente continua,
si prova che la funzione:
R ∋ r 7→ Vr
con Vr := (Ua )nr Utr dove nr ∈ Z e tr ∈ (0, a] sono determinati come detto sopra, è una funzione
fortemente continua. Gli unici punti di discontinuità possono essere gli estremi degli intervalli.
Consideriamo dunque r ∈ (na, (n + 1)a] e verifichiamo che Vr è continua in na. Se r− < na e
r+ > na abbiamo:
Vr− ψ = (Ua )(n−1) Utr− ψ
e Vr+ ψ = (Ua )n Utr+ ψ .
Dato che (−a, a) ∋ t 7→ Ut ψ è continua, dalla definizione di V segue immediatamente che:
lim
r− →na−
Vr− ψ = Vna ψ .
Per concludere non ci rimane che verificare che anche il limite destro coincide con quello sinistro.
Dobbiamo cioè provare che il limite di (Ua )(n−1) Utr− ψ, per tr− → a− coincide con il limite di
(Ua )n Utr+ ψ per tr+ → 0− . Dimostriamo che è vero. Vale:
lim (Ua )n−1 Ut ψ =
t→a−
lim (Ua )n−1 ω(a, t − a)−1 Ua Ut−a ψ =
t−a→0−
lim ω(a, t − a)−1 (Ua )n Ut−a ψ =
t−a→0−
= lim− ω(a, τ )−1 (Ua )n Uτ ψ .
τ →0
Dalla dimostrazione della proposizione precedente sappiamo che (0, a] ∋ τ 7→ ω(a, τ )−1 è sicuramente
continua, dato che a, τ, a + τ ∈ A per costruzione. Inoltre vale χ(a, 0) = 1 da (11.58). Sappiamo
anche che (0, a] ∋ t 7→ Ut ψ è continua e pertanto:
lim (Ua )n−1 Ut ψ = lim− ω(a, τ )−1 (Ua )n Uτ ψ = lim+ ω(a, τ )−1 (Ua )n Uτ ψ = lim+ (Ua )n Ut ψ .
t→a−
τ →0
τ →0
437
t→0
Abbiamo provato che:
Vna ψ =
lim
r− →na−
Vr− ψ =
lim (Ua )(n−1) Utr− ψ =
tr− →a−
lim (Ua )n Utr+ ψ =
tr+ →0+
lim
r+ →na+
Vr + ψ ,
che è quanto volevamo. Si noti ora che (Vr )−1 = (Utr )−1 (Ua )−nr = U−tr (Ua )−nr dove abbiamo
usato la seconda identità in (11.48). Con una dimostrazione simile a quella fatta per Vr , si verifica che anche R ∋ r 7→ (Vr )−1 è continuo nella topologia operatoriale forte.
Mostriamo ora che è possibile fissare i moltiplicatori di V in modo che valgano tutti 1. Dimostriamo che i moltiplicatori di V definiscono una funzione continua R2 ∋ (r, s) 7→ ω(r, s) ∈ U (1),
usando il fatto che R ∋ t 7→ Vt ψ e R ∋ t 7→ (Vt )−1 ψ sono funzioni continue come appena provato. Poi mostreremo che tale funzione è equivalente alla funzione che vale costantemente 1. Per
definizione:
ω(r, s)Vr+s = Vr Vs .
Fissiamo r0 , s0 ∈ R. Devono esistere due vettori ψ, φ ∈ H per i quali (ψ|Vr0 +s0 φ) 6= 0, se ciò non
fosse sarebbe Vr0 +s0 φ = 0 che è impossibile per ipotesi. Per continuità , ci sarà un intorno B di
(r0 , s0 ) tale che, se (r, s) ∈ B, allora (ψ|Vr+s φ) 6= 0. Con questa scelta di vettori, vale:
ω(r, s) =
((Vr )−1 ψ|Vs φ)
.
(ψ|Vr+s φ)
Concludiamo che R2 ∋ (r, s) 7→ ω(r, s) ∈ U (1) è continua nell’intorno di (r0 , s0 ), e quindi
è continua ovunque su R2 . Possiamo scrivere ω(r, s) = eif (r,s) per qualche funzione f : R2 → R.
Possiamo pensare la funzione continua ω come una funzione a valori sul cerchio di raggio unitario
S1 , dato che U (1) è omeomorfo a tale sottoinsieme di R2 . Dato che il gruppo fondamentale di
R2 è banale, applicando il teorema 18.2 in [Ser94] (sul sollevamento delle funzioni continue ai
rivestimenti di spazi topologici) si ha che è sempre possibile scegliere la funzione f in modo che
sia continua. Abbiamo trovato che i moltiplicatori di V si possono scrivere come:
ω(r, s) = e−if (r,s)
per ogni coppia (r, s) ∈ R2 , dove f : R2 → R è continua.
L’equazione (11.35) diventa ora:
f (s, t) − f (r + s, t) + f (r, s + t) − f (r, s) = 2πkr,s,t
per kr,s,t ∈ Z .
Dato che le funzioni continue trasformano insiemi connessi (R3 nel nostro caso) in insiemi connessi (un sottoinsieme di 2πZ con la topologia indotta da R, nel nostro caso), il secondo membro
dell’identià scritta deve essere costante. Dato che per r = s = t = 0 il primo membro si annulla,
deve allora valere:
f (s, t) − f (r + s, t) + f (r, s + t) − f (r, s) = 0 per ogni r, s, t ∈ R .
(11.61)
Fissiamo g : R → R differenziabile con continuità , con supporto compatto e tale che:
Z
g(x)dx = 1 e
R
Z
R
438
dg
dx = 1 .
dx
(11.62)
(La seconda in realtà è sempre vera in virtù del fatto che f ha supporto compatto.) Definiamo
infine la funzione continua:
h(r) := −
Z
r
0
Z
dg
du f (u, v)
dv −
dv
R
Z
f (r, v)g(v)dv ,
R
e quindi poniamo χ(r) := e−ih(r) . Se cambiamo la rappresentazione V , passando alla nuova
rappresentazione Wr = χ(r)Vr in modo tale che:
e−if
′ (r,s)
= ω ′ (r, s) := ω(r, s)
χ(r)χ(s)
,
χ(r + s)
cioè :
f ′ (r, s) = f (r, s) − h(r + s) + h(r) + h(s) ,
il calcolo diretto di f ′ (r, s), facendo uso della definizione di h e tenendo conto della (11.61) e
delle (11.62), produce
f ′ (r, s) = 0 cioè
χ′ (r, s) = 1
per ogni coppia (r, s) ∈ R2 ,
e quindi la nuova rappresentazione proiettiva unitaria R ∋ r 7→ Wr è unitaria. Dato che la funzione R ∋ x 7→ χ(x) è continua per costruzione e R ∋ r 7→ Vr è fortemente continua, concludiamo
che la rappresentazione unitaria W = χV è fortemente continua. In altre parole R ∋ r 7→ Wr
è un gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo, che soddisfa (11.60) e questo conclude la dimostrazione di (a).
Per quanto riguarda (b), si osservi innanzitutto che, se esiste un altro gruppo U unitario ad un
parametro fortemente continuo che rappresenta γ, deve accadere che:
U−r Wr ψ = χ(r)ψ
per ogni ψ ∈ H.
(11.63)
(L’indipendenza di χ(r) da ψ si dimostra facilmente come provato in altre simili situazioni.) Di
conseguenza vale: Wr = χ(r)Ur e quindi Wr+s = χ(r + s)Ur+s e quindi:
χ(r + s)I = Wr+s Ur+s .
Valendo anche U (r + s) = U (r)U (s) e Wr+s = Wr Ws , si conclude che Wr+s = χ(r)χ(s)Ur+s e
quindi:
χ(r)χ(s)I = Wr+s Ur+s .
Per confronto vale allora:
χ(r + s) = χ(r)χ(s) .
(11.64)
L’identità (11.63) ha un’altra conseguenza:
(Ur φ|Wr ψ) = χ(r)(φ|ψ) .
Per il teorema di Stone (teorema 9.5), possiamo scrivere Ut = e−itB e Wt = e−itA , per due
operatori autoaggiunti definiti su domini densi D(A) e D(B) rispettivamente. Scegliendo φ ∈
439
D(B) e ψ ∈ D(A) in modo che (φ|ψ) 6= 0 (e questo è sempre possibile dato che i domini sono
densi), ed applicando il teorema di Stone, abbiamo che R ∋ t 7→ χ(r) deve essere una funzione
derivabile dato che:

‹ 
‹
d
d
d
(Ur φ|Wr ψ) =
Ur φ Wr ψ + Ur φ Wr ψ
dt
dt
dt
esiste e vale:
(−iBUr φ|Wr ψ) + (Ur φ| − iAWr ψ) .
Tenendo conto che χ è derivabile e che vale (11.64), abbiamo immediatamente che:
d
1
1
χ(x) = lim (χ(x + h) − χ(x)) = χ(x) lim (χ(h) − χ(0)) = χ(x)c .
h→0
h→0
dx
h
h
Dunque χ(x) = eicx per qualche reale c ∈ R e, di conseguenza:
Wx = eicx Ux .
Per computo diretto si vede subito che se, viceversa, W è come in (a) e fissiamo c ∈ R, allora
Ux := e−icx Wx è un gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo che rappresenta γ.
(c) Il gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo R ∋ r 7→ Wr , che abbiamo costruito
in (a), ammette un generatore autoaggiunto A, per il teorema di Stone. Quindi Wr = e−irA .
Se B : D(B) → H è un secondo operatore autoaggiunto che soddisfa la tesi in (c), allora il
suo gruppo ad un parametro Ut = e−itB deve verificare quanto asserito in (b). Dunque deve
esistere c ∈ R tale che: e−itA = e−itc e−itB . Applicando il teorema di Stone si ha che il primo
membro ammette derivata in senso forte, per t = 0, su D(A) ed essa vale −iA. Similmente,
il secondo membro ammette derivata in senso forte, per t = 0, almeno su D(B), ed essa vale
−icI − iB. Di conseguenza deve essere D(A) ⊂ D(B) e A = (cI + B)↾D(A) . Notiamo che cI + B
è autoaggiunto su D(B). Dato che A è autoaggiunto, non ammette estensioni autoaggiunte, per
cui deve accadere che: D(A) = D(B) e A = B + cI. 2
Esempi 11.4.
(1) Consideriamo l’esempio (1) in esempi 11.2. Il sistema fisico è una particella quantistica
senza spin, descritta sullo spazio di Hilbert L2 (R3 , dx), nel momento in cui si fissa un sistema
di riferimento inerziale e si identifica R3 con lo spazio di quiete del riferimento, facendo uso di
coordinate cartesiane ortonormali solidali con il riferimento.
Il gruppo speciale delle isometrie ISO(3) di R3 può essere definito come il gruppo delle funzioni
(t, R) da R3 in R3 del tipo:
(t, R) : R3 ∋ x 7→ t + Rx ,
(11.65)
con t ∈ R3 e R ∈ SO(3). Abbiamo qui specializzato R ∈ SO(3) invece che R ∈ O(3), e questo
spiega la lettera S in ISO(3).
ISO(3) può essere pensato come gruppo topologico nel seguente modo. Consideriamo il gruppo
matriciale costituito dalle matrici reali 4 × 4:
–
™
1 0t
per ogni t ∈ Rn e R ∈ SO(3).
(11.66)
g(t,R) :=
t R
440
La topologia è quella ereditata da GL(4, R) cioè da R16 . Deve essere chiaro che le matrici g(t,R) sono in corrispondenza biunivoca con gli elementi di ISO(3) e che l’applicazione
ISO(3) ∋ (t, R) 7→ g(t,R) è dunque un isomorfismo gruppale oltre che una rappresentazione
lineare di ISO(3). Per esplicitare, in questa realizzazione, l’azione di ISO(3) sui punti di R3 ,
immaginiamo tali punti come i vettori colonna di R4 della forma (1, x1 , x2 , x3 )t , dove (x1 , x2 x3 )
sono le coordinate cartesiane del punto x ∈ R3 . Ritroviamo in questo modo che l’azione di g(t,R)
su R3 è esattamente quella descritta in (11.65). Possiamo indifferentemente pensare ISO(3)
come gruppo di funzioni (11.65) o come gruppo di matrici (11.66). In ogni caso, d’ora in poi lo
pensiamo come gruppo topologico. Si osservi che possiamo realizzare tutto IO(3) come gruppo
topologico matriciale, semplicemente permettendo a R di variare in tutto O(3). Nella nostra
costruzione e con la topologia che abbiamo assegnato ai due gruppi, ISO(3) risulta essere un
sottogruppo topologico di IO(3) che ne è anche l’unica componente connessa che include l’elemento neutro (0, I).
La rappresentazione lineare unitaria di ISO(3) su L2 (R3 , dx) che abbiamo visto nell’esempio (1)
in esempi 11.2:
(UΓ ψ) (x) := ψ(Γ−1 x)
per ogni Γ ∈ ISO(3) e ψ ∈ L2 (R3 , dx)
è fortemente continua, dato che, come si prova facilmente:
||UΓ ψ − UΓ0 ψ|| = ||UΓ−1 ◦Γ ψ − ψ|| → 0 se Γ → Γ0 .
0
(11.67)
In questo modo si ha che la rappresentazione unitaria fortemente continua ISO(3) ∋ Γ 7→ UΓ ,
pensando l’azione di UΓ sugli stati puri di H = L2 (R3 , dx):
γΓ (ψ(ψ| ) := UΓ ψ (ψ| ) UΓ−1 ,
rende ISO(3) gruppo di simmetria topologico per la particella quantistica senza spin.
(2) In questo esempio Pi è l’operatore autoaggiunto che individua l’osservabile impulso l’ungo
l’asse xi e P indica il vettore colonna di operatori (P1 , P2 , P3 )t . In riferimento al precedente
esempio, concentriamoci ora sul sottogruppo delle traslazioni lungo l’asse, generico, t ∈ R3 .
(t)
Tale sottogruppo è il gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo: R ∋ r 7→ Ur , con:
€
Š
Ur(t) ψ (x) := ψ(x − rt) per ogni t ∈ R e ψ ∈ L2 (R3 , dx) .
Si dimostra abbastanza facilmente che l’operatore simmetrico t · P ↾S(R3 ) è essenzialmente autoaggiunto e quindi (vedi il lemma 10.1) che:

‹
−i ~r t·P↾S(R3 )
e
ψ (x) = ψ(x − rt) per ogni ψ ∈ L2 (R3 , dx).
(11.68)
Pertanto concludiamo che:
l’operatore autoaggiunto, richiesto esistere in (c) del teorema 11.3, che genera il gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo delle traslazioni lungo l’asse t è , a parte la costante
441
moltiplicativa ~−1 , l’operatore impulso in tale direzione, cioè l’unica estensione autoaggiunta di
1
~ t · P↾S(R3 ) .
Si osservi che tale generatore può comunque essere modificato con una costante additiva.
Esercizi 11.2.
(1) Dimostrare la (11.67).
Traccia della soluzione. La prima identità in (11.67) segue dal fatto che UΓ è unitario ed
anche UΓ−1
= UΓ−1 ed infine UΓ′ UΓ = UΓ′ ◦Γ . Pertanto, per concludere è sufficiente mostrare che,
0
0
per ogni ψ ∈ L2 (R3 , dx):
||UΓ ψ − ψ|| → 0 se Γ → (0, I).
Proviamo prima la tesi per le funzioni φ continue a supporto compatto. Se φ è una tale funzione,
ISO(3) × R3 ∋ (Γ, x) 7→ φ(Γ−1 x) è continua. Allora, se Γ è ristretto a variare in un intorno J
a chiusura compatta dell’identità , esiste K ≥ 0 tale che |φ(Γ−1 x)| ≤ K se (Γ, x) ∈ J × R3 .
Data la natura delle Γ esiste anche un compatto S ⊂ R3 che include tutti i supporti delle
funzioni φ(Γ−1 ·). Pertanto esiste φ0 ∈ L2 (R3 , dx) che soddisfa |(UΓ φ)(x) − φ(x)| ≤ |φ0 (x)| se
(Γ, x) ∈ J × R3 , basta scegliere φ0 continua che in S è maggiore di 2K e si annulla fuori da
S. Dato che (UΓ φ)(x) → φ(x) puntualmente, dal teorema della convergenza dominata segue
che ||UΓ ψ − ψ|| → 0 se Γ → (0, I), dove la norma è quella di L2 . Passiamo al caso di ψ
generica in L2 (R3 , dx). Se ψ ∈ L2 (R3 , dx) e ǫ > 0, sia φ continua a supporto compatto tale che
||ψ − φ|| < ǫ/3. Allora
||UΓ ψ − ψ|| ≤ ||UΓ ψ − UΓ φ|| + ||UΓ φ − φ|| + ||φ − ψ|| = ||UΓ φ − φ|| + 2||φ − ψ||
dato che UΓ è isometrico e quindi ||UΓ ψ − UΓ φ|| = ||ψ − φ||. Scegliendo Γ abbastanza vicino a
(0, I), in base a quanto provato sopra, possiamo avere ||UΓ φ − φ|| ≤ ǫ/3. Quindi, per ogni ǫ > 0,
se Γ è abbastanza vicino a (0, I), vale ||UΓ ψ − ψ|| ≤ ǫ.
(2) Facendo uso di (1) in esercizi 11.1, dimostrare che t · P↾S(R3 ) è essenzialmente autoaggiunto.
Suggerimento. Se t = 0 la tesi è banale, mettiamoci dunque negli altri casi. Sappiamo che
P1 ↾S(R3 ) è essenzialmente autoaggiunto. Considerare l’operatore unitario UR che rappresenta una
rotazione attiva che porta l’asse t/|t| sul versore e3 . Provare che UR t · P↾S(R3 ) UR−1 = |t|P3 ↾S(R3 )
e concludere.
(3) Facendo uso di (1) in esercizi 11.1, dimostrare che vale la (11.68).
Suggerimento. Dimostrare la tesi per P3 passando da funzioni d’onda nella variabile x a
funzioni d’onda nella variabili k tramite la trasformata di Fourier. Poi estendere il risultato al
caso generale usando una procedura analoga a quella adoperata per l’esercizio precedente. Si
noto che se U è unitario e A : D(A) → H è chiudibile, definendo U AU −1 su U (D(A)), segue che
U AU −1 è chiudibile e:
U AU −1 = U AU −1 .
(4) Si consideri un gruppo topologico G connesso e una sua rappresentazione proiettiva fortemente continua (nel senso della proposizione 11.9) G ∋ g 7→ γg sullo spazio di Hilbert HS ,
442
associato ad un certo sistema fisico. Si supponga che HS sia decomposto in settori coerenti HSk .
Può accadere che qualche γg trasformi un settore in un settore differente?
Suggerimento. Decomporre Sp (H) nell’unione disgiunta degli stati puri di ciascun settore e
dotare ciascuno spazio della topologia metrica indotta da || ||1 . Ricordare, infine, che le funzioni
continue trasformano insiemi connessi in insieme connessi.
11.2.5
Richiami sui gruppi ed algebre di Lie.
In quest’ultima sezione assumeremo che il lettore sia familiare con la nozione di varietà differenziabile,
includendo il caso di varietà analitica reale (le nozioni fondamentali sono richiamate con un certo dettaglio in Appendice B) e richiameremo di seguito alcuni risultati fondamentali [NaSt84,
War75, Kir74] della teoria dei gruppi di Lie, dando qualche esempio, senza dimostrazioni.
Ricordiamo che un gruppo di Lie (reale di dimensione n) è una varietà analitica reale di
dimensione n, G, dotata di due applicazioni analitiche reali:
G ∋ g 7→ g−1 ∈ G e
G × G ∋ (g, h) 7→ g · h ∈ G ,
(dove G × G è dotata della struttura analitica reale prodotto) rispetto alle quali G risulti essere
un gruppo con elemento neutro e.
La dimensione del gruppo di Lie G è la dimensione di G nel senso delle varietà differenziabili.
Osservazione. È importante precisare che la richiesta di analiticità nella definizione di gruppo
di Lie può essere indebolita fino a considerare G come una varietà di classe C 0 con operazioni di
gruppo continue rispetto alla topologia del della varietà (quindi gruppi topologici, di Hausdorff,
paracompatti, localmente omeomorfi a Rn ). In effetti, un famoso teorema di Gleason, Montgomery e Zippin del 1952 – che fornisce una risposta al quinto problema di Hilbert– prova che:
ogni gruppo topologico, che sia anche una varietà topologica (cioè di classe C 0 ), ammette sempre
una sotto-struttura differenziabile reale analitica rispetto alla quale le operazioni di gruppo sono
funzioni analitiche reali. Tale struttura è univocamente determinata dalla struttura C 0 e dalle
operazioni gruppali.
Quindi ogni gruppo di Lie è sempre pensabile, ed in modo univoco, come gruppo di Lie analitico, anche quando è definito usando solo la struttura di variet1à C 0 e richiedendo solo la
continuità delle operazioni gruppali.
Consideriamo due gruppi di Lie G e G′ , con elementi neutri e ed e′ rispettivamente e leggi di
composizione ·, ◦ rispettivamente.
Un omomorfismo di gruppi di Lie è un’applicazione analitica f : G → G′ che è anche omomorfismo gruppale. Nel caso in cui l’omomorfismo di gruppi di Lie f : G → G′ sia biettivo ed
f −1 sia a sua volta un omomorfismo di gruppi di Lie, f si dice isomorfismo di gruppi di Lie.
In tal caso G e G′ si dicono isomorfi (secondo f ).
Un omomorfismo locale di gruppi di Lie, è un’applicazione analitica h : Oe → G′ , dove
Oe ⊂ G è un intorno aperto di e e vale h(g1 · g2 ) = h(g1 ) ◦ h(g2 ) purché g1 · g2 ∈ Oe . (Questo
443
implica che h(e) = e′8 ed anche h(g−1 ) = h(g)−1 se g, g−1 ∈ Oe .)
Se l’omomorfismo locale h suddetto è anche un diffeomorfismo analitico sulla sua immagine data
da un intorno aperto Oe′ di e′ in G′ e la funzione inversa f −1 : Oe′ → G è un omomorfismo locale,
allora h è detto isomorfismo locale di gruppi di Lie. In tal caso G e G′ si dicono localmente
isomorfi (secondo h).
Nello stesso spirito dell’osservazione precedente si possono indebolire le richieste di differenziabilità nella definizione di omomorfismo locale nel senso che segue [NaSt84].
Proposizione 11.11. Siano G e G′ gruppi di Lie, e sia Oe ⊂ G un intorno aperto dell’elemento
neutro e di G.
Se h : Oe → G′ è una funzione continua che soddisfa h(g1 · g2 ) = h(g1 ) ◦ h(g2 ) se g1 · g2 ∈ Oe ,
allora h è analitica reale e quindi definisce un omomorfismo locale di Gruppi di Lie.
Due nozioni importanti per le nostre applicazioni sono quelle di sottogruppo ad un parametro e
di algebra di Lie, che ora richiameremo.
Sia G un gruppo di Lie con elemento neutro e e legge di moltiplicazione ·. Lo spazio tangente ad
un punto g ∈ G sarà al solito indicato con Tg G. Ogni elemento g ∈ G definisce un’applicazione
differenziabile (analitica reale) Lg : G ∋ h 7→ g · h. Indichiamo con dLg : Th G → Tg·h G il
differenziale di tale applicazione. Fissato T ∈ Te G, consideriamo il problema di Cauchy del
prim’ordine su G:
df
= dLf (t) A con f (0) = e.
dt
La soluzione massimale del problema posto, risulta essere sempre completa, cioè con dominio dato da tutto R. Indicheremo tale soluzione con con R ∋ t 7→ exp(tT ) e la chiameremo
sottogruppo ad un parametro generato da A. Si dimostra che vale:
exp(tT ) exp(t′ T ) = exp((t + t′ )T ) ,
(exp(tT ))−1 = exp(−tT ) se t, t′ ∈ R.
Consideriamo ora T ∈ Te G fissato e la classe di applicazioni parametrizzate per t ∈ R:
Ft,T : G ∋ g 7→ exp(tT ) g exp(−tT ) .
Dato che è Ft,T (e) = e, sarà dFt,T |e : Te G → Te G. Il differenziale dFt,T |e , indicato con:
Ad Ft,T : Te G → Te G ,
è detto l’aggiunto di Ft,T . Il commutatore è l’applicazione da Te G × Te G in Te G data da:
[T, Z] :=
8
d
|t=0 (Ad Ft,T ) Z
dt
per ogni coppia T, Z ∈ Te G .
Infatti vale h(e) = h(e · e) = h(e) ◦ h(e) e quindi applicando h(e)−1 , si ha e′ = h(e).
444
Si verificano [War75] le seguenti proprietà del commutatore.
linearità a sinistra :
antisimmetria :
identità di Jacobi:
[aA + bB, C] = a[A, C] + b[B, C]
[A, B] = −[B, A]
se a, b ∈ R e A, B, C ∈ Te G;
[A, [B, C]] + [B, [C, A]] + [C, [A, B]] = 0
se A, B ∈ Te G;
se A, B, C ∈ Te G.
Si osservi che la prima e la seconda identità implicano che il commutatore sia bilineare. L’identità di Jacobi deriva dall’associatività del prodotto gruppale.
Fissiamo un sistema di coordinate locali x1 , . . . , xn compatibili con la struttura differenziabile
(analitica) di G e definito in un intorno aperto U dell’elemento neutro e ed avendo cura di fare
coincidere e con l’origine delle coordinate. La legge di composizione gruppale, sviluppata con
Taylor fino al secondo ordine, assume la forma in coordinate su U × U :
€
Š ‹
2
′2 3/2
′
′
′
,
(11.69)
ψ(X, X ) = X + X + B(X, X ) + O |X| + |X |
dove X, X ′ ∈ Rn indicano i vettori colonna delle coordinate di una coppia di corrispondenti
elementi gruppali g, g′ ∈ U , ed il cui prodotto g · g′ appartenga ancora a U . B : Rn × Rn →
Rn è un’applicazione bilineare. Si dimostra abbastanza facilmente che il commutatore di Lie,
espresso nella base di Te G relativa alle coordinate dette, assume la forma:
[T, T ′ ] = B(T, T ′ ) − B(T ′ , T ) ,
(11.70)
dove ora T e T ′ indicano (i vettori colonna di componenti di) vettori di Te G.
La struttura algebrica data da uno spazio vettoriale V con un’applicazione, detta commutatore
(di Lie), { , } : V × V → V che è lineare a sinistra, antisimmetrica e soddisfa l’identità di Jacobi,
è detta algebra di Lie. Date due algebre di Lie (V, { , }) e (V′ , { , }′ ), un’applicazione lineare
φ : V → V′ è detta omomorfismo di algebre di Lie se soddisfa {φ(A), φ(B)}′ = φ({A, B})
per ogni A, B ∈ V. Nel caso in cui φ sia biettiva, si dice isomorfismo di algebre di Lie.
Se G è un gruppo di Lie, l’algebra di Lie costituita dallo spazio tangente Te G insieme al commutatore [ , ] è detta algebra di Lie del gruppo G.
Una sottoalgebra di Lie V′ di un’algebra di Lie (V, [ , ]) è un sottospazio vettoriale che è chiuso
rispetto al calcolo del commutatore di Lie: [A, B] ∈ V′ se A, B ∈ V′ . Un ideale J di un’algebra
di Lie (V, [ , ]) è una sottoalgebra di Lie che soddisfa la proprietà :
[A, B] ∈ J
se A ∈ J e B ∈ V.
Un’algebra di Lie si dice semplice se non contiene ideali, e si dice semisemplice se gli ideali
che contiene non sono commutativi. Si può dimostrare che V è un’algebra di Lie di dimensione
finita che è semisemplice, allora G è la somma diretta (finita) di sottoalgebre semplici.
Una delle proprietà dei gruppi di Lie, più importanti per le applicazioni in fisica è che l’algebra
di Lie di un gruppo di Lie determina quasi completamente il gruppo stesso, come stabilito dal
445
seguente celebre risultato (la prima asserzione è un celebre risultato di Lie) [NaSt84] che spezziamo in due parti.
Teorema 11.4.A. Per ogni algebra di Lie (reale) di dimensione finita, V, vale quanto segue.
(a) Esiste un gruppo di Lie (reale), GV , connesso, semplicemente connesso, che ammette V come
algebra di Lie del gruppo.
(b) GV è determinato a meno di isomorfismi di gruppi di Lie e risulta identificarsi con il rivestimento universale di ogni gruppo di Lie che ammette V come algebra di Lie, in modo tale che
la mappa di rivestimento sia un omomorfismo di gruppi di Lie.
(c) Se gruppo di Lie G ammette V come algebra di Lie allora è isomorfo ad un gruppo quoziente
GV /HG , dove HG ⊂ GV è un sottogruppo normale discreto che è incluso nel centro di GV .
Teorema 11.4.B (di Lie). Per ogni algebra di Lie (reale) di dimensione finita, V, vale quanto
segue.
Se G e G′ sono gruppi di Lie (reali), con rispettive algebre di Lie V e V′ , vale quanto segue.
(a) f : V → V′ è un omomorfismo di algebre di Lie se e solo se esiste un omomorfismo locale di
gruppi di Lie h : G → G′ tale che dh|e = f . Inoltre:
(i) h è individuato unicamente da f ,
(ii) f è isomorfismo di algebre di Lie se e solo se h è isomorfismo locale di gruppi di Lie.
(b) Se G e G′ sono connessi, G è semplicemente connesso, allora f : V → V′ è un omomorfismo
di algebre di Lie se e solo se esiste un omomorfismo di gruppi di Lie h : G → G′ tale che
dh|e = f . Inoltre:
(i) h è individuato unicamente da f ,
(ii) se f è isomorfismo di algebre di Lie allora h è suriettiva,
(iii) se f è isomorfismo di algebre di Lie e G′ è semplicemente connesso allora h è isomorfismo
di gruppi di Lie.
Per enunciare il secondo teorema, dovuto a Cartan [NaSt84], diamo la seguente naturale definizione. Se G è un gruppo di Lie, G′ ⊂ G è una sottovarietà (embedded) di G e G′ è gruppo rispetto
alle operazioni di gruppo di G ristrette a G′ , allora G′ acquista naturalmente una struttura di
gruppo di Lie indotta da quella di G. In tal caso G′ si dice sottogruppo di Lie di G. Si dimostra
che, in tal caso, l’algebra di Lie di G′ risulta essere una sottoalgebra di Lie di G, nel senso che
Te G′ è sottospazio vettoriale di Te G e il commutatore su Te G′ è la restrizione del commutatore
di Te G a Te G′ .
Teorema 11.5 (di Cartan). Se G′ ⊂ G è un sottogruppo chiuso del gruppo di Lie G, allora
è anche sottogruppo di Lie di G.
Osservazioni.
(1) A priori un’algebra di Lie può non avere dimensione finita come spazio vettoriale, tuttavia la
dimensione dell’algebra di Lie di un gruppo di Lie G, nel senso della teoria degli spazi vettoriali,
è sempre finita perché coincide con la dimensione del gruppo di Lie G.
446
(2) Il teorema 11.5 include, ovviamente, il caso degenere di un sottogruppo discreto. In tal caso
la varietà differenziabile del sottogruppo di Lie ha dimensione zero.
(3) Sia G è un gruppo di Lie di dimensione n e {T1 , . . . Tn } una base nella sua algebra di Lie
Te G. Dato che il commutatore è bilineare sull’algebra ed é a valori nell’algebra, deve essere
rappresentato da un tensore C. In componenti:
[Ti , Tj ] =
dimT
Xe G
Cijk Tk .
k=1
Le componenti Cijk di C sono dette costanti di struttura del gruppo.
La condizione di Jacobi equivale alla condizione sulle costanti di struttura (la prova è ovvia):
n
X
(Cijs Cskr + Cjks Csir + Ckis Csjr ) = 0
per r = 1, . . . , n.
(11.71)
s=1
Se due gruppi di Lie hanno le stesse costanti di struttura, rispetto a due basi nelle rispettive
algebre di Lie, allora sono localmente isomorfi nel senso del teorema 11.4. (La prova segue dal
fatto che, se le costanti di struttura sono le stesse, l’applicazione lineare che identifica le due basi
è un isomorfismo di algebre di Lie.) Viceversa, se due gruppi di Lie sono localmente isomorfi,
allora devono avere le stesse costanti di struttura in basi corrispondenti secondo il differenziale
dell’isomorfismo locale.
Se G è un gruppo di Lie l’applicazione, detta exponential map:
exp : Te G ∋ T 7→ exp(tT )|t=1
è una funzione analitica reale. L’exponential map ha un’importante proprietà sancita dal seguente teorema [NaSt84].
Teorema 11.6. Sia G un gruppo di Lie con elemento neutro e ed exponential map exp. Valgono
i fatti seguenti.
(a) Esistono un intorno aperto U del vettore nullo 0 ∈ Te G ed un intorno aperto V di e ∈ G,
tali che
exp↾U : U → V
è un diffeomorfismo analitico reale (cioè una funzione biettiva analitica reale con inversa analitica
reale).
(b) Se G è compatto allora exp(Te G) = G.
(c) Se G′ è un gruppo di Lie, con exponential map exp′ , ed h : G → G′ è un omomorfismo di
gruppi di Lie, allora:
h ◦ exp = exp′ ◦ dh|e .
447
La proprietà (a) stabilita nel teorema 11.6 ha la seguente utile conseguenza. Se fissiamo una
base T1 , . . . , Tn nell’algebra di Lie di un gruppo di Lie G, l’inversa dell’applicazione:
F : (x1 , . . . , xn ) 7→ exp
n
X
xn Tn
k=1
!
,
definisce una carta locale, compatibile con la struttura analitica, nell’intorno dell’elemento neutro. Tale sistema di coordinate si chiama sistema di coordinate normali. Le coordinate
normali, in generale, non ricoprono G. In coordinate normali, un vettore T ∈ Te G ≡ Rn individua un punto di G nell’intorno di e. Pertanto la moltiplicazione gruppale tra elementi di
G si esprime come una funzione ψ : Rn × Rn → Rn . Sviluppando con Taylor la funzione ψ
nell’intorno dell’origine di Rn × Rn , si ha:
€
Š3/2 ‹
1
,
(11.72)
ψ(T, T ′ ) = T + T ′ + [T, T ′ ] + O |T |2 + |T ′2 |
2
essendo [T, T ′ ] : Rn × Rn → Rn il commutatore di Lie espresso nella base di Te G × TeG associata
alle coordinate normali. Lasciamo la prova come esercizio per il lettore.
Il punto (a) ha anche la seguente utile conseguenza, la cui dimostrazione è lasciata per esercizio.
Proposizione 11.12. Sia G un gruppo di Lie, con elemento neutro e e legge di composizione ·.
Valgono i seguenti fatti.
(a) Esiste un insieme aperto A ∋ e tale che, se g ∈ A, allora g = exp(tA) per qualche t ∈ R e
A ∈ Te G.
(b) Se G è connesso e se g 6∈ A, esiste un numero finito di elementi g1 , g2 , . . . , gn ∈ A tali che
g = g1 · · · · · gn .
Abbiamo infine la seguente fondamentale formula nota come Baker-Campbell-Hausdorff formula
[NaSt84]. Essa vale per ogni gruppo G di Lie connesso e semplicemente connesso se X e Y
appartengono all’intorno aperto U del vettore nullo sul quale exp è un diffeomorfismo locale
sull’intorno aperto dell’elemento neutro exp(U ) ⊂ G.
exp(X) exp(Y ) = exp(Z(X, Y ))
(11.73)
dove Z(X, Y ) è definito dalla seguente serie:
Z(X, Y ) =
X (−1)n−1
N∋n>0
n
X
Pn
(
ri +si >0 1≤i≤n
+ si ))−1
[X r1 Y s1 X r2 Y s2 . . . X rn Y sn ] (11.74)
r1 !s1 ! · · · rn !sn !
i=1 (ri
e
[X r1 Y s1 . . . X rn Y sn ] :=
[X, [X, ..(r1 volte)..[X , [Y, [Y, ..(s1 volte)..[Y, . . . [X, [X, ..(rn volte)..[X , [Y, [Y, ..(sn volte)..Y ]]..]]
|
{z
} |
{z
}
|
448
{z
} |
{z
}
(11.75)
ed è assunto che il secondo membro è nullo se sn > 1 oppure se sn = 0 e rn > 1.
Esempi 11.5.
(1) M (n, R) indicherà d’ora in poi l’insieme delle matrici reali n × n. La notazione M (n, C) ha
l’analogo significato, sostituendo C a R.
Il gruppo GL(n, R) delle matrici reali n × n invertibili è un gruppo di Lie di dimensione n2
2
rispetto alla struttura di varietà differenziabile analitica indotta da Rn . L’algebra di Lie di
GL(n, R) risulta essere data dall’insieme di matrici reali n × n, M (n, R) ed il commutatore
risulta coincidere con il commutatore di matrici standard [A, B] := AB − BA, per ogni coppia
A, B ∈ M (n, R).
Una caratteristica importante di GL(n, R) è che i suoi sottogruppi ad un parametro hanno la
forma:
+∞
X tk
Ak ,
R ∋ t 7→ etA :=
k!
k=0
per ogni A ∈ M (n, R), dove la convergenza della serie è riferita ad ognuna delle possibili norme
2
2
equivalenti che possiamo mettere su Rn (o Cn ) per renderlo spazio di Banach (vedi Cap.2).
(2) Tutti i sottogruppi matriciali chiusi di qualche GL(n, R), che abbiamo già incontrato come
gruppi topologici, come O(n), SO(n), IO(n), ISO(n), SL(n, R), il gruppo di Galileo, di Lorentz
e di Poincaré , sono dunque gruppi di Lie. Dato che GL(n, C) può essere visto come un sottogruppo di GL(2n, R) (banalmente decomponendo ogni elemento di ogni matrice in parte reale
e complessa) anche i gruppi matriciali complessi, come U (n), SU (n) sono gruppi di Lie reali. È
importante precisare che lavorare con gruppi di Lie matriciali non è una fortissima restrizione,
in quanto si può provare [War75] che ogni gruppo di Lie compatto è isomorfo ad un gruppo di
Lie matriciale. Per i gruppi di Lie non compatti il teorema non vale, un controesempio tipico è
il rivestimento universale del gruppo SL(2, R)).
(3) L’esponenziale di matrici A, B ∈ M (n, C) ha alcune interessanti proprietà . Prima di tutto
eA+B = eA eB = eB eA sotto l’ipotesi che AB = BA. La prova è la stessa che si fornisce nel
caso in cui A e B siano numeri, usando lo sviluppo di Taylor dell’esponenziale. C’è però un’altra
utilissima proprietà . Se A ∈ M (n, C) e per ogni t ∈ C, vale:
det etA = ettr A ,
in particolare det eA = etr A .
Dimostriamo questa identità . Si consideri l’applicazione C ∋ t 7→ det etA . Vogliamo calcolarne
la derivata per t arbitrario. Ci interessa cioè
det(etA ehA ) − detetA
detehA − 1
dete(t+h)A − detetA
= lim
= detetA lim
h→0
h→0
h→0
h
h
h
lim
purché l’ultimo limite esista. Vale ehA = I + hA + ho(h) , dove o(h) → 0 se h → 0 nella topologia
2
metrica di Cn per cui
det(I + hA + ho(h)) − 1
det e(t+h)A − detetA
= detetA lim
.
h→0
h→0
h
h
lim
449
P
Vale lo sviluppo (che si può dimostrare in vari modi) det(I +hA+ho(h)) = 1+h ni=1 Aii +h0(h).
Inserendo sopra troviamo che:
ddetetA
= detetA trA .
dt
Ciò prova anche che la funzione considerata è infinitamente differenziabile. Quindi la funzione
infinitamente differenziabile fA : C ∋ t 7→ det etA soddisfa l’equazione differenziale
dfA (t)
= (tr A)fA (t) .
dt
La funzione infinitamente differenziabile gA : C ∋ t 7→ ettr A soddisfa banalmente la stessa equazione differenziale. Entrambe le funzioni soddisfano la condizione iniziale fA (0) = gA (0) = 1, di
conseguenza per il teorema di unicità delle soluzioni massimali delle equazioni differenziali del
prim’ordine, le due funzioni coincidono per ogni t ∈ C e deve essere: detetA = ettr A .
(4) Il gruppo delle rotazioni n-dimensionali O(n) := {R ∈ M (n, R) | RRt = I} è un gruppo
di Lie importante in fisica. Il fatto che tale gruppo sia un sottogruppo di Lie di GL(n, R)
2
è evidente dal fatto che L’insieme {R ∈ M (n, R) | RRt = I} è chiuso nella topologia di Rn
come si prova immediatamente. (È chiaro che O(n) contiene i suoi punti di accumulazione: se
2
Ak ∈ O(n) e Ak → A ∈ Rn per k → ∞ allora banalmente Atk → At e I = Ak Atk → AAt .)
L’algebra di Lie di O(n), indicata con o(n), è data dallo spazio vettoriale delle matrici n × n
reali antisimmetriche. Tale spazio (e quindi il gruppo di Lie O(n)) ha dimensione n(n − 1)/2.
La dimostrazione di questa affermazione segue dal fatto che gli elementi dell’algebra di Lie si
ottengono come i vettori Ṙ(0) tangenti all’elemento neutro del gruppo (la matrice identità ) delle
curve R = R(u) che soddisfano R(u)R(u)t = I e R(0) = I. Per definizione dunque, i vettori
detti soddisfano: Ṙ(0)R(0)t + R(0)Ṙ(0)t = 0, cioè : Ṙ(0) + Ṙ(0)t = 0. Tale spazio è con quello
delle matrici antisimmetriche reali n × n che ha dimensione n(n − 2)/2 come si prova facilmente.
Si osservi infine che O(n) è compatto. (È sufficiente provare che l’insieme chiuso O(n) è un
2
sottoinsieme limitato di Rn in quanto, in Rk , i chiusi limitati sono compatti (e viceversa).
2
Quindi A ∈ O(n). La limitatezza nella norma di Rn è ovvia. Infatti, se R ∈ O(n):
„
Ž
||R||2 =
n
X
i=1
n
X
Rij Rij
j=1
=
n
X
δii = n .)
i=1
Il gruppo di Lie matriciale di dimensione 3, O(3) ha due componenti connesse date rispettivamente da:
il gruppo di Lie matriciale compatto (e connesso) SO(3) := {R ∈ O(3) | det R = 1} e l’insieme
compatto (che non è sottogruppo)
PSO(3) := {PR ∈ O(3) | R ∈ SO(3)}
dove P := −I è l’inversione di parità.
450
(5) Nel caso di SO(3) l’exponential map ricopre tutto il gruppo come ora precisiamo. Introduciamo una base particolare di so(3) data dalle matrici (Ti )jk = −ǫijk , dove ǫijk = 1 se i, j, k
è una permutazione ciclica di 1, 2, 3; ǫijk = −1 se i, j, k è una permutazione non ciclica di 1, 2, 3;
ǫijk = 0 nei rimanenti casi. Esplicitamente


0 0 0


T1 :=  0 0 −1  ,
0 1 0


0 0 1


T2 :=  0 0 0  ,
−1 0 0


0 −1 0


T3 :=  1 0 0  ,
0 0 0
(11.76)
Tali matrici sono antisimmetriche e quindi appartengono a so(3), inoltre è immediato provare
che sono linearmente indipendenti per cui sono una base di so(3). Le costanti di struttura
assumono una forma semplice in questa base, come si prova per computo diretto:
[Ti , Tj ] =
3
X
ǫijk Tk ,
(11.77)
k=1
Vale la seguente rappresentazione esponenziale di SO(3). R ∈ SO(3) se e solo se esistono un
versore n ∈ R3 e un numero θ ∈ R tale che
R = eθn·T ,
dove
n · T :=
3
X
ni Ti .
i=1
(6) Il gruppo SU (2), visto come gruppo di Lie reale, ha come algebra di Lie lo spazio vettoriale
reale delle matrici anti hermitiane con traccia nulla (quest’ultima condizione segue dalla richiesta
che il determinate valga 1). Di conseguenza, una base dell’algebra di Lie di SU (2) è data dalle
tre matrici − 2i σj , j = 1, 2, 3, dove le σk sono le matrici di Pauli σi definite in (11.10)-(11.10). Il
fattore 1/2 è stato introdotto perché , con tale scelta, sono verificate le relazioni di commutazione:
•
−
˜ X

‹
3
iσi
iσk
iσj
ǫijk −
=
.
, −
2
2
2
k=1
(11.78)
In base a quanto osservato sotto il teorema 11.5, questo significa che le due algebre di Lie, quella
di SU (2) e quella di SO(3) sono isomorfe. Dunque, in base al teorema 11.4 i due gruppi di
Lie sono localmente isomorfi. Dato che SU (2) è connesso e semplicemente connesso (si prova
che è omeomorfo al bordo S3 della palla unitaria di R3 ), mentre SO(3) non lo è , SU (2) deve
coincidere con il rivestimento universale di SO(3). L’isomorfismo di algebre di Lie si deve
ottenere tramite il differenziale di un un omomorfismo surgettivo di gruppi di Lie da SU (2) a
SO(3). Tale omomorfismo è ben noto ed è costruito come segue (vedi (5) in esercizi 11.3). Anche
nel caso di SU (2) l’exponential map ricopre tutto il gruppo essendo SU (2) compatto. In pratica
risulta che ogni matrice U ∈ SU (2) si scrive come, con ovvie notazioni,
σ
U = e−iθn· 2
451
dove θ ∈ R e n è un versore di R3 . L’omomorfismo surgettivo di cui sopra non è altro che la
mappa suriettiva:
σ
R : SU (2) ∋ e−iθn· 2 7→ eθn·T ∈ SO(3) .
Che l’applicazione non sia invertibile si vede chiaramente osservando che, sotto la trasformazione θ → θ + 2π il secondo membro non cambia, mentre il primo cambia segno (per vederlo
rapidamente basta ridursi al caso di n = e3 il versore della coordinata cartesiana x3 ). In effetti
si prova che il nucleo dell’omomorfismo h contiene i due soli elementi ±I ∈ SU (2).
Esercizi 11.3.
(1) Dimostrare che l’algebra di Lie di SU (2), pensato come gruppo di Lie reale, è data dallo spazio vettoriale reale delle matrici anti hermitiene. Dimostrare quindi che SU (2) è semplicemente
connesso.
Suggerimento. SU (2) è un sottogruppo chiuso di GL(4, R) per cui è un gruppo di Lie e quindi
i gruppi ad un parametro sono del tipo R ∋ t 7→ etA , con A che varia in tutta l’algebra di Lie
di SU (2). Si imponga che etA (etA )∗ = I e che tr(etA ) = 1 per ogni t e si veda come deve essere
fatta A. Viceversa se A è anti hermitiana, mostrare che le due condizioni dette sono soddisfatte.
Per la seconda domanda, parametrizzare il gruppo con 4 parametri reali in modo tale che le
matrici di S(2) risultino essere in corrispondenza biunivoca con i punti sulla superficie della
sfera unitaria in R4 . Mostrare che la parametrizzazione è un omeomorfismo.
(2) Dimostrare che se U ∈ SU (2) se e solo se esistono un versore n ∈ R3 ed un numero reale θ
tale che
σ
U = e−iθn· 2 .
Suggerimento. Usare il teorema spettrale per l’operatore unitario U ∈ SU (2) tenendo conto
che le matrici di Pauli unitamente a I formano una base dello spazio reale delle matrici hermiσ
tiane. Se, viceversa, U = e−iθn· 2 quanto valgono U ∗ U e det U ?.
(3) Dimostrare che le tre matrici T in (11.76) soddisfano:
RTk Rt =
3
X
i=1
(Rt )ki Ti
per ogni R ∈ SO(3).
Suggerimento. Usare (Ti )jk = −ǫijk e scrivere la relazione di sopra in componenti. Tenere
conto che i coefficienti ǫijk definiscono uno pseudotensore invariante sotto rotazioni proprie.
(4) Dimostrare che R ∈ SO(3) se e solo se esistono un versore n ∈ R3 ed un numero reale θ tale
che
R = eθn·T .
Suggerimento. Dimostrare la relazione nel caso in cui n = e3 prendendo, come R ∈ SO(3),
una rotazione attorno all’asse e3 . Dimostrare che ogni R ∈ SO(3) ammette sempre un autovettore n. Usare una rotazione degli assi che porti n su e3 e tenere conto del risultato trovato
452
nell’esercizio precedente. Se, viceversa, R = e−iθn·T quanto valgono Rt R e det R?.
(5) Dimostrare che per ogni U ∈ SU (2) esiste un unica RU ∈ SO(3) tale che:
U t · σU ∗ = (RU t) · σ
per ogni t ∈ R3 .
Verificare poi che la funzione:
SU (2) ∋ U 7→ RU ∈ SO(3)
è un omomorfismo gruppale suriettivo e coincide con:
σ
R : SU (2) ∋ e−iθn· 2 7→ eθn·T ∈ SO(3) .
Infine provare che il nucleo di tale omomorfismo è {±I} ⊂ SU (2).
Traccia della soluzione. Notare che |t|2 = det (t · σ) e concludere che ogni U ∈ SU (2)
individua un unica trasformazione da R3 a R3 che associa ad ogni t un nuovo vettore t′ con
|t| = |t′ | individuato da U t · σU ∗ = U t′ · σU ∗ . La trasformazione t → t′ è dunque una matrice
ortogonale R(U ) ∈ O(3). Il fatto che R : SU (2) ∋ U 7→ R(U ) ∈ O(3) sia un omomorfismo
σ3
gruppale è di prova immediata per costruzione. Nel caso in cui Uθ = e−iθ 2 si verifica in
vari modi (anche direttamente sviluppando gli esponenziali delle matrici) che R(Uθ ) = eθT3 .
Il caso generale si ottiene facendo allora uso del risultato nell’esercizio (3), ruotando e3 su
qualunque versore n. Il fatto che R(Uθ ) = eθn·T implica ovviamente che R(U ) ∈ SO(3). La
surgettività dell’omomorfismo segue dal fatto che ogni matrice di SO(3) si può scrivere nella
forma: eθn·T . Il calcolo del nucleo dell’omomorfismo si può eseguire riducendosi a lavorare con
il sottogruppo ad un parametro generato da σ3 , tramite una rotazione del versore n. Il risultato
diventa allora ovvio per computo diretto.
11.2.6
Gruppi di simmetria di Lie, teoremi di Bargmann, Gårding, Nelson,
FS3 .
Per concludere la trattazione dei gruppi di simmetria ci occupiamo del caso in cui G è un gruppo
di Lie connesso. Per prima cosa osserviamo che ogni possibile rappresentazione proiettiva di
G deve essere rappresentabile con operatori unitari e mai antiunitari. Vale infatti la seguente
proposizione.
Proposizione 11.13. Sia G un gruppo di Lie connesso. Per ogni rappresentazione proiettiva
G ∋ g 7→ γg gli elementi γg possono essere associati solo ad operatori unitari in base al teorema
di Wigner (o Kadison).
Prova. Per la proposizione 11.12, ogni elemento g ∈ G è il prodotto di un numero finito di
elementi di forma h = exp(tT ). Allora deve essere h = r · r con r = exp(tT /2). Applicando la
proposizione 11.5 segue immediatamente la tesi. 2
453
Ora ci occuperemo di illustrare brevemente qualche risultato generale interessante riguardante
le rappresentazioni unitarie fortemente continue dei gruppi topologici che hanno struttura di
Lie.
Per prima cosa, dato che ciò sarà utile inseguito, osserviamo che ogni rappresentazione proiettiva
di un gruppo topologico G si può sempre vedere come rappresentazione proiettiva del suo gruppo
e
di rivestimento universale G.
e → G è l’omomorfismo continuo di ricoprimento (la funzione continua di ricoInfatti, se π : G
primento è sempre pensabile come un omomorfismo continuo per i gruppi topologici [NaSt84]),
e γ : G ∋ g 7→ γg è una rappresentazione proiettiva continua di G nello spazio di Hilbert H,
e ∋ h 7→ γ
e
allora γ ◦ π : G
π(h) è evidentemente una rappresentazione proiettiva continua di G, ed
e se π(h) = π(h′ ). In altre parole, se
ha la particolarità che non distingue due elementi h, h′ ∈ G
′−1
′
h·h
∈ Ker(π), allora γ ◦ π(h) = γ ◦ π(h ) cioè : (γ ◦ π)(Ker(π)) = id, che equivale a dire
Ker(π) ⊂ Ker(γ ◦ π).
e il suo gruppo di rivestimento universale
Proposizione 11.14. Sia G un gruppo topologico e G
con omomorfismo di ricoprimento π. Ogni rappresentazione proiettiva continua di G sullo spazio
di Hilbert H, γ : G ∋ g 7→ γg , si ottiene da una opportuna rappresentazione proiettiva continua
e ∋ g 7→ γ ′ su H che soddisfi Ker(π) ⊂ Ker(γ ′ ), considerando la rappresentazione indotta
γ:G
g
e
su G ≡ G/Ker(π).
Nota. Nel seguito, quando ci farà comodo studieremo le rappresentazioni unitarie proiettive di
e invece che quelle di G, dato che quelle di secondo tipo sono individuate da quelle di primo tipo.
G
Vogliamo ora provare un importante risultato dovuto a Bargmann9 , che fornisce delle condizioni
sufficienti affinché una rappresentazione proiettiva continua sia descrivibile da una rappresentazione unitaria. L’idea che precede il teorema è quella già discussa precedentemente (vedi sezione
11.2.2), di vedere ogni rappresentazione unitaria proiettiva
G ∋ g 7→ Ug
di un gruppo G come restrizioni a G di una rappresentazione unitaria
G ∋ g 7→ Vg
b di G. Questo è sempre possibile in virtù della proposidi un’opportuna estensione centrale G
ω
zione 11.7. Assumiamo ora che G sia un gruppo di Lie e che G ∋ g 7→ Ug induca una rappresentazione proiettiva continua. Sappiamo che possiamo scegliere le fasi degli operatori Ug in modo
tale che nell’intorno dell’identà di G, la rappresentazione G ∋ g 7→ Ug risulti essere continua
per la proposizione 11.10. Tuttavia in generale non si riesce ad estendere questo risultato a
b ω e sfruttando la struttura di gruppo
tutto il gruppo G. Usando una la rappresentazione di G
di Lie di G si ha più fortuna, infatti sussiste il seguente importante risultato che citiamo senza
9
V. Bargmann. On Unitary Ray Representations of Continuous groups, Ann. Math. 59, 1 (1954).
454
dimostrazione [Kir74].
Teorema 11.7. Si consideri un gruppo di Lie connesso G ed una rappresentazione proiettiva
continua sullo spazio di Hilbert H,
G ∋ g 7→ γg .
b ω ed una rappresentazione unitaria fortemente continua
Esistono un’estensione centrale G
b ∋ (χ, g) 7→ V
G
ω
(χ,g)
con V(χ,e) = χI per ogni χ ∈ U (1) in modo tale che valgano i seguenti fatti.
b risulta essere un gruppo di Lie connesso (con struttura differenziabile differente da quella
(a) G
ω
b e di proiezione
prodotto, nel caso generale), gli omomorfismi di inclusione canonica U (1) → G
ω
b
canonica Gω → G sono omomorfismi di gruppi di Lie.
b ω in un intorno dell’identità risulta essere quella prodotto
(b) La struttura differenziabile di G
della struttura differenziabile standard di U (1) e di quella di G e la funzione ω : G × G → U (1)
è ottenuta da quella in proposizione 11.10 per mezzo di una trasformazione di equivalenza in
modo che risulti C ∞ in un intorno di (e, e).
(c) L’applicazione (1, g) 7→ V(1,g) risulta essere una rappresentazione unitaria proiettiva fortemente continua che induce G ∋ g 7→ γg . Cioè :
−1
γg (ρ) = V(1,g) ρV(1,g)
per ogni g ∈ G e ρ ∈ Sp (H).
Assumiamo dunque, in base al teorema citato, che ogni rappresentazione proiettiva fortemente
continua di un gruppo di Lie G si possa ottenere come una rappresentazione unitaria proiettiva
fortemente continua di un’estensione centrale G che sia a sua volta un gruppo di Lie.
Questo risultato consente di provare il teorema di Bargmann menzionato sopra.
Vediamo euristicamente l’idea fondamentale della dimostrazione. Consideriamo un gruppo di
Lie G (che nel teorema sarà connesso e semplicemente connesso) ed le sue estensioni centrali
b . Come detto sopra, le rappresentazione unitarie proiettive di G si possono
tramite U (1), G
ω
tutte vedere come rappresentazioni propriamente unitarie delle estensioni centrali di G tramite
b siano riconducibili
U (1). Ci chiediamo allora quando le rappresentazioni unitarie continue di G
ω
b
a rappresentazioni unitarie continue di G stesso. L’algebra di Lie di Gω è , come spazio vettoriale,
la somma diretta R ⊕ Te G. Le relazioni di commutazione si possono scrivere:
r ⊕ T, r ′ ⊕ T ′ = α(T, T ′ ) ⊕ [T, T ′ ] ,
dove r ⊕ T indica l’elemento generico di R ⊕ TeG e α : Te G × TeG → Te G è una funzione bilineare
antisimmetrica. Un modo alternativo con cui si trova spesso scritta tale relazione è il seguente,
fissando una base di Ge T :
[Ti , Tj ] = αij I +
n
X
k=1
455
Cijk Tk ,
(11.79)
dove, è stato scelto r = r ′ = 0 ed, ovviamente, αij := α(Ti , Tj ). Questi numeri soddisfano, per costruzione, la condizione di antisimmetria αij = αji , ed un’altra condizione dovuta all’identità di
Jacobi (e corrispondente alla (11.83) nelle ipotesi del teorema di Bargmann sotto):
αij = αji ,
(11.80)
n
X
(11.81)
(Cijs αsk + Cjks αsi + Ckis αsj ) = 0 .
s=1
I numeri αij vengono spesso denominate cariche centrali. L’idea centrale del teorema di
Bargmann è di cercare di ridefinire l’insieme dei generatori differenti da I:
Tk → Tk′ := βk I + Tk
in modo tale che che i numeri βk riassorbano le cariche centrali, riottenendo le regole di
commutazione l’algebra di Lie di G:
[Ti′ , Tj′ ] =
n
X
Cijk Tk′ .
k=1
b ω si possa pensare come
Se questo è possibile, ci si aspetta che una rappresentazione unitaria di G
rappresentazione unitaria di G stesso. In riferimento alla (11.79), si capisce che questo è vero
quando i coefficienti βk risolvono l’equazione (si noti che le Cijk e le αij sono assegnate una volta
b ω ):
noto G
αij =
n
X
Cijk βk .
(11.82)
k=1
L’ipotesi del teorema di Bargmann espressa con la (11.84) non è altro che la trascrizione della
(11.82), come si vedrà nella dimostrazione. In effetti la funzione lineare β che appare nelle ipotesi
è completamente individuata dai coefficienti βk dalla richiesta β(Tk ) := βk .
Teorema 11.9 (di Bargmann). Sia G un gruppo di Lie connesso e semplicemente connesso.
Ogni rappresentazione proiettiva continua di G sullo spazio di Hilbert H è indotta da una rappresentazione unitaria fortemente continua su H se la seguente richiesta è soddisfatta. Per ogni
applicazione bilineare antisimmetrica: α : Te G × Te G → R che soddisfa
α [T, T ′ ], T ′′ + α [T ′ , T ′′ ], T + α [T ′′ , T ], T ′ = 0
per ogni T, T ′ , T ′′ ∈ Te G,
(11.83)
esiste un’applicazione lineare β : Te G → R tale che:
α(T, T ′ ) = β [T, T ′ ]
per ogni T, T ′ ∈ Te G.
(11.84)
Prova. Consideriamo una rappresentazione proiettiva continua γ : G ∋ g 7→ γg sullo spazio
di Hilbert H. Sappiamo, per il teorema 11.17, che è possibile, scegliendo opportunamente la
456
b di G tramite U (1), che sia un
funzione dei moltiplicatori, definire un’estensione centrale G
ω
gruppo di Lie, ed una rappresentazione unitaria proiettiva V : G ∋ g 7→ Vg su H fortemente
continua che induce γ. Gli omomorfismi di inclusione e proiezione canonica sono di gruppi di
b ω è quella del prodotto U (1) × G ed
Lie, la struttura differenziabile nell’intorno dell’identità di G
infine, la funzione ω è differenziabile rispetto alla struttura differenziabile di G × G nell’intorno
di (e, e).
Senza perdere generalità , assumeremo che la funzione dei moltiplicatori sia normalizzata in
b ω sia (1, e). Come sappiamo,
modo tale che χ(e, g) = χ(g, e) = 1 e quindi l’elemento neutro di G
ci si può sempre ricondurre a tale situazione con una trasformazione di equivalenza tramite una
funzione costante, come precisato precedentemente. Dal punto di vista della struttura di spazio
b è lo spazio R ⊕ T G, dove ⊕ indica la somma diretta (non
vettoriale reale, l’algebra di Lie di G
ω
e
ortogonale, visto che non abbiamo definito alcuna nozione di prodotto scalare). Indicheremo con
r⊕T gli elementi di tale spazio vettoriale, con r ∈ R e T ∈ Te G. Dalla definizione di commutatore
di Lie, con qualche calcolo e facendo uso di (11.70), si ha che, se [ , ] è il commutatore di Lie su
b ω ha la forma:
Te G, il commutatore [ , ]ω su T1⊕e G
r ⊕ T, r ′ ⊕ T ′
ω
= α(T, T ′ ) ⊕ [T, T ′ ]
(11.85)
dove α : Te G × Te G → R è una funzione bilineare antisimmetrica che soddisfa la (11.83), in
virtù dell’identitità di Jacobi per [ , ]ω . Vogliamo ora dimostrare che il rivestimento universale
b è il gruppo di Lie R⊗G, dove ⊗ indica il prodotto diretto dei due gruppi di Lie (R è pensato
di G
ω
come gruppo di Lie additivo). Si osservi che il prodotto diretto di due gruppi di Lie è a sua
volta un gruppo di Lie con la struttura analitica prodotto delle due strutture analitiche dei
fattori. Il gruppo di Lie R ⊗ G, come spazio topologico, è lo spazio topologico prodotto R ⊗ G
ed è pertanto semplicemente connesso dato che sia R che G sono semplicemente connessi. Per il
teorema 11.4 A, deve quindi essere, a meno di isomorfismi di gruppi di Lie, l’unico gruppo di Lie
semplicemente connesso con quella algebra di Lie e deve coincidere con il gruppo di rivestimento
universale di tutti i gruppi di Lie che hanno l’algebra di Lie di R ⊗ G. Mostreremo che uno di
b ω . L’algebra di Lie di R ⊗ G è R ⊕ Te G come spazio vettoriale, mentre il commutatore di
essi è G
Lie vale:
r ⊕ T, r ′ ⊕ T ′ ⊗ = 0 ⊕ [T, T ′ ]
(11.86)
Per dimostrare quanto detto è sufficiente provare che esiste un isomorfismo di algebre di Lie che
b ω , nell’ipotesi del nostro teorema,
trasformi l’algebra di Lie di R ⊗ G nell’algebra di Lie di G
cioè quando esiste la funzione β : Te G → R che soddisfi (11.84). Costruiamo tale isomorfismo
di algebre di Lie. Fissiamo una base nell’algebra di Lie di G: T1 , . . . , Tn ed una corrispondente
base
1 ⊕ 0, 0 ⊕ T1 , . . . , 0 ⊕ Tn ∈ T(0,e) R ⊗ G
Ó
nell’algebra di Lie di R ⊗ G. Consideriamo poi la nuova base nell’algebra di Lie di G
ω , data da:
Ó
1 ⊕ 0, β(T1 ) ⊕ T1 , . . . , β(Tn ) ⊕ Tn ∈ T(1,e) G
ω.
Che questa sia una base è evidente dal fatto che i vettori menzionati sopra sono linearmente
indipendenti se T1 , . . . , Tn sono una base per l’algebra di Lie di G. Consideriamo infine l’unica
457
b tale che:
applicazione lineare biettiva f : T(0,e) R ⊗ G → T(1,e) G
ω
f (1 ⊕ 0) := 1 ⊕ 0 ,
f (0 ⊕ Tk ) := β(Tk ) ⊕ Tk
per k = 1, 2, . . . , n.
Dimostriamo che tale funzione conserva il commutatore di Lie, cioè
[f (r ⊕ T ) , f (r ′ ⊕ T ′ )]ω = f ([r ⊕ T , r ′ ⊕ T ]⊗ ) ,
ed è dunque un isomorfismo di Lie. Dato che f è lineare ed i commutatori di Lie sono bilineari
ed antisimmetrici, è sufficiente provare questo fatto su coppie di elementi di base differenti.
Evidentemente si ha che [f (1 ⊕ 0) , f (0 ⊕ Tk )]ω = 0 = f ([1 ⊕ 0 , 0 ⊕ Tk ]⊗ ). Per i rimanenti
commutatori non banalmente nulli abbiamo che:
[f (0 ⊕ Th ) , f (0 ⊕ Tk )]ω = [β(Th ) ⊕ Th , β(Tk ) ⊕ Tk ]ω = α(Th , Tk )[Th , Tk ] = β([Th , Tk ]) ⊕ [Th , Tk ] =
=β
n
X
s=1
!
Chks Ts ⊕
=f
n
X
Chks Ts =
s=1
n
X
s=1
n
X
s=1
Chks 0 ⊕ Ts
!
Chks (β(Ts ) ⊕ Ts ) =
n
X
s=1
Chks f (0 ⊕ Ts ) =
= f ([0, ⊕Th , 0 ⊕ Ts ]⊗ ) .
dove abbiamo indicato con Chks le constanti di struttura dell’algebra di Lie di G nella base
T1 , . . . , Tn . Concludiamo che il gruppo di rivestimento universale di Gω è R ⊗ G e che esiste un
omomorfismo di gruppi di Lie surgettivo:
bω ,
Π : R ⊗ G ∋ (r, g) 7→ (χ(r, g), h(r, g)) ∈ G
tale che (e questa condizione lo determina unicamente per il teorema 11.4 B):
dΠ|(0,g) = f .
(11.87)
Ora studiamo l’omomorfismo Π in dettaglio, tenendo conto della struttura di estensione centrale
b ω . Possiamo sempre decomporre
di G secondo U (1) che possiede G
R ⊗ G ∋ (r, g) = (r, e) · (0, g) ,
dove (r, e) appartiene al sottogruppo di Lie R di R ⊗ G e (0, g) appartiene al sottogruppo di Lie
G di R ⊗ G. Si dimostra facilmente che Π : (r, e) 7→ (χ(r, e), e). Infatti Π trasforma (r, e) · (r, e)
in (χ(r, e), h(r, e)) · (χ(r, e), h(r, e)) = (χ(r, e)χ(r, e)ω(h(r, e), h(r, e)) , h(r, e)h(r, e)). Dato che
(r, e) · (r, e) = (2r, e) e che Π è un omomorfismo, deve risultare che
(χ(r, e)χ(r, e)ω(h(r, e), h(r, e)) , h(r, e)h(r, e)) = (χ(2r, e), h(r, e)) .
Moltiplicando ambo i membri per (1, h(r, e)−1 ) si conclude, in particolare, che deve essere
h(r, e) = e. Concludiamo che, se definiamo χ(r) := χ(r, e) allora deve valere:
Π : (r, e) 7→ (χ(r), e)
e χ(r)χ(r ′ ) = χ(r + r ′ ) per ogni r, r ′ ∈ R.
458
La seconda identità segue subito dal fatto che ω(h(r, e), h(r ′ , e)) = ω(e, e) = 1 e dal fatto che Π
è un omomorfismo. Definendo h(g) := h(0, g) e φ(g) := χ(0, g), possiamo allora scrivere che:
b .
Π : R ⊗ G ∋ (r, g) 7→ (χ(r)φ(g), h(g)) ∈ G
ω
(11.88)
Studiamo ora l’applicazione h : (0, g) 7→ g dimostrando che è un isomorfismo di gruppi di Lie.
Dato che Π è un omomorfismo gruppale abbiamo che deve trasformare il prodotto (r, g) · (r ′ , g′ )
nel prodotto delle immagini e pertanto vale:
(χ(r), h(g)) · (χ(r), h(g′ )) = (χ(r + r ′ )φ(g)φ(g′ )ω(h(g), h(g′ )) , h(gg′ )) .
Si osservi che questo implica che la funzione h : G ∋ g ≡ (0, g) 7→ h(g) ∈ G – dove il primo
G è pensato come sottogruppo di Lie di R ⊗ G – è un omomorfismo gruppale. Dato che Π
b ω (χ, s) 7→ s ∈ G è un
è surgettiva, h deve essere surgettiva. Infine, dato che la funzione G
omomorfismo surgettivo di gruppi di Lie per definizione di estensione centrale, concludiamo che
h : G ∋ g 7→ h(g) ∈ G è un omomorfismo surgettivo di gruppi di Lie. Ricordando che vale la
(11.87), si verifica facilmente che dh : 0 ⊕ Tk → Tk . Di conseguenza, per (iii) di (b) nel teorema
11.4 B, dh è il differenziale, calcolato sull’identità , di un unico omomorfismo di gruppi di Lie da
G (visto come sottogruppo di R ⊕ G) a G, che è un isomorfismo di gruppi di Lie. Per costruzione,
tale isomorfismo deve coincidere con h stesso.
Per concludere studiamo la funzione dei moltiplicatori ω e la funzione φ : G → U (1). Vale
φ(e) = 1, dato che Π : (0, e) 7→ (1, e). Dato che Φ : (0, g) 7→ (φ(g), h(g)) è omomorfismo di
b è quella prodotto nell’intorno
gruppi di Lie e la struttura differenziabile (analitica rale) di G
ω
dell’identità , la funzione φ sarà differenziabile in un intorno dell’identità . La proiezione Π
trasforma il prodotto (0, g) · (0, g′ ) nel prodotto delle immagini secondo Π. Di conseguenza deve
essere:
(φ(g)φ(g′ )ω(h(g), h(g′ )) , h(gg′ )) = (φ(gg′ ), h(gg′ )) ,
da cui:
φ(g)φ(g′ )ω(h(g), h(g′ )) = φ(gg′ ) per ogni g, g′ ∈ G.
(11.89)
Possiamo allora concludere esibendo una rappresentazione unitaria continua U : G ∋ g 7→ Ug
che induce la rappresentazione proiettiva iniziale γ. Tenendo conto del fatto che che h : G → G
è un isomorfismo di gruppi di Lie, definiamo
Ug := φ(h−1 (g))Vg
per ogni g ∈ G.
Per costruzione questa rappresentazione unitaria proiettiva induce γ, dato che φ(h−1 (g)) ∈ U (1).
D’altra parte vale anche, per (11.89):
Ug Ug′ = φ(h−1 (g))φ(h−1 (g′ ))Vg Vg′ = ω(g, g′ )φ(h−1 (g))φ(h−1 (g′ ))Vgg′ = φ(gg′ )Vgg′ = Ugg′ .
Pertanto la rappresentazione U è una rappresentazione propriamente unitaria. Per concludere
mostriamo che tale rappresentazione è continua. Per costruzione, dato che la rappresentazione
V è continua, h−1 è continuo, h−1 (e) = e e φ è continua in un intorno di e, allora g 7→ Ug =
459
φ(h−1 (g))Vg è sicuramente continua in un intorno A dell’elemento neutro e di G. Il fatto che U sia
una rappresentazione di operatori unitari implica che sia continua (nella topologia operatoriale
forte che stiamo considerando) ovunque. Infatti, se ψ ∈ H:
||Ug ψ − Ug0 ψ|| = ||Ug−1 (Ug ψ − Ug0 ψ)|| = ||Ug−1 g ψ − ψ|| → 0
0
0
se g → g0 .
Abbiamo usato il fatto che g0−1 g ∈ A se g è in un intorno sufficientemente piccolo di g0 essendo
G un gruppo topologico. 2
Osservazioni.
(1) Si osservi che, in base ad un’osservazione fatta sopra, il teorema di Bargmann fornisce informazioni anche per il caso in cui il gruppo di Lie connesso non sia semplicemente connesso,
pensando le sue rappresentazioni proiettive come rappresentazioni del rivestimento universale,
che per costruzione è sempre semplicemente connesso.
(2) Esiste un modo alternativo e più avanzato di enunciare il teorema di Bargmann facendo
uso della teoria della coomologia di gruppi di Lie. L’ipotesi di esistenza della funzione lineare β
per ogni funzione bilineare antisimmetrica α che soddisfi la (11.83) equivale a dire che il secondo gruppo di coomologia, H 2 (Te G, R), è banale [BaRa86, Kir74]. Un risultato importante che
si ottiene con tecniche di coomologia gruppale, è che le ipotesi del teorema di Bargmann sono
soddisfatte per in gruppo di Lie semplicemente connesso G, se la sua algebra di Lie è semplice
oppure semisemplice.
Ora ci occuperemo del problema opposto, cioè di come costruire delle rappresentazioni proiettive continue che rappresentino un gruppo di simmetria topologico individuato da un gruppo
di Lie. Sappiamo che è sufficiente saper costruire delle rappresentazioni unitarie continue delle
estensioni centrali del gruppo. Per cui ci concentriamo sul problema di costruire rappresentazioni unitarie fortemente continue di un gruppo di Lie assegnato. L’idea è quella di costruire
tali rappresentazioni partendo da una rappresentazione dell’algebra di Lie del gruppo in termini di operatori autoaggiunti, con una procedura simile all’esponenziazione dei generatori di un
gruppo di Lie. Dal punto di vista fisico, tale procedura è interessante perché i generatori hanno
spesso un preciso significato fisico. Nel prossimo capitolo vederemo che tali generatori (operatori
autoaggiunti), rappresentano grandezze conservate durante il moto del sistema, se l’evoluzione
temporale è un sottogruppo del gruppo di simmetria.
Per prima cosa ci occupiamo del problema di costruire una rappresentazione operatoriale dell’algebra di Lie di un gruppo di Lie, quando abbiamo una rappresentazione unitaria fortemente
continua del gruppo di Lie. Consideriamo una rappresentazione unitaria fortemente continua
del gruppo di Lie G:
G ∋ g 7→ Ug ,
sullo spazio di Hilbert H. Fissiamo, G, un sottogruppo ad un parametro R ∋ t 7→ exp(tT )
associato all’elemento T ∈ Te G dell’algebra di Lie. Il teorema 9.5 di Stone ci assicura che valga:
Uexp(tT ) = e−itAU (T )
460
per ogni t ∈ R,
(11.90)
dove AU (T ) è un operatore autoaggiunto in H, non limitato nel caso generale (il segno − è fissato
per convenzione) con dominio D(AU (T )), completamente individuato dall’elemento T ∈ Te G.
Diremo allora che che gli operatori autoaggiunti AU (T ), con T ∈ Te G sono i generatori della
rappresentazione U . Essi sono definiti, dal teorema di Stone, come:
AU (T )ψ := i
d
|t=0 Uexp(tT ) ψ
dt
se e solo se ψ ∈ D(AU (T )).
(11.91)
Riguardo al fatto che gli operatori −iAU (T ) definiscano una rappresentazione dell’algebra di Lie
di G, possiamo dunque al massimo sperare che valgano relazioni del tipo:
(AU (T )AU (T ′ ) − AU (T ′ )AU (T ))ψ = iAU ([T, T ′ ])ψ
(11.92)
per ψ ∈ D, dove D ⊂ D(AU (T )) e un sottospazio invariante sotto l’azione di tutti gli operatori
AU (T ). In effetti è ben noto [BaRa86] che un tale spazio D esista e sia denso in H. Una prima
versione dello spazio in questione, che indicheremo con DG , si chiama spazio di Gårding,
ed è definito come il sottospazio di H che contiene tutti i vettori ψ tali che G ∋ g 7→ Ug ψ e
una funzione infinitamente differenziabile, calcolando la derivata nella topologia dello spazio di
Hilbert ed in un qualsiasi sistema di coordinate locali su G. Si dimostra che, se ψ è nello spazio
di Gårding, allora DG risulta essere denso ed invariante sotto l’azione degli operatori AU (T ),
inoltre l’applicazione Te G ∋ T 7→ −iAU (T )↾DG è una rappresentazione dell’algebra di Lie Te G,
nel senso che si tratta di un’applicazione lineare che verifica la (11.92) [BaRa86].
Un risultato tecnicamente utile è il seguente dovuto a Gårding [BaRa86] precisa, in particolare,
che DG è un core per i generatori.
Teorema 11.10 (di Gårding). Se G è un gruppo di Lie e G ∋ g 7→ Ug è una rappresentazione
unitaria fortemente continua sullo spazio di Hilbert H, definito lo spazio DG e la rappresentazione dell’algebra di Lie Te G ∋ T 7→ −iAU (T ) sullo spazio DG come precisato sopra, ogni operatore
AU (T ) ed ogni polinomio p(AU (T )), per T ∈ Te G, è essenzialmente autoaggiunti su DG .
Esiste un secondo spazio DN con caratteristiche analoghe a quelle di DG , individuato da Nelson [BaRa86], che risulta più utile dello spazio di Gårding per ricostruire la rappresentazione U
partendo dalla rappresentazione dell’algebra di Lie ed esponenziandola.
Per definizione DN contiene i vettori ψ ∈ H tali che G ∋ g 7→ Ug ψ sia una funzione analitica reale di g, cioè sviluppabile in serie di potenze in un sistema di coordinate della struttura
analitica del gruppo G nell’intorno di ogni punto. I vettori di DN si dicono vettori analitici
della rappresentazione U e DN è lo spazio dei vettori analitici della rappresentazione U . Dunque risulta che [BaRa86] DN ⊂ DG e, ancora, DN risulta essere invariante sotto
l’azione degli operatori AU (T ) ed anche sotto l’azione di ogni Ug , g ∈ G, inoltre l’applicazione
Te G ∋ T 7→ −iAU (T )↾DN è una rappresentazione dell’algebra di Lie Te G, nel senso che si tratta
di un’applicazione lineare che verifica la (11.92) [BaRa86].
C’è un importante legame tra vettori analitici nel senso di elementi di DN e vettori analitici nel
senso del cap 9. Vale infatti la seguente importante proposizione dovuta a Nelson [BaRa86],
461
che tra le altre cose implica immediatamente che DN è denso in H, come detto sopra, dato che
i vettori analitici di un operatore autoaggiunto formano un insieme denso come provato nella
proposizione 9.10.
Proposizione 11.14. Sia G è un gruppo di Lie e G ∋ g 7→ Ug è una rappresentazione unitaria
fortemente continua sullo spazio di Hilbert H. Sia T1 , . . . , Tn ∈ Te G una base dell’algebra di Lie
di G. Definito l’operatore di Nelson su DG :
∆ :=
n
X
AU (Tk )2 ,
k=1
dove tutti gli operatori A(Tk ) sono pensati con dominio ristretto a DG , vale quanto segue.
(a) ∆ è essenzialmente autoaggiunto.
(b) Ogni vettore analitico dell’operatore autoaggiunto ∆ è un vettore analitico per la rappresentazione U (cioè è un elemento di DN ).
(c) Ogni vettore analitico dell’operatore autoaggiunto ∆ è un vettore analitico per ogni operatore
A(Tk ) (che è quindi essenzialmente autoaggiunto su DN per il criterio di Nelson)10 .
Possiamo enunciare il famoso teorema di Nelson che consente di associare a rappresentazioni
dell’algebra di Lie delle rappresentazioni dell’unico gruppo di Lie semplicemente connesso associato a tale algebra di Lie.
Teorema 11.11 (di Nelson). Si consideri un’algebra di Lie reale n-dimensionale, V , di operatori −iT – con ogni T simmetrico sullo spazio di Hilbert H, definito su un comune spazio
vettoriale D in denso in H invariante sotto l’azione degli elementi di V – e con commutatore di
Lie è dato l’ordinario commutatore di operatori.
Sia T1 , · · · , Tn ∈ V una base di V e si definisca l’operatore di Nelson con dominio D:
∆ :=
n
X
Tk2 .
k=1
Se ∆ è essenzialmente autoaggiunto, allora esiste una rappresentazione unitaria fortemente
continua su H:
GL ∋ g 7→ Ug
dell’unico gruppo di Lie GV semplicemente connesso che ammette V come algebra di Lie e tale
rappresentazione è unicamente determinata dalla richiesta che:
T = AU (T )
per ogni T ∈ V
In particolare gli operatori simmetrici T risultano essere essenzialmente autoaggiunti su D, essendo la loro chiusura autoaggiunta.
10
Gli statements (a) e (b) costituiscono il teorema 2 nel cap. 11 sezione 3 di [BaRa86]. Lo statement (c) segue
dal lemma 7 nel cap. 11 sezione 2 di [BaRa86] e da (c) in proposizione 9.8 di questo libro.
462
Le ipotesi del teorema possono essere indebolite come provato da Flato, Simon, Snellman e
Sternheimer come segue [BaRa86].
Teorema 11.12 (FS3 ). Si consideri un’algebra di Lie reale n-dimensionale, V, di operatori
−iT – con ogni T simmetrico sullo spazio di Hilbert H, definito su un comune spazio vettoriale
D in denso in H invariante sotto l’azione degli elementi di V – e con commutatore di Lie è dato
l’ordinario commutatore di operatori.
Sia T1 , · · · , Tn ∈ V una base di V. Se gli elementi di D sono vettori analitici per ogni operatore
Tk , k = 1, . . . , n, allora esiste una rappresentazione unitaria fortemente continua su H:
GL ∋ g 7→ Ug
dell’unico gruppo di Lie GV semplicemente connesso che ammette V come algebra di Lie e tale
rappresentazione è unicamente determinata dalla richiesta che:
T = AU (T )
per ogni T ∈ V
In particolare gli operatori simmetrici T risultano essere essenzialmente autoaggiunti su D, essendo la loro chiusura autoaggiunta.
Esempi 11.6.
Consideriamo due classi di operatori Pk e Xk , k = 1, 2, . . . , n, definiti su un sottospazio vettoriale
denso D ⊂ H di uno spazio di Hilbert e supponiamo che risultino essere simmetrici su tale dominio. Assumiamo che tali operatori soddisfino, sul dominio detto, le relazioni di commutazione
di Heisenberg discusse nel capitolo 10 (dove poniamo ~ = 1):
[−iXh , −iPk ] = −iδhk I
k, h = 1, . . . , n.
(11.93)
Possiamo allora completare le classi di operatori detti aggiungendo −iI tra i generatori. Gli
operatori −iI, −iX1 , . . . , −iXn , −iP1 , . . . , −iPn formano in tal modo una base per l’algebra di
Lie del gruppo di Heisenberg H (n) su R2n+1 introdotto al termine del capitolo 10. Tale gruppo
di Lie è semplicemente connesso. Il teorema di Nelson ci assicura che se, su D, l’operatore:
∆ − I :=
n
X
X2k +
k=1
n
X
P2k
k=1
è essenzialmente autoaggiunto (in realtà si dovrebbe considerare ∆, ma d’altra parte è evidente
che ∆ è essenzialmente autoaggiunto se e solo se lo è ∆ − I), allora esiste un’unica rappresentazione unitaria e fortemente continua, H (n) ∋ (η, t, u) 7→ H((η, t, u)) su H, che ammette gli
operatori, che risultano dunque essere autoaggiunti: I, Xh =: Xh e Ph =: Ph , h = 1, . . . , n
come generatori. Possiamo concludere che se la rappresentazione del gruppo di Heisenberg che
abbiamo determinato è irriducibile, allora, in base al teorema di Stone - von Neumann (ovvero
al teorema 10.5, vedi capitolo 10), esiste una trasformazione unitaria da H a L2 (Rn , dx) che
trasforma gli operatori Xh e Ph nei soliti operatori posizione ed impulso definiti nell’assioma
463
A.5 del capitolo 10 (per il caso n = 3, oppure con l’ovvia generalizzazione negli altri casi).
Un esempio elementare è dato dal caso n = 1, con H = L2 (R, dx) e dagli operatori X, pensato
∂
, definendo D come lo spazio
come operatore moltiplicativo per la coordinata x, e P := −i ∂x
di Schwartz S(R). In questo caso, l’operatore ∆ − I coincide con l’hamiltoniano dell’oscillatore
armonico discusso nel capitolo 9. ∆ − I ammette una base di autovettori date dalle funzioni di
Hermite (che appartengono a S(R)), che formano una base hilbertiana di L2 (R, dx). Pertanto
∆−I (e quindi anche ∆, per la proposizione 9.8) ammette un insieme di vettori analitici (appunto le funzioni di Hermite) le cui combinazioni lineari finite sono dense nello spazio di Hilbert. Per
il criterio di Nelson ∆ − I è essenzialmente autoaggiunto e quindi possiamo applicare il risultato
di sopra.
11.2.7
Un esempio: il gruppo di simmetria SO(3) e lo spin
Considereremo ora le rappresentazioni unitarie del gruppo SU (2), visto come gruppo di rivestimento universale di SO(3). Le rappresentazioni unitarie di SU (2) saranno usate per definire
l’azione del gruppo di simmetria topologico (e di Lie) SO(3) – azione data da una rappresentazione proiettiva – sul sistema fisico dato da una particella di spin s.
Consideriamo lo spazio di Hilbert L2 (R3 , dx) sul quale, fino ad ora, veniva descritto il sistema
quantistico di una particella (dopo aver fissato un sistema di riferimento inerziale I, che identifica
lo spazio R3 con il suo spazio di quiete, in relazione ad una terna di assi cartesiani ortonormali
destrorsi solidali con I stesso). L’esperienza mostra che questa descrizione non è fisicamente adeguata: lo spazio di Hilbert L2 (R3 , dx) non è sempre sufficiente a rendere conto della struttura
fisica delle particelle reali. Le particelle reali possiedono una proprietà fisica che si dice spin,
individuata da un numero s costante che è associato alla particella in modo simile alla massa,
ma che può assumere solo valori interi e semi interi s = 0, 1/2, 1, 3/2, . . ..
Dal punto di vista fisico la proprietà di avere spin significa che la particella ha un momento
angolare intrinseco [CCP82] ed esistono osservabili, non rappresentabili tramite le osservabili
fondamentali posizione ed impulso, che descrivono questo momento angolare intrinseco. Riassumiamo la struttura matematica coinvolta, rimandando a [CCP82] per un’esauriente discussione
fisica su questo importantissimo argomento.
Se la particella ha spin s = 0, la descrizione è la solita di particella senza spin. Se la particella
possiede spin s = 1/2, il suo spazio di Hilbert è più grande e coincide con il prodotto tensoriale
L2 (R3 , dx) ⊗ C2 , dove C2 è lo spazio (di Hilbert) dello spin. I tre operatori di spin sono le
matrici hermitiane Sk := ~2 σk , k = 1, 2, 3 e dove le matrici σk sono le matrici di Pauli introdotte
precedentemente. In questo modo valgono le relazioni di commutazione:
[−iSi , −iSj ] =
3
X
ǫijk (−iSk ) .
(11.94)
k=1
Le osservabili associate agli operatori di spin sono le tre componenti, rispetto agli assi del
riferimento inerziale considerato, del momento angolare intrinseco della particella. Nel caso di
464
spin s = 1/2, i valori possibili di ciascuna delle componenti sono solo −~/2 e ~/2, come segue
subito dal fatto che gli autovalori di ciascuna matrice di Pauli sono ±1.
Nel caso di particelle con spin s generico, la descrizione è la stessa, con l’eccezione che lo spazio
di spin è ora individuato da C2s+1 . In tale spazio, le matrici dei tre operatori di spin, Sk , non
sono ~2 σk , ma tre matrici hermitiane Sk che soddisfano ancora le relazioni (11.94) e tali che,
ciascuna di esse, abbia 2s + 1 autovalori pari a: −~s, −~(s − 1), . . . , ~(s − 1), ~s, con autospazi
di dimensione 1. Per la costruzione delle matrici Sk e l’analisi del concetto di spin rimandiamo
a [CCP82]. Le uniche tre precisazioni che facciamo sono le seguenti.
P
(a) l’operatore S 2 := 3k=1 Sk2 risulta sempre soddisfare, se I : C2s+1 → C2s+1 è la matrice
identità :
S 2 = ~2 s(s + 1)I .
(b) Lo spazio C2s+1 risulta essere irriducibile rispetto alla rappresentazione di SU (2) ottenuta
esponenziando le matrici −iSk :
~
V (s) : SU (2) ∋ e−iθ 2 n·σ 7→ e−iθn·S .
(11.95)
Al variare di s = 0, 1/2, 1, 3/2, . . ., a meno di equivalenza unitaria, le V (s) riproducono tutte le
rappresentazioni irriducibili finito-dimensionale di SU (2).
(c) La matrice S3 è scelta in modo tale che coincida con ~ diag(s, s − 1, . . . , −s + 1, −s). Solitamente la base hilbertiana di autovettori di S3 che viene quindi a coincidere con la base canonica
di C2s+1 viene indicata con {|s, s3 i}|s3 |≤s . Gli stati puri Ψ(Ψ| ) della particella con spin s sono
dunque individuati da un set di 2s + 1 funzioni d’onda ψs3 di L2 (R3 , dx) con norma unitaria, in
modo tale che lo stato puro sia individuato dal vettore normalizzato a 1:
Ψ=
X
|s3 |≤s
ψs3 ⊗ |s, s3 i .
Dato che, in base alla decomposizione appena scritta, L2 (R3 , dx)⊗C2s+1 è naturalmente isomorfo
alla somma diretta ortogonale di 2s + 1 copie di L2 (R3 , dx), tali vettori si identificano con vettori
colonna di funzioni d’onda:
Ψ ≡ (ψs , ψs−1 , · · · , ψ−s+1 , ψ−s )t
che nel gergo della Meccanica Quantistica vengono chiamati spinori di ordine s.
~
Se s è un numero intero, la rappresentazione SU (2) ∋ e−iθ 2 n·σ 7→ e−iθn·S in C2s+1 , associata alle
tre matrici di spin, risulta essere una rappresentazione fedele di SO(3), dato che il nucleo ±I
dell’omomorfismo di ricoprimento SU (2) → SO(3) è rappresentato dalla matrice I. Se s è semi
intero la rappresentazione scritta sopra risulta essere una rappresentazione fedele di SU (2).
Ora mostreremo il legame che esiste tra momento angolare totale e gruppo SU (2), ovvero gruppo
delle rotazioni SO(3). Nello spazio completo della particella con spin s, H = L2 (R3 , dx) ⊗ C2s+1
introduciamo gli operatori di momento angolare (totale):
Jk = Lk ⊗ I + I ⊗ Sk ,
465
(11.96)
dove gli operatori di momento angolare orbitale, Lk , definiti in (9.82) e discussi nel capitolo 9,
sono gli operatori le cui chiusure sono le osservabili associate alle tre componenti del momento
angolare orbitale. I indica l’operatore identità : il primo su C2s+1 ed il secondo su L2 (R2 , dx).
Il dominio è dato dal sottospazio lineare invariante: D := S(R3 ) ⊗ C2s+1 . Per costruzione, questi
operatori soddisfano le relazioni di commutazione dell’algebra di Lie di SO(3):
[−iJi , −iJj ] =
3
X
ǫijk (−iJk ) .
(11.97)
k=1
Vogliamo ora applicare il teorema 11.11 di Nelson all’algebra di Lie cha ha una base data dagli
operatori Jk . Consideriamo l’operatore simmetrico:
J2 =
3
X
k=1
(Lk ⊗ I + I ⊗ Sk )2
definito su D. Tale operatore ammette una base hilbertiana di autovettori che si ottiene partendo
dalla base hilbertiana di H data da tutti i prodotti tensoriali
|l, m, sz , ni := Yml ψn ⊗ |s, sz i ∈ D ⊂ L2 (R3 , dx) ⊗ C2s+1
dove l = 0, 1, 2 . . . ,, m = −l, −l + 1, . . . , l − 1, l, n = 0, 1, 2, . . . e sz = −s, −s + 1, . . . , s − 1, s e i
vettori |s, sz i ∈ C2s+1 sono gli autovettori di S3 , con norma 1 e con autovalore sz . Dato che S3
è hermitiana, i 2s+1 vettori |s, sz i formano una base ortonormale di C2s+1 . La base hilbertiana di
L2 (R3 , dx) di vettori Yml ψn (9.92) è stata definita nel capitolo 9. La proposizione 9.6 assicura che
i vettori Yml ψn ⊗ |s, sz i formino una base hilbertiana per lo spazio prodotto. La base hilbertiana
degli |l, m, sz , ni non è composta da autovettori di J 2 . Esiste una procedura puramente algebrica,
detta procedura di Clebsch-Gordan11 [CCP82], che mostra che, prendendo combinazioni lineari
finite di vettori |l, m, sz , ni, si può costruire una base hilbertiana di autovettori di J2 , Jz , L2 :
|j, j3 , l, ni
dove |l + s| ≥ j ≥ |l − s|, l = 0, 1, 2, . . . j3 = −j, −j + 1, . . . , j + 1, j, n = 1, 2, . . .,
ed è sottinteso sopra che i valori di j differiscano per numeri interi. Vale:
J2 |j, j3 , l, ni = ~2 j(j + 1)|j, j3 , ni ,
J3 |j, j3 , ni = ~jz |j, j3 , ni ,
L2 |j, j3 , ni = ~l(l + 1)|j, j3 , ni .
I vettori |j, j3 , l, ni sono ancora in D essendo combinazioni lineari finite dei vettori |l, m, s, sz , ni.
Essendo autovettori di J2 , tali vettori sono vettori analitici di J2 . Per il criterio di Nelson, J2
è essenzialmente autoaggiunto su D. Applicando il teorema di Nelson, abbiamo anche che esiste
una rappresentazione unitaria fortemente continua di SU (2) sullo spazio H, i cui generatori sono
gli operatori autoaggiunti Jk := Jk = Lk ⊗ I + I ⊗ Sk . (Si osservi che Lk ⊗ I = Lk ⊗ I dato che
l’operatore I, in quel caso, è definito in uno spazio di Hilbert a dimensione finita.)
11
Questa procedura è , a volte, irriverentemente menzionata dagli studenti come il calcolo dei “coefficienti di
Flash Gordon”.
466
Si dimostra (vedi esercizi) che la rappresentazione unitaria fortemente continua che si ottiene
esponenziando gli operatori Jk , nel caso s = 0, è in realtà una rappresentazione di SO(3) e coincide la rappresentazione che già conoscevamo da (1) in esempi 11.2 con Γ ∈ IO(3) specializzata
a Γ = R ∈ SO(3) (Tale rappresentazione è fortemente continua per quanto asserito in (1) in
esempi 11.4.) Questo risultato implica facilmente che (vedi esercizi), nel caso generale di s 6= 0,
la rappresentazione di SU (2) che si ottiene esponenziando i generatori Jk in base al teorema di
Nelson, ha la forma:
~
θ
SU (2) ∋ e−iθ 2 n·σ 7→ e−iθn·J = e−iθn·L ⊗ V (s) e−i 2 n·σ
(11.98)
dove Lk := Lk è l’operatore autoaggiunto associato alla componente k-esima del momento
angolare orbitale, come già definito nel capitolo 9. Inoltre vale:
€
Š
€
Š
e−iθn·L ψ (x) = ψ eθn·T x ,
(11.99)
dove
~
SU (2) ∋ e−iθ 2 n·σ 7→ e−θn·T ∈ SO(3)
è l’omomorfismo suriettivo di ricoprimento di SU (2) su SO(3) citato in (6) di esempi 11.5.
Dal punto di vista fisico, si assume che la rappresentazione unitaria proiettiva di SO(3) indotta
dalla rappresentazione unitaria di SU (2) (11.98) corrisponda all’azione di SO(3) sulla particella
con spin s, pensando SO(3) come gruppo di simmetria per tale sistema.
Concludendo, abbiamo trovato una rappresentazione proiettiva del gruppo SO(3) sulla particella di spin generico s = 0, 1/2, 1, 3/2, 2, . . . che si assume essere l’azione del gruppo di simmetria
SO(3) sul sistema fisico considerato. Si osservi che solo per s intero, la rappresentazione proiettiva di SO(3) è inducibile da una rappresentazione unitaria di SO(3), nel caso di spin semi
intero, la rappresentazione proiettiva è invece indotta da una rappresentazione unitaria di SU (2).
Esercizi 11.4.
(1) Dimostrare che la rappresentazione unitaria fortemente continua di SU (2) che si ottiene
esponenziando gli operatori Lk coincide la rappresentazione fortemente continua SO(3) ∋ R 7→
UR definita in esempi 11.2 (dove ora abbiamo ristretto Γ ∈ IO(3) a Γ = R ∈ SO(3)) e che
è fortemente continua (vedi (1) in esempi 11.4)
Suggerimento. Per il teorema 11.11 di Nelson è sufficiente verificare che i gruppi ad un parametro θ 7→ Ueθn·T x con n = e1 , e2 , e3 sono generati dagli operatori autoaggiunti L1 , L2 , L3 .
Si tratta dunque di verificare ciò . Conviene lavorare in coordinate polari, usando il core per gli
operatori L1 , L2 , L3 , dato dalle armoniche sferiche moltiplicate per gli elementi di una base di
L2 (R+ , r 2 dr).
(2) Dimostrare che la rappresentazione di SU (2), che si ottiene esponenziando i generatori Jk
in base al teorema di Nelson, ha la forma:
~
θ
SU (2) ∋ e−iθ 2 n·σ 7→ e−iθn·J = e−iθn·L ⊗ V (s) e−i 2 n·σ
467
.
Suggerimento. Usare le proprietà del prodotto tensoriale di operatori per dimostrare che vale
θ
e−iθn·J = e−iθn·L ⊗ V (s) e−i 2 n·σ
.
Quindi la tesi si prova verificando che la rappresentazione SO(3) ∋ R 7→ UR considerata nell’esercizio precedente si può esprimere come: Ueθn·T = e−iθn·L . Sappiamo che questo è sicuramente
vero, per esempio per n = e3 . Il caso generale si ottiene notando che, da una parte,
∗
UR∗ e−iθn·L UR = e−iθn·UR LUR
e tenendo conto di (3) in esercizi 11.1; dall’altra vale il risultato in (3) di esercizi 11.3.
11.2.8
Il gruppo di Galileo e la regola di Bargmann di superselezione della
massa
In fisica classica, le trasformazioni tra coordinate cartesiane ortonormali solidali con due differenti sistemi di riferimento inerziali I e I′ sono descritte dal gruppo di Galileo, G . In questo
senso le trasformazioni di Galileo sono viste come trasformazioni passive. Con ovvie notazioni,
tali trasformazioni si possono scrivere:


t′ =


t+c,

x′ = ci + tvi +

 i
3
X
Rij xj , i=1,2,3.
(11.100)
j=1
dove c ∈ R, ci ∈ R e vi ∈ R sono costanti arbitrarie, ed i coefficienti costanti Rij definiscono
una matrice R ∈ O(3). Ogni elemento del gruppo di Galileo, G , è dunque individuato da una
quaterna (c, c, v, R) ∈ R × R3 × R3 × O(3). Componendo due trasformazioni di Galileo, si vede
che le quaterne dette si compongono come:
(c2 , c2 , v2 , R2 ) · (c1 , c1 , v1 , R1 ) = (c1 + c2 , R2 c1 + c1 v2 + c2 , R2 v1 + v2 , R2 R1 ) .
(11.101)
Questa legge di composizione definisce una struttura di gruppo su R×R3 ×R3 ×O(3), definendo,
appunto il gruppo di Galileo. In particolare, l’elemento neutro è (0, 0, 0, I) e l’elemento inverso
è dato da:
(c, c, v, R)−1 = (−c, R−1 (cv − c), −R−1 v, R−1 ) .
(11.102)
Si può anche interpretare il gruppo di trasformazioni di Galileo come un gruppo di trasformazioni
attive, che agiscono spostando attivamente gli eventi dello spaziotempo, individuando gli eventi
dello spaziotempo classico come vettori colonna (x, t)t , di coordinate in un sistema di coordinate
cartesiane (ortonormali destrorse) di un riferimento inerziale fissato una volta per tutte.
Il gruppo G agisce come un gruppo di matrici, se identifichiamo l’elemento generico (c, c, v, R) ∈
G con la matrice reale 5 × 5:


R v c


 0 1 c  .
0 0 1
468
(11.103)
e contemporaneamente identifichiamo l vettori colonna (x, t)t ∈ R4 con i corrispondenti vettori
colonna (x, t, 1)t ∈ R5 . In questo modo G acquista naturalmente una struttura di gruppo di Lie
(matriciale), indotta da quella di GL(5, R) (la struttura differenziabile analitica reale è la stessa
che si otterrebbe inducendola da quella di R × R3 × R3 × O(3)).
Nel seguito ci restringeremo al cosiddetto gruppo di Galileo proprio, SG , che è il sottogruppo
di Lie connesso di G i cui elementi hanno matrici R con determinante positivo, cioè R ∈ SO(3).
Non considereremo dunque l’inversione di parità , che è nota non essere sempre una simmetria
per i sistemi quantistici e deve essere trattata a parte, almeno a livello quantistico.
g , si ottiene sostituendo a SO(3) il suo rivestimento univerIl rivestimento universale di SG , SG
sale SU (2) pensato come gruppo di Lie reale di dimensione 3 (sottogruppo di Lie di GL(4, R)).
g è il gruppo di Lie con struttura differenziabile (analitica reale) di R×R3 ×R3 ×SU (2)
Di fatto SG
e con legge di composizione:
(c2 , c2 , v2 , U2 ) · (c1 , c1 , v1 , U1 ) = (c1 + c2 , R(U2 )c1 + c1 v2 + c2 , R(U2 )v1 + v2 , U2 U1 ) ,
(11.104)
dove la funzione SU (2) ∋ U 7→ R(U ) ∈ SO(3) , è l’omomorfismo di ricoprimento discusso in (6)
di esempi 11.5 (e negli esercizi 11.3). Questo gruppo di Lie è il rivestimento universale di SG
essendo semplicemente connesso (perché prodotto di spazi semplicemente connessi) ed avendo
la stessa algebra di Lie di SG .
g è costituita di 10 generatori (notare
Una base fisicamente interessante dell’algebra di Lie di SG
il segno − davanti al primo generatore dovuto ad una convenzione):
−h , pi , ji , ki
i=1,2,3,
(11.105)
dove accade che:
(i) −h genera il sottogruppo ad un parametro R ∋ c 7→ (c, 0, 0, I) delle traslazioni temporali,
(ii) i tre pi generano il sottogruppo abeliano R3 ∋ c 7→ (0, c, 0, I) delle traslazioni spaziali,
(iii) i tre ji generano il sottogruppo SO(3) ∋ R 7→ (0, 0, 0, R) delle rotazioni spaziali,
(iv) i tre ki generano il sottogruppo abeliano R3 ∋ v 7→ (0, 0, v, I) delle trasformazioni pure
di Galileo.
Abbiamo le seguenti regole di commutazione che individuano le costanti di struttura del gruppo:
[pi , pj ] = 0 ,
[ji , pj ] =
3
X
[pi , −h] = 0 ,
ǫijk pk ,
k=1
[ki , −h] = pi ,
[ji , −h] = 0 ,
[ji , jj ] =
3
X
ǫijk jk ,
k=1
[ki , pj ] = 0 .
[ki , kj ] = 0 ,
[ji , kj ] =
3
X
ǫijk kk ,
(11.106)
(11.107)
k=1
(11.108)
Il gruppo di Galileo è il gruppo più importante di tutta la fisica classica, dato che tutte le
leggi fisiche classiche sono invarianti sotto l’azione attiva delle trasformazioni di tale gruppo.
Questo è un altro modo di affermare l’equivalenza fisica di tutti i sistemi di riferimento inerziali,
interpretando in senso passivo le trasformazioni del gruppo. Ci si aspetta che il gruppo di
Galileo (proprio), pensandolo d’ora in poi come gruppo di trasformazioni attive, sia un gruppo
469
di simmetria per ogni sistema fisico quantistico, almeno nei regimi di basse velocità rispetto alla
velocità della luce (quando gli effetti relativistici sono trascurabili).
Le rappresentazioni unitarie proiettive di SG che rappresentano l’azione di SG pensato come
gruppo di simmetria su un sistema fisico, sono ben note (vedi per esempio la discussione in
[CCP82]). Per discuterle, cominciamo a considerare un sistema fisico dato da una particella di
spin s (vedi la sezione precedente) e massa m > 0, non soggetta a forze. Fissiamo un sistema
di riferimento inerziale I dotato di una terna di assi cartesiani solidali ortonormali destrorsi, in
modo tale da poter identificare lo spazio di quiete del riferimento con R3 . Lo spazio di Hilbert
H del sistema è allora dato dal prodotto tensoriale L2 (R3 , dx) ⊗ C2s+1 . Gli stati puri del sistema
sono individuati da funzioni d’onda con spin:
X
|s3 |≤s
ψs3 ⊗ |s, s3 i
Tale prodotto tensoriale è isomorfo a L2 (R3 , dk) ⊗ C2s+1 , dove le funzioni d’onda ψe in L2 (R3 , dk)
sono nella rappresentazione impulso, connesse a quelle, ψ, nella rappresentazione posizione
tramite l’operatore unitario dato dalla trasformata di Fourier-Plancherel discussa nel capitolo 3:
b : L2 (R3 , dx) → L2 (R3 , dk) ,
F
b
in modo tale che: ψe = Fψ.
In particolare (vedi la proposizione 5.6), l’osservabile impulso, Pj ,
2
3
b F
b che risulta essere l’operatore moltiplicativo
Üj = FP
è individuata in L (R , dk) dall’operatore P
2
per la coordinata ~kj agendo sugli elementi di L (R3 , dk). D’ora in poi porremo ~ = 1 per
semplicità . Assumiamo per il momento s = 0. In questa rappresentazione di H, l’azione di
ciascun elemento del gruppo di simmetria SG separatamente, è quella indotta dagli operatori
]
(m)
unitari Z
(c,c,v,U ) :

‹
€
Š
c
(k−mv)2
]
e (k) := ei(cv−c)·(k−mv) ei 2m
(m)
ψ R(U )−1 (k − mv)
Z
ψ
(c,c,v,U )
(11.109)
]
(m)
Nel caso in cui s 6= 0, le trasformazioni unitarie Z
(c,c,v,U ) vanno sostituite con
(s)
]
(m)
Z
(U ) ,
(c,c,v,U ) ⊗ V
(11.110)
dove la rappresentazione V (s) è stata introdotta in (11.95).
Tornando in rappresentazione posizione, cioé pensando gli stati puri della particella senza spin
]
(m) corcome individuati da elementi di L2 (R3 , dx) normalizzati a 1, gli operatori unitari Z
g
(m)
rispondono, tramite la solita trasformata di Fourier-Plancherel, ad operatori unitari Zg :=
]
b −1 Z
b Nel seguito useremo indifferentemente le due rappresentazioni, anche se daremo
(m) F.
F
g
(m)
solo nel prossimo capitolo l’espressione esplicita dell’azione degli operatori Zg
zione posizione.
470
in rappresenta-
Osservazioni.
(1) Se consideriamo l’azione di (c, c, v, U )−1 invece che di (c, c, v, U ), essa ha una forma leggermente più illuminante:

‹
c
2
]
e
(m)
(11.111)
Z (c,c,v,U )−1 ψ (k) := eic·(R(U )k+mv) e−i 2m (R(U )k+mv) ψe (R(U )k + mv)
Per dare un significato fisico all’identità scritta sopra, decomponiamo (c, c, v, U )−1 come:
(c, c, v, U )−1 = (0, 0, 0, U )−1 · (0, 0, v, I)−1 · (0, c, 0, I)−1 · (c, 0, 0, I)−1 ,
analizziamo quindi l’azione di ciascuna di queste trasformazioni. Cominciamo dalla prima:

‹
c
2
]
e
(m)
Z (c,0,0,I)−1 ψ (k) = e−i 2m k ψe (k) .
ic
2
Come vedremo nel prossimo capitolo, la moltiplicazione per la fase e−i 2m k eseguita sopra,
corrisponde all’inversa di una traslazione temporale dell’intervallo di tempo c. Procedendo oltre
abbiamo:

‹
c
2
]
(m)
(k) = eic·k e−i 2m k ψe (k) .
ψ
Z
−1
−1
(0,c,0,I) ·(c,0,0,I)
La moltiplicazione per la fase eic·k eseguita sopra, corrisponde (sotto trasformazione di FourierPlancherel) una traslazione attiva della funzione d’onda di un vettore −c. Procedendo oltre
troviamo:

‹
c
(k+mv)2 e
]
e (k) = eic·(k+mv) e−i 2m
(m)
ψ (k + mv) .
ψ
Z
−1
−1
−1
(0,0,v,I) ·(0,c,0,I) ·(c,0,0,I)
Si osservi che k → k + mv è proprio la trasformazione dell’impulso, interpretando k come un
vettore d’impulso, sotto una trasformazione di Galileo che altera la velocità del sistema di riferimento, senza traslazioni, rotazioni e traslazioni temporali. Quindi la trasformazione descritta
corrisponde ad una trasformazione attiva della funzione d’onda secondo una trasformazione pura
di Galileo associata a −v. Infine, facendo agire anche la rotazione R(U ), cioè eseguendo una
trasformazione attiva della funzione d’onda secondo la rotazione R(U )−1 , abbiamo che:

‹
]
e (k) =
(m)
Z
ψ
−1
−1
−1
−1
(0,0,0,U ) ·(0,0,v,I) ·(0,c,0,I) ·(c,0,0,I)
c
2
eic·(R(U )k+mv) e−i 2m (R(U )k+mv) ψe (R(U )k + mv) .
Concludiamo che il secondo membro di (11.111) corrisponde all’azione combinata (secondo la
legge di moltiplicazione del gruppo di Galileo) di tali sottogruppi di trasformazioni in modo
da associate all’elemento generico (c, c, v, R(U )) del gruppo di Galileo. Tenendo conto della
(11.102), la discussione giustifica anche la (11.109).
]
(m) (ovvero gli operatori Z (m) lavorando in rappresentazione posizione)
(2) Gli operatori Z
g
g
g di SG piuttosto che al gruppo stesso. Abbiamo
sono associati al rivestimento universale SG
471
fatto questa scelta, per poter applicare la teoria sviluppata nelle sezioni precedenti. Sappiamo
infatti che le rappresentazioni proiettive di un gruppo si possono ottenere comunque rappresentazioni proiettive del suo rivestimento universale. Questo è particolarmente comodo a causa
della presenza del sottogruppo SO(3) del gruppo di Galileo. Infatti, come abbiamo visto nella
sezione precedente se lo spin s è semi intero, le rappresentazioni unitarie proiettive di SO(3) che
hanno interesse fisico sono rappresentazioni unitarie di SU (2).
(m)
g ∋ g 7→ Zg
Il calcolo diretto mostra che, con la definizione (11.109), la rappresentazione SG
]
g ∋ g 7→ Z
(m) lavorando in rappresentazione impulso) è unitaria
(ovvero, equivalentemente, SG
g
proiettiva, dato che appare una funzione dei moltiplicatori, che si ottiene con un tedioso calcolo:
1 ′ 2
−c′ (R(U ′ )v)·v′ +(R(U ′ )v)·c′
ω (m) (g′ , g) = eim(− 2 c v
),
g = (c, c, v, U ), g′ = (c′ , c′ , v′ , U ′ ) . (11.112)
Il risultato permane (ovviamente) anche nel caso in cui lo spin s sia differente da 0, e gli operatori
]
(m)
unitari Zg sono generalizzati dagli operatori unitari in (11.110), dato che la rappresentazione
U 7→ V (s) (U ) nello spazio di spin C2s+1 è unitaria e quindi non contribuisce alla funzione dei
moltiplicatori.
]
g ∋ g 7→ Z
(m) (ovvero,
Si dimostra facilmente che la rappresentazione unitaria proiettiva SG
g
(m)
g ∋ g 7→ Z
in
rappresentazione
posizione)
è
fortemente
continua.
A tal
equivalentemente, SG
g
(m)
(m)
fine, dato che gli operatori sono unitari, che ω
definita sopra è continua e vale ω (e, e) = 1,
]
e
e
(m)
è sufficiente provare che Z
ψ → ψ per ogni ψ ∈ H, se g → e. Questo segue facilmente dalla
g
]
(m) .
forma esplicita degli operatori Z
g
g ∋ g 7→ Z (m) si possa o
Non è affatto evidente se la rappresentazione unitaria proiettiva SG
g
meno ricondurre ad una rappresentazione unitaria tramite una trasformazione di equivalenza,
cioè moltiplicando gli operatori Z (m) g per opportune fasi χ(g). Il calcolo diretto dell’algebra
di Lie del gruppo di Galileo dimostra che le ipotesi del teorema 11.9 di Bargmann non sono
soddisfatte. Comunque, questo fatto non porta a concludere automaticamente che la rappreg trovata non si possa ricondurre ad una rappresentazione
sentazione unitaria proiettiva di SG
unitaria, dato che le ipotesi del teorema di Bargmann sono sufficienti ma non necessarie a tal
fine. Dimostreremo ora direttamente che le rappresentazioni trovate sono intrinsecamente unitarie proiettive: non è possibile ricondurle ad una rappresentazione unitaria con una modifica
nella scelta delle fasi.
Per maggiore generalità , considereremo tutte le possibili rappresentazioni unitarie proiettive
g ∋ g 7→ Zg(m) , su ogni possibile spazio di Hilbert, con moltiplicatori dati dalla (11.112), inSG
(m)
dipendentemente dal fatto che gli operatori unitari Zg abbiamo la forma (11.109) o (11.110)
sullo spazio di Hilbert L2 (R3 , dk) ⊗ C2s+1 .
(m)
g ∋ g 7→ Zg
Proposizione 11.15. In riferimento alle rappresentazioni unitarie proiettive SG
con moltiplicatori dati dalla (11.112), vale quanto segue.
(m)
(a) Per m fissato, non è possibile ridefinire le fasi degli operatori Zg
in modo da ottenere
472
g (il risultato vale indipendentemente dalla richiesta che le
una rappresentazione unitaria di SG
rappresentazioni considerate siano fortemente continue o meno).
(b) Due rappresentazioni con m differenti non possono mai stare nella stessa classe.
Prova. Dimostriamo (a) e (b) insieme. Se due rappresentazioni, con m1 > m2 , appartenessero
alla stessa classe allora esisterebbe una funzione χ = χ(g) per cui:
€
Š−1
χ(g′ · g)
=
ω (m1 ) (g′ , g) ω (m2 ) (g′ , g)
χ(g′ )χ(g)
g.
per ogni g, g′ ∈ SG
(11.113)
Data la forma scritta sopra per i moltiplicatori, se m := m1 − m2 > 0, questa identità equivale
a:
χ(g′ · g)
g.
per ogni g, g′ ∈ SG
(11.114)
ω (m) (g′ , g) =
χ(g′ )χ(g)
Dimostriamo che, per ogni fissato m > 0 non c’è alcuna funzione χ che soddisfa (11.114) e questo
prova entrambi gli asserti nella tesi.
Se esistesse una tale funzione, definendo:
Vg := χ(g)Zg(m) ,
g ∋ g 7→ V sarebbero tutti pari a 1 e tale
i moltiplicatori della nuova rappresentazione SG
g
g che hanno la
rappresentazione sarebbe unitaria. Consideriamo allora tutti gli elementi di SG
forma f := (0, 0, v, I) e g := (0, c, 0, I). Per computo diretto da (11.101), abbiamo che tali
elementi commutano e pertanto vale:
f −1 · g−1 · f · g = e .
Se eseguiamo il corrispondente calcolo per la rappresentazione Z (m) , tenendo conto della forma
(11.112) dei moltiplicatori, troviamo invece:
(m)
(m)
(m)
Zf −1 Zg−1 Zf
Zg(m) = eimc·v Ze(m) .
Nelle nostre ipotesi, questa identità si riscrive:
€
Š−1
χ(f −1 )χ(g−1 )χ(f )χ(g)
Vf −1 Vg−1 Vf Vg = eimc·v χ(e)−1 I ,
cioè , tenendo conto che i moltiplicatori di V sono banali perchè tale rappresentazione è unitaria,
che f · g = g · f e permutando l’ordine dei coefficienti χh :
€
Š−1
€
Š−1
χ(f −1 )χ(f )χ(g−1 )χ(g)
Vf −1 ·f ·g−1 ·g = χ(f −1 )χ(f )χ(g−1 )χ(g)
Ve = eimc·v χ(e)−1 I .
Abbiamo trovato che:
χ(f −1 · f ) χ(g−1 · g)
= χ(e)eimc·v .
χ(f −1 )χ(f ) χ(g−1 )χ(g)
473
Tenendo conto di (11.114), l’identà trovata si riscrive:
ω(f, f −1 )ω(g, g−1 ) = χ(e)eimc·v .
Il calcolo esplicito del primo membro, usando (11.112), porta subito all’identità :
1 = χ(e)eimc·v
che deve valere per ogni valore di c, v ∈ R3 e quindi deve essere m = 0 e χ(e) = 1. Ma la
possibilità m = 0 è stata esclusa all’inizio. Abbiamo trovato una contraddizione e pertanto la
funzione χ non esiste. 2
In virtù della proposizione appena provata, e dato che la grandezza m che etichetta le classi
di rappresentazioni unitarie proiettive ha un preciso significato fisico, possiamo pensare che
il gruppo di simmetria di un sistema fisico quantistico non relativistico di massa m non sia
d
g individuata dalla funzione dei
il gruppo di Galileo, ma sia proprio l’estensione centrale SG
m
moltiplicatori relativa al valore m della massa. Ricordiamo infatti che, dalla teoria generale,
g ∋ g 7→ Zg(m) si può riottiene con i seguenti passaggi: (a) costruendo
la rappresentazione SG
d
g tramite U (1) individuata dalla funzione dei moltiplicatori definita
l’estensione centrale SG
m
d
g la struttura differenziabile analitica di
in (11.112) (e si osservi che possiamo assegnate a SG
m
g × SG
g ), (b) restringendo a SG
g la
varietà prodotto dato che la funzione ω (m) è analitica su SG
rappresentazione unitaria fortemente continua:
d
g ∋ (χ, g) 7→ χZ (m) .
SG
m
g
g sono rimpiazzate
In questo modo, le rappresentazioni intrinsecamente unitarie proiettive di SG
d
g . Il prezzo che si paga è che è necessario cambiare gruppo
da rappresentazioni unitarie di SG
m
di simmetria quando si cambia il valore della massa. Consideriamo la rappresentazione unitaria
fortemente continua:
d
g ∋ (χ, g) 7→ χZ (m) .
SG
m
g
e
Se ci restringiamo a lavorare sullo spazio D ⊂ L2 (R3 , dk) delle funzioni ψe = ψ(k)
complesse,
infinitesimale differenziabili, a supporto compatto, si verifica facilmente, tenendo conto della
(11.109), che ogni funzione:
d
]
g ∋ (χ, g) 7→ χZ
e
(m) ψ
SG
m
g
è infinitamente differenziabile se ψe ∈ D. Pertanto D è un sottoinsieme dello spazio di Gårding di
d
g m . Con un piccolo abuso di notazione, indicheremo ancora con D il corrispondente spazio in
SG
L2 (R3 , dx) tramite la trasformata inversa di Fourier-Plancherel. Se consideriamo i sottogruppi
ad un parametro della rappresentazione unitaria
d
g ∋ (χ, g) 7→ χZ (m) .
SG
m
g
474
d
g :
associati agli undici generatori dell’algebra di Lie di SG
m
1 ⊕ 0, 0 ⊕ h, 0 ⊕ pi , 0 ⊕ ji , 0 ⊕ ki
dove i = 1, 2, 3
e valutiamo i generatori autoaggiunti associati restringendoci a lavorare su D, troviamo facilmente che essi sono, nello stesso ordine (notare il segno − davanti ad H):
I, −H↾D, Pi ↾D, Li ↾D, Ki ↾D
dove i = 1, 2, 3.
Pk ed Lk sono gli operatori autoaggiunti rappresentati l’impulso ed il momento angolare orbitale
b detto
b −1 H
Ü F,
lungo l’asse k-esimo, che conosciamo già . Gli operatori autoaggiunti H := F
operatore hamiltoniano, e Ki detto boost lungo l’asse i-esimo, sono definiti, rispettivamente,
da:
Z
§
ª
k2 e
2
3
2
e
e
e
Ü
Ü
ψ(k) dove D(H) := ψ ∈ L (R , dk) (H ψ)(k) :=
(11.115)
|k|4 |ψ(k)|
dk < +∞
2m
R3
e:
Kj := −mXj .
(11.116)
Dato che D è un core per ognuno di questi operatori, i generatori autoaggiunti delle rappresend
g associati a:
tazioni dei sottogruppi ad un parametro di SG
m
1 ⊕ 0, 0 ⊕ h, 0 ⊕ pi , 0 ⊕ ji , 0 ⊕ ki
dove i = 1, 2, 3
(11.117)
devono coincidere con i corrispondenti operatori autoaggiunti:
I, −H, Pi , Li , Ki
dove i = 1, 2, 3.
Si osservi che ognuno di questi operatori, come osservabile, ha un significato fisico preciso. Il
significato dell’osservabile associata ad H lo discuteremo nel prossimo capitolo. Se passiamo
a considerare le relazioni di commutazione, per esempio restringendoci a D, riscopriamo che
stiamo lavorando con un estensione centrale del gruppo di Galileo, dato che l’ultima relazione
di commutazione è differente dalla corrispondente per SG , a causa di una carica centrale che
coincide con la massa:
[−iPi , −iPj ] = 0 ,
[−iPi , iH] = 0 ,
[−iLi , −iPj ] =
[−iLi , −iKj ] =
3
X
k=1
3
X
[−iLi , iH] = 0 ,
ǫijk (−iPk ) ,
k=1
ǫijk (−iKk ) ,
[−iLi , −iPj ] =
[−iKi , iH] = −iPi ,
[−iKi , −iKj ] = 0 ,
3
X
ǫijk (−iLk ) ,
k=1
[−iKi , −iPj ] = −imδij I .
Osservazioni.
(1) Si osservi che in virtù del fatto che Kj = −mXj , risulta che la rappresentazione unitaria
475
]
(m) include degli operatori che soddisfano le realzioni di Weyl su L2 (R3 , dk). In
(χ, g) 7→ χZ
g
virtù di (b) nella proposizione 10.4, lo spazio L2 (R3 , dk) risulta essere irriducibile rispetto all’ind
]
g ∋ (χ, g) 7→ χZ
(m) .
sieme di tali operatori e quindi rispetto a tutta la rappresentazione: SG
m
g
In questo senso la particella quantistica non relativistica a spin nullo è un oggetto elementare
rispetto al gruppo di Galileo.
(2) Se consideriamo anche la parte di spazio di Hilbert dovuta allo spin, l’unica differenza, rid
g sugli stati del sistema di dobbiamo
spetto a quanto scritto sopra, è che, per avere l’azione SG
m
rimpiazzare Lk con Jk = Lk +Sk in tutte le formule. In altre parole, la rappresentazione unitaria
è ora:
d
]
g ∋ (χ, g) 7→ χZ
(m) ⊗ V s (U ) ,
SG
m
g
dove g = (c, c, v, U ). L’irriducibilità vista per il caso s = 0 si estende in questo caso alla rappresentazione suddetta per la particella con spin s, considerando lo spazio completo
L2 (R3 , dk) ⊗ C2s+1 .
Consideriamo ora sistemi più complessi di quelli di una particella libera. Rimandando al prossimo capitolo per la questione generale, ci limitiamo a dire qui che, quando si studia un sistema
costituito da N particelle con masse m1 , . . . , mN che possono interagire tra di esse, ma costituiscono un sistema complessivo isolato esternamente, lo spazio di Hilbert della teoria si decompone
nel prodotto L2 (R3 , dx) ⊗ Hint ⊗ C2s1 +1 ⊗ · · · ⊗ C2sN +1 . In tale decomposizione Hint è uno spazio
di Hilbert relativo ai gradi di libertà orbitali interni del sistema (le coordinate relative tra le
particelle, per esempio in termini di coordinate di Jacobi [CCP82]). Lo spazio L2 (R3 , dk) è lo
spazio di Hilbert del centro di massa del sistema. Il centro di massa si descrive come un’unica
P
particella di massa M := N
n=1 mn ed individuato da osservabili posizione (del centro di massa)
Xk ed impulso (totale del sistema) Pk , con k = 1, 2, 3, della forma solita su L2 (R3 , dx). Infine,
ogni fattore C2sn +1 corrisponde allo spazio di spin della particella n-esima. Lo spazio L2 (R3 , dx),
passando in trasformata di Fourier, può essere equivalentemente sostituito con L2 (R2 , dk), cosa
che supporremo d’ora in poi.
In questo contesto – esattamente come accade in meccanica classica – l’azione del gruppo di
simmetria SG è la seguente:
(M )
Sopra:
(int)
(int)
g ∋ (c, c, v, U ) 7→ Z
SG
⊗ V (2S1 +1) (U ) ⊗ · · · ⊗ V (2SN +1) (U ) .
(c,c,v,U ) ⊗ VR(U ) Wc
(int)
SO(3) ∋ R 7→ VR
e R ∋ c 7→ Wc(int)
sono due rappresentazioni – entrambe unitarie e fortemente continue – rispettivamente del sottogruppo di SG delle rotazioni (quindi di elementi (0, 0, 0, R)), e del sottogruppo di SG delle
(int)
(int)
(int) (int)
traslazioni temporali (quindi di elementi (c, 0, 0, I)). Vale inoltre VR Wc
= W c VR
per ogni scelta di R ∈ SO(3) e c ∈ R. Queste due rappresentazioni dipendono, rispettivamente,
da come vengono definite le coordinate orbitali e dal tipo di interazioni interne tra le particel(M )
le. La trasformazione Z(c,c,v,U ) agisce solo sui gradi di libertà del centro di massa. Tenendo
476
conto che tutte le rappresentazioni coinvolte sono unitarie eccetto la Z (M ) , si ah subito che
la funzioni dei moltiplicatori, ω (M ) , della rappresentazione unitaria proiettiva complessiva su
L2 (R3 , dk) ⊗ Hint ⊗ C2s1 +1 ⊗ · · · ⊗ C2sN +1 è la stessa di prima, usando come parametro m la
massa totale M del sistema. Concludiamo che la proposizione precedente si estende anche a
questo caso molto più generale di sistema quantistico.
Mettiamoci infine in un contesto ancora più generale, considerando un sistema fisico S, ottenuto
mettendo insieme sistemi fisici del tipo di quelli appena descritti in quantità arbitraria finita,
ma non fissata. Il sistema complessivo può ammettere valori di massa differenti mi , con i ∈ I
insieme che assumeremo essere al più numerabile. In questo contesto viene naturale associare alla
massa un’osservabile quantistica, cioé un operatore autoaggiunto M , il cui spettro sia l’insieme
dei valori della massa. Sembra anche naturale definire uno spazio di Hilbert HS , per il sistema,
che sia la somma diretta hilbertiana dei vari autospazi dell’operatore massa,
M
HS =
(m)
HS
,
m∈σ(M )
in ciascuno dei quali la massa del sistema ha un differente valore m > 0. Una tale descrizione
sussiste effettivamente considerando sistemi fisici a numero non fissato di particelle.
(m)
Cosa succede se agiamo sul sistema con il gruppo di Galileo proprio? In ogni sottospazio HS
agirà una differente rappresentazione unitaria proiettiva dipendente da m. La rappresentazione
del gruppo di Galileo proprio sarà dunque del tipo:
SG ∋ g 7→ Zg :=
M
χ(m) (g)Zg(m) .
(11.118)
m∈σ(M )
Mostriamo che questa struttura della rappresentazione conduce ad una regola di superselezione.
Dato che la rappresentazione deve essere unitaria proiettiva, il calcolo del moltiplicatore:
Ω(g, g′ ) := Z(gg′ )−1 Z(g)Z(g′ )
con la formula (11.118) produce, dove gli ω (m) tengono conto delle eventuali nuove fasi χ(m) :
Ω(g, g′ )I =
M
ω (m) (g, g′ )I .
m∈σ(M )
Questa identità implica che debba necessariamente essere:
ω (m1 ) (g, g′ ) = ω (m2 ) (g, g′ ) = Ω(g, g′ )
per ogni m1 , m2 ∈ σ(M ) .
Ma questo è impossibile perché , esplicitando le eventuali fasi χ(m) , questa identità implica la
(11.113), che sappiamo essere falsa.
Il risultato finale è che, se vogliamo che il gruppo di Galileo sia un gruppo di simmetria per il
nostro sistema fisico, siamo costretti a vietare stati puri che corrispondono a combinazioni lineari
(m)
di vettori in spazi HS con valori di m differenti. Abbiamo trovato una regola di superselezione
477
legata alla massa, che è nota come regola di superselezione di Bargmann della massa. I
(m)
settori coerenti di questa regola di superselezione sono gli spazi a massa fissata HS . Si osservi
che la radice profonda di questo risultato risiede nel fatto che le rappresentazioni proiettive fisicamente interessanti del gruppo di Galileo non sono inducibili da rappresentazioni unitarie e la
massa appare nella funzione dei moltiplicatori.
Nel caso, fisicamente più appropriato, in cui il gruppo di Galileo proprio venga rimpiazzato da
quello di Poincaré (ortocrono proprio), la regola di superselezione cessa di valere, perché le rappresentazioni proiettive del gruppo di Poincaré si possono sempre indurre da rappresentazioni
unitarie [BaRa86], e sono ammessi stati con massa (relativistica) non definita.
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