La mediazione culturale in Italia

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La mediazione culturale in Italia
Sindacato Emigrati Immigrati Unione Generale del Lavoro
La mediazione culturale in Italia
In una società complessa, è il caso del nostro Paese, il principio della
mediazione assume una propria intrinseca centralità. È un concetto che vale in
assoluto, ma che diventa fondamentale quando si tratta di affrontare il grande tema
della immigrazione con cognizione di causa e, soprattutto, con buone aspettative di
riuscire a cogliere gli obiettivi prefissati. In questo modo, si ottimizzerebbe l’impiego
delle risorse sul territorio che nel 2004 sono state complessivamente oltre 127 milioni
come si può desumere dalla tavola 1.
Tavola 1
Macroregione
Valori pro capite
Valori assoluti
Percentuale
Nord ovest
42,3 €
33.444.593
26,3 %
Nord est
60,4 €
36.191.706
28,4 %
Centro
81,7 €
43.307.387
34 %
Sud
36,7 €
7.154.000
5,6 %
Isole
87,9 €
7.158.540
5,6 %
Italia
57,9 €
127.256.226
100%
(Elaborazione S.E.I. Ugl su fonte Istat)
A livello pro capite, la spesa media più alta è in Sardegna (133 euro), seguita
da Lazio (117,9 euro), Basilicata (90,6 euro), Emilia Romagna (78,6 euro) e Sicilia
(77,5 euro); la classifica è chiusa dalla Calabria (19,2 euro) che è preceduta dalla
Campania (24,2 euro) e dalla Lombardia (32,8 euro).
Siamo davanti ad una sfida che investe la nostra stessa struttura sociale, in
quanto coinvolge una vasta platea di persone che devono conoscere e rispettare gli
usi, i costumi e le tradizioni diversi da quelli del Paese di provenienza.
In un quadro nel quale, ad esempio, vi è circa un milione di musulmani; dove i
minori sono in costante aumento, sia per effetto dei ricongiungimenti familiari che per
la più alta fecondità delle donne straniere rispetto alle italiane; in cui oltre mezzo
milione di cittadini africani risiede stabilmente, in questo quadro, si diceva, la
mediazione diventa una chiave di volta necessaria.
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È così che la figura del mediatore interculturale, nelle sue diverse espressioni
ed implicazioni, si è andata affermando nel panorama delle professioni praticate in
Italia. Come accade spesso, prima ancora del riconoscimento formale (nella
classificazione Istat 2001 la figura del mediatore culturale non è, infatti, prevista fra le
qualifiche professionali), è la legge della domanda e della offerta a definire i confini di
una nuova occupazione che trova la propria ragione d’essere nella capacità, tutta
personale, di saper coniugare la conoscenza tecnica dei contenuti con la peculiarità
dei
rapporti
con
l’altro.
Mediare
fra
il
cittadino
straniero
e
la
pubblica
amministrazione, riuscendo ad assistere la parte più debole, diventa quindi la vera
mission di una professionalità in oggettiva e costante ascesa.
Stime desunte dal Rapporto Caritas/Migrantes indicano in meno di 2.500 i
mediatori culturali e linguistici attivi sul territorio: in altre parole, un operatore ogni
1.250 cittadini stranieri.
Un numero che, se confermato, dimostra quali e quanti spazi si possano aprire
a questa professione purché si arrivi alla definizione di un puntuale percorso
formativo. Ad oggi, infatti, l’acquisizione di competenze in materia è lasciata troppo
spesso alla iniziativa estemporanea di soggetti privati. Pur apprezzabile, poiché
supplisce a carenze legislative, essa si esplica in maniera profondamente differente da
regione a regione, con il risultato che non si ha una formazione professionale
omogenea ed uniforme.
Come contributo alla comprensione del fenomeno, abbiamo monitorato, con
l’assistenza delle nostre strutture locali, l’attuale situazione in sei regioni, equamente
distinte fra nord (Liguria e Veneto), centro (Umbria e Lazio) e sud (Campania e
Calabria), focalizzando l’attenzione sulla disponibilità formativa e sulla facilità per gli
operatori e per i cittadini interessati di accedere ai servizi disponibili. L’analisi delle
diverse realtà regionali è stata fatta in sinergia con le strutture del Sei Ugl di Genova,
Verona, Perugia, Roma, Napoli e Reggio Calabria.
Liguria
Fin dal 1998, la regione Liguria ha finanziato, sia con fondi nazionali che con
risorse regionali, dei progetti volti a favorire l’integrazione dei cittadini stranieri, anche
attraverso il contributo attivo di soggetti professionalmente destinati alla mediazione
culturale e linguistica. In molti progetti è stato attivamente coinvolto il terzo settore,
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alla luce soprattutto della legge quadro sulla assistenza, la 328 del 2000. Con il 2003,
peraltro, i finanziamenti degli interventi in materia di accoglienza e di gestione delle
politiche migratorie nella regione sono inseriti in un fondo sociale indistinto che
alimenta i Piani di zona elaborati da uno o più comuni in sinergia.
La regione Liguria, nella programmazione degli interventi, tiene conto della
peculiarità della immigrazione ivi presente che, a differenza di altre aree del Paese, si
caratterizza per una maggiore fluidità e per una minore propensione allo
stanziamento stabile. Zona di confine, la Liguria conosce, infatti, una immigrazione di
passaggio, con le problematiche che essa comporta rispetto ad una forma più
stanziale. A dover fare i conti con questi costanti flussi in entrata e in uscita sono
soprattutto Ventimiglia ed Imperia, località verso le quali le amministrazioni regionali
hanno indirizzato risorse specifiche.
Nella programmazione degli interventi formativi è emersa una particolare
attenzione nella valorizzazione della figura del mediatore culturale e, dalla parte del
cittadino straniero, della promozione del processo di alfabetizzazione. Altro
argomento al quale sono state dedicate significative risorse è quello connesso alla
inclusione dei minori.
Oltre dieci i progetti finanziati dalla regione Liguria in materia di mediazione
culturale. Fra questi ricordiamo, in particolare, “Multicolore” di Sanremo, la
“Mediazione culturale e le istituzioni” di Imperia, “Multiculturalità e formazione” di
Genova, la “Mediazione culturale” di La Spezia.
L’accesso alle informazioni attraverso la consultazione dei siti istituzionali e
delle altre fonti appare agevole, anche se potrebbe essere implementata la parte
relativa ai progetti in corso.
Veneto
Nella programmazione triennale 2004-2006 degli interventi nel sociale e
formativi, la regione Veneto ha focalizzato la propria attenzione sulla figura del
mediatore culturale il cui ruolo è decisivo nel processo di integrazione dei cittadino
immigrato.
Un concetto che è stato recentemente ribadito in occasione della sigla delle
prime convenzioni fra l’amministrazione regionale, le 21 Conferenze dei sindaci del
Veneto e Italia Lavoro spa, accordi sulla base dei quali verranno impiegate le somme
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relative all’ultima annualità del piano triennale 2004-2006. Il target individuato per
quest’anno si focalizza sul funzione della scuola nel percorso di inserimento di
persone straniere nel tessuto sociale della regione. In particolare, saranno favoriti
progetti formativi rivolti alle donne e ai minori che rappresentano rispettivamente il
46% e il 24% degli stranieri presenti in Veneto. In un contesto in cui la presenza
nelle scuole è passata in soli sei anni da circa 10mila ad oltre 50mila bambini e
ragazzi stranieri, il ruolo e la funzione del mediatore culturale è evidentemente
fondamentale.
Nel senso della valorizzazione complessiva della esperienza della mediazione si
muove, quindi, il piano triennale messo in campo dalla regione Veneto. Nella parte
dedicata alla formazione, si pone come obiettivo di legislatura quello di sostenere
l’integrazione sociale e lavorativa dei cittadini stranieri attraverso la formulazione di
una ampia gamma di attività formativa di base, incentrata sulla formazione continua,
sulla strutturazione del sistema della mediazione culturale e sull’aggiornamento degli
operatori pubblici e del privato.
Fra gli obiettivi, a dimostrazione di una particolare sensibilità verso la materia,
il riconoscimento della qualifica professionale di mediatore culturale, attraverso una
apposita legge regionale di disciplina di una figura già ampiamente utilizzata in diversi
settori, dalla giustizia alla sicurezza, dalla scuola alla sanità. La definizione del
curriculum formativo, con l’individuazione di uno standard uniforme nei percorsi di
preparazione, è individuata come una priorità da perseguire con forza con l’obiettivo
di superare la discontinuità e la precarietà di una professione molto ricercata.
L’analisi dei Piani di zona ha evidenziato nel 2006 una situazione sicuramente
degna di rilievo, considerando che in 13 aziende sanitarie è attivo un mediatore
culturale e sanitario, cioè a dire nel 76,4% dei soggetti che hanno risposto alle
sollecitazioni della amministrazione regionale.
Fra le iniziative messe in campo della aziende sanitarie, si segnala quella
dell’Alta Padovano che ha previsto un corso di formazione per mediatori culturali dalla
durata complessiva di 148 ore di cui 88 di insegnamento e le restanti di tirocinio
osservativi. Quattro i moduli previsti: comunicazione e relazione; area socio-psico
antropologica; diritti e legislazione; identità e strumenti professionali.
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A sostegno del processo di integrazione dei cittadini stranieri nel contesto
socio-economico veneto, la giunta regionale ha, inoltre, provveduto ad insediare un
Comitato tecnico di indirizzo e di pilotaggio della Rete informativa sulla immigrazione.
L’organismo è composto dalla rappresentanze delle province, dei comuni, delle
associazioni di categoria e delle organizzazioni sindacali, dell’Ufficio scolastico
regionale e del mondo dell’associazionismo veneto e degli immigrati; l’obiettivo
prefissato è quello di procedere ad una semplificazione e ad miglioramento di accesso
ai servizi offerti ai cittadini immigrati regolarmente soggiornanti in Veneto, ma anche
agli italiani interessati.
Le informazioni disponibili sui siti istituzionali sono sufficienti per avere un
quadro complessivo della situazione degli immigrati in Veneto. Positiva l’idea di
dedicare uno specifico portale alla questione.
Umbria
L’immigrazione in Umbria, si tratta di circa 60mila stranieri residenti, presenta
una situazione generale spesso diversa rispetto a molte altre regioni italiane, anche
se, negli ultimi anni, è andata aumentando la componente straniera stanziale.
Soprattutto nella provincia di Perugia, che da sola attira oltre l’80% del complesso
degli immigrati nella regione, la richiesta di visti di ingresso per motivi di studio è
particolarmente sostenuta. In un contesto in cui la percentuale dei minori residenti è
superiore di un punto percentuale rispetto alla media nazionale, la figura del
mediatore culturale assume una sempre più marcata centralità.
In tal senso, si muove anche il VII programma di interventi in materia di
politiche immigratorie, nel quale si incoraggia l’impiego di mediatori culturali in una
serie di azioni che vanno dai corsi per l’apprendimento della lingua italiana al
sostegno lavorativo, scolastico ed abitativo. Fra gli aspetti sui quali si sofferma in
maniera specifica il piano di azione vi è quello dell’accesso al credito finanziario e alla
prevenzione e al contrasto dei fenomeni di usura. Un argomento, quest’ultimo,
sicuramente interessante e che apre nuovi scenari per la mediazione culturale
ampiamente intesa. Negli anni passati, complici i bassi tassi di interesse e una
semplificazione delle pratiche anche relativamente alle garanzie di solvibilità, molti
cittadini stranieri hanno acceso un mutuo per l’acquisto della casa. La crisi dei
cosiddetti “subprime”, che si è manifestata in estate negli Stati Uniti, e la costante
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crescita del tasso di sconto praticato dalla Banca centrale europea hanno però portato
ad una stretta consistente, tanto che una indagine di Scenari immobiliari, pubblicata il
27 novembre scorso, segnala come soprattutto i giovani e i cittadini stranieri stiano
incontrando nuove difficoltà nell’acquisto della casa. La tendenza che sembra essere
in atto in Italia in questo momento è quella di sostenere gli acquirenti che hanno una
potenzialità di pagamento superiore ai 200mila euro e che chiedono un mutuo non
superiore al 70% del valore dell’immobili. Una categoria nella quale non rientrano
molti stranieri.
È per questa ragione che una mediazione finanziaria terza rispetto a quella
proposta dalla banca diventa sempre più necessaria per assicurare una tutela al
cittadino straniero che si presenta, nella stragrande maggioranza dei casi, come un
soggetto debole davanti allo sportello bancario.
Le condizioni di lavoro, con particolare riferimento alle donne immigrate,
l’abitazione e l’integrazione scolastica rappresentano le tre criticità sulle quali si centra
il piano regionale triennale 2006-2008, confermando quindi una linea di intervento
consolidata.
I siti istituzionali consultati non sempre permettono una rapida ed efficace
consultazione; diversi link dovrebbe essere aggiornati.
Lazio
La popolazione straniera nel Lazio rappresenta il 7,9% del complesso dei
residenti. Si tratta di circa 420mila immigrati, di cui l’87% in provincia di Roma. Molto
alta la percentuale dei minori, anche se, almeno in questo caso, la capitale con
l’11,4% registra un dato inferiore rispetto alle altre quattro province nella quali si va
da un minimo del 16% a Latina ad un massimo del 19,2% a Frosinone.
Circa 37mila, invece, gli iscritti alle scuola del Lazio, in crescita negli anni,
soprattutto per effetto dei ricongiungimenti familiari nella provincia di Roma.
È sempre nella capitale e a Viterbo che si ha il rapporto più alto fra studenti
stranieri ed italiani, con 5 immigrati ogni cento iscritti. Questa percentuale scende al
3,9% a Rieti, al 2,8% a Latina e al 2,2% a Frosinone. Nel complesso la media della
regione (4,5%) è più alta rispetto a quella nazionale (4,2%).
Il fenomeno immigratorio nel Lazio, per una serie di fattori contingenti, fra i
quali inevitabilmente fa annoverata la capacità attrattiva di Roma, richiede una
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attenta analisi del fabbisogno e, conseguentemente, una serie di interventi
diversificati per fronteggiare le diverse emergenze, compresa quella occupazionale.
Una recente indagine dell’Unione territoriale del lavoro dell’UGL di Roma, ha
confermato la forte incidenza di lavoro sommerso in alcuni settori, in particolare
nell’edilizia. Secondo le stime del sindacato, che sono supportate da un sondaggio sul
campo, almeno 4.500 stranieri sono occupati in nero nella regione. Un fenomeno
complesso che ha fatto parlare di ritorno del “caporalato” e che alimenta la piaga
degli incidenti sul lavoro. Il 78% degli intervistati denuncia una mancata assistenza
sanitaria in caso di infortunio sul lavoro, mentre il 95% lamenta di lavorare senza
dispositivi di protezione individuale. Addirittura il 10% dichiara di essere impiegato in
appalti pubblici, a dimostrazione di come il fenomeno del lavoro nero coinvolga non
solo il settore privato.
A fronte della situazione descritta, la regione Lazio sembra al momento
navigare a vista. Un recente stanziamento di 3 milioni di euro, il 79,1% del quale
destinato alla provincia di Roma, è andato a finanziare percorsi formativi e di
inserimento lavorativo per gli immigrati e le minoranze etniche.
Questa misura è lo specchio della incapacità della regione Lazio di spendere le
risorse disponibili con il risultato che la macchina formativa stenta a mettersi in moto
e a rispondere alle esigenze emergenti, fra le quali anche il riconoscimento del ruolo
del mediatore culturale. Già nel 2005, a tal proposito, è emersa la possibilità di
istituire un albo regionale riservato ai mediatori culturali, con l’obiettivo di valorizzarne
la professionalità.
Un ritardo che si riflette pure nella gestione dei siti istituzionali, nei quali è
particolarmente difficile riuscire a reperire informazioni utili. Molti portali, diversi dei
quali peraltro poco aggiornati e collegati a link inesistenti, rendono complesso il
lavoro per l’utente e per gli stessi operatori sociali. Appare, quindi, necessario avviare
una operazione di restyling e di semplificazione, migliorando in particolare i motori di
ricerca e la gestione delle diverse aree.
Se mancano interventi pubblici, almeno a livello regionale, non sono però
assenti contributi di soggetti privati. Diversi enti di formazione e soggetti sociali, forti
di un oggettivo fabbisogno, organizzato corsi di formazione specifici per mediatori
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culturali. Tali corsi, della durata orientativa di 300 ore fra aula e stage, sono a
pagamento e costano oltre mille euro con il rilascio di un attestato.
Campania
La presenza di immigrati regolari in Campania è inferiore alla media nazionale
(pari al 5,2%) in rapporto alla popolazione residente. Gli stranieri in Campania
rappresentano infatti il 2,4% (poco più di 136mila soggetti) del totale di una
popolazione residente di quasi 5 milioni e 800mila.
A Napoli e nelle altre province campane si concentra, comunque, il 45,6% dei
cittadini stranieri complessivamente residenti nelle regioni del sud, escluse le isole,
con una buona presenza di minori (sono il 10,1% del totale). La stessa Napoli
catalizza la metà degli immigrati in Campania, seguita da Caserta e Salerno, entrambi
abbondantemente sopra le 20mila presenze.
Anche la regione Campania, come il Lazio, sconta una difficoltà nello investire
le risorse disponibili all’interno del Quadro comunitario di sostegno. Il caso della
Campania è, anzi, ancora più preoccupante, se consideriamo che, essendo ricompresa
nell’Obiettivo 1, ha la possibilità di accedere a finanziamenti maggiori.
Stante questo ritardo, che evidentemente penalizza in generale l’intero sistema
regione e, più nello specifico, le politiche sociali, da una analisi dei primi quattro anni
dalla entrata in vigore della legge 328 del 2000 emerge un quadro complessivo nel
quale, in materia di immigrazione, sono stati posti in essere 207 progetti, la metà dei
quali presentati da associazioni ed enti locali; al 2004, però, solo 39 progetti erano
già stati conclusi, mentre ben 47 erano in fase di avviamento. Fra i progetti finanziati,
23 sono di ricerca e di attività documentale.
Nel complesso, si tratta di un finanziamento di 10.651.417 euro nell’arco di
quattro anni; di queste risorse, il 45% è stato destinato alla accoglienza, il 4% alla
emersione del disagio, il 14% alla istruzione e alla intercultura, il 12% alla
comunicazione, l’8% alle ricerche, stessa cifra anche per la salute, il 9% per il lavoro
e la formazione. Fra i progetti realizzati, la creazione di 14 siti internet dedicati ai temi
della immigrazione, 15 iniziative di mediazione culturale, 17 corsi di italiano. 7, infine,
i corsi di formazione per gli operatori a contatto con la popolazione immigrata.
Significativamente, la maggioranza dei progetti finanziati ha un costo ridotto. Il
59,9% delle iniziative approvate ha infatti avuto un finanziamento inferiore a 40mila
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euro, con il 38,1% che è al di sotto dei 20mila euro. Stanziamenti così ridotti rendono
evidentemente complicato il raggiungimento di obiettivi “alti”, considerando che, per
la sola docenza, un intervento formativo per mediatori culturali può costare oltre
20mila euro, ai quali, naturalmente, vanno poi aggiunti i costi per le altre figure
professionali, per gli affitti dei locali e delle strumentazioni necessarie e per il
materiale didattico.
Significativamente, però, con le ultime due annualità approvate sono aumentati
i corsi di mediatore culturale e familiare finanziati nell’ambito del Fondo sociale
europeo. Per il primo si prevede una durata complessiva di 600 ore, mentre per la
seconda figura il percorso formativo è di 220 ore. Sono state autorizzate, nella sola
provincia di Napoli, 25 edizioni del corso di formazione per mediatore culturale; quel
che occorrerà verificare sul campo, è poi la reale capacità di generare nuova
occupazione, in quanto si avrebbe, al termine del percorso formativo, un mediatore
culturale ogni 200 cittadini stranieri, con una media sei volte più bassa rispetto a
quella dell’intero Paese.
Sempre in Campania è attiva per i temi della immigrazione una Consulta
regionale alla quale partecipano circa quaranta membri in rappresentanza del mondo
del lavoro, delle stesse comunità straniere, del volontariato, della Università, della
scuola e delle istituzioni.
Le maggiori criticità che sono state evidenziate interessano il disagio giovanile,
sia all’interno della scuola che nel quotidiano, le discriminazioni sul lavoro, l’accesso ai
servizi sanitari, la situazione carceraria, tutte materie nelle quali l’attività di
mediazione diventa fondamentale.
Per quanto riguarda l’accesso alle informazioni, i siti istituzionali necessitano di
qualche correttivo. La ricerca attraverso il motore è complessa e poco efficace,
mentre quella per area tematica è più immediata anche se argomenti di “confine”,
come quello relativo alla immigrazione, si trovano sotto voci diverse.
Calabria
I cittadini stranieri residenti in Calabria sono circa 43mila, pari al 2,1%
dell’intera popolazione, in linea con la media delle regioni del sud, ma meno della
metà rispetto al dato nazionale. I minori sono poco meno di 6mila, anche se i visti
concessi per motivi di studio sono meno di 150. Reggio Calabria (15mila) e Cosenza
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(9.500) sono le città con maggiore presenza di immigrati, mentre Catanzaro registra
la più alta percentuale di minori (18,2%).
Circa il 50% degli immigrati presenti in Calabria proviene da un Paese europeo;
forte anche la presenza di cittadini originari dell’Africa del nord (24,5%). I settori nei
quali, in valori assoluti, è impiegato il maggior numero di lavoratori stranieri sono il
commercio, la pesca e le costruzioni; in valori percentuali, sono le attività svolte dalle
famiglie, l’alberghiero e la ristorazione, l’edilizia.
La regione Calabria ha in questi anni adottato una linea di gestione in armonia
con l’accordo di programma con il ministero del Lavoro del 2003. In ragione di ciò
sono stati pubblicati due bandi per l’assegnazione di risorse finalizzate a progetti di
integrazione dei cittadini stranieri.
Complessivamente, a far conto dei due bandi sono stati presentati 163 progetti
dei quali ne sono stati finanziati 74 (37 per bando) per un ammontare totale di
1.521.990 euro. Nel secondo bando, al quale hanno partecipato meno soggetti, erano
disponibili circa 90mila euro in più.
Le priorità indicate riguardavano l’inserimento lavorativo, l’accoglienza in
genere, la formazione e, infine, l’attività di mediazione.
Indicazioni di massima che ritroviamo espresse anche nel Piano regionale degli
interventi e dei servizi sociali e negli Indirizzi per la definizione dei Piani di zona per il
triennio 2007-2009. Con specifico riguardo alla mediazione, nel documento si punta,
in generale, alla valorizzazione delle attività connesse alla famiglia, al recupero dei
minori in restrizione, al reinserimento lavorativo. Manca invece un riferimento
esplicito e diretto alle politiche di assistenza ai cittadini immigrati e al ruolo dei
mediatori culturali, linguistici e sanitari.
La consultazione dei siti istituzionali è agevole, soprattutto per quanto attiene
la parte intuitiva. Sicuramente migliorabile, viceversa, la parte relativa ai motori di
ricerca.
Conclusioni
Da un attento confronto fra le diverse realtà regionali emerge chiaramente la
necessità di arrivare ad una definitiva puntualizzazione della qualifica professionale di
mediatore culturale.
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È fondamentale in questo senso approdare a degli standard formativi che siano
univoci su tutto il territorio nazionale e che tengano conto, nella programmazione
degli interventi, delle peculiarità lavorative in cui sarà poi occupato il mediatore.
Ad oggi, emerge, infatti, una forte differenziazione nella durata e nella qualità
dei corsi di formazione erogati. Si va, rispetto al primo aspetto da un minimo di 50
ore per un corso interattivo via internet ad un massimo di 600 ore nel caso della
Campania.
Anche sotto il profilo didattico, pur individuando una comune matrice, l’offerta
resta comunque profondamente diversa da caso a caso. Una tendenza che si
riscontra spesso è quella di dedicare una congrua parte del percorso formativo alle
esperienze sul campo.
Conseguentemente con queste premesse, è quindi necessario avviare una fase
di confronto che coinvolga il ministero del Lavoro, le regioni, le autonomie locali, le
parti sociali e le altre istituzioni interessate, in particolare scuole, aziende sanitarie,
istituti penitenziari, per definire un percorso formativo logico ed univoco sull’intero
territorio nazionale. Questo per evitare che, su una materia evidentemente delicata
come è quella della mediazione, si concretizzi una differente situazione a seconda
delle aree geografiche interessate. Si tratta di eludere il rischio che, in assenza di
indicazioni precise, si possa dar vita ad iniziative estemporanee che non
contribuiscono assolutamente a migliorare l’offerta di personale preparato ad
affrontare problematiche di difficile soluzione.
Un primo obiettivo, pertanto, dovrebbe essere quello di definire un percorso
formativo nel quale, a fronte di una formazione di base comune a tutti, incentrata
principalmente su aspetti comunicativi e di legislazione del lavoro, compresi l’igiene e
la sicurezza, si dovrà legare una formazione di tipo più marcatamente specialistica
relativa alle normative tecniche specifiche di ogni settore. Un percorso che, peraltro, è
stato tratteggiato in diversi documenti, compreso uno studio del Cnel, nel quale si
individua una preparazione in due step. Il primo passaggio prevede tre moduli
dedicati alla comunicazione e alle relazioni interculturali, alla normativa vigente e alla
organizzazione e ai servizi. Nel secondo blocco, invece, sono previsti interventi ad hoc
a seconda dell’ambito di impiego del mediatore culturale, per cui si hanno
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approfondimenti relativi alle aree socio-sanitaria, educativa-scolastica, sicurezza e
giustizia, emergenza e prima accoglienza, lavoro. Fra le materie che dovrebbero
comunque trovare uno spazio adeguato, soprattutto alla luce della crisi dei subprime
e alla stretta che si è registrata pure nel nostro Paese nella erogazione dei mutui
immobiliari e di prestiti alla persona, la normativa economico finanziaria che disciplina
l’accesso al credito per le famiglie e per le attività imprenditoriali.
La durata del corso, secondo il Cnel, dovrebbe essere di 500 ore, di cui un
terzo di stage, per il primo livello, e di 300 ore, la metà come tirocinio, per il livello
specialistico. Il monte ore complessivamente individuato nel documento del Consiglio
nazionale della economia e del lavoro è condivisibile, anche se è opportuno indicare
una durata minima, lasciando poi alle regioni e agli enti erogatori la possibilità di
aumentare le ore di docenza e di tirocinio.
Su queste basi, siamo convinti si possa arrivare velocemente alla firma di un
protocollo di intesa con l’obiettivo di dare una reale copertura ad una figura
professionale emergente.
Accanto a ciò è inoltre fondamentale che, fin dai prossimi rinnovi, vi sia un
definitivo inquadramento del mediatore culturale all’interno dei contratti collettivi
nazionali di lavoro. Ad oggi, infatti, lo stesso termine di mediatore culturale è assente
in pressoché tutti i Ccnl vigenti, con pochissime eccezioni, una delle quali relativa ai
contratti a progetto nelle scuole private con riferimento al mediatore linguistico. Per il
resto, si applica il Contratto collettivo nazionale per i lavoratori parasubordinati a
carattere prevalentemente personale, nel quale, peraltro, la figura del mediatore
culturale, a dimostrazione di un mancato riconoscimento formale, non è citata
espressamente, ma si può desumere dalle mansioni svolte.
È importante, quindi, porre le basi per il riconoscimento della qualifica
professionale anche per uscire da questa situazione che, evidentemente, penalizza
tante persone che lavorano a contatto con la pubblica amministrazione.
Altra questione che andrà affrontata e che potrebbe trovare spazio in una
ipotesi di protocollo di intesa con il governo, le regioni e le autonomie locali attiene
alla progettazione e alla costruzione dei siti istituzionali. Anche in questo caso, è
auspicabile la previsione di uno standard comune, in quanto, al momento, è
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complicato riuscire ad avere informazioni corrette e in tempo reale in materia di
immigrazione. Pure quando tale voce è inserita nel portale dedicato alle politiche
sociali, restano spesso fuori, ad esempio, gli aggiornamenti relativi alle offerte
formative, al lavoro, alla scuola e alla sanità, competenze che normalmente
attengono ad altri assessorati.
Si verifica localmente quanto già accade a livello nazionale, dove, mancando
una cabina di regia, le competenze in materia di immigrazione investono direttamente
numerosi dicasteri, oltre a quello della Solidarietà sociale, dal ministero degli Interni
alla Sanità, dalla Scuola alla Famiglia, passando per l’Economia e il Lavoro.
Come già proposto al tavolo di confronto con il governo, è fondamentale che
nelle regioni si arrivi ad un fattivo coordinamento con una razionalizzazione delle
deleghe in materia di immigrazione.
Luciano Lagamba
Presidente SEI UGL
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Allegato
La legislazione regionale sui Migranti
Abruzzo: Legge regionale 13 dicembre 2004, n. 46, Interventi a sostegno
degli stranieri immigrati (BUR n. 39-bis del 17.12.2004, BUR n. 16 del 23.04.2005).
Abruzzo: Legge regionale 28 marzo 2006, n. 7, Disposizioni per la diffusione
del commercio equo e solidale in Abruzzo (BUR n. 23 del 14.04.2006, BUR n. 23 del
10.06.2006).
Abruzzo: Provvedimento del 27 novembre 2006 n. 1380, Contributo regionale
in favore di persone senza fissa dimora (BUR n. 76 del 27.12.2006).
Basilicata: Legge regionale 13 aprile 1996, n. 21, Interventi a sostegno dei
lavoratori extracomunitari in Basilicata ed istituzione della Commissione regionale
dell’immigrazione (BUR n. 20 del 20 aprile 1996).
Campania: Legge regionale 3 novembre 1994, n. 33, Interventi a sostegno
dei diritti degli immigrati stranieri in Campania provenienti da Paesi extracomunitari
(BUR n. 53 del 04.11.1994).
Emilia Romagna: Legge regionale 24 giugno 2002, n. 12, Interventi regionali
per la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e i Paesi in via di transizione, la
solidarietà internazionale e la promozione di una cultura di pace (BUR n. 45 del
9.11.2002).
Emilia Romagna: Legge regionale 24 marzo 2004, n. 5, Norme per
l’integrazione dei cittadini stranieri immigrati. Modifiche alle leggi regionali 21 febbraio
1990, n. 14 e 12 marzo 2003, n. 2 (BUR n. 27 del 10.07.2004).
Friuli Venezia Giulia: DPR 2 febbraio 2004, N. 027/Pres, Regolamento
concernente criteri per la ripartizione tra le province delle quote di ingresso per motivi
di lavoro di lavoratori stranieri extracomunitari e procedure per il rilascio delle
autorizzazioni al lavoro (BUR n. 31 del 07.08.2004).
Friuli Venezia Giulia: DPR 4 gennaio 2005, n. 02/Pres., Regolamento
concernente modalità di presentazione delle domande di autorizzazione al lavoro per
lavoratori stranieri extracomunitari. Approvazione (BUR n. 2 del 12.01.2005, BUR n.
27 del 09.07.2005).
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Sindacato Emigrati Immigrati Unione Generale del Lavoro
Friuli Venezia Giulia: Legge regionale 4 marzo 2005, n. 5, Norme per
l’accoglienza e l’integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri immigrati
(GUR n. 30 del 23.07.2005).
Lazio: Legge regionale 31 luglio 2003, n. 23, Interventi in favore dei laziali
emigrati all’estero e dei loro familiari (BUR n. 24 del 30.08.2003).
Lazio: Legge regionale 15 febbraio 1992, n. 8, Strutture di prima accoglienza
per immigrati extracomunitari. (BUR n. 7 del 10.03.1992).
Liguria: Legge regionale 20 agosto 1998, n. 28, Interventi per la cooperazione
allo sviluppo, la solidarietà internazionale e la pace (BUR n. 11 del 02.09.1998).
Liguria: Legge regionale 10 giugno 1993, n. 27, Norme in materia di
emigrazione e istituzione della consulta regionale per l’emigrazione (BUR n. 13 del 30
giugno 1993).
Lombardia: Delibera giunta regionale del 15 marzo 2006, n. 8/2103, Linee
guida per le iniziative a favore degli emigrati e delle loro famiglie (BUR Straord. n. 12
del 24.03.2006).
Marche: Legge regionale 24 luglio 2002, n. 11, Sistema integrato per le
politiche di sicurezza e di educazione alla legalità (BUR n. 87 del 01.08.2002).
Marche: Legge regionale 2 marzo 1998, n. 2, Interventi a sostegno dei diritti
degli immigrati (BUR n. 23 del 12 marzo 1998).
Molise: Legge regionale 28 agosto 2005, n. 29, Interventi regionali in materia
di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e i Paesi in via di transizione, solidarietà
internazionale e di promozione di una cultura della pace (BUR n. 24 del 01.09.2005).
Piemonte: Legge regionale 17 agosto 1995, n. 67, Interventi regionali per la
promozione di una cultura ed educazione di pace per la cooperazione e la solidarietà
internazionale (BUR n. 34 del 23.08.1995).
Puglia: Delibera della Giunta regionale n. 2002 del 2006 su “Progetto di prima
accoglienza per lavoratori agricoli stagionali immigrati”. (BUR 07/07).
Puglia: Legge regionale 15 dicembre 2000, n. 26, Conferimento di funzioni e
compiti amministrativi in materia di immigrazione extracomunitaria (BUR n. 149 del
15.12.2000).
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Sindacato Emigrati Immigrati Unione Generale del Lavoro
Sardegna: Legge regionale 11 aprile 1996, n. 19, Norme in materia di
cooperazione con i Paesi in via di sviluppo (BUR n. 13 del 20.04.1996).
Sicilia: Legge regionale 6 giugno 1984, n. 38, Provvedimenti in favore dei
lavoratori emigrati e delle loro famiglie (BUR n. 25 del 09.06.1984).
Toscana: Legge regionale 22 marzo 1990, n. 22, Interventi a sostegno dei
diritti degli immigrati extracomunitari in Toscana (BUR n. 20 del 31.03.1990).
Toscana: Legge regionale 12 gennaio 2000, n. 2, Interventi per i popoli rom e
sinti (BUR n. 25 del 24.6.2000).
Toscana: Delibera giunta regionale 30 gennaio 2007, n. 4, Piano regionale per
gli interventi in favore dei toscani all’estero, periodo 2007-2010 (BUR n. 9 del
28.02.2007).
Provincia autonoma di Trento: Legge provinciale 3 novembre 2000, n. 12,
Interventi a favore dei trentini emigrati all’estero e dei loro discendenti (BUR n. 47 del
14.11.2000).
Provincia autonoma di Trento: Legge provinciale 2 maggio 1990, n. 13,
Interventi nel settore dell’immigrazione straniera extracomunitaria (BUR n. 24 del
15.05.1990).
Umbria: Legge regionale 6 agosto 2004, n. 18, Interventi di assistenza
sanitaria in favore di paesi extracomunitari in gravi difficoltà assistenziali sanitarie
(BUR n. 46 del 20.11.2004).
Umbria: Legge regionale 5 dicembre 1997, n. 40, Interventi a favore degli
immigrati extracomunitari con modificazioni alla legge regionale 10 aprile 1990, n. 18
(BUR n. 62 del 10.12.1997).
Veneto: Legge regionale 23 novembre 2006, n. 25, Costituzione di una
commissione tecnica per lo studio dell’impatto territoriale e sociale dei flussi migratori
nella regione Veneto (BUR n. 103 del 2006).
Veneto: Legge regionale 16 dicembre 1999, n. 55, Interventi regionali per la
promozione dei diritti umani, la cultura di pace, la cooperazione allo sviluppo e la
solidarietà (BUR n. 110 del 21 dicembre 1999).
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