Foresta Nera

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Foresta Nera
Foresta Nera - Alsazia
Foresta Nera - Alsazia
Agosto 2012
Mappa giro
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Primo giorno:
Breve giro di chiamate, un'occhiata al meteo e si decide: andiamo in Germania. Il giro è già
pronto perché fu pianificato per il ponte del primo maggio: allora, causa meteo avverso,
decidemmo di ripiegare sull'Austria (ripiego di lusso, direbbe qualcuno).
Roberta ed io partiamo alla volta di Milano il pomeriggio prima della data di partenza. Ci
sistemiamo comodamente a casa e la sera, dato che in casa non abbiamo nulla da mangiare, ci
compriamo una succulenta pizza al trancio da Giulio . Buona, golosa, ma, purtroppo, si
riproporrà durante la notte: un'arsura!
Con i nostri compagni di viaggio ci incontriamo la mattina seguente per le 8:30. Caffè lungo
(inteso come lunga pausa caffè) perché dobbiamo pianificare con esattezza le tappe che
intenderemo fare. E' vero che il giro era già stato strutturato qualche mese prima, ma non ci
eravamo più incontrati per stabilire le strade da percorrere. Così, la mattina della partenza,
armati di cartina, guardiamo la strada da fare.
Milano, pallostrada svizzera (autostrada 2), Lörrach, strada tedesca 317 e poi 500 fino a
Triberg.
Partiamo con la solita Milano agostana: nessuno in giro. Tangenziale, autostrada per
Como-Lugano, dogana, bollo autostradale svizzero e dritti verso il confine tedesco.
In zona Lörrach seguiamo la direttrice Schopfheim, Titisee-Neustadt, per imboccare la strada
500 della Schwarzwald (Foresta Nera). Lasciamo in Svizzera un cielo nuvoloso e mutevole e
guidiamo nella Foresta Nera, accompagnati da una splendida giornata di sole.
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La strada è uno spettacolo. In un tratto, da poco asfaltato, non si avverta alcuna vibrazione,
avvallamento, imprecisione. La moto scorre via che è un piacere. Intorno, verde di campi e di
bosco.
Arriviamo a Triberg e cerchiamo un albergo per la notte. Il primo tentativo lo facciamo Marcello
ed io; l'albergo non ci convince, un'atmosfera un po' troppo ferma agli anni settanta: moquette,
fòrmica, plastiche retrò. Un contesto che intristisce.
Torniamo in strada, diciamo alle nostre metà le sensazioni avute e i giudizi conseguenti e le
invitiamo ad andare all'albergo che avevamo visto all'ingresso in paese.
Partono, mentre noi restiamo con le moto e i bagagli. Stanno lontane una ventina di minuti:
l'albergo distava dal primo visto, cinque minuti a piedi.
Marcello e io temiamo che non abbiamo trovato nulla e che stiano cercando altro con l'aiuto
dell'albergatore.
Le vediamo giungere all'orizzonte, sventolando qualcosa che non riusciamo a vedere: sono le
chiavi delle stanze.
L'albergo è proprio bellino ( Hotel Pfaff ). Ci danno due stanze con terrazzo e bella vista
sull'ingresso alle cascate più alte della Germania.
La città di Triberg è nota per gli orologi a cucù (possiede l'orologio a cucù più grande del
mondo) e per le cascate più alte della Germania. Tutto ruota intorno a queste caratteristiche e,
quindi, non stupisce che ci siano numerosi negozi che vendono orologi a cucù, di ogni forma,
dimensione e prezzo.
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La sera ceniamo nel ristorante dell'albergo.
Secondo giorno:
ci svegliamo con un cielo che non promette niente di buono: nuvole e qualche angolo di azzurro
che viene subito inghiottito.
Durante la colazione, organizziamo la tappa: prendere le moto, libere dei bagagli -che l'albergo,
gentilmente, ci permette di depositare- e andare a visitare Friburgo. Ritornare, caricare i bagagli
e portarci a nord verso Baden Baden e poi verso la Francia; il pernotto sarà sul confine
franco-tedesco.
Questo il programma.
Partiamo. L'unico bagaglio è la mia borsa serbatoio che contiene gli antipioggia. La strada è
piacevole, il cielo è nuvoloso ma non ancora minaccioso. Arriviamo alle porte di Friburgo che
inizia a piovigginare. Dentro di me penso: "E' ancora presto per fermarci per mettere le tute
antipioggia, piove poco". Mentre pensavo queste parole, la memoria è andata all'unico bagaglio
sulla moto e al suo contenuto: "Ma il mio antipioggia l'ho preso?"
Noooo!!! L'ho dimenticato nelle valigie, che sono all'asciutto in albergo. Smette di piovere e
spero che il cielo si accontenti delle poche gocce fatte cadere, che mi sacrifichi da acquazzoni.
Arriviamo a Friburgo e visitiamo la cattedrale: magnifica. Sulla piazza antistante il sagrato, c'è
un mercato molto vivo, colorato e odoroso (per via dei tanti chioschi che vendono würstel ai
ferri).
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Dopo una lunga visita della cattedrale, usciamo nella piazza e facciamo un giro. Il cielo sembra
aprirsi, le nuvole corrono veloci. Pia illusione, che dura una manciata di minuti. L'azzurro lascia,
immediatamente, il posto alle nuvole, che si fanno sempre più grige e minacciose.
Pranziamo -ovviamente, pane e würstel- e poi decidiamo di ripartire nella speranza di non
prendere acqua.
Inizia a piovere in città, poco poco. Riusciamo a uscire da Friburgo e al primo cavalcavia
parcheggiamo per indossare l'antipioggia: chi ce l'ha, l'antipioggia!!!
Sono solo settanta i chilometri che ci separano da Triberg. Sono stati i settanta chilometri più
lunghi mai sopportati.
Chi leggerà questo diario ed è un motociclista, sa cosa significa viaggiare senza antipioggia;
per chi, invece, non ha mai vissuto un'esperienza simile, posso dire che l'acqua era ovunque.
Ho un paio di pantaloni Rev'it Tornado, traforati sulle cosce e parte della gamba. L'acqua
defluiva dalla trama traforata sin dentro gli stivali. Avevo gli stivali colmi d'acqua.
Sono arrivato ad un certo momento a sperare che le gallerie che affrontavamo fossero le più
lunghe possibile: era l'unico momento di caldo e senza pioggia. L'unico momento di sollievo.
Arriviamo a Triberg. Io distrutto.
Roberta e Benedetta vanno all'albergo in cui avevamo pernottato, e che già avevamo saldato
perché era nostra intenzione portarci a nord, per chiedere se vi fossero due stanze disponibili.
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"No, le stanze col terrazzo non ci sono più", dice l'albergatrice. Fuori piove, non fortissimo, ma
piove; Marcello ed io siamo con le moto ad aspettare il responso.
Vediamo uscire Benedetta e Maddalena che con ampi segni ci dicono di entrare. Ci
racconteranno poi, che la signora dell'albergo era convinta che rivolessimo le stanze del giorno
prima. Anche per questa notte abbiamo un tetto sopra la testa.
Entriamo in albergo, fradici, e qui rimango esterrefatto dell'accoglienza riservataci. I titolari
dell'albergo ci vedono entrare, gocciolanti. Ci dirigono immediatamente attraverso i locali
cucina: in quel momento ho pensato che si vergognassero di noi -la sala bar/ristorante era
piena di gente- e che ci facessero passare da un ingresso secondario per non incrociare e
disturbare le persone sedute ai tavoli. Ed, invece, ci conducono nel locale caldaie -utilizzato dal
personale delle cucine quale spogliatoio-, piccolo ma caldissimo. Ci fanno spogliare i vestiti
perché possano asciugare e possano essere utilizzato il giorno successivo. Un gesto che mi ha
sorpreso.
La doccia in camera dura mezz'ora. Ero morso dal freddo e bagnato sino alle mutande: non
avevo nulla di salvo indosso.
Ripresi, abbiamo cenato in un localino di Triberg: piatti tipici e doppia weiss per chi scrive. Bella
serata, bella compagnia.
Terzo giorno:
Baden Baden. Ma prima di arrivarci, a parte l'aver smarrito la rotta qualche volta, percorriamo la
strada 500.
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Limiti di velocità indicati in 70 km/h, ma la strada è un velluto largo, curve sinuose che si
affrontano con un asfalto che non tradisce. E quando guardi il tachimetro, la velocità ha sempre
tre cifre: azz!!!
Pranziamo a Baden Baden, facciamo un giro per le vie del centro e il meteo sembra reggere
alla grande.
Nel primo pomeriggio ripartiamo per Strasburgo, percorrendo la via più rapida: autobahan 5,
uscita Appenweir.
Entriamo nei confini francesi e, immediatamente, avvertiamo d'aver cambiato paese: è
evidente, siamo entrati in un paese mediterraneo.
I paesi mitteleuropei hanno una cultura diversa da quelli del mediterraneo, non
necessariamente migliore, ma sicuramente diversa. E questo lo si respira nell'immediato: i
comportamenti in auto, l'approccio con la gente, la chiassosità della piazza.
Lungo tratto di periferia prima di giungere nel cuore di Strasburgo. La visita, purtroppo, si limita
alla piazza della cattedrale e a poche vie d'intorno: è tardi, il cielo è coperto e tende a
piovigginare. Usciamo dalla città con direzione Obernai, percorriamo l'autostrada A35 per
accelerare i tempi.
Per l'ultimo giorno di viaggio, abbiamo in programma di visitare le zone collinari a ovest di
Obernai, i vigneti alsaziani di Colmar, la stessa cittadina di Colmar, Illzach, dove andremo a
trovare la zia di Roberta e, infine, casa.
Data la tabella di marcia del giorno dopo, decidiamo di uscire dall'autostrada a Obernai e, da
qui, trovare un paesino piacevole dove pernottare.
Arriviamo a Obernai e veniamo accolti da una cittadina con le caratteristiche case a graticcio,
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una splendida piazza e la calda luce del tramonto. Tutto depone perché ci si fermarci qui.
Chiediamo la disponibilità a due alberghi, ci sarebbe una mezza intenzione di domandare
anche ad un terzo albergo, ma veniamo rapiti da l' Hotel La Cloche . Situato in pieno centro in
una tipica abitazione a graticcio, riserviamo una stanza per quattro persone articolata su due
piani e posta nell'alto tetto della casa.
Ci sistemiamo e usciamo per visitare il centro storico di Obernai e per cercare un posto dove
cenare, perché siamo morsi dalla fame.
Mangeremo al 55 Bar Lounge .
Sarà che è l'ultima sera, sarà la fame, sarà la piacevole compagnia, sta di fatto che facciamo
una cena pantagruelica: raclette, tarte fambée, un succulento tipico piatto a base di formaggio e
cipolla al forno, birre, vino, coca cola, acqua. Insomma, alla fine della cena ci vergogniamo di
quanto siamo riusciti a mangiare.
Terminiamo la serata facendo un ultimo giro per il paese. Ci imbattiamo in un bar all'aperto in
cui vi è una tavolata di cantori e suonatori di musiche celtiche. Restiamo un po' ad ascoltare,
scattiamo qualche foto e finiamo così la serata. Rientriamo stanchi e ci infiliamo a dormire.
Quarto giorno:
ormai, dobbiamo pensare al rientro a casa. Mappe sul tavolo del bar in cui facciamo colazione e
decidiamo di dirigerci a ovest lungo la D214, alla volta di Champ du Feu, Col de la
Charbonnière, Col de Steige, seguire la D39 sino a Fouchy. Imboccare la D48 per il Col de
Fouchy e arrivare Lièpvre, dirigersi, nuovamente, a ovest verso Ste-Marie aux Mines, entrare
nella D416 e giungere a Riquewihr. Da qui, Colmar, Illzach, casa.
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Partiamo col cielo, decisamente, incerto e iniziamo a salire in modo dolce verso Champ du Feu.
Le strade sono deserte, molto brecciolino in terra. La strada passa in mezzo al bosco. Il cielo è
grigio e una nebbiolina mista a qualche goccia d'acqua ammanta ogni cosa. Anche il freddo fa
capolino.
Ad un certo punto, la moto di Marcello va in riserva. In tutti i chilometri percorsi stamani, non
abbiamo incontrato alcun paese e la strada si dirige sempre più verso un orizzonte minaccioso
e un valico: quindi, nessun distributore in programma per i prossimi chilometri. La cosa inizia a
farsi allarmante.
Incontriamo dei ciclisti in pausa in una piazzola e chiediamo loro dove sia possibile trovare un
distributore.
Villé, dicono loro. E' a valle e dista pochi chilometri. Ci troviamo alla Charbonniére.
Stravolgiamo i programmi di tappa -tanto il tempo non promette nulla di buono- e volgiamo a
Villé. Dopo qualche chilometro di discesa, arriviamo in paese e al distributore di benzina.
Ubriachiamo le moto e ripartiamo.
Abbiamo lasciato i boschi delle colline di Champ du Feu e, adesso, ci immergiamo nelle dolci
colline alsaziane coltivate a vigneto: pare d'essere in Toscana. La strada è molto semplice, per
gli amanti delle due ruote sarebbe definita monotona, ma qui quello che appaga è la cornice di
contorno, i paesini che si attraversano costruiti sulle cime di queste basse colline, gli ordinati
filari delle viti: tutto dà un senso di ordinato, di pulito, di quiete.
Giungiamo a Riquewihr, parcheggiamo e andiamo a farci un giro per il paese, che è incastonato
fra i vigneti carichi d'uva e pronti per la vendemmia. L'accoglienza è data da una piazzetta
indaffarata nei preparativi di una festa: tavolate di legno, tendone e palco, dal quale giunge
musica folk.
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Dopo la lunga sosta a Riquewihr, volgiamo a Colmar, la anche detta Petite Venice.
Bella cittadina, attraversata da...un canale!? Chi ha poco, ed è intelligente, sfrutta ed esalta la
massimo ciò che ha. In effetti, è molto bello il centro di Colmar: il canale, le case a graticcio ben
curate che ci si affacciano, i negozietti ed i ristoranti.
Noi che abbiamo la vera Venezia, a volte ci dimentichiamo di averla e non ce ne curiamo a
sufficienza; parlo di Venezia, ma l'Italia è piena di capolavori ai quali siamo abituati e che non
vediamo più. Potremmo vivere di rendita col patrimonio che ci è stato lasciato ed, invece,
anziché arricchirlo (sarebbe sufficiente mantenerlo) ce ne disinteressiamo: peccato!
Lasciata Colmar, percorriamo la strada statale parallela all'autostrada A35 per andare a trovare
la zia di Roberta a Illzach. Abbiamo solo l'indirizzo e null'altro: nessuna indicazione, nessun
riferimento.
Triboliamo un bel po' prima di arrivare sotto casa, eravamo quasi tentati di abbandonare l'idea
quando, ad un certo punto, per puro caso, imbocchiamo la via giusta e, così, senza alcun
preavviso Roberta si trova a suonare il campanello della zia.
La giostra per trovare l'indirizzo, il girare su se stessi senza sapere dove sbattere la testa, sono
stati ripagati dagli sguardi di Roberta e della zia quando si sono incontrati: il senso dell'essere
vivi in uno sguardo condiviso. Tutto il resto lo conservo nella mia memoria.
La motovacanza volge al termine. E' tardi, sappiamo che dovremo viaggiare col buio. Nessuna
preoccupazione se hai una visiera trasparente; qualche preoccupazione ce l'hai se monti una
visiera scura!!!
Purtroppo, un inconveniente ci capita ad una sosta in una stazione di servizio in autostrada.
Casco di Roberta appoggiato posticciamente sulla sella della moto, manovra brusca e cade a
terra. La mentoniera va fuori asse e non si chiude più.
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Grazie alla pazienza e esperienza di Marcello, la sistemiamo in qualche modo e riuscirà ad
assicurare la sua funzione.
Si riparte, la mentoniera regge, il freddo dei 1000 mt di altezza si fanno sentire alla grandissima
(dobbiamo ancora affrontare il lungo tunnel del San Gottardo) e poi casa.
Conserveremo anche di questo viaggio un bel ricordo.
Grazie a tutti e quattro...e alle nostre due fedeli cavalcature a due ruote.
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