Prime pagine - Codice Edizioni

Transcript

Prime pagine - Codice Edizioni
fabbricare
il futuro
La Nuova rivoluzione
industriale
Peter Marsh
Traduzione di Brunella Martera
Peter Marsh
Fabbricare il futuro
La nuova rivoluzione industriale
Titolo originale
The New Industrial Revolution
Consumers, Globalization and the End of Mass Production
Copyright © 2012 Peter Marsh
All rights reserved
Redazione e impaginazione: Francesco Rossa
Coordinamento produttivo: Enrico Casadei
Grafica di copertina: Asintoto
Immagine di copertina: © David Cordner / Alamy
© 2014 Codice edizioni, Torino
Tutti i diritti sono riservati
ISBN 978-88-7578-409-6
codiceedizioni.it
facebook.com/codiceedizioni
twitter.com/codiceedizioni
pinterest.com/codiceedizioni
Indice
VII
3
Prefazione
Capitolo 1
La macchina della crescita
31
Capitolo 2
Il potere della tecnologia
57
Capitolo 3
Il sale della vita
85
Capitolo 4
La libera associazione
119
Capitolo 5
Il pensiero di nicchia
153
Capitolo 6
L’imperativo ambientale
183
Capitolo 7
L’ascesa della Cina
211
Capitolo 8
Collusione di massa
241
Capitolo 9
Le fabbriche del futuro
273
Capitolo 10
La nuova rivoluzione industriale
315
341
Bibliografia
Indice analitico
Prefazione
Questo libro non sarebbe stato possibile senza l’aiuto e la collaborazione di molte persone. Un ringraziamento speciale va a tutti
i miei colleghi del “Financial Times”. Per gran parte del tempo, da
quando ho cominciato a collaborare con il giornale nel 1983, mi
sono occupato dell’attività di imprese industriali e ricercatori in ambito tecnologico. Le informazioni acquisite nel corso di migliaia di
interviste e incontri in una trentina di paesi sono state una miniera
preziosa di aneddoti ed esperienze che costituiscono l’ossatura del
libro. Se non avessi collaborato con il “Financial Times”, arrivare a
queste persone sarebbe stato difficile, se non impossibile.
Un grazie particolare anche ai quattro direttori che si sono susseguiti durante la mia permanenza al giornale: Sir Geoffrey Owen, Sir
Richard Lambert, Andrew Gowers e Lionel Barber. Ognuno, a suo
modo, ha fornito un supporto prezioso al mio lavoro. È importante
inoltre dare il giusto riconoscimento alle nuove organizzazioni che si
impegnano, anche economicamente, nella scelta di collaborare con
giornalisti fortemente determinati ad approfondire e comprendere le
dinamiche del mondo: in questo il “Financial Times” si distingue in
modo particolare.
Grazie anche ad Arthur Goohart, mio agente letterario quando
il libro è stato concepito e scritto. Alla fine degli anni novanta avevo proposto ad Arthur un libro sulla “manifattura moderna”, mi
sembrava infatti che, per quanto ce ne fosse bisogno, non esistesse ancora un’opera completa ed esaustiva su questo argomento, e
pensavo di essere in una buona posizione per tentare di realizzare
questo obiettivo. Arthur è stato una guida preziosa in tutte le nume-
Fabbricare il futuro
VIII
rose fasi di trasformazione del testo, che probabilmente non sarebbe
mai stato scritto senza il suo contributo. Robert Baldock, della Yale
University Press, sin dall’inizio ha mostrato un tale interesse per l’argomento da chiedermi di scrivere il libro, e ha sempre confidato nelle
mie capacità di portarlo a termine.
Da molte persone che lavorano per imprese industriali e altre
organizzazioni ho ricevuto un addestramento intensivo sui diversi
aspetti della manifattura. In particolare vorrei ringraziare Giovanni
Arvedi, Mike Baunton, Daniel Collins, Eddie Davies, il compianto
John Diebold, Wolfgang Eder, Sir Mike Gregory, Federico Mazzolari, Peter Marcus, Heinrich von Pierer, Hermann Simon, Martin Temple, il compianto Walter Stanners e Sir Alan Wood.
Grazie all’amico Peter Chatterton e a mio fratello David Marsh
per l’incoraggiamento e il supporto. Stephen Bayley, Bob Bishof, Steve Boorman, Andrew Cook, Gideon Franklin, Branko Moeys, Chris
Rea e Hal Sirkin hanno letto tutto il libro, o una sua parte, fornendomi preziosi pareri. Per i dati economici è stato fondamentale l’aiuto
di Prem Premakumar e Mark Killion di IHS Global Insight; per le
informazioni dettagliate sulla produzione siderurgica dal 1900 ad
oggi ringrazio Steve Mackrell e Phil Hunt dell’International Steel
Statistics Bureau.
Bob Allen, Steve Breadberry, Kenneth Carlaw, Nick Crafts, Ruth
Lea, Tim Leuning, Richard Lipsey, Joel Mokyr, Nathaniel Rosenberg,
Bob Rowthorn, Andrew Sharp, Eddie Szirmai e Tony Wrigley sono
stati una guida utile per l’analisi dei diversi trend economici nel corso della storia. Fridolin Krausmann è stato di grande aiuto nell’elaborazione dei dati riferiti all’impatto ambientale della produzione
manifatturiera rispetto all’uso dei materiali.
La responsabilità di eventuali errori o dell’incapacità di trarre le
giuste conclusioni è soltanto mia. Devo infine molto alla disponibilità e generosità di mia moglie Nikki e dei miei figli Christopher e
Jonathan, per aver sopportato a tavola tutte le mie digressioni sui
dettagli più nascosti dell’universo della produzione e per averli trovati a volte persino interessanti.
Fabbricare il futuro
Capitolo 1
La macchina della crescita
In principio…
«L’oro è per la signora, l’argento per la ragazza!
Il rame per l’artigiano bravo nel suo mestiere».
«Bene!» disse il Barone, sedendo nella sala,
«solo il ferro – il ferro freddo – è padrone di tutti loro!».1
Così scriveva l’illustre scrittore inglese Rudyard Kipling, che visse gran parte della sua vita nella dimora di un proprietario di ferriere del diciassettesimo secolo. Le sue parole sono vere oggi come
lo erano nei primi anni del Novecento, quando Kipling, all’apice
della popolarità, divenne il più giovane scrittore a ricevere il premio
Nobel per la letteratura. Dall’inizio della civilizzazione fino al 2011
il genere umano ha prodotto merci contenenti circa 43 miliardi di
tonnellate di ferro2. Di questa immensa quantità di metallo che è
1
2
Kipling, 1909.
Si tratta del peso totale complessivo di tutto il ferro e l’acciaio prodotti, inclusi
gli articoli riciclati. Di questi, circa 33 miliardi di tonnellate provengono da ferro
estratto dal suolo, il resto da prodotti riciclati e sfridi. I dati sulla produzione di
acciaio dal 1900 sono dell’International Steel Statistics Bureau (ISSB) di Londra.
I dati antecedenti sono tratti da History Database of the Global Environment,
Netherlands Environmental Assessment Agency (http://tinyurl.com/ol34o8g). Dei
33 miliardi di tonnellate di ferro fino ad oggi usate per produrre merci contenenti
ferro e acciaio, la quasi totalità è rintracciabile in qualche punto del pianeta. È
possibile accedere ai dati sulla produzione di ferro e acciaio in questo database
compiendo una ricerca dettagliata per alluminio, rame ecc. Si presume che prima
del 1890 siano stati fabbricati complessivamente 130 milioni di tonnellate di
Capitolo 1
finita nei prodotti più disparati, dai reattori nucleari ai giocattoli per
bambini, quasi la metà è stata prodotta dopo il 1990. La maggior
parte del ferro oggi usato si presenta nello stadio finale come acciaio,
una forma più dura e resistente di quel metallo, contenente tracce di
carbonio.
Della massa del nostro pianeta (6000 miliardi di miliardi di tonnellate), circa un terzo, secondo gli esperti, è costituito da ferro3.
La maggior parte di questo ferro si trova a una profondità tale da
renderlo inaccessibile, eppure, anche così, ipotizzando tassi di produzione come quelli del 2011, la quantità di ferro estraibile a livelli
più vicini alla superficie terrestre sarà sufficiente a soddisfare il fabbisogno di materie prime delle acciaierie di tutto il mondo ancora
per un miliardo di anni4. Questo elemento si trova in natura quasi
sempre in composti: i più comuni sono gli ossidi di ferro, presenti
in minerali quali l’ematite e la magnetite. In questi materiali, il ferro
e l’ossigeno si combinano per formare legami diversi. Per estrarre il
ferro dall’ossido di ferro si usa il processo di fusione, che si compie
quando minerali a base di ossidi sono riscaldati ad alte temperature
in forni alimentati con carbone di legna. Per mezzo del processo chimico di riduzione, il carbone di legna si lega con l’ossigeno presente
nel minerale producendo biossido di carbonio e lasciando il metallo
quasi puro.
3
4
4
prodotti di ferro. Queste stime sono tratte dai calcoli fatti dall’autore, supportati
dalle conversazioni con Robert Hunter.
La massa della Terra è di norma considerata pari a 5,98 × 1021 tonnellate ossia
circa 6000 miliardi di miliardi di tonnellate. Maggiori dettagli possono essere
reperiti presso il Thomas Jefferson National Accelerator Facility del dipartimento
americano per l’energia (http://tinyurl.com/6zva9d); per maggiori informazioni
sulla massa della Terra si veda http://tinyurl.com/yzo9xqq. Questi siti indicano
la percentuale della Terra costituita da ferro rispettivamente al 35 per cento e al
34,6 per cento. In Viaggio al centro della Terra Jules Verne racconta un viaggio
immaginario sotto la superficie terrestre.
La crosta terrestre si estende per una trentina di chilometri al di sotto della
superficie e ha una massa totale di circa 26 miliardi di miliardi di tonnellate,
di cui il 5 per cento è costituito da ferro (Schieber, 2007, cap. 5, http://tinyurl.
com/7j5wc4r). Con un tasso di sfruttamento di circa 1 miliardo di tonnellate
l’anno, grossomodo l’estrazione annua nel 2010-2011, il ferro dovrebbe durare
ancora un miliardo di anni. Tuttavia, la quantità di ferro considerata facilmente
estraibile con sistemi ortodossi è di gran lunga inferiore, ed è stimata in 230
miliardi di tonnellate; considerando questo dato il ferro si esaurirebbe attorno al
2200 (World Steel Association, 2011).
5
6
La macchina della crescita
La fusione è un processo noto da circa cinque millenni. In origine
era usata per ricavare il rame e lo stagno, componenti del bronzo, ma
dovettero passare parecchi anni prima che fosse usata per produrre il
ferro in grandi quantità. La ragione di ciò va cercata nelle caratteristiche chimiche e fisiche del minerale: la temperatura necessaria per
la fusione dipende dal punto di fusione del metallo; il ferro fonde a
1530°C, temperatura ben superiore a quella necessaria per fondere il
rame o lo stagno. In aggiunta, il procedimento di estrazione delle impurità dovute alla presenza di sostanze estranee quali argille miste e
altri minerali è più complesso nel caso del ferro che per altri metalli.
Una prima svolta si ebbe intorno al 1200 a.C., forse in Mesopotamia o nei territori limitrofi, in un’area che corrisponde all’attuale
Iraq, quando furono scoperti metodi per mantenere la temperatura all’interno delle fornaci a livelli sufficientemente alti (intorno ai
1200°C) da ammorbidire il ferro5. Furono inoltre sviluppati procedimenti più efficaci per separare le impurità – la cosiddetta loppa – con
la battitura al maglio. Questi nuovi processi furono presto adottati in
molte aree attorno al Mediterraneo orientale. Poiché il ferro poteva
essere estratto con maggiore facilità, la quantità di metallo disponibile aumentò molto e ciò determinò un calo del suo prezzo, che scese
all’incirca del 97 per cento nei quattro secoli precedenti il 1000 a.C.6.
L’acciaio fu scoperto più o meno in quel periodo. Si tratta di un
materiale per il quale vale il cosiddetto approccio di Riccioli d’oro:
la quantità di carbonio e altri elementi presenti nella miscela non
deve essere troppa, né troppo poca, ma esattamente quella giusta. Si
scoprì che il ferro mischiato con troppo poco carbonio produceva un
materiale alquanto tenero, ma che poteva essere modellato con una
certa facilità; se la concentrazione di carbonio era troppo elevata,
il metallo risultava invece più duro, ma fragile. Nella terminologia
corrente il ferro con un basso tenore di carbonio (inferiore allo 0,5
per cento) è detto ferro battuto. Quando il tenore di carbonio è alto
(superiore all’1,5 per cento), il risultato è la ghisa di prima fusione
Come materiali isolanti erano probabilmente usate anche pelli di animali
sovrapposte a uno strato di ceramica, insieme a mantici rudimentali che
immettevano aria nella fornace per mantenerne caldo l’interno.
Calcoli basati su Hunter, 2004. Si veda anche Hunter, 2008. Hunter ha collaborato
con l’autore anche via e-mail.
5
Capitolo 1
(o ghisa grezza). L’acciaio non è costituito da una singola lega ma
da una serie di varianti del ferro che presentano diverse proprietà in
funzione della loro struttura chimica. Oggi nella lavorazione dell’acciaio è molto importante l’aggiunta di piccole, specifiche quantità di
elementi quali vanadio, cromo e nichel. Queste variazioni nella composizione modificano le proprietà dell’acciaio, rendendolo per esempio più resistente alla corrosione o migliore conduttore di elettricità.
Il periodo che cominciò intorno al 1200 a.C. è conosciuto come Età
del ferro; gli storici ritengono che sia durata all’incirca tredici secoli,
ma in verità non è mai realmente finita7.
In origine era pressoché impossibile stabilire con precisione la
composizione dell’acciaio: in ogni aspetto della produzione e lavorazione del ferro e dell’acciaio i progressi erano lenti ed empirici. Eppure, per più di un millennio, un paese si confermò leader indiscusso
nella produzione siderurgica: la Cina, all’avanguardia nella produzione di altiforni (che prevedevano l’uso di soffierie per immettere
l’aria necessaria al processo di fusione per mezzo di pistoni idraulici). In Cina si costruivano altiforni già nel 200 a.C., milleseicento
anni prima che in Europa. Per gran parte del Medioevo la produzione siderurgica cinese fu di gran lunga superiore a quella europea, sia
in termini di produzione totale, sia su base pro capite, ma alla fine
del diciassettesimo secolo l’Inghilterra cominciava già a mettersi in
mostra come il paese che sarebbe diventato teatro degli eventi più
importanti nella produzione siderurgica8.
Avanti tutta
Fulcro del cambiamento è Sheffield, una città nell’Inghilterra settentrionale che traeva beneficio dalla vicinanza con tre fonti di risorse
naturali: le colline dei Pennini, con i loro preziosi giacimenti di ferro;
il fiume Don, che attraversava la città offrendo una preziosa sorgente
di energia idrica per gli altiforni; e i grandi bacini carboniferi, dai
quali si estraeva il carbone minerale che aveva ormai sostituito quello
di legna come principale agente riducente nel processo di fusione.
7
8
6
Bashforth, 1959; Alexander e Street, 1979.
Mokyr, 1990, p. 329. Si vedano anche Wagner, 1993 e Wagner, 1997.
9
10
La macchina della crescita
Benjamin Huntsman era un fabbro e orologiaio originario di
Doncaster, trasferitosi nel 1740 ad Handsworth, un villaggio nelle
vicinanze di Sheffield. Inizialmente, più che alla produzione di ferro
e acciaio, era interessato all’uso che avrebbe potuto farne per i suoi
prodotti. Non soddisfatto della qualità dell’acciaio allora disponibile, decise di provare a trovare un nuovo modo per ottenerlo9. Huntsman dovette affrontare le due questioni critiche che erano già state
cruciali per l’estrazione e la lavorazione del ferro nell’antica Mesopotamia: aumentare la temperatura e modificare la composizione
della miscela di ferro, carbonio e loppa.
Il metodo che mise a punto si basava su un nuovo modello di
crogiolo in argilla in grado di resistere a temperature fino a 1600°C
senza fessurarsi o deformarsi. Una miscela incandescente di ferro e
carbonio era colata da un altoforno in un crogiolo insieme a piccole
quantità di altri materiali, tra cui alcuni frammenti di acciaio vescicolare di buona qualità10; le impurità erano quindi separate attraverso i fori alla base del crogiolo; la percentuale delle diverse sostanze
aggiunte o rimosse determinava la velocità di formazione dell’acciaio, oltre alle sue proprietà.
Huntsman adottò il cosiddetto processo al crogiolo intorno al
1742. Questo metodo presentava alcuni inconvenienti: la tecnologia
permetteva di ottenere acciaio in minime quantità, adatte alla fabbricazione di manufatti quali utensili, coltelleria e componenti per orologeria, e si trattava di un processo secondario, la cui realizzazione
dipendeva dalla disponibilità di piccole quantità di acciaio vescicolare precedentemente prodotte. Il procedimento tuttavia era ripetibile:
seguiva un ciclo ben definito che poteva essere replicato più volte.
Quella di Huntsman fu una delle prime tecniche di questo tipo usate
in ambito industriale. Anche se ci volle più di un secolo prima che ci
fosse un reale miglioramento della tecnica da lui ideata combinando
qualità del prodotto con elevata velocità di lavorazione, Huntsman
può essere considerato il precursore di questi sviluppi.
Hey, 2005.
In inglese blister steel; è uno dei primi acciai omogenei prodotti, si ottiene
riscaldando barre di ferro dolce impregnate di carbone e lasciandole raffreddare
molto lentamente. Sulla superficie compaiono macchie a forma di vescicole dovute
al gas che fuoriesce dal materiale. [N.d.T.]
7
Capitolo 1
Il progresso reso possibile grazie al nuovo metodo inventato da
Huntsman giunse in un momento in cui la Gran Bretagna era responsabile solo di una piccola quota della produzione manifatturiera mondiale. Nel 1750 il paese leader nella produzione manifatturiera globale era la Cina, con un terzo del volume di produzione11,
seguita dall’India con un quarto. Al primo posto in Europa c’era la
Russia, con il 5 per cento del totale mondiale, seguita dalla Francia.
Con una quota dell’1,9 per cento, la Gran Bretagna e l’Irlanda occupavano un misero decimo posto nella classifica12, ma il cambiamento
era nell’aria13.
Nel 1769 l’ingegnere scozzese James Watt brevettò un’altra
“grande idea”, non tanto nei materiali quanto nelle modalità di
fornitura dell’energia14. Perfezionando progetti già esistenti, Watt
inventò un motore a vapore, utile sia per pompare acqua fuori dalle
miniere sia per azionare le macchine. Il motore a vapore è oggi considerato uno dei migliori esempi di tecnologia universale15: una tecnologia specifica dotata di un potenziale applicativo estremamente
vasto che ha inoltre il pregio di essere perfezionabile. L’avvento del
motore di Watt fu accompagnato da altri eventi chiave che si riveleranno determinanti per il progresso industriale. «Intorno al 1760
un’ondata di congegni si abbatté sull’Inghilterra», così uno storico descrisse le trasformazioni in atto16. Questi congegni legati alla
11
12
13
14
15
16
8
L’espressione volume di produzione [output, in senso economico, nell’originale
(N.d.T.)] si intende qui come produzione industriale a “valore aggiunto”, che per
un’azienda corrisponde alle entrate meno i costi per l’acquisto di beni e servizi.
Il prodotto interno lordo di un paese o un gruppo di paesi è sempre espresso in
termini di “valore aggiunto”. La produzione industriale è una voce del PIL. È
preferibile evitare di confrontare parametri descritti in termini di valore aggiunto
– come PIL e produzione industriale a valore aggiunto – con voci riferite a entrate
lorde. Pertanto non ha pressoché mai senso accostare il PIL dei paesi a dati riferiti
alle vendite delle aziende.
Bairoch, 1982, dati citati in Kennedy, 1993, in particolare tabelle 14, 15, 17,
18, 26, 28, 30. Si veda anche Crafts, 2004. I dati sulla produzione qui utilizzati
fino al 1900 circa si basano sulle statistiche di Bairoch che, benché generalmente
considerate imprecise dagli storici economici, rimangono comunque i migliori dati
disponibili.
Per il periodo storico antecedente alla Rivoluzione industriale, si vedano Cipolla,
1976, Gimpel, 1988 e Usher, 1988.
Marsden, 2002.
Lipsey, Carlaw e Bekar, 2005.
Ashton, 1993.
17
18
19
La macchina della crescita
produzione manifatturiera includevano anche nuovi macchinari
per l’industria tessile e metallurgica17. I progressi nella tecnologia
andavano di pari passo con altre trasformazioni che riguardavano
la società e l’economia: i primi tentativi di organizzazione delle
fabbriche su larga scala, una popolazione in crescita, che era anche
più sana e meglio istruita, l’apertura del commercio mondiale e
la nascita di società di capitali che contribuivano a incoraggiare
l’imprenditorialità.
A seguito di questi cambiamenti, tra il 1700 e il 1890 in Gran
Bretagna la quota di forza lavoro impiegata nell’industria aumentò
dal 22 al 43 per cento, mentre il dato riferito all’agricoltura scese
dal 56 al 16 per cento18. In Gran Bretagna e Irlanda la produzione
manifatturiera pro capite aumentò di otto volte dal 1750 al 1860,
quattro volte più che in Francia e Germania, e sei volte più che in
Italia e Russia, mentre in Cina e in India la produzione manifatturiera pro capite registrò un calo. Nel 1800 la Gran Bretagna era
responsabile di poco più del 4 per cento della produzione manifatturiera mondiale, diventando così la quarta potenza industriale
mondiale dietro Cina, India e Russia. Nel 1860 era già il primo
paese in termini di produzione manifatturiera, coprendo quasi il 20
per cento del totale mondiale, seguita a breve distanza dalla Cina.
Gli Stati Uniti occupavano il terzo posto, con quasi il 15 per cento19.
In Gran Bretagna il termine manifattura entrò a far parte anche della lingua. La parola deriva dal latino manus, “mano”, e facio, “fare”. Benché sia stato registrato per la prima volta intorno al
1560, l’uso del termine era considerato raro. Shakespeare, che morì
Tra le macchine che utilizzavano nuove apparecchiature per la meccanizzazione
della filatura del cotone vi erano la “giannetta” di James Hargreaves e il telaio
ad acqua di Richard Arkwright. Lo storico Robert Allen ha riassunto i punti più
importanti che collegano queste invenzioni in un più ampio contesto: «Il nodo
da sciogliere per spiegare perché la Rivoluzione industriale ebbe luogo proprio
in Inghilterra consiste dunque nel rispondere a questa domanda: perché gli
imprenditori inglesi dedicarono tanto tempo e denaro alla ricerca e sviluppo […]
per tradurre in pratica quelle che spesso erano idee banali? La risposta è che le
macchine che essi inventarono intensificavano l’uso del capitale per risparmiare
manodopera e che, di conseguenza, era conveniente usarle là dove il lavoro era
costoso e il capitale a buon mercato, ossia in Inghilterra. È questo il motivo per cui
l’Inghilterra fu la culla della Rivoluzione industriale» (Allen, 2013, pp. 42-43).
Maddison, comunicazione privata, 9 giugno 2006.
Bairoch, 1982.
9
Capitolo 1
nel 1616, non usò mai parole come manifattura o fabbrica nelle sue
opere, tuttavia, a partire dal 1800 circa, i termini erano già entrati
nell’uso comune20. I settant’anni di grandi cambiamenti che intercorrono tra il 1780 e il 1850 sono stati il primo periodo di produzione
organizzata su larga scala, che si concentrò in Gran Bretagna e divenne noto come Prima rivoluzione industriale, o Rivoluzione industriale tout court21. Di tutti gli eventi che hanno plasmato il mondo
negli ultimi cinque secoli del secondo millennio, la Rivoluzione industriale fu il più importante.
Ponti sul futuro
Charles Babbage era figlio di questa epoca di trasformazioni.
Nato a Londra nel 1791, trascorse gran parte della sua infanzia a
Totnes, piccola città nel Devon. Dopo avere studiato matematica
alla University of Cambridge, all’età di ventiquattro anni divenne
membro della Royal Society. In uno studio del 1822 Babbage descrisse il modello di una macchina di calcolo che chiamò macchina
alle differenze, il cui progetto si basava su diverse colonne meccaniche ognuna delle quali muoveva una serie di ruote dentate; attraverso un sistema di leve e ingranaggi, le ruote dentate e le colonne
potevano essere manipolate in modo da eseguire i calcoli. Babbage
provò a costruirne un primo esemplare, ma il livello di complessità
era così alto che dovette desistere22 .
20
21
22
10
Ricerca automatica sull’opera di Shakespeare svolta dall’autore nel marzo
2011. Per l’etimologia si veda http://tinyurl.com/qb6knjr, dove l’uso del termine
manufacturing (manifattura) è fatto risalire agli anni intorno al 1560, con il
significato di “cosa fatta a mano”. Il termine derivava dalle parole latine manus
(mano) e factura (lavorazione). Per la definizione e derivazione di “industria”, si
veda anche http://tinyurl.com/7dndmvd, dove la parola industry (industria) è fatta
derivare dal francese industrie, che significa “operosità”, che a sua volta deriva dal
latino industria.
Sulla Rivoluzione industriale in Gran Bretagna esiste una letteratura immensa.
Secondo Eric John Hobsbawm, la Rivoluzione industriale «costituisce la più
fondamentale trasformazione della vita umana in tutta la storia universale
tramandata da documenti scritti» (Hobsbawm, 1972, p. 3). Si vedano anche
Matthias, 1983; Musson, 1978; Court, 1967; Dawson, 1972; e Berg, 1994.
Bruen, 1995 (http://tinyurl.com/o2gncz5). Si veda anche, per il periodo di Babbage
a Cambridge, http://tinyurl.com/lzlcvb.
23
24
La macchina della crescita
Mente infaticabile, Babbage passò alla progettazione di una
macchina di calcolo ancora più avanzata, che chiamò macchina
analitica. La macchina analitica era stata concepita come macchina di calcolo universale, in grado di eseguire una serie di compiti
estremamente ampia, a seconda del modo in cui era programmata.
Per questo la macchina è spesso considerata il progenitore dei moderni computer. Ma come la macchina alle differenze, anche quella
analitica non fu mai costruita al tempo di Babbage: entrambe erano troppo complesse per le competenze ingegneristiche dell’epoca.
Babbage trovò anche il tempo per scrivere uno dei primi trattati
sulla manifattura, Sulla economia delle macchine e delle manifatture, pubblicato nel 1832, in cui osservava come nella storia di ogni
articolo realizzato con successo troveremo sempre «una serie di fallimenti che hanno gradualmente aperto la via all’eccellenza»23.
Sir Henry Bessemer avrebbe in seguito condiviso questa opinione. Grazie alle ottime doti pratiche, aveva maggiori probabilità rispetto a Babbage di trasformare un concetto teorico in un successo,
in particolare per quanto riguardava la realizzazione pratica. Nato
in un villaggio nei pressi di Londra nel 1813, Bessemer intraprese
la carriera di inventore lavorando a sistemi di stampa innovativi,
matrici antifrode per la stampa di documenti ufficiali e metodi produttivi per ottenere velluto di alta qualità per l’industria tessile. Del
suo approccio scriveva: «Non avevo idee fisse derivate da una lunga esperienza provata che potessero controllare e influenzare la mia
mente, e non ero vittima della diffusa convinzione che ciò che è sia
giusto semplicemente perché è»24.
La più grande sfida per Bessemer giunse nel decennio successivo
al 1850, al tempo della guerra di Crimea. Era stato incoraggiato a
lavorare a nuovi tipi di cannone da Napoleone III, allora alleato del
Regno Unito. Gli ingegneri militari avevano scoperto che sarebbe
stato possibile controllare più facilmente la traiettoria dei proiettili
facendoli girare vorticosamente all’interno delle canne delle armi da
fuoco. Tuttavia il moto rotatorio dei proiettili creava sollecitazioni
supplementari che potevano danneggiare le armi al momento dello
sparo. Si rendeva dunque necessario sostituire il ferro con un mateBabbage, 1834, p. 7.
Bessemer, 1905.
11
Capitolo 1
riale più resistente, e l’acciaio era la scelta più ovvia. Bessemer capì
tuttavia che per poterlo utilizzare ci sarebbe stato bisogno di perfezionarne il metodo di produzione25.
Dal tempo di Huntsman, la Gran Bretagna era ormai diventata
il leader mondiale nella produzione dell’acciaio, responsabile del
70 per cento delle 70.000 tonnellate prodotte nel 1850; e Sheffield,
da sola, copriva la metà del totale globale26. La maggior parte di
questo acciaio era prodotta per mezzo di un processo laborioso
chiamato puddellaggio – inventato nel 1768 da Henry Cort, un
fabbro dell’Hampshire – che consentiva di ottenere ferro battuto
dalla ghisa grezza estraendo il carbonio da una miscela rovente
composta da metallo, carbonio e varie impurità. Per farlo era necessario che un operaio specializzato (e anche robusto) con un’asta
di metallo rimescolasse di continuo la miscela, alla quale era poi
aggiunto altro carbonio, sotto forma di carbone di legna, per ottenere la lega di acciaio voluta. Il puddellaggio rappresentava in un
certo senso una variante della tecnica di Huntsman; era un metodo
per poter ottenere acciaio in quantità maggiori rispetto al processo
al crogiolo (comunque non più di 30 chili alla volta) che presentava
tuttavia molti svantaggi. Come scrisse Bessemer nella propria autobiografia «a quei tempi [inizio del decennio successivo al 1850] non
esisteva un acciaio adatto per fini strutturali [da cui si potessero
ottenere sezioni di grandi dimensioni] […] il processo era lungo e
costoso»27.
Bessemer voleva ottenere l’acciaio dalla ghisa grezza in un solo
passaggio e ci riuscì soffiando aria fredda nella ghisa grezza fusa.
L’ossigeno presente nell’aria catturava una parte degli atomi di carbonio presenti nella ghisa grezza, convertendoli in biossido di carbonio e ricavando in tal modo l’acciaio. Poiché la reazione produceva
calore, la temperatura saliva a mano a mano che si immetteva aria,
aumentando così l’efficienza dell’intero processo. Nel 1856 Bessemer pubblicò i risultati dettagliati dei suoi studi in una relazione presentata alla British Association. Il nuovo processo si serviva di «un
macchinario potente che avrebbe consentito un notevole risparmio
25
26
27
12
Mitchell, 1956.
Hobsbawm, 1972, p. 147; si veda anche il grafico 24.
Bessemer, 1905.
28
29
La macchina della crescita
di manodopera e accelerato sensibilmente il processo [di produzione
dell’acciaio]». Bessemer aggiunse inoltre che il metodo avrebbe comportato «una vera e propria rivoluzione […] ovunque nel mondo si
produce acciaio»28.
Nel 1859 Bessemer decise di fondare, a Sheffield, la prima acciaieria al mondo basata sulla tecnologia del convertitore: lo stabilimento ebbe successo e l’inventore cedette i diritti di licenza della sua
invenzione a imprenditori del settore metallurgico nel Regno Unito e
in altre parti del mondo. Le sue idee furono in seguito ulteriormente
perfezionate. Il metodo con “forno a focolare aperto” di SiemensMartin, presentato nel 1865, rese possibile un maggiore controllo
sulle reazioni che intervengono nella produzione dell’acciaio, con
un conseguente miglioramento della qualità del prodotto29. Andrew
Carnegie, l’industriale statunitense nato in Scozia, fu tra quanti furono influenzati dal pensiero di Bessemer: emigrato negli Stati Uniti
nel 1848, all’età di tredici anni, trovò presto lavoro in un cotonificio,
dove trasportava le bobine di filo alla linea di produzione; una volta
presa la decisione di mettersi in proprio, avviò un’attività nel settore
della costruzione di ponti, locomotive e binari che lo avvicinò al settore siderurgico; in seguito all’incontro con Bessemer, in occasione
di un suo viaggio nel Regno Unito nel 1868, Carnegie introdusse
negli Stati Uniti la tecnologia del convertitore. Nel 1899 la Carnegie
Steel di Pittsburgh era ormai diventata il più grande produttore di
acciaio al mondo, con un volume di produzione, in quell’anno, di 2,6
Bessemer, 1856.
Nel 1867 William Siemens, un ingegnere tedesco che lavorava nel Regno Unito,
ottenne acciaio dalla ghisa in un forno a riverbero, il precursore di quello che
diventerà noto come forno Siemens-Martin (William, che riceverà in seguito il
cavalierato, era fratello minore di Werner von Siemens, l’ingegnere elettrico che
fondò la Siemens a Berlino nel 1847). Sempre nel 1867, l’imprenditore francese
Pierre-Émile Martin sfruttò l’idea di produrre acciaio fondendo il ferro battuto
con sfridi di acciaio. Da un’associazione delle due idee nacque il metodo SiemensMartin, un processo per fabbricare l’acciaio che riduceva al minimo le perdite
di calore e permetteva di usare il rottame di acciaio come materia prima. Dal
1890 il metodo Siemens-Martin diventerà il principale processo di fabbricazione
dell’acciaio. Più tardi sarà sostituito dal metodo di affinazione all’ossigeno – una
nuova variante nel procedimento di fabbricazione dell’acciaio – che sostituirà
entrambi i metodi. Il processo di affinazione all’ossigeno della ghisa d’altoforno è
ancora oggi il metodo più utilizzato.
13
Capitolo 1
milioni di tonnellate30. (Due anni dopo Carnegie vendette la propria
società a J.P. Morgan per 400 milioni di dollari; nacque la US Steel,
e Carnegie divenne l’uomo più ricco del mondo.) Grazie alla tecnologia messa a punto da Bessemer, abbinata a sviluppi successivi, fu
possibile produrre acciaio in modo più veloce e facile, con un conseguente calo del suo prezzo dell’86 per cento negli ultimi quattro
decenni dell’Ottocento. Nel 1900 la produzione mondiale di acciaio
era di 28,3 milioni di tonnellate, quattrocento volte più alta di mezzo
secolo prima31.
La produzione manifatturiera globale crebbe molto più rapidamente negli ultimi vent’anni del diciannovesimo secolo, quando i benefici dell’acciaio a basso costo furono pienamente avvertiti, che non
in periodi precedenti. La produzione industriale mondiale aumentò
del 67 per cento tra il 1880 e il 1900, rispetto al 42 per cento dei due
decenni precedenti, e del 22 per cento nel periodo che va dal 1830
al 1860. Una conseguenza del ritmo di espansione globale fu che il
Regno Unito perse la posizione di primo produttore mondiale. Nel
1900 gli Stati Uniti figuravano già al primo posto, con quasi il 24
per cento della produzione mondiale, rispetto al 18,5 per cento del
Regno Unito e al 13,2 per cento della Germania32. Il ruolo di “officina del mondo” del Regno Unito era durato solo quarant’anni (entro
la fine del diciannovesimo secolo, dacché era il maggiore produttore
di acciaio, il paese era già sceso in terza posizione, dietro Stati Uniti
e Germania)33.
L’abbassamento del prezzo dell’acciaio fu tra i fattori più importanti alla base delle grandi trasformazioni economiche: rese possibile la lavorazione di prodotti nuovi e più avanzati, dalle automobili
ai macchinari agricoli agli edifici in cemento armato. I macchinari
realizzati in acciaio consentivano volumi di produzione più elevati
di altri beni economici come prodotti chimici, tessuti e carta. L’uso
di tutti questi prodotti ebbe come effetto finale un potenziamento
della crescita in altri settori non produttivi dell’economia, tra cui il
30
31
32
33
14
Necrologio di Carnegie pubblicato sul “New York Times” del 12 agosto 1919
(http://tinyurl.com/bvpbod8).
Dati ISSB sulla produzione mondiale di acciaio dal 1900.
Per maggiori dettagli sul sorpasso degli Stati Uniti sulla Gran Bretagna, Wallis e
Whitworth, 1969. Si veda anche Wiener, 1981.
Bairoch, 1982, e dati ISSB.
Una curva storica
La macchina della crescita
commercio al dettaglio, il settore dei trasporti, il comparto bancario
e l’agricoltura. In questo modo, l’acciaio a basso costo ha agito da
“catalizzatore di crescita” per l’economia mondiale34.
L’evoluzione dell’industria dell’acciaio è un caso particolare di
una regola generale della produzione manifatturiera: a mano a mano
che cresce l’esperienza nel fabbricare un prodotto, ne diminuisce il
costo, mentre la qualità (o il grado di elaborazione) aumenta. Un
altro modo per descrivere questa regola è parlare di curva di esperienza o curva di apprendimento: più grande è il volume di prodotti
di qualità migliore a costi più contenuti, maggiore è il loro effetto
sul resto dell’economia. Per quanto gli ingegneri tendano ad essere
più interessati a come si fabbricano i prodotti, quello che realmente
conta è come sono utilizzati.
Alla Rivoluzione industriale sono seguite altre tre ere simili. La
prima di queste è la cosiddetta rivoluzione dei trasporti, che è durata dal 1840 al 1890 circa, ed è considerata la “seconda rivoluzione industriale”35. Questo periodo, che in parte si sovrappone alla
Rivoluzione industriale, è stato contraddistinto dallo sviluppo di
nuove macchine per il trasporto, tra cui la locomotiva a vapore e
la nave con scafo in ferro o acciaio. I cambiamenti hanno portato
alla riduzione dei tempi di trasporto di persone e merci, favorendo
il commercio e lo scambio di informazioni. Il loro effetto positivo
34
35
Nel 1890 l’americano Abram Hewitt, ingegnere e imprenditore dell’acciaio,
nonché futuro sindaco di New York, rese omaggio a Bessemer con queste parole:
«Bastano poche considerazioni per comprendere come l’invenzione di Bessemer
rientri tra i maggiori eventi che hanno cambiato il volto della società dai tempi del
Medioevo».
La teoria che vede il mondo soggetto a episodi periodici di grandi trasformazioni
causate dalla tecnologia – che potrebbero essere definiti “nuove rivoluzioni
industriali” – risale ai primi anni del ventesimo secolo. Negli anni venti
l’economista russo Nikolai Dmitrijewitsch Kondrat’ev notò la comparsa di periodi
concertati di crescita scatenati da nuove idee supportate dalla tecnologia. Più tardi
questi periodi furono chiamati onde di Kondrat’ev (http://tinyurl.com/c5g3au).
Partendo da queste idee fu poi possibile rievocare il concetto di nuove rivoluzioni
industriali dopo la prima del diciottesimo secolo. Si vedano anche Marsh, 1982;
Toffler, 1981; e Schwartz, Leyden e Hyatt, 2000.
15
Capitolo 1
sull’economia non fu dovuto solo alla loro invenzione, ma al fatto
che erano stati perfezionati nel tempo, generando così una maggiore
crescita generalizzata. Le locomotive più veloci ed efficienti ne sono
un esempio: hanno contribuito all’espansione di intere industrie, sia
nel settore manifatturiero sia in quello dei servizi.
La rivoluzione dei trasporti fu seguita, o meglio proseguita, dalla
rivoluzione nella scienza, negli anni dal 1860 al 1930. L’acciaio a
basso costo è un prodotto di quest’epoca, insieme a turbina a vapore, motore elettrico, motore a combustione interna e a una serie
di prodotti realizzati dalle nuove industrie chimiche e dei materiali,
dai coloranti all’alluminio36. Tutti questi prodotti furono il risultato
di diversi sviluppi innovativi, ma i processi che portarono alla loro
realizzazione non si fermarono lì: furono acquisite nuove conoscenze che continuarono ad avere un effetto sul modo in cui i prodotti
erano realizzati e ne influenzarono le caratteristiche.
Theodore Paul Wright, un ingegnere che negli anni trenta lavorava alla Curtiss-Wright, azienda aeronautica di New York, fu il primo ad analizzare in dettaglio il rapporto tra volumi di produzione,
capacità produttiva e costi37. Nel 1936 Wright studiò l’effetto sulla
produzione aeronautica di fattori specifici come nuovi modelli pro36
37
16
Per un approfondimento sull’industria chimica e il suo contributo all’economia
globale, Arora, Landau e Rosenberg, 1998; Spitz, 1988; British Plastics Federation,
1986.
Il concetto generale secondo cui la maggiore esperienza nel campo della
produzione consentiva una riduzione dei costi era già noto da molti anni. Nella
Ricchezza delle nazioni Adam Smith aveva sottolineato che: «Effetto naturale
del progresso […] è la diminuzione graduale del prezzo di quasi tutti i manufatti.
Il prezzo della manodopera addetta alla lavorazione diminuisce forse in tutte le
manifatture senza eccezione. In conseguenza dell’uso di macchine migliori, della
maggiore destrezza, e di una più adeguata divisione e distribuzione del lavoro, che
sono tutti effetti naturali del progresso, si rende necessaria una minore quantità
di lavoro per eseguire ogni particolare lavorazione e, per quanto in seguito
alle fiorenti condizioni della società il prezzo reale del lavoro aumenti molto
considerevolmente, la grande diminuzione della sua quantità compenserà tuttavia
in generale molto largamente anche il massimo aumento che si possa verificare
nel suo prezzo. Esistono, è vero, poche manifatture in cui il necessario aumento
del prezzo reale dei materiali grezzi supererà tutti i vantaggi che il progresso può
introdurre nella lavorazione. Nel lavoro dei carpentieri e dei falegnami, e in quello
più comune dei mobilieri, l’aumento del prezzo reale del legname grezzo, prodotto
necessariamente dal miglioramento della terra, supererà tutti i vantaggi che si
possono trarre dal miglior macchinario, dalla maggiore destrezza e dalla più esatta
divisione del lavoro. Ma in tutti i casi in cui il prezzo reale dei materiali grezzi non
38
39
La macchina della crescita
gettuali, materiali migliori e processi di lavorazione avanzati. Il fatto
che fosse possibile costruire più aerei di qualità superiore grazie a
tecniche produttive avanzate non era poi così sorprendente. Più interessante era invece il fatto che il modo migliore per aumentare le
capacità produttive fosse incrementare il volume di produzione38.
Dedicare più tempo a un progetto significava avere quasi la garanzia che l’audacia tecnica sarebbe stata premiata. Lungo il percorso, i costi sarebbero diminuiti mentre la qualità sarebbe aumentata.
Wright scoprì che ogni volta che la produzione di aerei raddoppiava,
i costi di produzione di un singolo apparecchio si riducevano del
20 per cento. Era la prima prova dettagliata che la curva di esperienza funzionava nella vita reale. Se i produttori fossero riusciti
ad applicarla a diversi prodotti, avrebbero potuto tagliare i prezzi
in linea con i costi, vendendo più della concorrenza e incrementando la propria quota di mercato e la propria redditività. Se al
contempo aumentava anche il grado di elaborazione del prodotto,
tanto meglio. Bruce Henderson, ingegnere americano, ex venditore
di bibbie, colse l’importanza di queste implicazioni: nel 1963 fondò
il Boston Consulting Group e insieme ai suoi colleghi produsse una
serie di studi a dimostrazione del fatto che la curva di esperienza
poteva funzionare per molte altre industrie oltre a quella aeronautica. «Appare chiaro», scriveva nel 1972, «che una parte sostanziale
del successo o del fallimento di un’impresa [nella produzione] può
essere spiegata semplicemente in termini di effetti della curva di
esperienza»39.
Un’altra persona che capì queste correlazioni fu Vannevar Bush.
Ingegnere elettrico, ex insegnante di matematica, Bush fu nominato
nel 1941 primo direttore dell’ufficio della ricerca e dello sviluppo
scientifico degli Stati Uniti. In un saggio del 1945 sulla produzione
di apparecchi radiofonici, Bush spiegò il funzionamento della curva
di esperienza.
cresce affatto o non cresce di molto, il prezzo della merce manufatta diminuisce
molto considerevolmente».
Wright pubblicò le proprie idee a proposito della curva di esperienza nel febbraio
del 1936 nel “Journal of the Aeronautical Science”, si veda Yelle, 1983.
Boston Consulting Group, 1972.
17
Capitolo 1
Ora si potevano costruire con poco sforzo macchine composte di
parti facilmente sostituibili […]. [La radio] è prodotta sulla scala delle
centinaia di milioni, impacchettata in involucri e attaccata alla corrente,
e funziona! Le sue parti più fini, il preciso posizionamento e allineamento dei componenti in fase di costruzione avrebbero impegnato un mastro
artigiano di una corporazione per mesi; ora è prodotta al costo di una
trentina di centesimi. Il mondo è giunto nell’era degli strumenti complessi, economici e di alta affidabilità; qualcosa dovrà pur venirne fuori.40
Dopo Babbage
Uno dei progetti finanziati dall’ufficio di Bush fu un programma
di sviluppo informatico alla Moore School of Electrical Engineering
della Pennsylvania University dal quale nacque l’ENIAC (electronic numerical integrator analyser and computer), creato da John
Mauchly e J. Presper Eckert, due dei massimi teorici della scuola.
L’ENIAC, presentato nel 1946, fu il primo elaboratore elettronico
general purpose, una versione moderna della macchina analitica di
Babbage. Mauchly ed Eckert ci misero più di due anni a progettare
e costruire la macchina. L’ENIAC conteneva 17.468 tubi a vuoto
(o valvole termoioniche), 70.000 resistori, 10.000 condensatori,
1500 relè, 6000 interruttori manuali e 5 milioni di saldature. Occupava una superficie di 167 metri quadrati, pesava 30 tonnellate
e consumava 160 kilowatt di elettricità. La macchina fu utilizzata
fondamentalmente per progetti militari durante la guerra fredda:
calcolava le traiettorie dei missili balistici e svolgeva i calcoli necessari per la bomba all’idrogeno. In un secondo, l’ENIAC poteva
eseguire 5000 calcoli matematici, mille volte di più delle macchine
che lo avevano preceduto41. In prezzi del 2010, l’ENIAC costerebbe
6 milioni di dollari42 .
Per quanto la costruzione dell’ENIAC abbia segnato una svolta,
un progresso ancora più significativo gli avrebbe presto fatto segui40
41
42
18
Bush, luglio 1945.
Per maggiori informazioni sull’ENIAC, si veda Marsh, 1981. Per un
approfondimento sulla tecnologia microelettronica, si vedano Reid, 1985; e
Forester 1980.
In tutto il presente volume i valori monetari sono espressi in dollari, con le
conversioni da altre valute ai tassi di cambio correnti.
43
La macchina della crescita
to. I semiconduttori sono dispositivi elettronici nei quali molti singoli componenti in grado di svolgere la funzione di interruttori elettrici
sono montati su un piccolo supporto. Il compito di base di ciascun
componente è consentire il passaggio dell’elettricità o interromperlo,
e la loro azione è regolata da istruzioni elettroniche inviate da un
software. Lo stato on/off dell’interruttore può gestire il linguaggio
digitale del codice di programmazione. Il nome di questi dispositivi
deriva dal fatto che sono costruiti con materiali come il silicio o il
germanio che possono comportarsi da isolanti o conduttori rispetto
al flusso di elettricità (da qui semiconduttori).
Il primo dispositivo a semiconduttore fu inventato nel 1947. Si
trattava di un tipo di semiconduttore particolarmente semplice, detto transistor, equivalente a un singolo interruttore elettrico inserito
in una piastrina di germanio (dopo alcuni anni il silicio diventerà
il materiale più usato per questo tipo di dispositivi). I transistor diventarono il principale candidato per sostituire le valvole usate per
eseguire i calcoli nei primi elaboratori elettronici come l’ENIAC.
Tuttavia i semiconduttori non sarebbero mai stati di grande utilità
fintanto che ciascuno di essi avesse contenuto un solo componente.
Ciò che li rese di più grande interesse fu la scoperta del circuito integrato: un dispositivo a semiconduttore in grado di alloggiare più di
un interruttore. Il primo circuito integrato al mondo – una piastrina
di germanio contenente due circuiti – fu descritto nel febbraio del
1959 in un brevetto presentato da Jack Kilby della società di elettronica americana Texas Instruments.
Grazie anche al sempre maggiore uso di semiconduttori, il numero di elaboratori negli Stati Uniti aumentò da 250 nel 1955 a quasi
70.000 fino al 196843. I transistor erano ancora costosi, tuttavia gli
ingegneri impararono a comprimere più circuiti in un piccolo chip
di materiale, incrementando le potenzialità dei semiconduttori. In
aggiunta, per effetto della crescente competenza acquisita col passare del tempo e l’accumularsi dell’esperienza, i prezzi calarono. Tutto
ciò trovò espressione nella realizzazione del primo microprocessore,
presentato nel 1971: un insieme di circuiti racchiusi all’interno dello
stesso chip in grado di operare a tutti gli effetti come l’unità di ela-
Per i dati sul numero di elaboratori, si veda Braun e MacDonald, 1978, p. 114.
19
Capitolo 1
borazione centrale di un computer. Prodotto dalla Intel, il primo microprocessore, l’Intel 4004, conteneva 2200 transistor. In rapporto
alla sua capacità di elaborazione costava il 95 per cento in meno di
un chip a semiconduttore comparabile di quattro anni prima.
Nei quattro decenni successivi le aziende produttrici di semiconduttori spesero decine di miliardi di dollari per costruire stabilimenti
sempre più avanzati contenenti macchinari in grado di alloggiare
un numero sempre maggiore di “transistor equivalenti” nella stessa
superficie di silicio. In questo sforzo, l’industria dei semiconduttori
dimostrò la veridicità della “legge di Moore”44. Nel 1975 Gordon
Moore, uno dei co-fondatori della Intel, aveva previsto che il numero di transistor per semiconduttore sarebbe raddoppiato ogni due
anni; ipotizzò anche che i costi si sarebbero ridotti allo stesso ritmo.
Nel 2010 il microprocessore Intel X3370, contenente 820 milioni
di transistor, era venduto a poco più di 300 dollari. Il costo di ogni
singolo transistor all’interno del dispositivo era pari alla trentamillesima parte di un centesimo. In poco più di sessant’anni, il prezzo di
un transistor era sceso di trenta milioni di volte. La legge di Moore
si era rivelata ampiamente corretta, fornendo un’ulteriore dimostrazione della validità della curva di esperienza.
L’enorme riduzione nei prezzi dei circuiti elettronici montati su
silicio alimentò una vera e propria esplosione nell’uso dei computer
che portò alla cosiddetta rivoluzione informatica negli anni dal 1950
al 2000, la quarta grande fase di cambiamento innescata dalla produzione manifatturiera. Secondo una stima, nel 1946 nel mondo vi
erano appena dieci computer, macchine da calcolo per lo più paragonabili all’ENIAC. Nel 2010 i computer nel mondo, desktop e portatili, erano circa 2 miliardi, oltre ad apparecchi come gli smartphone
e i sistemi di commutazione computerizzati che fanno parte delle
reti di telecomunicazione. Secondo queste cifre, lo stock di computer
è aumentato di duecento milioni di volte in meno di settant’anni.
Nel 2010 un normale personal computer poteva gestire 3 miliardi di
istruzioni al secondo, 600.000 più dell’ENIAC, e aveva un prezzo di
vendita di circa 650 dollari, pari a un diciassettemillesimo del prezzo
del primo apparecchio di questo tipo.
44
20
“Scientific American”, 1977, p. 5.
Venerdì 13 gennaio 2006 Lakshmi Mittal ha dato una cena a
Londra45. Imprenditore dell’acciaio e amministratore delegato della
Mittal Steel, Mittal era uno degli uomini più facoltosi al mondo.
L’ospite più importante era Guy Dollé, amministratore delegato della Arcelor, società con sede in Lussemburgo. La location era la villa
neopalladiana di Mittal a Kensington, che il miliardario indiano aveva acquistato nel 2004 per 57 milioni di sterline dal magnate della
Formula 1 Bernie Ecclestone.
Pur essendo rivali in affari, Mittal e Dollé nutrivano entrambi un
interesse ossessivo per l’industria dell’acciaio e per i prodotti della
siderurgia. Ex giocatore amatoriale di calcio, mosso da un feroce spirito competitivo, dopo aver inizialmente ricoperto mansioni tecniche
Dollé era gradualmente arrivato ai vertici della Arcelor entrando a
far parte del senior management46. La Arcelor è nata nel 2001 dalla fusione di tre grandi produttori di acciaio con sede in Francia,
Lussemburgo e Spagna ed è considerata un gioiello dell’industria
europea.
Mittal è cresciuto in Rajasthan, nella parte nord occidentale
dell’India, e ha trascorso gran parte della sua vita in una casa con i
pavimenti in cemento grezzo e senza elettricità; è entrato in contatto
con l’industria dell’acciaio ancora ragazzo (durante le vacanze estive
lavorava in una piccola acciaieria gestita dal padre a Calcutta). Negli
anni settanta, con i soldi del padre, aprì un’acciaieria in Indonesia.
Seguirono una serie di acquisizioni in diversi paesi, tra cui Trinidad
e Tobago, Messico, Kazakistan e Romania47. Nel 2004 Mittal ha annunciato l’acquisizione, per 4,5 miliardi di dollari, del produttore di
acciaio americano International Steel Group. Con questa operazione
le acciaierie Mittal hanno superato la Arcelor e sono diventate il più
45
46
47
La macchina della crescita
L’invito
L’autore ha pubblicato numerosi articoli sul “Financial Times” sulla battaglia
per l’offerta di acquisto Mittal Steel/Arcelor del 2006. Si vedano per esempio i
numeri del “Financial Times” del 28 gennaio, del 24 febbraio e del 26 maggio
2006.
Dollé ha lavorato per la maggior parte della sua carriera alla Usinor, una grande
acciaieria francese che nel 2002 si è fusa con altri due grandi produttori di acciaio
europei per formare la Arcelor.
Marsh, 23 dicembre 2006.
21
Capitolo 1
grande produttore di acciaio al mondo. Per celebrare l’evento, Dollé
gli ha inviato un biglietto di congratulazioni48.
Durante l’aperitivo Mittal accennò velatamente al vero motivo
dell’invito: chiese a Dollé se avrebbe approvato una fusione delle due
società. Questo è ciò che lasciò intendere, ma il suo vero obiettivo
era acquisire la Arcelor e integrare le due società sotto lo stretto controllo della Mittal. «Se ci unissimo potremmo realizzare molte delle
cose che entrambi vogliamo, stando dalla stessa parte» disse Mittal:
«Perché non farlo?». L’idea aveva una sua logica. Dall’unione tra la
Mittal Steel e la Arcelor sarebbe nato un colosso della produzione
dell’acciaio, con oltre 300.000 dipendenti in cinque continenti, responsabile di quasi il 10 per cento della produzione globale di acciaio, con un volume annuo di produzione tre volte superiore a quello
dei rivali più vicini49.
Grazie al controllo di una così grande quota di mercato, la società frutto della fusione avrebbe potuto dettare le proprie condizioni ai
clienti, mantenendo alti prezzi e profitti, condividere le conoscenze
sulle migliori tecniche siderurgiche, oltre a usare il potere di acquisto
per tenere bassi i prezzi delle materie prime nelle contrattazioni con i
fornitori di ferro e carbone. Pur conscio degli elevati costi dell’operazione, Mittal era ansioso di acquisire i siti produttivi della Arcelor in
Europa occidentale, tecnologicamente più avanzati e che vantavano
ottimi rapporti con molti clienti importanti, in particolare nel settore automobilistico. L’unione di queste realtà con gli impianti gestiti
dalla Mittal Steel in regioni come l’Asia centrale, l’America meridionale e l’Europa orientale avrebbe prodotto benefici straordinari. Le
due realtà industriali avevano prerogative diverse: la prima operava
al massimo livello di tecnologia e la seconda produceva qualità di
acciaio base a costi più contenuti, potevano quindi imparare l’una
dall’altra. L’azienda nata dall’unione tra le due società si sarebbe trovata avvantaggiata nel combattere le sfide che l’industria siderurgica
doveva affrontare nello sforzo sempre maggiore di ridurre le emissioni di anidride carbonica – di cui il settore siderurgico è uno tra
i maggiori produttori – nel contesto della più ampia lotta contro le
minacce ambientali. Avrebbe anche avuto un ruolo potenzialmente
48
49
22
“Financial Times”, 27 ottobre 2004.
“Financial Times”, 4 febbraio 2006.
La macchina della crescita
più forte nel ritagliarsi una posizione di leadership nei paesi cosiddetti emergenti: Cina, India e Brasile.
Tuttavia le parole che Mittal avrebbe potuto usare per far capire
a Dollé perché una fusione sarebbe stata una buona idea non sono
state pronunciate, e l’uomo d’affari francese ha liquidato velocemente qualsiasi ulteriore discussione con un laconico: «Non sono interessato». Dollé voleva veder crescere la sua azienda, ma alle proprie
condizioni, non a quelle di Mittal; non era sicuro di poter collaborare con Mittal e sospettava inoltre che la fusione di due società con
realtà così differenti in termini di infrastruttura produttiva e struttura aziendale avrebbe potuto portare problemi di difficile soluzione.
La conversazione durante la cena si spostò su argomenti meno
controversi e la serata si concluse in tono sufficientemente amichevole,
ma due settimane dopo Mittal, incurante del rifiuto di Dollé, rese pubblico il proprio progetto presentando un’offerta volontaria di acquisto
da 22,5 miliardi di dollari per la Arcelor. Ne è seguita una battaglia accanita della durata di cinque mesi, segnata da incessanti scontri tra le
due società, interventi politici da parte di molti governi europei, oltre
a una serie di mosse orchestrate da parte delle banche di investimento delle due società per cercare di convincere gli azionisti50. Dollé ha
fatto ostruzionismo, scagliando una serie di invettive contro il rivale,
mentre Mittal ha cercato di cavalcare la questione morale insistendo
che la fusione delle due compagnie avrebbe potuto essere positiva per i
dipendenti e per le comunità in cui vivevano, oltre che per gli azionisti.
Alla fine Mittal ha alzato l’offerta portandola a 33,6 miliardi di dollari, all’incirca il 50 per cento in più rispetto a quella originale. I soldi
parlano… e il 25 giugno il consiglio di amministrazione della Arcelor,
con Dollé ancora contrario all’operazione, ha accettato l’offerta51.
La forma del futuro
Essendosi opposto con tanta violenza all’acquisizione, Dollé difficilmente avrebbe potuto accettare l’offerta di Mittal di un incarico
50
51
“Financial Times”, 5 aprile 2006. Per un resoconto avvincente sulla lotta per
l’acquisizione si veda Bouquet e Ousey, 2008.
“Financial Times”, 26 giugno 2006.
23
Capitolo 1
nella nuova società. A pochi giorni dalla conclusione dell’operazione, il francese ha annunciato le proprie dimissioni. Alla guida della
ArcelorMittal, Mittal ha ora l’opportunità di riflettere su cosa lo
aspetta. Come presidente e maggiore azionista, si trova in una posizione importante.
Nonostante tutti i discorsi sul fatto che il mondo si sta muovendo
verso una fase “post-industriale”, all’inizio del ventunesimo secolo
le fabbriche producono molte più merci di quanto abbiano mai fatto
prima. Nel 2010 la produzione manifatturiera è circa una volta e
mezzo quella del 1990, cinquantasette volte quella del 1900 e duecento volte quella del 1800 (Figura 1). Tra il 1800 e il 2010, la produzione manifatturiera mondiale è aumentata in media del 2,6 per
cento all’anno, a fronte di una crescita annua comparabile del 2 per
cento del prodotto interno lordo (che esprime lo sforzo produttivo
dell’intera economia globale) nello stesso periodo. Il tasso di crescita
media annua della produzione manifatturiera tra il 2000 e il 2010 è
dell’1,8 per cento, un dato apprezzabile considerata la congiuntura
negativa di cui ha risentito gran parte della produzione industriale mondiale durante la profonda recessione economica del 20082009. Tenuto conto dell’inflazione, il prezzo di vendita dell’acciaio
nel 2010 era del 25 per cento inferiore rispetto a un secolo prima,
dopo un periodo in cui la produzione è aumentata di oltre quaranta
volte52. Il dato dimostra la validità della curva di esperienza, quanto
meno per l’acciaio, e tutti i segnali indicano che questa tendenza si
confermerà in futuro, anche per altri prodotti.
In ogni tipo di manufatto la tecnologia – l’applicazione della
scienza all’industria – gioca un ruolo sempre maggiore. Durante il
diciannovesimo secolo e nei primi anni del ventesimo le trasformazioni nel settore manifatturiero furono indotte dagli sviluppi rag-
52
24
Nel 2000 a.C. il prezzo di vendita del ferro, espresso in valori monetari del 2010,
tenuto conto dell’inflazione nei precedenti quattromila anni, era di 10.000 dollari
al chilo. Grazie ai cambiamenti intervenuti nella tecnologia, il prezzo di 1 chilo
di ferro nel 1000 a.C. era pari a 500 dollari (ai prezzi del 2010). All’epoca della
conquista normanna dell’Inghilterra, duemila anni dopo, scendeva a 70 dollari, e
nel 2010 diventava 50 centesimi al chilo. Nei tremila anni che precedono il 2010,
il prezzo del ferro, depurato dell’inflazione, è sceso a un tasso del 99,9 per cento.
Nei quattromila anni antecedenti il 2010, la percentuale di adeguamento è stata
del 99,995 per cento.
25.000
Produzione manifatturiera
PIL
20.000
La macchina della crescita
Figura 1. Produzione manifatturiera mondiale e PIL, 1800-2010
(produzione misurata come indice dove 1800 = 100)
15.000
10.000
5000
0
1800 1830 1900 1913 1938 1950 1953 1960 1970 1980 1990 2000 2010
Nota: Produzione manifatturiera calcolata in valore aggiunto; le due serie di dati sono in
dollari costanti del 2005.
Fonti: Paul Bairoch (come citato in Kennedy, 1993); IHS Global Insight; World Trade
Organization, 2011 Annual Report, disponibile all’indirizzo http://tinyurl.com/o4u6h9a;
UN data base; Maddison, 2003; stime dell’autore.
giunti in un numero di tecnologie relativamente ridotto, tra queste
l’energia del vapore, la lavorazione dei metalli, la generazione di
elettricità e i prodotti chimici. Nel ventunesimo secolo il numero di
tecnologie che hanno avuto conseguenze sulla produzione manifatturiera è cresciuto: oggi fanno parte dell’elenco anche l’elettronica,
le biotecnologie, internet e la tecnologia laser, ciascuna con diverse
sottodiscipline.
Nel frattempo aumenta anche il passo del cambiamento in questi
diversi settori grazie al fatto che più ricercatori, più tecnici e maggiori investimenti sono assegnati dai governi e dalle aziende ai comparti
di ricerca e sviluppo. Inoltre la tecnologia è considerata alla stregua
di un sistema di idee in cui è possibile collegare i diversi progressi in
campi disparati per creare una più ampia varietà di nuovi prodotti e
25
Capitolo 1
26
processi, in settori che vanno dalle apparecchiature medicali all’elettronica di consumo.
Un ulteriore cambiamento riguarda le caratteristiche generali dei
prodotti. In passato i produttori si concentravano sulla produzione
di beni per soddisfare un’ampia gamma di requisiti, garantendo alta
qualità e prezzi ragionevolmente bassi. Il concetto di una produzione
ad hoc (creare diversi prodotti per soddisfare i gusti individuali) era
considerato fuori portata dalla maggior parte delle aziende. Oggi,
spinta dalle richieste dei consumatori e dagli sviluppi della tecnologia che facilitano il soddisfacimento di queste richieste, l’idea di
customizzare i prodotti in funzione delle diverse necessità sta assumendo un’importanza sempre più centrale.
Ciò che contraddistingue un produttore di successo, oggi, è anche
la capacità di ridefinirsi. Fino al 1990 la produzione era considerata
di gran lunga la parte più importante del lavoro di un’impresa manifatturiera. Raramente si prendeva in considerazione di suddividere
i cicli produttivi tra diverse aziende, ma nei primi anni del ventunesimo secolo è cresciuta la consapevolezza che fare i prodotti è solo
una parte della “catena del valore” dei processi aziendali: anche la
progettazione e lo sviluppo, la manutenzione e l’assistenza tecnica
associata al prodotto sono valori importanti. Per essere considerato un grosso produttore, oggi un’azienda non deve necessariamente
produrre, anche se quasi certamente sa bene che cosa la produzione
comporti. Sempre più elementi della catena del valore sono affidati a
una varietà di imprese in diversi paesi e la capacità di gestire questo
mix sta diventano una qualità sempre più apprezzata.
In molte aree di prodotto si aprono nuove opportunità per effetto della convergenza delle innovazioni tecnologiche, della globalizzazione e dell’uso di internet come strumento di marketing, che
hanno creato la base per lo sviluppo di nuove “industrie di nicchia”,
settori che si concentrano su prodotti specifici spesso destinati a
gruppi ristretti di clienti in tutto il mondo. Le aziende che forniscono prodotti in queste nicchie di mercato spesso sono pressoché
sconosciute, e tuttavia in molti casi aumentano rapidamente vendite
e profitti, esercitando un’influenza sulla vita delle persone, in modi
in larga misura invisibili.
Un altro concetto che sta acquisendo sempre maggiore rilievo
è quello di produzione sostenibile. Per effetto dei timori suscitati
53
54
La macchina della crescita
dal riscaldamento globale e dall’esaurimento delle materie prime,
nel mondo cresce la consapevolezza dei danni ambientali provocati
dalle attività umane, molti dei quali sono dovuti alla produzione.
Di conseguenza, c’è più interesse a sviluppare processi produttivi
che abbiano effetti meno dannosi per l’ambiente e a creare nuovi prodotti che possano contribuire a ridurre l’uso dei materiali e
dell’energia. Dall’essere considerate una causa primaria dei mali
ambientali del mondo, le industrie sono sempre più viste come parte
della possibile soluzione.
Nel frattempo è cresciuto il numero di luoghi in cui è possibile
installare produzioni industriali. L’elenco dei paesi “capaci di produrre” è oggi molto più lungo rispetto all’esiguo numero che aveva
svolto un ruolo attivo nelle precedenti quattro rivoluzioni industriali. Nel 2010 la quota di produzione mondiale svolta al di fuori dei
paesi convenzionalmente definiti sviluppati raggiungeva il 41 per
cento, rispetto al 27 per cento del 2000 e al 24 per cento del 199053.
L’elenco delle economie emergenti è guidato dalla Cina, che dopo
essere stata ai margini della produzione manifatturiera globale per
centocinquant’anni, ha cominciato a recuperare terreno negli anni
novanta54. Il tasso di crescita era tale per cui nel 2010 questo paese
rivendicava la posizione di maggiore paese manifatturiero al mondo per volume di produzione, superando gli Stati Uniti che avevano
I dati storici sulla produzione manifatturiera mondiale sono tratti da IHS Global
Insight, Global Manufacturing Output Data 1980-2010, with Split between
Different Countries/Regions, forniti all’autore nell’agosto 2008, e successivamente
integrati nell’ottobre 2011. L’autore ritiene che dai dati IHS risulti un quadro più
completo della produzione manifatturiera mondiale rispetto ai dati comparabili
forniti dall’ufficio statistiche degli Stati Uniti e dalla Banca Mondiale.
La divisione del mondo in economie sviluppate e in via di sviluppo – che include
anche l’uso di varianti come “ricche” e “povere” – risale agli anni sessanta. Asa
Briggs, nel Capitolo 1 di Briggs et al., 1963, p. 15, spiega: «Una circostanza nuova
per la storia inasprisce le tensioni della politica nel mondo contemporaneo. Si
tratta della diffusa consapevolezza della divisione dei paesi in due classi, sviluppati
e in via di sviluppo, secondo la definizione corrente o, in parole più semplici, ricchi
e poveri». Briggs inserisce nella categoria dei paesi sviluppati quelli «dell’Europa
nordoccidentale e le nazioni delle zone temperate che sono state create e
organizzate da individui appartenenti alla stessa razza: Stati Uniti, Canada,
Australia e Nuova Zelanda», oltre a Giappone e URSS. Tutti gli altri rientravano
nella categoria delle regioni in via di sviluppo. Secondo le stime di Briggs, nei primi
anni sessanta i paesi sviluppati producevano e consumavano più di due terzi delle
merci mondiali.
27
Capitolo 1
occupato il primo posto per oltre un secolo55. Altri paesi che per
gran parte del ventesimo secolo avevano avuto un peso solo minore
sull’industria globale cominciavano a far sentire la propria presenza,
tra questi l’India, il Brasile, la Corea del Sud e la Russia. Anche considerato il ruolo crescente di queste economie in rapida espansione,
restano comunque molte opportunità per le aziende localizzate nei
maggiori paesi industrializzati. Molte di queste aziende fanno parte
di cluster di imprese che operano nello stesso settore e hanno sede
nella stessa regione geografica. Anche in un mondo in cui le catene
del valore sono frammentate, nella produzione manifatturiera rimane spazio per quelle aziende che danno importanza ai legami locali.
Questi fattori – la tecnologia, la scelta, le catene del valore, le
produzioni di nicchia, l’ambiente, i nuovi paesi manifatturieri e i
cluster – sono tutti elementi importanti, ma le loro maggiori conseguenze sono legate al modo in cui saranno interconnessi: il risultato sarà un mix di opportunità e insidie, evidenti non solo per
industriali potenti come Mittal ma anche per chi gestisce imprese
produttive molto più piccole in ogni settore; le trasformazioni che
ne deriveranno saranno avvertite da tutti. Non sarà facile prevedere
cosa accadrà, ma non vi è alcun dubbio sulla portata di questi cambiamenti: una nuova rivoluzione industriale è cominciata.
55
28
Dati IHS Global Insight. Nel 2010, secondo i dati IHS, la Cina era responsabile del
19,4 per cento della produzione manifatturiera mondiale, davanti agli Stati Uniti
con il 18,2 per cento. I dati ONU comparabili del 31 dicembre 2011 confermano
il sorpasso della Cina sugli Stati Uniti nel 2010 quale primo paese manifatturiero
al mondo per volume produttivo. I dati ONU assegnano alla Cina una quota di
produzione industriale per l’anno 2010 del 18,6 per cento, rispetto al 18,1 per
cento degli Stati Uniti.
Figura 2. Quote della produzione manifatturiera mondiale dal 1800
a) Divario tra paesi ricchi e paesi poveri
(calcolato come valore aggiunto in dollari del 2005)
100
paesi ricchi
paesi poveri
quota percentuale
80
60
40
20
0
1800
1830
1860
1900
1970
1980
1990
2000
2010
Nota: I paesi ricchi sono America settentrionale, Europa occidentale, Giappone e Australia.
Gli altri rientrano tra quelli poveri. Il Giappone compariva tra i paesi poveri fino al 1970,
la Russia tra quelli ricchi fino a quella data, dopodichè tra quelli poveri.
b) Per i cinque paesi leader
50
Stati Uniti
Germania
Regno Unito
Giappone
40
quota percentuale
Cina
30
20
10
0
1800
1830 1880
1900
1913
1928 1938
1950
1970 1980
Fonti: Bairoch, 1982; IHS Global Insight; ONU; Broadberry, 1997.
1990
2000
2010