Prime pagine - Codice Edizioni
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fabbricare il futuro La Nuova rivoluzione industriale Peter Marsh Traduzione di Brunella Martera Peter Marsh Fabbricare il futuro La nuova rivoluzione industriale Titolo originale The New Industrial Revolution Consumers, Globalization and the End of Mass Production Copyright © 2012 Peter Marsh All rights reserved Redazione e impaginazione: Francesco Rossa Coordinamento produttivo: Enrico Casadei Grafica di copertina: Asintoto Immagine di copertina: © David Cordner / Alamy © 2014 Codice edizioni, Torino Tutti i diritti sono riservati ISBN 978-88-7578-409-6 codiceedizioni.it facebook.com/codiceedizioni twitter.com/codiceedizioni pinterest.com/codiceedizioni Indice VII 3 Prefazione Capitolo 1 La macchina della crescita 31 Capitolo 2 Il potere della tecnologia 57 Capitolo 3 Il sale della vita 85 Capitolo 4 La libera associazione 119 Capitolo 5 Il pensiero di nicchia 153 Capitolo 6 L’imperativo ambientale 183 Capitolo 7 L’ascesa della Cina 211 Capitolo 8 Collusione di massa 241 Capitolo 9 Le fabbriche del futuro 273 Capitolo 10 La nuova rivoluzione industriale 315 341 Bibliografia Indice analitico Prefazione Questo libro non sarebbe stato possibile senza l’aiuto e la collaborazione di molte persone. Un ringraziamento speciale va a tutti i miei colleghi del “Financial Times”. Per gran parte del tempo, da quando ho cominciato a collaborare con il giornale nel 1983, mi sono occupato dell’attività di imprese industriali e ricercatori in ambito tecnologico. Le informazioni acquisite nel corso di migliaia di interviste e incontri in una trentina di paesi sono state una miniera preziosa di aneddoti ed esperienze che costituiscono l’ossatura del libro. Se non avessi collaborato con il “Financial Times”, arrivare a queste persone sarebbe stato difficile, se non impossibile. Un grazie particolare anche ai quattro direttori che si sono susseguiti durante la mia permanenza al giornale: Sir Geoffrey Owen, Sir Richard Lambert, Andrew Gowers e Lionel Barber. Ognuno, a suo modo, ha fornito un supporto prezioso al mio lavoro. È importante inoltre dare il giusto riconoscimento alle nuove organizzazioni che si impegnano, anche economicamente, nella scelta di collaborare con giornalisti fortemente determinati ad approfondire e comprendere le dinamiche del mondo: in questo il “Financial Times” si distingue in modo particolare. Grazie anche ad Arthur Goohart, mio agente letterario quando il libro è stato concepito e scritto. Alla fine degli anni novanta avevo proposto ad Arthur un libro sulla “manifattura moderna”, mi sembrava infatti che, per quanto ce ne fosse bisogno, non esistesse ancora un’opera completa ed esaustiva su questo argomento, e pensavo di essere in una buona posizione per tentare di realizzare questo obiettivo. Arthur è stato una guida preziosa in tutte le nume- Fabbricare il futuro VIII rose fasi di trasformazione del testo, che probabilmente non sarebbe mai stato scritto senza il suo contributo. Robert Baldock, della Yale University Press, sin dall’inizio ha mostrato un tale interesse per l’argomento da chiedermi di scrivere il libro, e ha sempre confidato nelle mie capacità di portarlo a termine. Da molte persone che lavorano per imprese industriali e altre organizzazioni ho ricevuto un addestramento intensivo sui diversi aspetti della manifattura. In particolare vorrei ringraziare Giovanni Arvedi, Mike Baunton, Daniel Collins, Eddie Davies, il compianto John Diebold, Wolfgang Eder, Sir Mike Gregory, Federico Mazzolari, Peter Marcus, Heinrich von Pierer, Hermann Simon, Martin Temple, il compianto Walter Stanners e Sir Alan Wood. Grazie all’amico Peter Chatterton e a mio fratello David Marsh per l’incoraggiamento e il supporto. Stephen Bayley, Bob Bishof, Steve Boorman, Andrew Cook, Gideon Franklin, Branko Moeys, Chris Rea e Hal Sirkin hanno letto tutto il libro, o una sua parte, fornendomi preziosi pareri. Per i dati economici è stato fondamentale l’aiuto di Prem Premakumar e Mark Killion di IHS Global Insight; per le informazioni dettagliate sulla produzione siderurgica dal 1900 ad oggi ringrazio Steve Mackrell e Phil Hunt dell’International Steel Statistics Bureau. Bob Allen, Steve Breadberry, Kenneth Carlaw, Nick Crafts, Ruth Lea, Tim Leuning, Richard Lipsey, Joel Mokyr, Nathaniel Rosenberg, Bob Rowthorn, Andrew Sharp, Eddie Szirmai e Tony Wrigley sono stati una guida utile per l’analisi dei diversi trend economici nel corso della storia. Fridolin Krausmann è stato di grande aiuto nell’elaborazione dei dati riferiti all’impatto ambientale della produzione manifatturiera rispetto all’uso dei materiali. La responsabilità di eventuali errori o dell’incapacità di trarre le giuste conclusioni è soltanto mia. Devo infine molto alla disponibilità e generosità di mia moglie Nikki e dei miei figli Christopher e Jonathan, per aver sopportato a tavola tutte le mie digressioni sui dettagli più nascosti dell’universo della produzione e per averli trovati a volte persino interessanti. Fabbricare il futuro Capitolo 1 La macchina della crescita In principio… «L’oro è per la signora, l’argento per la ragazza! Il rame per l’artigiano bravo nel suo mestiere». «Bene!» disse il Barone, sedendo nella sala, «solo il ferro – il ferro freddo – è padrone di tutti loro!».1 Così scriveva l’illustre scrittore inglese Rudyard Kipling, che visse gran parte della sua vita nella dimora di un proprietario di ferriere del diciassettesimo secolo. Le sue parole sono vere oggi come lo erano nei primi anni del Novecento, quando Kipling, all’apice della popolarità, divenne il più giovane scrittore a ricevere il premio Nobel per la letteratura. Dall’inizio della civilizzazione fino al 2011 il genere umano ha prodotto merci contenenti circa 43 miliardi di tonnellate di ferro2. Di questa immensa quantità di metallo che è 1 2 Kipling, 1909. Si tratta del peso totale complessivo di tutto il ferro e l’acciaio prodotti, inclusi gli articoli riciclati. Di questi, circa 33 miliardi di tonnellate provengono da ferro estratto dal suolo, il resto da prodotti riciclati e sfridi. I dati sulla produzione di acciaio dal 1900 sono dell’International Steel Statistics Bureau (ISSB) di Londra. I dati antecedenti sono tratti da History Database of the Global Environment, Netherlands Environmental Assessment Agency (http://tinyurl.com/ol34o8g). Dei 33 miliardi di tonnellate di ferro fino ad oggi usate per produrre merci contenenti ferro e acciaio, la quasi totalità è rintracciabile in qualche punto del pianeta. È possibile accedere ai dati sulla produzione di ferro e acciaio in questo database compiendo una ricerca dettagliata per alluminio, rame ecc. Si presume che prima del 1890 siano stati fabbricati complessivamente 130 milioni di tonnellate di Capitolo 1 finita nei prodotti più disparati, dai reattori nucleari ai giocattoli per bambini, quasi la metà è stata prodotta dopo il 1990. La maggior parte del ferro oggi usato si presenta nello stadio finale come acciaio, una forma più dura e resistente di quel metallo, contenente tracce di carbonio. Della massa del nostro pianeta (6000 miliardi di miliardi di tonnellate), circa un terzo, secondo gli esperti, è costituito da ferro3. La maggior parte di questo ferro si trova a una profondità tale da renderlo inaccessibile, eppure, anche così, ipotizzando tassi di produzione come quelli del 2011, la quantità di ferro estraibile a livelli più vicini alla superficie terrestre sarà sufficiente a soddisfare il fabbisogno di materie prime delle acciaierie di tutto il mondo ancora per un miliardo di anni4. Questo elemento si trova in natura quasi sempre in composti: i più comuni sono gli ossidi di ferro, presenti in minerali quali l’ematite e la magnetite. In questi materiali, il ferro e l’ossigeno si combinano per formare legami diversi. Per estrarre il ferro dall’ossido di ferro si usa il processo di fusione, che si compie quando minerali a base di ossidi sono riscaldati ad alte temperature in forni alimentati con carbone di legna. Per mezzo del processo chimico di riduzione, il carbone di legna si lega con l’ossigeno presente nel minerale producendo biossido di carbonio e lasciando il metallo quasi puro. 3 4 4 prodotti di ferro. Queste stime sono tratte dai calcoli fatti dall’autore, supportati dalle conversazioni con Robert Hunter. La massa della Terra è di norma considerata pari a 5,98 × 1021 tonnellate ossia circa 6000 miliardi di miliardi di tonnellate. Maggiori dettagli possono essere reperiti presso il Thomas Jefferson National Accelerator Facility del dipartimento americano per l’energia (http://tinyurl.com/6zva9d); per maggiori informazioni sulla massa della Terra si veda http://tinyurl.com/yzo9xqq. Questi siti indicano la percentuale della Terra costituita da ferro rispettivamente al 35 per cento e al 34,6 per cento. In Viaggio al centro della Terra Jules Verne racconta un viaggio immaginario sotto la superficie terrestre. La crosta terrestre si estende per una trentina di chilometri al di sotto della superficie e ha una massa totale di circa 26 miliardi di miliardi di tonnellate, di cui il 5 per cento è costituito da ferro (Schieber, 2007, cap. 5, http://tinyurl. com/7j5wc4r). Con un tasso di sfruttamento di circa 1 miliardo di tonnellate l’anno, grossomodo l’estrazione annua nel 2010-2011, il ferro dovrebbe durare ancora un miliardo di anni. Tuttavia, la quantità di ferro considerata facilmente estraibile con sistemi ortodossi è di gran lunga inferiore, ed è stimata in 230 miliardi di tonnellate; considerando questo dato il ferro si esaurirebbe attorno al 2200 (World Steel Association, 2011). 5 6 La macchina della crescita La fusione è un processo noto da circa cinque millenni. In origine era usata per ricavare il rame e lo stagno, componenti del bronzo, ma dovettero passare parecchi anni prima che fosse usata per produrre il ferro in grandi quantità. La ragione di ciò va cercata nelle caratteristiche chimiche e fisiche del minerale: la temperatura necessaria per la fusione dipende dal punto di fusione del metallo; il ferro fonde a 1530°C, temperatura ben superiore a quella necessaria per fondere il rame o lo stagno. In aggiunta, il procedimento di estrazione delle impurità dovute alla presenza di sostanze estranee quali argille miste e altri minerali è più complesso nel caso del ferro che per altri metalli. Una prima svolta si ebbe intorno al 1200 a.C., forse in Mesopotamia o nei territori limitrofi, in un’area che corrisponde all’attuale Iraq, quando furono scoperti metodi per mantenere la temperatura all’interno delle fornaci a livelli sufficientemente alti (intorno ai 1200°C) da ammorbidire il ferro5. Furono inoltre sviluppati procedimenti più efficaci per separare le impurità – la cosiddetta loppa – con la battitura al maglio. Questi nuovi processi furono presto adottati in molte aree attorno al Mediterraneo orientale. Poiché il ferro poteva essere estratto con maggiore facilità, la quantità di metallo disponibile aumentò molto e ciò determinò un calo del suo prezzo, che scese all’incirca del 97 per cento nei quattro secoli precedenti il 1000 a.C.6. L’acciaio fu scoperto più o meno in quel periodo. Si tratta di un materiale per il quale vale il cosiddetto approccio di Riccioli d’oro: la quantità di carbonio e altri elementi presenti nella miscela non deve essere troppa, né troppo poca, ma esattamente quella giusta. Si scoprì che il ferro mischiato con troppo poco carbonio produceva un materiale alquanto tenero, ma che poteva essere modellato con una certa facilità; se la concentrazione di carbonio era troppo elevata, il metallo risultava invece più duro, ma fragile. Nella terminologia corrente il ferro con un basso tenore di carbonio (inferiore allo 0,5 per cento) è detto ferro battuto. Quando il tenore di carbonio è alto (superiore all’1,5 per cento), il risultato è la ghisa di prima fusione Come materiali isolanti erano probabilmente usate anche pelli di animali sovrapposte a uno strato di ceramica, insieme a mantici rudimentali che immettevano aria nella fornace per mantenerne caldo l’interno. Calcoli basati su Hunter, 2004. Si veda anche Hunter, 2008. Hunter ha collaborato con l’autore anche via e-mail. 5 Capitolo 1 (o ghisa grezza). L’acciaio non è costituito da una singola lega ma da una serie di varianti del ferro che presentano diverse proprietà in funzione della loro struttura chimica. Oggi nella lavorazione dell’acciaio è molto importante l’aggiunta di piccole, specifiche quantità di elementi quali vanadio, cromo e nichel. Queste variazioni nella composizione modificano le proprietà dell’acciaio, rendendolo per esempio più resistente alla corrosione o migliore conduttore di elettricità. Il periodo che cominciò intorno al 1200 a.C. è conosciuto come Età del ferro; gli storici ritengono che sia durata all’incirca tredici secoli, ma in verità non è mai realmente finita7. In origine era pressoché impossibile stabilire con precisione la composizione dell’acciaio: in ogni aspetto della produzione e lavorazione del ferro e dell’acciaio i progressi erano lenti ed empirici. Eppure, per più di un millennio, un paese si confermò leader indiscusso nella produzione siderurgica: la Cina, all’avanguardia nella produzione di altiforni (che prevedevano l’uso di soffierie per immettere l’aria necessaria al processo di fusione per mezzo di pistoni idraulici). In Cina si costruivano altiforni già nel 200 a.C., milleseicento anni prima che in Europa. Per gran parte del Medioevo la produzione siderurgica cinese fu di gran lunga superiore a quella europea, sia in termini di produzione totale, sia su base pro capite, ma alla fine del diciassettesimo secolo l’Inghilterra cominciava già a mettersi in mostra come il paese che sarebbe diventato teatro degli eventi più importanti nella produzione siderurgica8. Avanti tutta Fulcro del cambiamento è Sheffield, una città nell’Inghilterra settentrionale che traeva beneficio dalla vicinanza con tre fonti di risorse naturali: le colline dei Pennini, con i loro preziosi giacimenti di ferro; il fiume Don, che attraversava la città offrendo una preziosa sorgente di energia idrica per gli altiforni; e i grandi bacini carboniferi, dai quali si estraeva il carbone minerale che aveva ormai sostituito quello di legna come principale agente riducente nel processo di fusione. 7 8 6 Bashforth, 1959; Alexander e Street, 1979. Mokyr, 1990, p. 329. Si vedano anche Wagner, 1993 e Wagner, 1997. 9 10 La macchina della crescita Benjamin Huntsman era un fabbro e orologiaio originario di Doncaster, trasferitosi nel 1740 ad Handsworth, un villaggio nelle vicinanze di Sheffield. Inizialmente, più che alla produzione di ferro e acciaio, era interessato all’uso che avrebbe potuto farne per i suoi prodotti. Non soddisfatto della qualità dell’acciaio allora disponibile, decise di provare a trovare un nuovo modo per ottenerlo9. Huntsman dovette affrontare le due questioni critiche che erano già state cruciali per l’estrazione e la lavorazione del ferro nell’antica Mesopotamia: aumentare la temperatura e modificare la composizione della miscela di ferro, carbonio e loppa. Il metodo che mise a punto si basava su un nuovo modello di crogiolo in argilla in grado di resistere a temperature fino a 1600°C senza fessurarsi o deformarsi. Una miscela incandescente di ferro e carbonio era colata da un altoforno in un crogiolo insieme a piccole quantità di altri materiali, tra cui alcuni frammenti di acciaio vescicolare di buona qualità10; le impurità erano quindi separate attraverso i fori alla base del crogiolo; la percentuale delle diverse sostanze aggiunte o rimosse determinava la velocità di formazione dell’acciaio, oltre alle sue proprietà. Huntsman adottò il cosiddetto processo al crogiolo intorno al 1742. Questo metodo presentava alcuni inconvenienti: la tecnologia permetteva di ottenere acciaio in minime quantità, adatte alla fabbricazione di manufatti quali utensili, coltelleria e componenti per orologeria, e si trattava di un processo secondario, la cui realizzazione dipendeva dalla disponibilità di piccole quantità di acciaio vescicolare precedentemente prodotte. Il procedimento tuttavia era ripetibile: seguiva un ciclo ben definito che poteva essere replicato più volte. Quella di Huntsman fu una delle prime tecniche di questo tipo usate in ambito industriale. Anche se ci volle più di un secolo prima che ci fosse un reale miglioramento della tecnica da lui ideata combinando qualità del prodotto con elevata velocità di lavorazione, Huntsman può essere considerato il precursore di questi sviluppi. Hey, 2005. In inglese blister steel; è uno dei primi acciai omogenei prodotti, si ottiene riscaldando barre di ferro dolce impregnate di carbone e lasciandole raffreddare molto lentamente. Sulla superficie compaiono macchie a forma di vescicole dovute al gas che fuoriesce dal materiale. [N.d.T.] 7 Capitolo 1 Il progresso reso possibile grazie al nuovo metodo inventato da Huntsman giunse in un momento in cui la Gran Bretagna era responsabile solo di una piccola quota della produzione manifatturiera mondiale. Nel 1750 il paese leader nella produzione manifatturiera globale era la Cina, con un terzo del volume di produzione11, seguita dall’India con un quarto. Al primo posto in Europa c’era la Russia, con il 5 per cento del totale mondiale, seguita dalla Francia. Con una quota dell’1,9 per cento, la Gran Bretagna e l’Irlanda occupavano un misero decimo posto nella classifica12, ma il cambiamento era nell’aria13. Nel 1769 l’ingegnere scozzese James Watt brevettò un’altra “grande idea”, non tanto nei materiali quanto nelle modalità di fornitura dell’energia14. Perfezionando progetti già esistenti, Watt inventò un motore a vapore, utile sia per pompare acqua fuori dalle miniere sia per azionare le macchine. Il motore a vapore è oggi considerato uno dei migliori esempi di tecnologia universale15: una tecnologia specifica dotata di un potenziale applicativo estremamente vasto che ha inoltre il pregio di essere perfezionabile. L’avvento del motore di Watt fu accompagnato da altri eventi chiave che si riveleranno determinanti per il progresso industriale. «Intorno al 1760 un’ondata di congegni si abbatté sull’Inghilterra», così uno storico descrisse le trasformazioni in atto16. Questi congegni legati alla 11 12 13 14 15 16 8 L’espressione volume di produzione [output, in senso economico, nell’originale (N.d.T.)] si intende qui come produzione industriale a “valore aggiunto”, che per un’azienda corrisponde alle entrate meno i costi per l’acquisto di beni e servizi. Il prodotto interno lordo di un paese o un gruppo di paesi è sempre espresso in termini di “valore aggiunto”. La produzione industriale è una voce del PIL. È preferibile evitare di confrontare parametri descritti in termini di valore aggiunto – come PIL e produzione industriale a valore aggiunto – con voci riferite a entrate lorde. Pertanto non ha pressoché mai senso accostare il PIL dei paesi a dati riferiti alle vendite delle aziende. Bairoch, 1982, dati citati in Kennedy, 1993, in particolare tabelle 14, 15, 17, 18, 26, 28, 30. Si veda anche Crafts, 2004. I dati sulla produzione qui utilizzati fino al 1900 circa si basano sulle statistiche di Bairoch che, benché generalmente considerate imprecise dagli storici economici, rimangono comunque i migliori dati disponibili. Per il periodo storico antecedente alla Rivoluzione industriale, si vedano Cipolla, 1976, Gimpel, 1988 e Usher, 1988. Marsden, 2002. Lipsey, Carlaw e Bekar, 2005. Ashton, 1993. 17 18 19 La macchina della crescita produzione manifatturiera includevano anche nuovi macchinari per l’industria tessile e metallurgica17. I progressi nella tecnologia andavano di pari passo con altre trasformazioni che riguardavano la società e l’economia: i primi tentativi di organizzazione delle fabbriche su larga scala, una popolazione in crescita, che era anche più sana e meglio istruita, l’apertura del commercio mondiale e la nascita di società di capitali che contribuivano a incoraggiare l’imprenditorialità. A seguito di questi cambiamenti, tra il 1700 e il 1890 in Gran Bretagna la quota di forza lavoro impiegata nell’industria aumentò dal 22 al 43 per cento, mentre il dato riferito all’agricoltura scese dal 56 al 16 per cento18. In Gran Bretagna e Irlanda la produzione manifatturiera pro capite aumentò di otto volte dal 1750 al 1860, quattro volte più che in Francia e Germania, e sei volte più che in Italia e Russia, mentre in Cina e in India la produzione manifatturiera pro capite registrò un calo. Nel 1800 la Gran Bretagna era responsabile di poco più del 4 per cento della produzione manifatturiera mondiale, diventando così la quarta potenza industriale mondiale dietro Cina, India e Russia. Nel 1860 era già il primo paese in termini di produzione manifatturiera, coprendo quasi il 20 per cento del totale mondiale, seguita a breve distanza dalla Cina. Gli Stati Uniti occupavano il terzo posto, con quasi il 15 per cento19. In Gran Bretagna il termine manifattura entrò a far parte anche della lingua. La parola deriva dal latino manus, “mano”, e facio, “fare”. Benché sia stato registrato per la prima volta intorno al 1560, l’uso del termine era considerato raro. Shakespeare, che morì Tra le macchine che utilizzavano nuove apparecchiature per la meccanizzazione della filatura del cotone vi erano la “giannetta” di James Hargreaves e il telaio ad acqua di Richard Arkwright. Lo storico Robert Allen ha riassunto i punti più importanti che collegano queste invenzioni in un più ampio contesto: «Il nodo da sciogliere per spiegare perché la Rivoluzione industriale ebbe luogo proprio in Inghilterra consiste dunque nel rispondere a questa domanda: perché gli imprenditori inglesi dedicarono tanto tempo e denaro alla ricerca e sviluppo […] per tradurre in pratica quelle che spesso erano idee banali? La risposta è che le macchine che essi inventarono intensificavano l’uso del capitale per risparmiare manodopera e che, di conseguenza, era conveniente usarle là dove il lavoro era costoso e il capitale a buon mercato, ossia in Inghilterra. È questo il motivo per cui l’Inghilterra fu la culla della Rivoluzione industriale» (Allen, 2013, pp. 42-43). Maddison, comunicazione privata, 9 giugno 2006. Bairoch, 1982. 9 Capitolo 1 nel 1616, non usò mai parole come manifattura o fabbrica nelle sue opere, tuttavia, a partire dal 1800 circa, i termini erano già entrati nell’uso comune20. I settant’anni di grandi cambiamenti che intercorrono tra il 1780 e il 1850 sono stati il primo periodo di produzione organizzata su larga scala, che si concentrò in Gran Bretagna e divenne noto come Prima rivoluzione industriale, o Rivoluzione industriale tout court21. Di tutti gli eventi che hanno plasmato il mondo negli ultimi cinque secoli del secondo millennio, la Rivoluzione industriale fu il più importante. Ponti sul futuro Charles Babbage era figlio di questa epoca di trasformazioni. Nato a Londra nel 1791, trascorse gran parte della sua infanzia a Totnes, piccola città nel Devon. Dopo avere studiato matematica alla University of Cambridge, all’età di ventiquattro anni divenne membro della Royal Society. In uno studio del 1822 Babbage descrisse il modello di una macchina di calcolo che chiamò macchina alle differenze, il cui progetto si basava su diverse colonne meccaniche ognuna delle quali muoveva una serie di ruote dentate; attraverso un sistema di leve e ingranaggi, le ruote dentate e le colonne potevano essere manipolate in modo da eseguire i calcoli. Babbage provò a costruirne un primo esemplare, ma il livello di complessità era così alto che dovette desistere22 . 20 21 22 10 Ricerca automatica sull’opera di Shakespeare svolta dall’autore nel marzo 2011. Per l’etimologia si veda http://tinyurl.com/qb6knjr, dove l’uso del termine manufacturing (manifattura) è fatto risalire agli anni intorno al 1560, con il significato di “cosa fatta a mano”. Il termine derivava dalle parole latine manus (mano) e factura (lavorazione). Per la definizione e derivazione di “industria”, si veda anche http://tinyurl.com/7dndmvd, dove la parola industry (industria) è fatta derivare dal francese industrie, che significa “operosità”, che a sua volta deriva dal latino industria. Sulla Rivoluzione industriale in Gran Bretagna esiste una letteratura immensa. Secondo Eric John Hobsbawm, la Rivoluzione industriale «costituisce la più fondamentale trasformazione della vita umana in tutta la storia universale tramandata da documenti scritti» (Hobsbawm, 1972, p. 3). Si vedano anche Matthias, 1983; Musson, 1978; Court, 1967; Dawson, 1972; e Berg, 1994. Bruen, 1995 (http://tinyurl.com/o2gncz5). Si veda anche, per il periodo di Babbage a Cambridge, http://tinyurl.com/lzlcvb. 23 24 La macchina della crescita Mente infaticabile, Babbage passò alla progettazione di una macchina di calcolo ancora più avanzata, che chiamò macchina analitica. La macchina analitica era stata concepita come macchina di calcolo universale, in grado di eseguire una serie di compiti estremamente ampia, a seconda del modo in cui era programmata. Per questo la macchina è spesso considerata il progenitore dei moderni computer. Ma come la macchina alle differenze, anche quella analitica non fu mai costruita al tempo di Babbage: entrambe erano troppo complesse per le competenze ingegneristiche dell’epoca. Babbage trovò anche il tempo per scrivere uno dei primi trattati sulla manifattura, Sulla economia delle macchine e delle manifatture, pubblicato nel 1832, in cui osservava come nella storia di ogni articolo realizzato con successo troveremo sempre «una serie di fallimenti che hanno gradualmente aperto la via all’eccellenza»23. Sir Henry Bessemer avrebbe in seguito condiviso questa opinione. Grazie alle ottime doti pratiche, aveva maggiori probabilità rispetto a Babbage di trasformare un concetto teorico in un successo, in particolare per quanto riguardava la realizzazione pratica. Nato in un villaggio nei pressi di Londra nel 1813, Bessemer intraprese la carriera di inventore lavorando a sistemi di stampa innovativi, matrici antifrode per la stampa di documenti ufficiali e metodi produttivi per ottenere velluto di alta qualità per l’industria tessile. Del suo approccio scriveva: «Non avevo idee fisse derivate da una lunga esperienza provata che potessero controllare e influenzare la mia mente, e non ero vittima della diffusa convinzione che ciò che è sia giusto semplicemente perché è»24. La più grande sfida per Bessemer giunse nel decennio successivo al 1850, al tempo della guerra di Crimea. Era stato incoraggiato a lavorare a nuovi tipi di cannone da Napoleone III, allora alleato del Regno Unito. Gli ingegneri militari avevano scoperto che sarebbe stato possibile controllare più facilmente la traiettoria dei proiettili facendoli girare vorticosamente all’interno delle canne delle armi da fuoco. Tuttavia il moto rotatorio dei proiettili creava sollecitazioni supplementari che potevano danneggiare le armi al momento dello sparo. Si rendeva dunque necessario sostituire il ferro con un mateBabbage, 1834, p. 7. Bessemer, 1905. 11 Capitolo 1 riale più resistente, e l’acciaio era la scelta più ovvia. Bessemer capì tuttavia che per poterlo utilizzare ci sarebbe stato bisogno di perfezionarne il metodo di produzione25. Dal tempo di Huntsman, la Gran Bretagna era ormai diventata il leader mondiale nella produzione dell’acciaio, responsabile del 70 per cento delle 70.000 tonnellate prodotte nel 1850; e Sheffield, da sola, copriva la metà del totale globale26. La maggior parte di questo acciaio era prodotta per mezzo di un processo laborioso chiamato puddellaggio – inventato nel 1768 da Henry Cort, un fabbro dell’Hampshire – che consentiva di ottenere ferro battuto dalla ghisa grezza estraendo il carbonio da una miscela rovente composta da metallo, carbonio e varie impurità. Per farlo era necessario che un operaio specializzato (e anche robusto) con un’asta di metallo rimescolasse di continuo la miscela, alla quale era poi aggiunto altro carbonio, sotto forma di carbone di legna, per ottenere la lega di acciaio voluta. Il puddellaggio rappresentava in un certo senso una variante della tecnica di Huntsman; era un metodo per poter ottenere acciaio in quantità maggiori rispetto al processo al crogiolo (comunque non più di 30 chili alla volta) che presentava tuttavia molti svantaggi. Come scrisse Bessemer nella propria autobiografia «a quei tempi [inizio del decennio successivo al 1850] non esisteva un acciaio adatto per fini strutturali [da cui si potessero ottenere sezioni di grandi dimensioni] […] il processo era lungo e costoso»27. Bessemer voleva ottenere l’acciaio dalla ghisa grezza in un solo passaggio e ci riuscì soffiando aria fredda nella ghisa grezza fusa. L’ossigeno presente nell’aria catturava una parte degli atomi di carbonio presenti nella ghisa grezza, convertendoli in biossido di carbonio e ricavando in tal modo l’acciaio. Poiché la reazione produceva calore, la temperatura saliva a mano a mano che si immetteva aria, aumentando così l’efficienza dell’intero processo. Nel 1856 Bessemer pubblicò i risultati dettagliati dei suoi studi in una relazione presentata alla British Association. Il nuovo processo si serviva di «un macchinario potente che avrebbe consentito un notevole risparmio 25 26 27 12 Mitchell, 1956. Hobsbawm, 1972, p. 147; si veda anche il grafico 24. Bessemer, 1905. 28 29 La macchina della crescita di manodopera e accelerato sensibilmente il processo [di produzione dell’acciaio]». Bessemer aggiunse inoltre che il metodo avrebbe comportato «una vera e propria rivoluzione […] ovunque nel mondo si produce acciaio»28. Nel 1859 Bessemer decise di fondare, a Sheffield, la prima acciaieria al mondo basata sulla tecnologia del convertitore: lo stabilimento ebbe successo e l’inventore cedette i diritti di licenza della sua invenzione a imprenditori del settore metallurgico nel Regno Unito e in altre parti del mondo. Le sue idee furono in seguito ulteriormente perfezionate. Il metodo con “forno a focolare aperto” di SiemensMartin, presentato nel 1865, rese possibile un maggiore controllo sulle reazioni che intervengono nella produzione dell’acciaio, con un conseguente miglioramento della qualità del prodotto29. Andrew Carnegie, l’industriale statunitense nato in Scozia, fu tra quanti furono influenzati dal pensiero di Bessemer: emigrato negli Stati Uniti nel 1848, all’età di tredici anni, trovò presto lavoro in un cotonificio, dove trasportava le bobine di filo alla linea di produzione; una volta presa la decisione di mettersi in proprio, avviò un’attività nel settore della costruzione di ponti, locomotive e binari che lo avvicinò al settore siderurgico; in seguito all’incontro con Bessemer, in occasione di un suo viaggio nel Regno Unito nel 1868, Carnegie introdusse negli Stati Uniti la tecnologia del convertitore. Nel 1899 la Carnegie Steel di Pittsburgh era ormai diventata il più grande produttore di acciaio al mondo, con un volume di produzione, in quell’anno, di 2,6 Bessemer, 1856. Nel 1867 William Siemens, un ingegnere tedesco che lavorava nel Regno Unito, ottenne acciaio dalla ghisa in un forno a riverbero, il precursore di quello che diventerà noto come forno Siemens-Martin (William, che riceverà in seguito il cavalierato, era fratello minore di Werner von Siemens, l’ingegnere elettrico che fondò la Siemens a Berlino nel 1847). Sempre nel 1867, l’imprenditore francese Pierre-Émile Martin sfruttò l’idea di produrre acciaio fondendo il ferro battuto con sfridi di acciaio. Da un’associazione delle due idee nacque il metodo SiemensMartin, un processo per fabbricare l’acciaio che riduceva al minimo le perdite di calore e permetteva di usare il rottame di acciaio come materia prima. Dal 1890 il metodo Siemens-Martin diventerà il principale processo di fabbricazione dell’acciaio. Più tardi sarà sostituito dal metodo di affinazione all’ossigeno – una nuova variante nel procedimento di fabbricazione dell’acciaio – che sostituirà entrambi i metodi. Il processo di affinazione all’ossigeno della ghisa d’altoforno è ancora oggi il metodo più utilizzato. 13 Capitolo 1 milioni di tonnellate30. (Due anni dopo Carnegie vendette la propria società a J.P. Morgan per 400 milioni di dollari; nacque la US Steel, e Carnegie divenne l’uomo più ricco del mondo.) Grazie alla tecnologia messa a punto da Bessemer, abbinata a sviluppi successivi, fu possibile produrre acciaio in modo più veloce e facile, con un conseguente calo del suo prezzo dell’86 per cento negli ultimi quattro decenni dell’Ottocento. Nel 1900 la produzione mondiale di acciaio era di 28,3 milioni di tonnellate, quattrocento volte più alta di mezzo secolo prima31. La produzione manifatturiera globale crebbe molto più rapidamente negli ultimi vent’anni del diciannovesimo secolo, quando i benefici dell’acciaio a basso costo furono pienamente avvertiti, che non in periodi precedenti. La produzione industriale mondiale aumentò del 67 per cento tra il 1880 e il 1900, rispetto al 42 per cento dei due decenni precedenti, e del 22 per cento nel periodo che va dal 1830 al 1860. Una conseguenza del ritmo di espansione globale fu che il Regno Unito perse la posizione di primo produttore mondiale. Nel 1900 gli Stati Uniti figuravano già al primo posto, con quasi il 24 per cento della produzione mondiale, rispetto al 18,5 per cento del Regno Unito e al 13,2 per cento della Germania32. Il ruolo di “officina del mondo” del Regno Unito era durato solo quarant’anni (entro la fine del diciannovesimo secolo, dacché era il maggiore produttore di acciaio, il paese era già sceso in terza posizione, dietro Stati Uniti e Germania)33. L’abbassamento del prezzo dell’acciaio fu tra i fattori più importanti alla base delle grandi trasformazioni economiche: rese possibile la lavorazione di prodotti nuovi e più avanzati, dalle automobili ai macchinari agricoli agli edifici in cemento armato. I macchinari realizzati in acciaio consentivano volumi di produzione più elevati di altri beni economici come prodotti chimici, tessuti e carta. L’uso di tutti questi prodotti ebbe come effetto finale un potenziamento della crescita in altri settori non produttivi dell’economia, tra cui il 30 31 32 33 14 Necrologio di Carnegie pubblicato sul “New York Times” del 12 agosto 1919 (http://tinyurl.com/bvpbod8). Dati ISSB sulla produzione mondiale di acciaio dal 1900. Per maggiori dettagli sul sorpasso degli Stati Uniti sulla Gran Bretagna, Wallis e Whitworth, 1969. Si veda anche Wiener, 1981. Bairoch, 1982, e dati ISSB. Una curva storica La macchina della crescita commercio al dettaglio, il settore dei trasporti, il comparto bancario e l’agricoltura. In questo modo, l’acciaio a basso costo ha agito da “catalizzatore di crescita” per l’economia mondiale34. L’evoluzione dell’industria dell’acciaio è un caso particolare di una regola generale della produzione manifatturiera: a mano a mano che cresce l’esperienza nel fabbricare un prodotto, ne diminuisce il costo, mentre la qualità (o il grado di elaborazione) aumenta. Un altro modo per descrivere questa regola è parlare di curva di esperienza o curva di apprendimento: più grande è il volume di prodotti di qualità migliore a costi più contenuti, maggiore è il loro effetto sul resto dell’economia. Per quanto gli ingegneri tendano ad essere più interessati a come si fabbricano i prodotti, quello che realmente conta è come sono utilizzati. Alla Rivoluzione industriale sono seguite altre tre ere simili. La prima di queste è la cosiddetta rivoluzione dei trasporti, che è durata dal 1840 al 1890 circa, ed è considerata la “seconda rivoluzione industriale”35. Questo periodo, che in parte si sovrappone alla Rivoluzione industriale, è stato contraddistinto dallo sviluppo di nuove macchine per il trasporto, tra cui la locomotiva a vapore e la nave con scafo in ferro o acciaio. I cambiamenti hanno portato alla riduzione dei tempi di trasporto di persone e merci, favorendo il commercio e lo scambio di informazioni. Il loro effetto positivo 34 35 Nel 1890 l’americano Abram Hewitt, ingegnere e imprenditore dell’acciaio, nonché futuro sindaco di New York, rese omaggio a Bessemer con queste parole: «Bastano poche considerazioni per comprendere come l’invenzione di Bessemer rientri tra i maggiori eventi che hanno cambiato il volto della società dai tempi del Medioevo». La teoria che vede il mondo soggetto a episodi periodici di grandi trasformazioni causate dalla tecnologia – che potrebbero essere definiti “nuove rivoluzioni industriali” – risale ai primi anni del ventesimo secolo. Negli anni venti l’economista russo Nikolai Dmitrijewitsch Kondrat’ev notò la comparsa di periodi concertati di crescita scatenati da nuove idee supportate dalla tecnologia. Più tardi questi periodi furono chiamati onde di Kondrat’ev (http://tinyurl.com/c5g3au). Partendo da queste idee fu poi possibile rievocare il concetto di nuove rivoluzioni industriali dopo la prima del diciottesimo secolo. Si vedano anche Marsh, 1982; Toffler, 1981; e Schwartz, Leyden e Hyatt, 2000. 15 Capitolo 1 sull’economia non fu dovuto solo alla loro invenzione, ma al fatto che erano stati perfezionati nel tempo, generando così una maggiore crescita generalizzata. Le locomotive più veloci ed efficienti ne sono un esempio: hanno contribuito all’espansione di intere industrie, sia nel settore manifatturiero sia in quello dei servizi. La rivoluzione dei trasporti fu seguita, o meglio proseguita, dalla rivoluzione nella scienza, negli anni dal 1860 al 1930. L’acciaio a basso costo è un prodotto di quest’epoca, insieme a turbina a vapore, motore elettrico, motore a combustione interna e a una serie di prodotti realizzati dalle nuove industrie chimiche e dei materiali, dai coloranti all’alluminio36. Tutti questi prodotti furono il risultato di diversi sviluppi innovativi, ma i processi che portarono alla loro realizzazione non si fermarono lì: furono acquisite nuove conoscenze che continuarono ad avere un effetto sul modo in cui i prodotti erano realizzati e ne influenzarono le caratteristiche. Theodore Paul Wright, un ingegnere che negli anni trenta lavorava alla Curtiss-Wright, azienda aeronautica di New York, fu il primo ad analizzare in dettaglio il rapporto tra volumi di produzione, capacità produttiva e costi37. Nel 1936 Wright studiò l’effetto sulla produzione aeronautica di fattori specifici come nuovi modelli pro36 37 16 Per un approfondimento sull’industria chimica e il suo contributo all’economia globale, Arora, Landau e Rosenberg, 1998; Spitz, 1988; British Plastics Federation, 1986. Il concetto generale secondo cui la maggiore esperienza nel campo della produzione consentiva una riduzione dei costi era già noto da molti anni. Nella Ricchezza delle nazioni Adam Smith aveva sottolineato che: «Effetto naturale del progresso […] è la diminuzione graduale del prezzo di quasi tutti i manufatti. Il prezzo della manodopera addetta alla lavorazione diminuisce forse in tutte le manifatture senza eccezione. In conseguenza dell’uso di macchine migliori, della maggiore destrezza, e di una più adeguata divisione e distribuzione del lavoro, che sono tutti effetti naturali del progresso, si rende necessaria una minore quantità di lavoro per eseguire ogni particolare lavorazione e, per quanto in seguito alle fiorenti condizioni della società il prezzo reale del lavoro aumenti molto considerevolmente, la grande diminuzione della sua quantità compenserà tuttavia in generale molto largamente anche il massimo aumento che si possa verificare nel suo prezzo. Esistono, è vero, poche manifatture in cui il necessario aumento del prezzo reale dei materiali grezzi supererà tutti i vantaggi che il progresso può introdurre nella lavorazione. Nel lavoro dei carpentieri e dei falegnami, e in quello più comune dei mobilieri, l’aumento del prezzo reale del legname grezzo, prodotto necessariamente dal miglioramento della terra, supererà tutti i vantaggi che si possono trarre dal miglior macchinario, dalla maggiore destrezza e dalla più esatta divisione del lavoro. Ma in tutti i casi in cui il prezzo reale dei materiali grezzi non 38 39 La macchina della crescita gettuali, materiali migliori e processi di lavorazione avanzati. Il fatto che fosse possibile costruire più aerei di qualità superiore grazie a tecniche produttive avanzate non era poi così sorprendente. Più interessante era invece il fatto che il modo migliore per aumentare le capacità produttive fosse incrementare il volume di produzione38. Dedicare più tempo a un progetto significava avere quasi la garanzia che l’audacia tecnica sarebbe stata premiata. Lungo il percorso, i costi sarebbero diminuiti mentre la qualità sarebbe aumentata. Wright scoprì che ogni volta che la produzione di aerei raddoppiava, i costi di produzione di un singolo apparecchio si riducevano del 20 per cento. Era la prima prova dettagliata che la curva di esperienza funzionava nella vita reale. Se i produttori fossero riusciti ad applicarla a diversi prodotti, avrebbero potuto tagliare i prezzi in linea con i costi, vendendo più della concorrenza e incrementando la propria quota di mercato e la propria redditività. Se al contempo aumentava anche il grado di elaborazione del prodotto, tanto meglio. Bruce Henderson, ingegnere americano, ex venditore di bibbie, colse l’importanza di queste implicazioni: nel 1963 fondò il Boston Consulting Group e insieme ai suoi colleghi produsse una serie di studi a dimostrazione del fatto che la curva di esperienza poteva funzionare per molte altre industrie oltre a quella aeronautica. «Appare chiaro», scriveva nel 1972, «che una parte sostanziale del successo o del fallimento di un’impresa [nella produzione] può essere spiegata semplicemente in termini di effetti della curva di esperienza»39. Un’altra persona che capì queste correlazioni fu Vannevar Bush. Ingegnere elettrico, ex insegnante di matematica, Bush fu nominato nel 1941 primo direttore dell’ufficio della ricerca e dello sviluppo scientifico degli Stati Uniti. In un saggio del 1945 sulla produzione di apparecchi radiofonici, Bush spiegò il funzionamento della curva di esperienza. cresce affatto o non cresce di molto, il prezzo della merce manufatta diminuisce molto considerevolmente». Wright pubblicò le proprie idee a proposito della curva di esperienza nel febbraio del 1936 nel “Journal of the Aeronautical Science”, si veda Yelle, 1983. Boston Consulting Group, 1972. 17 Capitolo 1 Ora si potevano costruire con poco sforzo macchine composte di parti facilmente sostituibili […]. [La radio] è prodotta sulla scala delle centinaia di milioni, impacchettata in involucri e attaccata alla corrente, e funziona! Le sue parti più fini, il preciso posizionamento e allineamento dei componenti in fase di costruzione avrebbero impegnato un mastro artigiano di una corporazione per mesi; ora è prodotta al costo di una trentina di centesimi. Il mondo è giunto nell’era degli strumenti complessi, economici e di alta affidabilità; qualcosa dovrà pur venirne fuori.40 Dopo Babbage Uno dei progetti finanziati dall’ufficio di Bush fu un programma di sviluppo informatico alla Moore School of Electrical Engineering della Pennsylvania University dal quale nacque l’ENIAC (electronic numerical integrator analyser and computer), creato da John Mauchly e J. Presper Eckert, due dei massimi teorici della scuola. L’ENIAC, presentato nel 1946, fu il primo elaboratore elettronico general purpose, una versione moderna della macchina analitica di Babbage. Mauchly ed Eckert ci misero più di due anni a progettare e costruire la macchina. L’ENIAC conteneva 17.468 tubi a vuoto (o valvole termoioniche), 70.000 resistori, 10.000 condensatori, 1500 relè, 6000 interruttori manuali e 5 milioni di saldature. Occupava una superficie di 167 metri quadrati, pesava 30 tonnellate e consumava 160 kilowatt di elettricità. La macchina fu utilizzata fondamentalmente per progetti militari durante la guerra fredda: calcolava le traiettorie dei missili balistici e svolgeva i calcoli necessari per la bomba all’idrogeno. In un secondo, l’ENIAC poteva eseguire 5000 calcoli matematici, mille volte di più delle macchine che lo avevano preceduto41. In prezzi del 2010, l’ENIAC costerebbe 6 milioni di dollari42 . Per quanto la costruzione dell’ENIAC abbia segnato una svolta, un progresso ancora più significativo gli avrebbe presto fatto segui40 41 42 18 Bush, luglio 1945. Per maggiori informazioni sull’ENIAC, si veda Marsh, 1981. Per un approfondimento sulla tecnologia microelettronica, si vedano Reid, 1985; e Forester 1980. In tutto il presente volume i valori monetari sono espressi in dollari, con le conversioni da altre valute ai tassi di cambio correnti. 43 La macchina della crescita to. I semiconduttori sono dispositivi elettronici nei quali molti singoli componenti in grado di svolgere la funzione di interruttori elettrici sono montati su un piccolo supporto. Il compito di base di ciascun componente è consentire il passaggio dell’elettricità o interromperlo, e la loro azione è regolata da istruzioni elettroniche inviate da un software. Lo stato on/off dell’interruttore può gestire il linguaggio digitale del codice di programmazione. Il nome di questi dispositivi deriva dal fatto che sono costruiti con materiali come il silicio o il germanio che possono comportarsi da isolanti o conduttori rispetto al flusso di elettricità (da qui semiconduttori). Il primo dispositivo a semiconduttore fu inventato nel 1947. Si trattava di un tipo di semiconduttore particolarmente semplice, detto transistor, equivalente a un singolo interruttore elettrico inserito in una piastrina di germanio (dopo alcuni anni il silicio diventerà il materiale più usato per questo tipo di dispositivi). I transistor diventarono il principale candidato per sostituire le valvole usate per eseguire i calcoli nei primi elaboratori elettronici come l’ENIAC. Tuttavia i semiconduttori non sarebbero mai stati di grande utilità fintanto che ciascuno di essi avesse contenuto un solo componente. Ciò che li rese di più grande interesse fu la scoperta del circuito integrato: un dispositivo a semiconduttore in grado di alloggiare più di un interruttore. Il primo circuito integrato al mondo – una piastrina di germanio contenente due circuiti – fu descritto nel febbraio del 1959 in un brevetto presentato da Jack Kilby della società di elettronica americana Texas Instruments. Grazie anche al sempre maggiore uso di semiconduttori, il numero di elaboratori negli Stati Uniti aumentò da 250 nel 1955 a quasi 70.000 fino al 196843. I transistor erano ancora costosi, tuttavia gli ingegneri impararono a comprimere più circuiti in un piccolo chip di materiale, incrementando le potenzialità dei semiconduttori. In aggiunta, per effetto della crescente competenza acquisita col passare del tempo e l’accumularsi dell’esperienza, i prezzi calarono. Tutto ciò trovò espressione nella realizzazione del primo microprocessore, presentato nel 1971: un insieme di circuiti racchiusi all’interno dello stesso chip in grado di operare a tutti gli effetti come l’unità di ela- Per i dati sul numero di elaboratori, si veda Braun e MacDonald, 1978, p. 114. 19 Capitolo 1 borazione centrale di un computer. Prodotto dalla Intel, il primo microprocessore, l’Intel 4004, conteneva 2200 transistor. In rapporto alla sua capacità di elaborazione costava il 95 per cento in meno di un chip a semiconduttore comparabile di quattro anni prima. Nei quattro decenni successivi le aziende produttrici di semiconduttori spesero decine di miliardi di dollari per costruire stabilimenti sempre più avanzati contenenti macchinari in grado di alloggiare un numero sempre maggiore di “transistor equivalenti” nella stessa superficie di silicio. In questo sforzo, l’industria dei semiconduttori dimostrò la veridicità della “legge di Moore”44. Nel 1975 Gordon Moore, uno dei co-fondatori della Intel, aveva previsto che il numero di transistor per semiconduttore sarebbe raddoppiato ogni due anni; ipotizzò anche che i costi si sarebbero ridotti allo stesso ritmo. Nel 2010 il microprocessore Intel X3370, contenente 820 milioni di transistor, era venduto a poco più di 300 dollari. Il costo di ogni singolo transistor all’interno del dispositivo era pari alla trentamillesima parte di un centesimo. In poco più di sessant’anni, il prezzo di un transistor era sceso di trenta milioni di volte. La legge di Moore si era rivelata ampiamente corretta, fornendo un’ulteriore dimostrazione della validità della curva di esperienza. L’enorme riduzione nei prezzi dei circuiti elettronici montati su silicio alimentò una vera e propria esplosione nell’uso dei computer che portò alla cosiddetta rivoluzione informatica negli anni dal 1950 al 2000, la quarta grande fase di cambiamento innescata dalla produzione manifatturiera. Secondo una stima, nel 1946 nel mondo vi erano appena dieci computer, macchine da calcolo per lo più paragonabili all’ENIAC. Nel 2010 i computer nel mondo, desktop e portatili, erano circa 2 miliardi, oltre ad apparecchi come gli smartphone e i sistemi di commutazione computerizzati che fanno parte delle reti di telecomunicazione. Secondo queste cifre, lo stock di computer è aumentato di duecento milioni di volte in meno di settant’anni. Nel 2010 un normale personal computer poteva gestire 3 miliardi di istruzioni al secondo, 600.000 più dell’ENIAC, e aveva un prezzo di vendita di circa 650 dollari, pari a un diciassettemillesimo del prezzo del primo apparecchio di questo tipo. 44 20 “Scientific American”, 1977, p. 5. Venerdì 13 gennaio 2006 Lakshmi Mittal ha dato una cena a Londra45. Imprenditore dell’acciaio e amministratore delegato della Mittal Steel, Mittal era uno degli uomini più facoltosi al mondo. L’ospite più importante era Guy Dollé, amministratore delegato della Arcelor, società con sede in Lussemburgo. La location era la villa neopalladiana di Mittal a Kensington, che il miliardario indiano aveva acquistato nel 2004 per 57 milioni di sterline dal magnate della Formula 1 Bernie Ecclestone. Pur essendo rivali in affari, Mittal e Dollé nutrivano entrambi un interesse ossessivo per l’industria dell’acciaio e per i prodotti della siderurgia. Ex giocatore amatoriale di calcio, mosso da un feroce spirito competitivo, dopo aver inizialmente ricoperto mansioni tecniche Dollé era gradualmente arrivato ai vertici della Arcelor entrando a far parte del senior management46. La Arcelor è nata nel 2001 dalla fusione di tre grandi produttori di acciaio con sede in Francia, Lussemburgo e Spagna ed è considerata un gioiello dell’industria europea. Mittal è cresciuto in Rajasthan, nella parte nord occidentale dell’India, e ha trascorso gran parte della sua vita in una casa con i pavimenti in cemento grezzo e senza elettricità; è entrato in contatto con l’industria dell’acciaio ancora ragazzo (durante le vacanze estive lavorava in una piccola acciaieria gestita dal padre a Calcutta). Negli anni settanta, con i soldi del padre, aprì un’acciaieria in Indonesia. Seguirono una serie di acquisizioni in diversi paesi, tra cui Trinidad e Tobago, Messico, Kazakistan e Romania47. Nel 2004 Mittal ha annunciato l’acquisizione, per 4,5 miliardi di dollari, del produttore di acciaio americano International Steel Group. Con questa operazione le acciaierie Mittal hanno superato la Arcelor e sono diventate il più 45 46 47 La macchina della crescita L’invito L’autore ha pubblicato numerosi articoli sul “Financial Times” sulla battaglia per l’offerta di acquisto Mittal Steel/Arcelor del 2006. Si vedano per esempio i numeri del “Financial Times” del 28 gennaio, del 24 febbraio e del 26 maggio 2006. Dollé ha lavorato per la maggior parte della sua carriera alla Usinor, una grande acciaieria francese che nel 2002 si è fusa con altri due grandi produttori di acciaio europei per formare la Arcelor. Marsh, 23 dicembre 2006. 21 Capitolo 1 grande produttore di acciaio al mondo. Per celebrare l’evento, Dollé gli ha inviato un biglietto di congratulazioni48. Durante l’aperitivo Mittal accennò velatamente al vero motivo dell’invito: chiese a Dollé se avrebbe approvato una fusione delle due società. Questo è ciò che lasciò intendere, ma il suo vero obiettivo era acquisire la Arcelor e integrare le due società sotto lo stretto controllo della Mittal. «Se ci unissimo potremmo realizzare molte delle cose che entrambi vogliamo, stando dalla stessa parte» disse Mittal: «Perché non farlo?». L’idea aveva una sua logica. Dall’unione tra la Mittal Steel e la Arcelor sarebbe nato un colosso della produzione dell’acciaio, con oltre 300.000 dipendenti in cinque continenti, responsabile di quasi il 10 per cento della produzione globale di acciaio, con un volume annuo di produzione tre volte superiore a quello dei rivali più vicini49. Grazie al controllo di una così grande quota di mercato, la società frutto della fusione avrebbe potuto dettare le proprie condizioni ai clienti, mantenendo alti prezzi e profitti, condividere le conoscenze sulle migliori tecniche siderurgiche, oltre a usare il potere di acquisto per tenere bassi i prezzi delle materie prime nelle contrattazioni con i fornitori di ferro e carbone. Pur conscio degli elevati costi dell’operazione, Mittal era ansioso di acquisire i siti produttivi della Arcelor in Europa occidentale, tecnologicamente più avanzati e che vantavano ottimi rapporti con molti clienti importanti, in particolare nel settore automobilistico. L’unione di queste realtà con gli impianti gestiti dalla Mittal Steel in regioni come l’Asia centrale, l’America meridionale e l’Europa orientale avrebbe prodotto benefici straordinari. Le due realtà industriali avevano prerogative diverse: la prima operava al massimo livello di tecnologia e la seconda produceva qualità di acciaio base a costi più contenuti, potevano quindi imparare l’una dall’altra. L’azienda nata dall’unione tra le due società si sarebbe trovata avvantaggiata nel combattere le sfide che l’industria siderurgica doveva affrontare nello sforzo sempre maggiore di ridurre le emissioni di anidride carbonica – di cui il settore siderurgico è uno tra i maggiori produttori – nel contesto della più ampia lotta contro le minacce ambientali. Avrebbe anche avuto un ruolo potenzialmente 48 49 22 “Financial Times”, 27 ottobre 2004. “Financial Times”, 4 febbraio 2006. La macchina della crescita più forte nel ritagliarsi una posizione di leadership nei paesi cosiddetti emergenti: Cina, India e Brasile. Tuttavia le parole che Mittal avrebbe potuto usare per far capire a Dollé perché una fusione sarebbe stata una buona idea non sono state pronunciate, e l’uomo d’affari francese ha liquidato velocemente qualsiasi ulteriore discussione con un laconico: «Non sono interessato». Dollé voleva veder crescere la sua azienda, ma alle proprie condizioni, non a quelle di Mittal; non era sicuro di poter collaborare con Mittal e sospettava inoltre che la fusione di due società con realtà così differenti in termini di infrastruttura produttiva e struttura aziendale avrebbe potuto portare problemi di difficile soluzione. La conversazione durante la cena si spostò su argomenti meno controversi e la serata si concluse in tono sufficientemente amichevole, ma due settimane dopo Mittal, incurante del rifiuto di Dollé, rese pubblico il proprio progetto presentando un’offerta volontaria di acquisto da 22,5 miliardi di dollari per la Arcelor. Ne è seguita una battaglia accanita della durata di cinque mesi, segnata da incessanti scontri tra le due società, interventi politici da parte di molti governi europei, oltre a una serie di mosse orchestrate da parte delle banche di investimento delle due società per cercare di convincere gli azionisti50. Dollé ha fatto ostruzionismo, scagliando una serie di invettive contro il rivale, mentre Mittal ha cercato di cavalcare la questione morale insistendo che la fusione delle due compagnie avrebbe potuto essere positiva per i dipendenti e per le comunità in cui vivevano, oltre che per gli azionisti. Alla fine Mittal ha alzato l’offerta portandola a 33,6 miliardi di dollari, all’incirca il 50 per cento in più rispetto a quella originale. I soldi parlano… e il 25 giugno il consiglio di amministrazione della Arcelor, con Dollé ancora contrario all’operazione, ha accettato l’offerta51. La forma del futuro Essendosi opposto con tanta violenza all’acquisizione, Dollé difficilmente avrebbe potuto accettare l’offerta di Mittal di un incarico 50 51 “Financial Times”, 5 aprile 2006. Per un resoconto avvincente sulla lotta per l’acquisizione si veda Bouquet e Ousey, 2008. “Financial Times”, 26 giugno 2006. 23 Capitolo 1 nella nuova società. A pochi giorni dalla conclusione dell’operazione, il francese ha annunciato le proprie dimissioni. Alla guida della ArcelorMittal, Mittal ha ora l’opportunità di riflettere su cosa lo aspetta. Come presidente e maggiore azionista, si trova in una posizione importante. Nonostante tutti i discorsi sul fatto che il mondo si sta muovendo verso una fase “post-industriale”, all’inizio del ventunesimo secolo le fabbriche producono molte più merci di quanto abbiano mai fatto prima. Nel 2010 la produzione manifatturiera è circa una volta e mezzo quella del 1990, cinquantasette volte quella del 1900 e duecento volte quella del 1800 (Figura 1). Tra il 1800 e il 2010, la produzione manifatturiera mondiale è aumentata in media del 2,6 per cento all’anno, a fronte di una crescita annua comparabile del 2 per cento del prodotto interno lordo (che esprime lo sforzo produttivo dell’intera economia globale) nello stesso periodo. Il tasso di crescita media annua della produzione manifatturiera tra il 2000 e il 2010 è dell’1,8 per cento, un dato apprezzabile considerata la congiuntura negativa di cui ha risentito gran parte della produzione industriale mondiale durante la profonda recessione economica del 20082009. Tenuto conto dell’inflazione, il prezzo di vendita dell’acciaio nel 2010 era del 25 per cento inferiore rispetto a un secolo prima, dopo un periodo in cui la produzione è aumentata di oltre quaranta volte52. Il dato dimostra la validità della curva di esperienza, quanto meno per l’acciaio, e tutti i segnali indicano che questa tendenza si confermerà in futuro, anche per altri prodotti. In ogni tipo di manufatto la tecnologia – l’applicazione della scienza all’industria – gioca un ruolo sempre maggiore. Durante il diciannovesimo secolo e nei primi anni del ventesimo le trasformazioni nel settore manifatturiero furono indotte dagli sviluppi rag- 52 24 Nel 2000 a.C. il prezzo di vendita del ferro, espresso in valori monetari del 2010, tenuto conto dell’inflazione nei precedenti quattromila anni, era di 10.000 dollari al chilo. Grazie ai cambiamenti intervenuti nella tecnologia, il prezzo di 1 chilo di ferro nel 1000 a.C. era pari a 500 dollari (ai prezzi del 2010). All’epoca della conquista normanna dell’Inghilterra, duemila anni dopo, scendeva a 70 dollari, e nel 2010 diventava 50 centesimi al chilo. Nei tremila anni che precedono il 2010, il prezzo del ferro, depurato dell’inflazione, è sceso a un tasso del 99,9 per cento. Nei quattromila anni antecedenti il 2010, la percentuale di adeguamento è stata del 99,995 per cento. 25.000 Produzione manifatturiera PIL 20.000 La macchina della crescita Figura 1. Produzione manifatturiera mondiale e PIL, 1800-2010 (produzione misurata come indice dove 1800 = 100) 15.000 10.000 5000 0 1800 1830 1900 1913 1938 1950 1953 1960 1970 1980 1990 2000 2010 Nota: Produzione manifatturiera calcolata in valore aggiunto; le due serie di dati sono in dollari costanti del 2005. Fonti: Paul Bairoch (come citato in Kennedy, 1993); IHS Global Insight; World Trade Organization, 2011 Annual Report, disponibile all’indirizzo http://tinyurl.com/o4u6h9a; UN data base; Maddison, 2003; stime dell’autore. giunti in un numero di tecnologie relativamente ridotto, tra queste l’energia del vapore, la lavorazione dei metalli, la generazione di elettricità e i prodotti chimici. Nel ventunesimo secolo il numero di tecnologie che hanno avuto conseguenze sulla produzione manifatturiera è cresciuto: oggi fanno parte dell’elenco anche l’elettronica, le biotecnologie, internet e la tecnologia laser, ciascuna con diverse sottodiscipline. Nel frattempo aumenta anche il passo del cambiamento in questi diversi settori grazie al fatto che più ricercatori, più tecnici e maggiori investimenti sono assegnati dai governi e dalle aziende ai comparti di ricerca e sviluppo. Inoltre la tecnologia è considerata alla stregua di un sistema di idee in cui è possibile collegare i diversi progressi in campi disparati per creare una più ampia varietà di nuovi prodotti e 25 Capitolo 1 26 processi, in settori che vanno dalle apparecchiature medicali all’elettronica di consumo. Un ulteriore cambiamento riguarda le caratteristiche generali dei prodotti. In passato i produttori si concentravano sulla produzione di beni per soddisfare un’ampia gamma di requisiti, garantendo alta qualità e prezzi ragionevolmente bassi. Il concetto di una produzione ad hoc (creare diversi prodotti per soddisfare i gusti individuali) era considerato fuori portata dalla maggior parte delle aziende. Oggi, spinta dalle richieste dei consumatori e dagli sviluppi della tecnologia che facilitano il soddisfacimento di queste richieste, l’idea di customizzare i prodotti in funzione delle diverse necessità sta assumendo un’importanza sempre più centrale. Ciò che contraddistingue un produttore di successo, oggi, è anche la capacità di ridefinirsi. Fino al 1990 la produzione era considerata di gran lunga la parte più importante del lavoro di un’impresa manifatturiera. Raramente si prendeva in considerazione di suddividere i cicli produttivi tra diverse aziende, ma nei primi anni del ventunesimo secolo è cresciuta la consapevolezza che fare i prodotti è solo una parte della “catena del valore” dei processi aziendali: anche la progettazione e lo sviluppo, la manutenzione e l’assistenza tecnica associata al prodotto sono valori importanti. Per essere considerato un grosso produttore, oggi un’azienda non deve necessariamente produrre, anche se quasi certamente sa bene che cosa la produzione comporti. Sempre più elementi della catena del valore sono affidati a una varietà di imprese in diversi paesi e la capacità di gestire questo mix sta diventano una qualità sempre più apprezzata. In molte aree di prodotto si aprono nuove opportunità per effetto della convergenza delle innovazioni tecnologiche, della globalizzazione e dell’uso di internet come strumento di marketing, che hanno creato la base per lo sviluppo di nuove “industrie di nicchia”, settori che si concentrano su prodotti specifici spesso destinati a gruppi ristretti di clienti in tutto il mondo. Le aziende che forniscono prodotti in queste nicchie di mercato spesso sono pressoché sconosciute, e tuttavia in molti casi aumentano rapidamente vendite e profitti, esercitando un’influenza sulla vita delle persone, in modi in larga misura invisibili. Un altro concetto che sta acquisendo sempre maggiore rilievo è quello di produzione sostenibile. Per effetto dei timori suscitati 53 54 La macchina della crescita dal riscaldamento globale e dall’esaurimento delle materie prime, nel mondo cresce la consapevolezza dei danni ambientali provocati dalle attività umane, molti dei quali sono dovuti alla produzione. Di conseguenza, c’è più interesse a sviluppare processi produttivi che abbiano effetti meno dannosi per l’ambiente e a creare nuovi prodotti che possano contribuire a ridurre l’uso dei materiali e dell’energia. Dall’essere considerate una causa primaria dei mali ambientali del mondo, le industrie sono sempre più viste come parte della possibile soluzione. Nel frattempo è cresciuto il numero di luoghi in cui è possibile installare produzioni industriali. L’elenco dei paesi “capaci di produrre” è oggi molto più lungo rispetto all’esiguo numero che aveva svolto un ruolo attivo nelle precedenti quattro rivoluzioni industriali. Nel 2010 la quota di produzione mondiale svolta al di fuori dei paesi convenzionalmente definiti sviluppati raggiungeva il 41 per cento, rispetto al 27 per cento del 2000 e al 24 per cento del 199053. L’elenco delle economie emergenti è guidato dalla Cina, che dopo essere stata ai margini della produzione manifatturiera globale per centocinquant’anni, ha cominciato a recuperare terreno negli anni novanta54. Il tasso di crescita era tale per cui nel 2010 questo paese rivendicava la posizione di maggiore paese manifatturiero al mondo per volume di produzione, superando gli Stati Uniti che avevano I dati storici sulla produzione manifatturiera mondiale sono tratti da IHS Global Insight, Global Manufacturing Output Data 1980-2010, with Split between Different Countries/Regions, forniti all’autore nell’agosto 2008, e successivamente integrati nell’ottobre 2011. L’autore ritiene che dai dati IHS risulti un quadro più completo della produzione manifatturiera mondiale rispetto ai dati comparabili forniti dall’ufficio statistiche degli Stati Uniti e dalla Banca Mondiale. La divisione del mondo in economie sviluppate e in via di sviluppo – che include anche l’uso di varianti come “ricche” e “povere” – risale agli anni sessanta. Asa Briggs, nel Capitolo 1 di Briggs et al., 1963, p. 15, spiega: «Una circostanza nuova per la storia inasprisce le tensioni della politica nel mondo contemporaneo. Si tratta della diffusa consapevolezza della divisione dei paesi in due classi, sviluppati e in via di sviluppo, secondo la definizione corrente o, in parole più semplici, ricchi e poveri». Briggs inserisce nella categoria dei paesi sviluppati quelli «dell’Europa nordoccidentale e le nazioni delle zone temperate che sono state create e organizzate da individui appartenenti alla stessa razza: Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda», oltre a Giappone e URSS. Tutti gli altri rientravano nella categoria delle regioni in via di sviluppo. Secondo le stime di Briggs, nei primi anni sessanta i paesi sviluppati producevano e consumavano più di due terzi delle merci mondiali. 27 Capitolo 1 occupato il primo posto per oltre un secolo55. Altri paesi che per gran parte del ventesimo secolo avevano avuto un peso solo minore sull’industria globale cominciavano a far sentire la propria presenza, tra questi l’India, il Brasile, la Corea del Sud e la Russia. Anche considerato il ruolo crescente di queste economie in rapida espansione, restano comunque molte opportunità per le aziende localizzate nei maggiori paesi industrializzati. Molte di queste aziende fanno parte di cluster di imprese che operano nello stesso settore e hanno sede nella stessa regione geografica. Anche in un mondo in cui le catene del valore sono frammentate, nella produzione manifatturiera rimane spazio per quelle aziende che danno importanza ai legami locali. Questi fattori – la tecnologia, la scelta, le catene del valore, le produzioni di nicchia, l’ambiente, i nuovi paesi manifatturieri e i cluster – sono tutti elementi importanti, ma le loro maggiori conseguenze sono legate al modo in cui saranno interconnessi: il risultato sarà un mix di opportunità e insidie, evidenti non solo per industriali potenti come Mittal ma anche per chi gestisce imprese produttive molto più piccole in ogni settore; le trasformazioni che ne deriveranno saranno avvertite da tutti. Non sarà facile prevedere cosa accadrà, ma non vi è alcun dubbio sulla portata di questi cambiamenti: una nuova rivoluzione industriale è cominciata. 55 28 Dati IHS Global Insight. Nel 2010, secondo i dati IHS, la Cina era responsabile del 19,4 per cento della produzione manifatturiera mondiale, davanti agli Stati Uniti con il 18,2 per cento. I dati ONU comparabili del 31 dicembre 2011 confermano il sorpasso della Cina sugli Stati Uniti nel 2010 quale primo paese manifatturiero al mondo per volume produttivo. I dati ONU assegnano alla Cina una quota di produzione industriale per l’anno 2010 del 18,6 per cento, rispetto al 18,1 per cento degli Stati Uniti. Figura 2. Quote della produzione manifatturiera mondiale dal 1800 a) Divario tra paesi ricchi e paesi poveri (calcolato come valore aggiunto in dollari del 2005) 100 paesi ricchi paesi poveri quota percentuale 80 60 40 20 0 1800 1830 1860 1900 1970 1980 1990 2000 2010 Nota: I paesi ricchi sono America settentrionale, Europa occidentale, Giappone e Australia. Gli altri rientrano tra quelli poveri. Il Giappone compariva tra i paesi poveri fino al 1970, la Russia tra quelli ricchi fino a quella data, dopodichè tra quelli poveri. b) Per i cinque paesi leader 50 Stati Uniti Germania Regno Unito Giappone 40 quota percentuale Cina 30 20 10 0 1800 1830 1880 1900 1913 1928 1938 1950 1970 1980 Fonti: Bairoch, 1982; IHS Global Insight; ONU; Broadberry, 1997. 1990 2000 2010