cmpst#07 - DisorderDrama

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cmpst#07 - DisorderDrama
Intro
Redazione
Matteo Casari
Daniele Guasco
Simone Madrau
Matteo Marsano
Giulio Olivieri
Cesare Pezzoni
Anna Positano
Collaboratori
El Pelandro
Giacomo Bagni
Davide Chicco
Marco Giorcelli
Carlotta Queirazza
Paolo Sala
Grafica e Impaginazione
Matteo Casari
Contatti
http://compost.disorderdrama.org
[email protected]
Compost
c/o Matteo Casari
C.P.1009
16121
Genova
Pubblicazione NON periodica, amatoriale,
destinata alla distribuzione gratuita, fotocopiata in proprio e senza alcuna pretesa di completezza.
Questa pubblicazione è una produzione
Disorder Drama.
Un sincero ringraziamento al collettivo del
Laboratorio Sociale Occupato Autogestito
Buridda, senza cui non saremmo riusciti ad arrivare qui.
Se interessati a collaborare, con parole o disegni, contattateci
Arrivederci a CMPST #8 - [08.2008]
2 CMPST #7[06.2008]
Da qualche tempo a questa parte sia
Compost che la stessa Disorder Drama hanno una loro pagina su MySpace [rispettivamente: www.myspace.com/cmpst e www.
myspace.com/disorderdrama]. Se lo scopo
della prima è quello di promuovere l’uscita
dei nuovi numeri e dare contemporaneamente spazio ai vostri suggerimenti e ai
commenti sugli articoli [quindi magari diteci
qualcosa che non sia solo ‘grazie per l’add’
o ‘bravi, continuate così’], lo scopo della
seconda è quello di promuovere le serate
Disorder Drama puntando non tanto e non
solo ai fedelissimi ma anche selezionando i
profili di persone nuove e potenzialmente
interessate. Da blogger, e quindi per natura in controtendenza con le prese di posizione anti-web2.0 portate avanti su questa
fanzine, mi sono auto-accollato la gestione
di queste due pagine. Ne sono scaturiti in
breve tempo alcuni ragionamenti sia tecnici che – passatemi il termine – filosofici, che
voglio credere ovvi non solo per me, ma che
guardandomi intorno sembrano non trovare
grossi riscontri, almeno all’atto pratico. Parto
dai primi, che probabilmente annoieranno
molti e per le quali mi scuso, ma che sento
di rivolgere a chiunque faccia promozione
ai propri eventi su MySpace: incollare una locandina sui profili ha senso e ha un riscontro
[minimo, infinitesimale, ma ce l’ha] se insieme
ad essa vengano linkate almeno le pagine
dei gruppi presentati nella locandina e qualcosa che sia ascoltabile subito, già all’interno del commento [dal download dell’mp3
all’embed del video da YouTube]. Diversamente, e a meno che non abbiate per le
mani gruppi effettivamente noti, non è altro
che una grossa perdita di tempo. Fatevene
una ragione. Come dico spesso, come mi è
riconosciuto, nei tarocchi di Compost la mia
carta è quella dell’Entusiasta. Lo ero ai tempi
del secondo editoriale di Compost, quando
in queste cose mi trovavo da pochissimo. E
a quasi un anno di distanza sento ancora di
esserlo, così che forse qualcuno mi troverà
anche ‘Ingenuo’. Sarà. Concordo di più con
quanti mi dicono che l’entusiasmo sia necessario. E sono convinto che troppo spesso
i mugugni, non solo dall’esterno ma anche
dall’interno della ‘scena’, siano ingiustificati.
Intendiamoci: nessuno vuole sfatare certi
luoghi comuni per i quali svegliare Genova
sia un’impresa vicina all’utopia. Ciò che dico
è che forse converrebbe smettere di creare
nuovi progetti che, per buoni che siano, saranno apprezzati dai soliti noti, preoccupandosi piuttosto di concentrare le proprie energie e il proprio tempo verso un processo di
maggiore informazione e quindi di ampliamento del pubblico – qualcosa che vada
naturalmente ben oltre quattro comunicati
o due locandine in croce con dei nomi sconosciuti sopra, magari inviate ai colleghi o
ai compagni di corso ‘ah non so perché tra
due giorni ho l’esame, se riesco passo’. Questa specie di appello, però, non è indirizzato
ai vari Casari, Gelli e Ragnini, su cui anzi trovo
ingiusto far gravare sempre il peso di qualsiasi cosa si organizzi e cui al massimo chiedo
di non mollare con il discorso ‘ufficio stampa’, comune o individuale che sia: rimango
dell’idea che non sia solo una cosa utile ma
assolutamente necessaria. Ma non è solo
questo, manca un parlare davvero chiaro,
un far capire a chi ha le basi per capire ma
non sa, a chi non crede che esista. Servono
meno gruppi nuovi e più gente disposta a
lavorare nei dietro le quinte, in ambiti specifici come questo. Non si tratta di rompere le
News
palle alla gente, si tratta di giocare con intelligenza e – perché no - furbizia sui loro gusti
e sulla loro eventuale curiosità per avvicinarli
alle cose che succedono a pochi metri da
casa loro. Mi rendo conto che sia abbastanza facile pensare: ‘a me basta che vada a
un concerto e mi diverta, chi se ne frega se
intorno ho quattro persone o quattromila’. Liberissimi di pensarlo, a patto che poi non ci si
lamenti se i locali chiudono, se chi organizza
i concerti è spesso tentato di mollare lasciando potenzialmente vuoti enormi nei fine settimana dal vivo, ecc. Osservazione banale
ma a cui mi pare pensino in pochi: tutto
ruota intorno alle persone. Il pubblico significa soldi. I soldi convincono chi ha i mezzi per
farlo a investire sulla musica dal vivo. Locali,
quindi, ma anche sponsor e istituzioni. Confrontando la nostra situazione con quella di
chi vive in altre città, mi rendo conto che Genova nel 2008 rispetto alla media nazionale
se la passa meglio di quanto non si mugugni.
Questo però non mi tranquillizza affatto. Anzi
mi mangio le mani. Evidentemente c’è un
contrasto forte tra qualità delle proposte e
attenzioni esterne verso queste ultime. Tutto
questo rende ai miei occhi la mancanza di
investimenti ancora più fastidiosa, la freddezza degli abitanti avvilente, l’indifferenza
dei grossi circuiti locali irritante, l’indisponenza
dei grandi vecchi di cui diceva Mat nel numero scorso sconfortante, la cronica assenza ai concerti di personaggi che del benessere della ‘scena’ avrebbero tutto l’interesse
a preoccuparsi insensata, con l’intolleranza
dei vari Alfredi a fare da proverbiale ciliegina sulla torta. I locali continuano a vivere più
con i dj set che con i concerti che li precedono. Nel frattempo i genovesi che ascoltano
i Mogwai, per pochi che siano, rimangono
pur sempre di più di quelli che conoscono gli
Hermitage o i Dresda. Val la pena lamentarsi
di una situazione solo quando per essa è stato fatto tutto il possibile: e qui tutto il possibile
è ancora lungi dall’essere fatto.
di Simone Madrau
Le foto di copertina di questo numero sono
di Marco Domenicucci
http://www.myspace.com/marco1024
Anche questo numero è stato reso possibile
dai contributi avanzati dal Benefit del 24/01/08
al Laboratorio Buridda con Port-Royal, Contesti
Scomodi feat. Bobby Soul, Fabio Zuffanti e Hipurforderai, oltrechè dalle offerte raccolte.
Disponibile anche un Pay Pal sul sito!
News
Tante uscite discografiche in questa prima
metà del 2008!!! - E’ uscito il disco degli
Stalker, disponibile su Produzioni Sante di
Como. - Anche Marsiglia records si sveglia
dal torpore invernale e tira fuori il disco di
debutto delle Mange-Tout e quello dei Kramers: entrambi i dischi sono disponibili in
cdr ai concerti dei gruppi o in download libero sul sito http://www.marsigliarecords.it
- In arrivo in stampa vera e propria anche
il primo disco, finalmente, dei 2 Novembre!
A settembre nei negozi, ma già disponibile
al Santo Rock Festival. - A metà estate sarà
anche fuori il debutto degli Eat The Rabbit. E Green Fog nasconde nel cappello
grandi cose... - On line e in free download
anche l’EP dei Numero6 con l’ormai già
mitico duetto con Will Oldham / Palace /
Bonnie Prince Billy! - Il 14 Giugno trasmetterà per 24h sperimentali on line una radio
nata dalla collaborazione tra Disorder Drama e Ass. Liska. - Seguite il sito http://www.
disorderdrama.org per più news!
Via San Vincenzo 20r 010 542422
Via Torti 27r
Piazza Truogoli di S. Brigida 29r
Compravendita Usato Cd, Dvd, Vinile
Via San Vincenzo 28r
Visita il sito internet aggiornato giornalmente
con recensioni, commenti, forum e iniziative!
http://www.discoclub65.it
voLùmia è un’associazione culturale
musicale senza fini di lucro riconosciuta.
voLùmia è una sala prove.
voLùmia organizza eventi live.
qui si fa musica.
per informazioni:
e-mail: [email protected]
voLùmia
http://www.myspace.com/volumia
3 CMPST #7[06.2008]
Cronache Vere
“Fare parte di questo mondo non era solo un hobby, un
passatempo. Era uno stile di vita.”
Alan Lads
Intervista con Gianni “Tama” Trambusti
di Giacomo Bagni
FACCE BIANCHE
Classe 1964, si fa chiamare “Tama” per via della sua adorazione per
l’hardware della omonima casa giapponese e perché un batterista
con il suo cognome risulterebbe poco credibile. Resoconto quasi fedele (quasi perché, pur cercando di rimanere aderente a cosa mi è stato
detto, ho dovuto tagliuzzare e incollare frasi buttate qua e la per dare un
filo logico all’articolo) del monologo visto da Gianni Trambusti, batterista degli Alan Lads nei scintillanti anni ‘80, ora al soldo dei Melamara.
Incontro Gianni in Piazza de Ferrari. Ho
giusto il tempo di sedermi in un folkloristico tendone birreria dalle parti dell’Acquario, prima che i suoi racconti mi
catapultino allo Psyco, storico locale di
Totò Miggiano, in cui, nei primi anni ‘80, si
riunivano le anime della scena musicale
genovese.
E’ stato il locale che più ha interpretato
quel movimento. Molto piccolino, molto
trendy, accesso limitato. Si era venuta a
creare intorno allo Psyco un’aggregazione di persone che ascoltavano lo stesso
tipo di musica. Persone che avevano in
comune una certa sensibilità al messaggio artistico, fosse esso di tipo musicale
o altro. Fare parte di questo mondo non
era solo un hobby, un passatempo. Era
uno stile di vita.
4 CMPST #7[06.2008]
Uno stile di vita che Gianni riassume
cosi.
Lo slogan era siamo marci. Faccia bianca. Possibilmente violenti. Solitamente
drogati (pare andasse sniffare colla da
falegname da un sacchetto). Era chiaramente uno modo di essere che sottoindeva una forma di disaddamento sociale,
però produceva artisticamente. Ed è quello che conta secondo me.
Tra i maggiori personaggi dell’epoca ce
n’è uno, di cui non farò il nome (comunque
facilmente intuibile), che rappresentava il
modello estremo di quanto detto sopra (e
ne sta pagando le scontate conseguenze).
Lui era il maestro della tecnica del sacchetto. Aspirava talmente tanto che spes-
Gianni
“La musica era una religione. Ognuno
aveva un suo gruppo e, ovviamente, si
andava sempre ai concerti degli altri.“
Cronache Vere
Alan Lads
Alan Lads
La storia degli Alan Lads inizia nel lontano
1979 con il nome di Rams. Nell’80 la band esordisce live nella mitica manifestazione “Ma
Che Colpa Abbiamo Noi” alla Sala Chiamata del Porto, accolta dal consueto caloroso
muro di sputi dei punk nostrani dell’epoca. Tra
un concerto e l’altro due dei membri originali
(Gino Del Corona e Nino Poli) abbandonano
il gruppo che, ormai assunto il suo nome definitivo di Alan Lads, rimane cosi formato da
tre elementi: Claudio Guidetti al basso e alla
voce, Antonello Olivieri alla chitarra e ovviamente Gianni “Tama” Trambusti alla batteria.
Il gruppo, nonostante la giovane età dei
componenti (tutti diciassettenni), guadagna
in poco tempo notevole fama nella scena
new-wave genovese e nazionale, tanto da
meritarsi svariati articoli sulla stampa (Rockerilla, Buongiorno e tanti altri), apparizioni
su palchi di tutto rispetto (tra cui una data
all’Acquasola come spalla di Carmen Russo
davanti a tremila persone) e una bella sfilza di apparizione televisive e radiofoniche.
Amanti del sound inglese di qualche anno
prima, gli Alan Lads erano considerati una sorta di Police locali e, nella scena
genovese dell’epoca, erano certamente tra i gruppi tecnicamente più dotati.
La loro storia si interrompe nell’83 dopo
un’apparizione in playback al Palasport,
organizzata da Vittorio De Scalzi per pubblicizzare un loro album in registrazione (e
che non è mai uscito). Scioltosi il gruppo
si dividono le strade dei nostri moschettieri e, mentre Antonello abbandona la
musica e Gianni continua a suonare nei
gruppi locali, Claudio riesce a sfondare nel
scintillante mondo della musica leggera.
Dopo anni di collaborazione con Branduardi
riesce infatti a fare il colpo grosso scrivendo
“Più Bella Cosa” per Ramazzotti. Da li in poi
è un escalation di successi (tra i tanti “Senza
Pietà” della Oxa e “Torno Subito” di Pezzali)
e di collaborazioni con musicisti famosi (Ramazzotti, di cui è direttore artistico per il tuor
mondiale del 2004, in primis). Oggi Claudio
vive di musica. E forse in parte il merito è anche degli Alan Lads.
5 CMPST #7[06.2008]
Cronache Vere
“Oggi questa idea di creare una
scena compatta, pur nelle sue
differenze, si è un po’ persa.“
so doveva sputarla. Era un provocatore
assoluto. Non poteva più entrare dove
c’era la Rai perché aveva fracassato una
telecamera che costava milioni. Quando
avevano aperto l’Officina nella chiesa
sconsacrata in Corso Quadrio puoi immaginare che cosa potesse fare con un
tabernacolo e un altare a sua disposizione. E’ sicuramente una persona con una
grande versatura artistica, con una visione
molto ruvida, violenta della vita. E in effetti
la sua di vita se l’è consumata a una velocità tre volte più forte di quella degli altri.
Per questo è (quasi) finita prima.
Tra un aneddoto e l’altro sulle poco edificanti cose che succedevano sulle scale
dello Psyco (era al secondo piano di una
palazzina e vorrei conoscere chi abitava
negli altri appartamenti. Dei santi probabilmente.) arriviamo a definire quello che,
secondo me, è il nocciolo della questione.
Il gruppo che gravitava intorno allo Psyco
era infatti riuscito a creare un movimento
musicale (ma non solo) riconoscibile e riconosciuto, che, pur rifacendosi a precisi
canoni importati dall’Inghilterra, aveva
in sè una forte componente di originalità
“autoctona”.
La musica era una religione. Ognuno
aveva un suo gruppo e, ovviamente, si
andava sempre ai concerti degli altri. Ci
si influenzava a vicenda. Oggi questa idea
di creare una scena compatta, pur nelle
sue differenze, si è un po’ persa. Un gruppo
fa country-western, un altro fa punk e un
6 CMPST #7[06.2008]
Melamara
terzo musica latino-americana. E magari
la stessa persona suona in tutti e tre i gruppi. Se da un lato è una cosa bellissima per
la varietà della proposta, l’inevitabile contrappasso è che non si riesca più a creare
una tendenza, un movimento in cui potersi
riconoscere.
Continuando a chiaccherare viene fuori
come, secondo Gianni, le grandi differenze nel modo di vivere la musica tra gli anni
ottanta e oggi siano dovute alla sempre
crescente facilità di accedere ad essa, sia
come produttore, che come fruitore.
Oggi qualunque giovane che vuol cominciare a suonare, riesce facilmente a
trovare a poco uno strumento simile ad
uno professionale. Una volta lo strumento
era distinguente. Trovare e comprare un
basso che suonasse bene costava fatica
e un sacco soldi. Come tutte le cose difficili questo creava una barriera iniziale
alle persona non motivate, a quelle molto
motivate invece finiva per dare una ulteriore spinta in avanti. Infatti il gruppo che
investiva di più sulla strumentazione finiva
per essere più visibile, più ricordato. Discorso analogo si può fare per i dischi. Ai no-
Cronache Vere
stri tempi il disco era una specie di Sancta
Sanctorum. Costava tanto (come oggi in
fondo) ed era l’unico modo in cui si poteva sentire della musica. Quando qualcuno
comprava un disco nuovo si passavano i
pomeriggi a casa sua a sentirlo. Seduti. In
silenzio. Oggi invece si brucia tutto subito.
Si scarica il disco e, sentite due canzoni, lo
si archivia per non sentirlo mai più. Il valore
della musica era dato anche dalla relativa
difficoltà di fruirne. Con i cd prima e internet poi si è distrutto questo valore.
L’argomento successivo viene da se. Un
classicone di Compost e di ogni discussione che si rispetti sulla musica genovese.
Locali e pubblico.
Ai tempi probabilmente c’erano più possibilità di suonare e di far suonare nomi anche grossi come, ad esempio, i Damned.
Se i Totò Miggiano non fossero stati umiliati
e massacrati ogni volta che hanno fatto
un errore, forse oggi ci sarebbe qualcosa
di più. E’ mancato e continua a mancare
l’appoggio del Comune, delle Istituzioni.
Inoltre c’è stata una grossa involuzione di
pubblico. Sarà stato per l’esistenza di una
scena più compatta o per la minor possibilità di vedere un gruppo suonare (oggi
bastano youtube e cinque minuti), ma i
concerti erano considerati un evento, un
qualcosa a cui non si poteva mancare.
Ora non è più cosi. Per fare un esempio
un Gianni Serino all’Albatros non avrebbe
fatto venti paganti. Chiaramente anche
allora i concerti che richiamavano tanta
gente erano quelli di artisti mediocri strapassati in radio come, per fare un nome,
Carmen Russo, ma in generale mi sembra
ci fosse più fame di musica dal vivo.
A proposito del concerto di Carmen Russo, so che avete aperto un suo concerto
all’Acquasola...
Abbiamo suonato davanti a tre-quattromila persone. E li ho fatto una delle più
grandi cappelle della mia storia musicale.
Ci eravamo messi per entrare uno per uno.
Io dovevo arrivare da dietro il tendone. Entro, inciampo e casco sulla batteria tirando giù tutto. Per fortuna sono riuscito ad
iniziare il pezzo in qualche modo, mentre
un’anima pia mi infilava lo sgabello sotto il
sedere. Diciamo che me la sono cavata.
Tra uno spassoso aneddoto e l’altro, una
giunonica cameriera ci scaccia dal tendonebirreria e concludiamo la chiaccherata nello studio di registrazione di Gianni
in pieno centro storico, dove mi fa sentire
qualche (bella) traccia che sta registrando con i Melamara (il cui bassista, Saverio
Farina, ci ha fatto da accompagnatore per
tutta la serata).
Stiamo riregistrando un sacco di pezzi
nel mio studio (n.d.r. Gianni è entrato nel
gruppo a fine 2007) e chissà che non si riesca a far uscire qualcosa. Stiamo anche
provando a suonare un po’ di più dal vivo,
perché secondo me la dimensione live è
fondamentale per un gruppo. Tra l’altro i
Melamara, rifacendosi ad un genere orecchiabile come può essere il cantautorato
italiano, possono accontentare uno spettro decisamente ampio di spettatori rispetto alle cose che facevo ad esempio con
gli Alan Lads. Siamo anche disponibili a
suonare in posti inusuali, come potrebbe
essere un paesino dell’entroterra ligure, a
patto di essere considerati l’attrazione del-
Gianni
la serata e non la spalla di un dj che mette unz-unz a tutto spiano nel banchetto di
fronte al palco.
Capito? I Melamara cercano date...fatevi sotto!
Trovate ancora info e molte
scansioni
di
articoli
molto
interessanti su
http://www.giannitama.it
7 CMPST #7[06.2008]
Import
“Io tendenzialmente non sono
affatto moralista e non rinnego nulla anzi, lo rivendico.”
Andrea Liberovici - Teatro Del Suono
Intervista con Andrea Liberovici
di Matteo Casari
I SISTEMI CONCRETI DEL FARE
Su Compost cerchiamo di indagare un periodo genovese che copre circa un trentennio, l’ultimo. Questo lasso di tempo è interessante in quanto riesce a mostrare alcune evoluzioni nella produzione
artistica dei soggetti intervistati. Insieme ad altri che hanno mosso
i primi passi alla fine degli anni Settanta, anche Liberovici è riuscito a
scrivere tante pagine, molto diverse, del suo personale diario evolutivo. Proviamo a metterle insieme e a ricostruire questo percorso.
parole vere e proprie... Detto ciò non
è stato affatto semplice entrare in comunicazione col il mondo al di fuori del
mio, ma nello stesso tempo mi ha fornito
una ricchezza interiore, d’immagini, musica, incontri di cui sono molto grato e
che sento essere il mio tesoro più importante.
Cerchiamo di contestualizzarti un po’.
Sei nato a Genova? Ti senti Genovese?
Che rapporto hai con la città?
Sono nato a Torino, ma a due anni sono
andato a vivere a Venezia dove sono
cresciuto fino, circa, ai 20 anni facendo
il Conservatorio, violino, viola e composizione senza diplomarmi perchè ero piuttosto incazzoso e ribelle all’epoca e non
sopportavo che il Conservatorio (ma già
il nome la dice lunga) non comprendesse la musica contemporanea intesa non
soltanto come quella accademica ma
anche come quella popolare. Poi sono
venuto a Genova dove ho frequentato
la Scuola del Teatro Stabile e dove mi
sono diplomato in recitazione. Da allora
vivo qui anche se sono spesso, ed oserei
dire per fortuna malgrado l’amore che
Leviamoci subito il dente. Per molti,
scoprirti colorato cantore dei primi anni
‘80 nella trasmissione Cocktail d’Amore,
condotta da Amanda Lear, è stato uno
choc. In effetti, dalle tue biografie, quel
periodo non è quasi citato. E’ tutto da
buttare? Non salveresti niente? Eppure
in rete si sprecano i paragoni con gente
come Faust’O e il primo Cattaneo. Ci
sono almeno due dischi (Oro del ‘78 e
Liberovici dell’80) citati, ma paiono introvabili. Non torneresti mai sul palco a
suonare un po’ di quel materiale?
Io tendenzialmente non sono affatto
moralista e non rinnego nulla anzi, lo
rivendico. Chi critica come trash, kitch
ecc. quel mio momento lo capisco ma
mi chiedo anche chi di voi (quelli che
8 CMPST #7[06.2008]
ho per Genova, in giro.
Che importanza riveste essere figlio
d’arte? In che tipo di ambiente sei cresciuto? Partecipavi alla vita culturale
della città alla fine degli anni Settanta,
o eri altrove?
Ma essere figlio d’arte non è di per se
una garanzia, anzi, generalmente i figli
d’arte sono, come si dice in gergo, dei
veri cani e perdipiù presuntuosissimi...
Io non so se sono cane o meno, credo
di no (quindi sono presuntuosissimo?)...
Essere figlio d’arte mi ha formato profondamente... Nel senso che non potrei non
fare quello che faccio. L’alfabeto primo
che ho appreso è quello della musica e
del teatro... Con questi linguaggi si comunicava in casa molto più che con le
criticano) a 14 anni ha composto, musica, parole di due album? Chi di voi ha
inciso in modo professionale due album
suonando chitarra, violino, viola, tastiere e cantando? Poi me ne sono andato,
da quell’ambiente, perchè le logiche
commerciali non mi appartenevano
proprio ed il kitch o trash di quel momento, di cui mi rendo perfettamente
conto, derivavano dallo snervante compromesso fra chi mi voleva far diventare
un piccolo Luis Miguel da mandare a
Sanremo ed io che sempre a 14 anni me
ne scappavo di casa per andare a Londra a sentire i Sex Pistols e a frequentare
l’ambiente musicale di quel periodo. Mi
sono divertito con Amanda Lear a Cocktail D’Amore, lei è veramente simpatica
e mi sono rivisto per la prima volta dopo
più di 30 anni... L’effetto? Nessun giudizio artistico di cui vergognarmi...Zero...
Solo una grande tenerezza.
Nonostante queste espressioni hai
una formazione accademica, avendo
frequentato i Conservatori di Venezia e
Torino. Consigli per i ragazzi che affron-
Andrea Liberovici - I Figli Dell’Uranio
tano il Conservatorio? Dove sbattere la
testa usciti di lì? Tu che ti occupi anche
di interazioni con computer, live electronics e simili, cosa pensi del nuovo corso
in Musica e Nuove Tecnologie del Conservatorio di Genova? E del NIME - New
Interfaces Music Expression? Un congresso che non solo allinea la città con
le ricerche più avanzate ma addirittura
la pone all’avanguardia nei territori dell’eccellenza musicale.
Consiglio il Conservatorio per chiunque debba e voglia imparare le tecniche di uno strumento. Non lo consiglio a
chi desidera fare il compositore. Il compositore è un percorso estremamente
personale ed intimo che va fatto in autonomia, con il proprio spirito di ricerca,
curiosità, studio. Preferisco dei compositori naive a dei compositori che mi fanno capire quanto hanno studiato armonia e contrappunto. La composizione
non credo si possa insegnare ma soltanto suggerire. Non so come s’insegni al
Conservatorio di Genova non avendolo
mai frequentato, ma credo che l’unico
modo per suggerire la composizione sia
quello di far analizzare tutte le musiche
senza gerarchie... Sarà il compositore a
trarne le conseguenza. Debussy diceva:
“L’arte fa le regole ma le regole non fanno l’arte“ e sono totalmente d’accordo.
Per quanto riguarda la cattedra di musica e nuove tecnologie che credo tenga
il prof Doati io stimo molto la sua musica
per cui credo sia buona, come stimo e
reclamizzo ogni volta che ne ho occasione Antonio Camurri che organizza il
NIME. Quello che posso dire è partecipiamo tutti... Numerosi!
Import
“Un teatro che non sempre debba
collocarsi in uno spazio teatrale e
servitore di un testo di parola... La
scrittura, la scrittura odierna, è una
scrittura inevitabilmente multipla.”
Le tue produzioni vanno un po’ in
controtendenza rispetto alle solite vie
genovesi di promozione. Punti molto
anche sull’interazione con grandi nomi
ad effetto (penso ai Figli dell’Uranio con
Greenaway). Ciò ti garantisce una certa visibilità, guadagnata sul campo, su
media locali che, troppo spesso, dimenticano la cultura?
Seguo realmente ciò che mi accade
senza cercare troppo di determinarlo...
Ho avuto la fortuna di fare degli incontri importanti con grandi personalità ed
altri altrettanto importanti, forse per certi aspetti ancor di più, con personalità
sconosciute. Cerco, ma è una lotta comunque sempre molto dura, di seguire
solo le cose che m’interessano e che
abbiano un senso per la mia ricerca.
Il tuo percorso ti ha portato alle musiche per il teatro e, quindi ad una forma
di teatro in cui videoarte e suono escono dalla scenografia per diventare protagonisti essi stessi. Il tuo rapporto con
l’arte contemporanea? Vuoi parlarci
dell’attività del tuo Teatro del Suono?
Ne approfitto per fare un poco di
pubblicità, proprio in questi giorni, sta
andando on line il sito www.liberovici.it
in cui ci sono tutti i progetti da me realizzati in questi ultimi 12 anni e anche il
sito www.teatrodelsuono.it con gli stessi
9 CMPST #7[06.2008]
Import
“Credo
ci
sia
l’urgenza
di pensare ad un laboratorio
aperto
sulle
nuove
tecnologie e l’arte in generale...”
contenuti. Reclamizzo questi due siti non
perchè io abbia qualcosa da vendere
ma perchè mi piacerebbe molto che
diventassero un punto di riferimento per
scambiare idee, informazioni, contenuti
con chi è sensibile a questo tipo di ricerche fra teatro musica video tecnologie
in città...Per cui, come dire, aspetto contatti dai tuoi lettori. In secondo luogo,
per rispondere alla tua domanda, credo
da sempre, che il teatro, sia la somma di
tutte le discipline artistiche... L’ultima installazione di Bill Viola vista alla Biennale di Venezia era , benchè video, un vero
e proprio saggio di grandissimo teatro e
grande musica... Ecco questo significa
per me il teatro... Un teatro che non sempre debba collocarsi in uno spazio teatrale e servitore di un testo di parola...
La scrittura, la scrittura odierna, è una
scrittura inevitabilmente multipla.
Edoardo Sanguineti. Un capitolo a
parte della tua carriera. Che rapporto
hai con il poeta? Quale con l’uomo?
Quale con il professore?
Sanguineti è per me amico poeta e
professore... Spesso lo chiamo prof, a
volte gli do del lei, a volte parliamo di
politica, poesia e a volte del mio bassotto. È una persona straordinaria che ammiro e a cui voglio sinceramente bene.
Lunga vita al Prof.!!!
Cosa ne pensi della candidatura di
10 CMPST #7[06.2008]
Liberovici con Patti Smith
Sanguineti alle ultime primarie per la
poltrona di Sindaco?
L’ho appoggiata durante le primarie.
Non so, qualora fosse stato scelto ed
eletto, se gli avrebbe fatto, personalmente, bene. E sono dubbi che gli ho
espresso con tutta sincerità. Penso che
fare il sindaco, ovvero l’amministratore,
sia un ruolo troppo “noioso“ per una persona creativa come lui. È stata, comunque, importante per segnalare ai partiti
maggiori l’esistenza e consistenza di un
approccio di sinistra alle cose.
Non dovevi avere anche tu un ruolo
politico nell’attuale organigramma alla
guida del Comune? Consulente per la
Cultura? Non abbiamo più neanche
l’Assessorato!
In questi anni, prima della giunta Vincenzi, mi sono state varie volte fatte
delle proposte di responsabilità che ho
sempre accolto, come atto di stima nei
miei confronti ma che allo stesso tempo
ho rifiutato. Non credo, almeno per ora,
che questa sia la mia strada. Quando
posso e me si da l’occasione, ho sempre
espresso le mie idee e portato magari
Import
un contributo... In modo sempre non istituzionale ma semplicemente creativo.
Non amo il “potere“ ma poter fare delle
cose.
Durante un confronto con te a Mentelocale, Sergio Maifredi (candidato di
Forza Italia per la cultura dello sconfitto
Enrico Musso), aveva detto: “Ho messo
in conto di non lavorare più a Genova.
È questa la sfida, metterci la faccia, perché dall’altra parte invece non si fanno
prigionieri.” Credi anche tu che in città lo
schieramento politico aiuti ad innalzarsi,
a trovare una posizione che garantisca
intoccabilità culturale? E, viceversa, ove
lo schieramento sia quello sbagliato,
puoi fare baracca e burattini e levare le
tende?
Amo fare baracca e burattini... Come
l’ebreo errante della tradizione ebraica...Non credo all’arte di stato e soprattutto lo stato dell’arte mi sembra messo
proprio male, in generale, in tutta Italia.
Detto ciò chiaramente, ci sono istituzioni
che anche se timidamente, delle aperture le fanno, ed in queste aperture cerco d’inserire progetti ed idee. L’intoccabilità culturale mi sembra un ossimoro...
La cultura, se è cultura, non può che
essere toccabile, contaminata, in movimento ed in trasformazione.
Ricordo male o a Villa Croce mettesti
su una installazione con lettori Cd e registrazioni di discorsi dei principali leader europei, all’interno di qualche collettiva? Che rapporto hai con l’Europa?
Mi pare che le tue opere girino abbondantemente anche al di fuori dei confini
patrii
Si avevo fatto un’installazione usando
le voci dei dittatori del G8. Con l’Europa
ho un buon rapporto, giro molto e faccio vari progetti. Consiglio a chiunque
faccia un lavoro creativo di mandare
mail in giro alle istituzioni europee ecc.
Generalmente rispondono e danno delle chances lavorative
Durante un incontro del Forum della
creatività, sei intervenuto citando due
progetti interessanti che ti hanno visto
partecipe. Ce ne parli un po? Il bando
per il festival del teatro, vinto poi da Napoli, e l’importanza di fare sistema tra
realtà simili. La costruzione di un teatro
(l’Officina?) e il ruolo delle politiche che
danno e levano senza ragioni plausibili.
Fare sistema credo sia l’unica possibilità concreta che abbiamo per rinnovare
il panorama cittadino dal punto di vista
culturale, anche per questo spero che
il mio sito, come quelli di altri, diventino
delle piattaforme su cui discutere, elaborare progetti e proposte. Credo ci sia
l’urgenza di pensare ad un laboratorio
aperto sulle nuove tecnologie e l’arte
in generale... Ci avevo provato qualche
anno fa con il sindaco Pericu, poi i soliti veti incrociati cittadini hanno fatto si
che un lavoro di circa 8 anni di progettazione sia svanito nel nulla. Chi vuole
dare un occhiata al progetto lo può trovare sul sito del teatrodelsuono. Sicuramente, e questo è stato un mio errore,
se non fossi stato solo ma se questa idea
fosse stata supportata da un consenso
forte da parte di chi avrebbe dovuto
usufruirne (ovvero il mondo giovanile)
Andrea, primi anni ‘80
probabilmente le cose sarebbero andate in modo diverso. Credo nell’autodeterminazione ma anche molto nell’unità
fra chi ha una visione simile. Per questa
ragione continuo a pensare che sia importante conoscerci e contarci e dopodichè proporre.
Progetti per il futuro, soprattutto se interessano Genova?
Sono sempre interessato a Genova e
molti genovesi, per mia fortuna, amano
ed apprezzano il mio lavoro e ricerca.
Nell’immediato non ho progetti in città
se non quello di provare a creare, insieme, un gruppo in cui si condividano
degli obiettivi di rinnovamento culturale
della città.
Più info sulle attività di Andrea
ht t p ://w w w. l i b e rov i c i . i t
http://www.teatrodelsuono.it/
11 CMPST #7[06.2008]
Produzioni
“Parafrasando i Led Zeppelin, essere nel rock e’ come essere in una
societa’ segreta, anche se gli anni,
i decenni, passano quando ci si
reincontra ci si riconosce subito.”
Atelier Nouveau - Pocket Rockets - The Family
Intervista con Giorgio Lanteri
di Davide Chicco
L A FAMIGLIA
Eccoci qui con Giorgio degli Atelier Nouveau, gruppo oramai da molti anni impegnato nella galassia dell’elettronica, formato dal genovese Giorgio e dal britannico Craig.
Orsù dunque raccontaci, come / dove
vi siete conosciuti tu e Craig? Com’è nata
l’idea di formare un gruppo?
Allora, io e Craig ci siamo conosciuti - se
non ricordo male – nel lontano 1998 al lavoro,
quello “vero” che serve a pagare mutuo e
bollette. Mi avevano parlato di questo nuovo
collega proveniente dal Sudafrica che abitava da solo e aveva l’hobby della musica,
e se ero interessato a consigliargli qualche
negozio, fare due chiacchiere, etc. Dopo
poco ci siamo trovati a strimpellare nel mio
salotto sopra ai demo che lui aveva registrato
da solo su un microscopico Roland Composer da taschino. Ricordo che all’epoca lui era
in palla con i Radiohead, quindi le primissime
cose avevano un certo sapore pseudo prog,
che ben si confaceva comunque al suonare
seduti su un divano... Quando poi è subentrata la voglia di suonare “davvero” allora ecco
che è subito saltato fuori con prepotenza il
comune passato punk di entrambi, e da lì poi
è venuto tutto il resto.
12 CMPST #7[06.2008]
Giorgio gestisce anche un’etichetta discografica, la Family, che negli anni ha
fatto uscire nomi del tipo di Hyperbubble,
Antoine Bif, Loopy. Com’è nato questo progetto?
Le etichette sono due, in verità, The Family
Records, specializzata in musica elettronica
di vario tipo, dal synth pop alla minimal, dal
chillout alla techno, seppure con un’originaria predilezione per l’electro e la neonata, The Family Beatz, specializzati in generi
comunque danzerecci, ma di matrice elettrica, come hip hop, funk, reggae, etc. Non
so sinceramente con che criterio abbiate selezionato i nomi da menzionare... ma citerei
piuttosto Martin Degville, cantante dei Sigue
Sigue Sputnik, o artisti comunque già abbastanza conosciuti nell’ambito della musica
dance, come Itrema, recentemente recensito sulla bibbia Mixmag, o Sagittarius, già passato parecchie volte sulla BBC... ma diciamo
più genericamente che sulle cento e più releases uscite nell’ultimo anno il numero di ar-
tisti validi e promettenti supera di gran lunga
quello delle “sole” prese (e purtroppo propinate al pubblico...). I ferraresi Freak Invaderz
e il torinese Devote aka 6884, per esempio,
sconosciuti ai più, hanno venduto vagonate
di downloads e sono stati piratati un casino
in Russia e zone limitrofe... aggiungo con una
malcelata punta di orgoglio che anche noi
Atelier Nouveau abbiamo avuto questo onore. Qui si va nel perverso, immagino, perché
non pensavo che essere piratati e vedere
quindi potenziali guadagni sfumare potesse
dare questa soddisfazione!
Parlaci della scelta di creare un’etichetta
digitale. È stata una decisione forzata? Oppure un lucido progetto alternativo?
Il tutto è nato dal fatto che in realtà stavo letteralmente ossessionando il titolare di
un’altra etichetta, The Flame Recordings, con
la quale avevamo firmato un contratto per
un 12”. A suon di consigli e opinioni su come
avrebbe dovuto essere gestita l’uscita del
suddetto 12” un giorno mi è stato proposto
di lasciare il mondo e, soprattutto, The Flame Recordings e il suo titolare, così come
stavano prima e di infondere invece la mia
prorompente energia creativa e il mio contagioso entusiasmo in un’etichetta nuova, in società con lui. Mi è sembrata una proposta interessante, tenuto anche conto del fatto che
le differenze fra etichette digitali e etichette
“fisiche” sono, per me, tutte a vantaggio
delle prime, almeno quando sei tu a gestirle.
Produzioni
Atelier Nouveau - Giorgio e Craig
Giusto per citarne due, a me piace scoprire
artisti cui nessuno ha mai dato una possibilità
in cui vedo un potenziale - e ciò è più facile se non rischi continuamente di andare in
bancarotta per farlo - e poi sotto il letto non
ho molto posto per tenere i cartoni con i cd
invenduti. Quindi....
Tu e Craig prima di questo progetto avevate una band punk glam abbastanza conosciuta, i Pocket Rockets, che per parecchi anni s’è distinta sulla scena, anzi, la non
scena, italiana e genovese. Come andò a
finire poi con i Pocket Rockets? Ti mancano i tempi con la band? Ti capita mai di voler tornare a quei tempi?
The Pocket Rockets erano la prosecuzione
di quelle suonate sul divano di cui si parlava
prima. È stato senz’altro un periodo divertente, e anche frustrante. Proprio come di solito
è questo genere di cose. Ci sono episodi che
ricordo davvero con un sorriso, come gli esordi della band segnati da una formazione...
diciamo non ottimale, con conseguenti meritatissime stroncature, e poi invece l’avere
avuto un intero capitolo dedicato in un libro
americano, “Gigs from hell” (di Sleazegrinder,
uno dei redattori di Classic Rock), i Dokken
che ascoltavano sul tour bus il nostro cd e
volevano portarci in tour in Cina, le amicizie
sviluppate con alcuni dei miei artisti preferiti americani, come Lizzie Grey (che fondò i
London insieme a Nikki Sixx), Tracii Guns (fondatore dei Guns’n’Roses con Axl Rose, di L.A.
Guns e Brides of Destruction) e Richie Ranno
degli Starz, i passaggi e le interviste su Rock
FM, le recensioni su tutta la stampa del settore italiana, e anche “l’infausto incidente”
con Classic Rock. Ci avevano in pratica “proposto” di acquistare spazi pubblicitari sulla
rivista in cambio di una recensione positiva a
prescindere. Io lessi quella e-mail, mandata
a un indirizzo di posta che non leggevo quasi
mai, solo dopo... e cioè dopo aver letto sulla
rivista una recensione ai limiti del razzismo e
dell’incarognimento. Da quella volta, essendo rimasto comunque abbonato alla rivista,
mi diverto sempre a guardare prima le pubblicità e poi a compararle con le recensioni.
Non avete idea di quanto una mezza pagina a colori possa fare... Come andò a finire...
andò a finire che mantenere una formazione
di un certo livello qualitativo e con una certa
omogeneità a Genova è impossibile. Per un
certo periodo ciò è successo, poi uno dei chitarristi si è dovuto trasferire a Torino per lavoro.
Devo dargli atto di essere anche andato su
e giù per le prove per un certo periodo, ma
alla fine non ce la faceva proprio più. Il cantante di quella formazione, già non un mostro
di affidabilità di per sè, diede sfoggio finale
della sua volatilità, appunto, volatilizzandosi...
per la seconda volta in pochi anni. Rimasti in
tre abbiamo cercato di tenere in vita il gruppo inserendo un elemento pescato quasi a
forza dall’epic metal ma la cosa non stava
in piedi... registrammo un EP di quattro pezzi assieme, ma appena questo amico sentì
nuovamente il richiamo delle origini tornò
praticamente da dove era venuto. Pochi, disperati, tentativi di defibrillare il progetto morente in formazione a tre, e poi la decisione
di chiudere. Io e Craig da lì ripartimmo dalle
origini, il duo, come Atelier Nouveau. Questa
volta, però, seriamente intenzionati a rimanere in due. Peccato, perché nel suo periodo
di maggiore compattezza ed efficacia The
Pocket Rockets erano un discreto gruppo. Sicuramente non avrebbero comunque combinato un accidente, ma qualche soddisfazione ce la saremmo ancora potuta togliere.
Mi mancano quei tempi? Sinceramente non
so. Le dinamiche di un gruppo di cinque
persone sono sempre faticose. Si possono
sopportare, magari a suon di cazzotti e poi
di sbronze, quando si hanno 15/25 anni... poi
subentra una fase in cui diventa sempre più
difficile. Magari fra una trentina d’anni, se
sarò ancora da queste parti, non mi spiacerebbe di fare parte di un combo rock specializzato in rock classico... tipo quei gruppi jazz
che si vedono ora (il rock è effettivamente
destinato a fare la fine del jazz, ma questo
è un altro discorso). Suonare Chinese Rocks
da seduto deve essere divertente quando
hai settant’anni suonati! Se dovessi desiderare tornare a qualche tempo della mia vita
musicale, allora nomino subito gli esordi degli Asphyxia, in cui il bassista (che all’epoca
non ero io) chiedeva a quello della saletta se
per suonare le note bisognava tenere il dito
schiacciato sulle corde, e io ero più bravo a
scrivere il logo sui muri col Grinta Marker che
a suonare la batteria. Si, nel 1980 mi ci troverei
davvero bene. Dove si compra il biglietto?
Come forse saprai, la nostra fanzine
Compost è prevalentemente dedicata alle
emozioni ed alle questioni della scena musicale genovese. Tu che fosti “giovinetto”
nei mitici anni ‘80, come vedi cambiata
la città rispetto a quegli anni? Com’era la
“non scena” rock in quel periodo? C’erano
più possibilità, meno spazi oppure cosa?
Confrontando la Genova d’oggi con quella
d’allora, cosa rimpiangi e cosa riconsideri?
Su queste stesse pagine altri, e ben più no13 CMPST #7[06.2008]
Produzioni
bili, “illustri desaparecidos aspiranti profeti in
patria” (uso volutamente una definizione
data recentemente da altri, al di là che io la
condivida o meno) sono passati prima di me
e hanno descritto superbamente la situazione dell’epoca, chi da un punto di vista, chi
magari da un altro. Loro allora erano i veri attori della scena genovese, io ero solo... una
mascotte. La città, se è cambiata, è cambiata in meglio. E con questo mi riferisco all’aspetto meramente urbanistico. Alcune
problematiche sono forse equivalenti nel livello di gravità ma diverse. Ricordo per esempio che non era infrequente incappare in retate anti terrorismo, anche e soprattutto se
avevi un giubbotto nero e le spillette. Mi è rimasto particolarmente impresso un posto di
blocco della polizia con tanto di volanti poste
a imbuto e poliziotti con i mitra spianati e i
giubbotti antiproiettili che salivano.... sull’autobus con cui stavo andando a scuola! C’era
stata una sparatoria in mattinata e cercavano i responsabili... Ogni tanto qualche appuntato o qualche brigatista rimaneva sotto
al piombo avversario. Capitava di maledire
quello stronzo della classe a fianco che rubava le autoradio e i motorini, e poi magari di
piangerlo la settimana dopo perché la roba
che si era comprato col tuo motorino gli era
andata di traverso. Allo stadio non era affatto
infrequente rischiare qualche coltellata, e
per fortuna che quelli che ci andavano con
la pistola erano pochi. Di sicuro, comunque, ti
beccavi degli scappellotti e dei calci nel
culo pure dai tuoi se andavi in gradinata e
non rimanevi senza voce cantando tutto il
tempo. Altra cosa sicura è che c’era comunque anche costantemente puntato sul tuo
culo qualche centinaio di testate atomiche,
e la sensazione metteva un pochino di angoscia, latente ma costante. C’erano due canali della televisione, l’unico videogioco disponibile era l’infame Pong da attaccare alla
presa dell’antenna della tv in bianco e nero,
ci si ammazzava di seghe fisiche sfogliando
14 CMPST #7[06.2008]
“Le Ore” procurato dal compagno col fratello più grande e di seghe mentali col mitico
Subbuteo. Quando tutto ciò era troppo da
sopportare, si prendeva un pallone e si scendeva in strada a sfiancarsi giocando fino all’ultimo raggio di luce disponibile usando la
serranda di un garage come porta. Per i musicofili la grande libidine era data dalle radio
libere, che libere erano veramente, perché
ogni speaker metteva quello che gli piaceva, non quello che era pagato per mettere...
Uscendo da una pubertà di questo tipo, forse
riesce più facile comprendere cosa succedeva, e perché, in quegli anni. L’onda lunga
del rock’n’roll e del beat degli anni 60 si era
spenta, narcotizzata dagli anni 70 con le sue
spade e le sue pistole. Per gli adolescenti
c’era poco, e quel poco non piaceva molto... era pesante e aveva stufato. Avere l’opportunità di partecipare a una cosa nuova
ed eccitante proveniente dall’estero come il
punk e la new wave era adrenalina pura. La
differenza non era fra epic metal e thrash metal o fra indie e emo. La differenza era fra il
niente e... il nuovo! Le possibilità quando non
c’erano si inventavano. I concerti (punk!) si
tenevano nelle aule magne dei licei, nelle
chiese sconsacrate, nelle discoteche, nelle
sale mensa dei conventi, negli oratori. Non
contava venire pagati, contava esserci, contava provare quell’emozione. Era naturale inventarsi cose nuove, venendo da un periodo
in cui tutto ciò praticamente non esisteva, e
quindi non c’erano rimpianti, non c’erano diritti acquisiti, non c’era gente che si lamentava. Nessuno aveva niente, e chi aveva qualcosa ce l’aveva perché se lo era inventato (o
lo aveva copiato a man salva dall’estero, ma
che importa!?!?!) Se devo dire cosa rimpiango di quell’epoca, ci sono due cose... diverse
ma altrettanto importanti... Una è la purezza,
l’ingenuità e l’entusiasmo di quello che tutti
cercavano di fare. L’altra, a livello esclusivamente personale, è la sensazione di scoperta, di emozione e anche di appartenenza.
The Pocket Rockets
All’epoca c’erano vari gruppi di punks in città. Fra questi i più famosi erano senz’altro i
“Defe Punx”, che erano i duri e puri... e poi i
più moderati Punks di Brignole, che stazionavano sugli scalini di accesso alla stazione. Io
facevo parte di quel gruppo, o meglio, vista
l’età (15 anni) ne ero, con alcuni altri, la mascotte... l’apprendista... Ricordo sempre i racconti e le avventure che ci venivano passate
dalle figure di spicco del gruppo... Marco
Menduni, ora brillante cronista del Secolo XIX
e allora chitarrista prima dei bravissimi Establishment e poi dei Crapping Dogs, suo fratello Alfredo, sempre fraterno e protettivo nei
confronti di noi “piccoli” e Michele, il cantante dei Crapping Dogs, Anna dei 777, la Patti
Smith genovese, e poi quel pazzo di Bob, con
i suoi mille tic e il suo modo di fare a metà fra
Flavor Flav e Sid Vicious! Le fanzines... e i primi
vagiti autoprodotti.. Per quello la Mecca era
Produzioni
“Il cantante di quella formazione,
gia’ non un mostro di affidabilita’
di per se’, diede sfoggio finale
della sua volatilita’, appunto,
v o l a t i l i z z a n d o s i . . .”
Liguria Libri e Dischi, in Via XX Settembre, che
addirittura metteva le novità genovesi in vetrina! Fra le fanzines ricordo naturalmente “Le
Silure d’Europe”, ma anche “Scortilla”, edita
dai componenti dello stesso gruppo. E poi
qualche tentativo infantile, puerile e assolutamente derivativo messo assieme dal sottoscritto e dagli altri Asphyxia, prima “Boato” (2
numeri) e poi “Punk Magazine” (1 numero)...
in città qualche anno dopo si trovava anche
l’eccellente Mazquerade, prodotta se non ricordo male a Perugia, in assoluto la miglior
fanzine che abbia mai letto sotto il profilo
strettamente musicale. Tornando alle meraviglie reperibili da Liguria Libri e Dischi, mi ricordo la busta di cellophane trasparente contenente la cassetta autoprodotta dagli Scortilla
e un booklet fotocopiato... l’ho sempre desiderata ardentemente, uno dei miei oggetti
di culto. All’epoca non vi riuscii, ma un annetto fa mi sono consolato comprando il bel cd
antologico postumo, contenente sia i brani
della cassettina che, fra gli altri, un remaster e
un video di Fahrenheit 451, lo splendido brano col quale i suddetti parteciparono al Festivalbar del 1984. E poi l’emozione quando,
semi imboscato fra le proposte di un negozio
di fotografia di Via San Luca (!), riuscii a trovare il maledettissimo sette pollici rosa, quello di “Rosa Shocking” dei Dirty Actions, ultimo a
mancare alla mia collezione dopo essermi
assicurato gli altri sei della serie Rock 80 pubblicata dalla Cramps, quella degli Area... il
vinile trasparente dei milanesi X-Rated, quello giallo fluo dei bolognesi Windopen, quello
blu dei romani Take Four Doses, quello giallo
scuro delle Kandeggina Gang di Jo Squillo
(che suonarono nel levante genovese insie-
me ai Dirty Actions, se non ricordo male),
quello verde degli Skiantos e la loro “Fagioli”,
brano che avrebbe dovuto partecipare al
Festival di Sanremo salvo poi venire cassato
quasi all’ultimo, e quello rosso ciliegia dei milanesi di stanza al Leoncavallo, i Kaos Rock,
con i quali se fossi stato meno imbranato
(avevo 15 anni!!) avremmo potuto suonare
assieme qui a Genova. Ricordo ancora il
quasi svenimento quando mi chiamò in interurbana il loro bassista Gianni Muciaccia (da
allora e tuttora compagno di Jo Squillo, gossip mode <on>) per vedere se si riusciva a organizzare la cosa!!! In quei giorni a Pordenone i ragazzi del Great Complotto riuscivano a
fare la storia (complice però un appartamento sfitto concesso da mammà a uno di loro
per le attività del collettivo...), a Bologna l’Italian Records metteva su vinile la storia dopo
averla iniziata a fare già due o tre anni prima
e a Torino un certo Johnson Righeira lavorava
sul suo sette pollici italo surf punk “Bianca Surf
/ Photoni” e inseriva nel suo demo anche una
protoversione di “L’estate sta finendo” (se siete interessati, c’è il cd, dal titolo esemplificativo di un certo conflitto generazionale che bastardo - ci pervade a tutti quanti “Johnson
Righeira, ex punk ora venduto”... acquisto
consigliato). Per chi lo trova, per capire tutto
ciò c’è un numero della rivista Popster - che
ora si chiama Rockstar - che urlava in copertina “Arrivano le brigate rock!” In quella rivista
scriveva un altro sognatore... Un impiegato di
banca appassionato di musica e di F1 che
scelse lo pseudonimo di Red Ronnie. Last, but
not least, mi permetto di ricordare con estrema libidine il programma in onda su TiVuEsse
ogni domenica pomeriggio alle due, se non
erro, chiamato “Colpo Secco” e condotto
da Renato Tortarolo in cui venivano intervistati e registrati in presa video diretta in studio i
gruppi genovesi. Fu lì che conobbi Establishment, Scortilla, Sixties... quei filmati sarebbero
oro puro se saltassero fuori di nuovo!
Pensi che il web con tutti i suoi pregi e difetti abbia alterato il modo di comportarsi
di musicisti ed appassionati di musica? In
meglio o in peggio? Ad esempio, un tempo
sembrava una cosa incredibile stampare
un album con copertina, mentre oggi con
un pc ed un chitarrino ed un microfono,
una persona può produrre il suo disco con
copertina e venderlo ad un pubblico potenziale di milioni di persone. Questo oltre
a dare molte possibilità forse ammazza un
po’ il prodotto secondo te?
Trovo questo discorso davvero delicato,
perché la giuria... non si è ancora riunita e
non ha espresso il suo parere! Posso solo fare
alcune riflessioni di prima persona, senza la
pretesa che siano quelle giuste o anche solo
che vengano condivise. Vedo TRE riflessioni
da fare, non necessariamente coerenti fra
loro. La prima è che il web è comunicazione. E la comunicazione non è mai un male.
Esempio stupido, in occasione di un recente trasloco ho trovato una scatola di lettere
che scambiavo all’epoca del gruppo mod
(The Five Faces) con mods di altre città... a
posteriori, se all’epoca ci fosse stata l’e-mail
tutta quella corrispondenza sarebbe stata
più immediata, senza dover mandare avanti
e indietro lettere e aspettare per giorni la risposta... certo, era bella la sorpresa di trovare
la busta nella casella postale, magari con
dentro adesivi, spillette, etc. ma a conti fatti
credo non ci siano comunque paragoni. La
seconda, riguardo al tipo che si registra i pezzi con la chitarrina e il pc, è più circostanziata.
Parlo con in tasca l’esperienza delle etichette
digitali. La qualità viene comunque sempre
prima di tutto. Il suddetto elemento con chitarrina ha senza dubbio accesso a canali di
promozione e distribuzione impensabili fino a
qualche tempo fa ma se, come spesso accade, ciò che fa è una cagata, nessuno del
pubblico potenziale di milioni di clienti glielo
comprerà, di questo statene certi. Non sono
affatto pochi quelli che pensano di produrre
15 CMPST #7[06.2008]
Produzioni
capolavori e poi vendono otto downloads
in sei mesi... e tutto si può dire meno che il
pubblico, soprattutto quello che addirittura paga, non sia un giudice assolutamente
spietato. La terza, circa...l’omicidio del prodotto è relativa. Il fatto che ci sia più scelta
può senza dubbio comportare una dilatazione nei criteri, nei tempi e nei modi di scelta da
parte dell’acquirente ma quando poi si arriva
alle cose serie... e cioè lo spendere soldi, nessuno compra cose che non gli piacciono veramente. Senza contare che gli strumenti e le
fonti che possono aiutare a compiere la scelta, seppure in un catalogo immensamente
più grande che in passato, sono più precisi
e disponibili in quantità, quindi più o meno
le cose si bilanciano. C’è maggiore scelta e
maggiori strumenti per attuare la scelta giusta secondo i propri gusti. È un male? Forse
no, vero?
Un’altra domanda che assilla noi (finti)
indie rockers a Genova è: perché la gente non viene ai concerti. Su un pubblico
potenziale di migliaia di persone, alla fine
non si capisce come molto spesso, davanti
a proposte allettanti, come quelle di DisorderDrama.org o del Checkmate Club, gli
astanti si contino sulle dita d’una mano. Un
problema di mentalità prima che di spazi.
Percepisci anche tu questa sensazione sotto la lanterna? La percepivi negli anni ‘80?
Come convincere la gente che è meglio
andare ad un concerto che giocare alla
Playstation?
Nei primissimi anni 80 il concerto, anche se
era nell’aula magna del Cassini, era un evento, un momento di aggregazione e magari
anche un motivo per sperare di prendere
un pò di mussa... (solo sperare, eh, sia chiaro..) Era ciò che dicevo prima... ingenuità,
scoperta/innovazione ed eccitazione. Ora
indubbiamente, a trent’anni dal punk, questi tre fattori sono meno presenti. I ragazzi di
Disorder Drama, tanto per fare un esempio
16 CMPST #7[06.2008]
che ritengo illuminante e - appunto - da portare ad esempio, fanno il loro “lavoro” con
una professionalità ed una competenza che
all’epoca era assolutamente impensabile
sognare di raggiungere e con almeno altrettanta passione. Ma, e lo sappiamo tutti,
gli astanti sono pochi. Di chi è la colpa? La
risposta più verosimile è, credo, la meno simpatica da dare: di nessuno. Loro, gli organizzatori, sono assolutamente al di sopra di ogni
sospetto. Ciò che fanno è fatto secondo i
criteri, praticamente ineccepibili, di cui sopra. Il pubblico “potenziale” è distratto e ben
pasciuto dalla disponibilità e dall’offerta di
tanta e tale aggregazione e comunicazione fisica e virtuale che venticinque anni fa
era, in alcuni casi, realmente fantascienza
(videotelefonino? seeeeee.... roba da Star
Trek... “Scotty, beam me up!”), senza contare l’offerta di musica attuale su radio, tv e
internet (tenendo pure conto che la musica
in sé è comunque al momento una commodity meno appetibile di quanto lo fosse “ai
miei tempi”). Il pubblico “di altre epoche”,
incluso il sottoscritto, non è sempre ricettivo
nei confronti delle novità attuali (provate a
chiedermi se preferisco i Kiss o gli Slipknot o
anche solo i Culture Club ai Tokyo Hotel...), è
spesso, o quasi sempre, impegnato dal dover
garantire energie/risorse/disponibilità per tutta una serie di responsabilità che prima non
c’erano e, last but not least, non apprezza
il venire tacciato di “matusa” o, peggio, di
pedofilo frequentando locali dove l’età media dei presenti è inferiore alla metà dei suoi
anni.... :)
Un altro “Daytime dilemma” è quello dei
finanziamenti pubblici. Molti a Genova si
lamentano dalla mattina alla sera di non
avere finanziamenti da Comune, Provincia, Regione, come se “spettassero” loro
dei soldi in quanto organizzatori di concerti
(alcuni si lamentano senza neppure chiedere.... ma questa è un’altra storia, chi ha
“Ma io vengo dal punk, e da un
epoca nella quale l’unica mano
tesa verso le istituzioni era per alzare il dito medio, e non per elemosinare, quindi concedetemi almeno
qualche attenuante generica...”
orecchie per... parappapà, ndr), ignorando
quasi completamente il concetto di “autofinanziamento”, che invece dovrebb’essere
di regola. Pensi che le istituzioni dovrebbero dare una mano all’ambiente musicale?
Oppure trovi che gli organizzatori dovrebbero sbattersi e basta, perché nessuno regala niente e “l’assistenzialismo ha i giorni
contati”?
Oggettivamente parlando, anche qui
ho la fortuna di poter citare un esempio illuminante accaduto, mi pare nel 1983, nella
nostra città. All’epoca la Giunta Comunale,
accogliendo le istanze provenienti dalla nutrita folla di musicisti, organizzatori e pubblico
della scena genovese (che all’epoca rappresentava un più che discreto serbatoio di
potenziali voti, in effetti...) decise di iniziare a
regalare ai musicisti dei gruppi genovesi dei
coupon validi per un’ora di sala prove gratis.
Bellissimo, no? Allora, vediamo la cosa nel
dettaglio... Questi coupon erano “nominali
per gruppo”, e venivano distribuiti uno alla
settimana. Un gruppo era mediamente di
quattro persone. Quindi il lunedì passava il
cantante del gruppo “The Broncos” a farsene dare uno. Il martedì il chitarrista, dicendo
invece che suonava nei “Miracles” andava
a farsene dare un altro. Il mercoledì il bassista dei sedicenti “BoomBooms” raccoglieva
il terzo e perfino il batterista, al giovedì (strano come anche i batteristi a volte riescano
a compiere azioni che vanno oltre ai bisogni
primari...) riusciva a portarne a casa un altro,
in qualche modo. Morale: quattro buoni da
un’ora disponibili per gruppo (vero) alla settimana Morale pt.II: il Comune, sorpreso da
Produzioni
tale spietatamente coordinato assedio, non
riuscì poi a onorare i rimborsi alle sale prova
dell’epoca e molte di queste (cito per certa
quella che frequentavo io, il Pentagramma
di Pza delle Vigne) dovettero chiudere, condannando altresì a morte molti dei gruppi
che le frequentavano. Morale pt.III: cui prodest? Soggettivamente parlando, invece,
e non necessariamente a seguito di questo
episodio, io mi reputo comunque assolutamente contrario a qualsiasi forma di finanziamento da parte degli Enti Pubblici a gruppi
o scene musicali, tanto più nel momento in
cui questa richiesta parta da questi ultimi.
Fare musica dovrebbe essere o una passione, un’arte, per cui uno o più soggetti possono farla indipendentemente dalla presenza
o dal gradimento di un pubblico (e quindi a
maggior ragione dall’assistenza data da un
Ente Pubblico per favorire questo processo),
oppure un’attività che, magari nel suo piccolo, si va ad inserire in un “mercato”. E allora è
quel mercato stesso a dettare le regole. Non
si pretenda di instaurare una presenza in un
libero mercato attraverso l’iniezione di denari
pubblici, tolti oltretutto a utilizzi che potrebbero essere ben più necessari, se non addirittura
vitali, per alcuni cittadini della musica. Se poi
si parla di situazioni in cui viene favorito l’utilizzo di spazi pubblici inutilizzati o sottoutilizzati
per manifestazioni organizzate e finanziate
privatamente, allora questa è una faccenda
diversa. Cum grano salis, e possibilmente al
di fuori di meccanismi di paternalismo politico o, peggio, di voto di scambio, questo
potrebbe essere un equo compromesso.
Ma mettere su enti, associazioni, cooperative e/o crearsi posizioni di spicco in presunte
scene per ergersi a portavoce di qualcuno e
battere cassa mi sembra davvero quanto di
più lontano da come vedo io il concetto del
fare musica... Ma io vengo dal punk, e da un
epoca nella quale l’unica mano tesa verso
le istituzioni era per alzare il dito medio, e non
per elemosinare, quindi concedetemi alme-
no qualche attenuante generica...
Dopo tanti anni sei rimasto ancora nell’ambiente musicale, cosa che non capita
a tutti. Ti capita a volte di sentire o incontrare qualche tu amico ex musicista che
ad un certo punto ha detto “Basta, vado a
fare l’impiegato” ed ha appeso il chiodo al
chiodo? Credi che capiterà anche a te prima o poi?
Io, almeno finché le logiche delle multinazionali (e potrebbe essere davvero poco,
ahimè...) me lo consentiranno, faccio davvero l’impiegato! E vi assicuro che conciliare le
due cose, e la famiglia, non è sempre facile.
Sono continui compromessi, piccoli e grandi,
che bisogna cercare, e naturalmente chi ha
lo spirito pervaso dal fare musica non sempre
ha la stessa capacità negoziale dell’Onu e
la pazienza di Madre Teresa di Calcutta, ma
d’altro canto è anche vero che a nessuno di
noi lo ha prescritto il medico di avere questa
passione quindi... Sono tanti gli amici che
hanno mollato, a partire dal batterista degli
Asphyxia/The Five Faces nel lontano 1983...
allora lo vissi come un vero e proprio tradimento e ci rimasi malissimo, ora sono ovviamente più conciliante. Vivo ogni giorno sulla
mia pelle cosa vogliono dire certe responsabilità, e riconosco che ci vuole una certa
dose di follia, o di incoscienza, per continuare a perseguire testardamente certe cose in
presenza di altre... E poi, parafrasando i Led
Zeppelin, essere nel rock è come essere in
una società segreta, anche se gli anni, i decenni, passano quando ci si ri-incontra ci si
riconosce subito. Gli altri invece, quelli per cui
la musica era solo una cosa del momento,
ora si staranno gustando qualche altra passione (in fondo ce ne sono sempre di più disponibili, no?) e quindi con loro va bene così.
Loro non mancano a me e io senz’altro non
manco a loro...
Un’ultima domanda, per chiudere con un
messaggio d’ottimismo: cosa vorresti che
venisse scritto sulla tua tomba? :-D
Mi viene in mente quella barzelletta che
suggerirebbe di mettere “Ve l’avevo detto
che non mi sentivo mica tanto bene...” Più
realisticamente, e attingendo solo al mio
sacco, direi “È vissuto inseguendo i suoi sogni.
Ma non crediate abbia smesso, ora”
Più
info
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Giorgio
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com/ateliernouveau
http://www.ateliernouveau.eu
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17 CMPST #7[06.2008]
Sul Palco
“Siamo in Liguria, e la gente è
sempre un po scettica all’inizio, rispetto a queste iniziative...”
Santo Rock Festival
Intervista con Giacomo Boeddu e Michele Cauda
di Giulio Olivieri
E QUINDI: SANTO SUBITO!
L’estate è ormai alle porte, i locali han fatto i loro bei concerti di fine stagione e il rocker genovese in teoria finisce per perdere per tre mesi il suo habitat più classico.
A salvarlo dalla fame di concerti ecco che arrivano quelle sane abbuffate collettive di musica che sono i
festival, ricchi banchetti dal menù vario e appetitoso che lasciano lo spettatore satollo e felice. E il pubblico ha decisamente dimostrato di apprezzare la scelta , così come la band, e come si può immaginare la
cosa fa bene a tutte e due le parti: chi viene per sentirsi un po di buona musica scopre gruppi che forse non
sarebbe mai andato a vedere, chi viene per suonare ha l’occasione di testare la propria musica su spettatori che possono anche non seguire il loro genere e che quindi devono venir conquistati con ogni mezzo.
Insomma, un’occasione d’oro per la scena musicale cittadina, tanto più che la necessità di avere un cast
ogni anno diverso spinge chi organizza a dar spazio alle nuove leve, dando così spazio a chi deve ancora
farsi le ossa sul palco e ha necessariamente bisogno di mettersi alla prova in manifestazioni importanti.
Lunga vita ai festival estivi dunque, e quindi preparate capellini per riparavi dal sole, spray antizanzare, creme per proteggervi dal sole e telo per stendervi sul prato e
buon divertimento!
Con una scaletta che comprende una
notevole varietà di generi (dall’hard all’hardcore, dal noise all’hiphop, dal punk al
funk, dal cantautorato al reggae), il Santo
Rock (Villa Serra, a Menasseno – Sant’Olcese, dal 6 all’8 giugno) si preannuncia
uno dei più divertenti (e rinfrescanti, vista
la zona) della stagione festivaliera. Scaletta varie, si scriveva, e con headliner come
Sadist, Morkobot e Bobby Soul e innumerevoli altre formazioni (per un totale di ven18 CMPST #7[06.2008]
tun gruppi divisi sei il 6 giugno, 7 il sette e
-chi l’avrebbe mai detto?- otto per l’8) direi
che c’è da uscirne soddisfatti. Compost ha
deciso di parlarne con Giacomo Boeddu e
Michele Cauda, due componenti dell’organizzazione che si occupa dell’organizzazione del festival...
Beh, innanzi tutto credo sia d’obbligo fare
un po di storia del festival...
Michele: Il Festival nasce prima di tutto dalla
mente di Valentina Di Maggio, bassista dei 2
Novembre, e trova come primo sostenitore il
fratello Davide, batterista nello stesso gruppo.
I due sono da sempre affascinati dalla dalla
bellezza del parco di Villa Serra e decidono di
tentare di renderlo cornice di un evento musicale: da Sant’Olcese, il Santo Rock.
Giacomo: Il senso era proprio regalare un
contesto alle band della scena genovese, la
sfida quella di farlo nel piccolo paese dove
abitavano... Nel 2005, in un’unica serata si esibirono pochi gruppi. Il pubblico non era molto,
Sul Palco
“La
linea
che
vogliamo
mantenere è quella di variare il più
possibile i partecipanti al festival.”
ma il guanto era stato gettato! L’anno dopo le
sere furono due, il numero dei gruppi aumentò
e così il pubblico..
M: E a proposito, tante sono le persone che
sin dall’inizio hanno creduto in questo progetto e collaborato...cogliamo l’occasione per
ringraziarle tutte: voi sapete chi siete!
G:Anche il loro numero è cresciuto nel tempo... nel 2006 un altro “santolcesino”, Michele
Cauda, basso di Boogamen e Zero Reset, entra a far parte dell’organizzazione ...
M: E da quest’anno il team del “Santo”,
come chiamato confidenzialmente dagli
amici, ha aggiunto un’altro tassello al mosaico: Giacomo Boeddu, voce dei Gandhi’s
Gunn. Adesso siamo in cinque e viaggiamo a
pieno regime, grazie alla suddivisione dei ruoli
che ci permette di organizzarci al meglio.
G: L’organico è completato da Francesco
Raimondi, chitarra dei Gandhi’s Gunn, che
cura tutto il lato tecnico e pratico(assieme a
Davide) e garantisce lo svolgimento ottimale
delle serate del festival . E’ il nostro “mago” del
palco,nonché come tutti noi, contributore in
prima persona. Tornando alla storia, intanto il
festival cresceva, si arriva all’edizione dell’anno scorso: 23 bands suddivise in tre serate,con
un pubblico di circa 1500 persone: l’esperienza preziosa dei due anni precedenti inizia a
dare succosi frutti!
M: Quest’anno la sfida si fa ancora più ambiziosa... I nomi in cartellone diventano importanti... sì, il festival cresce...
Quali sono le maggiori difficoltà che incontrate?
G: La principale difficoltà è quella ovviamente di reperire i finanziamenti: a Sant’Olcese molti guardano al festival con favore e ci
supportano, ma avremmo bisogno di avere
più margine di manovra per quanto riguarda
l’autofinanziamento o nostro malgrado saremo costretti a cambiare location dal prossimo
anno... Sarebbe per noi vitale poter racimolare qualcosa tramite le attività di ristoro,ovvero
la distribuzione e vendita di bevande... ma ciò
al momento non ci è permesso…
M: Ricordiamo infatti che il festival non ha
grandi sponsor, si regge sulle spalle... beh ,
nostre!! Nonostante tutto ci teniamo a tenere
l’ingresso totalmente gratuito, nel rispetto dello
spirito dell’iniziativa.
E i rapporti con gli abitanti della zona
come sono?
M: Siamo in Liguria, e la gente è sempre un
po scettica all’inizio, rispetto a queste iniziative... I giovani di Sant’Olcese ovviamente sono
felici di avere nella propria Villa immersa nella
natura alcune serate di movimento!
G: I meno giovani sono anche meno contenti...com’è lecito aspettarsi, ma per noi è
fondamentale il rispetto di tutti, e siamo disponibili ad ascoltare le eventuali rimostranze…
M: Certamente un po di rumore è inevitabile...dopotutto si tratta di rock!!! Le restrizioni
che vogliono imporci sull’orario di chiusura finiscono per minare inevitabilmente il livello e la
qualità del festival…Noi riteniamo che un po’
di musica per tre giorni all’anno non sia così
insostenibile… insomma, abbiamo le nostre
difficoltà, l’appoggio per quanto riguarda il
parco sarebbe fondamentale!
Il programma del festival è sempre stato
aperto ad ogni genere musicale, qual’è il
criterio con cui scegliete i gruppi?
G: Si parte dal rock in tutte le sue declinazioni, ma lo scopo è di far suonare chiunque
possieda una proposta valida.
M: Ciò che è fondamentale è la preparazione e la qualità delle bands, poi ci teniamo
a proporre al pubblico la più ampia varietà di
suoni!
C’è qualche band che avreste voluto far
Giacomo al mixer luci by Framezero
suonare ma che per qualche casino non
siete riusciti a chiamare?
M: Tutte e nessuna...nel senso che abbiamo
contattato diverse band, ma avendo ottenuto da subito una risposta positiva da Sadist,
Morkobot e Bobby Soul, la scelta degli headliner si è chiusa subito nel modo migliore. Per
quanto riguarda i gruppi della scena ligure e
genovese, la linea che vogliamo mantenere
è quella di variare il più possibile i partecipanti
al festival.
G: Il criterio è semplicemente quello di chiamare band da noi ritenute
19 CMPST #7[06.2008]
Sul Palco
interessanti,quest’anno la scelta si è ampliata
tramite una selezione dei demo che i gruppi ci
hanno portato al Penelope. Ovviamente non
abbiamo potuto soddisfare tutte le richieste
ricevute, ringraziamo comunque tutti quelli
che hanno dimostrato di credere nel nostro
progetto!
La grafica del poster è di Kabuto?
G: Si le grafiche sono tutte di Kabuto, bassista dei Gandhi’s Gunn, che ha curato anche
quelle del cd dei 2 Novembre, riteniamo importantissimo curare tutti gli aspetti del festival,
inutile dire chele grafiche e lelocandine sono
fondamentali.
M: Vogliamo che rappresentino per tutti un
punto di riferimento in modo da fissare l’immagine di quello che siamo e facciamo.
L’anteprima del Santo Rock a Multedo è
stata un’ottima idea, come vi siete sentiti
dopo il successo dell’iniziativa?
G: Soddisfatti! Come avrete capito a noi
piace l’idea di trovare location assolutamente nuove : luoghi poco sfruttati ma con grandi
potenzialità. Rischiando contro gli ultimi freddi
invernali abbiamo voluto proporre un “amarcord” della scorsa edizione con band come
Vanessa Van Basten, Pornoshock e Fungus...
M: Un’amarcord e anche un biglietto da visita per la prossima edizione... La risposta della
gente è stata fantastica ed ha accresciuto la
nostra motivazione a mille!
Avete in progetto di replicare l’evento?
M: Certamente, adesso chi ci ferma più??
G: Abbiamo intenzione di proporre altri
eventi estivi al Penelope, e per l’inverno stiamo studiando diverse cosette interessanti... Vi
terremo informati!
“La risposta della gente è stata fantastica ed ha accresciuto
la nostra motivazione a mille!”
20 CMPST #7[06.2008]
L’edizione 2007 del Santo Rock - foto di Simone Lezzi Framezero
Il festival sarà anche l’occasione per presentare il tanto atteso esordio dei 2 Novembre: qualche anticipazione sul disco?
M: Sì, e a questo teniamo particolarmente:
i 2 Novembre rappresentano molto per Genova e il santo rock, come ideatori del festival e
organizzatori instancabili, nonché come una
delle band più valide ed amate dell’attuale
panorama genovese...
G: La serata del 7 Giugno vedrà l’anteprima
dal vivo di “Bellorio” loro album di esordio, che
sarà in distribuzione in tutta Italia da settembre. Ovviamente questo evento rende questa
edizione del festival ancora più imperdibile.
Volendo riassumere in uno slogan il motivo per cui chi sta leggendo queste righe
DEVE sentirsi obbligato a venire al festival
cosa direste?
Tutti e due: Vi chiedete il perché del loro
lungo collo ? Al santorock anche i cigni fanno
headbanging!!! Stay cigno !!!
Più info sul Santo Rock Fest su
h t t p : / / w w w. m y s p a c e . c o m /
santorock fest
Ospiti
“Crescere, conoscere, studiare,
non giudicare e fare, fare! Facciamo delle cose insieme invece di guardarci in cagnesco.”
Michele Serrano
Intervista con Michele Serrano
di Marco Giorcelli
TOMORROW’S PARTIES
Poliedrico, sfacciato, egocentrico, istrionico: quante altre mille facce potrebbe svelare ancora Michele Serrano? Tra Karl Lagersfield e
Donna Letizia, un personaggio intelligente, scomodo, un Indro Montanelli in salsa rosa con il quale, prima o poi, tutti dovremmo averci a che fare. E se non per i piccanti appuntamenti settimanali sulla Repubblica di Genova, almeno per i piatti delle Colonne di San
Bernardo, il suo ristorante nel centro storico genovese. Io, effettivamente, lo conosco poco, soprattutto per sentito dire. Però mi è simpatico per due ottimi motivi: è sempre elegante ed è spesso sorridente. Qualità che già di per sé lo rendono un genovese sui-generis.
Osservando il tuo curriculum vitae mi
è venuto in mente qualche personaggio
della beat generation tipo lo stesso Keruac: un’esistenza densa di tutto, ingorda,
talvolta quasi satura di vita. Una personalità come la tua (per un esaustivo approfondimento rimando al tuo curatissimo sito
www.micheleserrano.it) come riesce a coniugarsi con una città come Genova dove,
talvolta, l’immobilismo riesce a smorzare
anche i più intrepidi entusiasmi?
Un vecchio amico, Massimo Piombo, mi
definisce l’unica che persona che abita
a Genova ma vive come a Parigi. Carino,
soprattutto dato che lui è uno stilista di
grande successo, a Parigi è di casa, mentre io sono abbastanza spiantatello. Da
ragazzo comunque volevo solo andarmene, beh consiglio a tutti senza eccezioni
di andarsene via di qui almeno per l’università! I gruppi giovanili genovesi sono
rigidi come un’ uniforme, molto di più dei
giri degli adulti. Ci si frequenta per quartiere, per classe di leva o per appartenenza
politica (calcio a parte)… decisamente
claustrofobico, soprattutto considerando
che da giovani si ha bisogno di essere accettati (capaci di incredibili bassezze per
uno straccio di conferma), e raramente
si ha la faccia marcia che è venuta a me
nel corso degli anni. Comunque l’ho fatto,
me ne sono andato, ho viaggiato moltissimo (è indispensabile per capire che usi e
costumi non sono diktat ma convenzioni)
e ho scoperto che anche Manila coi suoi
18 milioni di abitanti può essere provinciale
come Quarto Alta! Tutto dipende da chi
sei tu, da che relazioni instauri con le perso-
ne che incontri… Si vuole andare lontano,
ma Lontano da Dove? (per citare un vecchio film). La prima distanza da prendere è
quella da sé stessi. Premesso questo Genova è evidentemente una città durissima, in
mano ad una gerontocrazia massona, ma
per nulla illuminata, ad alto inquinamento
mafioso, che offre ben poche opportunità. Lamentarsi però non serve a nulla. Odio
la lamentela e le spinte garantiste tipo:
“non vado via di casa perché gli affitti
sono cari o perché non trovo il posto fisso”.
Poveri cocchi, ma dove sta scritto che la
tua vita debba essere garantita? Lottiamo
contro lo status quo migliorando noi stessi,
mettendo azioni positive. Crescere, conoscere, studiare, non giudicare e fare, fare!
Facciamo delle cose insieme invece di
guardarci in cagnesco.
In riferimento alla domanda precedente,
non ti viene mai voglia di prenderti un altro
anno sabbatico come hai fatto nel 97’98
quando sei andato nelle Filippine? Che
ricordi hai di quella esperienza? Tutti i filippini che ho conosciuto (qui) mi son sempre
sembrati dei gran casinisti.
Beh un po’ incasinati lo sono con 500
anni di dominazione spagnola che si è
innescata su una cultura oceanico-animista. Comunque raramente quelli che vengono qui a lavorare avevano i nonni che
21 CMPST #7[06.2008]
Ospiti
andavano a fare lo shopping a NY con
l’aereo personale, eppure là ne incontri
tanti! Certamente i Filippini sono molto più
cosmopoliti di noi (intendo noi europei) e
sono molto divertenti, anche perché hanno una visione del sesso assai meno drammatica della nostra, ma no, un altro anno
sabbatico per ora non lo desidero né là né
altrove. Ho voglia di lavorare.
Prima di arrivare all’inevitabile confronto
con Angiolina Priod (tuo alterego da rotocalco, me lo consenti?) vorrei sapere se e
chi trovi a te affine per energia e propositività a Genova?
Guarda non posso citarne né uno né
due, ce ne sono mille e ancora mille. Tu per
esempio col tuo giornale… A me magari
stanno sul cazzo i gruppi e le lobbie, ma
adoro le persone. Prese una a una mi sembrano quasi tutte bellissime.
So che sei buon amico e che hai collaborato più volte con Andrea Liberovici,
considerando la tua consumata esperienza teatrale, quali sono le esperienze strettamente cittadine che trovi più interessanti
e creative in ambito di prosa?
A Genova quasi sempre la cultura ha un
retrogusto al pesto. Andrea invece porta
avanti una ricerca teatrale molto interessante e informata di ciò che accade ed
è accaduto nel mondo. Certamente è un
grande amico, ma sai sono amico anche
di quelli di Emanuele Conte e di Stefania
Opisso (Archivolto). Sono amico della Peirolero, di Savina Scerni, della Vannucci,
della Sicignano e di Anna Nano dello Stabile….
Chi è Angiolina Priod? Una giornalista,
una Donna Letizia oppure una Barbara Alberti tout court?
Angiolina nasceva come una signora
della buona borghesia genovese, non
22 CMPST #7[06.2008]
sposata, ma con un certo passato sentimentale e una solida cultura. Una donna
sola, acuta e caustica che chiacchierava
dalle pagine del giornale come se parlasse con la migliore amica. Il fatto è che in
quasi 8 anni io sono cambiato parecchio
e certe cose che Angiolina vedeva non le
guardo più. Però mi piace sempre la sua
leggerezza, vorrei che un po’ di Angiolina
vivesse in me per sempre.
Che musica ascolta Michele Serrano?
Sei a conosenza delle molteplici realtà cittadine e liguri più in generale? Hai
mai ascoltato, per esempio, Bobby Soul,
Blown Paper Bags oppure gli ormai famosi Ex-Otago?
Probabilmente li ho ascoltati tutti, ma
confesso che non ne ricordo nemmeno
uno. Ciò non significa che magari non
siano bravissimi. Gli unici che veramente detesto sono i Buio Pesto. Li ho sentito
alla Fiumara e non ho apprezzato per nulla i riferimenti sessisti per non dire razzisti.
Comunque in fatto di gusti musicali sono
molto retrò. Lo ero anche da ragazzino per
altro, il rock duro e le schitarrate alla Jimi
Hendrix non mi hanno mai entusiasmato.
Adoro il blues, il Jazz caldo, i grandi standard e la musica classica, particolarmente
il ‘700 e il ‘900, Mozart e Satie per intenderci, ma mi sono appena sciroppato le tre
ore della Donna senza Ombra di Richard
Strass per la regia di Bob Wilson all’Opera
Bastille senza batter ciglio e sabato vado
a sentire Il Cavaliere della Rosa. Non amo
la dodecafonica né le sperimentazioni di
Cage, se pure gli riconosco tutta la sua
genialità. Sostanzialmente sono onnivoro
anche in fatto di musica con una predilezione per quella che “non fa finta”. Chi
si camuffa da intelletualino o trasgressivo
senza esserlo davvero accende la mia vis
polemica. Ma poi va un po’ a periodi no?
Hai aperto un ristorante in Via San Ber-
nardo. Hai investito quindi nel Centro Storico. Non ti sei mai pentito di questa scelta?
Come trovi che sia cambiato il centro storico genovese negli ultimi anni?
Pentito no, appesantito ogni tanto sì.
Anche perché a causa delle malevolenze
messe in giro da xy sono stato identificato
come il “sciur parun da li belli braghi bianchi” oggetto di odio e vituperio. Peccato
che xy ha la cabina al Lido, protezioni nepotistiche in Comune, non assume nessuno e sfrutta dei disagiati! Ma si sa che
il populismo becero fa sempre una certa
presa. Comunque ora la situazione è più
Michele a Peccati - Primocanale
Ospiti
“Però non so…
mi mi devono
un collegio, chi
sennò, per fargli
giochino
sulla
per sputtanardare almeno
me lo fa fare
fare tutti i loro
mia
testa?”
serena e poi sostanzialmente me ne fotto,
ma sono ancora arrabbiato con quelli che
sporcano, quelli che non puliscono, quelli
che hanno sempre il motorino sotto il culo
e non lo spengono mai, e i proprietari di
casa che ci marciano. Amo la bellezza
del Centro Storico, certo puzzasse un po’
meno! Le Colonne comunque è il terzo
locale che apro nei vicoli (il primo è stato
l’amatissimo Balcone, poi l’orgiastico Salymar), è un posto meraviglioso e io sono fiero di averlo riportato all’antico splendore
dopo le ingiurie che aveva subito.
Ci vuoi anticipare qualche tua prossima
impresa creativa o imprenditoriale? Dove
stai meditando di imbarcarti?
Il progetto di una nuova trasmissione per
Primo Canale (puro intrattenimento) con
uno speciale focus sulla bellezza, e quello
di un video-rotocalco sull’arte contemporanea che mi sta dando grandi soddisfazioni. E poi voglio vivere, vivere tantissimo… come sempre.
Che rapporto hai con la religione oppure
con la spiritualità più in generale?
Non credo che spirito e corpo siano entità separate, nelle funzioni corporali c’è la
stessa spiritualità che nella preghiera. Io
comunque sono buddista da diversi anni,
pratico quotidianamente e non potrei farne a meno. E’ un continuo stimolo a crescere, ad essere più felici e più consapevoli. Certo come omosessuale dichiarato
(anche se io penso che l’omosessualità
non esiste. Esiste solo la SESSUALITA’ in perenne trasformazione), non posso certo
avere un buon rapporto con la Santa Ma-
dre Chiesa Romana, Cattolica e Apostolica! Ma questo non significa che non ami
profondamente il messaggio del Cristo
che è assolutamente sublime.
Ma Genova, secondo te, è una città sessualmente libera? Nel senso che è facile
uscire la sera, magari fare conoscenza con
qualcuno alle Colonne di San Bernardo e
poi finire a letto? A me sinceramente non è
mai successo. Sicuramente per mia incapacità, ma trovo i genovesi piuttosto chiusi
anche da questo punto di vista.
Beh, tanto difficile non è, nei miei locali ho assistito a non pochi inciuci… strano
che tu non abbia mai combinato, mi sembri piuttosto carino dalla foto! Provocazioni
a parte, certo Genova non è come Cuba
e nemmeno come Parigi, siamo in Italia,
abbiamo la mamma e Ratzinger, però tutto dipende da noi. Certo se sei già convinto che non te la molleranno prima ancora
di uscire di casa…
Non hai mai pensato di buttarti in politica? In fin dei conti quello che manca
oggi in Italia (a mio sindacabile giudizio)
è proprio un viso carismatico e luminoso
come il tuo. Siamo sinceri, Pericu è stato
un buon capo, ma non somigliava certo a
J.F.Kennedy. Ancora, ancora Burlando, fisiognomicamente almeno…
Beppe Pericu? Un buon “capofamiglia”
direi (ottimo padre e marito), che Burlando
poi sia un bono???? Certo che ho pensato
e penso a fare politica, ho anche stazionato nella lista di Marta Vincenzi per circa
14 ore! Però non so… per sputtanarmi mi
devono dare almeno un collegio, chi me
lo fa fare sennò, per fargli fare tutti i loro
giochino sulla mia testa? E poi comprendo anche le titubanze di chi mi dovrebbe
presentare, i liberi pensatori in Italia fanno
paura, anche se portano voti. Infine come
dire… parafrasando in termini sessuali: sen-
Le Colonne di San Bernardo
timentalmente sono di sinistra, ma si finisce
per scopare solo con la destra! Che palle
stò moralismo catto-comunista.
Genova città di artisti? Oppure Genova
città di bottegai? Oppure Genova città
d’artisti della bottega?
Genova città di tutti. Io per esempio
sono un genovese.
sia.
Grazie per la disponibilità e la cortePiù info su Michele Serrano
e le sue molteplici attività su
ht tp://w w w.micheleserrano.it
23 CMPST #7[06.2008]
Glocals
“Che poi,
sai che fatica: si
tratta di ballare, di seguire un
ritmo e andarci dietro col corpo!”
Q / Topi Muschiati
Intervista con Filippo Quaglia
di Simone Madrau
STATUS Q-UORUM
Musicista di esperienza e persona fortemente legata a quella Genova
che è stata e ancora è, sia pure con le luci più basse di un tempo. C’è un
fil rouge tra quegli anni 90 e il presente indietronico di Filippo Quaglia,
in arte Q, che non si incarna solo nei visi degli ex-Laghisecchi Tarick1
e Numero6 o in quello di un nume tutelare chiamato Paolo Benvegnù,
ma anche nell’approccio fermo e consapevole di chi le sue lezioni le
ha imparate e ora sa scendere a patti con una città richiusa e ostile.
Partiamo dal discorso tu prima di essere Q.
Facendo ricerche online si trova poco dell’esperienza Topi Muschiati.
Sì anche perché ai tempi in cui la band
era attiva la rete non era ancora un media
così potente. Con i Topi Muschiati abbiamo
iniziato dodici anni fa, ai tempi del liceo: classico gruppo che nasce tra i banchi di scuola, facevamo indie-pop in italiano, nati in un
primo momento come power trio cui poi si è
aggiunto un tastierista. Intorno al 2001 eravamo molto apprezzati nella scena torinese che
stava iniziando a decollare con Sushi, Mescal,
ecc. Sembrava che le cose iniziassero a girare bene anche per noi, poi invece abbiamo
avuto una serie di sfighe. Stavamo autoproducendo un EP che a fine mixaggi si è bruciato
con il computer dello studio, e non essendo
quest’ultimo mai stato backuppato abbiamo
perso un mese e mezzo di lavoro con conseguente crollo dell’umore. Avevamo trovato
come manager Paolo Naselli Flores della Urtovox, che tra l’altro allo stato attuale è il mio
ufficio stampa e addetto alla promozione e
sta lavorando molto bene su questo disco. In
24 CMPST #7[06.2008]
quel periodo invece noi scalpitavamo molto
per uscire mentre lui cercava di tenerci buoni per intraprendere la via major che ai tempi sembrava ancora praticabile. In realtà poi
nessuna major ci ha mai considerato, come è
successo a molti altri: il che, sommato al fatto
che hai voglia di suonare, non hai un disco,
non hai concerti, fa sì che l’entusiasmo vada
a scendere. Finchè nel 2004 io ho lasciato e di
lì a poco anche gli altri hanno smesso.
Com’era la situazione in termini di locali ai
tempi dei Topi Muschiati?
Primo concerto dei Topi Muschiati al Mascherona. Poi c’è stato il periodo Palace con
Fottitopo, Nessundorma con Fottitopo e poi Fitzcarraldo. Era un momento in cui suonavi tanto in città, noi suonavamo tantissimo. C’erano
più spazi per suonare, anche in quei locali
che al sabato magari proponevano cose fortemente commerciali. E c’era più pubblico,
devo dire. Più pubblico, e più interessato. Poi
il mercato si è nettamente richiuso e siamo
all’oggi. Rispetto alla nostra generazione il diciassettenne di adesso mi sembra mediamen-
te poco interessato all’aspetto strettamente
musicale e all’ascolto di ciò che il musicista ha
da dire: mi pare casomai più attratto dal personaggio, o dall’evento in sè.
Ci sono locali, in Italia e anche a Genova penso allo stesso Milk, ad esempio - in cui per
il pubblico il main event della serata sembra
essere più il dj set che il concerto che precede.
Io lavoro con i ragazzi del Milk - non al Milk,
ma al Play o ad eventi speciali come la serata
alla Tosse con Daddy G (che si sarebbe tenuta
pochi giorni dopo questa intervista, NdSimo).
Siamo un gruppo di cinque persone e lavoriamo su queste cose. E’ certamente un problema che la serata parta col dj set e che non ci
sia la voglia di entrare prima nel locale e sentire un concerto. Io, per darti un’idea, la presentazione del disco al Milk l’ho fatta con gli
Amor Fou che sono un gruppo di una certa risonanza a livello mediatico in questo momento, anche per tutto il discorso Raina -> Giardini
Di Mirò e Malfatti -> La Crus. Nonostante queste credenziali, il risultato è stato di boh.. venti
persone, ma se va bene. Da ragazzino ho visto
due concerti dei La Crus qui a Genova: in prima fila ricordo trentenni che piangevano, nel
locale cinquecento persone. La Crus tra l’altro
due giorni dopo il mio live con Amor Fou erano in Rai su Scalo76, per dire che se non è in
grado di attrarre gente un gruppo così... A me
sembra che comunque ci sia un impigrimento
del pubblico anche sul discorso dell’ascoltare
un dj. Se non gli metti un qualche revival o un
qualcosa che non conoscano a menadito, la
gente non fa proprio la fatica di partecipare.
Che poi, sai che fatica: si tratta di ballare, di
seguire un ritmo e andarci dietro col corpo! E’
un problema quindi anche per un Andreone,
è un problema per tutti. Per riuscire a tenere
in piedi concerti di qualità per un pubblico di
Glocals
nicchia sei purtroppo costretto a bilanciare, a
cercare di tenere dentro tutti. Non è casuale
che concerti non ne stia più facendo nessuno
a Genova: le uniche realtà live che sopravvivono sono Buridda, Milk e Checkmate. Sono
rimasto shockato quando sono andato a registare il mio disco a Prato, nello studio di Paolo
Benvegnù: lì hanno sei o sette locali che fanno
musica dal vivo e che sono pieni di gente che
suona. Hanno una scena impressionante e
superiore a quella di molti capoluoghi. Hanno
ospitato anche qualche nostro nome: lo stesso
Tarick1 ha suonato al Siddharta, ad esempio.
Vero, bisognerà tenere gli occhi puntati.
So che anche gli Hermitage suoneranno ad
aprile da quelle parti.
Sì. Penso che nel loro caso si tratti del locale
che ha aperto l’ex socio di studio di Paolo Benvegnù accanto allo stesso studio di registrazione di quest’ultimo, ma potrei sbagliare.
Gli ex-Topi Muschiati ora fanno qualcos’altro legato al mondo della musica?
Con Suba, il bassista, siamo ancora in contatto. Abbiamo iniziato dapprima a mettere
dischi insieme e poi quando ho iniziato a registare il disco da solo mi ha aiutato sulle programmazioni. E’ molto bravo a smanettare coi
programmi e con le macchine, ha un gusto
molto bello per l’elettronica. Max, il tastierista
di cui sopra, è stato per un certo periodo il
pianista dei Numero6, durante il tour di Dovessi
Mai Svegliarmi: è arrivato nel momento in cui
io ne uscivo come chitarrista e quando poi
sono tornato a curare le parti elettroniche è
uscito lui. Dopodichè è iniziato il tour con Brizzi
dell’estate scorsa.
Si può dire che tu sia nella line-up ufficiale
dei Numero6?
Bè il nucleo fondatore, quello che gestisce
la maggior parte delle cose, rimane quello
composto da Michele Bitossi e Stefano Piccardo. Ci siamo anche io e Nicola Magri, il batterista dei Calomito ( e degli ultimi K.C.Milian ndr),
che comunque facciamo parte ufficialmente
del gruppo: abbiamo registrato questo disco
con Brizzi successivo al tour, mentre in estate
lavoreremo al nuovo album dei Numero6. Al
momento per quest’ultimo non esiste ancora
nulla, dato che Michele sta ancora scrivendo.
Esistono delle date in studio già fissate, e solo
in occasione di queste ultime tireremo giù le
prime idee. Per ora quindi è presto per dire
qualsiasi cosa.
Parliamo allora al presente e veniamo a Q.
Innanzitutto: perché è arrivato Q? Esigenza
sentita di comunicare qualcosa di solamente
tuo, desiderio di autoaffermazione al di fuori
di un contesto di gruppo, voglia di fare altre
cose..?
Nell’anno in cui ti dicevo, quando ho smesso di suonare e mettevo dischi con Suba, ho
iniziato ad appassionarmi all’elettronica e
in particolare alla scena del nord europeo.
Quando ho ricominciato a suonare ero sempre e comunque interessato alla canzone
d’autore. Ho ricominciato con ProTools e con
tutti gli strumenti che avevo a disposizione in
quel momento, in maniera molto casereccia,
tanto per fissare qualche idea. E da qui, andando avanti con le cose, è arrivata l’idea di
fondere i due concetti: il dj set e la scrittura,
appunto, acustica. Diciamo che l’intento è diventato quello di contemporaneizzare la figura del cantautore. Su questa base è stato scritto questo disco, in maniera diversa rispetto al
passato dal momento che tanti brani partivano dal beat e non dalla chitarra. Beat e voce,
e poi a cercare gli appoggi melodici.
Genova ha una folta schiera di cantautori,
tra l’altro. La sensazione però è che, mentre alcuni di loro condividono o intendono condividere il tuo approccio, per altri valga il discorso
secondo cui un luogo comune grosso come
De Andrè rappresenti un punto di arrivo e non
di partenza.
Questo è sicuramente un limite. Poi però
dipende molto da quanto scegli una cosa,
da quanto sei barricato su un’opinione. Se tu,
cantautore, dici ‘mi ispiro a quello e voglio rimanere nel campo’ va benissimo, per carità:
sono scelte, e le rispetto. Se però sostieni anche che ‘la canzone d’autore è stata quella
e deve essere quella’, per me è una cazzata.
Bob Dylan provava a usare le chitarre elettriche abbinate alla canzone d’autore. Lo stesso
De Andrè ha fatto ricerca, magari la farebbe
ancora oggi, magari smanetterebbe con le
Q in Buridda - Foto di Anna Positano
groove box. In fondo si era affidato a Mauro
Pagani, uno che ha sempre avuto e ha ancora un forte occhio verso quanto succede in
musica nell’ambito contemporaneo.
Come sono avvenuti i tuoi contatti con Micropop Records?
In maniera casuale: ci conoscevamo perché loro sono di Barberino, vicino Firenze, ed
erano amici di Naselli Flores della Urtovox.
Quando quest’ultimo ci faceva da manager, ascoltarono i Topi e gli piacquero molto.
Al punto che dopo qualche anno, quando il
contratto con Paolo stava scadendo, il proprietario dell’etichetta, Tony Vivona, mi ha
chiesto se eravamo liberi dicendo che gli sarebbe piaciuto produrre il nostro disco. Senza
immaginare che noi ci eravamo sciolti da un
paio di mesi. Così, nel comunicarglielo, ho
aggiunto che comunque io stavo facendo
cose mie e gliele ho proposte. Poi i tempi si
sono dilatati moltissimo, a causa mia che ho
impiegato molto tempo a rielaborare quei
pochi spunti che avevo in mano in quel momento. Pian pianino poi abbiamo fatto un po’
di avanti e indietro, abbiamo lavorato molto
sul disco. Anche questa è molto casereccia
come cosa però mi trovo molto bene, sono
persone molto appassionate. Sono stati loro a
darmi la possibilità di fare un album e di avere
un ufficio stampa.
Micropop tra l’altro è una ragione sociale
che potrebbe essere calzante anche per definire il tuo suono. Quali ascolti sono stati de25 CMPST #7[06.2008]
Glocals
cisivi nel voler tentare una strada in solitaria e
con questo tipo di accoppiata elettronica +
chitarra acustica?
Decisivi sicuramente Morr Music, Schneider TM, Tarwater.. Certo, loro lo fanno con un
tipo di scrittura un po’ diversa non avendo un
tipo di tradizione come la nostra. Però ecco, il
fatto di percepire che certi suoni possono essere mischiati in quel modo ha rappresentato
un’influenza molto forte per me.
Le Proprietà Elastiche Del Vetro è stato promosso in maniera adeguata, mi pare: negli
ultimi due mesi ho ritrovato il tuo nome su tutte
le principali testate di musica, online e non.
Quanto credi che questo genere di esposizione serva a conferire visibilità reale al progetto?
Non lo so perché non ho una reale percezione di quanta gente legga riviste e recensioni. Se devo basarmi su quanto vedo in giro, per
tornare al discorso di prima, direi poco. D’altra parte vedere le tirature che ha una rivista
come Rockerilla mi fa sperare che a qualcosa
possa servire.
Personalmente il tempo è poco quindi mi
soffermo sui dischi che prendono dall’8 in su,
oppure se è un nome locale o qualcuno che
conosco. Oppure se hai un voto estremamente basso. Oppure in base all’etichetta che
stampa il disco.
Io personalmente sono molto curioso verso
qualsiasi cosa esca di italiano, mi soffermo su
quelle recensioni più che altro. Probabilmente comunque la promozione vera oggigiorno
deve arrivare da altri media, come il videoclip.
C’è qualche tuo videoclip in dirittura d’arrivo?
Sì, ce n’è uno già realizzato di E’ Quasi Estate, che sarà il primo singolo. E’ stato girato da
questo ragazzo che si chiama Maurizio Zappettini per poi essere montato da Lorenzo Vignolo.
Stavo per chiedertelo: Numero6 sono molto
amici di Lorenzo Vignolo, mi sembrava strano
che tu non avessi sfruttato un contatto così
grosso.
26 CMPST #7[06.2008]
Sì, ha fatto tutti i loro video e anche con me
ci conosciamo da tantissimi anni. E’ una persona dolcissima e molto attenta al lato umano delle cose. In pochissimo tempo ha lavorato come un pazzo e si è costruito un curriculum
importante. Il video che ti dicevo comunque
è già visibile su YouTube (http://www.youtube.com/watch?v=rNlcdL37cWY , NdSimo),
aspettiamo solo che finisca questo primo giro
di stampa per presentarlo alle emittenti con
un po’ di roba in mano tipo: questo è il disco,
questo è il video e cosa ne dite.. E cosa ne diranno? Lo cestineranno insieme a tutti i video
che cestinano [ride]!
Ti dirò, il discorso sulle rotazioni dei video
italiani indipendenti ultimamente è strano. Anche relativamente a gruppi genovesi. Penso
ad Ex-Otago, con cui a suo tempo avevamo
parlato proprio di questa cosa. Il video di Giorni Vacanzieri è passato su All Music e MTV Our
Noise però personalmente l’avrò visto due o tre
volte. Mentre già Amato The Greengrocer, che
era il singolo successivo, mi sembra sia girato
molto di più almeno su MTV Brand:New. Forse
anche questi legami con QOOB aiutano.
Sì, QOOB funziona.. C’è anche da dire che
Riotmaker in questo momento è molto di tendenza, piace. Sono ragazzi molto bravi. Sinceramente non avendo la televisione non so che
video passino e quanto, ma l’hanno detto anche a me che Ex-Otago erano girati.
Recentemente, come dicevamo, sei stato
di scena sia al Milk che al Buridda e anche
la Fnac ti ha dato spazio per presentare il tuo
disco. E’ un argomento generalmente spinoso
ma che comunque un po’ tutti qui abbiamo a
cuore, quindi voglio chiederti: qual è il tuo personale bilancio di queste esperienze, anche e
soprattutto in termini di quantità e qualità del
pubblico?
Il bilancio per me è sempre positivo, nel
momento in cui suoni e hai la possibilità di far
sentire le tue cose. Finora nei panni di Q ho
portato in giro tre set diversi: il primo totalmente chitarra e voce che ho proposto in tutte le
Fnac, il secondo tra acustico ed elettronico
che è quello che ho presentato anche al Buridda; mentre il terzo è quello visto al Milk e che
porterò in giro da adesso in poi. Si tratta di un
“Rispetto alla nostra generazione il diciassettenne di adesso
mi sembra mediamente poco
interessato all’aspetto strettamente musicale e all’ascolto di
ciò che il musicista ha da dire.”
set completamente elettronico in cui canto e
nel quale le strutture dei brani sono state modificate rispetto al disco: la componente legata al groove è più accentuata, i brani sono
più dilatati e ci sono più parti strumentali. Sono
contento perché tutti e tre questi tipi di proposta sono stati recepiti bene.
In un contesto come Genova non è poco.
Ancora prima del riempire i locali, forse, è difficile generare attenzione reale tra i presenti.
Nel senso che se hai cento persone nel locale
ma davanti ne hai dieci e altre novanta sono
fuori dal locale a fumare o al bancone del bar,
è difficile comunque parlare di una serata riuscita.
Verissimo, e proprio pensando a questo mi
ritengo piuttosto soddisfatto di come sono andate finora le mie serate. Se penso ai commenti ricevuti mi rendo conto che, anche quando
sono più critici, dimostrano comunque che
sono stato seguito. Il che è comunque un
buon risultato. Poi certo sono d’accordo con
te: quello di Genova è anche in queste cose
un palcoscenico più difficile di molti altri.
Quanto credi conti, in questo senso, il tuo
provenire da esperienze relativamente più
emerse quali gli stessi Numero6?
Pochissimo. Non esiste quel tipo di attenzione in una città come questa. Io ho tanti rapporti con Torino e con la scena dei Subsonica,
e quella è una città che sa riciclare benissimo
i suoi musicisti, sa usarli molto bene. E lì sono
stati bravissimi i Subsonica a gestire dall’alto
tutta questa scena e a creare un hype intorno ai musicisti. A Genova questa cosa non sta
succedendo e forse sono proprio i genovesi a
non volerla. Ogni volta che parlo del disco a
qualcuno che viene da fuori città la domanda su Genova c’è sempre: e quando mi trovo
a dire che non ci sono spazi dove si suona, non
ci sono tante serate ecc, tutti si sorprendono
Glocals
perché hanno la percezione che da queste
parti stiano succedendo robe pazzesche. In
realtà è una città buona per ispirare la gente
a fare cose, e da cui negli ultimi anni a fatica
sono uscite tante realtà interessanti che sono
piaciute. Ritengo che le carenze della città
aiutino l’orgoglio di chi fa qualcosa che ritiene
sia valido a farlo uscire: c’è un po’ questo senso
di ‘anche qua si fanno cose fighe: guardate!’.
Per uscire da qua la gente si deve sbattere di
più rispetto ad altrove, però i risultati si vedono.
Guarda i Marti che adesso sono in Germania,
uscita a livello europeo.. A fatica, certo, perché anche i Marti non fanno i miliardi: il disco
lo hanno registrato in un sacco di tempo, prima che uscisse è passato un anno… Un’epopea lunga e travagliata che tuttavia, se non
ha pagato in termini di soldi, li ha ricompensati
in termini di successo.
Paolo Benvegnù ultimamente sembra una
specie di Timbaland per la scena indipendente italiana: quand’anche non si occupa strettamente di produzione, lo ritrovo comunque
tra i credits di tantissimi progetti. Il tuo non fa
eccezione. Come è andata? Come vi siete
conosciuti? Ti ritieni soddisfatto del suo apporto in studio?
Ci siamo conosciuti quando ho aperto il suo
set al Banano di due estati fa, il mio primo concerto come Q tra l’altro. Gli ho lasciato i provini, poi ci siamo sentiti e mi ha detto che gli erano piaciuti. Ho fatto un concerto a Prato ed è
venuto a sentirmi. Il giorno dopo sono andato
in studio da lui e ci siamo riascoltati tutte le
sessions del disco che avevo fatto fino a quel
punto: era quasi ultimato, mancavano le voci,
un po’ di arrangiamenti e il mixaggio. Ci siamo
barricati due settimane nel suo studio ed è
stato fondamentale sia nell’aiutarmi a cantare che nel rimettere a posto tante soluzioni che
dopo anni di lavoro avevo inevitabilmente
confuso. Più di tutto mi ha shockato l’impegno
che ha messo nel mio lavoro, cosa che penso
faccia comunque con tutti i dischi su cui mette mano. Lavorava dodici ore al giorno, una
macchina. Poi è uno molto emotivo, lo vedevi
sofferente quando le cose non gli giravano.
Umanamente è stata un’esperienza bellissima: a prescindere dalla quale, comunque, lui
rimane per me uno dei personaggi più geniali
che l’Italia abbia partorito negli anni 90.
Secondo te qual è l’etica giusta con cui approcciare le canzoni di Q? Credi nelle etichette, nella dicotomia indie / mainstream?
No, onestamente non ci credo. Anche perché oggi diventano mainstream certe robe
che due secondi prima erano di stranicchia e
che tu per primo non avresti potuto credere
che sarebbero diventati così forti. A volte poi
si tratta di gruppi con messaggi piuttosto pesanti, penso al caso ancora recente dei Baustelle.
Indie comunque è un termine che mi pare
stia trascendendo molto la sua originale accezione, legandosi anche a un discorso di apparenza e di moda.
Sì. Qui in Italia il Mi Ami è forse un po’ l’emblema di questo trend imperante dell’indie:
è un festival organizzato benissimo, intendiamoci, con ottimi gruppi e un ottimo rapporto
qualità/prezzo; ma che purtroppo vanta anche un’utenza media di snobbettini fighetti da
sfilata di moda.
Magari è solo che abbiamo altri giri ma non
mi capita di incontrarti spesso tra il pubblico
durante le varie serate a Genova. Quali ambienti in città hai frequentato negli anni e quali
frequenti? Quali i tuoi ricordi più cruciali nel tuo
legame con la città?
Da ragazzino un ambiente fondamentale
è stato il Palace, soprattutto il primo anno di
Fottitopo in cui erano venuti anche i Diaframma e altri gruppi storici di quel periodo. Parallelamente c’era stata la scoperta del centro
storico che stava iniziando un po’ ad animarsi,
con questa forte sensazione di crescita giustificata e alimentata dai tanti locali che aprivano, dal Mascherona al Castello: tutte cose
che ora non esistono più. A livello notturno il
centro storico è stato il posto in cui sono cresciuto e che mi ha dato la percezione di una
Genova che stava crescendo, e che stava
per scoppiare diventando una città divertente. Invece poi la crescita si è arrestata, e oggi
manca un po’ quello che c’era anni fa. Ora è
tutto un po’ più decentrato, per forza di cose,
ma è un peccato perché ti fa perdere quel
senso di comunità, di suggestione e di ricchezza per la quale in una serata balli quattro tipi
di musica in quattro posti diversi. Io stesso ora
vado molto meno in giro per locali, ma questo
Tarick1 Vs Q
perché sono un po’ impigrito. Il fatto è che lavoro tanto, soprattutto sulla musica, anche sul
versante remix: io e Tarick1 stiamo preparando un disco, che dovrebbe uscire la prossima
estate, in cui appunto remixiamo brani di molti
gruppi indipendenti italiani. Inoltre giro parecchio l’Italia, per cui capita spesso che le serate
io le viva fuori e quando sono qui mi concentri
invece di più sulle mie cose. Anche se quando
voglio mi faccio le mie serate anche a Genova, per lo più al Milk o allo Zerodieci.
Prima citavo la tua serata al Buridda. In quella occasione un loschissimo individuo di nome
Bob Quadrelli ha rivendicato la sua anzianità
nella scena affermando che il vero Q è lui. Ti
senti di ribattere? E se sì: davvero?
Bè, Bob è sicuramente in giro da più tempo
di me mentre io come Q sono in giro da pochissimo, quindi… Però è anche vero che Bob
non ha mai realmente usato il nome Q!
P i ù i n fo s u l l e a t t i v i tà d i Q s u
h t t p : / / w w w. m y s p a c e . c o m /
noiseq
27 CMPST #7[06.2008]
Fanzine/Edizioni
“Posso assicurarti che quando ti dicono che pubblicare costa troppo,
non è assolutamente vero, se una
persona lo vuol fare veramente.”
Pro-Glo Edizioni
Intervista con Matteo Scaldaferri
di Daniele Guasco
PROSPETTIVA GLOCALE
La ProGlo è una casa editrice che pur avendo sede a Genova unisce
appassionati di fumetti di tutta Italia, una nuova proposta coraggiosa e
interessante nel mondo dei disegni parlanti. Ho incontrato Matteo Scaldaferri, uno dei soci di questa avventura editoriale nella sua città, Santa Margherita Ligure, per farci raccontare questa nuova realtà italiana.
Il fumetto italiano e il mercato che lo accompagna si trovano in un momento molto
particolare, nelle librerie c’è un gran fermento
di proposte e di opere molto diverse tra di loro,
Le case editrici emergenti vanno così a migliorare la proposta specializzandosi, nel
caso della ProGlo con fumetti coraggiosi e un occhio di riguardo alla saggistica.
Partirei dalla ProGlo, la casa editrice nasce da un’esperienza di critica fumettistica.
Qual è stato il processo evolutivo che vi ha
portato da una webzine a un desiderio di
produrre attraverso una proposta editoriale
vera e propria?
Innanzitutto noi non siamo partiti con un’idea
chiara in testa, la casa editrice è nata con il primo libro che abbiamo avuto tra le mani. Uno
di quelli che poi sarebbero diventati i soci della
ProGlo aveva contattato Carlos Trillo (uno dei
più importanti sceneggiatori di fumetti argentini moderni ndr) via e-mail per chiedergli il manoscritto della “Historia de la historieta”, questa
richiesta venne fatta per uso personale, per
28 CMPST #7[06.2008]
leggerselo lui e alcuni amici con la passione
per il fumetto argentino e non che frequentavano tutti lo stesso newsgroup. Quando ci
siamo trovati questo manoscritto tra le mani
ci siamo chiesti come mai nessuno lo pubblicasse, come mai non esistesse qualcosa del
genere. In realtà in Italia “Historia de la historieta” era stato pubblicato come catalogo per
una fiera di Lucca di quasi vent’anni fa, però
in spagnolo, nessuno s’era preso la briga di tradurlo. A questo punto in questa mailing list che
usavamo tra noi per chiacchierare è uscita la
domanda “ma perché non lo pubblichiamo
noi?”, domanda che si è rivelata come il classico sassolino che diventa una valanga e nel
giro di qualche mese abbiamo iniziato a fare
riunioni su riunioni, collette per vedere quanto
riuscivamo a raccogliere mettendoci ognuno
la sua parte, abbiamo iniziato a lavorare a
questo progetto. Posso assicurarti che quando
ti dicono che pubblicare costa troppo, non
è assolutamente vero, se una persona lo vuol
fare veramente ci riesce con (relativamente)
piccoli sacrifici economici: noi abbiamo messo mille euro a testa! Il passo successivo è stato
creare l’associazione culturale perché consi-
derando le varie possibilità era quella che ci
costava meno, valutando anche altre forme
come la cooperativa risultava sempre la più
economica. È stato particolarmente divertente andare a parlare con un consulente per
nuove aziende e vedere la sua faccia quando
gli abbiamo detto che a noi non interessavano compensi e stipendi, che non eravamo
interessati a guadagnarci. A quel punto abbiamo chiesto a Trillo i diritti, lui è stato gentilissimo oltretutto e ce li ha dati per pochissimo.
Decidendo però di esordire alla fiera di Lucca,
che del resto è l’unico appuntamento a livello italiano che porti effettivamente in rilievo il
fumetto, abbiamo deciso di fare la pazzia e
uscire con sei volumi diversi.
Quindi possiamo dire che la nascita della
casa editrice è stato un passo praticamente spontaneo?
Sicuramente. Quasi tutti noi hanno lavorato o lavorano nell’ambito del fumetto, in vari
settori e con varie modalità, chi scrivendo articoli, chi per Dynamic, chi per Bd, chi addirittura per la Bonelli. Ognuno di noi però voleva
entrare in questo mondo da un altro punto di
vista, da un’altra porta, o meglio da un’altra
finestra perché non siamo certamente passati per l’entrata principale e provare a vedere
com’era questo aspetto dall’altra parte. Spesso scrivendo articoli, parlando con editori di
fumetti ti senti dire che pubblicare un italiano
costa, che far esordire qualcuno è un rischio,
Fanzine/Edizioni
questa è solo una grossa quantità di palle che
ti raccontano, se guardi i nostri dati di vendita
i libri italiani sono anche quelli che vendono
meglio. Secondo me c’è un problema nell’editoria quindi, chi lavora in questo settore funziona come la Panini, che di sicuro è tra i pilastri
italiani, che ama definirsi come solo packager,
cioè loro prendono un prodotto già fatto da
altri e lo riconfezionano per il mercato.
Invece produrre qualcosa di nuovo in
realtà rende, anche dal semplice punto di
vista personale.
A parte il rapporto personale noi come persone fisiche, come t’ho già detto, non andiamo a inseguire un guadagno, ma coltivare
così la nostra passione è già tantissimo.
A me ha colpito molto cercando informazioni su di voi come i membri della ProGlo,
pur avendo base a Genova, siano sparsi in
tutta Italia.
Questa è una delle bellissime cose che ti
permette di fare internet. Noi ci siamo conosciuti quasi tutti su newsgroup dedicati ai fumetti, partendo da qua dove discutevamo
appunto solo di fumetti, abbiamo iniziato a
fare delle mailing list dove potevamo parlare anche dei fatti nostri, quindi alla fine da
quello che era un contatto solo settoriale
sul fumetto si è sviluppata una vera e propria amicizia iniziando anche ad incontrarci.
Abbiamo deciso di istituire la sede a Genova perché fondamentalmente tre soci
sono liguri, due del Piemonte, uno di Pisa,
era il punto in cui potevano incontrarsi con facilità il maggior numero di noi.
Comunque senza internet la ProGlo non sarebbe mai potuta esistere, senza la mailing list
probabilmente non si sarebbe costruita questa
realtà.
La vostra esperienza è comunque molto
“Non andiamo a inseguire un
guadagno, ma coltivare così la
nostra passione è già tantissimo.”
legata alla critica fumettistica online, come
vedi questo settore e quali sono i suoi pregi
e i suoi rischi?
Noi abbiamo iniziato alcuni anni fa pubblicando sul sito www.prospettivaglobale.com,
alcuni articoli scritti da noi molto ambiziosi nati
per un’idea di fanzine da presentare alle fiere.
Erano articoli lunghissimi, rispetto a quello che
è lo standard su internet erano completamente fuori luogo tanto che alcuni superavano le
venti/trenta pagine e come sito abbiamo tentato di portare avanti questa linea che alla fine
s’è dimostrata essere il cappio al collo del progetto stesso: gli articoli erano talmente ambiziosi che non si riusciva a produrne abbastanza
per portare avanti l’esperienza. Non eravamo
interessati a fare un altro sito di semplici recensioni. Molti ci ringraziarono per il nostro lavoro,
pur essendo al di fuori dei canoni di internet
riuscivano a essere interessanti, andando dall’”Eternauta” fino ai tascabili porno italiani degli
anni settanta oltre ai classici lavori su Alan Moore e autori simili. Il sito è stato comunque il punto
di ritrovo da cui siamo partiti, poi l’esperienza si
è conclusa, tra lavoro o università non avevamo più il tempo libero sufficiente a seguire un
progetto simile, ma alla fine con la casa editrice bisogna ammettere che probabilmente
lavoriamo più di prima.
Tornando alla ProGlo come casa editrice, qual è l’obbiettivo primario che vi siete
posti dal punto di vista artistico con questa
proposta?
Noi vogliamo innanzitutto portare avanti
l’idea stessa di ProGlo, ossia una prospettiva
globale su tutto ciò che è fumetto, anche in
senso geografico cercando di proporre fumetti che difficilmente si vedrebbero in Italia
andando a cercare mercati diversi da quello del nostro paese. Abbiamo iniziato con un
fumetto di un autore canadese, “Longshot
comics” di Shane Simmons, ma penso che in
futuro proporremo cose molto più coraggiose.
Per quanto riguarda invece gli orizzonti del
fumetto vorremmo esplorare i confini anche
artistici cercando nella sperimentazione il superamento dei suoi limiti, ad esempio restando
su “Longshot comics” i protagonisti delle strisce
sono dei semplici puntini che parlano tra loro,
oppure “V for fumetto” che fa da testimonianza del tentativo di realizzare una mostra di fumetti che non sia il solito semplice commercio,
ma che sia centrata sugli autori del fumetto: in
questo tendone nel centro di Vasto gli autori
alla sera realizzavano queste tavole sperimentali e chiunque poteva entrare ed assistere ai
lavori.
Il catalogo della casa editrice si divide in
due collane: la prima, “Sequenze” dedicata a fumetti veri e propri pur con le loro particolarità; la seconda “Prospettive” centrata maggiormente sullo studio del fumetto.
“Prospettive” è il nostro tentativo di portare
in Italia dei saggi di teoria del fumetto, questo
perché secondo noi è un tipo di materiale che
manca nel nostro paese, quei pochi che si
possono reperire sono troppo monotematici
andando a puntare unicamente sulla storia
di vari personaggi come i classici bonelliani
o i ben noti autori italiani. Alan Moore non è
proprio un perfetto sconosciuto (sceneggiatore inglese di classici del fumetto come “V for
vendetta” “Watchmen” e “From hell” ndr) ma
se vai a leggere il volume che abbiamo pubblicato è un testo molto particolare, “Writing for
comics” è un manuale che spiega ovviamente come scrivere fumetti, ma spiega come li
scrive Alan Moore! Chiunque altro non potrà
mai farlo come lo fa lui, e alla fine del libro si
capisce molto bene. Ed è questa per me la
cosa importante: comprendere l’unicità del
suo lavoro. “Historia della historieta” è invece
un volume che presenta un lavoro talmente
enorme che i soci della ProGlo che hanno tradotto il volume si sono dovuti alternare in tre e
ci hanno messo due anni per portarlo tutto in
italiano. Un volume del genere se l’avesse fatto
un editore normale sarebbe stato costosissimo,
l’avrebbe dovuto vendere al doppio di quanto facciamo noi. È un libro importante dato lo
strettissimo collegamento tra il fumetto argentino e quello italiano; basta pensare allo scambio culturale che è intercorso tra i due mercati:
Hugo Pratt (ed altri) lavoravano per l’Argentina
a partire dagli anni cinquanta, veri emigranti
della penna, mentre in tempi più recenti, in
tempi di crisi economica, l’Italia è stata il sal29 CMPST #7[06.2008]
Fanzine/Edizioni
“Se ai primi tre concerti non viene
nessuno si rinuncia alla continuità.“
vagente per tantissimi grandi sceneggiatori
e disegnatori argentini. Per quanto riguarda
“Sequenze” in questa collana c’è stata la nostra sorpresa più grande: abbiamo pubblicato
questo ragazzo, Davide Berardi, che aveva un
blog con lo pseudonimo Daw sul quale metteva le sue strisce. Probabilmente dato che
aveva creato su internet un suo giro di lettori il
suo volume “A come ignoranza” è stato dopo
il testo di Moore il nostro libro più venduto, la
cosa ha stupito noi prima di tutto, e ci porterà
a puntare ancora su giovani autori italiani così
come sul fumetto comico.
In Italia si sta assistendo a un’esplosione
del fenomeno graphic novel, sembra quasi
che chi non segue questo filone si dedichi
a fumetti di serie b a partire dal seriale che
per anni è stato protagonista del mercato
italiano. Sembra che gli editori rincorrano
qualsiasi graphic novel sia anche minimamente pubblicabile andando così dal mio
punto di vista a perdere in qualità della proposta. Cosa ne pensi di questa situazione?
Secondo me la graphic novel come idea
che parte da Will Eisner è importantissima,
l’idea di raccontare una storia con un fumetto
è essenziale. Quello che forse s’è perso di vista
è proprio questa unione tra storia e fumetto,
attualmente sembra che si vogliano pubblicare graphic novel solo per avere un altro libro da
mandare negli scaffali, è raro, in questi esempi recenti, che emerga una storia importante,
una storia che necessitava di essere realmente
raccontata attraverso disegni e baloon.
Dal punto di vista della qualità del fumetto italiano quali sono i rischi che si corrono
seguendo questi percorsi?
Il rischio è che non si crei un nuovo gruppo
di lettori, la graphic novel è legata a un pubblico che va dal nostro coetaneo con più di
venti anni in su, al professionista appassionato
di fumetti. I giovani lettori sono totalmente as30 CMPST #7[06.2008]
sorbiti dai manga, le ragazze particolarmente
vengono ignorate dal mercato italiano. Fino
all’anno scorso ero socio di una fumetteria,
le persone che entravano a comprare erano
completamente diverse da quelle che entravano in un negozio simile quando ero adolescente io. I giovanissimi sono stati quasi totalmente abbandonati dai grandi editori italiani.
ProGlo non è sicuramente la casa editrice che
potrà cambiare questa tendenza, ma tra le
prossime pubblicazioni c’è in programma anche un fumetto per ragazze scritto proprio da
una ragazza.
Come dicevamo prima la ProGlo pur
avendo soci sparsi per tutta Italia ha la sua
base a Genova. Qual è lo stato di salute del
fumetto genovese? Ci sono nuove leve interessanti o siamo sempre legati alla vecchia
scuola ligure?
In Liguria ci sono varie generazioni di fumettisti che sono importantissimi, abitando a Santa
Margherita ho avuto la fortuna di conoscere
maestri come Bottaro o Milazzo. Grazie alla
scuola di Chiavari ci sono sempre stati e sempre ci saranno ottimi fumettisti a Genova e in
provincia. Il problema più grosso per le nuove
leve è che al di là delle grandi case editrici italiane con la Bonelli in testa, nessuno è in grado
di pagare gli autori abbastanza da permettere loro di vivere con le loro opere. Per tutti quelli
che sono al di fuori di queste realtà il fumetto
rimane un hobby a cui dedicarsi la sera, oppure si trovano costretti a fare un numero impressionante di lavori comprese diverse marchettate per pagare affitto e bollette. Per quanto
riguarda invece i lettori genovesi, noi abbiamo
tentato di fare alcune presentazioni senza però
ottenere un buon riscontro, purtroppo. Il nostro
sogno nel cassetto è quello di creare qualche
manifestazione anche qua a Genova magari
coinvolgendo anche autori locali.
Volevo proprio chiederti se secondo te
sarebbe possibile fare a Genova un’iniziativa come “V for fumetto” o la “24 ore” in
cui autori diversi devono disegnare dal vivo
una storia completa nell’arco di una giornata, una manifestazione che in altre città
ha avuto un buon successo.
Secondo me a Genova proposte simili non
vengano neanche pensate perché non si
vede il fumetto come qualcosa con cui si possa fare anche spettacolo, lo si considera estraneo a forme artistiche come la musica o la pittura. Manca sicuramente quel poco coraggio
indispensabile per tentare iniziative simili, oltre
ovviamente alla necessità di entrare nelle amministrazioni, perché alla fine in Italia è così che
funziona. Senza un assessore appassionato di
Vasto che ha proposto la manifestazione “V
for fumetto” non sarebbe mai esistito, la stessa fiera di Lucca, o altre fiere splendide come
Narni, funzionano grazie all’impegno costante
del comune. Qua in provincia c’è solo la fiera
di Genova che però è solo commerciale, e la
mostra di Rapallo che per quanto interessante
è molto istituzionale; è un tipo di proposta però
che deve comunque esserci nonostante non
vada a stuzzicare il mio interesse più di tanto.
Quali per finire i progetti per il futuro?
Data l’ottima e inaspettata risposta del pubblico, che dati di vendita alla mano ha superato le nostre più rosee aspettative, contiamo di
continuare sulla strada che ci siamo prefissati.
Vorremo presentare il secondo volume di Daw
in autunno a Lucca e cercare di avere anche
un’altra proposta italiana. All’ultima riunione
abbiamo deciso appunto di potenziare il più
possibile la linea di autori esordienti del nostro
paese, cercando artisti capaci di essere interessanti per noi e potenzialmente anche per
il pubblico, andando anche a coprire forme
diverse. Ancora il contratto non è firmato ma
stiamo lavorando per portare la proposta di
un’autrice. Ci sarà anche un terzo saggio che
sarà una biografia di Carl Barks, un lavoro a tutto tondo che racconta la sua vita anche al di
là di Paperone e del suo lavoro per la Disney.
Abbiamo anche contattato una buon numero di autori che hanno disegnato una serie di
illustrazioni omaggio che pensiamo di esporre
alle varie presentazioni del volume.
Leggi le e compra i libri ProGlo su
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Columns
Indie Maphia For Dummies
di Daniele Guasco
A me piace la musica italiana, c’è
poco da fare. Non solo quella indipendente o stramba che ascolto di solito,
sono cresciuto a pane e cantautori e
nella “canzonetta leggera” del nostro
paese nel passato si sono ascoltati dei
grandissimi brani. Negli ultimi anni a volte
escono dei quesiti che sembrano insormontabili, roba da ricorrere a “Voyager”,
ma che in realtà basterebbe fare mente
locale su quanto abbiamo ascoltato fino
agli anni novanta cantato nella nostra
lingua. Succede così che un disco come
quello di Le luci della centrale elettrica sia il caso del momento, ma c’è ben
poco da discutere: funziona perché è un
album dannatamente italiano. Non sarà
il cantautore perfetto, ma almeno riesce
a dare un bello sguardo su quello che lo
circonda. Ci si stupisce che delle inutili
canzoni sanremesi la gente ricordi quella
dello stonatissimo Tricarico, ma ha un ritornello killer nella sua banalità, una serie
di frasi più o meno in rima che come da
migliore tradizione italiana si incollano
in testa. Il problema vero non sono questi lampi di notorietà per musicisti simili,
sono tutti gli altri musicisti particolarmente indipendenti che pur facendo musica
dal facile ascolto hanno perso il legame
con la tradizione artistica del loro paese,
cosa che in altre esperienze come il folk
americano non succede. I musicisti italiani si sono dimenticati le loro radici, e
quando queste riaffiorano colpiscono e
lo fanno duramente e platealmente. Con
queste poche righe scritte di getto non
voglio dire che bisogna abbandonare le
derive post-qualcosa, boh-core o avanttutto, ma se ogni tanto spunta qualche
“fenomeno” italiano l’unica cosa da fare
è accettarlo, e magari gioirne.
Myspace Voyager
di Paolo Sala
(Please) Don’t Blame Mexico
Parigi Francia
http://www.myspace.com/pleasedontblamemexico
Che Parigi sia una delle metropoli più affascinanti e ricche di cultura di tutto il mondo è una verità fin troppo consolidata per
essere enunciata senza il timore di scadere
nel più banale dei luoghi comuni. Ma che
la Ville Lumière sia anche ospite di una delle
più fervide e sorprendenti scene indie-poprock d’Europa costituisce, almeno per chi
scrive, un fatto inaspettato. Sarà per via di
certi stereotipi che dipingono i gusti dei francesi come condizionati dal loro forte senso
di identità nazionale e culturale, nonché da
certe regole eccessivamente protezioniste
nei confronti del loro idioma, non avrei mai
pensato di poter guardare a Parigi come a
una “capitale della musica internazionale”:
una cosa apparentemente troppo angloamericana per prendere piede, se non in
forma di consumo di massa e di mainstream
d’importazione. Eppure no. La prima grande
scoperta che ho fatto accedendo al più
democratico sistema di diffusione musicale
del pianeta, Myspace, è che Parigi è tutto
un fiorire di talenti e di band dal respiro profondamente internazionale. Una delle mie
prime scoperte, e forse tuttora la migliore, è
costituita dai (Please) Don’t Blame Mexico,
delizioso quartetto di pop d’autore, capitanato dal pianista Maxime Chamoux, songwriter di qualità sopraffina come davvero
pochi se ne incontrano. A completare la formazione, il talentuoso chitarrista Laurent Blot,
il batterista Thomas Pirot e il bassista/fonico
Rafael Ankierman. I (P)DBM al momento
hanno all’attivo un paio di EP autoprodotti,
First Aid EP, e Michel Foucault EP, per un totale di sette brani, in cui esibiscono una fre-
sca energia compositiva unita a un brillante
gusto per l’arrangiamento sottile e raffinato.
E che Maxime sia una mente sottile lo si capisce anche solo quando definisce la propria
musica “de la pop véranda” in contrapposizione e in concorrenza con il “garage rock”
dilagante. Cercare di spiegare in cosa consista il “veranda pop” dei (P)DBM è impresa
non da poco; inizialmente si manifesta come
un gioioso e spensierato girotondo fanciullesco, adornato da frequenti battimani e
canti aerei e orecchiabili; ma dopo qualche
minuto in immersione ci si rende conto che
quelle melodie così apparentemente facili,
sono autentiche formule magiche, e che
Maxime e compagni, con la loro freschezza
primigenia, hanno la capacità di produrre
veri e propri incantesimi utilizzando i semplici
colori primari di un libro per l’infanzia; cosa
assolutamente non da poco, in un epoca
di nichilisti del “già sentito”, del “masticato e
digerito” e del “post-tutto”. Al momento, sul
myspace player dei Nostri purtroppo manca
il pezzo forte del primo E.P, First Aid Kid, quello
che, per intenderci, mi ha fatto precipitare a
chiedere l’amicizia; in compenso vi troverete
la loro canzone più ambiziosa e sofisticata,
Michel Foucault (saved my life), un brano dal
ritornello-killer, oltre a Bribing Lonesome Drivers, il “singolo” del secondo E.P., e alla commovente The Protocol, di cui potete ascoltare
una energetica versione live qui: http://www.
youtube.com/watch?v=ANUKqR0z1tg ma
il consiglio è di farlo dopo aver assaporato
la melodia nella versione originale. Infine
è stata recentemente ri-uploadata la malinconica Big Eyes Repeating, essenziale e
asciutta ballata pianistica, recentemente
scelta come colonna sonora per uno spot
pubblicitario del Ministero della Sanità francese sulla depressione. Pensate un po’, un
gruppo indie-pop locale, in pieno regime
di autoproduzione, completamente anglofono, che finisce in uno spot di un ministero
governativo. Qui da noi è fantascienza.
31 CMPST #7[06.2008]
Columns
This Ain’t No BBQ
di Anna Positano
Qualche set timana fa sono tornata
dal tour balcanico di dieci giorni dei
Blown Paper Bags. E sof fro terribilmen te: altro che mal d’Africa. Ebbene, è
la quar ta volta che vado in Ex-Jugo slavia e nonostante questo vi ritornerei
subito. Non c’è una ragione precisa,
al di là del fat to che le persone che
ho incontrato in quei posti sono straordinarie. Dopo che mi è successo per
la quar ta volta ritengo che non possa essere un caso. Sono in pieno trip
balcanico e non ci posso fare nulla...
Ok, contegno. Visto che è una column
di cucina, vorrei sprecare una man ciata di parole a proposito del cibo.
In par ticolare vorrei citare il cibo in
Bosnia, che è qualcosa di incredibile
per quantità, sapore e basso prez zo.
Io e i Blown Paper Bags ne sappiamo
qualcosa, visto che abbiamo mangiato come porci. In Ex-Juogoslavia si
può mangiare praticamente ovunque
in qualunque momento della giornata. Nelle quasi ot to ore di viaggio
con i BPB in strada statale tra Maribor
(Slovenia) e Sarajevo (Bosnia) ho po tuto notare la quantità di ristoranti da
camionisti, e la varietà architet toni co - gastronomica che li contraddistin gue. In Italia, con gli autogrigi (leggi :
autogrill) , ci abbiamo rimesso un sacco: sembrano tut ti uguali (non- lieux) ,
son poco vegetariani, costano molto,
cibo e architet tura fanno schifo; e,
non si capisce come, in qualunque
zona d’Italia la “noce pepata” risulta
prodot to tipico... di dove poi non si
capisce. Ritornando a quei ristoranti
da camionisti, all’andata ne era sta to intravisto uno a forma di pagoda
cinese, con inser ti post-modern, tipo
32 CMPST #7[06.2008]
colonnet te e timpani : era chiaro che
sulla strada del ritorno ci si sarebbe
fermati l ì. Abbiamo raggiunto la pago da alle tre del pomeriggio af famatis simi, ma dovevamo mangiare l ì. E non
a tor to. Per l’ennesima volta sfondati
di cibo, per l’ennesima volta pagato
pochissimo. Io ho preso un’insalata
che spacca : si chiama Srpska salata
(si, eravamo in Republika Srpska, l’enclave serba all’interno della Bosnia) .
Visto che viene l’estate, e nessuno ha
voglia di cucinare propongo la ricet ta
di questa insalata, che probabilmente digerirete in un pomeriggio... Su
internet ho trovato varie versioni, ma
quella che più assomiglia all’insalata
serba mangiata nella pagoda cinese
sulla statale bosniaca è questa :
4 pomodori (di quelli tondi, ma penso che vada bene un po’ qualunque
tipo)
1 cetriolo
2 piccole cipolle bianche
1 peperoncino piccante fresco (fre sco ! non secco !)
olio e sale a piacere
Af fet tate i pomodori e i cetrioli (mol to sot tili, questi ultimi) e tagliate la
cipolla in piccoli pez zi. Il peperonci no che ho mangiato io sembrava un
poco bollito, ma si può met tere an che crudo. Tagliatelo trasversalmen te, avendo cura di eliminare i semi se
non volete l’insalata troppo piccante.
Un consiglio: usate dei guanti quando
vi occupate del peperoncino, perché
rischiate di avere le mani in fiamme
per un bel po’. e se siete maschi e do vete far pipì, be’... non voglio nemme no pensarci ! Pur troppo se siete in Ita lia non potrete accompagnarla con
un’ot tima Sarajevsko pivo (la birra di
Sarajevo) . Comunque, buona dige stione !
A Steady Diet Of Mat
di Matteo Casari
E’ s u c c e s s o . D o p o s e i l u n g h i a n n i
è s ca d uto i l co ntrat to. N o n che
no n lo s a pe s s i mo. Era s crit to nero
s u b i a nco. U no d ei poch i co ntratti veri che aves s imo mai concorso a d onora re. Non a bb ia mo ma i
capito se fos se un 3 + 3 o un 6 + 6. Il
tacito accordo del rinnovarlo in un
infinito non definito tempo a veni re. U no s pazio a cu i erava mo fortemente legati. Uno s pazio fis ico,
f o r s e l ’u n i c o , c u i f o s s i m o l e g a t i d a
ta l i s pi re. Ca so pi ù u n ico che ra ro
di continuità in una cit tà in cui su perare il biennio è già storia. S ei
lunghi anni di sala prove (ci son
pa s s ati i n ta nt i : Car y Q ua nt, B lown
P a p e r B a g s , P o r t - R o y a l , K .C . M i l i a n ,
L o - F i S u c k s ! , To x i c P i c n i c , A n a i s ,
B e l l s O f R a m o n , P o c k e t R o c ke t s ,
Eat The Rabbit, Rocktone Rebel,
En Roco, Finisterre, Fabio Zuffant i , M c Ko r. . . ) , d i r e g i s t r a z i o n i p i ù o
meno clandestine (un demo de g l i E x- O t a g o , u n o d e i To x i c P i c n i c ,
un mi ni dei Lo-Fi Sucks ! e uno dei
bolognesi Leben) , intimi concer ti
( Prague e Morose ri s pet tivamente
nel 20 02 e nel 20 0 3) , sonore rus sa te di chi ci ha dormito (s icuramen te gli americani Stop It ! e gli ingles i
B rown Owl e B ilg e Pum p) . Ep p u re,
nonostante tut ta questa vita che ci
abbiamo stipato (per non contare
quella che ci abbiamo impiegato
per costruirla) , rimane un senso di
non aver sfrut tato fino in fondo le
potenzialità di uno s pazio cos ì cen trale, Scalet ta Carmagnola, la tra versa di Via X X V Aprile che scende
v e r s o i l c i n e m a C i t y, e c o s ì i n c r e -
Columns
d i b i le. U n l uogo s torico e m i s tico
per cer ti vers i. Già in quello stes so
vicolo f u i l pri mo Psycho Cl ub, mi
si dice anche di un primissimo Pink
Moon : testimonianze di entrambi
rimanevano grazie alle indefes se
scrit te a pennarello, inneggianti ai
più oscuri principi del punk e della new wave primordiale, vergate
sui mat toni del palaz zo di fronte
e prontamente cancellate, a più
di ventanni dalla loro primigenia
compos izione, da qualche soler te
impresa di pulizia che cons idera
storia solo quello che è succes so
p r i m a d e l 19 5 0 . S p e r i a m o c h e a l meno Frit z le abbia immor talate !
Sopra la testa ci sono pa s sate ma nifestazioni e scioperi, feste per le
promozioni in A , contestazioni per
le di scese in C. Davanti al na so
ci è pa s sata la bella vita di chi
s perava e a s pirava alla notorietà
e agli scampoli di fama del Clan
(memorabile Alessia Marcuzzi e le
innumerevoli tipe senza nome che
entravano, s bagliando, seguendo
la mu s ica) . Intorno a noi abbiamo
vi sto cinque anni di uno s plendi do negozio di strumenti usati, mi crocos mo educativo per ca pire i
reali movimenti cultural - mu s icali
d i q u e s t a c i t t à . M a M u s i c a d ’O c c
meriterebbe ben altro s pazio per
poter contenere tut te le gag e le
storie che ha consegnato, ormai,
agli annali. In questo amarcord di
quanto, per cer ti vers i, s ia stato
pubblico uno s pazio privato, men zione ad Evandro e al s uo cinema,
quando era ancora per soli adulti,
e a l p a d r o n e d e l l ’a l b e r g o c h e c i
ha garantito anni di s icurez za pa s sando a controllare, dopo i me tronot te, ad ogni minimo rumore
di ef frazione, sempre col suo ca g no l i no a l s eg u ito. I m pa ga b i l e la
not te che, tornando da una data
di più gruppi al Garibaldi di Milano
caddero a mò di domino una serie
di transenne, a dire il vero, poco
stabili. Q uanto impor tante diventa
il senso di familiarità in cer ti rap por ti con le persone che ti stanno
tut ti i giorni intorno ! Q uesta s icu r e z z a c h e c i m a n c a n e l d o v e r, o g n i
anno, af frontare s pazi divers i, da
riconqui stare centimetro per cen timetro senza poter mai fare af fi damento ad un futuro non scrit to
i n a l cu n co ntrat to. Q ua ndo l’Enel
ha staccato il contatore elet troni c o e r o a c a s a , u n p o’ d i m a g o n e
m ’è v e n u t o n e l p e n s a r e a q u a n d o
s iamo andati a recuperare in cin que la por ta tagliafuoco che ha
racchiu so tante delle nostre s pe ranze in questi sei anni. Q uesto
malloppone di retorica emotiva
solo per dire che abbiamo bisogno
si di spazi, fisici e virtuali, ma per
sot tolineare che è più impor tante
co s tru i rl i i n s ieme a d a ltre per sone.
S e n za u n a d i m e n s i o n e s o c i a l e l’i n tero carroz zone mu s icale di que sta cit tà non avrebbe alcun sen s o. Pa r teci pate, per no n dover ma i
rimpiangere di non averlo fat to o
di non es serci stati.
Non Sono Un Poeta
di El Pelandro
Colpiscono la sobrietà e la
silenziosa discrezione della recente visita papale in città.
Mi domando come mai a Genova non vengano mai personalità
di spicco a romperci i coglioni.
Screamazenica
di Simone Madrau
Troppe poche boiate a sto giro.
Screamazenica dice porca miseria !
‘Non dire “porca miseria”!’ [in apertura del Disorder Dramathon che ha
chiuso la scorsa stagione del Buridda,
gli Eat The Rabbit danno sfoggio di cultura trash: questa è la youtube-legend
Spitty Cash]
’Po rcox x xq u a nto m i fa s c h i fo m i l a n o chemerdadicittàporcoxxx!!!’ [ Davide
dei Japanese Gum dopo un involontario contromano in circonvallazione]
’Catastròpha !!!’ [un simpatico do ganiere croato rivolgendosi adirato
a Martino dei Blown Paper Bags, nel
mentre gli strappava la carta d’identita’ in due pezzi]
’Lo firmo io, lo firmo io !’ [ Rocktone
Rebel al Checkmate si infila letteralmente tra il povero Johnny e gli agenti
SIAE ridendosela di gusto e cercando
di compilare il borderaux della serata
al posto degli Evolution So Far]
‘I can’t believe you’re a band…
You’re a shop !’ [ Seb Normal dei Crash
Normal al Checkmate dopo aver sbavato sulle pedaliere dei Motorcycleirene]
’Io sono hipurforderai e dico il cazzo
che mi pare.’ [hipurforderai]
’Ci vediamo a Sestri Violenta’ [ Ivan
dei Dresda vi invita tutti al Festival delle
Periferie]
Grazie a: Matteo Casari, Giulio Olivieri.
33 CMPST #7[06.2008]
Festival
34 CMPST #7[06.2008]
Arte
IND.AVI.DUO
Duo formato da Paolo Cattaneo, 1982 e Serena
Gargani, 1984.
“Lavoriamo attraverso i mezzi del contemporaneo, dal video all’installazione cercando di fondere
le nostre competenze per dare luogo ad esperienze che mettano alla prova sia noi che l’osservatore.
La nostra rilettura si muove sulle tematiche del
contemporaneo, della società e dell’uomo.”
http://www.myspace.com/indaviduo
35 CMPST #7[06.2008]