Qualche tempo fa, incuriosito dal titolo, ho voluto leggere l`agile
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Qualche tempo fa, incuriosito dal titolo, ho voluto leggere l`agile
Qualche tempo fa, incuriosito dal titolo, ho voluto leggere l'agile volumetto Ho studiato economia e me ne pento. L'autrice, Florence Noiville, l'economista pentita, è una giovane donna, passata, dopo una brillante laurea conseguita presso l'Ecole des hautes études commerciales (HEC) di Parigi, dal mondo della finanza a quello della letteratura: attualmente scrive come critica letteraria per Le Monde des livres. A lettura ultimata più che un ripensamento del proprio percorso di studi, quello dell’autrice mi è sembrato un atto di apostasia. Chiedo scusa per questo riferimento personale a recenti letture, argomento in sé di interesse trascurabile. E, d’altra parte, anche il contenuto del libro si segnala più per il suo segno provocatorio che per il rigore dell'analisi. Siffatte provocazioni, tuttavia, sono meritevoli di attenzione; me ne servo quale premessa per svolgere alcune considerazioni nel corso di questo virtuale colloquio con i giovani destinatari del progetto formativo della Fondazione Cassa di Risparmio Salernitana. Nella sostanza il j'accuse dell'autrice è rivolto alle prestigiose ed esclusive Business school, dove attraverso durissime selezioni si sono formati "i geni,i prodigi,gli assi della finanza, il vanto della scuola", quelli che "riempivano i discorsi di sigle incomprensibili...VAR (value at risk), CDS (credit default swap), MBS (mortgage-backed securities), ABS (assetbacked securities), CDO (collateralized debt obligations), che avevano lo scopo di trasferire o diluire i rischi del credito". In quelle scuole, vere e proprie "aspiratori di talenti", oltre all'alta matematica applicata alla finanza, un altro insegnamento, ben più carico di conseguenze, veniva impartito, o per meglio dire, passava come messaggio subliminale, insinuandosi nelle coscienze, influenzando gli orientamenti etici, la "visione della vita". "Vedi, alla HEC" - ammette a distanza di tempo una delle più promettenti allieve, divenuta una manager di successo - "ho imparato a brillare nel momento presente piuttosto che a costruire sul lungo termine. Non ho imparato nulla sul valore del tempo, sullo sviluppo sostenibile, sulla tenacia, sulle qualità umane che bisogna sviluppare per diventare un bravo manager, efficace e virtuoso". 1 Questa ammissione onesta e lucida mi offre il destro per sottoporvi qualche riflessione, a partire dalla mia esperienza personale e professionale. In epoca remota - era il 1937 - il sottoscritto faceva il suo ingresso in una scuola di eccellenza, un centro di alta formazione , non meno selettivo delle moderne, prestigiose business school di cui stiamo parlando. Ma le analogie finiscono qui. La Scuola Normale Superiore di Pisa, quella nella quale entrai non ancora diciassettenne, dopo aver superato una severa prova d'ammissione, si prefiggeva, e si prefigge, prioritariamente il compito di formare uomini, educatori. Di recente, il 18 ottobre di quest'anno, la "Normale" ha celebrato il suo bicentenario, per l'occasione, ho voluto manifestare pubblicamente la mia gratitudine e il mio orgoglio di "normalista", definendo la "Normale" una calogeriana scuola dell'uomo, "per la robusta tempra morale e il vigore etico" che ne hanno sempre ispirato l'azione pedagogica e didattica. Le vicende della vita, il caso, come credo sappiate , mi portarono in territori molto lontani da quelli degli studi classici compiuti alla Normale; dalla interpretazione dei papiri greci, mi ritrovai alle prese con stati patrimoniali e conti profitti e perdite: documenti contabili di casse rurali e banche popolari. Ispezionare piccole banche della provincia marchigiana era per me un lusinghiero punto di arrivo. Attestava che avevo ben meritato nella fase iniziale della mia permanenza in Banca d’Italia; che ero considerato un elemento affidabile sul quale l'Istituto aveva deciso di investire. In precedenza, nel primo periodo di servizio presso una filiale, ero stato assegnato alla tenuta del protocollo della corrispondenza in arrivo e di quella in partenza. Numerare e datare la corrispondenza era mansione di modesto contenuto; leggere con attenzione quelle lettere era interessante e istruttivo per un giovane che ignorava quasi tutto della Banca. Al contrario dell'affermata manager sopra evocata, per formazione e per educazione famigliare sono sempre stato incline a "costruire sul lungo termine". Mi ispiravo, fin da ragazzo, a una specie di regoletta aurea: se ti dicono di lucidare le maniglie delle porte, cerca di evitarlo, ma se non puoi, fallo nel migliore dei modi. 2 Questo era, ed è rimasto sempre, il mio atteggiamento di fronte ai compiti e alle responsabilità che di volta in volta mi sono stati attribuiti; mi chiedevo solo che cosa potessi fare per corrispondere, nei limiti delle mie capacità, alla fiducia riposta in me da coloro che quei compiti e quelle responsabilità mi avevano affidato. Ripeto, tale atteggiamento non è mai sostanzialmente mutato: da quando ero addetto al protocollo a quando fui nominato Governatore, a quando fui incaricato dal Presidente Scalfaro di formare un governo, a quando fui eletto Presidente della Repubblica. Diversamente dalla nostra Florence Noiville, sono passato dalle humanae litterae all'economia; una inversione di percorso rivelatasi per me molto feconda sul piano formativo. Gli anni del mio "apprendistato" della cosiddetta scienza triste, allorché fui chiamato al Servizio Studi, sono stati di studio intenso, sistematico e di contemporanea pratica sul campo. Padroneggiare gli strumenti dell'analisi congiunturale fu per me un importante approdo, dopo avere assiduamente e non senza fatica "solcato" acque profonde e impegnative come le Foundations di Paul Samuelson, oltre a un discreto numero di manuali di statistica. Questo impegno, insieme di studio e di lavoro, costante, intenso e al costo di non pochi sacrifici tenuto conto che ero giunto alle soglie dei quarant'anni ed ero padre di due figli, mi consentì di conquistare la fiducia sia del Governatore Carli, sia del direttore generale Baffi, che mi affidarono dapprima la responsabilità del "settore economia reale"; in seguito, la direzione di tutto il Servizio Studi. Ancora una volta dovetti impegnarmi per approfondire le mie conoscenze in materia monetaria e finanziaria. Avere poi la responsabilità di un Servizio - cioè dare impulso, coordinare e verificare i risultati dell'attività di oltre un centinaio di persone gran parte delle quali giovani e brillanti economisti - richiedeva anche di sviluppare competenze manageriali, di gestione delle risorse, come si usa dire oggi: risorse umane, economiche e tecnologiche, da "governare" secondo criteri di efficienza e di efficacia. Ma non avevo il tempo per dedicarmi a studi organizzativi e di management; fu perciò un learning by doing. Questo tirocinio si rivelò fondamentale quando, pochi anni dopo, fui chiamato a più elevate responsabilità: quelle di Segretario Generale, figura professionale alla quale è affidata la gestione della Banca come azienda. Era una funzione delicata e gravosa, insieme, per la dimensione della Banca, allora articolata sull'intero 3 territorio nazionale, con stabilimenti in ogni capoluogo di provincia, oltre che nelle diverse unità dell'Amministrazione centrale in Roma. La stampa delle banconote, poi, richiedeva la struttura di una impresa industriale , della quale presentava caratteri e problemi (rapporti con le maestranze, confronto con problematiche specifiche in tema di condizioni e sicurezza del lavoro, ma anche di sicurezza del particolare bene prodotto, il danaro; rilevazione dei costi industriali, ammortamento e obsolescenza degli impianti, ecc.). Nominato Governatore, il momento dell'approfondimento analitico, dell'elaborazione progettuale dovette fare spazio crescente a quello delle decisioni e delle scelte. Erano, quasi sempre, scelte cariche di conseguenze e di implicazioni per l'economia del Paese. Siete molto giovani, non eravate ancora nati, ma potete leggere nei libri che cosa sono stati gli anni ottanta per l’economia italiana. Sono gli anni della inflazione a due cifre; delle svalutazioni della lira che ridavano temporaneamente fiato alle imprese, ma importavano altra inflazione; della crescita incontrollata della spesa pubblica; delle ricorrenti crisi dei cambi. Le turbolenze sui mercati valutari richiedevano a noi banchieri centrali consultazioni frenetiche e incontri frequenti, sovente decisi nel giro di poche ore. Posso assicurarvi che non si trattava di andare al club; erano sessioni di lavoro defatiganti e di assunzione di decisioni che sapevamo incidere nella vita dei cittadini, di tutti noi. Per l'Italia furono anni segnati da una profonda, grave instabilità: l'inflazione galoppava, i redditi monetari -salari e stipendi- indicizzati all'inflazione fornivano a questa ulteriore spinta, innescando una spirale perversa che rischiava di compromettere gli equilibri economici, e non solo. Per darvi un'idea dei timori per la tenuta del sistema Italia, delle sue istituzioni vi propongo il passaggio con cui terminavo la lettura delle Considerazioni finali sul 1983. L'asciuttezza e la sobrietà del linguaggio non ne celano la drammaticità. "Nel governo della moneta e del credito, così come nelle riflessioni che abbiamo esposto in questa e in altri sedi nel volgere degli anni, ci ha mosso il convincimento che la deriva del nostro Paese dalla stabilità e dallo sviluppo dovesse essere 4 corretta per ragioni e fini che trascendono la stessa sfera economica. Nell'esercizio di questo ufficio, abbiamo più volte avvertito quanto la stabilità monetaria, impegno primario della banca centrale, sia legata alle condizioni della finanza pubblica,del settore produttivo, del mercato del lavoro, a loro volta strettamente connesse. E' la consapevolezza di questi legami che, tre anni or sono, ci spinse ad affermare che autonomia della banca centrale, rafforzamento delle procedure di bilancio e codice della contrattazione collettiva sono presupposti del ritorno a una moneta stabile". A completamento della storia, ero allora Presidente del Consiglio, aggiungo che lo sradicamento dell'inflazione, l'opzione, finalmente, per una "cultura della stabilità" -quella che più tardi ci avrebbe spianato la strada dell'euro- avvennero anni dopo, precisamente nel luglio del 1993, grazie all'impegno, alla volontà, al senso di responsabilità dei tre attori protagonisti di quella vicenda: Governo; Confindustria; Sindacato. Nel luglio di quell'anno governo e parti sociali sottoscrivevano un accordo di portata storica; soprattutto, inauguravano una modalità nuova nelle relazioni industriali: la concertazione. Cari giovani, mi sono intrattenuto con voi in un ideale incontro, nel corso del quale non vi ho illustrato il funzionamento dei mercati borsistici; non vi ho parlato di IPO, di Delisting; di Trading. Per apprendere nozioni sulla Borsa e sui mercati finanziari , per conoscere il funzionamento di istituti e strumenti che ogni giorno registrano innovazioni cui si fatica a tenere dietro e rispetto alle quali non esito a dichiararmi incompetente, l'unico suggerimento che mi sento di darvi è quello di affidarvi ai libri di autori di sicura reputazione scientifica : studiosi seri, non apprendisti stregoni. Di questi ultimi , del loro "verbo" e della fiducia che acriticamente è stata loro accordata, ne stiamo pagando le conseguenze tutti. E voi giovani rischiate di dover pagare il conto più salato. Le prospettive, per i giovani soprattutto, sono incerte; si delineano orizzonti probabilmente più difficili, meno prosperi di quelli che abbiamo 5 alle spalle. E tuttavia vi invito a non lasciarvi sopraffare dalla sfiducia, dalla rassegnazione, da un senso di impotenza. Voi potete, e dovete, afferrare il timone della vostra vita e procedere, guardando avanti con lucido realismo e fondata speranza; non c'è difficoltà che impedisca di dire con convinzione a voi stessi "sta in noi". Lo credevamo possibile persino noi ventenni degli anni trenta e quaranta, soffocati prima dal fascismo, poi travolti dalla guerra. Ce lo ripetemmo con rinnovata fede nel 1945 di fronte a un Paese distrutto, materialmente ed economicamente. Consapevoli che tutto o quasi tutto quello al quale aspiravamo - e prima di ogni altra cosa un Paese in pace, uno Stato democratico, una Repubblica fondata sui valori della libertà e dell'uguaglianza dei cittadini - era un traguardo possibile, a condizione di non risparmiare impegno, volontà, studio, spirito di sacrificio, soprattutto partecipazione appassionata e disinteressata alla vita pubblica. Con lo stesso slancio con la stessa determinazione intraprendete, fin d'ora il cammino verso il vostro futuro. Non abbiate mai timore di porvi traguardi anche ambiziosi; purché non tralasciate, al termine di ogni giornata - oggi di studio, domani di lavoro - di interrogare la vostra coscienza, il "maestro interiore. Questo è un principio di fondo, valido in tutti i tempi, al di là delle generazioni, al di là delle contingenze. Voi siete cittadini di uno Stato libero e democratico; di una Repubblica nata dalla volontà popolare e che per volontà popolare si è data una Costituzione che pone la dignità della persona al di sopra di ogni altro valore e il lavoro a fondamento della realizzazione dell'uomo. Non dimenticate mai tutto questo, nonostante le difficoltà del presente, nonostante il senso di smarrimento che ci assale nell’osservare lo svolgersi della nostra vita pubblica e il deprimente vuoto di cultura e di ideali che la contrassegna; la mortificante condizione di molte istituzioni. Mentre l'economia langue e non riesce a ritrovare la via della crescita. Ma è tutta l'economia dell'area sviluppata a fare i conti con una recessione profonda e prolungata; mentre i responsabili delle politiche economiche dei diversi paesi e gli organismi internazionali sembrano incapaci di approntare strumenti idonei a combatterla. 6 Ricorro ancora una volta a una lettura recente, Fault lines (Linee di faglia), opera di notevole spessore analitico. L'autore, Raghuram Rajan, attualmente docente all'Università di Chicago, è stato in passato capo economista del Fondo Monetario Internazionale. Consideriamo insieme la diagnosi della crisi fatta da Rajan "gli Stati Uniti" - ma ciò vale per tutti i paesi sviluppati "pensano ancora che si tratti di un problema congiunturale, non strutturale .... Nelle recessioni c'è indubbiamente una forte componente congiunturale, ma il fatto che questo sia il secondo o terzo problema che abbiamo avuto negli ultimi quindiciventi anni lascia intendere che c'è qualcos'altro". "Se non si interviene con robuste, decise politiche strutturali, le nazioni sviluppate", continua Rajan "possono tornare allo status di paese in via di sviluppo, a prescindere dal grado di sviluppo delle loro istituzioni". Credo che i policy makers dovrebbero prendere molto sul serio queste osservazioni e agire di conseguenza. *** Il nostro incontro ha preso le mosse da alcune considerazioni su un certo mondo della finanza, il cui operare per circa un ventennio si è progressivamente andato affermando come sinonimo di innovazione, di efficienza, in breve, di progresso, senza pressoché incontrare ostacoli. Le vicende degli ultimi anni ce ne hanno mostrato il vero volto: quello di una finanza rapace, predatoria. Essa è responsabile di aver innescato la crisi che, deflagrando, ha distrutto nel mondo milioni di posti di lavoro, cancellando brutalmente qualsiasi sicurezza per milioni di individui e per le loro famiglie. Responsabile di tanta distruzione di ricchezza reale, e insieme di prospettive per il futuro, è la cupidigia nelle sue diverse declinazioni: danaro, successo, potere. Corollario di questa triade: disprezzo della persona umana. Badate bene che non si tratta di respingere l'economia di mercato; non si tratta di scegliere tra capitalismo e collettivismo; un'alternativa che la storia si è già incaricata di cancellare. Si tratta piuttosto di intendersi sul termine "capitalismo". 7 In segno di congedo, affido alla vostra riflessione il pensiero espresso in proposito da Giovanni Paolo II nella enciclica Centesimus annus , scritta in occasione del centenario della Rerum novarum. "Se con capitalismo si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di "economia di impresa", o di "economia di mercato", o semplicemente di "economia libera". Ma se con capitalismo si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell'economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa." CARLO AZEGLIO CIAMPI 8