Secondo assalto alla Rocca di Cesena un fascista, un

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Secondo assalto alla Rocca di Cesena un fascista, un
Secondo assalto alla Rocca di Cesena
un fascista, un fascista come la civetta
La notte del 16 giugno 1944 i partigiani cesenati riescono per la seconda volta a
violare le mura del carcere della Rocca e a liberare Agostino (Renzo) Buda,
detto Binda, segretario del partito comunista di Cesena e Ubaldo Fellini,
segretario della sezione di Ronta e Martorano, del partito repubblicano.
16 giugno 1944 - Ieri i partigiani sono penetrati ancora una volta nelle carceri di Cesena liberando
detenuti politici. La loro audacia è incredibile col Comando Tedesco a due passi. (Dal diario di don
Leo Bagnoli - Cesena)
18 [giugno] - I ribelli hanno portato via dalla Rocca tre detenuti politici. (Dal diario di don Pietro
Burchi - Gattolino)
Agostino Buda, era stato catturato dai carabinieri a Macerone, nella casa dei Sintoni (
forse in seguito ad una spiata e portato in prigione a Cesenatico.
),
Lurenz u s’ ciameva ad nom (...) il ciapet e’ Masron... lè drida e’ Masron. Nun in che cuntratemp
che lè a durmama là só nenca nun. Me, Ricci [Fabio] e agljet du tri a durmami là só da i quél (...)
da i Sudera, da i Sudera. Nun a sami int la ca’ ad qua, a durmì e sté Lurenz [Agostino (Renzo)
Buda], l’era int la ca’ ad là. L’era sempra di stes Sudera. Alora la nota e’ ven zó i carabinir, i va
int la ca’ ad là, il ciapa e il porta via. Il porta in parson a Ziznatich. (Aldo (Lorenzo) Fusconi 1983)
Adriano Benini, si recò allora a Cesenatico per avere informazioni sulle sue condizioni e sulla
possibilità di tentare un colpo di mano per liberarlo. Venuti a conoscenza del momento
preciso in cui lo avrebbero trasportato al carcere di Cesena, un gruppo, comandato da Aldo
Fusconi, partì da Ronta in bicicletta e provò ad intercettarlo durante il percorso. A causa
della foratura di una ruota, si perse tempo lungo la strada e il gruppo arrivò
all’appuntamento in ritardo. I partigiani videro passare il furgone senza poter far nulla.
Alora nun avema Benini [Adriano] ch’l’era a Ziznatich, alora. (...) Alora u s’ aveva dè aglj
infurmazion cum j era mes in caserma ch’a l’andema a liberè, a l’andema. Mo ciou! U n’ ariveva
mai! Alora e’ ven un dé ch’i s’ manda a dì “Guerda che incua int un’ ora e’ partes, ch’il manda int
la roca a Cisena”. E ‘lora nun a partesum da que in bicicleta, in quatr o zenqv pr andè e’ Ziznatich
ad qua d’e’ pont. Degh “Quand ch’i pasa da que a j incutrarem e a j e’ tulem!”. Zent metar prema,
dusent metar prema, u s’ fora la bicicleta, a pardesum un po’ ‘d temp, quand ch’a sama a lè
arivesum ch’e’ paset e’ furgon ch’l’andeva int la roca. Il mandeva a Cisena. E u ngn’ i fot gnent da
fè gnech cla volta che lè. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983)
Chiuso nella rocca di Cesena, prima si pensò alla cattura di qualche gerarca fascista per
proporre uno scambio di prigionieri, poi, scartata quest’ipotesi, si ritenne più opportuno
ripetere l’impresa del 9 febbraio e provare a liberarlo direttamente. Tanto più che ora si
poteva contare anche sul figlio del nuovo custode che informava i partigiani di quanto
avveniva entro le mura del carcere.
I fascisti hanno arrestato BINDA, il segretario di sezione del partito comunista di Cesena. BINDA è
in pericolo, occorre un colpo di mano. Occorre attaccare il carcere per la seconda volta. Occorreva
dell’audacia e del sangue freddo. (Da: Per la liberazione di tre compagni dal carcere di Cesena / di
Fabio Ricci - IRSFC 10/B 1022)
La situazione in cui si trovava Buda era considerata grave per cui fu deciso un secondo assalto al
carcere della Rocca. L’intervento era reso difficile - oltre che dal fatto che i fascisti avevano
predisposto misure particolari di difesa - dalla decisione di non applicare in Cesena l’oscuramento
della città (...) la Rocca Malatestiana era diventata una fortezza apparentemente inespugnabile. (...)
In un primo tempo pensammo di catturare qualche gerarca, quale ostaggio, per proporre poi lo
scambio col nostro compagno, ma questa ipotesi fu subito scartata. (...) Ritenemmo che non si
dovesse usare lo stratagemma precedente e non potevamo impiegare i partigiani che avevano
partecipato alla prima impresa. Poiché l’impresa era più rischiosa e politicamente rilevante (...)
bisognava attaccare la Rocca penetrandovi da qualche punto vulnerabile. (Da un diario anonimo –
ISRFC ANPI Cesena)
Era necessario far presto, perché dalle informazioni ricevute sembrava che Buda fosse stato
condannato a morte e con lui un altro antifascista, Ubaldo Fellini, in prigione da tempo.
Le informazioni ricevute erano queste: che i prigionieri politici, il segretario del PCI e il segretario
del PRI, avrebbero subito un processo sommario e poi li avrebbero fucilati. Quindi ci
preoccupammo di liberarli prima che venissero portati via da Cesena. Erano Buda Renzo e Fellini
Ubaldo. (Scevola Franciosi - dattiloscritto 1984)
Durante il primo assalto alle carceri, Fellini era stato fra quelli che, invitati ad uscire, avevano
preferito restare ma ora, anche per lui, ne andava della vita.
[Ubaldo Fellini] e’ su fradel [rivolto alla moglie], i l’è pó avnù tó, i l’eva mes int e’ quèl... Ben! A n’
sema andè a cavèl da la roca (...) e’ su fradel! Parché l’era anzien e alora... l’era antifasesta via! U
ngn’ j è zuvè gnenca e’ su ba’ che par salvè un po’ tot... la fameja numerosa e i fiul, l’aveva aderì
nenca... u s’era iscret a i fasesta... prima [della Repubblica di Salò] (Otello Sbrighi - 1998)
A lè cla sera che lè i liberet sté cumpagn nost [Agostino (Renzo) Buda] (...) ad dentar u j era nenca
quel... ch’l’era un republichen ad Marturen [Ubaldo Fellini] (...) che u n’ vleva scapé e pó, dop, e'
scapet enca lo. (Pio Tamburini - 1983)
Il primo tentativo di liberare i prigionieri, pensato per il 1° maggio, fu bloccato dal
rastrellamento del 28-29 aprile, che costrinse la gran parte dei comandanti partigiani,
rifugiati nelle bassa cesenate, a fuggire dalla zona rastrellata e a nascondersi per un po’ di
giorni.
[Quando c’è stato il rastrellamento, in aprile, lei era qua?] Sì, io ero lì, a coso... A Ronta sempre a
Ronta, a là vicino a San Giorgio, a casa di suo padre [indicando la moglie, Pia Raffoni]. (...) Perché
alla notte dovevamo andare... a pre[ndere] un altro che era nella rocca un compagno. Dovevamo
andare a liberarlo questo compagno [Agostino (Renzo) Buda] (...) Era in Francia. E’ di Gambettola
(...) E alora lì non ci siamo... perché c’era due... che quando c’è qualcheduno in mezzo che ha
paura, lui sicuro è quello che guasta anche gli altri. Comincia a dire “Ma... Cioù! Andar su senza
sapere... senza non sapere...” e questo e quello... Dico “Lasciamo stare ragazzi. Via! Adesso
portiamo le armi qui e poi io, domani, vado su a Cesena”. Che c’era qualche partigiano giovane...
qualche ragazzo... alora mi davano le informazioni, fra i quali c’era il figlio del custode della
Rocca, c’era. E anzi mi disse “Guardate” fate così e così “venite e suonate il campanello di mio
padre. Mio padre appena che è fuori lo prendete, poi lui va a chiamare i carabinieri e alora li
bloccate lì. Ci potete dare anche qualche schiaffo a mio padre. Non ci fate male! Non ci fate male!”
“ Ma no!”. E alora quella sera non trovandoci d’acordo abiamo lasciato lì. La mattina è venuto il
rastrellamento. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983)
Un gruppo di sette partigiani, al comando di Fabio Ricci tentò il colpo fra la fine di maggio e i
primi di giugno, partendo dalla zona di San Giorgio, ma non riuscì a superare lo sbarramento
creato lungo la ferrovia, tenuta sotto stretto controllo.
… alle prigioni tre volte si è provato (…) noi dovevamo passare senza essere notati. Non sempre
c’era il buio (…) eravamo sette quella sera (…) C’era Ricci [Fabio], quella sera, che voleva sparare
a un fascista. Si era piazzato davanti al fosso dove eravamo noi e non andava via! Non andava via!
Perdemmo circa un’ora… un’ora e mezza. Sinché loro ebbero il cambio e ‘lora nel cambio… Noi
quando fummo (…) lì riuscimmo a passare, però cominciava a albeggiare, erano le quattro e mezza
del mattino e non era più il caso di fare l’azione in quel momento. (Rino Belli – 1984)
Si tentò nuovamente la notte del 6 giugno, ma anche questa volta l’azione andò a monte per
un contrattempo. I partigiani, partiti in otto da Villa Chiaviche, furono bloccati da tre guardie
civili che li fermarono ad un passaggio a livello, chiedendo loro di mostrare i documenti. Gli
otto, per non farsi riconoscere, furono costretti a sparare, uccidendo due guardie e ferendo la
terza. Anche un partigiano rimase ferito ad una gamba. Per questo motivo e per paura che i
fascisti potessero essere stati messi in allarme, l’azione fu sospesa.
Dop a cumbinem, steta volta, d’andé int la roca. Quant a sema a e’ Pont dla Preda avam da pasè la
ferovia u j è al guergi (...) la milizia dla ferovia. “Alt! Alt!” E lè a fasesum un po’ ad s-ciuptedi e pu
u s’ tuchet a turnè indria. (...) [Ci son stati feriti da parte vostra?] Un frì sol. Un cumpagn che e’
ciapet una s-ciuptdeda a que int una gamba. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983)
Partì con altri compagni gapisti del 29° Brigata Gastone Sozzi Battaglione di Cesena, da Villa
Chiaviche. La partenza avvenne in bicicletta e di notte, a metà strada e precisamente al passaggio a
livello di..., fummo fermati da tre fascisti di guardia alla ferrovia armati di fucile. Il momento era
critico, esibimmo i documenti, non avevamo nessuna intenzione di attaccarli, dovevamo andare alla
rocca per liberare i compagni. BINDA [Agostino (Renzo) Buda] comunista... e FELLINI [Ubaldo]
repubblicano. Solo questo era il nostro obbiettivo, perciò ad ogni conto dovevamo evitare la
provocazione. Ma purtroppo dovevamo fare con tre fascisti che non volevano sapere di lasciarci
passare, anzi ci volevano condurre pure noi in carcere. La situazione è critica, siamo andati a veglia
dai nostri amici dicemmo, abbiamo fatto tardi, lasciateci andare alle nostre case, vi promettiamo che
non faremo male a nessuno. C’è il coprifuoco, avete fatto tardi perciò vi portiamo alla Rocca e
domani penserà il Comandante Garaffoni a lasciarvi se crede. Poche storie e venite con noi.
Avevano sempre i loro fucili spianati contro di noi. In prigione non ci porterete, allora uno di essi
spara un colpo ferendo uno di noi ad una gamba, rispondemmo con le pistole, e li abbattemmo tutti
e tre. Eravamo dispiaciuti di dover rimandare l’azione della Rocca. Inoltre, avevamo il timore che
fucilassero i nostri compagni per rappresaglia. Ma non ci rimaneva altro che rimandare l’azione.
(Da: Per la liberazione di tre compagni dal carcere di Cesena / di Fabio Ricci - IRSFC 10/B 1022)
Lì, [a Ronta Seconda] c’era un gruppo che... ciapa Ricci [Fabio], ciapa San Marèn [Primo Pasolini],
ciapa e’ mi zé Aldo [Fusconi] e pó dop, e pó dop a lè chi j era? Amo enca e’ Gag ad Budlina
[Fusconi Giuseppe] che j i à mazè e’ fradèl [Gino Fusconi]. E mnèva. Eh! E poi anche Urbano
[Venanzio] Fusconi che poi dopo l’hanno massacrato alla Rocca di Cesena. Ciou! Era uno che non
si tirava mica indietro. Eh! Non scherzava. Ah! Lui c’era sempre nel gruppo. Perché nel gruppo dei
15 che andò su alla Rocca di Cesena, un gruppo (...) era comandato da Ricci, l’altro gruppo era
comandato da Fusconi (...) da Aldo... Però e’ mi zé non ha mai detto il nome di chi partecipò (...) e
invece quella sera lì, al passaggio a livello, di notte, l’avevano bloccato quattro fascisti e... e erano
due, due gappisti. Io poi, questo non me l’han mai detto con chi era, a n’ò mai capì s’ l’era cun San
Marèn o cun Ricci. Però... gli avevano puntato le pistole contro “Dove andate?” “Ah!” dice “Siamo
stati a giocare e... adesso andiamo a casa” e alora uno di questi fascisti e’ get... disse “Va là che
adesso io devo andare... ho bisogno di andare là... state qua voi”. Non ci fu un attimo di distrazione,
mio zio [Aldo Fusconi] estrasse la pistola e u j amazet tot quatar, u s’ saivet sol quel che... l’era
andè via. Via! U j amazet tot quatar lo! Tot quatar sech! Però secondo me quelli lì erano quegli
Ustascia... No. No. Erano Ustascia però non erano... erano... esperti. Perché altrimenti non si riesce
a fare. Sì, uno o due lo puoi fare... però quattro in un colpo solo non ce la fai. Be mo! (Vittorio
(Quarto) Fusconi - 1998)
Il 6 corr. alle ore 23,30, fra le stazioni ferroviarie di Cesena e Gambettola, tre guardie civili in
servizio di vigilanza alla linea ferroviaria fermarono otto ciclisti, alla ricerca di documenti, costoro
estrassero le pistole e spararono alcuni colpi, uccidendo due guardie e ferendo gravemente l’altro.
(Dal Notiziario della GNR del 19 giugno 1944 - ISRFC GNR 1205)
Fallito anche il secondo tentativo Luciano Caselli, comandante della brigata, Fabio Ricci,
comandante del battaglione cesenate e Scevola Franciosi, commissario politico, si
incontrarono a San Tommaso per organizzare un nuovo tentativo.
E dop u j andet un’enta squedra... só lè dla Carpneda, a liberel int la roca. U j andet. (Aldo
Fusconi - 1983)
La preparazione del piano era avvenuta in un incontro del comandante della Brigata Caselli
Luciano, con Ricci [Fabio] e con me. (Scevola Franciosi - dattiloscritto - 1984)
In luglio [no, giugno] siamo andati... c’era dei prigionieri politici nelle carceri di Cesena e alora per
studiare un piano... Si studiò un piano per liberare loro come son stato liberato io e Enzo [Ezio
Casadei]. (...) Studiarono un piano. Gli altri, perché io non ero in grado. Loro erano di Cesena e
conoscevano un po’ più [di me] le cose. E alora si studiò il piano in questo modo. Di andare in
quattro (...) Il sottoscritto Primo Pasolini, Ricci Fabio, Alvaro Campana e Franciosi Scevola. (Primo
Pasolini - 2001)
Giunse notizia, nel frattempo , che i fascisti avevano ottenuto di far stazionare due carabinieri
all’interno della Rocca e che il portone di accesso doveva essere aperto solo a persone di loro
conoscenza per cui decidemmo di penetrare all’interno della rocca scavalcando le mura. (Da un
diario anonimo – ISRFC ANPI Cesena)
Noi quattro assieme siamo andati a liberare i partigiani nelle carceri di Cesena, però siccome prima
c’era... non c’erano le guardie... quando han liberato me e il povero Casadei Enzo [Ezio]... dopo han
messo due carabinieri di guardia... non ci si poteva più andare suonando col trucchetto della
campana perché c’erano dentro due guardie. E allora cosa abbiamo fatto, abbiamo pensato di buttare
su una corda... di arrangiarsi di riuscire a andare sulla mura delle carceri di Cesena e dalla mura
delle carceri ci abbiamo legato la corda e l’abbiamo fatta scendere in cortile. (Pimo Pasolini - 1984)
Intanto viene ordinato a Pio Tamburini di rimanere nei pressi delle carceri per controllare i
movimenti dei fascisti e soprattutto, per accertarsi se, nel frattempo, i prigionieri fossero
altrove o addirittura uccisi.
[Prima dell’azione dei due alla Rocca lei era andato a controllare i movimenti...?] Sé. Set seri a fila.
(Pio Tamburini - 1983
Il gruppo di partigiani incaricato di penetrare nelle carceri partì la sera del 15 giugno da San
Tommaso e passando per vie traverse, raggiunse le mura della rocca di Cesena a notte
inoltrata.
Avevamo organizzato l’azione 2-3 giorni prima ma un contrattempo fermò il comandante Ricci
[Fabio] che doveva venire su a San Tommaso, ebbero uno scontro proprio nella giornata fissata per
l’appuntamento, quindi l’azione la facemmo due giorni dopo. Partimmo da San Tommaso in sei: io,
Ricci Fabio, Pasolini Primo detto il sammarinese, [Angelo Pepoli], Mario Calligari, che era
cremonese, poi Dodic Giuseppe, che era triestino. [Questi ultimi] erano degli sbandati che avevamo
assistito e quando chiedemmo loro se avevano proprio intenzione di tornare a casa, con tutto il
pericolo che c’era, dichiararono di essere disposti a rimanere nella nostra zona ed entrare
nell’organizzazione. (Scevola Franciosi - dattiloscritto 1984)
Amo dop j andet só da e’ ré ‘d Maren (...) olta da la Madona de’ Mont e pó só. e zó, só e zó fino a
rivé qua, ch’la sera che lè, par scavidé tot la baraca. (Pio Tamburini - 1983)
A distanza di giorni. Con altri compagni partimmo isolati in bicicletta, e di giorno ci portammo in
casa di un compagno di S. Tommaso ove depositammo le biciclette, e sull’imbrunire partimmo a
piedi. Il comando tedesco dopo lo scorno della prima liberazione avendo [aveva] dato ordine di non
aprire più a nessuno previa esibizione di un lasciapassare da essi rilasciato. Perciò, non si poteva più
passare dalla porta, l’ingresso a noi era precluso. Arrivammo a notte inoltrata nelle vicinanze del
carcere. Incontrammo un ufficiale tedesco. Un compagno lo voleva fare fuori, ma io lo feci
desistere, dimostrando che quello non era il nostro obbiettivo, ma che ci saremmo trovati
nell’impossibilità come la volta precedente. Continuammo la nostra marcia finché giungemmo sotto
le mura della Rocca. (Da: Per la liberazione di tre compagni dal carcere di Cesena / di Fabio Ricci IRSFC 10/B 1022)
Giunti alla periferia di Cesena le sirene dettero l’allarme aereo, la gente si riversò nelle strade
correndo verso i rifugi; il coprifuoco perdeva così efficacia anche per noi. Approfittando della
confusione generale attraversammo Cesena in pieno centro, armati di bombe a mano e pistole che
potevano essere facilmente occultate. Raggiunto le vicinanze della Rocca incontrammo il compagno
precedentemente contattato e che abitava sul posto, munito di una lunga fune. Per due volte
facemmo il giro del parco che circonda la Rocca per scegliere il punto più accessibile e alla fine
scegliemmo il muro posto ad una ventina di metri a sinistra dell’ingresso, poco distante da un
torrione. (Da un diario anonimo – ISRFC ANPI Cesena)
Dopo una faticosa scalata i partigiani riuscirono a penetrare nel cortile del carcere e a
disarmare di sorpresa i due carabinieri di guardia.
Arrivammo alla Rocca che era circa l’una e incominciammo con la prima difficoltà, cioè superare il
muro della Rocca. Dovevamo cercare di scavalcare la mura ed entrare dentro... Dopo vari tentativi,
mi ero legato una corda attorno alla vita, ero scalzo e mi dovevo arrampicare nel muro
appoggiandomi ai mattoni o alle fessure del muro. Arrivai in cima e feci il segnale convenuto con
uno strappo alla corda; e venne su Ricci [Fabio]. Ma non avevamo calcolato il peso, Ricci era
piccolo e magro ma era diventato enorme anche perché non avevo appoggi e ad un certo punto
temevo anche di cadere giù. Mano a mano che Ricci saliva il peso diminuiva e così iniziammo io e
lui l’ispezione degli spalti delle mura. C’erano delle cime di pioppi che con la brezza si muovevano
e davano l’impressione che ci fossero delle guardie, quindi anche quello fu un momento di tensione.
Poi andò bene. Uno alla volta riuscimmo a tirar su gli altri quattro... Il problema era, una volta in
cima, di dover scendere. Perché eravamo nella zona della Rocca dove non c’erano gradini o altro;
siccome avevamo portato dei grossissimi chiodi di ferro, li infilammo fra i mattoni, legammo la
corda, io scesi per primo e arrivammo dentro alla Rocca uno alla volta. Lì il problema era di far
uscire la guardia e lì ci fu un errore, anziché tirare il filo della campana che si suonava da fuori,
prendemmo nel filo della campana che si suonava da dentro quando c’era il cambio della guardia o
il rancio dei prigionieri. Si accese la luce e sentimmo che dicevano “Perché suona la campana
dentro?” Allora decidemmo di buttare giù la porta con una spallata pensando che fosse chiusa.
Invece era aperta, così cademmo addosso ai due carabinieri, ci fu una gran confusione, ma li
disarmammo e chiamammo il custode. (Scevola Franciosi - dattiloscritto 1984)
Quanto tempo impiegammo per trovare il punto più facile da scalare? E’ difficile dirlo. Nella
caserma Ordelaffi vi era acquartierato il Battag.ne Dalmata, composto di... Udivamo i loro canti,
erano a circa 150 metri in linea d’aria, e pensare che avevamo intenzione di fargliela in barba e sotto
i loro occhi trovammo i punti più facili. Il Commissario Politico [Scevola Franciosi] si assunse per
primo il difficile compito della scalata. Lo vedevamo scalare nella notte come una macchia
oscillante sul muro (...) una pietra cadde staccandosi dal muro, il compagno Scevola, si attacca al
muro con le unghie, coi denti, la sua caduta equivaleva alla morte e alla non riuscita dell’impresa
(...) Dovemmo frenare un urlo di gioia, il compagno era arrivato alla fine del muro, stremato di
forze (...) salii pure io a mezzo della corda legata alla cintura del compagno Commissario, un bacio
spontaneo ed un abbraccio fraterno ci colse. Poi salirono gli altri compagni (...) Conficcammo un
chiodo in una fessura del muro e scendemmo nel cortile del carcere avvolto nel buio, e il silenzio
era rotto solo dal canto avvinazzato dei fascisti del Battaglione Dalmata. Bloccammo le porte, poi
salito sulle spalle di un compagno tirai il filo del campanello che termina nella parte esterna del
portone col compito di immobilizzare il primo guardiano che fosse uscito per vedere di che cosa si
trattava. Ma il caso volle che prendessi il filo della campana che si suona solo dall’interno del
cortile, dando così l’allarme di persone estranee nel cortile stesso. Il momento era critico. In una
cameretta a pian terreno vi erano due carabinieri di guardia, che al suono della campana avevano
acceso la luce elettrica. Occorreva agire con rapidità, chiamai il compagno di S. Marino [Primo
Pasolini ], uno dei due che liberammo la volta precedente e che voleva essere con noi per
contribuire a sua volta per liberare altri compagni. Lo chiamai e gli dissi che occorreva che con una
spallata buttare giù la porta e immobilizzare subito i carabinieri. La porta ricevette un colpo così
forte che fu divelta, seduti nei rispettivi lettini i carabinieri si allacciavano gli stivali. Li
immobilizzammo con le nostre pistole, e messi nell’impossibilità di nuocere, rompemmo per primo
il telefono. (...) I carabinieri piangenti ci dissero che avevano famiglia (...) gli salvammo la vita. (Da:
Per la liberazione di tre compagni dal carcere di Cesena / di Fabio Ricci - IRSFC 10/B 1022)
E così siamo scesi noi, con la corda, nel cortile. In quattro, com’eravamo, con le armi corte, pistole
e bombe a mano, così... Allora ci siamo organizzati in questo modo. Uno ha suonato la campana
come che la campana suonasse dal di fuori, uno [era] di guardia alle finestre, che teneva dal cortile
sotto tiro le finestre e io e Ricci [Fabio] ci siam messi (...) davanti alla porta dei carabinieri. Questi
qui quando han sentito suonare la campana cosa han fatto? Han acceso la luce e hanno cominciato a
commentare (...) “Chi sarà e chi non sarà? A quest’ora? Ma? Mo?” E noi eravamo lì vicino alla
porta zitti zitti, in attesa che aprissero per venir fuori per prenderli prigionieri. Ma la cosa si
allungava un po’ e abbiam deciso... così, mormorando piano piano, ci siam messi d’accordo e
abbiam deciso di dare una spallata alla porta. Abbiam dato una spallata alla porta e questa porticina,
era una porticina d’ufficio, leggera e la forza era più della portata della porta e la porta ha dato una
gran botta di qua di là e ci siam trovati in mezzo ai carabinieri, che eran seduti sul letto (...) Non si
capiva più niente. Morti di paura. Come può capitare a tutti. Li abbiam fatti vestire, venir fuori, su
nel cortile. Nel cortile abbiam fatto chiamare il capo delle carceri. (Pimo Pasolini - 1984)
Che si... si han procurato un’ancora... con la corda, che quest’ancora fu lanciata sulla mura e da
sulla mura aggangiò e si andò su e si mise giù nel cortile. Nel cortile, certo che sapevamo che
eravamo prigionieri noi come tutti gli altri. Avevamo pistole e bombe a mano. Una cintura di bombe
a mano. Armi corte. E alora l’organizzazione interna fu questa qui. Due, io e Ricci [Fabio],
andammo di fronte alla porta dei due carabinieri. (...) E questi due carabinieri erano in quegli
uffici... in quelle stanze che interrogavano e ci torturavano noi. Però avevan nell’interno delle
carceri delle porticine leggere. (...) Uno... uno suonò la campanella che il filo passava a un metro e
mezzo due metri, che veniva fatto finta che tirassero il filo da fori e invece veniva tirato da lì, a
quattro metri dai carabinieri e uno indietro con le pistole a osservare un po’ le carceri a vedere chi
veniva fuori. Insomma [il suo compito era] di controllare per difendere i compagni. A questo punto
suonò la campanella. I carabinieri accesero la luce e incominciarono a dire: “Chi sarà a quest’ora?”
“Ma!”. Chi sarà e chi non sarà.... Alora in due, io e Ricci ci mettemmo d’accordo piano, piano.
Parlando piano, piano. Diamo una spallata (...) Avem dè una spalèda a la porta. Sti du carabinir, i
puret j era in sdei int e’ let, un ad qua e ‘d là. Uno di qua e di là. La porta ha fatto bim bom! Saltata
di qua e di là. Spaccato i vetri... e loro lì che tremavano come delle foglie e si raccomandavano che
non ci avessimo fatto niente. Di fatto non ci abbiamo fatto niente. Li abbiamo disarmati, li abbiamo
fatti vestire, li abbiamo fatti venir fuori. Allora a questo punto, loro, [g]li abbiam[o] fatti[o]
chiamare, sotto [la minaccia del]le armi, il capo delle carceri, che era Nubi. Che prima era il vice
capo. Poi, quando m’han liberato me (...) è passato lui capo. (Primo Pasolini - 2001)
Scelto il punto decidemmo di iniziare immediatamente la scalata e in quello stesso momento, come
la volta precedente, si sentivano i fascisti cantare all’interno della caserma Ordelaffi a circa trecento
metri in linea d’aria. La luna illuminava la scena come fosse giorno. Vi fu un disguido: anziché uno,
due tentarono la scalata, ed uno era addirittura sprovvisto di attrezzi (...) Lo feci desistere
osservando che solo nel caso che il designato non fosse riuscito nel suo intento, il secondo avrebbe
dovuto tentare l’impresa. (...) Dopo pochi attimi lo vedemmo seduto sulla cima (...) Calò la corda ed
io lo raggiunsi. (...) Ritirata la fune ci spostammo lungo il coronamento della mura malatestiane alla
ricerca di un punto adatto per scendere all’interno della prigione. Avevamo con noi dei grossi chiodi
- dal cavej - e, trovata una fessura ve ne infilammo una, vi fissammo la corda e scendemmo nel
cortile. Ci togliemmo le scarpe per non fare rumore (...) A questo punto presidiammo le porte. Ci
apprestammo a tagliare il cavo della nota campanella esistente nel carcere e collegata alla maniglia
posta all’esterno. Purtroppo era collocato ad un’altezza inaccessibile ad una sola persona. perciò
facemmo salire un compagno sulle spalle di un altro ma tagliammo il cavo sbagliato e scattò
l’allarme. La cameretta dove stavano alcuni carabinieri di guardia si illuminò. Non c’era tempo da
perdere consultai San Marino [Primo Pasolini] e decidemmo di abbattere la porta d’ingresso al
luogo di guardia per immobilizzare i carabinieri. Prendemmo lo slancio per entrare assieme, ma fui
il primo a raggiungere la porta che si spalancò e entrai da solo. Puntai immediatamente la pistola
contro i carabinieri che stavano infilandosi gli stivali. Aspetto comico: San Marino non trovando
alcuna resistenza finì a terra, la pistola gli uscì di mano e scivolò sotto la branda dei carabinieri.
fortunatamente i militari, davanti alla canna della mia pistola, non fecero resistenza. Li
rassicurammo circa la loro sorte purché avessero eseguito alla lettera i nostri ordini. Capirono che
non scherzavamo. Furono condotti all’interno del cortile, ordinammo loro di chiamare il custode.
(Da un diario anonimo – ISRFC ANPI Cesena)
Sotto la minaccia delle armi i due carabinieri furono costretti a chiamare il direttore del
carcere e questi, capito che ormai non c’era più nulla da fare, diede loro le chiavi delle celle
dove erano rinchiusi i prigionieri. Il direttore del carcere, fece poi intedere che anche lui, sotto
sotto, era dalla loro parte e li avvertì che fra i prigionieri era nascosta una spia.
[Il capo delle carceri] ci diede le chiavi, entrammo nelle celle e c’erano il segretario del Partito
comunista Buda [Agostino (Renzo)] e il segretario della sezione repubblicana di Ronta e Martorano
Fellini [Ubaldo] e poi si aggregò uno, arrestato perché aveva ascoltato Radio Londra. Altri non ne
uscirono. (Scevola Franciosi - dattiloscritto - 1984)
[Il capo delle carceri] è venuto su, alla fine s’è affacciato alla finestra. Dalla finestra ha chiesto “Chi
è?” dice. “Ci sono i partigiani che vogliono i suoi compagni” han detto i carabinieri e lui s’è tirato
indietro. Ma a questo punto io [g]li ho detto “Guarda Nubi. Io sono San Marèn. Sono Pasolini. Sono
quello che m’hanno liberato e tu m’hai dato da mangiare da nascosto dal capo delle carceri. Cerca di
capire questa gente qui, se no li fucilano, fa in modo di darci le chiavi e liberarli”. E lui è venuto giù
con la chiave, ci ha aperto le carceri e ci ha detto che in mezzo a loro c’era (...) un fascista, un
fascista come la civetta. Dicevano ch’era un partigiano e invece era un fascista che l’avevano messo
in mezzo ai partigiani nelle carceri. (Primo Pasolini - 1984)
Quando ha sentito il capo delle carceri, che era Nubi, che c’erano i partigiani, allora lui, dopo... di
fronte alla finestra (...) s’è tirato giù per non essere di fronte [a]i proiettili, se c’erano... o qualche
cosa... E di così si parlava e alora a quel punto lì dico “Guerda Nubi, me a sò San Marèn quel ‘d
San Marèn. Che m’hai portato da mangiare qualche panino nel maschio, che i fascisti non t’avevano
autorizzato... a questo punto sai chi sono. Ci son dei nostri compagni qui che fanno la fine che avrei
fatto io. Vienici a liberare. Dacci le chiavi”. E’ venuto giù (...) che c’ha dato le chiavi (...) due
compagni son andati nelle carceri a[d] aprire ai partigiani. [Nubi] c’ha detto in mezzo [ai
prigionieri] c’è un bischero che è una spia. Quello lì l’han tenuto da una parte. Forse han dato via
qualche schiaffone, però lui è rimasto lì dentro e tutti gli altri dieci o undici, non so quanti, son
venuti fuori. Partigiani, politici, mezzo politici... non so, quelli che avevano rimediato i fascisti da
fucilare quando avevano le ragioni di fare qualche cosa... (Primo Pasolini - 2001)
Questi [il capo delle carceri] si affacciò alla finestra e un carabiniere gli disse “Nubi scenda pure che
tanto non c’è più niente da fare”. Il custode scese assieme alla famiglia. (...) carabinieri, custode e
familiari furono messi con le spalle al muro e guardati dai compagni (...) Un partigiano penetrò
nell’ufficio e strappò i fili del telefono, poi, accompagnati dal custode raggiungemmo la cella dove
si trovava Buda [Agostino (Renzo)] ed accedemmo la luce. Buda, che stava seduto sulla brandina,
fu abbagliato dalla improvvisa luce e non ci riconobbe. Ritenne che fosse giunta la sua ultima ora.
Infatti gli era stato comunicato di tenersi pronto per la fucilazione che doveva essere eseguita il
mattino seguente. Quando ci riconobbe, ebbe uno scatto, mi si attaccò al collo. Gli feci presente la
necessità di vestirsi in fretta (...) Non c’era tempo da perdere. Liberammo anche il compagno
Ruggero Turrone denunciato da un fascista per aver trasmesso, a mezzo radio, notizie agli Alleati.
In realtà Turrone non aveva svolta tale funzione, tuttavia era in attesa di essere giudicato dal
tribunale militare tedesco. Liberammo anche il partigiano Fellini [Ubaldo] di Martorano, un
repubblicano del raggruppamento Mazzini, ritenuto un capo partigiano e denunciato al comando
militare tedesco. (Da un diario anonimo – ISRFC ANPI Cesena)
Il gruppo, dopo aver minacciato i prigionieri rimasti a non rivelare l’identità dei partigiani
fuggì dal portone principale dirigendosi verso Rio Eremo, portando con sé, oltre ai due
prigionieri, anche un certo Ruggero Turrone, di Cesena e Mario De Angelis, uno dei due
carabinieri di guardia, che chiese volontariamente di seguirli.
Io venni riconosciuto da uno che era dentro, non so per quale motivo e dovetti dirgli di star zitto e di
non parlare per non mettere in difficoltà la sua famiglia. Perché se diceva che mi aveva
riconosciuto... avremmo presi provvedimenti. Dopo aver disarmato il corpo di guardia, ci
impossessammo delle armi e uscimmo dal portone principale con molta circospezione perché nella
caserma Ordelaffi era acquartierata una compagnia di Guardie nazionali repubblichine. Uscimmo
dalla Porta Montanara, scendemmo giù fino a Rio dell’Eremo e da lì andammo a San Tommaso.
(Scevola Franciosi - dattiloscritto - 1984)
Quando [eravamo] prima d’andar via, a questo punto, [il direttore del carcere] ha chiesto “Io guarda,
c’ho mio figlio che ha la cartolina che dovrebbe andare nei militari, è stato chiamato. Posso dire che
me l’avete portato via voialtri?”. A questo punto (...) Ricci [Fabio] il mio comandante ha detto “Sì.
Sì. Tu tarda mezz’ora a andare giù dal fascio. Fra mezz’ora tu digli quello che vuoi. Che l’abbiam
portato via...”. E questa cosa così andò. (Pimo Pasolini - 1984)
Pr.3271 Riservato personale punto Ore due del 16 corr. in Cesena provincia Forlì 15 sconosciuti
armati di pistola probabilmente partigiani penetrati – mediante scalata – cortile interno locale
carcere dopo aver sorpreso nel corpo di guardia et disarmato militi scelti De Angelis Mario et
Pagane Rocco et reso inservibile telefono si facevano consegnare dal vice capo guardia carceri
stesse seguenti detenuti politici: Ferrini Ubaldo classe 1902 da Cesena esercente detenuto
disposizione 38° Comando Militare Provinciale Forlì, Buda Agostino classe 1901, comandante da
Gambettola detenuto disposizione Fascio repubblicano Cesena, Turrone Ruggero classe 1909 da
Cesena fermato disposizione locale Commissariato Polizia punto Comitiva con detenuti dirigevasi
San Demetrio Montecoderuzzo punto segnalazione completa punto – (Segnalazione del comandante
interinale della GNR di Cesena, al comando provinciale della GNR. 18 giugno 1944 – ISRFC 947)
E di lì è venuto fuori questo discorso “Nubi l’à det “Guarda io c’ho mio figlio che ha la cartolina
d’andare nei militari. Posso dire che me lo avete portato via voi?”. Allora a questo punto (..) Ricci
[Fabio] e gli altri, che erano loro che dirigevano l’azione, disse[ro] “Te tarda mezzora a andare al
comando dei fascisti e poi vai giù e di che a t’ l’avem purtè via nun”. Te lo abbiamo portato via noi.
“Fai il disperato dibattiti...” E difatti deve essere andata così. Noi siamo andati via (...) io ero
guidato da quegli altri perché io non conoscevo Cesena. Tutti i prigionieri son spariti. Noi siam
spariti. (...) Il figlio s’è nascosto e così per me quell’azione è finita. Poi, dopo il fronte (...) a me
l’han raccontata così i miei compagni, che lui s’è nascosto. Uno dei due carabinieri [Mario De
Angelis] è venuto con noi (...) è andato in montagna e s’è salvato (...) e l’altro, che non è andato,
l’han portato in Germania perché non aveva fatto il suo dovere (Primo Pasolini - 2001)
A distanza di alcuni anni fui fermato da un tale [Rocco Pagane] che mi chiese se lo riconoscevo.
Risposi di no. Allora si presentò. Si trattava di uno dei due carabinieri di guardia alla Rocca.
Riconosciutolo gli chiesi per quale ragione mi aveva fermato ed egli precisò che sarebbe stato lieto
di riavere la sua pistola (...) Mi misi a ridere (...) La curiosità mi spinse a chiedere come erano
andate le cose dopo la nostra “visita alla rocca” ed egli mi rivelò che, per punizione, venne condotto
al carcere di Forlì, che doveva essere fucilato e che per fortuna venne liberato dal carcere dai
partigiani assieme ai detenuti politici. (Da un diario anonimo – ISRFC ANPI Cesena)
La notizia della fuga dei prigionieri fu tenuta nascosta il più possibile. Antonio Mambelli, a
Forlì, la trascrive nel suo diario in data 4 ottobre e con le solite esagerazioni.
[Forlì] 4 [ottobre] = Usando della qualifica di agenti, una 30 di partigiani sono riusciti a penetrare
nelle carceri di Cesena e a liberare, dopo aver immobilizzato gli agenti di custodia e disposto un
servizio di vigilanza all’esterno, 58 detenuti e fra essi il segretario del P.R.I. Sono quindi saliti su un
torpedone e passati con mitra in posizione di sparo, per la circonvallazione disperdendosi in un
baleno. Altrettanto è avvenuto alle 18 nelle carceri di Forlì, armi alla mano. (Dal diario di Antonio
Mambelli - Forlì)