libro degli abstracts

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libro degli abstracts
LIBRO DEGLI ABSTRACTS
INDICE
MEDICI
Best abstracts..............................................................................................................
Comunicazioni orali ..................................................................................................
Poster..........................................................................................................................
Dati per letti ..............................................................................................................
Relazioni ....................................................................................................................
INFERMIERI
Comunicazioni orali ..................................................................................................
Poster..........................................................................................................................
Dati per letti ..............................................................................................................
Relazioni ....................................................................................................................
5
9
15
69
89
109
117
127
129
Indice degli autori ...................................................................................................... 135
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
MEDICI - Best abstracts
B001
MORTALITÀ TARDIVA E CAUSE DI MORTE IN
13.920 LUNGO-SOPRAVVIVENTI DA TUMORE
PEDIATRICO. L’ESPERIENZA DEL REGISTRO
ITALIANO FUORI TERAPIA DELL’AIEOP
F. Bagnasco, M. Jankovic, M.G. Valsecchi,
M. Terenziani, S. Caruso, V. Morsellino, S. Pessano,
D. Fraschini, L. Miligi, C. Casella, E. Rossi,
C. Sacerdote, A. Andreano, C. Baronci, E. Biasin,
R. Burnelli, C. Cano, R. Mura, G. Palumbo,
R. Parasole, M. Pillon, E. Pota, G. Russo, N. Santoro,
A. Trizzino, F. Verzegnassi, A. Pession, R. Rondelli,
A. Biondi, R. Haupt, per il gruppo di lavoro AIEOP
ROT
Istituto Gaslini, Genova; Clinica Pediatrica Università di
Milano Bicocca, Monza (MB); Istituto Nazionale dei
Tumori, Milano; Istituto per la Prevenzione Oncologica,
Firenze; Registro Tumori Regione Liguria, Genova;
Registro Tumori Regione Piemonte, Torino; Ospedale
Bambin Gesù, Roma; Emato-Oncologia Pediatrica
Ospedale Regina Margherita, Torino; Ospedale
Uuniversitario S. Anna, Ferrara; AO Modena,
Policlinico, Modena; Ospedale Microcitemico, Cagliari;
Dipartimento di Ematologia Università La Sapienza,
Roma; Ospedale Pausillipon, Napoli; Clinica Pediatrica
Università di Padova, Padova; Clinica Pediatrica
Università di Napoli II Ateneo, Napoli; Clinica
Pediatrica Università di Catania, Catania; AOU
Policlinico Bari; Clinica Pediatrica Università di
Palermo, Palermo; Istituto Burlo Garofolo, Trieste,
Clinica Pediatrica Università di Bologna, Bologna, Italy
ll registro italiano fuori terapia (ROT) fu istituito
nel 1980 includendo i casi prevalenti e prospetticamente quelli incidenti di bambini con tumore maligno che
hanno raggiunto la fine elettiva delle cure. Nel periodo
2012-2014 fu aggiornato lo stato in vita anagrafico dei
soggetti inclusi nella coorte e si è ottenuto il certificato
di morte dei soggetti deceduti. Per un confronto con
altri studi internazionali, l’analisi è stata ristretta ai
soggetti sopravvissuti almeno 5 anni dopo la diagnosi.
Per limitare il bias legato all’inclusione nello studio dei
casi prevalenti al momento dell’avvio del registro, l’analisi della sopravvivenza fu fatta secondo KaplanMeier con troncatura a sinistra. Per l’analisi della mortalità causa specifica, le cause di morte diverse da quella in studio sono state considerate come rischi competitivi. Dei 15.552 casi registrati, 1.624 avevano un follow-up <5 anni, lasciando valutabili 13.920 lungosopravviventi (rapporto M:F=1.24). L’età mediana alla
diagnosi era di 5.2 anni (IQR 2.7-9.7). La distribuzione
dei tipi tumorali era simile a quelle riportate in altre
casistiche eccetto che per una minor frequenza di
tumori del SNC (n=1.215; 8,7%). L’epoca di diagnosi
era <1980 per il 14.0% della popolazione, 1980-89 per
il 27,0%, 1990-99 per il 46,7%, e 2000-09 per il
12,3%. La lunghezza del follow-up variava tra 5,0 e
52,9 anni, mediana 19,6 anni. Al follow-up, 1.162
(8,4%) soggetti erano deceduti per una probabilità
cumulativa di sopravvivenza (95% CL) a 20, 30 e 40
anni rispettivamente del 92,3% (91,8-92,8); 89,3%
(88,6-90,0); e 84,6% (83,0-86,1). Si è osservata una
riduzione significativa del rischio cumulativo di morte
per le ere di trattamento più recenti e per le femmine.
A 35 anni dalla diagnosi la mortalità causa specifica
era dovuta nel 5,7% dei casi al tumore primitivo,
(n=672); nel 3,4% a un secondo tumore (n=223), nel
2,5% ad altre cause (n=132), e nel 0,6% a cause esterne
o violente (n=44). La causa di morte era sconosciuta
per 91 soggetti. Si conferma un trend di diminuzione
nella mortalità tardiva per i soggetti trattati in epoche
recenti. Dopo 30-35 anni dalla diagnosi la mortalità è
dovuta più ad altre cause che al tumore primitivo.
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Best abstracts
dosi tubulare. In uno studio multicentrico retrospettivo
AIEOP (diagnosi effettuate fra il 1993 e il 2014) sono stati
analizzati 11 pazienti le cui caratteristiche principali sono
riassunte nelle Tabelle 1 e 2. La diagnosi è stata fatta ad
una età mediana di 299 giorni. All’esordio: 5/11 presentavano pancitopenia, 5/11 citopenia bilineare e 1/11 anemia
isolata; la mediana dell’Hb all’esordio era 5.7 gr/dl. HbF
ed EPO erano aumentate nei 5 pazienti in cui sono state
dosate. Il BM presentava: in 6/11 vacuoli+ipocellularità;
in 2/11 solo vacuoli; in 2/11 solo ipocellularità, in 1/11
diseritropoiesi isolata. Deficit del pancreas esocrino e sintomi neurologici sono stati riscontrati rispettivamente in
3/11 e 8/11; 3 pazienti degli 8 con deficit neurologico
sono poi evoluti in Sindrome di Kearns Sayre (oftalmoplegia, atassia, retinopatia, cardiopatia e sordità). In 4 dei
10 pazienti valutati cardiologicamente è stata verificata
una cardiomiopatia ipertrofica. Il lattato sierico era elevato in 10/11 e l’alanina plasmatica in 9 su 10 pazienti valutati. Gli acidi organici urinari sono stati dosati in 9 pazienti: in 7/9 riscontro di elevata escrezione di acido
lattico+acido fumarico e in 4/9 di acido malico. Tutti i
pazienti sono stati inizialmente trasfusi con GRF: un
miglioramento spontaneo dell’Hb con successiva trasfusione-indipendenza si è verificato in 8/9 dei pazienti con
FUP più lungo. Outcome (mediana di FUP pari a 5.7
anni): 8 pazienti deceduti (3/8 per sepsi), 1 paziente perso
al FUP a 45 mesi di vita, 2 bimbi vivi a 2.9 e 6.6 anni.
CONCLUSIONI: La PS è una malattia molto rara:
la nostra analisi ci permette di stimare un incidenza in
Italia di circa 1/106 nati. Per la prima volta vengono
segnalati come caratteristici della malattia: 1) aumento
sierico di alanina (9/10); 2) aumentata escrezione urinaria di acido fumarico (7/9); raggiungimento di uno stato
di trasfusione-indipendenza in caso di sopravvivenza
>2-3 anni di vita (8/9).
B002
LA SINDROME DI PEARSON: STUDIO
RETROSPETTIVO MULTICENTRICO DEL GDL
INSUFFICIENZE MIDOLLARI
P. Farruggia1, A. Di Cataldo2, R.M. Pinto3,
E. Palmisani4, A. Macaluso1, L. Lo Valvo2,
M.E. Cantarini5, A. Tornesello6, P. Corti7, F. Fioredda4,
S. Varotto8, B. Martire9, I. Moroni10, G. Puccio11,
G. Russo2, C. Dufour4, M. Pillon8
1Unità di Onco-Ematologia Pediatrica, A.R.N.A.S.
Ospedale Civico, Di Cristina e Benfratelli, Palermo;
2Unità di Onco-Ematologia Pediatrica, Policlinico,
Università di Catania, Catania; 3Onco-Ematologia
Pediatrica, Ospedale Bambino Gesù, Roma; 4Unità di
Ematologia Clinica e sperimentale, Ospedale Pediatrico
G. Gaslini, Genova; 5Dipartimento di Oncoematologia
Pediatrica, “Lalla Seragnoli” Clinica Pediatrica
Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Bologna; 6OncoEmatologia Pediatrica, Ospedale Vito Fazzi, Lecce;
7Fondazione MBBM, Clinica Pediatrica, Università di
Milano Bicocca, AO San Gerardo, Monza (MB);
8Dipartimento
di Onco-Ematologia Pediatrica,
Università di Padova, Padova; 9Dipartimento di Scienze
e Chirurgia Pediatriche, UO Onco-Ematologia
Pediatrica, Ospedale Policlinico Giovanni XXIII, Bari;
10Dipartimento di Neurologia Pediatrica, Fondazione
IRCCS Istituto Neurologico C. Besta, Milano;
11Dipartimento di Scienza per la Promozione della Salute
della madre e del bambino, Università di Palermo, Italy
La sindrome di Pearson (PS) è un disordine causato
da mutazione del DNA mitocondriale e tipicamente si
presenta con: anemia ipoplastica, vacuolizzazione dei precursori midollari, acidosi lattica, disfunzione del pancreas
esocrino, alterazioni neurologiche, lesioni cutanee e aciTabella 1.
Sesso
bp del.
Epatomegalia
Splenomegalia
1/M
2/M
3/F
4/F
5/M
6/M
7/M
8/M
9/F
10/F
11/F
5000
6720
4000
5000
5000
5000
3300
5000
5000
8000
5000
Si
No
Si
Si
No
No
Si
Si
Si
Si
Si
No
No
No
No
No
No
Si
No
No
Si
Si
Ins.
Pancreas
Si
No
No
Si
No
No
No
No
No
No
Si
DMT1
Si
No
No
No
No
No
No
No
Si
No
No
Deficit
crescita
Si
Si
No
Si
Si
Si
Si
No
No
Si
No
MI
No
No
NN
Si
No
Si
No
Si
No
No
Si
Sintomi
neurologici
Si
No
No
Si
Si
Si
No
Si
Si
Si
No
Kearn/
Sayre
Si
No
No
No
No
No
No
No
Si
Si
No
Alterazioni
oculari
Si
No
Si
No
Si
NN
Si
Si
No
Si
NN
! lattato
sierico
Si
Si
Si
Si
No
Si
Si
Si
Si
Si
Si
! Alanina
sierica
Si
Si
ND
Si
No
Si
Si
Si
Si
Si
Si
DMT1, diabete mellito tipo 1; MI, miocardiopatia ipertrofica; NN, non noto; ND: non determinato.
Tabella 2.
Pz
1
!lattato
urinario
Si
!fumarato
urinario
Si
!malico
urinario
No
HbF
EPO
ND
ND
Reticolociti>
60.000/µl
Si
2
Si
Si
Si
ND
!
Si
3
4
5
No
Si
ND
No
Si
ND
No
Si
ND
ND
!
!
!
!
!
Si
Si
Si
6
Si
Si
Si
ND
ND
Si
7
8
9
ND
Si
No
ND
Si
No
ND
No
No
ND
ND
!
!
!
ND
Si
No
Si
10
Si
Si
Si
!
ND
Si
11
Si
Si
No
!
ND
Si
Aspirato
midollare
Vacuoli E
" cellularità
Vacuoli E
" cellularità
Diseritropoiesi
Vacuoli
Vacuoli E
" cellularità
Vacuoli E
" cellularità
Vacuoli
" cellularità
Vacuoli E
" cellularità
Vacuoli E
" cellularità
" cellularità
Trasfusione
Indipendenza
Si
Infezioni
gravi
Si
D/S (anni)
Si
No
S (2,9)
Causa
morte
Acidosi
grave
/
Si
No
Si
No
Si
Si
Perso al FUP(3,7)
D (5,7)
S (6,6)
/
Insuff Renale
/
NP
No
D (0.33)
NN
Si
NP
Si
Si
Si
Si
D (8,0)
D (0,53)
D (10,42)
Sepsi
Sepsi
LMA
Si
Si
D (10,44)
Insuff Renale
Si
Si
D (3,9)
Sepsi
D (6.4)
Pz, paziente; D/S, deceduto/sopravvissuto; NP, non pervenuto; EPO, Eritropoietina; FUP, Follow-up; LMA, leucemia mieloide acuta.
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XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
B003
B004
LA MANCANZA DELL’ESPRESSIONE DEL
RECETTORE ChemR23 NELLE CELLULE
TRAPIANTATE INDUCE UNA SEVERA GvHD
INTESTINALE
P. Vinci1, D. Bardelli1, C. Recordati2, A. Del Prete3,
C. Cappuzzello1, E. Dander1, S. Sozzani3, A. Biondi1,4,
G. D’Amico1
1Centro di Ricerca M. Tettamanti, Clinica Pediatrica,
Università di Milano Bicocca, Monza (MB); 2Mouse &
Animal Pathology Laboratory, Fondazione Filarete,
Milano; 3Dipatimento di Patologia Generale e
Immunologia, Università degli Studi di Brescia,
Brescia; 4Clinica Pediatrica, Università di Milano
Bicocca, Fondazione MBBM/Ospedale S. Gerardo,
Monza (MB), Italy
OTTIMIZZAZIONE DEI PROTOCOLLI DI
IMMUNOTERAPIA ADOTTIVA A CELLULE T
GENETICAMENTE MODIFICATE MEDIANTE
ESPRESSIONE DI RECETTORI CHIMERICI
ANTIGENE SPECIFICI PER IL TRATTAMENTO DEI
TUMORI SOLIDI
I. Caruana1, B. Savoldo2, V. Hoyos2, G. Weber2,
F. Del Bufalo1, H. Liu2, E.S. Kim2, M.M. Ittmann2,
D. Marchetti2, G. Dotti2
1Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italy;
2Baylor College of Medicine, Houston Texas, USA
Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (HSCT) rappresenta ad oggi la terapia d’elezione per molte patologie ematologiche e non. Il suo
ampio utilizzo risulta però compromesso dalla possibile
insorgenza della Graft-versus-Host Disease (GvHD), la
quale ne rappresenta la maggiore causa di mortalità e
morbidità. Il recettore accoppiato a proteine G
ChemR23, espresso da cellule dendritiche immature,
dendritiche plasmacitoidi, macrofagi e cellule Natural
Killer, è in grado sia di promuovere che di risolvere
l’infiammazione. Scopo di questo lavoro è quindi comprendere il ruolo delle cellule ChemR23+ nella patogenesi della GvHD. A questo scopo, è stato messo a punto
un modello murino di GvHD acuta in cui splenociti e
cellule di midollo osseo, ottenute da topi C57BL/6
ChemR23 Knock Out (KO) o wild type (WT), sono
state trapiantate in topi Balb/C riceventi dopo irradiazione letale. La GvHD è stata monitorata giornalmente,
valutando diversi parametri tipici della malattia, quali
perdita di peso, stato del pelo, integrità della cute, mobilità, postura e scariche diarroiche. Settimanalmente
invece sono stati espiantati gli organi al fine di effettuarne una valutazione istologica. Gli animali trapiantati con cellule ChemR23-KO sviluppano una GvHD
significativamente più severa rispetto ai topi trapiantati
con cellule WT. In particolare, si osserva nei topi trapiantati con cellule ChemR23-KO un significativo
aumento nella perdita di peso associato a un drastico
aumento del grado di diarrea. Questo risulta inoltre in
un tasso di mortalità significativamente più elevato
(giorno +30, 85% KO vs 25% WT). Le analisi istologiche condotte sul tratto gastro-enterico dei due gruppi
sperimentali indicano che, 20 giorni dopo il trapianto, la
sede di GvHD maggiormente coinvolta sia il colon,
dove si osserva un forte ispessimento della mucosa
delle cripte intestinali associato ad un elevato grado di
colite. Questi dati suggeriscono che le cellule
ChemR23+ trapiantate durante un HSCT allogenico,
possano ricoprire un ruolo protettivo nello sviluppo di
una GvHD intestinale. Ulteriori studi riguardo l’infiltrato cellulare e lo stato infiammatorio che caratterizzano
i tessuti colpiti da GvHD saranno necessari al fine di
comprendere il meccanismo alla base della funzione
protettiva delle cellule ChemR23+.
L’immunoterapia adottiva basata sulle cellule T sta
mostrando risultati promettenti in pazienti affetti da
malattie ematologiche maligne, ma risulta essere meno
efficace nei tumori solidi. Un clinical trial recentemente
condotto al Baylor College of Medicine (HoustonTexas-USA) in pazienti affetti da Neuroblastoma ha
mostrato che le cellule T geneticamente modificate
mediante un recettore chimerico anti-GD2 (GD2-CART) sono capaci di indurre una significativa attività antitumorale solamente in pazienti con piccole/modeste
masse tumorali e mostrano una persistenza in-vivo di 23 settimane. Questi dati suggeriscono che probabilmente le cellule T infuse hanno una limitata capacità di
invadere il tumore e che il micro-ambiente tumorale
gioca un ruolo nel limitarne l’efficacia. In questo studio, abbiamo dimostrato che le cellule T manipolate invitro prima dell’infusione hanno una significativa riduzione del loro potere invasivo rispetto alle cellule T circolanti. L’analisi molecolare ha evidenziato che le cellule espanse ex-vivo mostrano una down-regolazione di
un enzima coinvolto nella degradazione della matrice
extracellulare (ECM), ovvero Heparanase (HPSE).
Mediante test funzionali, come quello di cocoltura/invasione, è stato possibile dimostrare che la
forzata espressione dell’HPSE in cellule GD2-CAR-T
induce una maggiore capacità di invadere l’ECM, e di
conseguenza un maggior controllo tumorale rispetto
alle cellule di controllo. L’attività antitumorale è stata
poi testata anche in modelli xenograft murini, dai quali
si evince la superiorità dell’attività antitumorale e di
penetrazione delle cellule GD2-CAR-T HPSE+ rispetto
alle cellule GD2-CAR-T. In merito al problema della
persistenza, abbiamo investigato la possibilità di implementare la sopravvivenza delle CAR-T tramite un protocollo di vaccinazione in-vivo. In particolare, sono stati
generati linfociti T citotossici virus-specifici geneticamente modificati con il GD2-CAR (vCAR-CTL). In
seguito alla loro somministrazione in-vivo, si praticano
delle vaccinazioni mediante infusione di cellule universali presentanti l’antigene (aAPC) codificanti molecole
di costimolazione e l’antigene virale. I risultati mostrano che le aAPC sono capaci di stimolare le vCAR-CTL
sfruttando il loro TCR nativo, inducendo un significativo aumento dell’effetto antitumorale in modelli xenograft murini. In conclusione, la riespressione dell’HPSE
nei CAR-T e la strategia di vaccinazione con aAPC
risultano essere nuovi ed inesplorati meccanismi che
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Best abstracts
hanno mostrato di poter migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’immunoterapia CAR nel contesto dei tumori
solidi.
B005
I TRASCRITTI CBFA2T3-GLIS2 E NUP98-JARID1
RIDEFINISCONO LO SCENARIO PROGNOSTICO
DEI PAZIENTI PEDIATRICI AFFETTI DA LAM M7
DE NOVO NON-DOWN
R. Masetti1, J.D.E. De Rooij2, M. Zimmermann3,
M. Pigazzi1, M. Togni1, M.M. van den Heuvel-Eibrink2,
A. Pession1, G. Basso1, S. Meshinchi4, M. Zwaan2,
F. Locatelli1
1AIEOP
Associazione Italiana Ematologia ed
Oncologia Pediatrica; 2DCOG Dutch Children
Oncology Group; 3BFM Study Group; 4COG Children
Oncology Group
INTRODUZIONE: I pazienti (pz) pediatrici affetti
da leucemia mieloide acuta megacarioblastica (LAM
M7) de novo, non-Down, hanno una sopravvivenza
libera da malattia a 5 anni (EFS) tra il 40 ed il 55%.
Esclusa la ricorrenza del trascritto RBM15-MKL1 prodotto dalla t(1;22)(p13;q13) associato ad una miglior
prognosi, poco si conosce dell’eterogeneità prognostica
di altri sottogruppi identificati come ricorrenti nelle
LAM M7 da recenti studi di next generation sequencing1,2.Riportiamo le analisi condotte su ampia coorte
di pz con LAM M7 AIEOP-DCOG-BFM-COG, confrontandone l’outcome a seconda dei diversi sottogruppi molecolari.
METODI: 150 pazienti con de novo, non-Down
LAM M7 sono stati sottoposti a screening con RT-PCR
per le seguenti aberrazioni: NUP98-JARID1A,
CBFA2T3-GLIS2, RBM15-MKL1 e MLL-rearrangements. Sono state confrontate le caratteristiche cliniche
dei sottogruppi molecolari e calcolate le rispettive 8year overall servival (OS), EFS, disease free servival
(DFS) e cumulative incidence of relapse (CIR).
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RISULATI: L’incidenza delle anomalie è stata:
14/150 (9%) pz con NUP98-JARID1A, 25/150 (17%)
CBFA2T3-GLIS2, 19/150 (13%) RBM15-MKL1 e
13/150 (9%) MLL-rearrangments. La 8-year OS e EFS
dei 150 pz LAM M7 è stata 42% e 32% rispettivamente.
I pz positivi per NUP98-JARID1A presentano una 8year OS significativamente peggiore dei negativi (36%
vs 59%, p=0,04. Tabella1). I pz con CBFA2T3-GLIS2
hanno una 8-year DFS inferiore e rischio di recidiva più
alto (53% vs 73%, p=0,05. e 60% vs 38%, p=0,04) mentre significativamente migliore è la prognosi dei pz con
RBM15-MKL1 (Tabella 1). Il confronto per età, sesso,
iperleucocitosi, blasti all’esordio e cariotipo dimostra
una maggior incidenza del trascritto CBFA2T3-GLIS2
nei pazienti <1anno (p=0.04).
CONCLUSIONI: Tra i pz pediatrici non-Down con
LAM M7 la presenza dei trascritti NUP98-JARID1A e
CBFA2T3-GLIS2, quest’ultimo più incidente negli
infants, conferisce una prognosi più sfavorevole. Si
conferma l’impatto prognostico favorevole del trascritto RBM15-MKL1.
Tabella 1. Confronto tra 8-year OS, EFS, DFS e CIR dei pazienti postivi rispetto ai negativi per le seguenti anomalie molecolari ricorrenti: NUP98-JARID1A, CBFA2T3-GLIS2,
RBM15-MKL1 e MLL-rearrangements.
NUP98-JARID1A
Pos vs Neg
CBFA2T3-GLIS2
Pos vs Neg
RBM15-MKL1
Pos vs Neg
MLL-rearrangments
Pos vs Neg
8–y OS
(SE)
P
8–y EFS
(SE)
P
36%(13)
vs 59%
(4)
41%(10)
vs 60%
(5)
72%(11)
vs 55%
(4)
43%(14)
vs 58%
(4)
0.04
34% (13)
vs 54%(4)
0.21
0.18
40% (10)
vs 54%(5)
0.22
0.22
67% (11)
vs 50%(4)
0.25
0.21
45% (14)
vs 53%(4)
0.61
(Log
Rank)
(Log
Rank)
8–y DFS
(SE)
P
54% (16)
vs 70%
(4)
53% (11)
vs 72%
(4)
93% (6)
vs 65%
(5)
56% (15)
vs 70%
(4)
0.39
(Log
Rank)
0.05
0.03
0.27
8–y CIR
(SE)
P
55%(14)
vs 41%
(4)
60%(10)
vs 38%
(5)
60%(10)
vs 38%
(5)
51%(15)
vs 41%
(4)
0.26
(Log
Rank)
0.04
0.05
0.56
BIBLIOGRAFIA
1. Masetti R. et al. CBFA2T3-GLIS2 fusion transcript is a
novel common feature in pediatric, cytogenetically normal
AML, not restricted to FAB M7 subtype. Blood. 2013
25;121(17): 3469-72.
2. de Rooij JD et al. NUP98/JARID1A is a novel recurrent
abnormality in pediatric acute megakaryoblastic leukemia
with a distinct HOX gene expression pattern. Leukemia.
2013;27(12):2280-8.
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
MEDICI - Comunicazioni orali
C002
IRRADIAZIONE CRANIOSPINALE IN
TOMOTERAPIA
E. Coassin1, C. Elia1, M. Gigante2, A. De Paoli2,
G. Franchin2, M. Mascarin1
1SOS Radioterapia Pediatrica, SOC di Oncologia
Radioterapic; 2CRO Centro di Riferimento Oncologico,
Aviano (PN), Italy
INTRODUZIONE: L’impiego della Tomoterapia
nell’irradiazione dell’asse craniospinale (CSI) permette di ottenere una migliore conformazione di dose al
target e un maggiore risparmio degli organi a rischio
(OAR) rispetto alla radioterapia (RT) convenzionale e
di superare i problemi legati alle giunzioni dei campi
di trattamento, pur potendo generare rispetto a questa
maggiori basse dosi di radiazione diffusa all’organismo. Benchè siano stati pubblicati diversi studi sulla
capacità di conformazione di dose della metodica, non
sono disponibili casistiche significative sull’effettiva
dose sugli OAR.
MATERIALI E METODI: Dal 2007 al 2014 sono
stati trattati presso il nostro Istituto con CSI mediante
Tomoterapia 30 pazienti di età compresa tra i 2 e 24 anni
(mediana 7 anni), con diagnosi di Medulloblastoma/
PNET (n=24: SR=10, HR=12, Infants=2), tumore a cellule germinali (n=2), altro (n=4). Dose prescritta sul
PTV-CSI: 2340-3600 cGy al 95% del volume.
RISULTATI: Ad un follow-up (FUP) mediano di 4.5
anni, il 43% dei pazienti è vivo in remissione completa.
Il 37% dei pazienti non ha presentato alcuna tossicità da
RT; le sole tossicità acute di grado ≥3 sono state ematologiche (47% dei pazienti); 1/3 dei pazienti ha presentato
tossicità gastrointestinale o a carico di cute e/o mucose
(grado massimo 1); dei 16 pazienti di età <16 anni, 12
(75%) hanno presentato un deficit di crescita staturale;
dei 6 pazienti nei quali è disponibile un sufficiente FUP
neuropsicologico, 3 hanno presentato un difetto cognitivo. Per 28 pazienti (2 esclusi per boost simultaneo inte-
grato) sono state analizzate le dosi medie e massime sugli
OAR. Queste sono state quindi espresse come percentuale della dose prescritta sul PTV-CSI. Media, mediana e
range di tali percentuali sono presentate in Tabella 1.
CONCLUSIONI: In base ai risultati ottenuti, le dosi
sugli OAR con Tomoterapia-CSI appaiono riproducibili
e potenzialmente predittive del rischio di effetti collaterali. Si rendono ora necessari una conferma di tale ipotesi correlando i dati dosimetrici a quelli sulla tossicità,
un completamento dell’analisi con i dati legati al boost
sulla sede del primitivo (quando confrontabili, ad esempio in caso di boost sulla fossa cranica posteriore) e un
confronto tra le diverse tecniche di CSI.
Tabella 1.
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|9|
Comunicazioni orali
C003
INFORMATIZZAZIONE DEI PROTOCOLLI
CHEMIOTERAPICI E RIDUZIONE DEGLI ERRORI
DI PRESCRIZIONE: ESPERIENZA DELL’ISTITUTO
G. GASLINI
I. Lorenzi1, P. Barabino1, F. Morotti1, L. Riceputi1,
C. Micalizzi2, M. Faraci3, C. Milanaccio4,
A. Garaventa5, L. Amoroso5
1UOC Farmacia; 2UOC Ematologia; 3UOSD Trapianto
di Cellule Staminali Emopoietiche; 4UOSD Neuro
Oncologia; 5UOC Oncologia, Istituto G. Gaslini,
Genova, Italy
INTRODUZIONE: Gli errori in corso di terapia
oncologica determinano danni molto gravi, soprattutto
in ambiente pediatrico, a causa dell’elevata tossicità dei
farmaci antineoplastici. L’introduzione di tecnologie
informatizzate dovrebbe aumentare la sicurezza nella
prescrizione e ridurre gli errori.
MATERIALI E METODI: Fino al 2010 la prescrizione dei chemioterapici avveniva mediante prescrizioni cartacee, compilate dal medico per ciascun paziente
e per ciascun ciclo di chemioterapia e inviate in farmacia tramite fax. Nel 2010 è stato introdotto un sistema
informatizzato che metteva a diposizione del medico
l’intero set di protocolli terapeutici specifici per patologia, con dosi e associazioni predefinite. Tale sistema
permette di visualizzare i cicli di chemioterapia già
somministrati, da somministrare ed eventuali sospensioni o modifiche. Il sistema consente di programmare,
modificare e confermare la chemioterapia, inviando poi
la prescrizione direttamente presso l’U.F.A. (Unità
Farmaci Antiblastici). Abbiamo analizzato l’appropriatezza della prescrizione campionando le richieste di
chemioterapia effettuate negli anni 2009 e 2013, rispettivamente pre e post informatizzazione, dando maggior
rilievo ai seguenti dati: anagrafica, dati antropometrici,
prescrizione, via e durata della somministrazione, dose
(mq o pro Kg), uso di abbreviazioni e acronimi non
standardizzati e/o omissione di informazioni relative al
farmaco essenziali per la prescrizione. Tali omissioni
possono provocare scambio di paziente per omonimia,
interpretazione errata del farmaco da preparare, via di
somministrazione errata, utilizzo di unità posologica
non adeguata, dosaggio non corretto, prescrizioni
incomplete.
RISULTATI: Nel 2009 su 1560 prescrizioni sono
stati registrati 113 errori di anagrafica (7%), 1138 dati
antropometrici incompleti (73%), 248 errori di prescrizione (16%), 62 errori relativi alla via e alla durata di
somministrazione (4%), 190 circa la dose (12%), 400
relativi al farmaco (26%). Tutti gli errori sono stati
identificati e filtrati dalla Farmacia, tra questi il 5% è
stato considerato potenzialmente grave per il paziente.
Nel 2013 è stata completamente abbandonata la prescrizione cartacea e dai rilievi effettuati si è evidenziato una
notevole riduzione degli errori correlati alla incompletezza dei dati antropometrici, alle anagrafiche e agli
errori di dose.
CONCLUSIONI: Con l’introduzione dell’informatizzazione la sicurezza nella prescrizione oncologica è
| 10 |
notevolmente migliorata, permettendo l’impiego di protocolli terapeutici validati in precedenza.
C004
STUDIO DELLA RICOSTITUZIONE IMMUNOLOGICA
ASPERGILLO-SPECIFICA IN TRAPIANTI DI
CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE T-REPLETI E
T-DEPLETI
K. Perruccio1, F. Topini2, A. Tosti2, M.V. Gazzola3,
C. Messina3, M.F. Martelli3, M. Caniglia1, A. Velardi2,
S. Cesaro4
1Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliero
Universitaria di Perugia; 2Ematologia ed Immunologia
Clinica, Università degli Studi di Perugia;
3Oncoematologia Pediatrica, Università degli Studi di
Padova; 4Oncoematologia Pediatrica, Azienda
Ospedaliero Universitaria di Verona, Italy
BACKGROUND: L’aspergillosi invasiva rappresenta una delle principali cause di mortalità infettiva
dopo trapianto di cellule staminali emopoietiche. La
suscettibilità a sviluppare un’infezione fungina dipende
dalla profilassi e dal trattamento della malattia da trapianto contro l’ospite (GvHD) nei trapianti T-repleti, e
dalla lenta ricostituzione immunologica secondaria alla
T-deplezione nei trapianti aploidentici.
METODI: In questo studio prospettico, abbiamo
monitorizzato la ricostituzione dei linfociti T CD4+
totali e del repertorio T aspergillo-specifico in pazienti
pediatrici riceventi trapianti compatibili T-repleti, ed in
pazienti prevalentemente adulti, riceventi trapianto
aploidentico T-depleto per emopatie maligne.
RISULTATI: Nonostante la conta dei linfociti T
CD4+ totali sia risultata maggiore nei riceventi un trapianto T-repleto durante tutto il periodo di osservazione
post-trapianto, le risposte T aspergillo-specifiche sono
comparse per la prima volta dopo 15-18 mesi dal trapianto T-repleto, dopo 7-9 mesi dal trapianto compatibile T-depleto, e dopo 9-12 mesi dal trapianto aploidentico T-depleto, rispettivamente. L’incidenza di aspergillosi invasiva è stata del 22% con il 10% di mortalità
dopo trapianto T-repleto, 0% dopo trapianto compatibile T-depleto, e del 7% con un 4% di mortalità dopo trapianto aploidentico T-depleto (p<0.01).
CONCLUSIONI: In conclusione, nonostante le
conte dei linfociti T totali nel sangue periferico siano
risultate sempre significativamente più alte nei riceventi
trapianto T-repleto, la terapia immunosoppressiva quale
profilassi/trattamento della GvHD post-trapianto ne ha
alterato la funzionalità. L’immunità antigene-specifica
si è ricostituita più velocemente dopo trapianto T-depleto, sia compatibile che aploidentico. Il trapianto Trepleto è stato caratterizzato inoltre da una maggior
incidenza di aspergillosi invasiva e di mortalità infettiva. Questi dati dimostrano che la T-deplezione in assenza di terapia immunosoppressiva post-trapianto è associata ad una più rapida e funzionale ricostituzione
immunologica rispetto al trapianto T-repleto. L’analisi
della funzionalità dei linfociti T antigene-specifici può
rappresentare inoltre uno strumento per evidenziare i
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
pazienti a maggior rischio di infezione fungina, soprattutto in campo pediatrico dove mancano tutt’oggi precise indicazioni sia alla profilassi che al trattamento.
C005
SPECIFICHE TRAIETTORIE DI RICOSTRUZIONE
DEL MICROBIOTA INTESTINALE NEI PAZIENTI
PEDIATRICI CON GVHD ACUTA SOTTOPOSTI A
TRAPIANTO ALLOGENICO DI CELLULE
STAMINALI EMOPOIETICHE
D. Zama1, R. Masetti1, E. Biagi2, C. Nastasi1,
C. Consolandi3, J. Fiori2, S. Rampelli2, S. Turroni2,
M. Centanni2, M. Severgnini3, C. Peano3,
G. de Bellis3, G. Basaglia2, R. Gotti2, P. Brigidi2,
M. Candela2, A. Prete1, A. Pession1
1Oncoematologia Pediatrica e Trapianto “Lalla
Seràgnoli”, UO di Pediatria, Policlinico Sant’OrsolaMalpighi, Università di Bologna; 2Dipartimento di
Farmacia e Biotecnologia, Università di Bologna;
3Instituto di Tecnologie Biomediche, Consiglio
Nazionale delle Ricerche, Segrate (MI), Italy
INTRODUZIONE: L’impatto del microbiota intestinale (MI) sulla mortalità correlata al trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche (allo-TCSE) è
stato recentemente dimostrato1. Questa osservazione
corrobora l’idea di un ruolo significativo del MI nella
ricostruzione immunologica successiva all’allo-TCSE e
nella genesi della Graft-versus-Host-Disease acuta
(aGvHD). Abbiamo pertanto condotto il primo studio
longitudinale prospettico per valutare l’impatto del MI
sul rischio di sviluppare aGvHD in pazienti pediatrici
sottoposti a Allo-TCSE.
METODI: Sono stati raccolti campioni fecali seriati
ogni 10-15 giorni fino a 100 giorni dopo Allo-TCSE in
10 pz consecutivi (Tabella 1). Il profilo filogenetico del
MI è stato caratterizzato mediante pyrosequencing 454
della regione ipervariabile V4 della subunità 16S
dell’rRNA. Il profilo funzionale è stato valutato
mediante l’analisi degli acidi grassi a corta catena utilizzando la gas cromatografia-spettroscopia di massa.
Tabella 1. Caratteristiche cliniche ed anagrafiche dei pazienti
arruolati.
tata essere significativamente differente tra i 5 pazienti
che hanno e non hanno sviluppato aGvHD, rispettivamente. In particolare, nei pazienti senza aGvHD è stata
evidenziata pre-TCSE una specifica signature del MI,
caratterizzata da un’elevata concentrazione di
Bacteroidetes e Parabacteoidetes (p<0.05), germi produttori di acidi grassi a corta catena (Figura 1). Questa
osservazione è confermata dalla presenza di un aumento significativo degli acidi-grassi-a-corta-catena e di
propionato in particolare (p<0.05). La specificità di
questa signature si è proiettata stabilmente per tutto il
periodo di osservazione post-TCSE, persistendo alla
distruzione dell’ecosistema intestinale e dimostrando
l’elevata adattabilità di questi germi.
Figura 1. La figura descrive la differente signature pre-trapianto, sia funzionale che composizionale, tra i pazienti con e senza
GVHD (rispettivamente colonna grigia e bianca).
Abbondanza relativa pre-TCSE del genus Bacteroidetes (A) e
del genus Parabacteroidetes (B). Concentrazione fecale preTCSE di propionato (C) e acidi grassi a corta catena (D) (mol/g
di feci).
CONCLUSIONI: Per la prima volta questi dati
dimostrano, in una casistica pediatrica, che la presenza
di un profilo mutualistico pre-TCSE del MI, caratterizzato dalla presenza di germi produttori di acidi grassi a
corta catena con riconosciute proprietà immunomodulatorie, è associata ad un minor rischio di sviluppare
aGVHD.
BIBLIOGRAFIA
Taur Y, et al. The effects of intestinal tract bacterial diversity on
mortality following allogeneic hematopoietic stem cell transplantation. Blood 2014;124:1174-1182.
RISULTATI: Dopo il TCSE è stata osservata una
profonda distruzione strutturale e funzionale del normale assetto mutualistico dell’ecosistema intestinale. La
traiettoria di ricostruzione del MI dopo il TCSE è risul-
| 11 |
Comunicazioni orali
C006
CARATTERIZZAZIONE E STUDIO DELLE
INTERAZIONI TRA CELLULE MESENCHIMALI
STROMALI ISOLATE DA MIDOLLO OSSEO DI
PAZIENTI PEDIATRICI AFFETTI DA
IMMUNODEFICIENZA CONGENITA E LE CELLULE
DEL SISTEMA IMMUNITARIO
N. Starc, A. Pitisci, L. Tomao, S. Biagini, A. Conforti,
M. Algeri, M.E. Bernardo, G. Palumbo, P. Rossi,
F. Locatelli
Università degli Studi di Roma Tor Vergata,
Dipartimento di Onco-Ematologia e Medicina
Trasfusionale Ospedale Pediatrico Bambino Gesù,
Roma, Italy
OBIETTIVI: Le cellule mesenchimali stromali
(MSCs) sono cellule multipotenti e rappresentano una
componente chiave del microambiente midollare, contribuendo alla formazione della nicchia ematopoietica
sia attraverso la secrezione di citochine, sia attraverso il
contatto cellula-cellula. Le MSC svolgono un ruolo
fondamentale nello sviluppo e differenziamento dell’intero sistema emopoietico. Sono, inoltre, in grado di
esercitare un effetto immunoregolatorio su diversi comparti del sistema immune; i meccanismi responsabili di
tale effetto sono ad oggi ancora non completamente
chiariti. Obiettivo di questo lavoro è comprendere se le
MSCs sono coinvolte nella fisiopatologia di diverse
immunodeficienze primarie e studiare il modo in cui
esse interagiscono con le cellule del sistema immunitario adattativo ed innato.
METODI: Le MSCs sono state isolate ed espanse ex
vivo da 11 pazienti (PZ-MSCs, range 0-7) affetti da
immunodeficit (2 con malattia granulomatosa cronica,
3 con sindrome di Wiskott-Aldrich, 1 con sindrome di
Di George, 2 con deficit di LAD1 e 3 con immunodeficit congenito in fase di accertamento) e da 8 donatori
sani (HD-MSCs, range 12-40). Morfologia, capacità
proliferative (population doubling), immunofenotipo,
capacità differenzitiva in senso osteogenico ed adipogenico e proprietà immunomodulanti in seguito a co-coltura in setting allogenico con cellule mononucleate del
sangue periferico (PBMCs) stimolate con PHA e CpG,
per valutare il loro effetto sulla proliferazione di cellule
T e B, rispettivamente, sono state analizzate.
RISULTATI: Nonostante le PZ-MSCs mostrino una
ridotta capacità proliferativa se paragonate alle HDMSCs, mantengono la stessa morfologia e lo stesso
immunofenotipo. Le PZ-MSCs sono in grado di inibire
in maniera simile alle HD-MSCs la proliferazione di
linfociti T, con una percentuale di inibizione dell’87%
(SD±12) nel rapporto MSC:PBMC 1:2 e del 73%
(SD±29) MSC:PBMC 1:10. Una buona inibizione della
proliferazione dei linfociti B e delle plasma cellule
viene mantenuta dalle PZ-MSCs nel rapporto
MSC:PBMC 1:10. Le PZ-MSCs mantengono inalterata
rispetto alle HD-MSCs la capacità di differenziare in
cellule osteogeniche e adipogeniche.
CONCLUSIONI: I nostri risultati dimostrano che le
MSCs isolate da pazienti con immunodeficit mantengo-
| 12 |
no le stesse caratteristiche morfologiche e funzionali
delle MSCs isolate da soggetti sani, fatta eccezione per
la loro capacità proliferativa che risulta essere ridotta.
C007
CORREZIONE DELL’APLOINSUFFICIENZA
MEDIANTE KNOCK-UP DELLA PROTEINA
DEFICITARIA NELL’ANEMIA DI
DIAMOND-BLACKFAN
S. Parrella, A. Aspesi, E. Pavesi, S. Macrì, C. Olgasi,
M. Talmon, A. Chiesa, D. Cotella, S. Zucchelli,
P. Quarello, S. D’Amico, V. Sagar, V. Aria, G. Juli,
E. Garelli, U. Ramenghi, C. Santoro, S. Gustincich,
A. Follenzi, F. Loreni, I. Dianzani
Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli
Studi del Piemonte Orientale, Novara; Dipartimento di
Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università
Torino; Dipartimento di Biologia, Università Tor
Vergata, Roma; SISSA, Scuola Internazionale Superiore
di Studi Avanzati, Trieste, Italy
L’anemia di Diamond-Blackfan (DBA) è una aplasia eritroide con ereditarietà autosomica dominante,
associata nel 30% dei casi a malformazioni congenite.
Le terapie disponibili sono la somministrazione di cortisonici o le trasfusioni croniche; per alcuni pazienti si
deve ricorrere al trapianto di cellule staminali. Le aspettative di vita sono ridotte ed è riportato un rischio
aumentato di neoplasie. Il 70% dei pazienti presenta
mutazioni con perdita di funzione in geni codificanti
proteine ribosomali (RP) della grande o della piccola
subunità. Le mutazioni in eterozigosi fanno presumere
un meccanismo di aploinsufficienza. La DBA è una
ribosomopatia ed è caratterizzata dall’alterazione della
maturazione degli rRNA e della biogenesi del ribosoma, fenomeni osservati sia in modelli cellulari sia in
cellule isolate da pazienti con DBA. Il difetto ribosomale induce il fenomeno dello stress ribosomale, che causa
l’apoptosi dei precursori eritroidi, più sensibili all’attivazione di p53 rispetto ad altre linee emopoietiche. Lo
scopo del nostro progetto è di correggere gli effetti
dell’aploinsufficienza osservata nella DBA mediante
aumento dei livelli delle RP deficitarie. Alcuni di noi
hanno descritto una nuova classe di RNA antisenso non
codificanti (SINEUP), che sono in grado di complementarsi parzialmente a specifici mRNA e favorirne la
traduzione. Abbiamo deciso di sfruttare l’innovativa
tecnologia biomolecolare degli RNA SINEUP per
aumentare la sintesi della RP deficitaria in cellule di
pazienti con DBA. Abbiamo disegnato molecole
SINEUP specifiche per i trascritti delle RP più comunemente mutate nella DBA (RPL5 e RPS19) e abbiamo
preparato costrutti lentivirali atti a esprimerli nelle cellule primarie dei pazienti. Presentiamo dei dati preliminari su cellule di pazienti con mutazioni in RPL5 che
suggeriscono che l’espressione delle molecole SINEUP
specifiche possa ripristinare la corretta maturazione
degli rRNA. Inoltre, stiamo studiando i meccanismi
attivati nella cellula dallo stress ribosomale. I risultati di
questi studi verranno utilizzati per valutare gli effetti
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
della strategia di correzione del fenotipo nelle cellule
con difetto di RPS19 o RPL5.
C008
CARATTERIZZAZIONE IN VITRO DI UN PANNELLO
DI MUTANTI DI AFFINITÀ DEL RECETTORE
CHIMERICO ANTI-CD123 QUALE STRATEGIA
POTENZIALE PER IL TRATTAMENTO DELLA
LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA
S. Arcangeli1, S. Tettamanti1, M.C. Rotiroti1,
M. Bardelli2, L. Varani2, A. Biondi1, E. Biagi1
1Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Milano
Bicocca, Centro Ricerca‚ ”M. Tettamanti”, Monza
(MB), Italy; 2Istituto di Ricerca in Biomedicina,
Bellinzona, Università degli Studi della Svizzera
Italiana, Lugano, Switzerland
Nell’ambito dell’immunoterapia cellulare adottiva,
l’impiego di linfociti T modificati tramite recettori chimerici (CARs), al fine di renderli specifici contro un
determinato antigene tumorale, rappresenta una promettente strategia terapeutica per il trattamento della
leucemia mieloide acuta (LMA). I CARs sono recettori
T artificiali composti nel loro dominio extracellulare da
domini di legame derivati da anticorpi, la cui affinità
verso un antigene bersaglio rappresenta una variabile in
grado di influenzare le risposte effettrici delle cellule T
modificate. Nel contesto della LMA, un antigene bersaglio promettente è rappresentato dal CD123 (subunità a
del recettore dell’IL-3) in quanto overespresso su blasti
leucemici e cellule staminali leucemiche, ma anche
espresso a bassi livelli da cellule sane, quali monociti e
cellule endoteliali. Il riconoscimento di tessuti sani
debolmente positivi all’antigene bersaglio, attraverso
un effetto noto come‚ “on-target-off-organ”, condiziona
un impiego sicuro in clinica dei CAR. Di conseguenza,
abbiamo considerato la modulazione dell’affinità di
legame del CAR anti-CD123, al fine di migliorarne il
profilo di sicurezza in termini di risparmio delle cellule
sane e di mantenimento di un’ottima efficacia antitumorale. Cellule Killer Indotte da Citochine (CIK) sono
state geneticamente modificate con tre mutanti di affinità, CAM-1, CAM-2 e CAM-4, generati tramite un’analisi di modellistica molecolare. Il profilo di
efficacia/sicurezza delle cellule CIK-CAR+ è stato
valutato attraverso saggi in vitro di citotossicità, produzione di citochine e proliferazione cellulare, usando
come controllo CIK non manipolate (NO DNA). La
caratterizzazione funzionale dei CAM ha rivelato la
specificità e l’efficacia d’azione delle cellule CIKCAR+ contro la linea cellulare CD123+ THP-1 e le cellule primarie di paziente. Inoltre, un maggiore risparmio della linea cellulare U937, debolmente CD123+, è
stato riscontrato da parte del mutante CAM-2, a minore
affinità, rispetto al recettore CAM-1 a più alta affinità,
oltre ad una diversa sensibilità nei confronti di una
ridotta espressione antigenica, come suggerito dalla
tendenza di CAM-2 ad una ridotta proliferazione e produzione di citochine. Questi primi risultati indicano
come la modulazione di affinità del CAR abbia un
impatto sulle funzioni effettrici delle cellule ingegnerizzate, soprattutto in un contesto di ridotta densità antigenica, suggerendo un potenziale migliore risparmio dei
tessuti normali da parte di CAM-2.
C009
IMMUNOTERAPIA ADOTTIVA CON CELLULE T
GENETICAMENTE MODIFICATE CON RECETTORI
TCR SPECIFICI PER L’ANTIGENE TUMORALE
PRAME
C. Quintarelli, B. De Angelis, I. Caruana, D. Pagliara,
D. Orlando, D. Barbato, G. Milano, R. De Vito,
R. Boldrini, F. Locatelli.
Dipartimento Onco-Ematologia Pediatrica e Medicina
Trasfusionale, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù,
Roma, Italy
Numerose evidenze cliniche suggeriscono che l’immunoterapia adottiva basata sull’impiego di cellule Tlinfocitarie può essere una valida opzione terapeutica
per pazienti affetti da neoplasie recidivanti o resistenti
ai trattamenti convenzionali. Ad oggi, cellule T geneticamente modificate re-direzionate verso antigeni tumorali bersaglio sono state utilizzate come ‚“farmaci cellulari”. Poiché le proprietà funzionali di una risposta
immune adottiva mediata da linfociti T sono essenzialmente regolate dal loro recettore (TCR), il trasferimento in cellule T di geni codificanti per la catena a e b di
un TCR specifico per un determinato complesso
MHC/peptide tumorale è in grado di “educare” cellule
T policlonali a riconoscere ed eliminare le cellule tumorali. Un prerequisito fondamentale per indurre un effettiva reattività antitumorale è l’utilizzo di molecole TCR
ad alta affinità, poiché spesso gli antigeni target hanno
una bassa espressione. Il nostro gruppo di ricerca ha
valutato l’espressione dell’antigene tumorale testicolare
(CTA) PRAME nel contesto di pazienti pediatrici affetti
da tumore solido (neuroblastoma, osteosarcoma,
medulloblastoma e rabdomiosarcoma) o neoplasia ematologica (leucemia mieloide acuta e leucemia linfoblastica acuta) evidenziando un’elevata espressione dell’antigene tumorale, sia a livello di mRNA (PCR quantitativa) che di proteina (immunoistochimica). Questi
dati preliminari sono di fondamentale importanza per
individuare nell’antigene PRAME un bersaglio immunoterapico ottimale. Quindi, abbiamo generato linfociti
T specifici per PRAME utilizzando una libreria peptidica relativa all’antigene a partire da linfociti T policlonali sia di donatori sani (10) che di pazienti affetti da leucemia acuta (6) sottoposti a trapianto di cellule staminali. Dopo stimolazione ex-vivo, in tutti i donatori testati è
stato possibile espandere CTL in grado di essere attivati
da peptidi derivanti dalla proteina PRAME e in 4/6
pazienti, CTL in grado di produrre INF-g se esposti a
cellule tumorali autologhe. In seguito a clonaggio per
singola cellula T, a partire da CTL-PRAME-specifici
derivanti da due donatori sani e un paziente affetto da
leucemia e sottoposto a trapianto allogenico, abbiamo
clonato molecole di TCR specifiche per PRAME, dimostrando che le molecole TCR derivanti da pazienti
| 13 |
Comunicazioni orali
hanno una maggiore affinità (10-5 vs 10-3) per i peptidi
tumorali e una più efficace eliminazione delle cellule
target.
C010
ADESIONE AGLI STUDI RANDOMIZZATI
PIANIFICATI NEI PROTOCOLLI AIEOP-BFM LLA
2000 E 2009 PER LA LEUCEMIA LINFOBLASTICA
ACUTA DELL’ETÀ PEDIATRICA
C. Rizzari, D. Silvestri, F. Locatelli, A. Colombini,
R. Parasole, A. Quagliarella, M.C. Putti, F. Dell’Acqua,
I. Bini, L. Lo Nigro, N. Santoro, O. Ziino, A. Pession,
A.M. Testi, C. Micalizzi, F. Casale, M.G. Valsecchi,
V. Conter per il GdL AIEOP LLA
Gruppo di Lavoro AIEOP LLA, Italy
OBIETTIVI: Valutare la adesione nei centri italiani
agli studi randomizzati dei protocolli AIEOP-BFM
ALL 2000 e 2009.
MATERIALI E METODI: Protocollo 2000 (n. random=4): uno (R1) precoce (entro la prima settimana di
induzione) in tutti i pazienti, desametasone vs prednisone; tre in reinduzione: R2 (pazienti SR) di deintensificazione, protocollo III vs II; R3 (pazienti IR) di intensità simile, 2 x III vs II; R4 di intensità simile (pazienti
HR), 2 x II vs 3 x III. Protocollo 2009 (n. random=3):
uno (R1) precoce (a metà dell’induzione) di deintensificazione (4 vs 2 dosi di daunorubicina) nei pazienti a
| 14 |
rischio molto basso di recidiva; due più tardivi, uno
definito RHR nei pazienti HR, nella fase IB, di intensificazione terapeutica (PEG-ASP 0 vs 4 dosi) ed un altro
definito R2 nei pazienti pB-LLA MR, nella fase di reinduzione, di intensificazione terapeutica (PEG-ASP 1 vs
10 dosi).
RISULTATI: Nel protocollo 2000 l’adesione alla
studio precoce R1 è stata del 77% (85% dal 2000 al
2003 e 65% dal 2004 al 2006); le cause di non adesione
sono state: decisione clinica (3%) o dei genitori (3%),
errore (<1%), non adesione del centro (15%), altro
(2%). Le percentuali di adesione agli studi più tardivi
R2, 3 e 4 sono state rispettivamente dell’88%, dell’84%
e dell’87%. Nel protocollo 2009 l’adesione allo studio
precoce R1 è stato del 78% mentre quella agli studi più
tardivi RHR ed R2 è stata del 73% e del 58%, rispettivamente. Le cause di non randomizzazione sono state:
decisione clinica (4% R1, 8% RHR e 4% R2), o dei
genitori (8% R1, 10% RHR, 23% R2), errore (7% R1,
3% RHR, 1% R2), altro (4% R1, 6% RHR, 15% R2).
CONCLUSIONI: La adesione agli studi randomizzati pianificati nei due protocolli AIEOP sembra globalmente soddisfacente. Gli studi effettuati in fasi precoci
di terapia ottengono una migliore adesione pur essendo
possibile nel tempo una riduzione della compliance
(protocollo 2000, R1); gli studi più tardivi sembrano
determinare una adesione meno soddisfacente, soprattutto nei pazienti non HR, quando prevedano un incremento dell’intensità delle cure ed a causa prevalentemente delle scelte dei genitori.
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
MEDICI - Poster
P001
IL NERVE GROWTH FACTOR SOMMINISTRATO
SOTTO FORMA DI COLLIRIO MIGLIORA LA
FUNZIONE VISIVA NEI PAZIENTI AFFETTI DA
GLIOMA DELLE VIE OTTICHE: STUDIO
RANDOMIZZATO, IN DOPPIO CIECO
CONTROLLATO CON PLACEBO
D. Rizzo1, A. Ruggiero1, B. Falsini2, A. Chiaretti1,
M. Piccardi2, L. Manni3, M. Soligo3, A. Dickmann2,
M. Federici2, A. Salerni2, L. Timelli4, G. Guglielmi5,
I. Lazzareschi1, M. Caldarelli6, L. Galli Resta7,
C. Colosimo8, R. Riccardi1
1Divisione di Oncologia Pediatrica, Università
Cattolica del Sacro Cuore di Roma; 2Istituto di
Oftalmologia, Università Cattolica del Sacro Cuore di
Roma; 3Istituto di Farmacologia Traslazionale, CNR,
Roma; 4Società Informa, Roma; 5Farmacia Policlinico
A. Gemelli, Università Cattolica del Sacro Cuore di
Roma; 6Istituto di Neurochirurgia Infantile, Università
Cattolica del Sacro Cuore di Roma; 7Istituto di
Neuroscienze, CNR, Pisa; 8Istituto di Radiologia,
Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, Italy
BACKGROUND: I gliomi delle vie ottiche (GVO)
sono tumori di basso grado caratterizzati da una lenta
velocità di crescita e da una sopravvivenza globale a 5
anni pari al 90%. La principale causa di morbidità è rappresentata dai disturbi del visus e attualmente non sono
purtroppo disponibili strategie terapeutiche mirate e specifiche volte al miglioramento della funzione visiva. Il
presente studio ha l’obiettivo di valutare l’efficacia del
Nerve growth factor (NGF) come potenziale agente neuroprotettivo in pazienti con deficit visivi indotti da GVO.
METODI: Si tratta di uno studio prospettico randomizzato, in doppio cieco controllato con placebo. Sono
stati arruolati 18 pazienti, di età compresa tra 2 mesi e
23 anni. Dieci pazienti hanno ricevuto per 10 giorni il
collirio contenente 0.5 mg di NGF e 8 il placebo. I
pazienti sono stati valutati all’inizio dello studio e poi a
15, 30, 90 e 180 giorni dopo la fine del trattamento. Per
entrambi i gruppi sono state eseguite visite di controllo
ed esami oftalmologici, quali l’acuità visiva, il campo
visivo (CV) nei pazienti con minima capacità visiva,
l’ampiezza e la fase dei Flicker-PEV, l’ERG da flash
con particolare attenzione alla PhNR, e lo spessore
della retina interna mediante OCT.
RISULTATI: Nel gruppo dei pazienti trattati con
NGF è stato registrato un miglioramento statisticamente
significativo dei PEV e della PhNR, rispettivamente a
30 e a 180 giorni dopo il trattamento. Inoltre, in 3 dei 4
pazienti trattati con NGF nei quali era possibile valutare
il CV è stato dimostrato un significativo aumento del
CV, con importante miglioramento della qualità della
vita. Al contrario il CV è peggiorato nel gruppo placebo
(Figura 1). In nessun paziente sono stati riportati importanti effetti collaterali locali e/o sistemici.
Figura 1.
| 15 |
Poster
CONCLUSIONI: Il NGF somministrato sotto
forma di collirio migliora la funzione visiva in pazienti
con GVO, in assenza di importanti effetti collaterali. In
considerazione degli attuali risultati e della facilità di
somministrazione del farmaco sono in corso ulteriori
studi, al fine di esplorare più a fondo i vantaggi clinici
del NGF sul recupero della funzione visiva e definire la
schedule di somministrazione ottimale.
P002
I TUMORI GERMINALI MALIGNI DELL’OVAIO.
ESPERIENZA AIEOP
P. D’Angelo1, G. Bisogno2, R. Boldrini3, G. Cecchetto4,
M. Conte5, M.D. De Pasquale6, P. Indolfi7, A. Inserra8,
L. Piva9, F. Siracusa10, F. Spreafico11,
F. Melchionda12, F. De Leonardis13, M. Terenziani11
1Oncoematologia Pediatrica, ARNAS Civico Di Cristina
e Benfratelli, Palermo; 2Oncoematologia Pediatrica,
Università di Padova; 3Anatomia Patologica Bambin
Gesù, Roma; 4Chirurgia Pediatrica, Università di
Padova; 5Oncologia Pediatrica, Istituto G. Gaslini,
Genova; 6Oncoematologia Bambin Gesù, Roma,
7Oncoematologia Pediatrica, 2ª Università di Napoli;
8Chirurgia Pediatrica Bambin Gesù, Roma; 9Chirurgia
Urologica, Fondazione IRCCS Istituto Tumori, Milano;
10Chirurgia Pediatrica Università di Palermo;
11Oncologia Pediatrica, Fondazione IRCCS Istituto
Tumori, Milano; 12Oncologia ed Ematologia Pediatrica,
Istituto “Lalla Seràgnoli”, Policlinico S. OrsolaMalpighi, Bologna; 13Oncoematologia Pediatrica
Università di Bari, Italy
INTRODUZIONE: I tumori germinali maligni
(TGM) dell’ovaio presentano prognosi favorevole e il
loro trattamento viene differenziato in base alla estensione di malattia. Presentiamo i dati relativi al protocollo diagnostico-terapeutico AIEOP TCGM 2004.
MATERIALI E METODI: Dal 2004 al 2014 abbiamo raccolto tutti i casi di tumori germinali maligni
dell’ovaio. La malattia è stata classificata in 4 stadi
(limitata all’ovaio e completamente asportata, stadio I;
malattia microscopica residua, stadio II; macroscopica
residua e/o washing peritoneale positivo, stadio III;
malattia metastatica, stadio IV). Il trattamento previsto
per lo stadio I era la sola chirurgia; la chirurgia e la chemioterapia +/- la chirurgia differita per gli altri stadi.
RISULTATI: 74 pazienti, di età mediana 12 anni,
sono state arruolate in 10 anni. Le neoplasie avevano
all’esordio un diametro massimo mediano di 14 cm.
Quattro pazienti presentavano anomalie cromosomiche
e una aveva la sorella con teratoma ovarico. La distribuzione per stadio è stata: 29 stadi I, 13 stadi II, 28 stadi
III, 4 stadi IV. Istologie: Teratomi+a-FP patologica e/o
YST 23; disgerminomi 23; misti 18, YST 10. Negli
stadi I, in 5 casi non è stato effettuato il washing peritoneale e in 4 casi l’informazione non era disponibile. Sei
pazienti stadio I sono ricadute (range di ricaduta 2-23
mesi): due casi non avevano effettuato washing e in 1
caso il dato non era disponibile. In 1 caso stadio III la
terapia è stata interrotta per progressione radiologica di
| 16 |
malattia poi rivelatasi “growing teratoma”; 2 casi (1 stadio II, 1 stadio III) sono ricaduti senza aumento dei
markers: all’intervento era presente solo componente
teratomatosa. Con un FU mediano di 60 mesi, la RFS
globale dello stadio I è risultata del 76.8%, mentre negli
altri stadi (II, III e IV) è stata del 95.1%, con una RFS
globale dell’88% e una OS del 100% (Figura 1).
CONCLUSIONI: Si conferma la buona prognosi
della malattia ovarica. Nello stadio I l’opzione chirurgica esclusiva rimane valida, ma è fondamentale seguire
fedelmente le linee guida chirurgiche. L’incremento
dimensionale della neoplasia senza aumento dei
markers, va sempre accertato istologicamente per escludere la componente teratomatosa, un pattern patologico
che non risponde alla chemioterapia.
Figura 1. RFS ovaio stadio I vs stadi II, III, IV.
P003
IL SILENZIAMENTO EPIGENETICO DELL’UNITÀ
TRASCRIZIONALE miR-326/b-arrestin1 COME
INIBITORE DELLA PROLIFERAZIONE CELLULARE
NEL MEDULLOBLASTOMA
E. Miele1,2, A. Po1, A. Mastronuzzi3, S. Valente4,
A. Carai5, I. Screpanti1, F. Giangaspero6,7, M. Levrero8,
A. Tornesello9, C. Laurieri3, M.G. Cefalo3, R. Messina5,
C.E. Marras5, F. Locatelli3,10, E. Ferretti11
1Dipartimento Medicina Molecolare, Università di
Roma Sapienza, Roma; 2Center for Life
NanoScience@Sapienza, Istituto Italiano di Tecnologia,
Roma; 3Dipartimento di Onco-ematologia e Medicina
Trasfusionale, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino
Gesù, Roma; 4Dipartimento di Chimica e Tecnologie del
Farmaco, Università di Roma Sapienza, Roma;
5Dipartimento di Neuroscienze e neuroriabilitazione,
IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma;
6Dipartimento di Scienze Radiologiche, Oncologiche e
Patologiche, Università di Roma Sapienza, Roma;
7Istituto Neuromed, Pozzilli (IS); 8Dipartimento di
Medicina Interna, DMISM, Università di Roma
Sapienza, Roma; 9Unità di onco-ematologia Ospedale
Vito Fazzi, Lecce; 10Università degli studi di Pavia;
11Dipartimento Medicina Sperimentale, Università di
Roma Sapienza, Roma, Italy
INTRODUZIONE: Il medulloblastoma (MB) è tra i
tumori cerebrali più frequenti nei bambini.
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
Recentemente sono stati identificati quattro sottogruppi
caratterizzati da distinte mutazioni e da de-regolazione
di specifiche vie di segnale. Una caratteristica comune
a tutti i MB è la presenza di stem-like cells (SLCs), che
rappresentano una frazione di cellule neoplastiche, considerabili i “progenitori” da cui ha avuto origine il MB
e dotate della capacità di sostenere la proliferazione
tumorale. Recenti studi hanno messo in evidenza il
ruolo cruciale della de-regolazione dei microRNA nelle
vie di segnale regolatorie nel MB. In particolare, abbiamo evidenziato che miR-326 è fortemente down-regolato e reprime il pathway di segnale Hedgehog/Gli.
MATERIALI E METODI: MB SCLs sia murine
che umane sono state ottenute e coltivate come “oncosfere”. I livelli di espressione di miR-326 e il suo gene
b-arrestin1 sono stati studiati sia in MB che in SLCs.
Abbiamo esaminato il ruolo delle due molecole nel MB
e la regolazione dell’unità trascrizionale miR-326/barrestin1 nelle SLCs. E’ stato utilizzato un approccio
farmacologico al fine di modulare l’espressione di miR326/b-arrestin1 nel MB in vitro e in vivo.
RISULTATI: miR-326 coopera in maniera sinergica
con il proprio gene ospite b-arrestin1 onco-soppressore.
Tale unità sopprime la via del segnale regolatoria di
Hedgehog a più livelli: la b-arrestin1 inibisce la via del
segnale di Hedgehog attraverso la modulazione dell’acetilazione di Gli1-K518 mentre il miR-326 controlla Gli2 e
Smo, due molecole attivatorie del pathway di segnale.
Analizzando i possibili meccanismi coinvolti nella downregolazione di b-arrestin1/miR-326, abbiamo evidenziato
che tale unità trascrizionale è silenziata attraverso meccanismi epigenetici a livello istonico. Pertanto, farmaci epigenetici hanno la capacità di riattivare l’espressione di
miR-326/b-arrestin1 e di inibire la proliferazione cellulare
nel MB e nelle SLCs sia in vitro che in vivo.
CONCLUSIONI: Il nostro lavoro evidenzia un
nuovo network microRNA/gene ospite nel MB e propone l’unità miR-326/b-arrestin1 quale onco-soppressore
che può essere riattivato nei pazienti affetti da MB
mediante farmaci epigenetici.
Il Progetto è stato in parte supportato dall’Associazione “Per un sorriso in più”.
P004
LE CELLULE TUMORALI DERIVANTI DA PAZIENTI
AFFETTI DA NEUROBLASTOMA CO-ESPRIMONO
ALTI LIVELLI DI GD2 E PRAME
B. De Angelis, I. Caruana, D. Pagliara, D. Orlando,
D. Barbato, R. De Vito, R. Boldrini, G. Milano,
F. Locatelli, C. Quintarelli
Dipartimento Onco-Ematologia Pediatrica e Medicina
Trasfusionale, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù,
Roma Italy
Il neuroblastoma (NB) è il più frequente tumore solido extra-cranico dell’età pediatrica, con una sopravvivenza a 5 anni di solo il 40% per i pazienti con NB ad
alto rischio o per malattia metastatica o per caratteristiche
biologiche (amplificazione di n-myc). Lo scopo della
nostra ricerca è identificare marcatori biologici o combi-
nazione di essi, che potrebbero essere utilizzati in diagnostica, nel monitoraggio della malattia, e soprattutto
come molecole bersaglio per approcci innovativi di
immunoterapia cellulare adottiva. In particolare, abbiamo valutato l’espressione di due antigeni quali il disialogangloside GD2 e l’antigene tumorale PRAME (antigene
preferibilmente espresso nel melanoma) in linee cellulari
di NB e in campioni biologici derivati da pazienti con
nuova diagnosi o recidiva di NB, seguiti presso il
Dipartimento di Oncoematologia dell’OPBG. La valutazione citofluorimetrica dell’espressione degli antigeni
considerati ha evidenziato che 4/5 linee di NB sono risultate GD2 positive (98%-100%) con un’espressione estremamente elevata di PRAME (60%-98%). E’ interessante
notare che la linea di NB LAN-5 derivata da un clone
GD2 negativo è risultata positiva al 90% per l’antigene
PRAME. L’antigene GD2 è risultato espresso nel 100%
(8/8) dei pazienti che hanno ricevuto diagnosi di NB da
Ottobre/2014 ad oggi e nel 100% (2/2) dei pazienti con
recidiva di malattia. L’analisi citofluorimetrica ha evidenziato nei campioni analizzati una espressione media
di GD2 pari a 23%±29 della frazione CD45 negativa
(CD45-). Nei pazienti con recidiva di NB, la frazione
CD45-GD2+ è risultata del 20%±8. L’analisi della coespressione di GD2/PRAME ha, inoltre, mostrato positività in tutti i casi valutati. Abbiamo anche evidenziato in
un paziente di NB una frazione di cellule CD45-GD2PRAME+. Questi dati sono stati confermati in RealTime-PCR su RNA messaggero e mediante immunoistochimica su tessuti paraffinati. La caratterizzazione fenotipica di antigeni tumorali espressi su tessuti di pazienti
con NB è di estrema importanza, in quanto il nostro gruppo ha attivato una duplice strategia immunoterapeutica
volta ad eliminare sia neuroblasti GD2+, mediante cellule T ingegnerizzate a riconoscere la molecola GD2 attraverso un recettore chimerico (CAR-GD2), sia neuroblasti
PRAME+, mediante cellule T geneticamente modificate
con recettore T specifico per PRAME (TCR-PRAME).
P005
ANALISI DI ATRX NEL NEUROBLASTOMA IN
ADOLESCENTI E GIOVANI ADULTI
K. Mazzocco1, R. Defferrari1, A.R. Sementa1,
M. De Mariano2, A.R. Gigliotti3, M.R. Esposito4,
M. Morini5, S. Sorrentino3, C. Manzitti3, M. Conte3
1UO Anatomia Patologica, Istituto Giannina Gaslini,
Genova; 2Terapia Immunologica, IRCSS AOU San
Martino-IST, Istituto Nazionale per la Ricerca sul
Cancro, Genova; 3Dipartimento di Emato-Oncologia,
Istituto Giannina Gaslini, Genova; 4Laboratorio
Neuroblastoma, Laboratorio di Onco/Ematologia,
Dipartimento SDB, Università di Padova, Istituto
Ricerca Pediatrica, Padova; 5Laboratorio di Biologia
Molecolare, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italy
Il neuroblastoma (NB) in pazienti adolescenti e
giovani adulti (AYA) è raro ed è caratterizzato, sia
negli stadi localizzati sia in quelli metastatici, da un
andamento clinico cronico e una prognosi complessivamente peggiore rispetto ai bambini. A causa della
| 17 |
Poster
rarità del NB negli AYA, le informazioni biomolecolari
su tali tumori sono a oggi ancora scarse. In un precedente studio abbiamo caratterizzato da un punto di
vista genetico-molecolare 34 casi AYA, nei quali le
alterazioni più frequenti sono risultate essere la delezione/imbalance 1p36 (58%), il gain 17q (52%), la
delezione 11q (30%), la delezione 9p (32%), il gain 7q
(17%) e l’amplificazione di MYCN (10%), quest’ultima meno frequente rispetto a quella osservata nel bambino. Inoltre abbiamo valutato la presenza di mutazioni
a carico del gene ALK (Anaplastic Lymphoma Kinase
receptor), a oggi conosciute circa 20, e la sua espressione in immunoistochimica. Il 16% dei casi analizzati
che presentavano le mutazioni di ALK hanno mostrato
positività anche della proteina. Recentemente studi di
“whole-genome sequencing” su NB hanno rivelato
mutazioni e delezioni del gene ATRX (a
thalassemia/mental retardation syndrome X-linked),
evidenziando un’associazione tra le mutazioni e l’età
dei pazienti (>12 anni), lo stadio metastatico e l’assenza di amplificazione di MYCN. Nel presente lavoro
abbiamo valutato le mutazioni del gene ATRX e l’espressione della proteina. Sono stati studiati 21 casi di
cui uno solo è risultato positivo per una nuova mutazione c.6572A>C p.D2191A nell’esone 30 del gene. La
proteina è stata analizzata su 9 casi: il caso mutato è
risultato negativo, gli altri 8 hanno mostrato gradi differenti di positività. La mutazione di ATRX è in genere
associata a un allungamento dei telomeri mediante
ALT (alternative lengthening of telomeres) che è predittivo nel bambino di una peggior prognosi della
malattia. Se confermato in una più ampia coorte di
pazienti, ATRX potrebbe in futuro rappresentare per gli
AYA un nuovo bersaglio terapeutico.
P006
PROFILASSI ANTIBIOTICA PERIOPERATORIA NEL
BAMBINO SOTTOPOSTO A CHIRURGIA
ONCOLOGICA
L. Pio1,2, A. Naselli3,2, S. Avanzini1,
M. Cing Yu Wong1,2, M. Conte4, E. Castagnola3,
A. Garaventa4, C. Manzitti4, M. Nantron4,
L. Amoroso4, G. Martucciello1,2, U. Rosati5,
G. Mattioli1,2
1UOC Chirurgia pediatrica, Istituto Giannina Gaslini,
Genova; 2DINOGMI, Università di Genova; 3UOC
Malattie Infettive, Istituto Giannina Gaslini, Genova;
4Dipartimento di Emato-Oncologia Pediatrica, Istituto
Giannina Gaslini, Genvoa; 5UOC Centro Controllo
Direzionale e Servizio Qualità, Istituto Giannina
Gaslini, Genova, Italy
INTRODUZIONE: L’efficacia della profilassi antibiotica per prevenire infezioni del sito chirurgico nei
bambini sottoposti a chirurgia oncologica non trova
linee guida correnti ed è stata scarsamente analizzata
nella letteratura. Lo scopo dello studio è quello di analizzare l’efficacia della profilassi con cefazolina per 24
ore (4 dosi) in pazienti pediatrici con tumore solido sottoposto a chirurgia.
| 18 |
METODI: Dal 2008 al 2014 sono stati prospetticamente raccolti i dati riguardanti pazienti oncologici, di
età compresa tra zero e 18 anni, sottoposti a procedure
chirurgiche addominali utilizzando come profilassi dell’infezione del sito chirurgico cefazolina 25 mg/kg, iniziando la somministrazione 30 minuti prima dell’incisione e proseguendo ogni 8 ore per un totale di 3 dosi
nelle volte nelle 24 ore successive all’intervento. Un
sistema di controllo di controllo di qualità (Timeout) è
stato utilizzato prima dell’incisione per evitare il rischio
di compliance incompleta. Le infezioni del sito chirurgico sono state identificate usando un database chirurgico prospettico per il primo periodo di 30 giorni postoperatorio. Eventuali emocolture e urinocolture positive sono state monitorate con il sistema di controllo di
qualità istituzionale per valutare il rischio di infezioni,
tra cui regime chemioterapico post-operatoria. Il rischio
di infezione è stato valutato considerando anche
American Society of Anesthesiologist (ASA) score
(Gruppo 1: ASA 1-2; Gruppo 2: ASA 3-5), durata chirurgica (Gruppo A: <200 minuti; Gruppo B: >200
minuti) e tecniche chirurgiche (chirurgia tradizionale e
chirurgia laparoscopica).
RISULTATI: Sono stati trattati 153 bambini (63
maschi, 90 femmine), l’età media all’intervento è stata
di tre anni (range: 13 giorni a 18 anni). 111 pazienti
hanno presentato un basso ASA (gruppo 1) e 43 pazienti
hanno presentato un punteggio ASA alto (Gruppo 2). La
durata chirurgica mediana è stata di 200 minuti (range:
50-840 minuti). Non si è verificata nessuna infezione
del sito chirurgico o intra-addominale.
CONCLUSIONI: Benché non sia stato eseguito un
confronto con un gruppo di controllo, si può concludere
che, nelle procedure chirurgiche oncologiche addominali (senza apertura dei visceri), una cefalosporina di
prima generazione (cefazolina) utilizzata 30 minuti
prima dell’incisione e tre volte nelle 24 ore successive
all’intervento, fornisce una protezione sufficiente dalle
infezioni del sito chirurgico.
P007
RUOLO DELLA BIOPSIA EPATICA NEI BAMBINI
CHE SVILUPPANO VOD IN CORSO DI
TRATTAMENTO PER TUMORE DI WILMS
L. Meneghello, R. Alaggio, P. Dall’Igna, A. Paratella,
G. Cecchetto, G. Bisogno
Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Anatomia
Patologica e Chirurgia Pediatrica di Padova, AOU;
Pediatria Ospedale Santa Chiara di Trento, Italy
La malattia venoocclusiva epatica (VOD) è una
complicanza rara ma potenzialmente severa della chemioterapia (CT) ben descritta nei pazienti pediatrici sottoposti a trapianto di cellule staminali ma riportata
anche in pazienti trattati per tumori solidi, in particolare
per Tumore di Wilms (TW). Per valutare l’incidenza e
l’outcome della VOD (secondo i criteri di McDonald:
almeno due tra ittero, epatomegalia e/o dolore in ipocondrio destro, aumento di peso e/o ascite) abbiamo
condotto uno studio retrospettivo su 120 bambini tratta-
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
ti per TW secondo protocollo SIOP93-01 o 2001 presso
il nostro Centro negli ultimi 20 anni. Abbiamo analizzato le caratteristiche cliniche della VOD, le alterazioni
laboratoristiche e quelle istopatologiche riscontrabili
alla biopsia epatica eseguita in occasione della nefrectomia successiva alla CT preoperatoria. Abbiamo inoltre valutato l’eventuale disfunzione epatica a distanza.
Un episodio di epatotossicità si è verificato in 16
pazienti (13%), compatibile con VOD nel 10%, in
forma moderata in 8, e severa in 4. Un bambino è deceduto per insufficienza multiorgano. Nel 60% dei casi
l’epatotossicità è avvenuta durante la CT preoperatoria,
nel 10% durante la CT postoperatoria e in un 30%
durante o successivamente alla radioterapia.
Nonostante abbiano ricevuto dosi ridotte di chemioterapici i bambini più piccoli di età sono risultati a maggior
rischio di VOD. Sono state eseguite 67 biopsie epatiche: in 5 casi di VOD in corso di chemioterapia preoperatoria la biopsia ha confermato la diagnosi clinica; in
un caso la biopsia era positiva per VOD anche se clinicamente si era riscontrata una epatotossicità non VOD.
Le biopsie epatiche non si sono rivelate predittive per lo
sviluppo di VOD durante la chemioterapia post chirurgica. Nessun bambino ha manifestato segni di epatotossicità a lungo termine. La sopravvivenza globale a 3 e a
5 anni non è risultata sostanzialmente diversa nei bambini che avevano sviluppato VOD.
CONCLUSIONI: l’incidenza di VOD riscontrata è
paragonabile a quanto segnalato in letteratura.
L’esecuzione di una biopsia epatica al momento della
nefrectomia sembra avere un valore diagnostico ma non
prognostico. Lo sviluppo di VOD durante il trattamento
non riduce le possibilità di sopravvivenza di questi
pazienti né danneggia la funzionalità epatica a lungo
termine.
P008
ANEMIA DI FANCONI E MEDULLOBLASTOMA:
DESCRIZIONE DI UNA NUOVA MUTAZIONE NEL
GENE BRCA2 E CARATTERIZZAZIONE
MOLECOLARE DEL TUMORE
E. Miele1,2,*, A. Mastronuzzi3,*, A. Po1, A. Carai4,
V. Alfano1,2, A. Serra3, G.S. Colafati5, L. Strocchio3,
M.G. Cefalo3, M. Antonelli6, F.R. Buttarelli6,
M. Zani1, S. Ferraro1, A. Buffone1, A. Vacca7,
I. Screpanti1, F. Giangaspero6,8, G. Giannini1,9,
F. Locatelli3, E. Ferretti7
1Department of Molecular Medicine Sapienza University,
Rome; 2Center for Life NanoScience@Sapienza, Istituto
Italiano di Tecnologia, Rome; 3Department of
Hematology/Oncology and Stem Cell Transplantation,
Bambino Gesù, Children’s Hospital, IRCCS, Rome;
4Department of Neuroscience and Neurorehabilitation,
Bambino Gesù Children’s Hospital, IRCCS, Rome;
5Department of Radiology, Bambino Gesù Children’s
Hospital, IRCCS, Rome; 6Department of Radiological,
Oncological and Pathological Science, Sapienza
University, Rome; 7Department of Experimental
Medicine Sapienza University, Rome; 8Neuromed
Institute, Pozzilli (IS); 9Pasteur Institute Cenci Bolognetti
Foundation, Rome, Italy
*These authors contributed equally to this work.
L’anemia di Fanconi (AF) è una patologia ereditaria
clinicamente eterogenea che colpisce circa 1/100.000
bambini/anno. Sono stati descritti 17 geni coinvolti nella
patogenesi della AF, implicati a vario livello nella regolazione dei meccanismi di riparazione del DNA. Sebbene il
rapporto genotipo/fenotipo non sia chiaro per tutti i gruppi
di complementazione, la mutazione biallelica dei geni
FANCD1/BRCA2 e di FANCN/PALB2 si associa all’insorgenza in sequenza di tumore di Wilms (TW), medulloblastoma (MB) ed LMA. Descriviamo il caso di una
paziente AF/FANCD1 affetta da TW seguito da due MBs
nella quale è stata evidenziata una nuova mutazione
germline patologica di BRCA2 e per la quale sono stati
caratterizzati molecolarmente i MBs. Seguita per rene
unico pelvico, a focaccia, giunge alla nostra osservazione
a 15 mesi per TW metastatico a livello polmonare. La
facies ha indotto all’esecuzione di un DEB diagnostico
per AF. Trattata secondo il protocollo SIOP TW-2001 e
sottoposta a chirurgia conservativa sul rene (nefroblastoma grado III) e a metastasectomia su unica lesione polmonare residua. Off-therapy dal TW, all’età di 35 mesi, la
paziente tornava per cefalea e vomito: la TC evidenziava
una neoplasia cerebellare emisferica, asportata completamente (MB1 desmoplastico). E’ stato iniziato un trattamento con carboplatino/vincristina determinante una tossicità ematologica di grado IV recuperata in 3 mesi. A 52
mesi, a un controllo di follow-up diagnosi di neoplasia
cerebellare vermiana, asportata completamente (MB2
anaplastico/grandi cellule, n-myc amplificato), recidivato
e disseminato al controllo RMN a 30 giorni dalla chirurgia. Seguiva trattamento palliativo con decesso a 55 mesi.
L’analisi genetica su sangue periferico documentava la
presenza di due distinte mutazioni di BRCA2:
c.658_659delGT nell’esone 8 paterna e c.2944_2944delA
nell’esone 11 materna-quest’ultima mai descritta.
L’analisi molecolare dei MBs documentava neoplasie del
sottogruppo Sonic Hedgehog (Shh): MB1 a profilo molecolare MB/Shh-adulti, MB2 a profilo MB/Shh-infants
con marcatori dei gruppi 3/4 ed elementi di staminalità.
PECULIARITà: 1- Descrizione mutazione dell’esone 11 di BRCA2 c.2944_2944delA in AF; 2Conferma successione di neoplasie descritta in pazienti
AF/FANCD1; 3- Caratterizzazione molecolare di MB
in AF: terapie target; 4- Comparsa di MBs con differenti
profili molecolari.
Si ringrazia AIRFA.
P009
SINDROME DEL TUMORE EREDITARIO DELLA
MAMMELLA E DELL’OVAIO: IL BAMBINO E
L’ADOLESCENTE NELLE FAMIGLIE A RISCHIO
I. Vasta1, E. De Matteis2, M.R. De Giorgio2,
S. Mauro3, M. Ciccarese2, L. Palma4, A. Tornesello1
1UO Oncoematologia Pediatrica; 2UO Oncologia;
3Laboratorio Genetica Medica; 4Servizio di Psicologia,
PO Vito Fazzi, Lecce, Italy
| 19 |
Poster
La sindrome del tumore ereditario della mammella
e dell’ovaio riguarda circa il 5-10% di tutti i tumori
della mammella e dell’ovaio e nel 30% dei casi è causata da mutazioni germline dei geni BRCA1 e BRCA2.
L’elevato rischio oncologico nei soggetti portatori di
tali mutazioni rende necessaria l’individuazione delle
famiglie a rischio, l’offerta di un adeguato counseling e
l’esecuzione di test genetici, per le opportune strategie
preventive. Riportiamo l’esperienza relativa allo studio
di famiglie con storia di cancro della mammella o dell’ovaio, registrate presso l’Ambulatorio di Tumori
eredo-familiari della mammella e dell’ovaio dell’UO di
Oncologia del PO Vito Fazzi di Lecce nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2013 e il 18 marzo 2015. Sono
state arruolate pazienti affette da carcinoma della mammella e/o dell’ovaio e donne sane con una storia familiare positiva per un totale di 157 soggetti afferenti a
126 famiglie. Per identificare le mutazioni dei geni
BRCA1/2 è stata utilizzata la tecnica di sequenziamento
Sanger. Nell’ambito delle famiglie studiate sono stati
identificati 100 soggetti ad alto rischio, sottoposti a test
genetico; di questi 18 avevano mutazione genetica
accertata, 16 BRCA1 e 2 BRCA 2; 2 soggetti con mutazione BRCA 1 erano rispettivamente di 20 e 23 anni.
Nelle famiglie di soggetti ad alto rischio 24 soggetti
erano di età compresa tra 0 e 14 anni e 28 soggetti erano
di età compresa tra 15 e 24 anni. Nelle famiglie di soggetti con mutazione genetica accertata 5 soggetti erano
di età inferiore a 18 anni. L’esperienza riportata costituisce uno studio pilota di caratterizzazione del clustering familiare del cancro della mammella e dell’ovaio
nel Salento. L’offerta di un accesso al servizio di counselling e l’esecuzione di test genetici permette di stabilire e promuovere programmi di prevenzione secondo le
più recenti linee guida. Solleva però il problema dell’approccio al bambino, adolescente e giovane adulto
appartenente a queste famiglie. Sebbene l’Accademia
Americana di Pediatria non raccomandi l’esecuzione
dei test in soggetti di età inferiore a 18 anni, è utile che
il pediatra oncologo sia coinvolto nel counseling per un
appropriata valutazione del rischio anche nel minore.
cromosomiche ricorrenti che coinvolgono il gene EWSR1
e i geni della famiglia ETS. Recentemente, in un sottogruppo di sarcomi indifferenziati (IND) morfologicamente simili al SE sono state identificate due nuove traslocazioni: CIC-DUX4 e BCOR-CCNB3. Se questi tumori
ora, debbano rappresentare una variante del SE oppure
un’entità distinta non è ancora chiaro. In questo studio
abbiamo valutato la presenza delle traslocazioni CICDUX4 e BCOR-CCNB3 in una serie di sarcomi pediatrici
con caratteristiche istologiche simili al SE e all’IND.
METODI: Abbiamo utilizzato la reazione polimerasica a catena (RT-PCR) per determinare la presenza dei trascritti di fusione EWS/FLI1, EWS-ERG e EWS/ETV4 nei
tumori (a fresco o fissati in formalina ed inclusi in paraffina) di 285 casi pediatrici (intervallo di età 0.5-18 anni) con
diagnosi istologica di SE e IND. I casi risultati negativi per
questi marcatori molecolari sono stati ulteriormente analizzati mediante RT-PCR per la ricerca delle traslocazioni
cromosomiche CIC-DUX4 e BCOR-CCNB3.
RISULTATI: In 264 pazienti con SE abbiamo determinato la presenza di una delle traslocazioni della famiglia EWSR1-ETS (93%). Nei 21 casi negativi abbiamo
trovato il trascritto di fusione CIC-DUX4 su 1 SE (0,4%)
e BCOR-CCNB3 su 3 IND (1,1%). Abbiamo poi rivisto
la morfologia dei 4 casi e abbiamo notato alcune peculiarità: il caso positivo per CIC-DUX4 è caratterizzato dalla
presenza di cellule allungate, con citoplasma chiaro e
occasionali formazioni nidiformi, mentre i casi positivi
per BCOR-CCNB3 sono eterogenei e presentano delle
cellule allungate che potrebbero essere suggestive per un
malignant peipheral nerve sheath tumor (MPNST) o in 1
caso per un condrosarcoma mesenchimale.
L’immunoistochimica per CD99 non è stata dirimente ai
fini della definizione diagnostica.
CONCLUSIONI: I SE ed IND negativi per le traslocazioni EWSR1-ETS rappresentano un’eterogeneità
di neoplasie che potrebbe racchiudere al suo interno
sottogruppi di tumori caratterizzati dalla presenza dei
trascritti di fusione CIC-DUX4 e BCOR-CCNB3. La
loro caratterizzazione molecolare è indispensabile per
la corretta definizione diagnostica di questi tumori che
potrebbero altrimenti essere erroneamente classificati.
P010
RUOLO DEI TRASCRITTI DI FUSIONE CIC-DUX4 E
BCOR-CCNB3 NELLA RI-CLASSIFICAZIONE DEI
SARCOMI DI EWING ED INDIFFERENZIATI
PEDIATRICI EWSR1-ETS NEGATIVI
K. Ludwig1, R. Alaggio1, G. Basso2, G. Bisogno2,
A. Zin3
1Dipartimento di Anatomia Patologica, Azienda
Ospedaliera-Università di Padova; Padova; 2Clinica di
Oncoematologia Pediatrica, Azienda OspedalieraUniversità di Padova; Padova; 3Istituto di Ricerca
Pediatrica, Città della Speranza, Padova; per il Gruppo
di Lavoro Sarcomi dei Tessuti Molli, Italy
INTRODUZIONE E OBIETTIVI: Il sarcoma di
Ewing (SE) è un tumore primitivo a cellule rotonde, dall’istogenesi ancora non ben definita e che può originare
dall’osso o dai tessuti molli. Presenta delle traslocazioni
| 20 |
P011
PRIMO PROTOCOLLO PER NEUROBLASTOMA AD
ALTO RISCHIO SIOP EUROPE NEUROBLASTOMA.
REPORT AD INTERIM DELLA CASISTICA ITALIANA
R. Luksch1, E. Viscardi2, M. Bianchi3, A. Prete4,
A. Castellano5, P. D’Angelo6, G. Zanazzo7,
C. Moscheo1, C. Manzitti8, S. Vetrella9, A. Tondo10,
A. Di Cataldo11, P. Pierani12, F. Bonetti13, E. Pota14,
F. De Leonardis15, G. Casazza16, F. Porta17,
M. Provenzi18, S. Cesaro19, P. Bertolini20, B. Galleni8,
A. Garaventa8
1Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori,
Milano; 2Az. Ospedaliera, Padova; 3OIRM S. Anna,
Torino; 4Policlinico S. Orsola, Bologna; 5Ospedale
Pediatrico Bambin Gesù, Roma; 6Osp. G. Di Cristina,
Palermo; 7IRCCS Burlo Garofolo, Trieste; 8Istituto G.
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
Gaslini, Genova; 9Ospedale Pausilipon, Napoli;
10Ospedale Meyer, Firenze; 11Ospedale Policlinico,
Catania; 12Ospedale Salesi, Ancona; 13Policlinico S.
Matteo, Pavia; 14Seconda Università di Napoli;
15Ospedale Policlinico, Bari; 16Ospedale S. Chiara,
Pisa; 17Spedali Civili, Brescia; 18Ospedali Riuniti,
Bergamo; 19Policlinico G.B. Rossi, Verona; 20Azienda
Ospedaliero Universitaria, Parma, Italy
INTRODUZIONE: Il protocollo arruola pazienti
con neuroblastoma “ad alto rischio” (stadio INSS 2, 3,
4, 4s con amplificazione di MYCN, e stadio 4 di età
>12 mesi). Riportiamo alcuni risultati ad interim della
coorte italiana dello studio, che è tuttora aperto.
METODI: Lo studio ha confrontato in maniera randomizzata (R) la 3-yrs EFS tra 2 regimi mieloablativi
con rescue autologo (R1). La R2 confronta la 3-yrs EFS
di un mantenimento con anticorpo anti-GD schema in 8
orex5gg con o senza IL-2. La R3 confronta la response
rate dopo induzione con COJEC vs schema con antraciclina (N7 MSKCC-mod.). La R4 confronta la 3-yrs EFS
di un mantenimento con anti-GD2 in infusione lungotermine con o senza IL-2.
RISULTATI: Dal 1/02/2002 al 31/12/2014 sono stati
arruolati in Italia 479 pazienti, età mediana 35 mesi
(range 0-226), stadio 4 >1 anno=428, stadio 2 o 3 o
infants con MYCN amplificato=51. R1, conclusa, ha
dimostrato superiorità di busulfano+melphalan rispetto a
CBDCA+VP16+melphalan. R2 è chiusa, mentre R3 ed
R4 sono aperte all’arruolamento. La probabilità di
sopravvivenza a 3 anni e 5 anni della coorte italiana è:
globale 0.57 (SE 0.026) e 0.41 (SE 0.02), per stadio 2-3
MYCN ampl 0.76 (SE 0.06) e 0.72 (SE 0.06), per stadio
4-4S 0.55 (SE 0.028) e 0.36 (SE 0.03), rispettivamente.
Per i pazienti stadio 4 >1 anno di età in RC prima della
fase mieloablativa la probabilità di sopravvivenza a 3 e 5
anni è 0.59 (SE 0.03) e 0.45 (SE 0.03). Vi sono stati 10
decessi per tossicità, di cui 5 post-trapianto (TRM 1,7%),
e un decesso per leucemia secondaria.
CONCLUSIONI: Si tratta di un protocollo particolarmente intenso e gravato da tossicità di rilievo, con il
quale rispetto alle nostre esperienze precedenti
(Garaventa A, et al Ann Oncol 2002; De Bernardi B, et
al JCO 2002; Haupt R, et al. JCO 2010) le probabilità
di sopravvivenza a 3 e 5 anni sono decisamente migliorate per la malattia localizzata ad alto rischio, ma sono
anche aumentate di circa il 10% per la popolazione con
malattia metastatica ad alto rischio.
P012
PROTOCOLLO LINES: STUDIO OSSERVAZIONALE
NEONATAL ADRENAL MASS. ARRUOLAMENTO
ITALIANO
M. Conte, A.M. Fagnani, K. Mazzocco, R. Defferrari,
A. Garaventa, A.R. Gigliotti, G. Bracciolini,
A. Castellano, M. Podda, E. Tirtei, S. Ruotolo,
F. De Leonardis, M. Bianchi, P. D’Angelo, V. Cecinati,
P. Pierani, E. Viscardi, S. Avanzini, M. Nantron,
A. Di Cataldo
Per il Gruppo Italiano Neuroblastoma, Italy
In epoca neo-perinatale una massa sopra-renale è in
genere dovuta ad un neuroblastoma (NB) o un’emorragia surrenalica. In questi casi la chirurgia può essere
inutile o rischiosa considerando la capacità di regressione e l’ottima prognosi del NB a questa età. Per studiare
incidenza e andamento clinico di simili lesioni nel protocollo LINES è stato attivato lo studio Neonatal
Adrenal Mass (NAM) che prevede di arruolare bambini
con massa sopra-renale diagnosticata entro i primi 90
giorni di vita, ben definita, asintomatica e di diametro
non superiore ai 5 cm. Tutti i casi eleggibili saranno sottoposti ogni 3 settimane solo a controllo clinico, ecografia della lesione e dosaggio delle catecolamine urinarie. La scintigrafia con MIBG e/o RMN saranno eseguite non prima della nona settimana di follow up (FU).
In caso di aumento della lesione o degli acidi urinari
>del 40% rispetto ai valori iniziali il caso sarà escluso
dallo studio e sottoposto a chirurgia. Se documentata
invece riduzione della massa il FU sarà proseguito per
48 settimane al termine delle quali è indicata la chirurgia su massa residua se non presenti fattori di rischio
chirurgico. Al marzo 2015, 35 casi (8 con diagnosi prenatale) sono stati arruolati nello studio. In 22/35 (63%)
casi si è registrata regressione completa o significativa
riduzione della lesione entro i termini previsti dal FU, 7
casi hanno sviluppato un evento: locale in 3 e metastatico (fegato o cute) in quattro. Di 6 casi mancano informazioni. I 7 casi con evento sono stati sottoposti ad
accertamento istologico della lesione che è risultata
sempre essere un NB. Nessuno dei 7 casi ha ricevuto
chemioterapia e tutti sono attualmente in RC. Questi
dati preliminari confermano l’elevata possibilità di
regressione spontanea di una massa sopra renale in
epoca perinatale giustificando un atteggiamento di wait
and see. L’evento progressione è sempre associato alla
presenza di un NB per il cui trattamento è spesso sufficiente la sola chirurgia.
P013
LINFOCITI T RIPROGRAMMATI CON CAR
anti-GD2 IN UN MODELLO DI NEUROBLASTOMA
M. Prapa1, S. Caldrer2, C. Spano1, M. Bestagno3,
G. Golinelli1, G. Grisendi1, T. Petrachi1, D. Campana4,
M. Dominici1, P. Paolucci1
1Division of Oncology, Department of Medical and
Surgical Sciences for Children & Adults, UniversityHospital of Modena and Reggio Emilia, Modena, Italy;
2Department of Pathology and Diagnostics, University
of Verona, Verona, Italy; 3International Center for
Genetic Engineering and Biotechnology, Trieste, Italy;
4Department of Pediatrics, National University of
Singapore, Singapore
Il GD2 è un antigene espresso in numerose neoplasie
di derivazione neuroectodermica, quali il neuroblastoma, melanoma, microcitoma polmonare, retinoblastoma, medulloblastoma e gliomi di alto grado, come pure
sarcomi ossei e dei tessuti molli. L’associazione con
tumori ancora incurabili e la bassa espressione di GD2
nei tessuti sani, rende questo antigene un promettente
| 21 |
Poster
target per approcci di terapia cellulare adottiva. Una
delle strategie indagate si basa sulla generazione ex vivo
di linfociti T modificati geneticamente con un recettore
antigenico chimerico (CAR), in grado di riconoscere
l’antigene GD2. CAR è costituito da una regione extracellulare di legame con l’antigene, da una regione transmembrana e da una regione intracellulare di attivazione
e trasduzione del segnale. L’introduzione di CAR ha
permesso di combinare le proprietà di riconoscimento
antigenico, proprie degli anticorpi monoclonali, con le
caratteristiche funzionali delle cellule T. In questo studio
abbiamo valutato in modelli pre-clinici l’impatto di un
nuovo CAR anti-GD2 espresso in linfociti T umani. La
fase in vitro, unitamente alla specificità e capacità proliferativa dei linfociti T CAR anti-GD2, ha permesso di
rilevare un rilevante effetto citotossico rispetto alle cellule T parentali nei confronti di linee tumorali di neuroblastoma. La linea cellulare target avente elevata sensibilità è stata poi testata in vivo con la finalità di riprodurre un modello sperimentale di malattia in topi nonimmunocompetenti (NOD/SCID) mediante multipli inoculi di linfociti T CAR anti-GD2. Gli studi in vivo hanno
permesso di confermare i dati osservati in vitro. Nel
gruppo che ha ricevuto il trattamento con linfociti T
CAR anti-GD2 abbiamo osservato una minima formazione della massa tumorale. Per contro, nei modelli di
controllo con tumore indotto senza trattamento ovvero
con il trattamento con linfociti T parentali, la crescita
tumorale è risultata notevolmente più elevata. Questi
dati potrebbero aprire nuove possibilità terapeutiche in
contesti clinici pediatrici e del giovane adulto ancora
gravate da prognosi largamente infausta.
Questo studio è stato supportato in parte da AIRC
IG 2007-2009 (#5011; M.D.) e da Associazione
Sostegno Ematologia Onclologia Pediatrica-ASEOP
(M.D. & P.P.).
P014
RECIDIVE TARDIVE DI RABDOMIOSARCOMA.
REPORT DEL GdL SARCOMI PARTI MOLLI
D. Di Carlo1, G. Cecchetto2, A. Ferrari3,
A. Scagnellato1, P. D’Angelo4, G. Milano5,
G. Scarzello6, E. Basso7, C. Manzitti8, G. Bisogno1
1Azienda Ospedaliera Università di Padova, D.A.I.S.
per la Salute della Donna e del Bambino, UOC Clinica
di Oncoematologia Pediatrica, Padova; 2Azienda
Ospedaliera Università di Padova, D.A.I.S. per la
Salute della Donna e del Bambino, Chirurgia
Pediatrica, Padova; 3Unità di Oncologia Pediatrica,
Istituto Nazionale Tumori, Milano; 4Pediatria
Oncoematologica, Ospedale G. Di Cristina, Palermo;
5Onco-Ematologia, Ospedale Pediatrico Bambino
Gesù, Roma; 6Divisione di Radioterapia, Istituto
Oncologico Veneto, Padova; 7Oncoematologia
Pediatrica Regina Margherita, Torino; 8UOS
Oncologia Clinica, Istituto Gaslini, Genova, Italy
RAZIONALE E OBIETTIVI DELLO STUDIO: La
sopravvivenza dei pazienti affetti da Rabdomiosarcoma
dopo recidiva è insoddisfacente, in particolare per quei
| 22 |
pazienti con recidiva precoce. Non è noto, tuttavia, se
tra pazienti con recidiva più tardiva sia possibile identificare ulteriori classi di rischio. Lo scopo di questo studio è valutare la prognosi dei pazienti in base all’intervallo trascorso dalla diagnosi alla recidiva.
METODI: Dal 1979 al 2011 sono stati registrati 819
pazienti con diagnosi di Rabdomiosarcoma localizzato
nei protocolli RMS79, RMS88, RMS96, EpSSG2005.,
217 (26%) hanno presentato una recidiva (locale, linfonodale, metastatica) dopo un follow up di almeno 36
mesi. In base al tempo trascorso dalla diagnosi abbiamo
distinto Early relapse (ER) quando l’evento è avvenuto
entro 18 mesi, late relapse (LR) evento fra 18 e 36 mesi,
very late relapse (VLR) dopo i 36 mesi.
RISULTATI: Considerando i pazienti recidivati, il
55% è di sesso maschile, il 65% ha un’età alla diagnosi
compresa tra 1 e 10 anni. Riguardo le caratteristiche del
tumore, prevale l’istotipo embrionale e nella maggior
parte dei casi si tratta di un tumore di dimensioni >5 cm,
in stadio T2. In riferimento al tipo di recidiva, la più frequente è quella locale (61%), seguita da quella metastatica (18%). Dei 217 recidivati solo il 24% è vivo.
114/217 (53%) sono classificabili come ER, 79 (36%)
come LR e 24 (11%) come VLR: i pazienti vivi sono
rispettivamente il 17%, 35% e 25%
CONCLUSIONI: I risultati preliminari del nostro
studio confermano che la prognosi dei pazienti con recidiva precoce di RMS è infausta. All’interno del gruppo
di pazienti che recidivano tardivamente è possibile riconoscere una popolazione di recidivati molto tardivamente, la cui prognosi appare comunque severa rispetto
ai pazienti che recidivano tra 18 e 36 mesi. Questo dato
suggerirebbe l’esistenza di caratteristiche biologiche
diverse nei pazienti che recidivano molto tardivamente.
P015
MICRORNA ESOSOMIALI COME NUOVI
BIOMARCATORI DELL’IPOSSIA NEL
NEUROBLASTOMA
M. Morini1, M. Izzo1, P. Becherini1, D. Cangelosi1,
F. Raggi1, S. Bollini2, M. Conte3, A. Eva1, L. Varesio1
1Laboratorio di Biologia Molecolare, Istituto G.
Gaslini, Genova; 2Laboratorio di Medicina
Rigenerativa, Dipartimento di Medicina Sperimentale
(DIMES), Università di Genova; 3Laboratorio di
Oncologia Clinica, Istituto G. Gaslini, Genova, Italy
INTRODUZIONE: Gli esosomi rilasciati dalle cellule tumorali contengono microRNA (miRNA) utilizzabili come biomarcatori molecolari. I miRNA esosomali
si trovano nel sangue e rappresentano una sorgente di
biomarcatori poco invasiva. L’ipossia, una situazione di
bassa tensione di ossigeno caratteristica del microambiente tumorale, è un fattore prognostico negativo per il
neuroblastoma. Lo scopo dello studio è definire se l’ipossia modifichi i miRNA prodotti da cellule di neuroblastoma e se tali miRNA siano presenti nel sangue di
pazienti.
MATERIALI E METODI: Gli esosomi sono stati
isolati da una linea cellulare di neuroblastoma in condi-
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
zioni normossiche e ipossiche (1% di O2) mediante
ultracentrifugazioni seriali del terreno di coltura. Gli
esosomi sono stati anche isolati dal plasma di pazienti
di neuroblastoma con l’exoRNeasy serum/plasma midi
kit (QIAGEN). L’espressione dei miRNA esosomiali è
stata valutata con PCR quantitativa (TaqMan Human
MicroRNA Array A).
RISULTATI: Abbiamo dimostrato che l’ipossia
regola il profilo di espressione dei miRNA esosomiali
in vitro: 25 miRNA sono sovraespressi e 16 sottoespressi. Tra i primi rientrano: miR-18a, coinvolto nella proliferazione cellulare; miR-186, promotore di metastasi;
miR-210, un noto marcatore ipossico e miR-155, coinvolto nella risposta infiammatoria. Tra i miRNA sottoespressi è incluso il miR-34a, che inibisce l’angiogenesi
e svolge un ruolo anti-metastatico. Il profilo dei miRNA
esosomali è stato valutato per la prima volta in vivo nel
plasma di dieci pazienti affetti da neuroblastoma.
Abbiamo osservato livelli significativi ma variabili di
miRNA caratteristici della situazione ipossica valutata
in vitro, dimostrando la potenziale esistenza di una
signature ipossica di miRNA esosomali. Sono in corso
ulteriori studi per ampliare la casistica e correlare il profilo dei miRNA esosomali del paziente con la potenziale signature ipossica e con il decorso della malattia.
CONCLUSIONI: Abbiamo ottenuto la prima indicazione che l’analisi dei miRNA esosomali può riflettere lo stato ipossico delle cellule di neuroblastoma, portando a una signature valutabile nel plasma dei pazienti.
Questi dati suggeriscono che la via dello studio dei
miRNA esosomali è percorribile e può portare a nuovi
biomarcatori, ottenibili serialmente e in modo poco
invasivo, permettendo un’accurata descrizione del
decorso della malattia e della risposta alla terapia.
confrontati in termini di complicanze, durata della procedura, degenza ospedaliera, età e peso all’intervento.
RISULTATI: Da Gennaio 2008 a Gennaio 2015
sono state eseguite 148 procedure di chirurgia ad accesso mini-invasivo (34 toracoscopiche e 114 laparoscopiche trans-peritoneali) di cui 82 biopsie (23 toracoscopiche, 59 laparoscopiche) e 66 resezioni (9 toracoscopiche, 57 laparoscopiche) in pazienti affetti da patologia
emato-oncologica. Nei due periodi analizzati sono state
eseguite 58 procedure nel periodo 2008-2010 e 90 nel
periodo 2010-2014. La mediana della durata delle procedure si è ridotta nei due periodi da 90 a 80 minuti e la
mediana della degenza ospedaliera di 3 giorni (range 137) si è mantenuta invariata nei periodi analizzati. L’età
mediana all’intervento dei pazienti si è ridotta da 9 anni
(range 72giorni-18 anni) del primo triennio a 4 anni
(range 50giorni-18 anni) del secondo triennio. Il peso
mediano all’intervento dei pazienti si è ridotto da 33 kg
(range 4-88 kg) a 18 kg (range 5 kg-70 kg). Si sono
verificate 3 complicanze su 148 procedure eseguite
(2%), di cui 2 nel primo triennio. Le biopsie sono risultate diagnostiche nel 97,5% dei casi (80/82). Il followup mediano di 3 anni (range 50giorni-7 anni) non ha
mostrato recidive locali o metastasi port-site nelle
masse trattate; 6 pazienti sono deceduti per storia naturale di malattia.
CONCLUSIONI: La chirurgia mini-invasiva in
pazienti selezionati risulta essere un approccio sicuro ed
efficace. Una tecnica standardizzata e riproducibile
consente al chirurgo una rapida curva di crescita, permettendogli di ampliare il target chirurgico (riduzione
del peso e dell’età dei pazienti all’intervento) e di ottenere una bassa incidenza di complicanze intra e postoperatorie.
P016
P017
LA CHIRURGIA AD ACCESSO MINI-INVASIVO DEL
PAZIENTE PEDIATRICO EMATO-ONCOLOGICO:
ANALISI DELLA CURVA DI APPRENDIMENTO
S. Avanzini1, L. Pio1,2, G. Martucciello1,2, C. Granata3,
M. Conte4, A. Garaventa4, A.R. Sementa5,
C. Manzitti4, M. Nantron4, L. Amoroso4, G. Mattioli1,2
1UOC Chirurgia pediatrica, Istituto Giannina Gaslini;
Genova; 2DINOGMI, Università di Genova, Genova;
3UOC Radiologia, Istituto Giannina Gaslini, Genova;
4Dipartimento di Emato-Oncologia Pediatrica, Istituto
Giannina Gaslini, Genova; 5UOC Anatomia Patologica,
Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italy
131-MIBG TERAPEUTICA ASSOCIATA A
CHEMIOTERAPIA AD ALTE DOSI E TRAPIANTO
AUTOLOGO DI CELLULE STAMINALI PERIFERICHE
IN PAZIENTI AFFETTI DA NEUROBLASTOMA AD
ALTO RISCHIO
L. Amoroso1, M. Nantron1, G. Villavecchia2,
E. Bertelli1, M. Conte1, M. Cabria2, A. Piccardo2,
A. Garaventa1
1UOC Oncologia, Istituto G. Gaslini, Genova;
2Medicina Nucleare, Ospedale Galliera, Genova, Italy
INTRODUZIONE: L’avvio di un programma di
chirurgia mini-invasiva applicato alla patologia pediatrica emato-oncologica in un singolo centro viene analizzato monitorando prospettivamente i risultati, le
complicanze e standardizzando la tecnica chirurgica.
MATERIALI E METODI: Sono state analizzate e
standardizzate le diverse procedure laparoscopiche e
toracoscopiche eseguite, raccogliendo i dati relativi
all’intervento chirurgico e al follow-up post-operatorio.
I risultati della chirurgia ad accesso mini-invasivo di due
periodi di 3,5 anni (2008-2010 e 2010-2014) sono stati
INTRODUZIONE: La meta-iodo-benzil-guanidina
(MIBG) radiomarcata con 131-123-I è impiegata sia a
scopo diagnostico che terapeutico nei tumori derivanti
dalla cresta neurale (feocromocitomi, neuroblastomi,
carcinomi midollari della tiroide). Scopo dello studio è
valutare la tossicità del trattamento radiometabolico con
131-I-MIBG associata a chemioterapia ad alte dosi con
Busulfano-Melphalan e autotrapianto di cellule staminali periferiche (HDC-CSP) in pazienti affetti da neuroblastoma con malattia residua, dopo trattamento di
prima linea o in recidiva.
METODI: Sono stati valutati 24 pazienti affetti da
neuroblastoma refrattario o in recidiva, con malattia
| 23 |
Poster
residua captante 123-I-MIBG dopo chemioterapia di
prima e seconda linea. I 24 pazienti hanno ricevuto il
trattamento radiometabolico con 131-I-MIBG seguito
da HDC-CSP.
RISULTATI: Sono stati trattati 24 pazienti, affetti da
neuroblastoma metastatico alla diagnosi, 12 maschi e 12
femmine, con una età mediana alla diagnosi di 35 mesi
(7-178 mesi). MYCN amplificato in 18 pazienti. Ventitre
pazienti presentavano una malattia refrattaria al trattamento ed un paziente una recidiva di malattia. La dose
mediana di 131-I-MIBG somministrata è stata pari a 8
mCi/kg in media 20 giorni prima della HDC-CSP.
L’attecchimento è stato raggiunto dopo 20 giorni per le
piastrine (13-42 giorni) e 14 giorni per i neutrofili (12-29
giorni). La tossicità immediata è stata rappresentata da
tossicità ematologica e gastro-intestinale di grado 3-4 in
tutti i pazienti, non abbiamo osservato altre tossicità d’organo severe. Le tossicità tardive sono state rappresentate
da ipotiroidismo in 7 pazienti ed ipogonadismo in un
paziente. Sedici pazienti sono recidivati in media a 18
mesi dal trattamento con 131-I-MIBG, 9 sono vivi liberi
da progressione, 4 in remissione completa e 5 con malattia residua, con un follow-up mediano di 6 anni dal trattamento radiometabolico con 131-I-MIBG.
CONCLUSIONI: Questo studio mostra che il trattamento radiometabolico con 131-I-MIBG può essere
associato al condizionamento con Busulfano-Melphalan
seguito da trapianto di cellule staminali periferiche in
pazienti affetti da neuroblastoma ad alto rischio.
P018
NEUROBLASTOMA CONGENITO CON
COMPRESSIONE EPIDURALE SINTOMATICA
ALLA NASCITA
A.R. Gigliotti1, S. Sorrentino1, M.A. De Ioris3,
M. Podda4, M. Cellini5, C. Suffia1, B. De Bernardi1,
C. Gandolfo1
1Istituto Giannina Gaslini, Genova; 2Ospedale Bambin
Gesù, Roma; 3Istituto Nazionale Tumori, Milano;
4Università di Modena, Modena, Italy
PREMESSE: Il 7-10% dei neuroblastomi si presenta con sintomi di compressione epidurale spinale
(SEC). Il trattamento d’elezione di tale condizione non
è ancora definito. Più della metà dei pazienti sviluppa
sequele permanenti. Occasionalmente i sintomi da compressione epidurale si manifestano alla nascita. La letteratura in merito è limitata a pochi casi con follow up a
breve termine. Nessuno dei sopravvissuti ha mostrato
recupero neurologico completo, ad eccezione di due
casi, la cui nascita è stata anticipata. I tre casi qui
descritti hanno un follow up superiore a cinque anni
allo scopo di meglio definire le sequele a distanza.
METODI: Dei 1.436 pazienti di età compresa tra 018 anni diagnosticati tra il 2000 e il 2011, arruolati nel
Registro Italiano Neuroblastoma, 75 (5,2%) hanno presentato SEC, di cui e 3 avevano SEC alla nascita.
RISULTATI: I tre pazienti sono tutti nati a termine
di gravidanza. Durante il terzo trimestre è stata eseguita
ecografia risultata nella norma. Paziente 1, femmina.
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SEC: ipotonia arti e ipomobilità. Terapia: 4 cicli di chemioterapia. Sequele: vescica neurologica, scoliosi.
Paziente 2, femmina. SEC: ipotonia arti, assenza di
movimenti spontanei, areflessia. Terapia: 2 cicli di chemioterapia. Sequele: vescica neurologica, stipsi.
Paziente 3, maschio. SEC: ipotonia arti e ipotrofia
muscolare. Terapia: 6 cicli di chemioterapia. Sequele:
vescica neurologica, ipotrofia arti inferiori, piede destro
equino-varo (Tabella 1).
Tabella 1.
Caso/Sesso Gestazion
/ anno di
e
diagnosi
(settimane
)
1/F/ 2008
2/F/ 2008
3/M/ 2011
Sintomi
di SEC
Terapia
40
Ipotonia
degli arti,
scarsa
motilità
2
CARBO/VP
, 2 CADO,
steroide
Migliorament
o
168
Vescica
neurologica
,
paraparesi,
scoliosi
39
Ipotonia
degli arti,
riduzione
motilità
spontanea
,
iporeflessi
a
2
CARBO/VP
, steroide
Migliorament
o
81
Vescica
neurologica
,
paraparesi,
stipsi
4
CARBO/VP
, 2 CADO,
steroide
Migliorament
o
77
Vescica
neurologica
, ipotrofia
AAII, piede
destro
equinovaro
38
Ipotonia
degli arti,
ipotrofia
muscolare
glutei
Risposta
neurologica
FU
mes
i
Sequele
CONCLUSIONI: Questi tre casi confermano che i
nati a termine di gravidanza con neuroblastoma e SEC
sopravvivono con sequele permanenti. Nei due unici
casi sopravvissuti liberi da sequele, la nascita era stata
anticipata in seguito alla scoperta ecografica di tumore
paravertebrale. Questa esperienza, per quanto limitata,
suggerisce che l’ecografia del terzo trimestre debba
tenere in maggior conto la possibilità di rivelare tumori
paravertebrali. In questi casi la RMN fetale consentirebbe di acquisire gli elementi utili al fine di anticipare
la nascita.
P019
GEMCITABINA E DOCETAXEL NEI SARCOMI
OSSEI RECIDIVANTI IN PAZIENTI PEDIATRICI
E GIOVANI ADULTI: PROFILI DI EFFICACIA E
SICUREZZA
S. Vizzuso, L. Coccoli, E. Dati, E. De Marco, L. Luti,
G. Casazza, C. Favre
UO Oncoematologia Pediatrica AOUP Azienda
Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa, Italy
INTRODUZIONE E SCOPO: La combinazione di
gemcitabina e docetaxel (GEMDOX) ha mostrato risultati promettenti nei sarcomi diagnosticati in età adulta.
Nello nostro studio sono state valutate l’efficacia e la
tossicità di GEMDOX come terapia non di prima linea
in pazienti pediatrici e giovani adulti affetti da osteosarcoma (OS) e sarcoma di Ewing (SE) recidivanti.
METODI: Lo studio retrospettivo ha considerato
una coorte di dieci pazienti affetti da OS o SE recidivanti dopo fallimento della terapia standard multimo-
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
dale e sottoposti a trattamento con GEMDOX. Due
pazienti affetti da OS hanno ricevuto in infusione
endovenosa la gemcitabina alla dose di 900 mg/m2
(giorni 1 e 8) e docetaxel alla dose di 75 mg/m2 (giorno 8). I restanti otto pazienti hanno ricevuto la gemcitabina alla dose di 1000 mg/m2 e docetaxel alla dose
di 100 mg/m2, seguendo lo stesso schema terapeutico.
RISULTATI: I pazienti (età alla diagnosi 8-36
anni) hanno ricevuto un totale di 69 cicli di chemioterapia (mediana 6 cicli, range 3-12 cicli). Quattro
pazienti erano affetti da OS e sei da SE. Al termine del
trattamento con GEMDOX il tasso di risposta globale
è stato del 40%, registrando 4 risposte parziali (PR).
La sopravvivenza mediana libera dalla progressione di
malattia (PFS) è stata di 5 mesi (RIQ:3-7mesi) e la
sopravvivenza globale mediana è stata di 10 mesi
(RIQ:9-16mesi). Il trattamento con GEMDOX è stato
complessivamente ben tollerato. La tossicità di grado
3 o 4 riscontrata è stata infrequente e prevalentemente
ematologica: l’incidenza di anemia, leucopenia e piastrinopenia è stata rispettivamente del 4.3%, 26.1% e
7% (Figura 1).
denti simili presenti in letteratura. GEMDOX può
essere incluso nell’armamentario terapeutico dell’OS
e del SE recidivanti come una linea chemioterapica
attiva. È necessario tuttavia sperimentare la combinazione GEMDOX in coorti di pazienti più numerose.
GEMDOX si è inoltre dimostrato un regime chemioterapico caratterizzato da un basso profilo di tossicità in
grado di consentire una buona qualità di vita.
P020
SARCOMA ALVEOLARE DELLE PARTI MOLLI
METASTATICO: QUALE TERAPIA?
F. Di Marco, C. Mosa, A. Trizzino, S. Tropia,
A. Macaluso, D. Russo, O. Ziino, P. D’Angelo
UO di Oncoematologia Pediatrica, ARNAS Civico, Di
Cristina e Benfratelli, Palermo, Italy
INTRODUZIONE: Il sarcoma alveolare delle parti
molli (ASPS) è un tumore molto raro in età pediatrica,
spesso chemio e radioresistente. Descriviamo il caso
di un bambino affetto da ASPS della gamba sinistra
con metastasi polmonari, che, per errata diagnosi iniziale, è stato trattato con chemioterapia (CT), senza
risultato, che ha poi mostrato una buona risposta al
Sunitinib.
Figura 1. La TC dell’esordio mostra una lesione del 1/3 superiore della gamba sx che coinvolge il perone e la tibia (A), ed
innumerevoli noduli polmonari bilaterali (B). Dopo 10 mesi di
Sunitinib buona risposta locale (C) e riduzione del numero e
delle dimensioni dei noduli polmonari (D).
Figura 1.
"
CONCLUSIONI: Il profilo di efficacia di GEMDOX e il PFS riscontrati nel presente studio sono
risultati superiori a quelli delineati negli studi prece"
CASO CLINICO: Maschio, 12 anni, dolore e
tumefazione alla gamba sinistra. La TC evidenzia
lesione a margini irregolari (8,5x5 cm) al 1/3 prossimale della gamba, con presenza di skip metastasis e
circa 50 noduli polmonari bilaterali (Figura 1 A,B).
"
Posta diagnosi di PNET con agobiopsia, viene intrapresa CT secondo Protocollo EW2. Dopo i primi 4
cicli VAI-CE-VAI-CE progressione locale e delle
lesioni polmonari, confermata dopo 2 ulteriori cicli
| 25 |
Poster
TEMIRI. La revisione istologica consente di modificare la diagnosi in ASPS. Dopo 4 cicli ICE, invariato
il reperto polmonare e modesta risposta locale, viene
iniziata terapia con Sunitinib (50 mg/die). Dopo 1
mese risposta polmonare con stazionarietà della
malattia locale. Ai successivi controlli, eseguiti ogni 3
mesi, iniziale progressiva riduzione numerica dei
noduli polmonari e della lesione primitiva (Figura 1
C,D). Gli ultimi 2 controlli mostrano un quadro stazionario. Il paziente pratica terapia da 14 mesi. Il trattamento è stato gravato da vari effetti collaterali, ematologici e non: piastrinopenia (grado 3), lesioni simileritema nodoso del palmo delle mani, bradicardia
sinusale (FC 40 bpm), insufficienza renale (grado 2),
diarrea, dolore addominale, febbre, alterazione della
pigmentazione di cute e capelli, ipercheratosi dolorosa
dei piedi, tutti regrediti senza sospendere il farmaco.
Dopo 11 mesi comparsa di incremento ponderale e di
ipotiroidismo, in attuale terapia sostitutiva. Negli ultimi 4 mesi, la dose del farmaco è stata ridotta a 25
mg/die con notevole miglioramento della tolleranza.
CONCLUSIONI. L’ASPS mostra una sensibilità
alla CT standard <10%. Un outcome favorevole è possibile in presenza di una lesione localizzata asportabile
completamente. Per le altre presentazioni la prognosi
resta sfavorevole e mancano linee-guida per il trattamento. La terapia con Sunitinib (come già segnalato in
letteratura) si è dimostrata efficace nel determinare
una risposta e successivamente una stabilizzazione,
con un’accettabile qualità della vita.
le lesioni. Diagnosi lesione destra: melanoma a diffusione superficiale, III stadio di Clark e spessore di
Braslow 0,50 mm (Figura 1 B,C). Diagnosi lesione
sinistra: iperplasia melanocitaria di tipo lentigginoso.
Entrambe le lesioni sono associate ad aspetti di lichen
sclero-atrofico (Figura 1 D). Mutazioni c-kit e PDGFRA negative.
DISCUSSIONE: In assenza di linee guida specifiche per i melanomi delle mucose, si programma stadiazione secondo linee guida per i melanomi cutanei
TNM/American Joint Committee on Cancer (AJCC),
in accordo con le raccomandazioni del gruppo TREPAIEOP. Rx torace ed ecografia addominale negative;
ecografia regioni inguinali: presenza di due linfonodi
aumentati di volume con caratteristiche di reattività.
Seppur dibattuto il suo ruolo, si decide di completare
stadiazione con TC-PET che mostra assenza di captazione. Viene programmato follow-up clinico mensile,
visita dermatologica, Rx torace ed ecografia addomino-inguinale trimestrali. La paziente è attualmente in
remissione completa dopo 10 mesi dall’asportazione
chirurgica radicale delle lesioni.
P021
MELANOMA VULVARE E LICHEN
SCLEROATROFICO IN ETÀ PEDIATRICA:
CASO CLINICO
C. Meli, M. La Spina, S. D’Amico, L. Lo Nigro,
G. Russo, A. Di Cataldo
UOC Ematologia-Oncologia Pediatrica, AOU
Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania, Italy
INTRODUZIONE: Il melanoma in età pediatrica è
molto raro, 2% dei casi <20 anni e 0.2-0.3% in età prepuberale. Meno del 2% dei melanomi insorge nelle
mucose e la sede più frequente è la vulva. L’incidenza
di melanoma vulvare in età pediatrica non è nota e, in
letteratura, risultano informazioni solo su 5 casi, tutti
associati ad evidenza istologica di lichen scleroatrofico. Descriviamo il sesto caso pediatrico di melanoma
vulvare associato a lichen sclero-atrofico.
CASO CLINICO: 11 anni, prurito vulvare, in
assenza di lesioni visibili. Dopo un mese circa, comparsa di una lesione iperpigmentata, piana, a margini
irregolari, forma allungata sul lato destro delle grandi
labbra accompagnata da una piccola lesione dalle
caratteristiche simili in sede controlaterale, in assenza
di linfonodi inguinali palpabili (Figura 1 A). La biopsia della lesione destra evidenzia proliferazione
melanocitaria atipica a livello della giunzione tra epitelio e connettivo sottoepiteliale. Si procede con intervento di asportazione chirurgica completa di entrambe
| 26 |
Figura 1.
CONCLUSIONI: La rarità del melanoma vulvare e
i pochi dati disponibili, soprattutto in età pediatrica, sottolineano la difficoltà degli oncologi pediatri nel pianificare un appropriato e condiviso iter diagnostico-terapeutico. Pertanto, è auspicabile la stretta collaborazione
tra oncologi, dermatologi, chirurgi plastici e anatomopatologi per favorire la precocità della diagnosi e il
miglioramento della prognosi.
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
P022
P023
STUDIO DI SORVEGLIANZA SULLA KLEBSIELLA
KPC IN PAZIENTI PEDIATRICI SOTTOPOSTI A
TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO ALLOGENICO:
UNA PROPOSTA DI APPROCCIO TERAPEUTICO
BASATA SULL’EPIDEMIOLOGIA LOCALE
E. Brivio1, M. Verna1, S. Casagranda1, A. Balduzzi1,
A. Rovelli1, A. Cavallero2, G. Migliorino3
1Clinica Pediatrica-Ematologia Pediatrica/CTMO,
Ospedale S. Gerardo, Monza (MB); 2UO Microbiologia e
virologia, Ospedale S. Gerardo, Monza (MB); 3UO
Malattie infettive, Ospedale S. Gerardo, Monza (MB),
Italy
PAZIENTI A RISCHIO DI SVILUPPARE EBV-PTLD
POST TRAPIANTO ALLOGENICO DI CELLULE
STAMINALI EMATOPOIETICHE IN ETÀ PEDIATRICA:
IDENTIFICAZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO E
VERIFICA DELL’ADEGUATEZZA DEL SANGUE
INTERO QUALE MATRICE BIOLOGICA PER IL
MONITORAGGIO EMATICO DELL’INFEZIONE
DA EPSTEIN-BARR VIRUS
T. Belotti1, A. Chiereghin2, D. Gibertoni3, G. Piccirilli2,
L. Gabrielli2, A. Prete1, A. Pession1, T. Lazzarotto2,4
1Oncoematologia Pediatrica e Trapianto “Lalla
Seràgnoli”, UO di Pediatria, Policlinico Universitario
Sant’Orsola-Malpighi, Bologna; 2UO di Micro-biologia, Policlinico Universitario Sant’Orsola-Malpighi,
Bologna; 3DIBINEM-Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie, Unità di supporto metodologico
e statistico alla ricerca biomedica e sui servizi sanitari,
Università di Bologna; 4DIMES-Dipartimento di
Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale,
Università di Bologna, Italy
INTRODUZIONE: L’emergenza di infezioni da
Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemici
(KPC) è un problema crescente a livello globale; la prevalenza di KPC è particolarmente elevata nell’area del
Mediterraneo. Da uno studio del Gruppo Italiano
Trapianto Midollo Osseo (GITMO) circa il 60% dei
Centri ha registrato almeno una infezione da KPC; nella
popolazione pediatrica l’incidenza è risultata del 2% e la
mortalità del 60%. Un trattamento precoce mirato per
KPC sembra essere l’unico fattore associato ad una riduzione della mortalità.
MATERIALI E METODI: Nel biennio 2013-2014
72 pazienti consecutivi sottoposti a trapianto di midollo
osseo allogenico (allo-TMO) presso l’Ematologia
Pediatrica-CTMO dell’Ospedale San Gerardo di Monza
sono stati monitorati con tampone rettale (TR) settimanale per KPC durante il ricovero per trapianto.
RISULTATI: In 8 pazienti si è riscontrata una positivizzazione del TR per KPC (11%). Di questi, 3 hanno
sviluppato una sepsi documentata da emocoltura, con
un’incidenza di infezione del 4% (3/72); nessun paziente
ha sviluppato infezione senza precedente evidenza di
colonizzazione. Tali infezioni si sono verificate ad oltre
100 giorni da trapianto; tutti i pazienti erano in trattamento steroideo per GVHD ad interessamento intestinale. La
mortalità correlata ad infezione è stata del 33% (1/3). Gli
isolati microbiologici hanno evidenziato uno spettro di
sensibilità del 60% ai carbapenemici, dell’80% all’amikacina e del 100% a tigeciclina e colistina.
DISCUSSIONE: Nella nostra casistica l’incidenza di
colonizzazione ed infezione da KPC è risultata superiore
rispetto a quanto riportato nel recente studio GITMO
(11% vs 2.4% e 4% vs 1.8% rispettivamente). Tuttavia
tale dato potrebbe essere correlato alla numerosità limitata del nostro campione oltre che ai differenti periodi in
studio (2013-2014 vs 2010-2013), in linea con i dati epidemiologici in crescita. I dati relativi alle KPC colturate
nell’intero ospedale San Gerardo dimostravano una prevalenza del 20% di ceppi KPC colistino-resistenti nel
periodo 2008-2012, con un profilo fenotipico di sensibilità alla tigeciclina del 90% nel quinquennio 2010-2014.
Diversamente dal resto dell’ospedale gli isolati microbiologici nei nostri pazienti hanno mostrato una piena sensibilità alla colistina. Sulla base di questi dati la proposta di
strategia terapeutica adottata presso il nostro Centro prevede regimi colistino-sparing in prima linea e successiva
modifica terapeutica in base al fenotipo ottenuto.
INTRODUZIONE: La malattia linfoproliferativa
post-trapianto EBV(Epstein-Barr virus)-relata (EBVPTLD) è una complicanza frequentemente fatale posttrapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (allo-TCSE) in età pediatrica. La diagnosi precoce
è fondamentale per identificare tale patologia in una
fase che abbia maggior probabilità di rispondere alla
terapia. Nel sangue periferico dei pazienti all’esordio
di PTLD si rilevano elevati livelli di EBV-DNA1. Da
molti anni la quantificazione in campioni di cellule
mononucleate del sangue periferico (PBMC) viene
considerata il “gold standard” per il monitoraggio del
rischio di sviluppare EBV-PTLD. Scopi dello studio
sono l’identificazione di fattori clinici di rischio associati ad infezione attiva da EBV e la verifica dell’adeguatezza, per il precoce riconoscimento dei pazienti a
rischio di sviluppare PTLD, del monitoraggio
dell’EBV su sangue intero: matrice biologica più semplice e più rapida da processare.
MATERIALI E METODI: Sono stati arruolati 28
pazienti pediatrici sottoposti consecutivamente ad alloTCSE tra marzo 2012 e novembre 2013 presso
l’Oncoematologia Pediatrica e Trapianto del Policlinico
Sant’Orsola-Malpighi di Bologna (Tabella 1). La quantificazione di EBV-DNA su sangue intero è stata effettuata settimanalmente per tutti i pazienti mediante test
di PCR real-time quantitativo. Per i pazienti ad alto
rischio di sviluppare EBV-PTLD (>10.000 copie/ml
su sangue intero), la quantificazione di EBV-DNA è
stata valutata sia su sangue intero che su PBMC.
RISULTATI: L’anemia aplastica severa, il trapianto matched unrelated donor e il regime di condizionamento ad intensità ridotta sono stati identificati come
fattori di rischio associati ad elevati livelli di EBVDNAemia (p<0.05). È stata osservata una tendenza
all’associazione tra sviluppo di infezione da EBV con
alto carico virale e deplezione in vivo T-cellulare
mediante ATG (p=0.081). La correlazione osservata
| 27 |
Poster
tra livelli di EBV-DNA nel sangue intero e nei campioni di PBMC si è dimostrata significativa (r=0,755,
p<0.001) (Figura1). La cinetica di replicazione di
EBV osservata nei due compartimenti del sangue è
risultata simile in tutti i pazienti. In ambito clinico,
entrambi i tipi di campioni si sono dimostrati informativi per valutare il rischio dei pazienti di sviluppare
EBV-PLTD.
Tabella 1. Caratteristiche dei pazienti e monitoraggio EBVDNAemia su sangue intero.
P024
DEFICIT DI PURIN NUCLEOSIDE FOSFORILASI:
DIAGNOSI E TRATTAMENTO
R. Baffelli1, M. Zucchi1, E. Soncini2, L. Notarangelo2,
F. Bolda1, A. Beghin1, F. Porta2, A. Caruso3,
A. Lanfranchi1
1UO Microbiologia e Virologia, Sezione di Ematologia
e Coagulazione, Laboratorio Cellule Staminali,
Ospedale dei Bambini, Brescia; 2UO Oncoematologia
Pediatrica e Trapianto Midollo Osseo, Ospedale dei
Bambini, Brescia; 3Sezione di Microbiologia,
Dipartimento di Medicina Molecolare e Traslazionale,
Università di Brescia, Brescia, Italy
Il deficit di Purin Nucleoside Fosforilasi (PNP) è una
rara malattia metabolica autosomica recessiva che rappresenta circa il 4% di tutte le SCID. Accertamenti clinici
mostrano infezioni ricorrenti, epatomegalia, splenomegalia e ritardo dello sviluppo; sono frequenti malattie
autoimmuni come anemia emolitica autoimmune, trombocitopenia idiopatica, neutropenia autoimmune, lupus
sistemico. La varietà dei sintomi può causare difficoltà
nell’inquadramento iniziale. 8 pazienti sono arrivati al
nostro Centro con sintomi ascrivibili a deficit di PNP
(Tabella 1).
Tabella 1.
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Figura 1. Correlazione tra livelli di EBV-DNA nel sangue intero
e nei campioni di CMSP.
DISCUSSIONE: I fattori di rischio rilevati sono in
totale accordo con la letteratura. I dati riportati dimostrano che il sangue intero è un’adeguata matrice biologica
per il monitoraggio e la gestione dell’infezione da EBV
post allo-TCSE e per la prevenzione di EBV-PTLD.
BIBLIOGRAFIA
1. Bordon V et al. Incidence, kinetics, and risk factors of
Epstein-Barr virus viremia in pediatric patients after allogeneic stem cell transplantation. Pediatr Transplant
2012;16:144-150.
| 28 |
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Diagnosi enzimatica e molecolare sono state eseguite
nel nostro laboratorio. Per 2 di questi, la diagnosi enzimatica non è stata possibile perché trasfusi. 5 hanno
mostrato valori border-line compatibili con una possibile
trasfusione non segnalata, 1 paziente (ML) non ha
mostrato attività enzimatica. Per tutti è stata eseguita diagnosi molecolare. ML è stato confermato come deficit
PNP, con una mutazione in omozigosi E89K, 3 pazienti
hanno mostrato un polimorfismo ma nessuna mutazione
causativa e 4 non hanno mostrato nessuna alterazione. Di
questi BG è stato diagnosticato come SCID T-B+NK-,
ME aplasia midollare,TH Immunodeficienza Primaria.
Tutti e tre sono stati sottoposti a HSCT. Il deficit di PNP
(ML) ha ricevuto HSCT da MUD 4 mesi dopo la diagnosi. Prima del trapianto presentava ritardo nello sviluppo
psicomotorio e del linguaggio e la comparsa di un emiplegia di grado medio sul lato sinistro a causa di una
trombosi venosa probabilmente su base infettiva. Ha
ricevuto 15x106 CD34+/Kg e 25x106 CD3+/Kg. Il regi-
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
me di condizionamento è stato Busulfano/ATG/
Ciclofosfamide. Dopo HSCT ha presentato GVHD epatica e cutanea di grado II. 110 mesi dopo HSCT il paziente è privo di complicazioni infettive, e la GVHD risolta.
L’attecchimento è completo per tutte le sottopopolazioni
e i valori enzimatici di PNP sono nel range di normalità.
Attualmente non presenta peggioramento neurologico e
mostra un parziale recupero della funzionalità del lato
sinistro. Il HSCT allogenico nel deficit di PNP può offrire la possibilità di correggere l’immunodeficienza e quindi prevenire un ulteriore peggioramento neurologico. Il
deficit di PNP è una malattia rara, meno di 100 pazienti
sono stati diagnosticati nel mondo ed i sintomi, simili ad
altre immunodeficienze, possono causare difficoltà nell’inquadramento iniziale.
0.5 e 2 nel gruppo A e 2 e 3 nel gruppo B. Il take di piastrine e neutrofili è stato rispettivamente 18 e 11 nel
gruppo A e 17 e 12 nel gruppo B. La sopravvivenza globale (OS) a 5 anni è stata 61.5% nel gruppo A e 50% nel
gruppo B (p=0.31). La sopravvivenza libera da recidiva
(RFS) a 5 anni è stata 23.1% nel gruppo A e 37.5% nel
gruppo B (p=0.16).
Tabella 1.
Pazienti trattati alla ricaduta
(gruppo A)
N° pazienti
13
8
M/F
8/5
3/5
Età mediana
12 anni
10 anni
Sede
6 assiale, 5 estremità, 2 extraosseo
6 assiale e 2 estremità
Metastasi alla 2
diagnosi
P025
TERAPIA DI CONSOLIDAMENTO CON
MITOXANTRONE E MELPHALAN AD ALTE DOSI E
RESCUE AUTOLOGO IN PAZIENTI DI ETÀ
PEDIATRICA CON SARCOMA DI EWING A
CATTIVA PROGNOSI
N. Puma1, M. Podda1, E. Schiavello1, C. Meazza1,
M. Casanova1, L. Bergamaschi1, P. Coluccia2,
C. Morosi3, A. Della Valle4, M. Massimino1,
R. Luksch1
1SC Oncologia Pediatrica, Fondazione IRCCS Istituto
Nazionale dei Tumori, Milano; 2SIMT, Fondazione
IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano;
3Dipartimento di radiologia, Fondazione IRCCS Istituto
Nazionale dei Tumori, Milano; 4Centro Oncologico
Ortopedico, Istituto Ortopedico G. Pini, Milano, Italy
INTRODUZIONE E OBIETTIVI: La prognosi del
sarcoma di Ewing (ES) ad alto rischio alla ricaduta è sfavorevole e la chemioterapia a dosi mieloablative (HDCT) con rescue autologo potrebbe rappresentare un’opzione terapeutica per superare la chemioresistenza.
Obiettivi dello studio sono valutare sicurezza ed efficacia
di un regime diverso da busulfano e melphalan in pazienti pediatrici con ES alla ricaduta o in prima linea.
METODI: Studio prospettico unicentrico che prevede consolidamento con Mitoxantrone 60 mg/mq e
Melphalan 180 mg/mq e autotrapianto in pazienti ricaduti (gruppo A) o in prima linea (gruppo B), dopo alte
dosi sequenziali con ciclofosfamide ed etoposide e raccolta di precursori emopoietici. La dose cumulativa di
epirubicina ricevuta è 240 mg/mq.
RISULTATI: Sono stati arruolati 21 pazienti
(Tabella 1). La raccolta di precursori emopoietici
(media: 5.9x10(6) CD34+/kg, range 2.675x10(6)11.4x10(6)) è stata ottenuta mediante una media di 2.09
aferesi nei due gruppi. HD-CT ha causato mucositi di
grado 3-4 con necessità di supporto nutrizionale in tutti
i pazienti del gruppo B ed in 7 (54%) del gruppo A. Si
è verificato un caso di shock settico nel gruppo B. Non
ci sono state morti tossiche, né sequele cardiologiche.
La durata mediana del ricovero è stata 22.5 giorni nel
gruppo A e 26 nel gruppo B. Il numero mediano di trasfusioni di emazie e piastrine è stato rispettivamente di
Pazienti trattati in prima linea
(gruppo B)
5
!
CONCLUSIONI: L’OS e la RFS a 5 anni dopo HDCT sono comparabili nei due gruppi. Una maggiore tossicità in termini di mucosite si è avuta nel gruppo B.
HD-CT e trapianto autologo con Mitoxantrone e
Melphalan può rappresentare un’opzione terapeutica
anche in pazienti ricaduti e trattati con dosi contenute di
antracicline.
P027
UN CASO DI LEUCOENCEFALOPATIA MULTIFOCALE
AD ESITO FAVOREVOLE IN PAZIENTE AFFETTO
DA SINDROME DA IPER-IgE IN FOLLOW-UP
POST-TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI
EMOPOIETICHE DA DONATORE COMPATIBILE
NON FAMILIARE
S. Guarisco1, M.I. Bosio2, C. Donati2, I. Rochira2,
M. Colpani3, A. Lanfranchi4, F. Porta1
1UO Oncoematologia e Centro Trapianti di Midollo
Osseo Pediatrico, Ospedale dei Bambini, Brescia; 2UO
Clinica Pediatrica, Ospedale dei Bambini, Brescia;
3Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, Univeristà
degli Studi di Brescia; 4UO Microbiologia e VirologiaSezione Ematologia e Coagulazione, Laboratorio Cellule
Staminali, Ospedale dei Bambini, Brescia, Italy
La leucoencefalopatia multifocale progressiva
(PML) è una rara e spesso fatale infezione demielinizzante a carico del sistema nervoso centrale, causata dal
polyomavirus JC in soggetti immunodepressi.
Inizialmente descritta in pazienti HIVpositivi, colpisce
anche pazienti sottoposti a trapianto, ad esordio tardivo
con sintomatologia subacuta ma velocemente ingravescente. Non sono disponibili terapie antivirali specifiche. L’aumento dei linfociti TCD4+ si associa ad una
maggiore sopravvivenza a lungo termine nei pazienti
HIVpositivi in terapia antiretrovirale, così l’utilizzo del
Cidofovir. L.I., sottoposto a trapianto di cellule staminali emopoietiche (TMO) da donatore compatibile non
familiare (MUD) a 11 anni per Immunodeficienza da
Sindrome da IperIgE (mutazione DOCK8) diagnosticata in seguito a aspergillosi invasiva post-chemioterapia
| 29 |
Poster
per neuroblastoma. Sette mesi dopo il trapianto è giunto
alla nostra osservazione per cefalea, nausea e vomito
mattutino. La ricostituzione immunologica non era
ancora completa (linfopenia con CD4+ 56cell/mcL,
risposta proliferativa ai mitogeni normale a CD3 e
ridotta a PHA); chimerismo su PBL e PMN 100% donatore; Ag Aspergillo negativo. E’ stata riscontrata una
riattivazione del polyomavirus JC con progressivo
aumento del titolo plasmatico (fino a 172205copie/mL);
la RMN ha mostrato un quadro compatibile con PML.
Veniva infusa una dose di Cidofovir, sospeso per tossicità renale. Non essendo presenti segni di graft-versushost-disease (GVHD) ed essendo trascorsi 11 mesi dal
trapianto, è stata sospesa la terapia immunosoppressiva
(ciclosporina A). Dopo 2 mesi il paziente ha normalizzato la risposta proliferativa ai mitogeni anche a PHA.
Dopo un anno il titolo plasmatico del polyomavirus JC
si è negativizzato; all’analisi delle sottopopolazioni
linfocitarie un incremento dei CD4+ (443cell/mcL). I.
non ha più lamentato cefalea né nausea e non ha sviluppato altri deficit neuro-cognitivi. Il quadro neuroradiologico è risultato in miglioramento, con lesioni corticosottocorticali invariate per estensione, riduzione dell’edema e assenza di nuove lesioni. Non sono emersi segni
di GVHD. L’infezione da polyomavirus JC dovrebbe
essere considerata in caso di comparsa di sintomatologia neurologica, anche sfumata, in pazienti in terapia
immunosoppressiva. Anche nei pazienti sottoposti a
TMO, un’utile strategia per contrastare l’infezione da
polyomavirus JC ed arrestare la fatale evoluzione della
PML, sembrerebbe essere quella di consentire al
paziente di ricostituire la propria immunità sospendendo la terapia immunosoppressiva, laddove l’assenza di
GVHD lo consenta.
P028
STUDIO PROSPETTICO MONOCENTRICO PER
VALUTARE IL POTENZIALE DIAGNOSTICO
DELL’ELASTOMETRIA EPATICA E DI SCORES
BIOCHIMICI E STRUMENTALI DI PREDIRE LO
SVILUPPO DI COMPLICANZE SEVERE DEL
FEGATO IN PAZIENTI SOTTOPOSTI A TRAPIANTO
DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE
K. Kleinschmidt1, G. Marasco2, A. Prete1,
A. Colecchia3, R. Masetti1, D. Festi2, A. Pession1
1Oncologia Ematologia e Trapianto di CSE, UO
Pediatria, Università degli Studi di Bologna; 2SSD
Gastroenterologia: diagnosi e trattamento delle
Malattie delle vie biliari, Dipartimento dell’apparato
digerente, Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, Bologna;
3Gastroenterologia Bazzoli, Dipartimento dell’apparato
digerente, Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, Bologna,
Italy
Il danno epatico rappresenta una delle complicanze
più frequenti dopo trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE). Nella fase precoce post-trapianto,
epatotossicità legata a farmaci, GvHD epatica, venoocclusive disease (VOD), infezioni sistemiche e colestasi sono potenzialmente responsabili di incremento
| 30 |
della morbidità e mortalità correlati al trapianto. La
disponibilità di parametri diagnostici epato-specifici
predittivi di danno epatico sono quindi essenziali per
poter identificare pazienti con maggiore rischio di sviluppare complicanze epatiche post-trapianto.
L’elastometria (Transient elastography; TE) è una
metodica ecografica che misura l’elasticità epatica
(liver stiffness, LS) e rileva con precisione il grado di
fibrosi epatica. Inoltre, la variazione dei valori di LS sì
è dimostrata utile per il monitoraggio dell’ipertensione
portale. Uno studio preliminare eseguito su popolazione
adulta ha evidenziato un possibile ruolo predittivo della
misurazione della LS nei confronti della tossicità epatica post-TCSE. Non esistono al momento dati relativi al
significato prognostico della TE in una popolazione
pediatrica. Il nostro Centro in collaborazione con il
Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche ha elaborato un protocollo con lo scopo di valutare il potenziale della TE nel predire lo sviluppo di complicanze
severe epatiche in pazienti sottoposti a TCSE. Al
momento attuale sono stati arruolati 4 pazienti di cui 2
hanno sviluppato un quadro clinico di VOD (Seattle criteri, modificati). Nei pazienti con VOD, la TE del fegato ha mostrato un rialzo significativo (14.6 kP e 10.3
kPa rispettivamente (vedi grafico)) dei valori della LS,
antecedente di 4 giorni il quadro clinico-laboratoristico
tipico di VOD. Il suddetto quadro è stato confermato
successivamente dall’ecografia addome (criteri
Lassau), sebbene le transaminasi fossero ancora nel
range di normalità. La bilirubinemia al momento della
rilevazione (giorno +18) era di 2.18 e 2.03 mg/dl rispettivamente, ma l’interpretazione di tale aumento non era
facilmente valutabile in quanto erano stati raggiunti
valori ancora più alti già nella fase immediatamente
successiva alla infusione delle CSE (pz 1 con 3.53
mg/dl al g +5; pz 2 con 3.87 mg/dl al g +10). Questi
dati, seppur estremamente preliminari, indicano un
importante ruolo della TE nel predire l’evoluzione
potenzialmente negativa e la gravità di un quadro di iniziale tossicità epatica (Figura 1).
Liver stiffness assessment pre and post
hematopoietic stem cells transplantation
VOD
SK KM
Transplantation
16
14
LS (kPa)
12
ST
KM
BP
SK
10
8
6
4
2
0
-7 -7
+1
1
+7
7+15
+17
15
+18
25
+2130+22
Classificazione fibrosi sec. Metavir:
F0-F1 2.5-7.4 kPa; F2 (lieve) >=7.5; F3 (moderata) >=9.5; F4 (severa) >=12.5
Figura 1.
Days
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
P029
P030
ANALISI DELLE COMPLICANZE PRECOCI E
TARDIVE DOPO TRAPIANTO DI MIDOLLO IN
BAMBINI AFFETTI DA IMMUNODEFICIENZA
COMBINATA GRAVE: RUOLO DEL REGIMI DI
CONDIZIONAMENTO
E. Soncini, S. Guarisco, F. Schumacher, A. Lanfranchi,
L. Notarangelo, F. Bolda, R. Baffelli, F. Porta
Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianto Midollo
Pediatrico; Ospedale dei Bambini, Brescia; UO
Microbiologia e Virologia, Sezione di Ematologia e
Coagulazione, Lab. Cellule Staminali, Ospedale dei
Bambini, Brescia, Italy
UN CASO DI LEUCOENCEFALOPATIA
PROGRESSIVA COMPLICATA DA SINDROME
EMOLITICA-UREMICA ATIPICA IN PAZIENTE
POST-RT SEGUITA DA DOPPIO auto-TMO PER
MEDULLOBLASTOMA METASTATICO
C. D’Ippolito1, S. Cavagnini1, L. Pinelli2, F. Ricci1,
M. Maffeis1, V. Folsi1, F. Schumacher1, C. Cereda3,
F. Terraneo4, F. Bonetti5, R. Micheli6, C. Agapiti7,
G. Ardissino8, A. Bardoni9, P. Ferremi10, F. Porta1
1Oncoematologia Pediatrica, Spedali Civili, Brescia;
2Neuroradiologia,
Spedali
Civili,
Brescia;
3Neurochirurgia, Spedali Civili, Brescia; 4Radioterapia
Pediatrica, Istituto del Radio, Spedali Civili, Brescia;
5Anatomia
Patolgica, Spedali Civili, Brescia;
6Neuropsichiatria Infantil, Spedali Civili, Brescia;
7Anestesia e Rianimazione Pediatrica, Spedali Civili,
Brescia; 8Centro SEU, Fondazione IRCCS Cà Granda
Ospedale Maggiore, Policlinico di Milano; 9IRCCS “E.
Medea”, Associazione La Nostra Famigli, Bosisio
Parini (LC); 10Servizio Immuno-trasfusionale, Spedali
Civili, Brescia, Italy
OBIETTIVO DELL STUDIO: L’immunodeficienza
Combinata Grave (SCID) porta a morte i bambini affetti
entro il secondo anno di vita e l’unica terapia curativa è
rappresentata dal trapianto di midollo osseo (TMO).
Questo studio retrospettivo analizza le complicanze acute
e croniche e la mortalità complessiva in pazienti SCID
sottoposti a trapianto di midollo in relazione al tipo di
condizionamento.
METODI: In questo studio sono stati arruolati
pazianti affetti da SCID fenotipo classico e pazienti con
deficit di ADA trattati dal 1991 al 2013 presso il Centro
trapianti Pediatrico degli Spedali Civili di Brescia. La
mortalità al 31 di Dicembre 2014 è stata valutata insieme all’insorgenza di complicanze acute e croniche
(alterazione della funzione tiroidea e ritardo di crescita). L’analisi statistica è stata condotta mediante T test
di Student e Chi quadrato tramite SPSS software;
p<0.05 è stata considerata statisticamente significativa.
RISULTATI: 112 bambini, senza GVHD cronica e
sottoposti ad almeno un TMO, sono stati inclusi nello
studio e suddivisi in base al tipo di condizionamento
ricevuto: 29 nessun regime di condizionamento (NC),
40 con condizianamento ridotto (RIC) e 43 con condizionamento mieloablativo (MAC). I tre gruppi erano
omogenei per sesso, età e condizioni cliniche pre TMO.
Escludendo i pazienti già critici alla diagnosi e quelli
trapiantati in condizioni gravi, abbiamo notato una differenza statisticamente significativa di mortalità nei pz
sottoposti a MAC (11 vs 0 p=0,01) e RIC (10 vs 0
p=0,015) rispetto a quelli non sottoposti ad alcun condizionamento. Una differenza significativa è stata inoltre evidenziata in termini di effetti collaterali acuti
durante il condizionamento nei MAC vs RIC (35 ptz vs
20 p=0,001) senza tuttavia una differenza nel tasso di
mortalità correlata ad eventi avversi acuti tra i due gruppi.Per quanto riguarda le complicanze tardive è stata
riportata una maggiore incidenza di disfunzione tiroidea
nei pz dsottoposti a MAC rispetto a NC pts (7 vs 2,
p=0,025) mentre differenze non significative sono
emerse tra MAC e RIC.Nessuna differenza statisticamente significativa è emersa in termini di ritardo di crescita tra i tre gruppi di pazienti.
CONCLUSIONI: Lo studio dimostra un incremento
delle complicanze precoci e tardive nei pazienti trattati
con MAC.
Riportiamo una combinazione di effetti collaterali
letali non ancora descritti in un bambino affetto da
Medulloblastoma metastatico anaplastico/grandi cellule
(WHO IVª) dall’età di 6 anni. Esegue terapia secondo
protocollo AIEOP Medullo HR (INT) con buona risposta ai 4 cicli iniziali di chemioterapia. Dopo la fase
HART (31,2 Gy in 24 frazioni bi-giornalieri più boost
FCP di 28,5 Gy in 19 frazioni con Tomotherapy) viene
descritto un linguaggio lievemente più infantile, senza
franchi segni neurologici. Effettua consolidamento con
due auto-TMO condizionati con Thiotepa, di cui il
primo trapianto caratterizzato da tossicità mucosale, e
da segni di regressione psicomotoria il secondo (incontinenza sfinteriale, difficoltà nel riconoscimento di persone, forme e colori, difficoltà nel linguaggio, tremori).
L’RM cerebrale, eseguita 21 giorni dopo il secondo
TMO, evidenzia diffusa e marcata leucoencefalopatia
(LEP) sovratentoriale bilaterale di sospetta natura tossica -non tipicamente post-attinica- senza segni di alterazione della barriera emato-encefalica, con picco del lattato allo studio spettroscopico, e lieve atrofia corticale.
Al controllo dopo 1 mese lieve peggioramento della
LEP sovratentoriale e dell’atrofia cerebrale. Le indagini
di laboratorio per malattie metaboliche, ipovitaminosi,
infezioni o patologie immunologiche o altri fattori predisponenti non forniscono risultati patologici. Inizia riabilitazione mirata in una struttura specializzata, dove
nonostante FKT, logopedia, psicomotricità, e terapia
farmacologica, le condizioni non migliorano. Due mesi
dopo presenta importante anemizzazione, con schistociti e anticorpi contro il fattore-H della frazione C3b del
complemento, diagnostici per una simdrome emoliticauremica (SEU) atipica, trattata con anticorpi monoclonali umanizzati anti-C5a (eculizumab). La RM mostra
estensione della LEP a livello delle capsule interne, del
tronco encefalico e del cervelletto, e progressione dell’atrofia cerebrale, compaiono alterazioni dei nuclei
grigi profondi (atrofia dei caudati e alterazioni di segna-
| 31 |
Poster
le talamiche), senza segni di ripresa della malattia oncologica. Due settimane dopo la dimissione comparsa di
crisi convulsive subentranti, che necessitano ricovero in
Rianimazione per sedazione profonda. In RM si osserva
aumento dell’alterazione di segnale e lieve rigonfiamento del tronco encefalico (con focale restrizione
della diffusione “stroke-like” pontina dx), comparsa di
focali enhancement intraparenchimali sottotentoriali e
intramidollari. Nel sospetto di ripresa della SEU esegue
plasmaferesi e HD-steroidi, ma compare insufficienza
multi-organo e si giunge all’exitus a 8 mesi dal secondo
TMO.
che mostrano CC, con aumentato rischio di Graft versus
Host Disease (GvHD). CMT è associato a un buon esito
del trapianto e riduce il rischio di GvHD, così come
nella nostra casistica CMS è stato osservato solo nelle
malattie non neoplastiche, CMP sembra associato a
aumentato rischio di ricaduta nelle patologie neoplastiche e a rigetto nelle non neoplastiche. Studi statistici
sono in programmazione presso il nostro Istituto.
L’analisi del chimerismo può quindi in fasi precoci post
trapianto evidenziare lo stato di attecchimento, l’eventuale rigetto o ricaduta e fornisce informazioni importanti sulla riuscita del trapianto stesso facilitando interventi terapeutici.
P031
Tabella 1.
MONITORAGGIO DEL CHIMERISMO DOPO
TRAPIANTO ALLOGENICO DI CELLULE STAMINALI:
ESPERIENZA DI UN SINGOLO CENTRO
PEDIATRICO
D. Di Martino1, M. Di Duca2, P. Terranova3,
S. Giardino3, M. Faraci3, G. Morreale3, E. Lanino3
1UOC Laboratorio Cellule Staminali Post Natali e
Terapie Cellulari, Dipartimento Funzionale Ematoncologia; 2UOC Nefrologia, Dialisi e Trapianto, Dipartimento
di Scienze Pediatriche Generali e Specialistiche; 3UOC
Oncologia, Ematologia e Trapianto di midollo,
Dipartimento Funzionale Ematoncologia; IRCCS G.
Gaslini, Genova, Italy
Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche è una terapia potenzialmente curativa per
malattie ematologiche neoplastiche e non-neoplastiche.
Negli ultimi anni il monitoraggio post trapianto dell’ematopoiesi del donatore rispetto a quella del ricevente è
diventato un valido strumento in grado di indirizzare
verso scelte di trattamento terapeutico. Sono stati monitorati con analisi STR-PCR, 221 pazienti pediatrici sottoposti a trapianto allogenico negli ultimi 8 anni, presso
l’UOSD Centro Trapianto Midollo Osseo dell’IRCCS
G. Gaslini di Genova. I pazienti che presentavano chimerismo completo (CC), cioè presenza nel sangue periferico o midollare solo di cellule del donatore, sono stati
controllati all’attecchimento, 30, 100, 180, 365 giorni. I
pazienti che presentavano chimerismo misto (CM), cioè
presenza in proporzioni diverse di cellule del donatore
e del paziente, sono stati controllati a scadenza mensile
dall’attecchimento. In 27 bambini con CM è stato determinato il chimerismo specifico di linea cellulare (CSL)
nelle cellule T, NK, B, mielociti. 106/221 (48%) bambini presentavano CC e 115/221 (52%) CM, all’attecchimento (Tabella 1). Fra i pazienti con CM è stato possibile identificare 68/115 (59%) con Chimerismo Misto
Transitorio (CMT), 19/115 (17%) con Chimerismo
Misto Stabile (CMS), 28/115 (24%) con Chimerismo
Misto Progressivo (CMP). Nei pazienti analizzati per
CSL si è visto che un aumento di cellule T del donatore
rispetto alla popolazione ematologica totale è associato
a CMT, una diminuzione di cellule T del donatore è
associata a CMP mentre nel CMS si ha una maggior%
di cellule T del donatore costante nel tempo. La maggior parte dei pazienti trapiantati per malattie neoplasti-
| 32 |
CC
MC
totale
Malattie
Leucemie Linfatiche Ematologiche
Non
e Mieloidi
Neoplastiche
62
28
38
43
100
71
Malattie
Genetiche
5
8
13
Malattie
Metaboliche
5
12
17
P033
MONITORAGGIO DEL CHIMERISMO QUANTITATIVO
DOPO TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI IN
PAZIENTI PEDIATRICI CON PATOLOGIE NON
EMATOLOGICHE
M. Zucchi1, R. Baffelli1, S. Villanova1, S. Guarisco2,
E. Soncini2, M. Comini1, F. Bolda1, A. Beghin1,
F. Schumacher2, F. Porta2, A. Caruso3, A. Lanfranchi1
1UO Microbiologia e Virologia, Sezione di Ematologia e
Coagulazione, Laboratorio Cellule Staminali, Ospedale
dei Bambini, Brescia; 2UO Oncoematologia Pediatrica e
Trapianto Midollo Osseo, Ospedale dei Bambini,
Brescia;3 Sezione di Microbiologia, Dipartimento di
Medicina Molecolare e Traslazionale, Università di
Brescia, Brescia, Italy
L’analisi del chimerismo quantitativo (CQ) rappresenta un metodo standardizzato per la valutazione del
follow-up trapiantologico. La valutazione di chimerismo linea-specifico rappresenta un approfondimento di
particolare interesse nella valutazione dell’attecchimento nelle patologie non ematologiche (PnE).
Abbiamo analizzato il CQ in 91 pazienti dal 2007 al
2014 (37F-54M) affetti da PnE e sottoposti a trapianto
di cellule staminali (HSCT). Nello specifico 14 SCID,
44 IE (12 WAS, 4 OS, 6 CGD, 4 HLAdef, 4 HLH, 3
XLP, 3 IperIgE, 2 CHS, 2 XLA, 1 Ret.D., 1 IP, 1 IPEX,
1 LAD) e 9 Osteopetrosi. Sono stati effettuati 108
HSCT: 61 MUD, 26 Aploidentici e 21 HLA-ID familiari. 15 pazienti hanno ricevuto 2 trapianti, uno 3.La
sopravvivenza totale post trapianto è stata: SCID
63,1%; IE 68,2%; Osteopetrosi 77,8%. Per l’analisi
sono stati utilizzati 16 loci in STR-PCR a vari tempi di
follow-up. Per questo studio sono raccolti i dati all’engraftment (1 mese), 1 anno, e l’ultimo controllo effettuato sul paziente (range 3-84 mesi). L’analisi delle
SCID ha mostrato: 70% CT, 27% CM, 3% CA su PBL;
78% CT, 11% CM, 11% CA su PMN ad 1 mese.Ad 1
anno, grazie all’analisi delle sottopopolazioni, si evi-
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
denzia CT per tutti i pazienti, tranne 3 con CA sui
CD19+ (SCIDT-B+).Il chimerismo dei CD15+ si mantiene come al primo controllo.L’ultimo punto conferma
la valutazione ad un anno. L’analisi degli IE al primo
mese mostra: 68% CT, 30% CM, 2% CA su PBL; 84%
CT, 14% CM, 2% CA su PMN. Ad 1 anno, valutato
sulle sottopopolazioni specifiche, l’andamento non
varia. All’ultimo controllo il CT sale a 73%, il CM a
27% e 0% di CA valutati sulle sottopopolazioni specifiche.Sui CD15+ si conferma il risultato ottenuto ad 1
anno.I pazienti con Osteopetrosi al primo controllo con
CT 87,5% sui PBL e 100% sui PMN, hanno mostrato
una riduzione al 50% ad 1 anno (sulle sottopolazioni
specifiche) confermato anche all’ultimo controllo. Lo
studio del chimerismo post trapianto-linea specifico in
pazienti affetti da malattie non ematologiche ci permette di seguire l’andamento del trapianto. Lo studio delle
linee cellulari specifiche per ogni patologia dimostra
che un CT può essere raggiunto nel tempo, con lo stabilizzarsi del trapianto.
P034
LA SOVRA-ESPRESSIONE DEL GENE CRLF2 È UN
MARKER PROGNOSTICO NEGATIVO NEI BAMBINI
CON LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA A
CELLULE T AD ALTO RISCHIO
C. Palmi1, A.M. Savino1, D. Silvestri2, I. Bronzini3,
G. Cario4, M. Paganin3, B. Buldini3, M. Galbiati1,
M. Muckenthaler5, M. Aricò6, E. Barisone6, F. Casale6,
F. Locatelli6, L. Lo Nigro6, C. Micalizzi6, R. Parasole6,
A. Pession6, M.C. Putti6, N. Santoro6, A.M. Testi6,
O. Ziino6, A. Kulozik5, M. Zimmermann7,
M. Schrappe4, C. Bugarin1, G. Basso3, A. Biondi8,
M.G. Valsecchi2, M. Stanulla7, V. Conter6,8,
G. te Kronnie3, G. Cazzaniga1
1Centro Ricerca Tettamanti, Clinica Pediatrica,
Università di Milano Bicocca, Fondazione MBBM,
Ospedale San Gerardo, Monza (MB), Italy; 2Centro
Operativo e di Ricerca Statistica, Università di Milano
Bicocca, Monza (MB), Italy; 3Laboratory of OncoHematology, Department of Pediatrics, Università di
Padova, Italy; 4Department of Pediatrics, University
Hospital Schleswig-Holstein, Campus Kiel, Kiel,
Germany; 5Department of Pediatric Oncology,
Hematology and Immunology, University of Heidelberg,
Heidelberg, Germany; 6ALL Working Group, Italian
Association of Pediatric Hematology and Oncology
(AIEOP); 7Department of Paediatric Haematology and
Oncology, Hannover Medical School, Hannover,
Germany; 8Clinica Pediatrica, Università di Milano
Bicocca, Fondazione MBBM, Ospedale San Gerardo,
Monza (MB), Italy
Nonostante i progressi nella cura, i bambini affetti
da Leucemia Linfoblastica Acuta a cellule T (LLA-T)
presentano ancora una prognosi inferiore rispetto ai
pazienti con LLA a cellule B (LLA-B). Da qui la necessità di identificare nuovi fattori prognostici per una
migliore stratificazione terapeutica dei pazienti e una
migliore offerta farmacologica. Nella LLA-B è stato di
recente scoperto un marcatore di prognosi negativa: la
sovra-espressione del gene Cytokine Receptor-like
Factor 2 (CRLF2). Nella LLA-T, alterazioni di CRLF2
non sono state ancora riportate, ma di recente, mutazioni nel suo partner IL7Ra sono stati individuate nel 10%
dei pazienti. Scopo di questo studio è stato valutare l’incidenza dell’alterazione dell’espressione di CRLF2 e il
suo valore prognostico nella LLA-T pediatrica.
Abbiamo analizzato l’espressione del gene CRLF2 in
120 pazienti LLA-T, arruolati nel protocollo AIEOPBFM ALL2000 in centri italiani (AIEOP) dal 2000 al
2005, e, come coorte di validazione, in 92 pazienti trattati con lo stesso protocollo in centri tedeschi (BFM-G).
Diciassette pazienti AIEOP su 120 (14,2%) presentavano un’espressione di CRLF2 5 volte superiore rispetto
agli altri. Tali pazienti avevano una prognosi significativamente inferiore (EFS a 5 anni: 41,2%±11,9 vs
68,9%±4.6, p=0,006 e CIR: 52,9%±12,1 vs 26,3%±4,3,
p=0,007). Il valore prognostico della sovra-espressione
di CRLF2 è stata confermata nella coorte BFM-G.
Inoltre l’analisi delle due coorti insieme tramite modello di Cox, aggiustato per gruppo di rischio, ha mostrato
che l’alta espressione di CRLF2 era associata ad un
aumento del rischio di recidiva pari a 2.47 volte
(p=0,006). È interessante notare che la sovra-espressione di CRLF2 era associata a prognosi sfavorevole nel
sottogruppo di pazienti ad alto rischio (HR) (EFS:
31,6%±10,7 vs 62,5%±5.7, p-value=0.01 e CIR:
57,9%±11,5 vs 29,2%±5.4, p-value=0.008), classe di
rischio in cui i pazienti sovra-esprimenti CRLF2 erano
più spesso assegnati (20,9% in HR vs 8.3% in no-HR).
In conclusione, la sovra-espressione di CRLF2 è un
marcatore prognostico negativo che identifica un sottogruppo di pazienti LLA-T ad alto rischio che potrebbero beneficiare di terapie alternative.
P035
LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA EARLY T CELL PRECURSOR IN PAZIENTI AIEOP TRATTATI
NEL PROTOCOLLO AIEOP-BFM ALL 2009
V. Conter, F. Locatelli, M.G. Valsecchi, B. Buldini,
F. Petruzziello, E. Brivio, A. Colombini, C. Rizzari,
M.C. Putti, E. Barisone, L. Lo Nigro, N. Santoro,
O. Ziino, A. Pession, A.M. Testi, C. Micalizzi,
F. Casale, D. Silvestri, G. Cazzaniga, A. Biondi,
G. Basso, per Gruppo di Lavoro AIEOP LLA
Gruppo di Lavoro AIEOP LLA, Italy
INTRODUZIONE: La ETP è stata descritta nel
2008, come sottotipo della T-ALL caratterizzata da prognosi molto sfavorevole, suggerendo terapie innovative
e/o TMO in prima remissione completa (RC). Questi
dati non hanno tuttavia trovato piena conferma in
reports più recenti. Scopo di questo lavoro è analizzare
caratteristiche ed outcome dei pazienti con ETP trattati
nello studio AIEOP-BFM-ALL 2009.
MATERIALI E METODI: Definizione di ETP:
CD1a e CD8 negativi, CD5 negativo o debolmente
positivo; e positività per almeno uno di: CD34, CD117,
HLADR, CD13, CD33, CD11b, CD65. Nel periodo
| 33 |
Poster
Ottobre 2010 e Ottobre 2014, 1259 pazienti sono stati
reclutati in Italia nello studio AIEOP-BFM ALL 2009,
di cui 201 (16%) T-ALL e di questi ultimi 33
(2.6%)ETP.
RISULTATI: Le ETP sono risultate il 16.4% delle TALL; rispetto alle non-ETP hanno conta leucocitaria
più bassa alla diagnosi (<20.000 mmc) 61% vs 20%, (pvalue <0.001, mediana 5600 vs 95200), frequenza maggiore di PPR (52% vs 36%), MRD-HR in citofluorimetria al g+15 (61% vs 27%), resistenza alla fase IA (15%
vs 5%), MRD ≥10-3 al g+33 (85% vs 45%) e assenza di
marcatori molecolari per PCR-MRD (61% vs 5%). Per
i pazienti con marcatori molecolari si è dimostrata una
ottima clearance della MRD dopo la fase IB.
Globalmente, dei 33 pazienti con ETP, 29 (88%) sono
in CCR; 2 pazienti sono deceduti in induzione; nessun
paziente è ricaduto; dei 10 pazienti trapiantati, 2 sono
deceduti dopo trapianto e 8 sono in CCR. 5 pazienti
erano resistenti alla fase IA e tutti hanno ottenuto la RC
con la fase IB e sono in CCR, dopo TMO.
DISCUSSIONE: La ETP-ALL nella nostra esperienza si conferma come un’entità specifica, caratterizzata da una scarsa risposta iniziale alla chemioterapia, e
da una buona risposta alla terapia con antimetaboliti
della fase IB. I risultati della ETP-ALL nello studio
AIEOP-BFM ALL 2009 sono migliorati rispetto allo
studio AIEOP-BFM ALL 2000 e confermano, come già
riportato dal gruppo UK-ALL, il potenziale beneficio
dell’uso di PEG-L-ASP e non supportano le indicazioni
di utilizzare trattamenti innovativi o TMO in prima RC
indiscriminatamente per tutte le ETP.
centro di Monza è stato inoltre effettuato, su una serie
di 86 pazienti, uno studio parallelo dei livelli di espressione di CRLF2 mediante RQ-PCR. Abbiamo osservato
una alta concordanza (>98%) nella identificazione dei
pazienti CRLF2-positivi. Inoltre, uno studio fine dell’intensità di fluorescenza del recettore TSLPR ci ha
permesso di identificare all’interno del gruppo dei
pazienti CRLF2-negativi (<10%), 3 sottogruppi di
pazienti: uno francamente negativo, uno moderatamente positivo, <10%, ma con chiaro spostamento della
fluorescenza rispetto al controllo, ed infine un gruppo
CRLF2 parzialmente positivo con due popolazioni: una
minoritaria, CRLF2+ e una CRLF2-negativa. Inoltre, in
41 pazienti sono stati analizzati mediante tecnica di
phosphoflow i livelli delle fosfoproteine pSTAT5, pS6,
p4EBP1 e pAKT dopo stimolazione con la citochina
TSLP, individuando un’iperattivazione dei pathway
JAK/STAT e PI3K/AKT in tutti i pazienti TSLPR positivi. Inoltre, tale evidenza è stata dimostrata anche nei
pazienti moderatamente positivi per TSLPR. In conclusione abbiamo dimostrato come lo screening per l’espressione di CRLF2 nei pazienti con pB-LLA può
essere effettuato mediante CFM e che le due metodiche,
CFM e RQ-PCR, sono altamente concordanti nell’identificare i pazienti recanti il riarrangiamento. I pazienti
con moderata o parziale espressione di TSLPR ed iperattivazione del pathway di STAT5, possono essere
identificati solo mediante CFM. Questi risultati dimostrano la fattibilità e l’accuratezza dello screening citofluorimetrico dei pazienti CRLF2 riarrangiati che
potrebbero potenzialmente beneficiare di inibitori specifici del pathway attivato da CRLF2.
P037
STUDIO FINE DELL’ESPRESSIONE SUPERFICIALE
DI CRLF2 E DEL PROFILO DI SIGNALING AD
ESSO CORRELATO NELLA LEUCEMIA
LINFOBLASTICA ACUTA PEDIATRICA A
PRECURSORI DI TIPO B
C. Bugarin, J. Sarno, C. Palmi, A.M. Savino,
G. te Kronnie, M. Dworzak, B. Buldini, O. Maglia,
S. Sala, I. Bronzini, J.P. Bourquin, E. Mejstrikova,
D. Luria, G. Basso, S. Izraeli, A. Biondi, G. Cazzaniga,
G. Gaipa
Centro Ricerca M. Tettamanti, Azienda Ospedaliera San
Gerardo, Università Milano Bicocca, Monza (MB), Italy
Riarrangiamenti del gene CRLF2 sono presenti in
circa il 6-10% dei casi di Leucemia Linfoblastica Acuta
(LLA) a precursori di tipo B (pB-LLA). Tali pazienti
presentano una prognosi sfavorevole ed una iperattivazione dei pathway JAK/STAT e PI3K/AKT. E’ stata
analizzata mediante citofluorimetria (CFM) l’espressione superficiale del gene CRLF2 (recettore TSLP,
TSLPR) in 421 pazienti con pB-ALL arruolati in 6
diversi centri nell’ambito del protocollo clinico AIEOPBFM 2009. Il 7% dei pazienti presenta una espressione
fortemente positiva di TSLPR, il 2% una positività
moderata (cellule CRLF2+>10% ma inferiori del 50%)
e il 90% sono risultati negativi (<10%), con un’alta
concordanza tra tutti i centri coinvolti nello studio. Nel
| 34 |
P038
GENOMIC LANDSCAPE DELLE LEUCEMIE ACUTE
MIELOIDI PEDIATRICHE A CARIOTIPO NORMALE
ESEGUITO MEDIANTE SEQUENZIAMENTO
MASSIVO DEL TRASCRITTOMA
R. Masetti1, M. Togni1, A. Astolfi1, I. Castelli1,
J. Bandini1, V. Indio1, M. Pigazzi2, G. Basso2,
A. Pession1, F. Locatelli3
1Oncologia ed Ematologia Pediatrica, Università di
Bologna; 2Clinica di Oncoematologia Pediatrica,
Università degli Studi di Padova; 3Oncologia ed
Ematologia Pediatrica, IRCCS Ospedale Pediatrico
Bambino Gesù, Roma, Italy
INTRODUZIONE: Le leucemie acute mieloidi
(LAM) pediatriche sono un gruppo di disordini proliferativi clonali secondarie a trasformazione maligna di un
progenitore emopoietico o di una cellula staminale
emopoietica. Il sottogruppo di pazienti con LAM a prognosi più eterogena ed indefinita è costituito da circa un
20% di bambini che non presenta alcuna lesione citogenetica (CN-LAM) e nessuna delle più comuni recurrent-genetic-abnormalities (es FLT3-ITD, NPM, etc).
Da qui la necessità di caratterizzare meglio il profilo
mutazionale di questi pazienti per ridefinirne la prospettiva prognostica.
METODI: Blasti alla diagnosi di 19 pazienti pedia-
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
trici affetti da CN-LAM sono stati analizzati mediante
whole transcriptme sequencing (RNA-seq) e le alterazioni genetiche di maggiore interesse identificate sono
state validate in una coorte di 237 pazienti arruolati nel
protocollo AIEOP AML 2002/01.
RISULTATI: Con l’identificazione di 21 putativi
geni di fusione, l’RNA-seq ha confermato l’alta incidenza di tali aberrazioni nelle CN-LAM, evidenziando
lesioni non detectabili con analisi convenzionali
(Figura 1). Tra questi, il trascritto di fusione
CBFA2T3-GLIS2 è uno dei più frequenti (8.4%) e
identifica un sottogruppo di pazienti con peggior prognosi, valutata in termini di event-free-survival (EFS)
(27.4%, standard error [SE] 10.5 vs 59.6%, SE 3.6;
P<.01). All’interno della coorte dei pazienti
CBFA2T3-GLIS2-positivi, circa la metà dei pazienti
(40%) presentava un ulteriore trascritto chimerico
coinvolgente i geni DHH e RHEBL1, che specifica
per una distinta gene-expression-signature e suggerisce una prognosi ancor peggiore. Due riarrangiamenti
del gene NUP98 sono stati identificati: NUP98JARID1A e NUP98-PHF23, con un’incidenza di 1.2%
e di 2.6%, rispettivamente. In un singolo caso è stato
identificato il gene di fusione RUNX1-USP42, noto
per essere una rara alterazione nelle LAM dell’adulto.
In associazione con quest’ultimo, l’RNA-seq ha permesso di identificare un nuovo trascritto chimerico
out-of-frame che coinvolge i geni PRDM16 e SKI e
che è stato dimostrato indurre una sovra-espressione
del gene PRDM16, noto per essere sovra-espresso
nelle LAM.
Figura 1. Geni di fusioni più rilevanti identificati mediante
RNA-seq in pazienti CN-LAM pediatrici.
CONCLUSIONI: In sintesi, l’RNA-seq ha permesso di indentificare diversi geni di fusioni che si sono
dimostrati essere ricorrenti e di significativa importanza
dal punto di vista prognostico.
!
P039
IMPATTO DELLA MALATTIA MINIMA RESIDUA
MOLECOLARE NEI PAZIENTI CON LEUCEMIA
MIELOIDE ACUTA E ANOMALIE DEL CORE
BINDING FACTOR ARRUOLATI NEL PROTOCOLLO
AIEOP AML 2002/01
M. Pigazzi1, E. Manara2, B. Buldini1, V. Beqiri1,
V. Bisio1, C. Tregnago1, R. Rondelli3, R. Masetti4,
M.C. Putti1, F. Fagioli5, C. Rizzari6, A. Pession3,
F. Locatelli7, G. Basso1
1Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino
Oncoematologia Pediatrica, Università di Padova,
Padova; 2Istituto di Ricerca Pediatrica, Città della
Speranza, Padova; 3Clinica Pediatrica, Università di
Bologna, Ospedale “S. Orsola”, Bologna; 4Dipartimento
di Ematologia, Ospedale Sant’Orsola-Malpighi
Oncologia-Ematologia Pediatrica ‘Lalla Seragnoli’,
Bologna; 5Oncoematologia Pediatrica, Ospedale Infantile
“Regina Margherita”, Torino; 6Clinica Pediatrica,
Università di Milano Bicocca, Fondazione MBBM,
Ospedale S. Gerardo, Monza (MB); 7Oncoematologia
Pediatrica, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù,
Roma, Università di Pavia, Italy
Il protocollo AIEOP LAM 2002/01 ha classificato i
pazienti con t(8;21)(q22,q22) AML1-ETO e
inv(16)(p13;q22)CBFB-MYH11, che hanno risposto
alla terapia di induzione come appartenenti al gruppo
standard-Risk (SR). Questi pazienti hanno raggiunto la
remissione completa morfologica (CR) dopo il primo
ciclo di induzione, hanno mostrato poi una elevata incidenza di recidiva (27%) (Pession A. et al., Blood 2013).
Allo stato attuale, poco si sa circa la cinetica di ricaduta;
inoltre, nessun studio per ora ha tenuto conto dei livelli
di leucemia residua post-remissione. Qui, abbiamo calcolato la malattia residua minima (MRM) molecolare e
il suo impatto prognostico per 49 e 27 pazienti portatori
o di t(8;21) o inv(16) rispettivamente, nel midollo osseo
al momento della diagnosi, e al termine del primo e del
secondo ciclo di terapia di induzione (ICE). L’MRM è
stata valutata come numero di trascritti di fusione
mediante RQ-PCR utilizzando la quantificazione assoluta, e poi è stata calcolata la riduzione di MRM logaritmica (Log). I risultati hanno rivelato che dopo l’ICE
I 21 su 49 pazienti t(8;21) hanno mostrato una riduzione
bassa MRD (<2 log), e dieci di loro sono rimasti con
queste basse riduzioni di MRM anche al termine
dell’ICE II (10 pazienti). Abbiamo trovato che una riduzione di MRM inferiore a 2 Log conferiva una CIR
superiore dopo I e II ICE (50% a 10 anni, p<0.01). I
pazienti con riarrangiamento inv(16) hanno raggiunto
una maggiore riduzione del livello di MRM già fin dalla
fine dell’ICE I (sempre>2 log). Questi pazienti infatti
erano tutti vivi alla fine follow-up, e la CIR non ha mai
mostrato differenze statisticamente significative a
seconda dei livelli di riduzione della MRM dopo la terapia di induzione. In conclusione, proponiamo che, alla
fine della terapia di induzione il cut-off di riduzione
della MRM <2 log possa essere utilizzato per guidare le
decisioni terapeutiche per questo sottogruppo di pazienti SR. Al contrario, i livelli di MRM dei pazienti riarran-
| 35 |
Poster
giati inv(16)CBFB-MYH11 non hanno alcun valore
prognostico dopo la terapia di induzione, questo suggerisce che un monitoraggio post induzione dovrebbe
essere indagato per questo sottogruppo di LMA.
P040
CORRELAZIONE TRA LIVELLI PLASMATICI DI
ATTIVITÀ ASPARAGINASICA E PATTERN DI
TOSSICITÀ ED EVENTI AVVERSI IN BAMBINI
CON LLA TRATTATI CON PEG-ASP NELLA FASE DI
INDUZIONE DEL PROTOCOLLO AIEOP-BFM ALL
2009
C. Rizzari1, A. Colombini1, D. Silvestri2,
M. Zucchetti3, A. Ballerini3, I. Fuso Nerini3,
F. Dell’Acqua1, G.M. Ferrari1, L. Lo Nigro4, L. Vinti5,
A. Mandese6, S. Casagranda1, F. Petruzziello7,
M.G. Valsecchi2, V. Conter1
1Clinica Pediatrica, Università di Milano Bicocca,
Ospedale S. Gerardo, Monza (MB); 2Dipartimento di
Medicina Clinica e Prevenzione, Università di Milano
Bicocca, Monza (MB); 3Dipartimento di Oncologia,
Istituto di Ricerche Farmacologiche M. Negri, IRCCS,
Milano; 4Divisione Ematologia-Oncologia Pediatrica,
Clinica Pediatrica, Catania; 5Oncoematologia
Pediatrica, Ospedale Bambino Gesù, Roma;
6Oncoematologia Pediatria e Centro Trapianti Cellule
Staminali e Terapia Cellulare, Osp. Infantile Regina
Margherita, Torino; 7Dipartimento di Oncologia, AO
Santobono-Pausilipon, Napoli, Italy
OBIETTIVI: Valutare la correlazione tra i livelli
plasmatici di attività asparaginasica (AA) ed il pattern
di tossicità e/o di eventi avversi gravi (SAE) osservati
nei pazienti italiani trattati con PEG-ASP nella fase di
induzione del protocollo AIEOP-BFM ALL 2009.
PAZIENTI E METODI: La PEG-ASP viene somministrata alla dose di 2500 UI/mq e.v. nei gg.+12 e
+26. Sono stati considerati i livelli di AA presente nei
giorni +19/+33; i parametri di laboratorio (SGOT,
SGPT, Bilirubina, Amilasi, Trigliceridi, Glicemia) sono
invece stati valutati settimanalmente e qui considerati
solo cumulativamente per i gradi WHO-CTC III+IV. I
SAE qui presi in considerazione sono stati solamente
pancreatiti e trombosi. L’AA è stata misurata presso
l’IRFMN con un test di tipo spettrofotometrico (MAAT:
medac Asparaginase-Aktivitäts-Test).
RISULTATI: I campioni/pazienti analizzati ai giorni
+19/+33 sono risultati così suddivisi in base ai livelli di
AA: <1.100 IU/L (n=166/176 pz), ≥1.100 <1.350 IU/L
(n= 187/179 pz), ≥1.350 <1.600 IU/L (n=166/181 pz),
≥1.600 IU/L (n=200/162 pz). Non è stato possibile individuare una chiara correlazione tra eventi avversi gravi,
pattern di tossicità e livelli di AA con l’unica eccezione
dei livelli di trigliceridi che sembrano incrementare
parallelamente all’elevarsi dei livelli di AA dopo la
seconda dose di PEG-ASP. Una analisi di sottogruppi
effettuata in base all’età ha mostrato che, pur con il
limite della numerosità ridotta, i pazienti di età ≥10 anni
presentano, rispetto a quelli di età <10 anni, un pattern
di tossicità globale sensibilmente maggiore, soprattutto
| 36 |
dopo la seconda dose di PEG-ASP ma anche in questo
caso non chiaramente correlabile con i livelli di AA.
CONCLUSIONI: La valutazione globale effettuata
in questa ampia coorte di pazienti con LLA indica che,
ad eccezione dei dati relativi ai trigliceridi, livelli elevati di AA nella fase di induzione non si associano ad un
aumentato pattern di tossicità o di SAE. Come atteso i
pazienti di età ≥10 anni presentano un’incidenza più
elevata di tossicità di grado elevato, senza evidente correlazione con i livelli di AA.
P041
ANALISI DEI POLIMORFISMI DELL’HLA-G IN
PAZIENTI PEDIATRICI ED ADOLESCENTI CON
LINFOMA DI HODGKIN
L. Caggiari1, V. De Re1, L. Mussolin2, L. Martina1,
M. De Zorzi1, A. Todesco3, A. Sala4, M. Bianchi5,
P. Comoli6, P. Bertolini7, S. D’Amico8, S. Buffardi9,
C. Elia10, R. Burnelli11, M. Mascarin10 per il GdL
AIEOP Linfoma di Hodgkin
1Core facility Biopreoteomica- BIT, CRO Aviano;
2Istituto di Ricerca Pediatrica, Fondazione Città della
Speranza, Padova; 3Clinica di Oncoematologia
Pediatrica, Azienda Ospedaliera, Università di Padova,
Padova; 4Unità di Oncoematologia Pediatrica,
Dipartimento Pediatrico della Fondazione MBBM,
Ospedale San Gerardo, Monza (MB); 5Unità di
Oncoematologia Pediatrica, Ospedale Regina
Margherita, Torino; 6Unità di Oncoematologia
Pediatrica, Policlinico San Matteo, Pavia; 7Unità di
Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliero
Universitaria di Parma, Parma; 8Unità di
Oncoematologia Pediatrica, Policlinico Vittorio
Emanuele, Catania; 9Dipartimento di Oncologia
Pediatrica, Ospedale Santobono-Pausillipon, Napoli;
10SS di Radioterapia Pediatrica CRO Aviano; 11Unità di
Oncoematologia, Azienda Ospedaliero Universitaria di
Ferrara S. Anna, Ferrara, Italy
Il linfoma di Hodgkin (HL) rappresenta il sottotipo
più comune di linfoma maligno nei giovani del mondo
occidentale. La caratteristica morfologica peculiare della
malattia è la presenza delle cellule di Reed-Sternberg
(HRS) che costituiscono solo il 5% del tumore, quest’ultimo caratterizzato dalla presenza di diverse cellule reattive nel microambiente tumorale. Una delle strategie di
evasione dal sistema immunitario usata delle cellule
tumorali è rappresentata dall’espressione di molecole
HLA “non classiche” (tipo HLA-G), che fungono da
ligando per i recettori posti sulle cellule natural killer
(NK), inibendo la loro attività citotossica. L’HLA-G è
caratterizzato da un limitato polimorfismo allelico e la
regione 3’ non tradotta (3’UTR) del gene si presenta polimorfica, con un importante ruolo nella regolazione dell’espressione della molecola. Ci siamo concentrati sull’analisi di singoli polimorfismi nella regione 3’UTR
dell’HLA-G
(14-bpINDEL/+3003C-T/+3010CG/+3027A-C/+3035C-T/+3142C-G/+3187A-G/+3196CG), di 48 pazienti con LH (30 maschi, 18 femmine; età
media e mediana 13 anni, range 3-18). L’intera regione è
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
stata amplificata mediante PCR con primers locus specifici e i singoli prodotti di amplificazione direttamente
sequenziati. Sono state correlate le singole varianti
dell’HLA-G in associazione con i parametri clinici più
importanti dei pazienti ed il decorso della malattia (sesso,
età, istologia, stadio, sintomi A e B, ricadute e sopravvivenza). I risultati dell’analisi sono statisticamente significativi tra lo SNP+3142C-G e l’insorgenza precoce di
malattia (età <10 anni) (p=0.01). Si evidenzia inoltre, con
un follow-up medio di 5 anni, un trend di associazione fra
lo SNP+3142C-G e una minor sopravvivenza. L’analisi
dei dati suggerisce quindi un effetto prognostico sfavorevole dello SNP+3142C-G sulla sopravvivenza, nonché
una insorgenza precoce di malattia. Ulteriori studi, su una
casistica più ampia e con un follow-up maggiore, sono
necessari per confermare i risultati ottenuti.
P043
RUOLO DI PACSIN2 SNP RS2413739 SULLA
FARMACOCINETICA DELLA 6-MERCAPTOPURINA
NEL PROTOCOLLO AIEOP-BFM ALL 2009
M. Rabusin1, R. Franca1, D. Favretto1, A. Colombini2,
E. Brivio2, E. Barisone3, I. Bini3, A. Mandese3,
L. Vinti4, G. Stocco5, G. Decorti5
1IRCCS Ospedale Pediatrico Burlo Garofolo, UO
Oncoematologia Pediatrica, Triest; 2Dipartimento di
Pediatria, Ospedale S. Gerardo, Università degli Studi
di Milano Bicocca, Fondazione MBBM, Monza (MB),
3Divisione di Oncoematologia Pediatrica e Centro
Trapianti Cellule Staminali, Ospedale Pediatrico
Regina Margherita (OIRM), Torino; 4Dipartimento di
Ematologia ed Oncologia Pediatrica, IRCCS Ospedale
Pediatrico Bambino Gesù, Roma; 5Dipartimento di
Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste, Italy
Recentemente è stato dimostrato che anche lo SNP
rs2413739 del gene PACSIN2 modula l’attività enzimatica di TMPT in vitro e influenza inoltre il rischio di tossicità gastrointestinale severa (grado III/IV) da 6-mercaptopurina (6MP) nei pazienti pediatrici affetti da LLA in consolidamento trattati secondo il protocollo AIEOP-BFM
LLA 2000.1 Centoventi pazienti del protocollo AIEOPBFM LLA 2009 sono stati arruolati in uno studio prospettico (54,1% maschi, età media alla diagnosi: 6,7 anni,). I
prelievi di sangue periferico raccolti in consolidamento
(immediatamente prima della quarta infusione di metotressato) e durante il mantenimento (al 3ª, 9ª e 15ª mese)
sono stati utilizzati per misurare i parametri farmacocinetici della 6MP (metaboliti tioguaninici (TGN) e metilati
(MMPN); attività degli enzimi TPMT e inosintrifosfatopirofosfatasi (ITPA) coinvolti nel metabolismo del farmaco) in HPLC. I pazienti sono stati genotipizzati per gli
SNPs nei geni PACSIN2 (rs2413739), TPMT (rs1142345,
rs1800462, rs1800460) e ITPA (rs1127354, rs7270101,
rs6051702). I dati clinici sono stati raccolti in cieco. I
metaboliti TGN/MMPN sono stati quantificati in 48
pazienti in consolidamento (TGN: mediana 287,8
pmol/8x108 eritrociti, range: 205,6-450,6; MMPN:
mediana 1731,5 pmol/8x108 eritrociti, range: 948,19640,7 e in 61 prelievi di 44 pazienti in mantenimento
(TGN: mediana 462,6 pmol/8x108 eritrociti, range:
305,0-667,0; MMPN: mediana 6502,7 pmol/8x108 eritrociti, range: 2754,4-11916,2). Oltre all’atteso effetto statisticamente significativo del genotipo variante di TPMT
(rs1142345 e rs1800460) sui livelli plasmatici di
TGN/MMPN, è stato rilevato anche l’effetto del sesso sui
TGN: le femmine presentano una concentrazione più
bassa dei metaboliti rispetto ai maschi in consolidamento
(p-value regressione lineare=0,021) e più elevata in mantenimento (p-value regressione lineare=0,031). L’attività
enzimatica di TPMT è stata valutata in 38 prelievi di 21
pazienti in mantenimento (mediana: 456,3 mmol 6MetilMP/g(Hb)/h, range: 375,3-544,1), quella di ITPA in 43
prelievi di 24 pazienti (mediana 163,5 mmol inosinamonofosfato/g(Hb)/h, range: 49,2-525,3). Attività enzimatiche più elevate sono state riscontrate nei pazienti più
grandi (p-value modello lineare effetto misto=0,044 per
TPMT e 0,012 per ITPA). L’attività enzimatica di TPMT
è risultata significativamente ridotta nei pazienti eterozigoti per gli SNPs di TPMT (rs1142345, p-value=0,021;
rs1800460, p-value=0,021) come atteso; è stata riscontrata inoltre un’associazione significativa anche nei pazienti
con l’allele variante T dello SNP rs2413739 di PACSIN2
(p-value modello lineare effetto misto=0,023). L’attività
enzimatica di ITPA è risultata significativamente ridotta
nei pazienti varianti per gli SNPs di ITPA (rs1127354, pvalue=0,032; rs7270101, p-value =0,017 e rs6051702 pvalue =0,0027). Questi risultati sono incoraggianti nel
sostenere il ruolo dei polimorfismi differenti da TPMT
sulla farmacocinetica della 6MP. La casistica va ancora
ampliata ed integrata con i dati clinici dei pazienti per
valutare l’impatto di queste variabili farmacocinetiche/
farmacogenomiche sull’efficacia e sulla tossicità del trattamento.
BIBLIOGRAFIA
1. Stocco et al., 2012 Human Molecular Genetics 21: 47934804.
P045
RUOLO DELLA MALATTIA MINIMA DISSEMINATA
VALUTATA IN CITOMETRIA A FLUSSO ALLA
DIAGNOSI NEL LINFOMA LINFOBLASTICO
PEDIATRICO
L. Mussolin1, B. Buldini2, F. Lovisa3, E. Carraro3,
S. Disarò2, L. Lo Nigro4, E.S. d’Amore5, M. Pillon3,
G. Basso3
1Istituto di Ricerca Pediatrico, Fondazione Città della
Speranza, Padova; 2Dipartimento di Salute della Donna
e del Bambino, Università di Padova; 3Clinica di
Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera,
Università di Padova; 4Centro di Oncologia Pediatrica,
Policlinico di Catania; 5Ospedale San Bortolo, Vicenza;
per il GdL Linfomi Non-Hodgkin AIEOP, Italy
La probabilità di sopravvivenza per i bambini affetti
da Linfoma Linfoblastico (LL) è attualmente di circa il
75%; tuttavia i pazienti che recidivano hanno una prognosi pessima. Obiettivo di questo studio è la valutazione, in
una ampia serie di pazienti affetti da LL sia con immuno-
| 37 |
Poster
fenotipo B che T, della Malattia Minima Disseminata
(MMD) all’esordio in citometria a flusso multiparametrica (CFM) al fine di investigare il suo possibile significato
prognostico. Abbiamo analizzato mediante CFM, campioni di aspirato midollare (AM) e di sangue periferico
(SP) di 65 pazienti all’esordio arruolati nei protocolli di
terapia nazionale (AIEOP LNH-97) ed internazionale
(EuroLB-02); 10 casi sono stati analizzati anche per la
clonalità del T-cell receptor. 32/65 dei pazienti analizzati
(49%) sono risultati positivi per MMD a livello di AM;
14/65 (21%) di questi erano risultati positivi per la presenza di blasti anche all’analisi morfologica. I risultati ottenuti nell’AM e nel corrispettivo campione di SP sono
risultati concordanti (IC 0.7, p=0.002). Dal momento che
la quasi totalità dei pazienti ricaduti (10/11) non presentavano alla diagnosi infiltrazione midollare in morfologia,
abbiamo focalizzato la nostra analisi in questo sottogruppo di pazienti. L’Event Free Survival (EFS) a 5 anni, è
risultato 60%(ES+22) per i pazienti con MMD>3% all’esordio e 83%(ES+6) per i pazienti con MMD<3%
(p=0.04). Da notare che l’analisi univariata condotta prendendo in considerazione come parametri età mediana alla
diagnosi, sesso, valore mediano di LDH, infiltrazione
morfologica dell’AM, stadio di malattia, e risposta precoce alla terapia, non ha mostrato nessuna significatività statistica in termini di EFS. I nostri dati mostrano che la
MMD studiata all’esordio mediante CFM può rappresentare un utile strumento prognostico nei pazienti affetti da
LL negativi per infiltrazione midollare alla valutazione
morfologica; tale dato potrebbe pertanto essere utilizzato
per la stratificazione dei pazienti con LL nei nuovi protocolli terapeutici.
P046
ANALISI RETROSPETTIVA DI NOVE PAZIENTI
PEDIATRICI AFFETTI DA LINFOMA DI HODGKIN
IN RECIDIVA E RESISTENTI TRATTATI CON
BRENTUXIMAB VEDOTIN IN ASSOCIAZIONE
ALLA BENDAMUSTINA
K. Girardi, R. Caruso, S. Gaspari, F. Cocca,
L. Strocchio, L. Vinti
IRCSS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italy
I protocolli chemioterapici attuali per il trattamento di
I linea dei Linfomi di Hodgkin pediatrici consentono di
raggiungere una OS-a 5 anni del 90%, ma circa il 5-10%
di casi risulta resistente e il 10-30% dei pazienti presenta
recidiva di malattia. In questo setting di pazienti, il gold
standard non è ancora definito ma negli ultimi anni numerosi studi di fase I-II hanno dimostrato l’efficiacia e la
sicurezza di nuovi farmaci, quali Brentuximab vedotin e
bendamustina in monoterapia. Da Aprile 2013 a Ottobre
2014, alla luce delle evidenze di letteratura, nove pazienti
sono stati sottoposti a terapia con brentuximab vedotin in
associazione alla bendamustina presso il Dipartimento di
Oncoematologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
di Roma. Tutti i pazienti, con stadio IIB-IV all’esordio e
un’età mediana al trattamento di 18 anni (13-22 anni),
avevano già ricevuto diverse linee di chemioterapia, oltre
a radioterapia e trapianto di cellule staminali emopoieti-
| 38 |
che. Lo schema di trattamento, prescritto in off-label, prevedeva l’infusione di Brentuximab 1.8 mg/kg al g+1 e
bendamustine 120 mg/mq al g2-3, ogni 21 giorni fino ad
un totale di 6 cicli (4-6 cicli). Tutti i pazienti sono stati
valutati dopo il 2 ciclo e al termine del trattamento, secondo i criteri di Cheson (2007). Gli eventi avversi osservati
sono stati: nausea (7 pz), tossicità ematologica di grado 34 (6 pz), tossicità cutanea (1 pz) e infezione da citomegalovirus (1pz). 7 pazienti hanno raggiunto la remissione
completa (4 al ciclo 2 e 3 al termine del trattamento), 1
paziente una remissione parziale ed 1 progressione di
malattia. Dei pazienti in remissione completa o parziale, 6
pazienti sono stati successivamente sottoposti a trapianto
autologo o allogenico di cellule staminali emopoietiche e
sono attualmente in remissione completa, con un followup mediano di 262 giorni (140-676 giorni). Al momento
solo due pazienti hanno presentato recidiva e sono stati
recuperati con altre terapie. Tali dati dimostrano un buon
profilo di sicurezza e tossicità del trattamento con brentuximab e bendamustina, ma necessitano di essere confermati da studi prospettici e su un campione più ampio di
pazienti.
P047
RUOLO DEI SAGGI FARMACODINAMICI IN VITRO
NELLA STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO:
VALUTAZIONI PRELIMINARI SUL PROTOCOLLO
AIEOP-BFM ALL 2009
M. Rabusin1, R. Franca1, D. Favretto1, A. Colombini2,
E. Brivio2, E. Barisone3, I. Bini3, A. Mandese3,
L. Vinti4, G. Stocco5; G. Decorti5
1IRCCS Ospedale Pediatrico Burlo Garofolo, UO
Oncoematologia Pediatrica, Trieste; 2Dipartimento di
Pediatria, Ospedale S. Gerardo, Università degli Studi
di Milano Bicocca, Fondazione MBBM, Monza (MB);
3Divisione di Oncoematologia Pediatrica e Centro
Trapianti Cellule Staminali, Ospedale Pediatrico
Regina Margherita (OIRM), Torino; 4Dipartimento di
Ematologia ed Oncologia Pediatrica, IRCCS Ospedale
Pediatrico Bambino Gesù, Roma; 5Dipartimento di
Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste, Italy
Attualmente, la farmacoresistenza dei blasti non viene
presa in considerazione per guidare le scelte terapeutiche,
nonostante il potenziale ruolo che tale resistenza può
avere nella risposta sub-ottimale del paziente e nella selezione di sottopopolazioni leucemiche non responsive alla
terapia. Lo studio prospettico multicentrico si propone di
sviluppare varie strategie farmacologiche per la personalizzazione del protocollo AIEOP-BFM LLA 2009. La
sensibilità dei blasti verso il pannello di chemioterapici
usati in induzione viene misurata in vitro tramite saggio
MTT e le corrispettive IC50 (concentrazione di farmaco
necessaria a ridurre la vitalità cellulare del 50%) ed Imax
(percentuale di cellule non vitali alla più alta concentrazione di farmaco usata) vengono assunte come parametri
farmacodinamici. Sulla base della letteratura, viene calcolato anche un punteggio numerico combinato delle IC50
per metilprednisone (PDN), vincristina (VCR), daunorubicina (DNR) e asparaginasi (ASP), definito PVDA score,
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
che varia da 4 (sensibile) a 12 (resistente). Come variabili
farmacogenetiche si considerano i polimorfismi genetici
negli enzimi coinvolti nel metabolismo dei farmaci in
generale (quali le delezioni di GST-M1 e GST-T1) o nel
metabolismo delle tiopurine in particolare (quali gli SNPs
rs1142345, rs1800462, rs1800460 nel gene di TPMT;
rs1127354, rs7270101, rs6051702 in ITPA; rs2413739 in
PACSIN2). Questi parametri farmacologici vengono correlati alla risposta clinica del paziente per valutarne il
ruolo predittivo. Ad oggi, sono stati forniti gli aspirati
midollari di 35 pazienti alla diagnosi (62.8% maschi, età
mediana alla diagnosi: 6,44,) su cui è stata valutata la sensibilità dei blasti al PDN. Per 28 pazienti sono disponibili
anche i dati di sensibilità alla VCR,per 23 all’ASP,per 20
alla DNR, per 17 alla 6-mercaptopurina e alla 6-tioguanina e per 13 alla citarabina e al desametasone. La malattia
residua minima al giorno +15 è stata correlata ad una
maggiore resistenza in vitro al PDN (p-value di correlazione con il test Spearman: 0,017), alla VCR (p=0,032),
all’ASP (p=0,059), al DEX (p=0,007), misurate come
IC50, così come ad un PVDA maggiore (p=0,009) in 8
pazienti del Burlo, per cui i dati clinici erano disponibili.
Una maggiore resistenza in vitro (IC50) al PDN è stata
riscontrata nei pazienti portatori del gene GST-M1 rispetto ai soggetti deleti in omozigosi (p-value =0,039) in linea
con quanto atteso per il ruolo regolatorio negativo di
GST-M1 sull’apoptosi indotta da steroidi. Nel caso della
6-TG, una IC50 più alta si riscontra nei pazienti portatori
genotipo TT del gene PACSIN2 (p-value =0,063), genotipo associato in letteratura ad una ridotta attività enzimatica di TPMT. E’ stata riscontrata inoltre una correlazione
tra resistenza alla DNR e l’età dei pazienti: la percentuale
di cellule sopravvissute al trattamento in vitro alla dose
più elevata di farmaco (Imax) è statisticamente più elevata
negli adolescenti (p=0,031), gruppo generalmente con
esito più sfavorevole. Una tendenza simile è stata riscontrata anche per la 6-TG (p=0,072). Questi risultati sono
incoraggianti nel sostenere l’uso dei saggi MTT per investigare nel dettaglio la resistenza dei blasti ai chemioterapici. La casistica va ancora ampliata ed integrata con i dati
clinici dei pazienti per valutare accuratamente l’impatto di
queste variabili farmacodinamiche/farmacogenetiche sull’efficacia e sulla tossicità del trattamento.
P048
LINFOMI NON HODGKIN RARI: L’ESPERIENZA
DELL’AIEOP
C. Cimino, E. Carraro, L. Mussolin, E.S. d’Amore,
S. Buffardi, A. Garaventa, A. Lombardi, R. De Santis,
P. D’Angelo, P. Bulian, N. Santoro, F. Porta, R. Mura,
A. Tondo, M. Cellini, A. Sala, P. Bertolini, K. Perruccio,
M. Nardi, M. Piglione, S. Cesaro, M. Pillon,
L. Lo Nigro
Gruppo di Lavoro AIEOP Linfomi non-Hdgkin, Italy
INTRODUZIONE: In ambito AIEOP sono state
individuate diagnosi istologiche di linfoma considerate
“rare” o “adult-type”. La gestione di queste forme è
aneddotica.
MATERIALI E METODI: Riportiamo i dati relativi
ai pazienti diagnosticati presso Centri AIEOP dal maggio 1998 al dicembre 2014.
RISULTATI: Sono stati identificati 51 casi. Trentotto
maschi. Età mediana 10 anni (0,5-21). St.Jude stage:
28/stage I, 8/stage II, 12/stage III, 4/stage IV. In sette casi
abbiamo riscontrato il coinvolgimento del midollo osseo
(BM; 3 casi Linfoma leucemizzato) e in un solo caso del
sistema nervoso centrale (SNC). Valore mediano di LDH:
429 UI (158-5965). Abbiamo suddiviso i pazienti in un
gruppo A (23), che non hanno ricevuto alcuna terapia e
gruppo B (28), sottoposti a varie forme di trattamento. Nel
gruppo A, 12 pazienti hanno presentato un linfoma follicolare (FL), 5 una papulosi linfomatoide, 3 una micosi
fungoide, un sarcoma follicolare a cellule dendritiche, un
linfoma a/b con pannicolite subcutanea e una mastocitosi
cutanea. La localizzazione principale è stata quella cutanea (10) e linfonodale (10); 3 testicolari. In un follow-up
mediano di 2 anni (0,1-13,6) sono state riscontrate 3 mancate remissioni e una recidiva. Nel gruppo B, sono stati
trattati 6 FL, 3 linfomi Grey-zone, 2 linfomi linfoblastici
bifenotipici, 2 linfomi/leucemie g/d epatosplenici, 2 linfomi linfoplasmocitici e 13 singole diagnosi. Le localizzazioni erano 7 toraciche, 6 linfonodali, 5 addominali, 4
cutanei, 3 nasofaringei, 1 SNC, 1 BM e 1 ossea. La remissione completa è stata ottenuta in 19 casi; in 7 pazienti la
malattia era resistente, mentre tre sono ancora in trattamento. La recidiva è stata riscontrata in 2 casi. La chemioterapia è stata utilizzata in 27 casi, con diversi protocolli
AIEOP. In un caso solo radioterapia. Tre pazienti sono
stati “consolidati” con il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche, mentre in 5 allogenico. Un caso ha
presentato una LAM secondaria. In un follow-up mediano
di 5,7 anni (0,1-13,5) sono state registrate tre morti trapianto-correlate e tre da progressione di malattia.
CONCLUSIONI: La nostra esperienza dimostra
come la rete AIEOP sia in grado di gestire adeguatamente linfomi rari e/o di pertinenza dell’adulto.
P050
CARATTERISTICHE CLINICHE, BIOLOGICHE ED
OUTCOME DEI PAZIENTI AFFETTI DA LEUCEMIA
MIELOIDE ACUTA NON RESPONSIVI ALLA
TERAPIA DI PRIMA LINEA ARRUOLATI NEL
PROTOCOLLO AIEOP AML 2002/01
R. Masetti1, F. Fagioli2, G. Basso3, M.C. Putti3,
M. Berger2, M. Luciani4, C. Rizzari5, G. Menna6,
P. Quarello2, F. Locatelli4
1Oncologia ed Ematologia “Lalla Seràgnoli” Clinica
Pediatrica Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Bologna;
2SC Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti
AOU Città della Salute e della Scienza di Torino,
Torino; 3Dipartimento di Pediatria Università di
Padova Cattedra Di Oncoematologia Pediatrica,
Padova; 4Oncoematologia pediatrica Ospedale
“Bambino Gesù”, Roma; 5Clinica Pediatrica
dell’Università Milano Bicocca AO San Gerardo,
Monza (MB); 6Dipartimento di Oncologia AO
Santobono-Pausilipon, Napoli, Italy
I pazienti pediatrici affetti da leucemia mieloide
| 39 |
Poster
acuta (LAM) resistenti alla chemioterapia di prima
linea sono una percentuale significativa (circa il 20%) e
manifestano una prognosi non favorevole. Nel presente
studio riportiamo le caratteristiche cliniche, biologiche
e l’outcome di 48 pazienti pediatrici affetti da LAM
resistenti alla prima linea chemioterapica arruolati al
protocollo AIEOP LAM 2002/2001. La resistenza al
trattamento viene definita come la presenza di una
quota blastica midollare superiore al 25% e al 5% alla
fine del primo o al secondo chemioterapico di induzione (Pession et al. Blood 2013). Questo gruppo di
pazienti, se confrontati con gli altri pazienti affetti da
LAM arruolati nel medesimo protocollo, presentano un
livello di globuli bianchi alla diagnosi superiore
(p=0.01 e p=0.008). Non vi sono invece differenze biologiche e citogenetiche rispetto ai pazienti collocati
nella fascia ad alto rischio. Ventotto dei 48 pazienti
(58%) sono stati sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE); 3 hanno ricevuto un trapianto autologo e 25 un trapianto allogenico (10 da
donatore familiare HLA identico, 6 da donatore familiare aploidentico e 9 da donatore non familiare). Una
sopravvivenza libera da eventi significativamente superiore è stata osservata tra i pazienti sottoposti a TCSE
(31,2% versus 5%, p<0.0001). Solo un paziente è vivo
e libero da malattia senza aver ricevuto un TCSE. Lo
stato di malattia al momento del TCSE impatta significativamente sulla sopravvivenza libera da malattia: 19
pazienti in remissione completa mostrano una sopravvivenza del 42% mentre nessun paziente trapiantato con
malattia attiva risulta vivo ed in remissione all’ultimo
follow up (p=0.02). Il tipo di donatore e la fonte di cellule staminali ematopoietiche non impattano sulla
sopravvivenza. Questo studio descrive una delle più
ampie casistiche riportate in letteratura di pazienti
pediatrici affetti da LAM non responsivi alla terapia di
prima linea. I pazienti sottoposti a TCSE presentano
una percentuale di sopravvivenza libera da malattia
incoraggiante. Il rischio di ricaduta post-TCSE rimane
una delle più frequenti cause di fallimento terapeutico.
Una migliore e più definita conoscenza della biologia di
questo tipo di patologia è auspicabile al fine di sviluppare nuove e più efficaci strategie terapeutiche.
P051
LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA
DIAGNOSTICATA DOPO PRETRATTAMENTO
STEROIDEO: CARATTERISTICHE E RISULTATI IN
BAMBINI TRATTATI NEI PROTOCOLLI AIEOP-BFM
ALL 2000 E AIEOP ALL R2006
A. Colombini, F. Locatelli, M.G. Valsecchi,
R. Parasole, E. Brivio, C. Rizzari, M.C. Putti,
S. Casagranda, E. Barisone, L. Lo Nigro, N. Santoro,
O. Ziino, A. Pession, A.M. Testi, C. Micalizzi,
F. Casale, D. Silvestri, A. Biondi, G. Basso, V. Conter
per Gruppo di Lavoro AIEOP LLA
Gruppo di Lavoro AIEOP per LLA, Italy
INTRODUZIONE: La Leucemia Linfoblastica
Acuta (LLA) può presentarsi nei bambini con sintoma-
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tologia tale da porre in diagnosi differenziale altre patologie sensibili a farmaci steroidei. L’impatto prognostico del pretrattamento con steroidi sulla LLA non è noto.
Scopo di questo lavoro è stato quello di analizzare la
frequenza di pretrattamento con farmaci steroidei e
l’impatto sia sulle caratteristiche della malattia alla diagnosi che sulla prognosi nei bambini trattati con protocolli AIEOP-BFM ALL 2000 e AIEOP ALL R2006.
MATERIALI E METODI: Nei protocolli suddetti
venivano considerati eleggibili allo studio bambini che
avevano ricevuto una dose di steroide non superiore a 1
mg/kg/die per due settimane nell’ultimo mese precedente la diagnosi. Sono stati analizzati i dati dei pazienti
reclutati nei centri AIEOP e trattati con i protocolli
AIEOP-BFM ALL 2000 e AIEOP ALL R2006 nel
periodo 2000-2011.
RISULTATI: In totale sono stati arruolati e considerati eleggibili a questi due studi 3687 pazienti dei quali
113 (3%) sono stati pretrattati con steroide. Il confronto
tra questi due gruppi ha evidenziato le seguenti differenze: età ≥10 anni: 36% vs 20%; globuli bianchi alla
diagnosi ≥100000/mmc: 6% vs 10%; immunofenotipo
T 18% vs 12%; PPR 11% vs 10%; stratificazione finale
come alto rischio 17% vs 15%. L’event free survival (+SE), l’overall survival (±SE) e l’incidenza cumulativa
di ricaduta a 5 anni sono stati rispettivamente del 80.3%
(±3.9) vs 80.3%(±0.7), 86.9%(±3.3) vs 89.7%(±0.5) e
14.3%(±3.4) vs 16.3%(±0.7).
DISCUSSIONE: La frequenza di pretrattamento
steroideo nei pazienti con nuova diagnosi di LLA è
assai limitata ed è più frequentemente associata ad età
superiore ai 10 anni ed immunofenotipo T. Questa esperienza indica che il pretrattamento con farmaci steroidei
non ha un impatto rilevante sulla stratificazione e sulla
prognosi di bambini affetti da LLA, stratificati e trattati
secondo la strategia dei moderni protocolli AIEOPBFM ALL.
P052
SOMMINISTRAZIONE DI CICLOFOSFAMIDE IN
REGIME DI DAY HOSPITAL: L’ESPERIENZA DEL
CENTRO DI PADOVA
E. Varotto, C. Messina, L. Sainati, S. Varotto,
M.G. Petris, M. Pillon, A. Todesco, M. Tumino,
B. Buldini, M.C. Putti, G. Basso
Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Università degli
Studi di Padova, Italy
OBIETTIVI: Valutare la sicurezza della somministrazione della Ciclofosfamide in regime di Day
Hospital nei pazienti affetti da Leucemia Linfoblastica
Acuta (LLA).
MATERIALI E METODI: Sono stati considerati i
pazienti arruolati nei protocolli AIEOP LLA 2000/2006R
a cui sia stata somministrata chemioterapia fino alla
Reinduzione ed i pazienti arruolati nel protocollo AIEOP
LLA 2009 che abbiano ricevuto almeno una dose di
Ciclofosfamide. La terapia è stata somministrata con le
seguenti modalità: • idratazione con elettrolitica pediatrica (1250-1500ml/mq) per 10 ore, suddivise in 2-3 ore di
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
pre-idratazione, un’ora di infusione di Ciclofosfamide e
6-7 ore di post-idratazione; • 3 boli di Mesna(1/3 della
dose di Ciclofosfamide)ai tempi +0 ore, +3-4 ore e +7-8
ore; • 1 dose di Furosemide (0,5mg/kg) al tempo +6 ore;
• 2 dosi di Ondansetron (0,2 mg/kg) ai tempi +0 ore e +78 ore; • controllo del peso del paziente ai tempi +0 ore e
+6-8 ore; • controllo degli elettroliti e della funzionalità
renale pre-terapia, da ripetere con un aumento di peso
>20% o sintomi suggestivi di ritenzione idrica/SIADH; •
controllo dell’ematuria con stick urinario ad ogni minzione; • ricovero in caso di SIADH sospetta o accertata o
cistite emorragica. In caso di microematuria somministrazione di un bolo di Mesna aggiuntivo o aumento della
dose di quello previsto
RISULTATI: Da settembre 2000 sono state somministrate 1401 dosi di Ciclofosfamide (1000 mg/m2:
1076 dosi; 500 mg/mq: 325 dosi) a 411 pazienti (LLA
2000/2006R: 316 pz; LLA2009: 95 pz). Dall’analisi
retrospettiva delle lettere di dimissione dal nostro
Reparto sono emersi 6 episodi di SIADH (0,004%),
risoltisi completamente nell’arco di 48 ore (terapia eseguita: restrizione idrica, furosemide a boli, supplementazione parenterale di sodio cloruro in bolo lento) e 1
episodio di cistite emorragica (0,0007%) a 24 ore dalla
somministrazione della ciclofosfamide, verosimilmente
dovuto ad un’idratazione ridotta per motivi non medici.
CONCLUSIONI: La bassa frequenza di complicanze nei nostri pazienti, pur possibilmente sottostimata,
mostra che è possibile somministrare in regime di Day
Hospital la Ciclofosfamide a dosaggio di 5001000mg/mq nei pazienti affetti da LLA; questo richiede
una prolungata iperidratazione ed un attento monitoraggio dei principali effetti collaterali (ritenzione idrica e
microematuria) per evitare complicanze clinicamente
significative.
P053
FUNZIONALITÀ DELL’ASSE IPOTALAMO-IPOFISISURRENE DOPO TERAPIA STEROIDEA AD ALTE
DOSI: DATI PRELIMINARI
C. Marabini, G. Del Baldo, F. Zallocco, P. Coccia,
S. Gobbi, V. Petroni, P. Pierani
Università Politecnica delle Marche, Ancona, Italy
La somministrazione di alte dosi di steroidi può essere seguita dalla sindrome da deprivazione di steroide,
ovvero malessere, anoressia, cefalea, letargia, nausea,
febbre e ipotensione, dovuta alla soppressione di CRH e
ACTH con secondaria atrofia della corteccia surrenalica.
Il test all’ACTH è il metodo più sensibile per valutare la
funzionalità surrenalica. Il cortisolo salivare sembra essere un marker affidabile della frazione biologicamente
attiva di cortisolo nel sangue, ed è stato usato come surrogato del cortisolo sierico in popolazioni pediatriche,
dato il suo ridotto costo e la minore invasività.
OBIETTIVO: L’obiettivo del nostro studio è valutare la funzionalità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene
dopo terapia steroidea prolungata ad alte dosi attraverso
il dosaggio del cortisolo sierico e salivare e dopo test da
stimolo con ACTH.
MATERIALI E METODI: Abbiamo arruolato 13
pazienti affetti da LLA (9), LH (2), istiocitosi (2) nel
periodo tra Ottobre 2014 e Gennaio 2015. Tutti i
pazienti hanno effettuato terapia steroidea ad alte dosi
per un periodo compreso tra 2 e 6 settimane con prednisone o desametasone. Abbiamo dosato i valori di cortisolo sierico e salivare all’ultimo giorno di terapia a
dose piena. In 11 pazienti è stato eseguito test da stimolo ACTH tra le 24 ore e le 2 settimane dopo decalage,
ed è stato ripetuto nei casi patologici.
RISULTATI: Il dosaggio di cortisolo plasmatico è
risultato normale in 7 determinazioni, ridotto in 6.
Quando confrontato con il cortisolo salivare solamente
in 2 determinazioni questo è risultato patologico, mentre in 11 campioni il dosaggio era normale. Il test dopo
stimolo è risultato alterato in 5 pazienti, in 3 di questi si
è assistito a normalizzazione del test dopo 1-4 settimane, mentre 2 pazienti hanno rifiutato di ripetere il test.
CONCLUSIONI: I dati dimostrano che il riscontro
di bassi valori di cortisolo sierico non sempre sono indicativi di una bassa concentrazione di cortisolo libero
attivo. Pertanto nell’85% dei pazienti la prolungata
terapia steroidea ha mantenuto valori di cortisolo biologicamente attivo adeguati. Il test da stimolo dovrebbe
essere raccomandato nelle popolazioni pediatriche a
rischio, e nei pazienti con test patologico andrebbe raccomandata terapia sostitutiva con idrocortisone in caso
di febbre o stress.
P054
CONFRONTO FRA DIFFERENTI CRITERI DI
VALUTAZIONE DELLA FDG-PET/TC AD INTERIM
NEL LINFOMA DI HODGKIN IN ETÀ PEDIATRICA
F. De Leonardis1, T. Perillo1, C. Ferrari2, P. Muggeo1,
N. Merenda2, R. Daniele1, G. Arcamone1,
G. Rubini2, N. Santoro1
1Oncologia ed Ematologia Oncologica Pediatrica;
2UOC Medicina Nucleare AOUC Policlinico Bari, Italy
Il valore predittivo della interim PET (int-PET) nel
Linfoma di Hodgkin (LH) è ben documentato in pazienti adulti mentre è ancora in fase di validazione in età
pediatrica. Scopo dello studio è confrontare diversi
parametri di valutazione della int-PET eseguita dopo
due cicli di chemioterapia nei pazienti pediatrici con HL
seguiti nel nostro Centro, trattati secondo protocollo
AIEOP “LH 2004”. Abbiamo analizzato le PET/TC di
27 bambini (età media 12 anni 8 mesi), 2 trattati nel
gruppo terapeutico (TG) I, 4 in TG II e 21 in TG III. Le
PET/TC sono state eseguite in diversi time point (TP);
all’esordio di malattia (TP-0), dopo due cicli di terapia
(TP-2) ed al termine del trattamento chemioterapico di
prima linea previsto per ciascun gruppo terapeutico. A
ciascuna PET/TC è stato assegnato uno Score di
Deauville (DS); negativi gli score 1-3, positivi gli score
4-5. Inoltre al TP-0 ed al TP-2 sono stati calcolati il
ΔSUVmax (differenza in valore assoluto dei SUVmax),
il ΔSUVmean (media delle differenze in valore assoluto
dei SUV per ogni sede di captazione), il ΔMTV ed il
| 41 |
Poster
ΔTLG, cioè le differenze dei volumi metabolici (MTV)
e dei livelli di glicolisi totale (TLG). Al termine del trattamento di prima linea 22 pazienti sono risultati in
remissione completa (RC), 5 hanno necessitato di terapie di seconda linea o successive (non-RC). Il followup medio è stato di 24 mesi (range 3-78 mesi). Alla
valutazione al TP-2 secondo DS, la int-PET è stata considerata negativa in 19/27 pazienti (70%), positiva in
8/27 (30%) pazienti; tale parametro non è risultato
significativamente associato con l’outcome al termine
della terapia di prima linea (test di Fisher p=0.136).
Allo stesso TP differenze statisticamente significative
rispetto all’outcome dei due gruppi (RC vs non-RC)
sono state invece osservate per ΔSUVmax (t=2.45,
p=0.026), quasi statisticamente significative per
ΔSUVmean (t=1.88, p=0.071). L’AUCs migliore è stata
osservata per ΔSUVmax (0.836; cut-off<12.5, sensibilità 80%, specificità 91%). Nessun parametro PET è
risultato avere valore prognostico alla regressione di
Cox, probabilmente a causa dell’esiguo numero dei
pazienti “non-RC”. Nel nostro studio, tra i parametri
analizzati, il ΔSUVmax al TP-2 sembra avere il maggior peso prognostico.
P055
ALTERAZIONI METABOLICHE IN BAMBINI OFF
THERAPY PER LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA
P. Muggeo1, M.F. Faienza2, P. Giordano2,
M. Del Vecchio2, C. Novielli1, F. De Leonardis1,
L. Cavallo2, N. Santoro1
1Oncologia ed Ematologia Oncologica Pediatrica;
2UOC Pediatria “B. Trambusti”, AOUC Policlinico
Bari, Italy
I progressi nel trattamento della LLA assicurano
una sopravvivenza libera da malattia a 5 anni nel 90%
dei casi, seppur con un aumento del rischio per complicanze a lungo termine quali cardiotossicità, neurotossicità, endocrinopatie, obesità, infertilità, comorbidità
psicosociali. La sindrome metabolica (SM) e le singole
componenti della SM (obesità viscerale, insulino-resistenza, intolleranza glucidica, dislipidemia, ipertensione arteriosa e disfunzione endoteliale)1 costituiscono
alcune delle possibili complicanze. Obiettivo di questo
studio è stato di valutare la prevalenza di alterazioni
metaboliche, glucidiche e lipidiche, nonchè la presenza
di steatoepatite in bambini con LLA fuori terapia.
Abbiamo misurato circonferenza vita, pressione arteriosa (PA), glicemia, colesterolo HDL, trigliceridi ed insulina. E’ stata indagata la familiarità per cardiopatia
ischemica, ipertensione e obesità. Campione: 92
pazienti (44 maschi) con diagnosi di LLA fuori terapia
da almeno 3 mesi (età alla diagnosi 5.6 +/- 3.8 anni, al
reclutamento 10.6 +/- 4.2 anni). Abbiamo riscontrato
una circonferenza vita patologica in 54 (58.7%), ipertrigliceridemia in 6 (6.5%), ipertensione in 10 (10.9%),
aumento del colesterolo HDL in 4 (4.3%), iperglicemia
in 2 (2.1%) ed un quadro di steatosi epatica lieve in 18
(19.5%), moderata in 4 (4.3%) e grave in 2 (2.1%)
pazienti. Un solo paziente ha presentato i tre criteri
| 42 |
minimi per la diagnosi di sindrome metabolica[2], 17
pazienti solo due e 39 solo uno. I dati preliminari di
questo studio confermano la presenza di almeno una
anomalia metabolica in circa il 60% dei nostri pazienti,
ma solamente 1 paziente ha presentato sindrome metabolica. Una recente metanalisi1 ha dimostrato che la
prevalenza di tale sindrome in pazienti leucemici è del
13.1%, maggiore rispetto ai nostri dati. Questo potrebbe
dipendere non solo dalla differente età al reclutamento
(il nostro costituisce lo studio con l’età più bassa), ma
anche dal differente stile di vita trattandosi per gli altri
studi di popolazioni anglosassoni e quindi con un regime alimentare qualitativamente differente rispetto a
quello mediterraneo della nostra casistica.
BIBLIOGRAFIA
1. Faienza MF et al. Metabolic syndrome in childhood
leukemia survivors: a meta-analysis. 2014 August; Int J of
Basic and Clinical Endocrinol.
2. Kursawe R, Santoro N. Adv Clin Chem. 2014;65:91-142.
Metabolic syndrome in pediatrics.
P056
LA LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA IN ETÀ
PEDIATRICA: DALLA VECCHIA ALLA NUOVA ERA.
ESPERIENZA MONOCENTRICA
G. Biaggini, E. Palmisani, M. Faraci, J. Svahn,
G. Morreale, F. Fioredda, S. Giardino, M. Miano,
E. Lanino, C. Dufour, C. Micalizzi
Dipartimento di Emato-Oncologia Pediatrica, Istituto
Giannina Gaslini, Genova, Italy
INTRODUZIONE E SCOPO DELLO STUDIO:
La LMC è una sindrome mieloproliferativa rara in
pediatria. L’utilizzo degli inibitori della tirosina chinasi, associato al monitoraggio della malattia residua
minima con tecniche standardizzate, ha rivoluzionato
il trattamento di questa malattia. Obiettivo del lavoro
è lo studio di una serie casistica consecutiva di bambini con LMC afferente al nostro Dipartimento dal 1971
al 2014, per analizzare le modificazioni del comportamento e delle decisioni cliniche nel corso degli anni.
MATERIALI E METODI: Sono stati analizzati 25
pazienti di età compresa tra 3 e 16 anni con diagnosi di
LMC effettuata tra il 1971 e il 2014. L’anno 2002 è
stato considerato come spartiacque per attribuire i
pazienti alla vecchia era (pre-TKI), o alla nuova era. Per
tutti i pazienti sono state analizzate le risposte al trattamento secondo le indicazioni della “European
Leukemia Net”.
RISULTATI: 17 pazienti appartengono alla vecchia
era e 8 alla nuova era.14 pazienti della vecchia era sono
stati sottoposti a TMO (1 FD e 13 MUD): 12 in
Remissione Ematologica Completa, 1 in Remissione
Citogenetica Completa e 4 in Remissione Citogenetica
Minore. Tutti i pazienti della nuova era sono stati sottoposti a trattamento con TKI (6 con Imatinib e 2 con
Nilotinib), preceduto in 5 pazienti da terapia citoriduttiva. Tre sono stati sottoposti a TMO in Remissione
Ematologica e Citogenetica completa, solo uno in MR3.
I pazienti non trapiantati sono attualmente in terapia
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
con TKI e 4 con malattia molecolare <MR3; solo un
paziente in trattamento da 6 mesi è in MR1. La sopravvivenza libera da malattia a 5 anni dall’esordio è del
100% nei pazienti trattati nella nuova era, contro il 60%
nei pazienti trattati prima del 2002 (Figura 1).
Figura 1. Sopravvivenza globale totale pazienti in studio.
CONCLUSIONI: L’introduzione dei TKI ha cambiato la storia naturale della Leucemia mieloide cronica. Attualmente il trapianto di midollo osseo in età
pediatrica ha un ruolo controverso. In riferimento al
trattamento con TKI sono rilevanti due ordini di problematiche: la lunghezza del trattamento (per tutta la vita?)
e la tossicità farmacologica propria di pazienti in età
evolutiva (deficit di accrescimento staturale e ritardo
puberale). Le scelte terapeutiche devono tenere conto di
questi fattori.
P057
STUDIO DELLA CINETICA DEL DNA LIBERO
CIRCOLANTE NEL LINFOMA DI HODGKIN
PEDIATRICO
L. Mussolin1,2, S. Primerano2, C. Elia3, E. Carraro2,
M. Pillon2, P. Farruggia4, A. Sala5, A. Vinti6,
A. Garaventa7, S. Buffardi8, G. Basso2, R. Burnelli9,
M. Mascarin3 per il GdL Linfoma di Hodgkin
1Istituto di Ricerca Pediatrica-Fondazione Città della
Speranza, Padova; 2Clinica di Oncoematologia
Pediatrica, Azienda Ospedaliera-Università di Padova,
Padova; 3SOS di Radioterapia Pediatrica CRO Aviano;
4Dipartimento di Oncologia, Unità di Oncoematologia
Pediatrica, A.R.N.A.S. Ospedali Civico di Cristina e
Benfratelli, Palermo; 5Unità di Oncoematologia
Pediatrica, Dipartimento Pediatrico della Fondazione
MBBM, Ospedale San Gerardo, Monza (MB);
6Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, Ospedale
Bambino Gesù, Roma; 7Dipartimento di Oncoematologia,
Istituto G. Gaslini, Genova; 8Dipartimento di Oncologia
Pediatrica, Ospedale Santobono-Pausillipon, Napoli;
9Unità di Oncoematologia, Azienda Ospedaliero
Universitaria di Ferrara S. Anna, Ferrara, Italy
INTRODUZIONE E OBIETTIVI: DNA Libero
Circolante (DLC) si può trovare in piccole quantità nel
plasma di individui sani e si ritiene derivi dal rilascio di
acidi nucleici dei linfociti circolanti che vanno incontro
ad apoptosi. Livelli aumentati sono stati riscontrati in
presenza di neoplasie. Ad oggi non sono noti parametri
biologici prognostici nel Linfoma di Hodgkin (LH), né
esistono marcatori molecolari per il monitoraggio di
malattia. Gli obiettivi della nostra ricerca sono stati lo
studio del DLC, all’esordio e durante la chemioterapia
(CT) nel plasma di pazienti con LH. I risultati sono stati
correlati con le principali caratteristiche cliniche dei
pazienti.
METODI: Il DLC è stato valutato all’esordio in 155
pazienti, in 75 al time-point TP1 (dopo 1ª ciclo di CT),
41 al TP2 (dopo lo stop della CT) e 25 al TP3 (dopo l’eventuale radioterapia). E’ stato inoltre valutato il plasma
di 15 individui sani. Lo studio è stato condotto, dopo
estrazione del DNA plasmatico, mediante la quantificazione in Real-Time PCR del gene POLR2. L’analisi statistica è stata eseguita usando il test non-parametrico di
Wilcoxon.
RISULTATI: Il valore medio del DLC è risultato 5.5
ng/mL nei sani vs 112 ng/mL nel LH all’esordio
(p=0.002). Alti valori alla diagnosi risultano associati ai
sintomi B (p=0.027) ed a VES elevata (p=0.02).
Significativa l’associazione tra gruppo terapeutico (GT)
e cinetica del DLC: nel GT3 (malattia bulky, IIIB-IV) il
DLC aumenta dopo il primo ciclo di CT (p=0.02).
Rilevante che nessuno dei pazienti con DLC aumentato
allo stop di CT rispetto alla diagnosi sia recidivato.
CONCLUSIONI: Nella nostra casistica il DLC alla
diagnosi si è dimostrato un marcatore dello stato flogistico indotto dal linfoma. Nei pazienti del GT3, con
malattia avanzata, l’aumento del DLC durante e alla
fine di CT potrebbe essere correlato alla risposta terapeutica. Lo studio su una casistica più ampia consentirà
di stabilire se avrà valore prognostico, indicativo della
reazione infiammatoria verso la malattia, e se si potrà
utilizzare nel follow-up coxì come la Malattia Minima
Residua nei LNH.
P058
STUDIO RETROSPETTIVO DEI PAZIENTI
PEDIATRICI AFFETTI DA LINFOMA NON HODGKIN
IN ASSOCIAZIONE A INFEZIONE HIV
L. Antonazzo1, E. Carraro1, D. Caselli2, L. Mussolin3,
K. Perruccio4, A. Lombardi5, L. Vinti5, A. Sala6,
A. Tondo7, P. Pierani8, M. Piglione9, E. Giraldi10,
L. Galli11, M. Pillon1
1Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda
Ospedaliera-Università di Padova, Padova; 2Pediatria
Ospedale MPArezzo, ASP Ragusa, Ragusa; 3Istituto di
Ricerca Pediatrica, Fondazione Città della Speranza,
Padova; 4Divisione di Oncoematologia Pediatrica,
Azienda Ospedaliero Universitaria; 5Dipartimento di
Oncoematologia Pediatrica, Ospedale Bambino Gesù,
Roma; 6Unità di Oncoematologia Pediatrica,
Dipartimento Pediatrico della Fondazione MBBM,
Ospedale San Gerardo, Monza (MB); 7Oncoematologia
Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer,
| 43 |
Poster
Firenze; 8Divisione di Oncoematologia Pediatrica,
Ospedale G. Salesi, Ancona; 9Dipartimento di
Oncologia Pediatrica, Ospedale dei Bambini Regina
Margherita, Torino; 10Dipartimento di Pediatria,
Ospedale Papa Giovanni XXIII, Bergamo;
11Dipartimento di Scienze della Salute, Università di
Firenze, Malattie Infettive, AOU Meyer, Firenze, Italy
INTRODUZIONE E OBIETTIVI: La condizione
di immunodeficienza congenita o acquisita rappresenta un maggiore fattore di rischio per lo sviluppo di
linfomi non Hodgkin (LNH) in età pediatrica e, tra
questi, l’infezione da Human Immunodeficiency Virus
(HIV) è stata classicamente associata all’insorgenza di
LNH, che fa parte dei tumori che portano alla definizione di AIDS in età pediatrica (Category C disease
for children-AIDS-defining malignancies). In pazienti
HIV infetti sono segnalati linfomi ad alto grado di
malignità, con localizzazione extranodale e cerebrale,
a prognosi sfavorevole, complicata dalla difficile
modulazione della chemioterapia data l’assenza di un
protocollo specifico. Lo scopo del lavoro è stato quello di analizzare i dati presenti nei registri AIEOPLNH.
METODI: Abbiamo analizzato retrospettivamente
il database di 4 protocolli AIEOP (LNH92, LNH97,
ALCL99, EuroLB02) per la cura dei LNH pediatrici
incrociandolo e implementandolo con i dati del registro infezioni AIEOP; periodo di arruolamento 19862012. I pazienti con LNH affetti da HIV sono stati
registrati nel protocollo ma valutati separatamente.
RISULTATI: Sono stati registrati 36 pazienti con
nuova diagnosi di LNH associati a HIV, 26 M e 10 F,
età mediana 8 anni (0.16-21.96). 28/36 pazienti hanno
presentato un LNH-B, 7 un linfoma primitivo cerebrale e 1 non noto. Le modulazioni riguardavano soprattutto il Metotrexate (500 mg/mq), Aracytin ed
Etoposide (2/3 della dose). 19/36 sono deceduti.
L’overall survival a 3 anni è 56%. La frequenza dei
casi di LNH associati a HIV è scesa rispetto agli anni
novanta: 27/36 casi prima del 2000; 9 dopo il 2000. La
percentuale di sopravviventi si è alzata, infatti 19
eventi riguardavano pazienti diagnosticati prima del
2000.
CONCLUSIONI: L’incidenza dei LNH in pazienti
HIV positivi è scesa rispetto all’ultimo ventennio;
questo dato è noto anche nell’adulto ed è correlato
all’utilizzo dell’HAART (High active antiretroviral
therapy) adottata estensivamente nel trattamento dell’infezione da HIV a partire dal 1996. La riduzione del
numero dei tumori pediatrici e l’aumento della sopravvivenza è segnalata anche nei pazienti adulti e verosimilmente correlata ad una minore immunodepressione
da HIV. Nonostante la diminuzione dei tumori HIV
correlati, sarà opportuno dare indicazioni specifiche
per il trattamento di questi pazienti anche nei protocolli futuri.
| 44 |
P059
PROTOCOLLO EURONET-PHL-LP1 PER IL
LINFOMA DI HODGKIN STADIO I-IIA IN ETÀ
PEDIATRICA: RISULTATI PRELIMINARI
R. Burnelli1, M. Mazzocco2, A. Todesco3, M. Pillon3,
M.L. Moleti4, T. Casini5, R. Mura6, P. Farruggia7,
M. Terenziani8, A. Sala9, G. Zanazzo10, A. Civino11,
R. Rondelli12, M. Mascarin13
1SSD Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliero
Universitaria Sant’Anna, Ferrara; 2Clinica PediatricaUniversità di Ferrara; 3Clinica di Oncoematologia
Pediatrica, Azienda Ospedaliera -Università di Padova,
Padova; 4Sezione Ematologia Dipartimento di
Biotecnologie Cellulari ed Ematologia Università “La
Sapienza”, Roma; 5Dipartimento A.I. Oncoematologia
SODC Tumori Pediatrici e Trapianto di Cellule
Staminali, Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer,
Firenze; 6Oncoematologia Pediatrica e Patologia della
Coagulazione Ospedale Regionale per le Microcitemie,
Cagliari; 7UO Oncoematologia Pediatrica A.R.N.A.S.
Civico di Cristina e Benfratelli, Palermo; 8Divisione di
Oncologia Pediatrica, Istituto Nazionale Studio e Cura
Tumori, Milano; 9Unità di Oncoematologia Pediatrica,
Dipartimento Pediatrico della Fondazione MBBM,
Ospedale San Gerardo, Monza (MB); 10UO EmatoOncologia Pediatrica Università degli Studi di Trieste
Ospedale Infantile Burlo Garofolo, Trieste; 11Unità
Operativa di Pediatria, U.T.I.N. Az. Osp. “Cardinal G.
Panico”, Tricase (LE); 12Oncologia ed Ematologia
“Lalla Seràgnoli” Clinica Pediatrica, Policlinico
Sant’Orsola Malpighi, Bologna; 13Centro Integrato di
Emato-Oncologia e dell’Adolescenza, AO S. Maria
degli Angeli, Pordenone e IRCCS Centro di Riferimento
Oncologico, Aviano (PN), Italy
Nell’Agosto 2009 è stato attivato in Italia il protocollo EuroNet-PHL-LP1 (Nª EudraCT 2007-004092-19)
per il trattamento dei pazienti di età <18 anni affetti da
Linfoma di Hodgkin (LH) Prevalenza Linfocitaria in
stadio I-IIA. A tale protocollo hanno aderito 21 dei 40
centri AIEOP partecipanti agli studi sul LH; problemi di
natura assicurativa hanno rappresentato la principale
motivazione per la mancata adesione allo studio. Il protocollo prevede stadiazione di malattia comprendente
PET-TC; il solo trattamento chirurgico seguito dall’osservazione clinico-strumentale in caso di neoplasia completamente asportabile; tre cicli CVP (Ciclofosfamide,
Vinblastina, Prednisolone) ogni 15 giorni per i pazienti
in stadio II e per quelli in stadio I in cui non è possibile
un’escissione chirurgica completa della malattia. Dal
giugno 2011 al dicembre 2015 presso 10 Centri sono
stati registrati 20 pazienti: 11 M, 9 F, età media e mediana 11 aa (range 5-17). 12 pazienti erano in I stadio: in 9
è stata eseguita exeresi chirurgica e 8 sono 1ªRC dopo un
tempo mediano d’osservazione di 14 mesi. La risposta
alla chemioterapia è stata: RC/RCu in 3 pazienti in stadio IA e 6 in stadio IIA; RP in un paziente in stadio IA e
non valutabile in 2 pazienti perché too-early. Sono stati
registrati 3 eventi. Un paziente è ricaduto nella sede iniziale dopo exeresi ed è fuori terapia in 2ªRC dopo 3CVP.
Un paziente è ricaduto localmente ed in sede sottodia-
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
frammatica (stadio III) ed è in trattamento secondo il
protocollo AIEOP-LH2004. Il terzo evento è rappresentato dalla RP suddetta che ha richiesto 2 ulteriori cicli
ABVD ottenendo la 2ªRC. Tutti i pazienti sono vivi
dopo un tempo mediano d’osservazione di 15.6 mesi. La
sopravvivenza libera da eventi a 2 anni relativa all’intera
coorte di pazienti è risultata pari a 76.4%. Seppur con il
limite del breve periodo d’osservazione si può concludere che nei 3/4 dei pazienti in I stadio è possibile ottenere
e mantenere la RC con solo la chirurgia; in 7/9 pazienti
fuori terapia si mantiene una RC dopo una chemioterapia poco intensiva; i risultati registrati si allineano con
quanto riportato in letteratura, ma dopo trattamenti più
intensivi.
quindi, i pazienti NOTCH-1wt, ossia con prognosi non
favorevole. Considerando solo il sottogruppo NOTCH1wt,l’espressione di miR-223 riesce a discriminare i casi
con prognosi più severa (p=0.02),infatti tutti i pazienti
NOTCH-1wt recidivati (8/17) presentano livelli di miR223 superiore al valore mediano, mentre nessuno degli 8
pazienti NOTCH-1wt con miR-223 inferiore al valore
mediano va incontro a recidiva. Nei nuovi studi internazionali vengono valutati una serie di parametri molecolari (NOTCH-1, PTEN, FBXW7, LOH6q, riarrangiamento
TCR) per la stratificazione dei pazienti per il trattamento
del LBL-T. I nostri dati dimostrano che anche i miRs
possono essere importanti marcatori di malattia. In particolare, miR-223 potrebbe essere utilizzato per stratificare
i pazienti NOTCH-1wt.
P060
I NUOVI FATTORI PROGNOSTICI NEL LINFOMA
LINFOBLASTICO T PEDIATRICO
L. Mussolin1,2, M. Pillon2, F. Lovisa2, E. Pomari2,
E. Carraro2, E.S. d’Amore3, A. Tondo4; L. Vinti5;
R. de Vito6, G. Basso2
1Istituto di Ricerca Pediatrico Fondazione Città della
Speranza, Padova; 2Clinica di Oncoematologia
Pediatrica, Azienda Ospedaliera, Università di Padova;
3Anatomia Patologica, Ospedale San Bortolo, Vicenza;
4Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Ospedale
Meyer, Firenze; 5Clinica di Oncoematologia Pediatrica,
Ospedale Bambino Gesù, Roma; 6Istituto di Anatomia
Patologica, Ospedale Bambino Gesù, Roma, Italy
Il linfoma linfoblastico T (LBL-T) rappresenta circa
il 30% dei linfomi non-Hodgkin pediatrici e la sua prognosi non è ancora soddisfacente. Negli ultimi anni è
stato dimostrato che le mutazioni di NOTCH-1, FBXW7
e PTEN possono rappresentare utili marcatori prognostici nei bambini affetti da LBL-T. Recentemente abbiamo
identificato un profilo di espressione dei microRNA
(miRs) specifico per il LBL-T pediatrico, suggerendo
che alcuni miRs (tra cui miR-27a e miR-223) svolgano
un ruolo importante nella patogenesi di questa neoplasia.
Lo scopo di questo lavoro è stato studiare questi nuovi
marcatori in una serie di pazienti arruolati nei protocolli
LNH-97 e EuroLB-02. L’espressione dei miR-27a e
miR-223 è stata valutata nel tessuto tumorale mediante
qRT-PCR;lo stato mutazionale di PTEN, NOTCH-1,
FBXW7 è stato analizzato mediante sequenziamento
Sanger. L’analisi statistica è stata eseguita usando il test
Chi-quadro per verificare le associazioni e il coefficiente
r di Spearman per misurare la correlazione. Lo studio è
stato condotto su 44 biopsie tumorali di LBL-T.
NOTCH-1 è risultato mutato nel 43% dei casi (19/44),
FBXW7 nel 6% (7/44), PTEN solo in un caso (2%), la
valutazione dell’EFS conferma il ruolo prognostico positivo delle mutazioni attivanti di NOTCH-1 (p<0.05).
MiR-223 e miR-27a sono risultati up-regolati fino a 400
volte rispetto al tessuto timico normale nei linfomi T analizzati e risultano tra loro altamente correlati (r=0.83,
p=0.0001). Inoltre, la mutazione attivante di NOTCH-1 è
risultata associata a down-regolazione di miR-223
(p=0.006). Livelli elevati di miR-223 caratterizzano,
P061
DOPO TUTTO CI SONO ANCHE IO: PROBLEMI
PSICOLOGICI NEI FRATELLI DI PAZIENTI AFFETTI
DA LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA
F. Petruzziello, L. Ricciardi, B. Palmentieri,
A. De Matteo, G. Sepe, M. Cavezza, R. Parasole
Dipartimento di Onco-Ematologia Pediatrica, PO
Pausilipon, AORN Santobono-Pausilipon-Annunziata,
Napoli, Italy
La malattia oncologica irrompe con prepotenza nelle
famiglie rompendo i vecchi equilibri, minacciando il
naturale diritto alla vita e alla crescita di bambini e di
adolescenti. Quando un bambino viene colpito da una
neoplasia, le attenzioni dei genitori tendono a catalizzarsi
sul figlio malato. I fratelli e le sorelle parallelamente ai
loro fratelli malati devono fare i conti con sentimenti di
rabbia, ansia e con un dolore spesso taciuto. Ogni componente del nucleo familiare è obbligato a compiere un
grande sforzo per adattarsi a tale condizione. È così che i
fratelli e le sorelle dei bambini malati si trasformano in
fratelli non visti: fratelli silenziosi e ritirati che nascondono le proprie emozioni per non ferire i genitori già così
duramente provati, oppure fratelli arrabbiati che nel
tempo rivendicano un ruolo da protagonista all’interno
della famiglia. Da ciò è nato l’interesse dell’equipe medico-psicologica dell’ambulatorio LLA off therapy del
reparto di ematologia del PO Santobono-Pausilipon che
ha somministrato un questionario da sottoporre ai fratelli
basato sulle linee guida di quello elaborato dal St. Jude
Hospital. Nell’anno 2013-2014 sono stati somministrati
100 questionari. Dall’analisi dei dati è emerso che circa
30 fratelli hanno manifestato rispetto ai genitori un alto
grado di disadattamento, che si è espresso nel tempo
attraverso disturbi di vario genere: alterazioni del ritmo
sonno-veglia, difficoltà di socializzazione, instabilità
emotiva, ansia, disturbi nell’attenzione e nel comportamento alimentare, difficoltà di linguaggio e apprendimento, sintomi psicosomatici. Ciò dimostra che lo stress
sperimentato dai fratelli dei bambini malati non deve
essere sottovalutato. I genitori dovrebbero dunque renderli maggiormente partecipi alle fasi di malattia dando
loro degli spazi di attenzione adeguata per evitare la comparsa di manifestazioni comportamentali regressive. A
| 45 |
Poster
partire da queste constatazioni il Servizio di Psicologia si
propone di creare per il futuro spazi d’ascolto dedicati ai
fratelli per dare loro la possibilità di esprimere i propri
vissuti emotivi.
P062
RUOLO DELLA BENDAMUSTINA NEL
TRATTAMENTO DEGLI ADOLESCENTI E GIOVANI
ADULTI, AFFETTI DA LINFOMA DI HODGKIN
RESISTENTE O IN RECIDIVA
K. Girardi, L. Vinti, F. Cocca, A. Mastronuzzi,
S. Gaspari, L. Strocchio, R. Caruso
IRCSS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italy
Il Linfoma di Hodgkin (LH) è la neoplasia più frequente negli adolescenti e giovani adulti. Nonostante i
trattamenti di prima linea abbiano determinato un
miglioramento della sopravvivenza globale (OS) e della
sopravvivenza libera da malattia (EFS), resistenza o
recidiva di malattia si documenta nel 20% dei pazienti.
Tuttavia, il trattamento di seconda linea spesso non
risulta efficace: il tasso di recidiva rimane del 50% con
una OS a 5 anni del 30%. Pertanto, identificare trattamenti efficaci che incrementino l’EFS rimane prioritario. Dal Gennaio 2012 all’Aprile 2013 presso
l’Oncoematologia dell’Ospedale Bambino Gesù di
Roma sono stati trattati con Bendamustina 5 pazienti
affetti da LH resistente, alla luce dei dati di efficacia e
sicurezza documentati negli adulti. Tutti i pazienti presentavano all’esordio uno stadio IIbulky-IV e l’età
mediana al trattamento era 18 anni (18-21 anni). 4
pazienti erano già stati sottoposti a chemioterapia con
reinfusione di cellule staminali emopoietiche autologhe. Bendamustina in monoterapia è stata somministrata alla dose di 120 mg/mq per 2 giorni, ogni 21 giorni
per 4-6 cicli. In termini di risposta sono state documentate: 1 risposta completa, 3 risposte parziali ed 1 stabilità di malattia. In 3 casi è stata osservata tossicità ematologica di grado 3-4 secondo i criteri CTCAE. Non
sono stati descritti altri eventi avversi significativi. Tutti
i pazienti sono stati successivamente consolidati con
una procedura trapiantologica: 4 pazienti hanno ricevuto un trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche; un paziente ha ricevuto una chemioterapia ad alte
dosi con reinfusione di cellule staminali emopoietiche
autologhe. Le mediane di EFS e OS sono state rispettivamente di 10 e 18 mesi; 2 pazienti hanno presentato
recidiva di malattia ed un paziente è deceduto per mortalità peri-trapiantologica. Tali dati, pur necessitando di
essere validati atraverso studi prospettici e su un campione di pazienti più ampio, sottolineano come la bendamustina costituisca una valida alternativa nel trattamento dei linfomi resistenti o recidivati, rappresentando
un “bridge” per il trapianto allogenico di midollo.
| 46 |
P063
SUPPLEMENTAZIONE CON PROTEINA C NON
ATTIVATA IN BAMBINI IN TRATTAMENTO
CHEMIOTERAPICO CON SEPSI GRAVE/SHOCK
SETTICO
T. Perillo, G. Arcamone, P. Muggeo, F. De Leonardis,
C. Novielli, N. Santoro
Oncologia ed Ematologia Oncologica Pediatrica,
AOUC Policlinico, Bari, Italy
Il tasso di mortalità dei pazienti pediatrici con patologia oncoematologica ricoverati in terapia intensiva
per sepsi o shock settico si attesta attorno al 25-30%
circa. Diversi score clinici sono stati proposti per predire la mortalità in questo subset di pazienti. La Proteina
C-coagulante (PC) riveste un ruolo importante nella
regolazione dell’emostasi grazie alle sue proprietà antitrombotiche, antinfiammatorie e profibrinolitiche. Nei
pazienti settici, l’aumentato consumo e/o la ridotta sintesi endogena, determinano un decremento dei livelli
ematici della PC, direttamente correlato ad un aumento
della mortalità e della morbidità. Fra il 2006 ed il 2015
abbiamo condotto uno studio retrospettivo su pazienti
critici eleggibili a trattamento intensivo perché affetti
da sepsi grave e/o shock settico. 17 pazienti critici che
presentavano concentrazioni di PC basali inferiori ai
valori normali per età oppure un decremento della concentrazione plasmatica >10% nelle prime 24 ore, hanno
ricevuto terapia sostitutiva con PC non attivata
(Ceprotin®). La dose media giornaliera somministrata è
stata di 100 UI/kg; il trattamento è proseguito per una
media di 2,8 giorni (range 1-6 giorni) fino a normalizzazione della concentrazione plasmatica e/o evidente
miglioramento delle condizioni cliniche. Due pazienti
sono deceduti; questi presentavano livelli basali di PC
inferiori al resto dei pazienti studiati (35% VS 64%, p
<0,05) e mostravano un più rapido decremento delle
concentrazioni plasmatiche. Nei restanti 15 pz. trattati
abbiamo osservato un trend di miglioramento dei parametri vitali e di laboratorio occorso in una media di 48
ore (range 24-120 ore). Non sono stati osservati effetti
collaterali conseguenti la supplementazione, in particolare alcun caso di emorragia. In questa coorte di pazienti la supplementazione tempestiva con PC è pertanto
apparsa efficace, con una mortalità osservata dell’11%
circa, sensibilmente più bassa dell’atteso. Inoltre livelli
plasmatici più bassi ed una maggior rapidità di decremento della concentrazione plasmatica della PC si sono
associati ad una prognosi infausta, suggerendo la possibile incorporazione di questo parametro come fattore di
rischio nello score prognostico di questo subset di
pazienti critici. Ulteriori studi sono tuttavia necessari al
fine di confermare tali risultati ed eventualmente standardizzare modalità e tempistica della supplementazione, data la scarsità di studi in ambito pediatrico.
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
P064
P065
BRENTUXIMAB VEDOTIN-AVD (ADM-VBL-DTIC)
COME TERAPIA DI SALVATAGGIO IN PAZIENTI
ADOLESCENTI/GIOVANI ADULTI AFFETTI DA
LINFOMA DI HODGKIN RESISTENTI O RECIDIVATI
P. Muggeo1, K. Girardi2, R. Daniele1, T. Perillo1,
R. Koronica1, F. De Leonardis1, F. Locatelli2,
N. Santoro1
1Oncologia ed Ematologia Oncologica Pediatrica,
AOUC Policlinico, Bari; 2Dipartimento OncoEmatologia Pediatrica e Medicina Trasfusionale, OBG,
Roma, Italy
LINFOANGIOMATOSI TORACICA DIFFUSA:
MONITORAGGIO DELLA MALATTIA E
MODULAZIONE DELLA TERAPIA CON
BEVACIZUMAB ATTRAVERSO DOSAGGIO VEFG
NEL PLASMA
A. Tondo1, E. Bartolini2, M. Pennica3, E. Chiocca1,
T. Casini1, E. Gambineri1, E. Masini4, L. Voltolini5,
A.L. Perrone6, A. Buccoliero7, C. Favre1, M. Aricò1
1Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO
Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliero
Universitaria Meyer, Firenze; 2Dipartimento di Pediatria
Internistica, Clinica Pediatrica, Azienda Ospedaliero
Universitaria Meyer, Firenze; 3UO Terapia Intensiva
Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer,
Firenze; 4Dipartimneto NEUROFARBA, Azienda
Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze; 5UO
Chirurgia Toracica, Azienda Ospedaliero Universitaria
Careggi, Firenze; 6Dipartimento di Radiologia, Azienda
Ospedaliero Universitaria Meyer, Firenze; 7Dipartimento
di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliero
Universitaria Careggi, Firenze, Italy
INTRODUZIONE E OBIETTIVI: La sopravvivenza globale nei pazienti pediatrici ed adolescenti affetti
da Linfoma di Hodgkin (LH) è attualmente >90%. Il
20% circa dei pazienti presenta resistenza o recidiva di
malattia. Il brentuximab vedotin è risultato efficace in
monoterapia in pazienti adulti e pediatrici in studi di
fase I-II. La combinazione brentuximab vedotin-AVD
ha mostrato risultati promettenti in studi di fase I-II e
più recentemente di fase III in pz adulti con LH quale
terapia di prima linea negli stadi di malattia avanzati.
Abbiamo valutato l’efficacia e tollerabilità di brentuximab vedotin+AVD in pazienti adolescenti e giovani
adulti affetti da LH resistente o recidivato.
METODI: Da Ottobre 2013 a Luglio 2014 sono
stati trattati, presso l’AOUC Policlinico di Bari e
l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, 4
pazienti (età 12, 19, 19, 21 aa; 3 M, 1F) affetti da LH
recidivato/resistente con l’associazione brentuximab
vedotin+AVD. Tutti i pazienti, arruolati alla diagnosi
nel protocollo AIEOP MH 2004, avevano ricevuto
almeno 3 linee di terapia, incluse procedure trapiantologiche (2 autoTCSE e 2 alloTMO)
RISULTATI: Sono stati erogati da 2 a 4 cicli di
brentuximab vedotin (1.2 mg/kg) ed AVD (ADM 25
mg/mq, VBL 6 mg/mq, DTIC 375 mg/mq), comprendenti ciascuno 2 somministrazioni, ogni 28 gg in 2 pz,
ogni 42 giorni negli altri 2. Gli eventi avversi osservati
sono stati: tossicità ematologica grado 3-4 (3 pz), neuropatia grado 2 (1 pz) e infezioni (1 infezione da CMV,
1 sepsi da Pseudomonas Aeruginosa). Non sono state
osservate altre tossicità significative. La rivalutazione
dopo 2 cicli ha permesso di documentare in 2 pazienti
RC e in 2 RP. Dei 4 pazienti 2 sono stati successivamente sottoposti a trapianto autologo o allogenico di CSE. 3
pazienti sono vivi in RC, 1 paziente è deceduto per
sepsi da Pseudomonas Aeruginosa.
CONCLUSIONI: Brentuximab vedotin-AVD si è
dimostrato efficace e discretamente tollerato anche in
pazienti pesantemente pretrattati e pertanto ad elevato
rischio di chemioresistenza e di complicanze tossiche
da chemioterapia. Brentuximab vedotin-AVD rappresenta una possibile alternativa nel trattamento dei pz
con LH resistente o recidivato. Studi prospettici e su
casistiche più numerose sono necessari per confermare
tale risultato.
La Linfoangiomatosi Toracica Diffusa è una rara
malattia caratterizzata da infiltrazione linfoangiomatosa
di polmone, pleura, mediastino. La progressione determina impegno respiratorio a prognosi severa: la chirurgia, incluso il trapianto polmonare, trova scarsa indicazione per la ricorrenza e l’elevato rischio di complicanze. La terapia medica si avvale di b-bloccanti
(Propranololo), immunosoppressori (Sirolimus) e, più
recentemente, Bevacizumab, anticorpo monoclonale
anti VEGF che, con diversi meccanismi di azione,
esplica, effetto anti-angiogenetico e anti-linfoangiogenetico, riducendo i livelli di VEGF.
CASO CLINICO: Bambino di 9 anni cui, per comparsa di sintomatologia respiratoria ingravescente
(tosse, emottisi, dispnea), viene diagnosticata una
Linfoangiomatosi Toracica Diffusa estesa: massa
mediastinica di tessuto fibroadiposo avvolgente le strutture vascolari, diffuso interessamento polmonare interstiziale, cospicuo versamento chiloso pleurico-pericardico. Condizioni cliniche molto compromesse: necessari drenaggi pleurico e pericardico con confezionamento
di finestra pleuro-pericardica ed esecuzione di biopsie
toraciche; ricovero in Terapia Intensiva, ventilazione
invasiva, NPT. Non indicata terapia chirurgica, viene
iniziata terapia medica: Propranololo fino 400 mg/die e
Bevacizumab. Prima e durante la terapia si effettuano
prelievi per il dosaggio VEGF, per valutare se variazioni della concentrazione serica siano correlabili alla
risposta terapeutica e all’attività di malattia. I primi
dosaggi mostrano elevato valore basale (>1000 pg/ml;
VN 36-45 pg/ml) con lenta, graduale riduzione dopo
l’inizio della terapia e raggiungimento del valore minimo (300 pg/ml) in 5a giornata dalla somministrazione:
si decide terapia con Bevacizumab (100 mg e.v) ogni 5
giorni, associando Sirolimus (1 mg/die) per miglior
controllo di malattia. Netto e progressivo miglioramento delle condizioni cliniche e successiva dimissione a
domicilio del paziente; sospesa ossigeno-terapia nottur-
| 47 |
Poster
na e NPT, rialimentazione orale a basso contenuto di
grassi. Dosaggio del VEGF pari a 100-200 pg/ml, stabilità delle lesioni polmonari (TC/RM); si modifica schema terapeutico: Propranololo 300 mg/die, Bevacizumab
100 mg/ogni 15 giorni, Sirolimus 0,5 mg/die fino a
sospensione. Dopo pochi mesi peggioramento clinico
associato ad incremento dei valori di VEGF: è nuovamente intensificato lo schema di trattamento con
Bevacizumab, 100 mg/settimana, associato Sirolimus:
rapido miglioramento clinico.
CONCLUSIONI: Tali dati, ristretti a un unico caso,
suggeriscono come il dosaggio del VEGF sia importante per modulare la terapia e un possibile marker di attività di malattia.
Reinduzione o terapia a Blocchi e 2/4 pazienti un episodio di iperbilirubinemia di grado >3, mentre tra i
pazienti non GS 13/18 hanno presentato iperbilirubinemia di grado>2 e 5/18 un episodio di iperbilirubinemia
di grado>3. Non differenze significative si rilevano
invece tra pazienti con GS e non GS riguardo gli episodi di ipertransaminasemia. Durante la fase di chemioterapia intensiva per LLA l’iperbilirubinemia è di riscontro frequente. Seppure valutata su una casistica limitata,
la presenza della variante del promoter TA7/TA7 sembra in grado di contribuire allo sviluppo di tale iperbilirubinemia.
P066
LINFOMA NON HODGKIN E LOCALIZZAZIONE
PANCREATICA: REVISIONE DELLA CASISTICA,
CARATTERIZZAZIONE E INDIVIDUAZIONE DELLE
LESIONI ATTRAVERSO METODICA DI RISONANZA
MAGNETICA TOTAL BODY DIFFUSION-WEIGHTED
WHOLE-BODY IMAGING WITH BACKGROUND
BODY SIGNAL SUPPRESSION
E. Chiocca1 A.L. Perrone2, S. Cardellicchio1, E. Sieni1,
T. Casini1, M. Veltroni1, C. Cecchi1, A. Tamburini1,
C. Favre1, A. Tondo1
1Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO
Oncoematologia Pediatrica; 2Dipartimento di
Radiologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer,
Firenze, Italy
P067
RUOLO DELLA SINDROME DI GILBERT SULLA
IPERBILIRUBINEMIA DURANTE CHEMIOTERAPIA
INTENSIVA PER LEUCEMIA LINFOBLASTICA
ACUTA
L. Cara1, C. Atzeni1, F. Corongiu1, S. Satta2, S. Barella2,
R. Mura1
1SC Oncoematologia Pediatrica e Patologia della
Coagulazione; 2Laboratorio di Ematologia II, Clinica
Pediatrica, Ospedale Pediatrico Microcitemico,
Cagliari, Italy
L’epatotossicità e più specificamente l’iperbilirubinemia è un possibile effetto collaterale dei farmaci utilizzati nella terapia della Leucemia Linfoblastica
Acuta(LLA). Tale condizione determina la necessità di
più frequente monitoraggio clinico dei pazienti, il ricorso o il prolungamento dell’ospedalizzazione per adeguata terapia di supporto e la temporanea sospensione
della chemioterapia nei casi con valori di transaminasi
e bilirubina più elevati. Il polimorfismo in omozigosi
TA7/TA7 della regione del promoter del gene
UGT1A,frequente nella popolazione sarda, è alla base
della Sindrome di Gilbert (GS), caratterizzata dalla
riduzione dell’attività enzimatica della glucuronosil
transferasi bilirubinica con conseguente aumento della
bilirubina non coniugata. Scopo dello studio era valutare l’impatto della GS(polimorfismo in omozigosi
TA7/TA7)sulla tossicità epatica e in particolare sull’iperbilirubinemia nei pazienti del nostro Centro con
LLA arruolati nel protocollo AIEOP-BFM ALL 2009.
Sono stati presi in considerazione i pazienti la cui diagnosi è avvenuta nel periodo compreso tra gennaio
2011 e dicembre 2014 di cui era disponibile il genotipo
UGT1A1, per i quali è stata valutata la presenza di iperbilirubinemia e ipertransaminasemia classificata secondo i criteri OMS durante la chemioterapia di Induzione
(fase IA e IB),terapia a Blocchi, Reinduzione (protocollo II o III). Abbiamo esaminato 22 pazienti di età compresa tra 1 e 16 anni, 15 maschi e 7 femmine: 4 pazienti
presentavano genotipo TA7/TA7(GS), 8/22 genotipo
TA6/TA7 (eterozigoti) e 10/22 TA6/TA6 (genotipo normale). Nella nostra casistica tutti i 4 pazienti con GS
(TA7/TA7) hanno presentato almeno 1 episodio di iperbilirubinemia di grado >2 durante le fasi di Induzione,
| 48 |
Di 35 casi di linfoma non Hodgkin (LNH) seguiti
presso l’Oncoematologia pediatrica AUO Meyer (20082014), 6 si presentavano con localizzazione pancreatica: 3 primaria, 3 secondaria. Diagnosi istologica:
Linfoma di Burkitt (n=3), LNH primitivo del mediastino (n=2) e ALCL, ALK +, (n=1). Età media alla diagnosi 11,1 anni (4,0 -15,6 aa); rapporto M:F=2:1 (4 maschi,
2 femmine). La sintomatologia d’esordio comprendeva
nel 66% dei pazienti (n=4) disturbi gastro-intestinali
suggestivi d’interessamento pancreatico (nausea, vomito, dolore addominale, ittero, dimagrimento); negli altri
(n=2) predominavano sintomi sistemici. La clinica d’interessamento pancreatico era presente in tutti i pazienti
con localizzazione primaria della malattia e in uno con
localizzazione secondaria. In questi casi la radiologia
ha documentato prevalente localizzazione nella testa:
lesioni pseudonodulari (n=3), massa addominale centro-pancreatica con dislocazione della testa (n=1), voluminosa lesione della testa (n=1); gli enzimi pancreatici
incrementati in 2 pazienti; in nessuno necessaria la chirurgia; progressivo miglioramento clinico con la chemioterapia. Tutti i pazienti hanno effettuato, alla stadiazione, nelle rivalutazioni e nel followup, TC
addome/torace mdc, PET (5 su 6), RM TB mdc con
metodica Diffusion-Weighted whole-body Imaging with
background Body signal Suppression (DWIBS). Questa
è risultata particolarmente sensibile nella conferma di
localizzazione pancreatica all’esordio (n=2 asintomatici, sospettati alla TC) e nello studio dei residui di malattia, allo stop e nel follow-up: DWIBS fortemente posi-
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
tiva in 1 paziente con residuo poi attivo alla PET e biopsia; DWIBS debolmente positiva/negativa in 5 pazienti con residuo inattivo (1 con PET dubbia e biopsia
negativa; 1 con biopsia negativa/PET non effettuata; 3
PET negativa). L’analisi di questa casistica ha mostrato
un coinvolgimento del pancreas all’esordio nel 17% dei
casi di LNH e nel 50% dei casi come organo principale
di malattia; il 100% dei pazienti con localizzazione del
pancreas presenta immagine residua di malattia agli
esami radiologici standard (TC/RM): nell’83% dei casi
si tratta di residuo inattivo.
CONCLUSIONI: La RM DWIBS, di recente introduzione, individua e caratterizza processi patologici con
particolare applicazione in campo oncologico. Nella
nostra casistica sembrerebbe più sensibile nella conferma
e miglior caratterizzazione delle lesioni; utile nel monitoraggio della malattia, con il vantaggio di non esporre il
paziente a radiazioni ionizzanti e radiofarmaci.
P068
STUDIO PROSPETTICO CASO-CONTROLLO
MULTICENTRICO SULLA STRATIFICAZIONE DEL
RISCHIO TROMBOEMBOLICO PER LA
PROFILASSI PRIMARIA IN PAZIENTI PEDIATRICI
OSPEDALIZZATI: DATI PRELIMINARI DI SINGOLO
CENTRO
A. Viano1, A.C. Molinari2, M. Luciani3, P. Giordano4,
M.C. Putti5, M. Grassi4, P. Saracco1
1Ematologia Pediatrica, SCDU Pediatria, Città della
Salute e della Scienza, Torino; 2Centro Emostasi e
Trombosi, Ospedale Gaslini, Genova; 3Oncoematologia,
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma; 4Ematologia
Pediatrica, Università di Bari, Bari; 5Oncoematologia
Pediatrica, Università di Padova, Padova, Italy
Gli eventi tromboembolici (ET) vengono diagnosticati sempre più frequentemente in età pediatrica (P),
soprattutto negli ospedali pediatrici di IIIª livello.
Mentre la prevenzione degli ET in adulti ospedalizzati
è ben nota, le raccomandazioni in P non sono validate.
L’incidenza riportata è di 50/10000 ricoveri; i principali
fattori di rischio (FdR) sono: infezioni sistemiche, ventilazione meccanica, catetere centrale (CVC), ospedalizzazione/immobilizzazione prolungata, interventi chirurgici (soprattutto ortopedici) e obesità. Sono riportati
pochi studi di qualità e/o sicurezza sulla tromboprofilassi in età P in popolazioni ad alto rischio (post-trauma,
oncologici, ricoverati in terapia intensiva); alcune proposte di modelli di stratificazione del rischio non sono
ancora validate. Nel periodo 2007-2012 nel Registro
Italiano Trombosi Infantili (RITI) sono stati inseriti 92
ET con prevalenza in fasce di età 1-5 e 12-18 anni; dalla
analisi dei dati sono emersi come principali FdR: CVC,
intervento chirurgico, infezione e neoplasia.
Informazioni sull’incidenza sono pervenute da un singolo Centro (Torino), che nel periodo 2007-2011 ha
riportato 43 ET consecutivamente diagnosticati in
pazienti ricoverati (con incremento significativo di incidenza da 3.7 a 22.24/10000 ricoveri ordinari). I reparti
a maggior incidenza sono risultati: terapia intensiva
(19.69), onco-ematologia (16.38), cardiologia/cardiochirurgia (13.87). Al fine di mettere a punto raccomandazioni condivise di profilassi primaria degli ET in
bambini ospedalizzati, il GDS AIEOP Difetti
Coagulazione ha proposto uno studio prospettico casocontrollo multicentrico con l’obbiettivo di determinare
i FdR indipendenti e sviluppare algoritmi di stratificazione del rischio, di sorveglianza e di profilassi (meccanica e/o farmacologica). Si riportano i dati preliminari
di un singolo Centro (studio caso-controllo gennaio
2014-febbraio 2015): identificati 15 ET (25.5/10.000)
in pazienti ricoverati da almeno 72 ore (65% maschi;
età media 8 anni, range 1 mese-18 anni); per ciascun ET
scelti 4 controlli (totale 60) tra i ricoverati nello stesso
periodo nello stesso reparto. Dall’analisi dei primi dati,
si confermano quali FdR indipendenti: infezione, CVC,
ospedalizzazione >7 giorni. Per la prevenzione degli ET
nei bambini ospedalizzati è auspicabile un modello
basato sulla stratificazione del rischio e sullo sviluppo
di punteggi di rischio, al fine di ottimizzare il rapporto
rischio/beneficio degli interventi di profilassi farmacologica e meccanica.
P069
REALIZZAZIONE DI UN PROGRAMMA
ISTITUZIONALE DI SCREENING PER
EMOGLOBINOPATE: REPORT DEI PRIMI DODICI
MESI DI ATTIVITÀ
M. Lodi1, E. Bigi2, G. Palazzi3, G. Bergonzini5,
M.E. Guerzoni1, M. Cellini3, I. Mariotti3, C. Cano3,
P. Paolucci1,2,3, L. Iughetti1,2, D. Venturelli4
1Scuola di Specializzazione in Pediatria; 2Dipartimento
di Scienze Mediche e Chirurgiche Materno-Infantili e
dell’Adulto, Università di Modena e Reggio Emilia,
Modena; 3UOC Onco-Ematologia Pediatrica; 4 Servizio
Immunotrasfusionale; 5Dipartimento Medicina di
Laboratorio, Azienda Ospedaliero Universitaria
Policlinico di Modena, Modena, Italy
BACKGROUND: Dal 2011 al 2013 è stato condotto uno studio pilota di screening sulle emoglobinopatie
selettivo e a basso costo su pazienti provenienti da aree
endemiche per anemia falciforme dell’Africa SubSahariana. Sono stati eseguiti test con cromatografia
liquida ad alta prestazione (HPLC) su campioni di sangue periferico di puerpere provenienti dai Punti Nascita
della Provincia di Modena inviati al Servizio
Immunotrasfusionale per lo studio della malattia emolitica del neonato (MEN). In caso di presenza di alterazioni emoglobiniche, il test è stato eseguito su sangue
cordonale e sui familiari di primo grado. Dal 2014 il test
di screening è stato offerto a tutte le gravide in accordo
con le raccomandazioni delle Linee Guida Italiane della
Gravidanza Fisiologica 2011 diventando universale per
il periodo prenatale e rimanendo selettivo per il periodo
neonatale.
MATERIALI E METODI: Da Gennaio a Dicembre
2014 sono stati effettuati, 3786 test su campioni di sangue periferico, di cui 1845 (49%) eseguiti nel primo trimestre di gravidanza e 1941 (51%) eseguiti al momento
| 49 |
Poster
del parto sul prelievo ematico per lo studio MEN. In
caso di positività al test è stata eseguita la ricerca di
anomalie emoglobiniche con metodica HPLC sul sangue funicolare.
RISULTATI: 242 test hanno evidenziato alterazioni
emoglobiniche (HbAS 17%, HbAC 7%, a thal 1%, b
thal 31%, d thal 3%, varianti anomale 41%). Sono stati
studiati i rispettivi campioni di sangue cordonale, di cui
HbAS 8%, HbAC 4%, HbSC 1%, a thal 1%, varianti
emoglobinche anomale 1%. Dai dati raccolti emerge
che l’incidenza di anomalie emoglobiniche sulla popolazione totale delle gravide analizzate risulta essere di
circa il 6%.
CONCLUSIONI: I dati confermano la necessità di
istituire programmi di screening in regioni di immigrazione di popolazioni provenienti da aree endemiche per
anomalie emoglobiniche che permettano di identificare
precocemente i soggetti affetti da SCD inserendoli in
programmi di gestione multidisciplinare della malattia,
selezionare i portatori fornendo loro un couseling, definire l’epidemiologia di tali anomalie. Il programma realizzato rappresenta il primo esempio di attuazione a
livello istituzionale (Servizio Sanitario Nazionale) delle
Linee Guida sulla Gravidanza Fisiologica 2011.
di campionamento casuale. Abbiamo analizzato i dati
tramite una non-linear mixed effects modelling. Sono
stati ricavati i parametri primari (Cl, Vd, Ka) e secondari (AUC, Cmax,T1/2), che sono stati poi comparati con
i dati di farmacocinetica ottenuti nei pazienti adulti.
RISULTATI: Il modello che meglio descrive la farmacocinetica del Deferiprone è di tipo monocompartimentale con assorbimento orale di primo ordine. I test
di di goodness-of-plots, visual predictive check (VPC)
e NPDE summaries rivelano modelli adeguati di performance, con una precisione sufficiente e un basso bias
nella stima dei parametri. Il Deferiprone è ben tollerato
e mostra un buon profilo di sicurezza dopo una singola
sommministrazione. Gli scenari di simulazione hanno
rivelato che i livelli di dose attualmente approvati negli
adulti producono esposizioni equivalenti nei bambini,
con valori mediani di AUC di 340.6 e 318.5 uM/L*h a
75 mg/kg/die e 453.7 e 424.2 a 100 mg/kg/die.
CONCLUSIONI: Il regime posologico raccomandato per il Deferiprone nei bambini di età inferiore a 6 anni
è di 25 mg/Kg per 3 volte al giorno. E’ possibile inoltre
aumentare la dose fino a 33.3 mg/kg per 3 volte al giorno,
suggerendo quindi che le posologie utilizzate per gli
adulti sono adeguate anche nei bambini più piccoli.
P070
P071
ANALISI FARMACOCINETICA E DEFINIZIONE DEL
REGIME POSOLOGICO PER L’UTILIZZO DEL
DEFERIPRONE IN BAMBINI CON TALASSEMIA
MAJOR DI ETÀ INFERIORE AI 6 ANNI
V. Beqiri1, F. Bellanti2, G. Del Vecchio3, A. Maggio4,
M.L. Frizziero1, A. Filosa5, C. Cosmi6, L. Mangiarini7,
A. Ceci7, O. Della Pasqua2,8, M.C. Putti1
1Azienda Ospedaliera di Padova, Italy; 2Leiden
Academic Centre for Drug Research, Leiden, The
Netherlands; 3Azienda Ospedaliero Universitaria
Consorziale Policlinico di Bari, Italy; 4Azienda
Ospedaliera Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello,
Palermo, Italy; 5Azienda Ospedaliera Antonio
Cardarelli, Napoli, Italy; 6Clinica Pediatrica
Università-ASL1, Sassari, Italy; 7Consorzio per
Valutazioni Biologiche e Farmacologiche, Pavia, Italy;
8Clinical Pharmacology & Therapeutics, University
College London, UK
MICOFENOLATO MOFETILE E SIROLIMUS
COME TRATTAMENTO DELLA SINDROME
LINFOPROLIFERATIVA AUTOIMMUNE
NEI BAMBINI
M. Miano, K. Perri, E. Palmisani, I. Olivieri,
C. Micalizzi, J. Svahn, M. Calvillo, I. Caviglia,
P. Terranova, T. Lanza, C. Dufour, F. Fioredda
UOC Ematologia Clinica e di Laboratorio, Istituto
Giannina Gaslini, Genova, Italy
INTRODUZIONE: Nonostante l’ampia esperienza
clinica nell’utilizzo del Deferiprone in pazienti talassemici, sono ancora limitati i dati sperimentali sul suo utilizzo in età pediatrica e non esistono dati di farmacocinetica nei bambini di età inferiore a 6 anni, per i quali il
farmaco è ancora utilizzato in modalità off-label.
OBIETTIVI: Caratterizzazione della farmacocinetica del deferiprone nei bambini di età inferiore ai 6 anni;
analisi delle caratteristiche dell’esposizione sistemica al
farmaco; definizione del regime posologico richiesto
per assicurare esposizioni equivalenti tra i vari gruppi di
età nella popolazione pediatrica.
METODI: Abbiamo prelevato campioni di sangue
da 18 pazienti pediatrici che hanno assunto il
Deferiprone (soluzione 80 mg/ml) secondo uno schema
| 50 |
La Sindrome Linfoproliferativa Autoimmune
(ALPS) è un disordine immunologico caratterizzato da
linfoproliferazione e autoimmunità, prevalentemente
citopenia.La terapia steroidea e la somministrazione di
immunoglobuline rappresentano generalmente la terapia di prima linea anche se a volte consentono un
miglioramento temporaneo della sintomatologia o
richiedono trattamenti di lunga durata con conseguente
rischio di effetti collaterali severi. Il Micofenolato
Mofetile (MMF) ed il Sirolimus si sono dimostrati efficaci nel trattamento dell’ALPS ma ad oggi pochi sono i
dati pubblicati in pediatria. Obiettivo di questo studio è
la valutazione dell’efficacia/tollerabilità dell’uso del
MMF e del Sirolimus nei bambini con ALPS in un singolo centro. La diagnosi di ALPS è stata posta sulla
base dei criteri diagnostici rivisti nel 2009. La risposta
completa (RC)/parziale (RP) è stata così definita: 1)
Linfoproliferazione: riduzione della milza/linfonodi
con (CR) o senza (PR) ritorno alle dimensioni normali.
2) Piastrinopenia: PLT >100.000 (CR), 20.000100000+ raddoppio del valore di base (PR). 3) Anemia:
Emoglobina 8-10gr/dl o <8 ma trasfusione indipendenza. 4) Neutrofili: >1.5 (CR) o 0.5-1.5 x103/mmc+ raddoppio del valore di base (PR). Nel periodo 2012-2014,
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
sono stati studiati 26 pazienti (50% maschi, 50% femmine) di età 1-40 anni (mediana 10) con diagnosi di
ALPS definitiva (65%) o probabile (35%). 18/26 (70%)
presentavano citopenia e 8/26 (30%) presentavano un
quadro linfoproliferativo associato o meno ad altri sintomi sistemici(febbre, astenia, cefalea). 6/26 non hanno
richiesto alcun trattamento. 16/20 sono stati inizialmente trattati con steroide con buona risposta in 3/16 (19%).
4/20 (20%) sono stati trattati con MMF in prima linea
ottenendo una CR (3) o PR (1). 12/13 non responsivi
allo steroide hanno ricevuto MMF come trattamento di
seconda (8) o ulteriore linea (4) raggiungendo una CR
(7) o PR (5). Un paziente ha ricevuto sirolimus in
seconda linea con CR. Tre pazienti che avevano raggiunto una PR con MMF sono stati successivamente
trattati con sirolimus con lo scopo di migliorare la
risposta raggiungendo la CR un 2 casi. Nel complesso,
i 16/16 (100%) pazienti trattati con MMF e i 3/4 (75%)
che hanno ricevuto il sirolimus hanno risposto al trattamento. I farmaci sono stati ben tollerati in tutti i pazienti.La durata mediana del follow-up è stata 5.2 anni
(range 0.4-12). Questo studio mostra che MMF e sirolimus sono efficaci e ben tollerati nei bambini con ALPS.
I risultati devono essere validati da studi prospettici.
P072
CARICO DI FERRO ORALE CON FERRO
BISGLICINATO CHELATO IN PAZIENTI CELIACI
ALLA DIAGNOSI O IN DIETA SENZA GLUTINE
G.A. Mazza1, M. Sanseviero1 L. Pedrelli2, E. Battaglia2,
L. Giancotti1, R. Miniero1
1Cattedra di Pediatria. Università Magna Graecia,
Catanzaro; 2Laboratorio Analisi Chimica-Clinica, AO
Pugliese-Ciaccio, Catanzaro, Italy
Il carico orale di ferro per valutarne l’assorbimento,
già utilizzato negli anni ‘40, è stato recentemente riproposto da alcuni autori limitatamente a soggetti adulti,
utilizzando il solfato ferroso. In letteratura solo pochi e
datati lavori hanno utilizzato questo test in pazienti
pediatrici. La carenza marziale refrattaria al trattamento
con ferro per os è frequente nella Malattia Celiaca
(MC), ma l’assorbimento del ferro medicamentoso non
è stato studiato in modo sistematico. Ci è sembrato interessante applicare la metodica del carico orale per valutare l’assorbimento del ferro bisglicinato chelato (FBC)
(Tecnofer®), verosimilmente assorbito con un meccanismo non mediato dal DMT1, presente sui villi della
mucosa duodenale integra e ridotto/assente in pazienti
con MC alla diagnosi.
PAZIENTI E METODI: Sono stati arruolati 24
pazienti (3-18 anni) con carenza marziale (associata o
meno ad anemia) alla diagnosi di MC (n=11) o già in
trattamento con dieta senza glutine (DSG) da oltre 12
mesi (n=13). Il test è stato eseguito in paziente a digiuno dalla sera precedente somministrando FBC (0,5
mg/Kg, massimo 28 mg) formulato in compresse effervescenti da 14 mg e disciolte in 150mL di acqua, valutando la sideremia basale (ST0) e dopo 3 ore (ST1)
dalla somministrazione (Tabella 1).
Tabella 1. Pazienti e valori di sideremia al tempo T0 e T1.
Pazienti
1. Pz alla diagnosi di MC
2. Pz con MC a DSG
3. Pz con MC a DSG
4. Pz alla diagnosi di MC
5. Pz alla diagnosi di MC
6. Pz alla diagnosi di MC
7. Pz alla diagnosi di MC
8. Pz alla diagnosi di MC
9. Pz con MC a DSG
10. Pz con MC a DSG
11. Pz alla diagnosi di MC
12. PZ con MC a DSG
13. Pz con MC a DSG
14. Pz con MC a DSG
15. Pz con MC a DSG
16. Pz alla diagnosi di MC
17. Pz con MC a DSG
18. Pz con MC a DSG
19. Pz con MC a DSG
20. Pz con MC a DSG
21. Pz con MC a DSG
22. Pz alla diagnosi di MC
23. Pz alla diagnosi di MC
24. Pz alla diagnosi di MC
Età
13 anni+6/12
3 anni+6/12
5 anni+9/12
15 anni+10/12
12 anni+8/12
12 anni+2/12
14 anni+9/12
4 anni 7/12
13 anni+7/12
4 anni+4/12
17 anni+10/12
17 anni+4/12
14 anni+11/12
14 anni+8/12
15 anni+11/12
17 anni+6/12
17 anni+9/12
13 anni+11/12
5 anni+11/12
12 anni+7/12
16 anni+6/12
5 anni+1/12
10 anni+2/12
11 anni+1/12
Sideremia T0
!g/dL
67
35
35
17
75
15
50
67
73
41
43
16
15
67
25
31
14
32
41
30
23
30
50
40
Sideremia T1
!g/dL
207
126
88
122
212
129
134
143
171
173
106
237
134
94
149
125
132
190
195
102
201
110
120
130
p<0,0005
RISULTATI: Il carico orale è stato ben tollerato in
tutti i pazienti. La ST1 è aumentata di oltre il doppio
rispetto alla ST0 in tutti i pazienti tranne uno (ST0
range: 14-75 mg/dl; media 39mg/dl; ST1 range: 88-237
mg/dl; media 147 mg/dl). Il t-Student per dati appaiati è
risultato significativo (p<0,0005).
CONCLUSIONI: I risultati del nostro studio dimostrano buona efficacia e tollerabilità del FBC non solo nei
pazienti celiaci già a DSG ma anche, e il dato è a nostro
avviso molto interessante, nei pazienti celiaci ancora in
fase florida con le caratteristiche alterazioni morfo-strutturali e funzionali della mucosa intestinale. La valutazione dell’assorbimento del ferro con questa metodica
potrebbe essere quindi utile nel pianificare il trattamento
dei pazienti celiaci ferrocarenti. Un attento follow-up sarà
necessario per confermare la tollerabilità e l’efficacia del
FBC nella correzione della carenza marziale nei pazienti
celiaci a DSG dopo un ciclo completo di trattamento.
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interesse.
P073
DREPANOCITOSI E AMBIENTE: RUOLO DI FATTORI
ATMOSFERICI E DI INQUINAMENTO AMBIENTALE
NELLA COMPARSA DI COMPLICANZE
VASO-OCCLUSIVE
E. Bigi1, M. Lodi2, S. Marchesi5, D. Venturelli4,
M.E. Guerzoni2, G. Palazzi3, M. Cellini3, I. Mariotti3,
C. Cano3, P. Paolucci1,2,3, L. Iughetti1,2
1Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche
Materno-Infantili e dell’Adulto, Università di Modena e
Reggio Emilia, Modena; 2Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Modena e Reggio Emilia,
Modena, 3UOC Onco-Ematologia Pediatrica, Azienda
Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena;
4Servizio Immunotrasfusionale, Azienda Ospedaliero
Universitaria Policlinico di Modena; 5ARPA, Agenzia
Regionale per la Prevenzione e l’Ambiente, Emilia
Romagna, Bologna, Italy
| 51 |
Poster
BACKGROUND: La drepanocitosi (SCD) è uno dei
più diffusi disordini monogenici al mondo. E’ caratterizzata da ricorrenti crisi dolorose vaso-occlusive (VOC) e
complicanze respiratorie (ACS), cause principali di
accesso ai Dipartimenti di Emergenza. Studi epidemiologici hanno esplorato l’influenza delle condizioni atmosferiche e dell’inquinamento ambientale sulla severità
delle manifestazioni cliniche con risultati contrastanti. Lo
scopo del nostro studio è stato valutare la correlazione tra
rischio di ricovero e/o accesso in Pronto Soccorso per
VOC e/o ACS in pazienti affetti da SCD residenti nella
provincia di Modena e variazione di parametri meteorologici (precipitazione, temperatura, umidità relativa,
pressione, velocità del vento) e di qualità dell’aria
(PM10, PM2.5, O3, NO2) ricavati dalle reti regionali di
monitoraggio gestite da ARPA Emilia Romagna.
MATERIALI E METODI: Sono stati analizzati dati
clinici riguardanti 221 ricoveri per VOC e ACS di pazienti
di età compresa tra 0 e 15 anni affetti da SCD da Gennaio
2006 a Dicembre 2013. Dallo studio sono stati esclusi
ricoveri nei quali è stata dimostrata una chiara natura
infettiva quale causa della crisi vaso-occlusiva. L’analisi
dei dati è stata fatta utilizzando modelli non lineari a lag
distribuiti, basati su regressioni di Poisson, usando librerie
specifiche del software statistico R (versione 3). Sono
stati stimati gli effetti di ciascun parametro ambientale sul
rischio di ricovero, dai giorni immediatamente precedenti
la crisi fino a due settimane prima.
RISULTATI: Alti valori di temperatura media, bassi
valori di umidità relativa media e di pressione (peggioramento delle condizioni metereologiche) aumentano
rispettivamente del 50%, del 25% e del 20% il rischio di
ricovero nei giorni immediatamente precedenti (lag 1-2).
Nessuna correlazione è stata riscontrata con la velocità
del vento. Alti valori di particolato (PM10) e di biossido
di azoto (NO2) sono associati ad un aumentato rischio di
ospedalizzazione del 15% rispettivamente ai lag 4 e1.
CONCLUSIONI: Dal nostro studio emerge come
valori di umidità, aumento di temperatura, aumento di
PM10 ed NO2 siano correlati al rischio di ospedalizzazione per VOC e/o ACS. Tali dati, seppur preliminari,
potrebbero essere utilizzati nell’educazione dei pazienti
e delle loro famiglie per la gestione della SCD.
P074
NEUTROPENIA AUTOIMMUNE DELL’INFANZIA:
DATI DEL REGISTRO ITALIANO NEUTROPENIE
P. Farruggia1, F. Fioredda2, G. Puccio3, L. Porretti4,
T. Lanza2, F. Ferro5, A. Barone6, S. Bonanomi7,
M. Davitto5, R. Ghilardi8, S. Ladogana9,
R. Mandaglio10, N. Marra11, B. Martire12,
L. Notarangelo13, D. Onofrillo14, M. Pillon15,
U. Ramenghi5, G. Robustelli7, G. Russo16, F. Tucci17,
A. Macaluso1, C. Dufour2
1Onco-Ematologia Pediatrica, A.R.N.A.S. Ospedale
Civico, Palermo; 2Unità di Ematologia Clinica e
Sperimentale, Ospedale Pediatrico G. Gaslini, Genova;
3Dipartimento di Scienze per la Promozione della
Salute, Università di Palermo, Palermo; 4Servizio di
| 52 |
Citofluorimetria, Laboratorio di chimica clinica e
microbiologia, IRCCS “Cà Granda” Foundation,
Maggiore Hospital Policlinico, Milano; 5Ematologia,
Dipartimento di Scienze Pediatriche, Ospedale Infantile
Regina Margherita, Torino; 6Dipartimento di
Onco-Ematologia Pediatrica, Ospedale Universitario di
Parma; 7Fondazione MBBM, Clinica Pediatrica,
Università di Milano Bicocca, AO San Gerardo, Monza
(MB); 8Dipartimento di Pediatria, Ospedale Maggiore
Policlinico IRCCS, Milano; 9Dipartimento di
Ematologia, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San
Giovanni Rotondo (FG); 10Ospedale Pugliese-Ciaccio,
Catanzaro; 11AORN Santobono Pausillipon, Napoli;
12Dipartimento di Scienze e Chirurgia Pediatriche, U.
O. Oncoematologia Pediatrica, Ospedale PoliclinicoGiovanni XXIII, Bari; 13Unità di Onco-Ematologia e
trapianto di midollo, Spedali Civili, Brescia;
14Dipartimento di Ematologia, Ospedale di Pescara;
15Dipartimento
di Onco-Ematologia Pediatrica,
Università di Padova, Padova; 16Unità di
Onco-Ematologia Pediatrica, Policlinico, Università di
Catania, Catania; 17Dipartimento di Onco-Ematologia
Pediatrica, Ospedale Meyer, Firenze, Italy
La neutropenia è un disordine caratterizzato dalla
riduzione della conta assoluta dei neutrofili (ANC). E’
lieve se ANC tra 1.0 e 1.5x109/L, moderata se tra 0.5 e
1.0x109/L, severa se <0.5x109/L. La forma autoimmune
(AIN) è legata ad anticorpi anti-neutrofilo. E’ stata effettuata una analisi delle AIN arruolate nel registro italiano
neutropenia. La diagnosi è stata effettuata tramite GIFT,
ripetuto fino a 4 volte ed eseguito contro donatori non
genotipizzati per il sistema antigenico dei neutrofili.
RISULTATI: Sono stati arruolati 157 pazienti. La sensibilità del GIFT dopo 1ª, 2ª, 3ª e 4ª test è pari a 61.8%,
73.1%, 78.7%, e 81.8%. Le caratteristiche dei pazienti
sono riportate nella Tabella 1. L’età mediana all’esordio è
di 0.7 anni: esordio a <18 mesi nell’82% dei casi. Il 13.2%
dei pazienti è costituito da ex pretermine. All’esordio il
56.0% ha ANC <0.500, il 38.2% ANC di 0.501-1.0 e il
5.7% ANC >1.0x109/L. Il riscontro di neutropenia è
casuale nel 29.3%; in corso di infezione o sospetto immunodeficit nel 70.7%. La risoluzione spontanea si ha
nell’89% dei casi (ad una età mediana di 2.14 anni) e la
durata mediana di malattia è 1.3 anni. La guarigione
nell’85% dei casi si verifica a <5 anni (13 pazienti guariti
a 5-11 anni). Età di esordio precoce (p=0.00029) e assenza
di monocitosi (p=0.015) sono associati a maggiori possibilità di guarigione. La guarigione è improvvisa nel 67.4%;
nel 32,5% l’ANC presenta valori fluttuanti (con tempo
mediano di definitiva normalizzazione di 0.65 anni). Il
BM, eseguito in 53 pazienti è normale in tutti fuorché in 2
pazienti (lieve ipocellularità mieloide). Positività transitoria del TCD e deficit selettivo di IgA sono riscontrati nel
6.8% e nel 3%. Il 44% dei bambini è stato ricoverato per
infezioni ma solo il 9.6% per infezioni gravi.
CONCLUSIONI: L’analisi fornisce per la prima volta
la sensibilità del test indiretto. Emergono alcuni nuovi
aspetti: 1) AIN a maggior incidenza in ex pretermine; 2)
AIN talora associata ad altre anomalie immunologiche; 3)
guarigione anche a >5 anni di età; 4) presenza di 2 modalità di risoluzione (“graduale” ed “improvvisa”).
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
Tabella 1. Caratteristiche dei pazienti.
Sesso maschile
Età mediana all’esordio (anni)
Età mediana alla diagnosi (anni)
Età mediana alla guarigione
Durata mediana di malattia (anni)
Guarigione
Pazienti (157)
64.3%
0.70
1.06
2.14
1.30
89.1%
Mediana dei WBC all’esordio (x109/L)
Mediana dell’ANC all’esordio (x109/L)
Leucopenia all’esordio
Monocitosi all’esordio
Aumento delle IgG all’esordio
Deficit selettivo di IgA
Infezioni severe
Test di Coombs positivo
Aspirato midollare normale
6.1
0.45
40.7%
19.3%
6.0%
3%
9.6%
6.8%
96.2%
P075
ANEMIA SIDEROPENICA: QUANDO L’EMATOLOGO
NON BASTA
M. Motta, M. La Spina, M. Licciardello, F. Bellia,
V. Miraglia, P. Samperi, S. D’Amico, L. Lo Nigro,
E. Cannata, A. Di Cataldo, G. Russo
UOC Ematologia-Oncologia Pediatrica, AOU
Policlinico Vittorio Emanuele, Catania, Italy
INTRODUZIONE: L’anemia sideropenica (IDA) è
la patologia ematologica più comune in pediatria; può
essere secondaria ad un apporto insufficiente di ferro
con la dieta, ad un ostacolo del suo assorbimento o ad
una perdita di sangue. L’individuazione della causa non
sempre è immediata e nel 35% dei casi non si raggiunge
anche dopo approfondite indagini.
MATERIALI E METODI: 4 casi di IDA, 3 maschi
di 16, 12 e 14 anni ed 1 femmina di 8 anni, con anemia
grave ricorrente (Hb 4.1 g/dl-Hb 6.7 g/dl-Hb 6.9 d/dlHb 5.1 g/dl, rispettivamente); in tutti i casi la ricerca
della causa è stata indaginosa ed ha portato a conclusioni inaspettate. Nessuno dei pazienti presentava elementi
clinici che potevano orientare la diagnosi e il trattamento con ferro per via orale/parenterale dava miglioramenti temporanei. I primi tre soggetti presentavano positività del sangue occulto nelle feci (SOF); nei primi due
casi EGDS e colonscopia risultarono negative, la videocapsuloscopia associata alla scintigrafia con emazie
marcate è stata dirimente nel primo caso, mentre nel
secondo è stata necessaria l’aortografia; nel terzo caso,
invece, l’insorgenza di sintomi gastroenterici e perdita
di peso,dopo 1 anno dall’esordio, ha richiesto l’esecuzione di esame TC. Nel quarto caso, in assenza di clinica addominale e di SOF, è stato indagato il distretto polmonare con Rx Torace, spirometria, TC Torace e BAL.
RISULTATI: Nel primo caso presenza di angioma
ileale, la cui rimozione chirurgica ha portato alla risoluzione della patologia; nel secondo, presenza di angiodisplasia diffusa delle anse del piccolo intestino, non trattabile chirurgicamente, che ha richiesto terapia trasfusionale cronica. Nel terzo, adenocarcinoma del colon retto che
ha determinato exitus, 22 giorni dopo l’intervento chirurgico. Nel quarto caso, riscontro di polmonite interstiziale
asintomatica, quadro restrittivo alla spirometria e BAL
diagnostico per emosiderosi polmonare, poi trattata con
corticosteroidi. Il tempo trascorso dall’inizio dei sintomi
alla diagnosi finale è stato compreso tra 6 e 36 mesi.
CONCLUSIONI: Nei quattro casi descritti è stato
necessario un work up diagnostico lungo e impegnativo,
insolito per la usuale diagnostica dell’anemia sideropenica, volto all’identificazione di malattie non ematologiche.
P076
b-TALASSEMIA: L’EPIDEMIOLOGIA UMBRA,
UNA REGIONE NON ENDEMICA
P. Gorello1, F. Arcioni2, V. Ferruzzi2, Y. Barbanera1,
L. Berchicci3, M. Caniglia2, C. Mecucci1
1Istituto di Ematologia, Dipartimento di Medicina,
Università degli Studi di Perugia, Perugia, 2Istituto di
Onco-Ematologia Pediatrica con Trapianto di Midollo
Osseo, Azienda Ospedaliera di Perugia; 3Istituto di
Oncoematologia, Ospedale San Matteo degli Infermi di
Spoleto, Azienda USL 2 dell’Umbria, Italy
Le emoglobinopatie comprendono un gruppo eterogeneo di difetti congeniti dell’emoglobina equamente
ripartiti tra talassemie e difetti qualitativi. Ad oggi non
risulta presente in letteratura uno studio epidemiologico
riguardo l’incidenza delle emoglobinopatie in Umbria,
regione considerata non endemica. Il Laboratorio di
Genetica Molecolare di Perugia si occupa, quale unico
centro regionale, della diagnosi genetica di tali patologie. Dal 1988 al 2014 sono stati identificati 78 casi: 43
maschi e 35 femmine, di età compresa tra 1 e 52 anni
alla diagnosi, di cui 23 omozigoti/eterozigoti composti
(gruppo 1) e 55 eterozigoti (gruppo 2), identificando un
totale di 21 mutazioni/anomalie genomiche differenti
responsabili di difetti quantitativi e/o qualitativi della
catena b-globinica. Del primo gruppo 9 pazienti risultano omozigoti b-talassemici (3 b(0)/ b(0), 4 b(0)/ b(+),
2 b(+)/ b(+)) 9 presentano drepanocitosi, 4 microdrepanocitosi (3 b(0)/HbS e 1 b(+)/HbS) e 1 risulta eterozigote composto non talassemico HbC /HbO-Arab. Di
questi pazienti il 52% sono Africani, prevalentemente
Nigeriani e Magrebini, 13% albanesi, 13% italiani, 5%
domenicani e del 17% non è nota l’etnia. Del secondo
gruppo 30/55 pazienti sono portatori di b-talassemia, i
restanti 25/55 sono eterozigoti secondo la seguente
ripartizione: 2 Hb Lepore-Boston-Washington, 8 HbS,
2 Hb Riverdale-Bronx, 1 talassemia d/b siciliana, 4
HbC, 1 HbD Ouled-Rabah, 5 HbD Los Angeles e 2
HbE. Di questi il 46% sono italiani, 16% africani, 13%
albanesi, 8% sono latino-americani, 2% moldavi mentre
del 15% non è nota l’etnia. Da questi dati si osserva un
incremento del numero delle diagnosi, in relazione
all’aumento dell’immigrazione in una regione originariamente non ad alta endemia come l’Umbria.
L’eterogeneità genetica osservata in questi casi necessita di un continuo adeguamento delle metodiche diagnostiche, sia mediante sistemi tradizionali che mediante lo
sviluppo di sistemi di sequenziamento di “next genera-
| 53 |
Poster
tion sequencing” (NGS). In quest’ottica l’analisi di un
pannello che comprenda sia i geni globinici sia altri
geni potenzialmente candidati nell’espressione clinica
della patologia, mediante NGS, potrebbe aiutare sia nell’attività diagnostica che nella comprensione della
variabilità fenotipica della malattia (Figura 1).
ria una ulteriore trasfusione) è stata rilevata una
discreta risposta reticolocitaria (103.000/ml). Durante
terapia con EPO il paziente (in atto di quasi 5 mesi di
età) ha dovuto praticare solo un’altra trasfusione (a 60
giorni dalla precedente), peraltro in seguito a un banale episodio infettivo.
Tabella 1. Parametri ematologici durante il periodo di osservazione e trattamento con EPO.
Figura 1.
P077
L’ERITROPOIETINA È EFFICACE NEL
TRATTAMENTO DELLA SFEROCITOSI EREDITARIA
DEL LATTANTE
A. Trizzino1, C. Mosa1, C. Vercellati2, A. Marcello2,
F. Di Marco1, S. Tropia1, P. D’Angelo1, P. Farruggia1
1UOC di Oncoematologia Pediatrica ARNAS Civico, Di
Cristina e Benfratelli, Palermo; 2UOS Fisiopatologia
delle Anemie, Fondazione Cà Granda IRCCS Ospedale
Maggiore Policlinico di Milano, Italy
INTRODUZIONE: La sferocitosi ereditaria (SE) è
una anemia emolitica secondaria ad un’anomalia delle
proteine di membrana degli eritrociti. Molti pazienti
vengono trasfusi durante il primo anno di vita, ma solo
il 5% necessita di trasfusioni oltre questa età. L’anemia
più marcata nel neonato/lattante sembra legata ad una
eritropoiesi incapace di compensare l’iperemolisi: alcuni autori hanno descritto l’efficacia dell’Eritropoietina
(EPO) nel ridurre il fabbisogno trasfusionale.
Descriviamo due casi di SE, entrambi diagnosticati nel
primo mese di vita con 4 test (resistenze osmotiche in
NaCl, test di lisi in glicerolo, Pink test ed EMA-binding) e trattati efficacemente con EPO al dosaggio di
1.000 UI/Kg/sett. (Tabella 1).
CASO 1: Maschio, a 17 giorni di vita riscontro di
anemia (Hb 7,1 g/dl e reticolociti 124.000/ml) ed ittero,
per cui ha ricevuto trasfusione di emazie concentrate
(GRC). A 50 giorni di vita, con valori di Hb 7,6 g/dl e
reticolociti 138.000/ml, è stato intrapreso trattamento
con EPO: dopo circa 15 giorni progressivo aumento
dell’Hb (9,9 g/dl) e dei reticolociti (219.000/ml). Ad
oggi, a quasi 7 mesi, non ha avuto necessità di ulteriori
trasfusioni e sta già scalando il dosaggio dell’EPO.
CASO 2: Maschio, a 17 giorni di vita è stato sottoposto a trasfusione di GRC per grave anemia (Hb
4,8 g/dl con reticolociti 40.000/ml). A 33 giorni di vita
(Hb 7,2 g/dl e reticolociti 79.000/ml) è stato iniziato
trattamento con EPO; solo a partire da circa un mese
dall’inizio della terapia (dopo 7 giorni è stata necessa-
| 54 |
CONCLUSIONI: I dati della letteratura sulla terapia con EPO nella SE sono esigui, mancando studi randomizzati o con un numero significativo di pazienti. Il
decorso dei nostri due lattanti sembra confermare la
validità della terapia con EPO nel determinare la riduzione del fabbisogno trasfusionale, e conseguentemente
nel migliorare la gestione assistenziale e la qualità della
vita, in considerazione delle notevoli difficoltà della
terapia trasfusionale nel neonato/lattante.
P078
EMOGLOBINURIA PAROSSISTICA NOTTURNA IN
ETÀ PEDIATRICA: EVENIENZA RARA MA PUÒ
ESSERE IMPORTANTE PENSARCI
F. Ferraro1, A. Trizzino2, F. Gervasi3, G. Santangelo4,
D. Russo2, A. Trizzino2, P. D’Angelo2, P. Farruggia2
1Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute
e Materno-Infantile “G. D’Alessandro”, Università di
Palermo; 2UOC di Oncoematologia Pediatrica; 3UOS
Dipartimentale,
Laboratorio
Specialistico
di
Oncologia, Ematologia e Colture Cellulari; 4UOC di
Neuropsichiatria Infantile, A.R.N.A.S. Civico, Di
Cristina e Benfratelli, Palermo, Italy
INTRODUZIONE: L’Emoglobinuria Parossistica
Notturna (EPN) è condizione rara a carattere progressivo, dove l’emolisi cronica è fattore di rischio per
tromboembolismo e mortalità precoce. La malattia è
eccezionale in pediatria (soprattutto nelle forme emolitiche, non associate ad aplasia midollare): in atto in
Italia risultano in trattamento meno di 10 pazienti <18
anni.
CASO CLINICO: Femmina, 14 anni, nel Febbraio
2014 riscontro di anemia, leucopenia e lieve piastrino-
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
penia in emocromo eseguito per pallore e astenia.
Nell’Agosto 2014, ricovero e trasfusione di GRC (Hb
6.8 g/dl, Coombs negativo, LDH 2.800 U/L). BM: in
morfologia lieve ipocellularità e nulla di rilevante in
citofluorimetria (CF). Autoimmunità e TC total body
negative; tracce di emoglobinuria. La paziente viene
dimessa in buone condizioni. Nel Settembre 2014 ricovero in NPI per perdita di coscienza, emiplegia destra e
afasia. Alla TC ed RM estesa ischemia del territorio
della cerebrale media per trombosi della a. carotide
interna; intrapresa terapia e.v. con mannitolo, steroide e
reviparina e praticata trasfusione di GRC, con rapida
ripresa clinica. Nell’Ottobre 2014 (in carico all’OEP):
mostra normalità di Adamts 13 e delle resistenze osmotiche eritrocitarie. In CF su sangue periferico identificazione di un clone EPN (CD24-/FLAER- pari al 91% dei
granulociti, e CD59- pari al 53% degli eritrociti). BOM:
iperplasia eritroide e spostamento a sinistra della linea
maturativa mieloide. Inizia terapia con dicumarolo per
os ed Eculizumab e.v., a 600 mg/sett. per le prime 5 settimane; in seguito a 900 mg/sett., inizialmente ogni 911 giorni e, successivamente, ogni 12-14 gg. Marzo
2015: quasi regredita l’afasia e normalizzata la deambulazione. Motilità recuperata all’arto superiore destro ma
ancora assente a livello di polso e mano destra. La
paziente non è più stata trasfusa. I prelievi ematologici
effettuati subito prima della infusione di Eculizumab
mostrano in media Hb 8.9-9.4 gr/dl, Piastrine 120140.000/mmc, Reticolociti 170-310.000/mmc, LDH
700-1100 U/L, Bil T 1.2-1.6 mg/dl.
CONCLUSIONI: Una diagnosi precoce ed un pronto trattamento con Eculizumab e anticoagulante avrebbero forse potuto evitare lo stroke, accompagnatosi ad
esiti potenzialmente invalidanti. Un’anemia emolitica
con Coombs negativi dovrebbe suggerire sempre l’esecuzione di una semplice CF su sangue periferico per
l’eventuale identificazione del clone EPN.
bassa statura, dismorfismi e predisposizione all’insorgenza di tumori. Oggi, mutazioni genetiche germinali
vengono identificate nel 75% dei casi, a carico del
gene PTPN11(50%) e più raramente di altri geni della
via RAS-RAF-MEK-ERK. L’associazione tra ICL e
SN non è mai stata descritta in letteratura. Riportiamo
il caso di una bambina con sospetta SN giunta alla
nostra osservazione all’età di 9 mesi per la comparsa
di lesioni cutanee eritemato-desquamative diffuse su
tutta la superficie corporea. La biopsia cutanea è risultata diagnostica per ICL. La stadiazione ha evidenziato due lesioni ossee millimetriche compatibili con pregresse localizzazioni di malattia, pertanto è stata
avviata al solo follow-up. A 12 mesi dall’esordio non
ha presentato riattivazioni di malattia e le lesioni cutanee sono quasi completamente regredite. L’analisi del
gene BRAF sul tessuto bioptico, eseguita alla diagnosi
di ICL, ha mostrato la presenza della mutazione
monoallelica V600E, assente invece su sangue periferico. Parallelamente, le analisi genetiche per la diagnosi di SN hanno escluso mutazioni germinali a carico di PTPN11. L’analisi, in next generation sequencing, dei geni della via RAS-RAF-MEK-ERK (SOS1,
ARAF, SHOC2, MAP2K1, MAP2K2, CBL, RIT1,
NRAS, KRAS, HRAS, RRAS) ha evidenziato la presenza, in eterozigosi, della mutazione c.770C>T
(p.Ser257Leu) nell’esone 7 del gene ARAF, variante
riportata in letteratura in associazione alla SN.
L’analisi del gene ARAF sul tessuto bioptico è attualmente in corso. In conclusione, nella nostra paziente
sono presenti due mutazioni della via RAS-RAFMEK-ERK, rispettivamente germinale, a carico del
gene ARAF, e somatica, a carico del gene BRAF. Se
questo possa suggerire un ruolo delle due mutazioni
potenzialmente causativo della ICL resta da chiarire in
più ampi studi.
P079
BURDEN OF CARE E QUALITÀ DELLA VITA
FAMILIARE: L’IMPATTO DELLA MALATTIA
EMATONCOLOGICA IN ETÀ PEDIATRICA
F. Ronco, G. Iaria, L. Foletti, L. Benedetto, I. Marino
Divisione Oncoematologia Pediatrica RC-A.I.L. RCDipartimento di Scienze Umane e Sociali, Università
degli Studi, Reggio Calabria, Italy
P080
ISTIOCITOSI A CELLULE DI LANGERHANS E
SINDROME DI NOONAN: BASI BIOLOGICHE
COMUNI?
B. Ciambotti1, M.L. Coniglio1, V. Cetica1, E. Lapi2,
E. Sieni1, C. Favre1
1Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO
Oncoematologia; S.O.D. Genetica Medica, AOU A.
Meyer, Firenze,Italy
La Istiocitosi a cellule di Langerhans (ICL) è una
malattia rara con manifestazioni cliniche e decorso
eterogenei, la cui eziopatogenesi resta da determinare.
Tuttavia, studi recenti hanno evidenziato la presenza
di mutazioni genetiche somatiche attivanti a carico di
BRAF e di altri proto-oncogeni della via RAS-RAFMEK-ERK in oltre il 60% delle biopsie. L’esistenza di
fattori genetici costituzionali predisponenti è stata ipotizzata per la presenza di casi di aggregazione familiare, ma non è ancora stata dimostrata. La Sindrome di
Noonan (SN) è una condizione genetica autosomica
dominante caratterizzata da cardiopatie congenite,
OBIETTIVI: La ricerca indaga la relazione tra carico emozionale e fisico (caregiver burden) nei genitori di
minori con diagnosi ematoncologica, in relazione alla
qualità di vita (QdV) e alle condizioni cliniche dei figli
nel corso del trattamento chemioterapico.
METODI: 38 genitori (in prevalenza madri, n=27)
di 30 minori con diagnosi di LLA (n=25) o LH (n=5)
hanno compilato il Caregiver Burden Inventory (Novak
e Guest, 1989) e un questionario che misura i problemi
(incertezze, timori per sé o per il figlio, depressione,
perdita di controllo) sperimentati a causa di un pericolo
per la salute del figlio (van der Borne et al., 1999). La
QdV dei minori è stata valutata mediante il KINDL
(Raven-Sieberer e Bullinger, 1998) in funzione della
| 55 |
Poster
fase della terapia (chemioterapia n=14; controllo n=16).
Il campione è stato reclutato nel corso dei controlli in
regime di Day Hospital presso il reparto di Ematologia
Pediatrica (aprile-novembre 2014). Per 8 minori la diagnosi era recente (<5 mesi), per 24 superiore a 5 mesi.
RISULTATI: 12 genitori (31.6%) sono risultati a
rischio di burden (CBI totale >36); non sono state osservate differenze in funzione del tipo di leucemia (LLA o
LH), dei tempi dalla diagnosi (recente o >5 mesi) e della
terapia. Il burden aumenta proporzionalmente all’aggravarsi delle condizioni di salute e ai problemi di autostima
manifestati dal figlio. Tra le variabili del genitore, sono
risultate correlate positivamente ai punteggi di burden i
timori per il figlio, la depressione e la perdita di controllo. A un’analisi di regressione i predittori dei livelli di
burden sono risultati la salute fisica del figlio [b=-0.57,
t(25)=-3.94, p <.001] e la sensazione perdita di controllo
da parte del genitore [b=0.49, t(25)=3.8, p=.002].
CONCLUSIONI: I risultati di questo studio, seppure limitato a un campione non numeroso, confermano il
rischio di burden nei genitori di minori con leucemia in
fase di trattamento e la necessità di fornire un adeguato
supporto che riduca la percezione di perdita di controllo
e impotenza sulle condizioni di salute del figlio.
P081
STORIA DI UNA DIFFICILE DIAGNOSI:
L’EMATOLOGO E IL GENETISTA A CONFRONTO
M. Sibilio1, F. Petruzziello2, C. Micalizzi3,
E. Acampora1, R. Parasole2, V. Avolio1, G. Andria1,
G. Menna2, J. Svahn3, G. Parenti1
1Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione
di Pediatria, Università di Napoli Federico II, Napoli;
2Dipartimento di Oncologia Pediatrica, AORN SantobonoPausilipon, Napoli; 3Dipartimento di Oncologia ed
Ematologia Pediatrica, Istituto G. Gaslini, Genova, Italy
INTRODUZIONE: La Sindrome Linfoproliferativa
Autoimmune (ALPS) è un disordine linfoproliferativo
caratterizzato da epato-splenomegalia, linfoadenomegalia, citopenia autoimmune, da difetto dell’apoptosi FASmediata. La diagnosi è clinica ma i sintomi possono essere comuni ad altre patologie non-ematologiche.
L’intolleranza alle proteine con lisinuria (LPI) è una
malattia multiorgano causata da difetto del trasporto
degli aminoacidi dibasici a livello della membrana cellulare intestinale e renale; i sintomi sono epato-splenomegalia, vomito, scarso accrescimento, scompenso metabolico in corso di infezioni e disfunzione midollare (citopenie, sindrome da attivazione macrofagica). Descriviamo
un caso di difficile inquadramento diagnostico.
CASO CLINICO: Bimba di 2 anni che riceve diagnosi di ALPS per linfoadenomegalia cronica, splenomegalia persistente, anemia, piastrinopenia, aumento dei
linfociti T doppi negativi, resistenza dei linfociti T all’apoptosi FAS indotta, Coombs diretto positivo ma negatività per mutazione di FAS. Presenti sintomi difficilmente
inquadrabili con la diagnosi di ALPS quali vomito, episodi infettivi ricorrenti, iperferritinemia, LDH elevato,
ritardo della crescita staturale e difficoltà di apprendi-
| 56 |
mento scolastico. Tre anni dopo, rivalutato il caso dai
genetisti in corso di ricovero per broncopolmonite, viene
posta diagnosi di LPI, confermata molecolarmente (eterozigote composito per mutazioni p.S386R/p.S396
LfsX122 del gene SLC7A7). Inizia dieta ipoproteica,
citrullina e carnitina con miglioramento delle condizioni
cliniche (incremento crescita staturale, miglioramento
dell’apprendimento) ma l’organomegalia e la citopenia
peggiorano. Dopo consulto ematologi-genetisti, inizia
terapia immunosoppressiva con Sirolimus (dose iniziale
1,5 mg/mq/die) e dopo 12 mesi si assiste a scomparsa
della citopenia, della splenomegalia (Tabella 1) e riduzione della ferritinemia. La durata del trattamento è stata 23
mesi; all’ultimo controllo (7 mesi dalla stop-terapia) presentava lieve aumento della ferritinemia e dell’LDH con
stazionarietà dei parametri ematologici e negatività
dell’organomegalia.
Tabella1. Variazione dei parametri clinico-bioumorali in corso
di somministrazione di Sirolimus.
Fase della terapia
Giorni totali di S.C. mq
terapia
Dose prevista 1,5
mg/mq
Dose assunta
mg/die
Effetti collaterali
Risposta al
Milza cm dall'arco
Fegato cm
costale
dall'arco costale
Inizio terapia
0
0,7
1
0
Nessuno
8
3
Dopo 1 m
27
0,7
1
1
Nessuno
9
4
Dopo 3 m
84
0,7
1
1
Nessuno
4
2
Dopo 4 m
104
0,7
1
1
Nessuno
3
0
Dopo 5 m
131
0,7
1
1
Nessuno
4
0
Dopo 8 m
225
0,7
1
1
Nessuno
4
0
Dopo 13 m (post scalo)
372
0,7
1
0,7
Nessuno
1
Dopo 18 m
524
0,7
1
0,7
Nessuno
1
0
Dopo 21 m
624
0,79
1,2
0,7
Nessuno
0
0
Dopo 22 m
651
0,8
1,2
0,45
Nessuno
0
0
Dopo 23 m
0
681
0,8
1,2
0,22
Nessuno
0
0
3 mesi dallo stop (+26 m)
0
0,8
0
0
!
0
0
7 mesi dallo stop (+30 m)
0
0,8
0
0
!
0
0
CONCLUSIONI: La diagnosi differenziale è indispensabile in tutti quei casi in cui la diagnosi, per quanto “cucita su misura”, non spiega completamente la sintomatologia di un paziente. La terapia immunoppressiva, di uso comune nell’ALPS, non è formalizzata nella
LPI; nel nostro caso il Sirolimus ha permesso il controllo della linfoproliferazione, dell’organomegalia e della
citopenia autoimmune. Resta da definire la giusta durata della terapia immunosoppressiva. Nel caso riportato
la stretta collaborazione tra ematologi e genetisti ha
contribuito al corretto inquadramento diagnostico delle
2 malattie coesistenti.
P082
LUPUS ANTICOAGULANTHYPOPROTHROMBINEMIA SYNDROME:
CASE REPORT
G. Del Baldo, C. Marabini, N. Caporelli, P. Coccia,
S. Gobbi, V. Petroni, P. Pierani
Clinica
Pediatrica-Oncoematologia
Pediatrica,
Università Politecnica delle Marche, Italy
La “lupus anticoagulant-hypoprothrombinemia
syndrome” (LA-HPS) è una patologia rara, in cui la
presenza dell’anticoagulante lupico si associa a un
deficit acquisito del Fattore II. I test di laboratorio
mostrano prolungamento dei parametri emocoagulativi, ma a differenza della sindrome da anticorpi antifosfolipidi, la clinica è caratterizzata da manifestazioni
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
trombotiche o emorragiche di entità variabile. Tale
condizione si associa generalmente a patologie
autoimmunitarie (LES), a farmaci o a eventi infettivi.
CASO CLINICO: C.B.D, 2 anni 6/12, giunge alla
nostra osservazione per recente comparsa di alcuni
episodi di epistassi e facilità alle ecchimosi. Anamnesi
personale e familiare precedentemente negativa per
sanguinamenti spontanei o in seguito a traumi (intervento chirurgico di orchidopessi 3 mesi prima, senza
complicanze emorragiche). Da segnalare un episodio
virale qualche giorno prima. All’obiettività: numerose
ecchimosi agli arti superiori e inferiori. Le indagini
ematologiche hanno mostrato: emocromo nella norma,
allungamento del PTT (70 sec) e una riduzione% del
PT (60%), positività degli anticorpi anti coagulante
lupico (SCT ratio: 1,32 DRVVT/DRVVC: 2.07) e fattore II ridotto (22%). Per tanto è stato avviato monitoraggio clinico e laboratoristico. A 15 giorni dall’esordio: PT: 84%, PTT: 41 sec, Fattore II: 63%, LAC: SCT
1,43, DRVVT: 1,83. A due mesi: PT: 101%, PTT: 33
sec, Fattore II: 94%, LAC: SCT 0,88 DRVVT: 0,89.
Assetto autoimmunitario: negativo. Viene pertanto
posta diagnosi di: LA-HPS verosimilmente post-infettiva. Il bambino è sempre stato asintomatico, non più
episodi di sanguinamento da segnalare.
CONCLUSIONI: La LA-HPS è una rara patologia
descritta per la prima volta nel 1960 da Rapaport et al.
in una ragazza di 11 anni con diagnosi di LES e diatesi
emorragica. Questa sindrome è attualmente descritta
in 66 pazienti (adulti e bambini). Il 50% dei casi
descritti ha sviluppato sanguinamenti maggiori, con
una mortalità del 5%. Le forme a prognosi migliore
sono quelle associate ad infezioni, in quanto generalmente autolimitantesi. Nelle forme più severe il trattamento comprende corticosteroidi, immunosoppressori
(ciclofosfamide, azatioprina), immunoglobuline,
rituximab e terapie di supporto.
P083
DIFETTI GENETICI RARI IN UN CASO DI ANEMIA
TRASFUSIONE DIPENDENTE
G. Ivaldi1, M. Miano2, E. Palmisani2, M. Calvillo2,
D. Leone1
1SC Laboratorio di Genetica Umana, Ospedali
Galliera, Genova; 2UOS Ematologia Clinica e di
Laboratorio, Istituto G. Gaslini, Genova, Italy
Si osservano oggi con maggior frequenza manifestazioni cliniche prodotte da composti genetici appartenenti a famiglie diverse di geni che possono interagire
positivamente o negativamente tra loro. Ciò principalmente a causa di una sempre maggior eterogeneità della
nostra popolazione e per la maggior capacità di diagnosticare difetti rari ma clinicamente rilevanti. I numerosi
difetti globinici noti, e i nuovi che sovente si combinano
con altri difetti genetici del globulo rosso, possono produrre fenotipi ematologici e clinici sovente complessi.
E’ il caso di una bambina siciliana giunta all’osservazione all’età di 2 anni e 6/12 che presentava splenomegalia, importante anemizzazione e periodiche trasfusio-
ni. Inizialmente la morfologia eritrocitaria e lo studio
delle proteine della membrana eritrocitaria hanno rivelato la presenza di una sferocitosi ereditaria dovuta a
deficit di spectrina. Quindi, il quadro ematologico, l’assetto emoglobinico, i livelli di bilirubina indiretta e la
facies talassemica hanno suggerito approfondimenti
molecolari che hanno evidenziato un genotipo eterozigote (TA)6/7 a livello del promotore del gene UDP-glucoroniltransferasi A1 (UGT1A1) e sui geni b globinici
due rare variazioni nucleotidiche: la delezione
HBB:c.404_413 del (delezione di 10 bp) su un allele e
la sostituzione HBB:c.*96T>C in posizione 3’UTR.
Inoltre la delezione di 4 bp nel promotore del gene
Agamma (HBG1:c.-225_-222del) può aver contribuito,
ma solo in parte, ai valori elevati di HbF riscontrati
prima dell’inizio della terapia trasfusionale (Tabella 1).
Tabella 1. Assetti genetici ed emoglobinici riscontrati nella
famiglia esaminata.
A sei anni la proposita è stata sottoposta a splenectomia e attualmente, all’età di 8 anni, risulta trasfusione
dipendente. Gli esami ematologici e molecolari dei
genitori non hanno confermato la segregazione dei
difetti descritti nella proposita; il difetto globinico più
rilevante, la delezione di 10 bp, è stato dimostrato essere de novo nella proposita. In conclusione: a) la comprensione del quadro clinico e prognostico della proposita risulta complicato per la presenza del difetto “de
novo”; b) l’associazione di difetti genetici dell’emoglobina e della membrana eritrocitaria produce un quadro
emolitico ed emoglobino-sintetico particolarmente
complesso; c) questo caso può far riflettere sulla opportunità, nelle popolazioni geneticamente più eterogenee,
di estendere gli accertamenti preventivi preconcezionali
per le emoglobinopatie e la relativa consulenza genetica
all’intero cluster non-a.
| 57 |
Poster
P084
P085
COLONIZZAZIONE ED INFEZIONE DA
ENTEROBACTERIACEAE RESISTENTI AI
CARBAPENEMICI NEI BAMBINI ITALIANI IN
TRATTAMENTO CON CHEMIOTERAPIA
D. Caselli, S. Cesaro, F. Fagioli, F. Carraro, O. Ziino,
G. Zanazzo, C. Meazza, A. Colombini, P.E. Muggeo,
R. Mura, M.G. Orofino, M. Giacchino, M. La Spina,
C. Consarino, F. Tucci, A. Barone, M. Cellini,
K. Perruccio, R. Bandettini, R. Rondelli, S. De Masi,
M. Aricò, E. Castagnola
GdL Infezioni (AIEOP) Bologna, Bari, Cagliari OEP e
BMT Unit, Catania, Catanzaro, Firenze, Genova,
Milano INT, Monza (MB), Modena, Palermo, Parma,
Perugia, Torino, Trieste, Verona, Italy
I TRAPIANTI DI CELLULE STAMINALI
EMOPOIETICHE IN ETÀ PEDIATRICA:
PROPOSTA DI UN PERCORSO PSICOLOGICO
T. Geuna1, G. Zucchetti1, C. Peirolo1, S. Bellini1,
E. Roccia1, M. Bertolotti1, M. Berger2, E. Vassallo2,
F. Nesi2, F. Fagioli2
1Servizio
di Psiconcologia Pediatrica; 2SC
Oncoematologia Psediatrica e Centro Trapianti, AOU
Città della Salute e della Scienza, Torino, Italy
INTRODUZIONE: Le infezioni/colonizzazioni da
Enterobacteriaceae produttrici di carbapenemasi (CPE)
sono diventate un problema internazionale. Recentemente
i ceppi di Klebsiella pneumoniae multiresistenti sono passati dall’1,2% del 2009 al 30% nel 2011 (European
Centers for Disease control). I dati sui CPE sono molto
scarsi in età pediatrica ed in particolare nei bambini sottoposti a chemioterapia o trapianto di CSE, nonostante la
mortalità e morbidità correlate siano rilevanti.
PAZIENTI E METODI: Raccolta dati retrospettiva/prospettica per 24 mesi, da gennaio 2012 a
Dicembre 2013. Tutti i centri AIEOP sono stati invitati
a partecipare raccogliendo per ogni centro: numero di
nuove diagnosi, tipo di tumore, numero di giorni di
ricovero, esecuzione di colture di sorveglianza per CPE,
numero di pazienti colonizzarti, numero di pazienti con
batteriemia, numero di pazienti deceduti. La raccolta
dati è avvenuta mediante Surveymonkey.
RISULTATI: 15 centri hanno partecipato arruolando un totale di 3248 bambini di cui 1610 (49%) trattati
per tumore solido e 1638 (51%) con leucemia/linfoma.
4 centri non hanno riportato casi di colonizzazione o
batteriemia, mentre in 1 centro si è verificato un cluster
epidemico. Si é evidenziare un incremento sia delle
colonizzazioni (da 0.30 in 2012 a 0.65 in 2013) che
delle batteriemie (da 0.16 nel 2012 a 0.67 in 2013).
Complessivamente la mortalità è stata del 14% (6/44).
Un programma di screening per l’individuazione dei
portatori di CPE era in atto nel 25% dei centri alla fine
del 2012, e nel 60% alla fine del 2013.
CONCLUSIONI: Lo studio rappresenta la prima
survey pediatrica Italiana sulle infezioni da CPE. I 15
centri aderenti rappresentano il 49% dei pazienti segnalati nel modello 101 negli anni interessati allo studio e
sono distribuiti su tutto il territorio nazionale. Lo studio
permette di evidenziare un importante incremento dei
tassi di incidenza delle infezioni da CPE e della mortalità ad essi correlata. E’ probabile che vi sia una sottostima del problema; quindi, anche considerando le indicazioni del Ministero della Salute, è auspicabile che
programmi di sorveglianza vengano implementati in
tutti i centri AIEOP.
| 58 |
Il trapianto di cellule staminali emopoietiche (CSE)
rappresenta un’esperienza critica dal punto di vista
emotivo, in quanto investito di speranze e paure, che
segnano profondamente il percorso di crescita di bambini e adolescenti e gli equilibri del nucleo familiare.
Accanto alla presa in carico psicologica consolidata
all’interno del CTCS del Presidio OIRM di Torino, è
stato elaborato un protocollo di monitoraggio di alcuni
aspetti inerenti la qualità di vita dei pazienti e delle loro
famiglie che viene attivato nel percorso trapiantologico.
Il protocollo è condiviso con psicologi che operano
all’interno dei reparti in cui sono presenti bambini
potenzialmente fruitori di trapianto d’organo (Gruppo
Psico-Trapianti Pediatrici). Gli aspetti indagati riguardano: qualità di vita del paziente e del caregiver,
(PedsQL), ansia e depressione nel paziente adolescente
(HADS), stato emotivo del bambino (disegno del “bambino sotto la pioggia”) e funzione genitoriale del caregiver (PSI). Tali costrutti vengono esaminati in specifici
momenti dell’iter: inserimento in lista trapianto (T0);
circa un mese/tre mesi dal trapianto (T1); sei/nove mesi
dal trapianto (T2). In ognuno di questi step viene compilata la Scheda di Complessità al fine di monitorare gli
ambiti BIO-PSICO-SOCIALI. Finora il protocollo è
stato somministrato a T0 a 13 pazienti (Nmaschi=8; M
età=8) e al caregiver (N femmine=8; M età=35). Dai
risultati preliminari si evince che i genitori percepiscono nei loro figli una discreta qualità di vita (in termini
di salute e attività fisiche, stati emotivi, vita sociale e
attività scolastica) (MQL=66), mentre leggermente più
positiva risulta essere la percezione della propria qualità
di vita dei pazienti (MQL=71). L’indice di Stress
Genitoriale risulta essere piuttosto basso (Mstress =55;
<50ª percentile); tuttavia è da sottolineare un valore tendenzialmente significativo rispetto alla scala delle
risposte difensive (Mdefense=14) indicante una propensione del genitore a dare un’immagine di sé più
favorevole. Un ampliamento del campione e dei risultati verranno presentati in sede congressuale. Il protocollo
integrato nel percorso di cura, garantisce una presa in
carico psicologica del paziente e della famiglia offrendo
un appropriato livello di cure per ogni singolo caso.
Inoltre sarà possibile una raccolta dati utile alla produzione di contributi scientifici.
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
P086
P087
STUDIO RETROSPETTIVO SULL’INCIDENZA E LE
MANIFESTAZIONI CLINICHE DELL’INFEZIONE DA
CLOSTRIDIUM DIFFICILE IN PAZIENTI PEDIATRICI
IN TRATTAMENTO PER PATOLOGIE
ONCO-EMATOLOGICHE NEI CENTRI AIEOP
D. Caselli, E. Castagnola, A. Colombini, G. Zanazzo,
R. De Santis, P.E. Muggeo, R. Mura, M.G. Orofino,
A. Barone, M. Cellini, C. Consarino, K. Perruccio,
S. De Masi, S. Cesaro
Per il GdL Infezioni (AIEOP) Bari, Cagliari TMO e
OEP, Catanzaro, Firenze, Genova, Monza (MB),
Modena, Parma, Perugia, San Giovanni Rotondo (FG),
Trieste, Verona, Italy
PREVALENZA DI TUMORE TIROIDEO DOPO
RADIOTERAPIA PER NEOPLASIA IN ETÀ
PEDIATRICA: CARATTERISTICHE CLINICO/
ISTOPATOLOGICHE E OUTCOME A LUNGO
TERMINE
S. Marino1, F. Branciforte1, E. Cannata1, M. La Spina1,
A. Spadaro2, G. Sapuppo2, G. Pellegriti2, P. Samperi1,
A. Di Cataldo1, G. Russo1
1UOC
Ematologia-Oncologia Pediatrica, AOU
Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania; 2Endocrinologia,
Dipartimento di Biomedicina Clinica e Molecolare,
Ospedale Garibaldi-Nesima, Catania, Italy
INTRODUZIONE: L’infezione da Clostridium difficile è diffusa tra i pazienti sottoposti a chemioterapia
e a terapia antibiotica ed è considerata dal CDC una
minaccia immediata che richiede una azione urgente ed
aggressiva. I dati americani infatti segnalano 250.000
infezioni anno con circa 14.000 decessi, mentre la situazione in Europa ed in Italia non è ben definita. In particolare i dati relativi ai pazienti pediatrici sottoposti a
chemioterapia sono molto limitati (Pediatr Blood
Cancer 2004;42:338-342). E’ riportata una incidenza
del 13% sul totale degli episodi di diarrea. Non sono
disponibili dati italiani su pazienti pediatrici.
MATERIALI E METODI: Abbiamo organizzato
una survey nazionale dei centri AIEOP. Ogni centro è
stato invitato a comunicare i dati relativi alla propria
identificazione, alle proprie caratteristiche di arruolamento, al numero totale di giorni di ricovero in
Oncoematologia in 5 mesi (gennaio, marzo, giugno,
settembre, novembre) dell’anno 2013, caratteristiche
dei pazienti ricoverati in questi mesi, numero dei bambini con diagnosi di enterite da Clostridium difficile,
numero di bambini con diarrea, caratteristiche dei bambini infetti, caratteristiche del trattamento utilizzato.
RISULTATI: Sono stati arruolati complessivamente 1137 pazienti (722 LLA/linfomi, 350 Tumori solidi,
65 sottoposti a TCSE) seguiti in 12 centri AIEOP per
un totale di 15.013 giorni di ricovero. Su 61 pazienti
con diarrea, 19 (31%) sono risultati affetti da
Clostridium difficile, con una incidenza di 1.26/1000
giorni di ricovero.
CONCLUSIONI: Il nostro studio evidenzia una
incidenza più alta di quanto riportato in altri studi sia
come percentuale sugli episodi di diarrea che come
rischio per 1000 giorni di ricovero. Raramente le infezioni sono risultate resistenti alla terapia. Quindi il problema é presente nei nostri pazienti ma non particolarmente diffuso e solitamente di gestione relativamente
semplice.
INTRODUZIONE: I soggetti trattati per tumore
pediatrico hanno un’elevata incidenza di secondi
tumori della tiroide.
OBIETTIVI: Valutazione della prevalenza, analisi
delle caratteristiche cliniche ed istopatologiche, outcome a lungo termine di secondo tumore della tiroide, in
soggetti affetti da neoplasia in età pediatrica e trattati
con radioterapia (RT) associata o meno a chemioterapia.
MATERIALI E METODI: Dal 1999 al 2014, 135
pazienti, 71 femmine (F) e 64 maschi (M), trattati per
tumore in età pediatrica, 131 con chemio-radioterapia e
4 soltanto con RT, sono stati sottoposti ad esame clinico, dosaggio TSH, ormoni e anticorpi tiroidei, ecografia
del collo e, in caso di noduli tiroidei, agoaspirato.
RISULTATI: Sono stati individuati 32 soggetti
(23,7%) con noduli tiroidei, F 17 e M 15, età media
alla diagnosi di primo tumore 9.6 anni (mediana 10.4,
range 1-18)ed età media alla diagnosi di nodulo tiroideo 22.2 anni (mediana 22.1, range 12.2-33.4). 16/32
(50%); 13 F e 3 M, presentavano un tumore; 4/16 avevano eseguito solo RT, 12/16 RT e chemioterapia. Età
media alla diagnosi di secondo tumore 35.5 anni
(mediana 35, range 21-68), latenza media tra primo e
secondo tumore 19.7 anni (range 4.5-43). I 16 soggetti
con tumore tiroideo sono stati sottoposti a tiroidectomia e 10/16 anche a linfoadenectomia loco-regionale;
8/16 (50%) presentavano positività dei linfonodi locoregionali, 7/16 (43.7%) invasione extraghiandolare.
L’istologia deponeva per carcinoma papillifero, 10/16
variante classica, 6/16 variante follicolare; dimensione
media del tumore 12.8 mm (range 4-30). 12/16 sono
stati sottoposti a trattamento ablativo con radioiodio
post-chirurgico. 13/16 (81%) in remissione completa
all’ultimo follow-up, 2/16 persistenza di malattia, 1/16
metastasi polmonari.
CONCLUSIONI: I soggetti trattati con RT e chemioterapia in età pediatrica hanno un aumentato rischio
di sviluppare tumori tiroidei papillari aggressivi, pertanto è fondamentale un attento follow-up al fine di evitare ritardi nella diagnosi e nel trattamento.
| 59 |
Poster
P088
MALATTIA GRANULOMATOSA CRONICA:
ESPERIENZA DI UN SINGOLO CENTRO
A. Beghin1, A. Soresina2, M. Zucchi1, R. Baffelli1,
S. Villanova1, F. Bolda1, S. Guarisco3, E. Soncini3,
F. Porta3, A. Caruso4, A. Lanfranchi1
1UO Microbiologia e Virologia, Sezione di Ematologia
e Coagulazione, Laboratorio Cellule Staminali,
Ospedale dei Bambini, Brescia; 2Unità di Immunologia
Pediatrica, Clinica Pediatrica, Università di Brescia,
Brescia; 3UO Oncoematologia Pediatrica e Trapianto
di Midollo Osseo, Ospedale dei Bambini, Brescia;
4Sezione di Microbiologia, Dipartimento di Medicina
Molecolare e Traslazionale, Università di Brescia,
Brescia, Italy
La Malattia Granulomatosa Cronica (CGD) è un
raro deficit primario dell’immunità innata, di origine
genetica, dovuto ad un difetto del metabolismo ossidativo dei polimorfonucleati.Nel 75% dei casi la trasmissione della malattia è legata al cromosoma X con mutazioni
a livello del gene CYBB; nel restante 25% dei casi la trasmissione è autosomica recessiva, in cui i geni coinvolti
sono p47phox (NCF1), p22phox (CYBA), p67phox
(NCF2).La messa in evidenza del difetto funzionale dei
fagociti e la caratterizzazione delle mutazioni genetiche
all’origine del CGD sono indispensabili per la diagnosi
di malattia.Nel nostro Centro la diagnosi funzionale di
CGD mediante analisi citofluorimetrica (test DHR123)
ha individuato 14 pazienti (pts) con riduzione fagocitaria
assente (11 maschi e 3 femmine),di questi è stata fatta
l’analisi genetica a 13/14.Sono state individuate sette
mutazioni a livello del gene CYBB: due mutazioni di
splicing (c.141+5G>A,c.483+1G>T),due mutazioni frameshift (c.1105delT,c.1523delA),una mutazione missense (c.194T>G) e una nonsense (c.271C>T).In due pts
sono state trovate mutazioni a livello del gene NCF1:
una mutazione in omozigosi (c.818G>T), non descritta
in letteratura e una in eterozigosi composta
(c.75_76delGT+c.579G>A). Inoltre i pts analizzati per i
geni implicati nel CGD a trasmissione autosomica recessiva mostrano un comune cluster di polimorfismi:
Val174Ala e His72 Tyr nel gene CYBA molto comuni
nella popolazione e Arg90Gly nel gene NCF1.I nostri
risultati confermano l’eterogeneità genetica a livello del
gene CYBB.8 pazienti maschi sono stati sottoposti a trapianto:4 MUD e 4 MRD,di cui 2 sono stati sottoposti a
un secondo HSCT.Il numero medio di cellule
CD34+infuse è di 13.88X106/Kg e CD3+ di
267X105/Kg.A 30 giorni dal trapianto 3pts hanno un
chimerismo (chim) donatore e 4chim misto e 1 autologo.Un paz con chim misto e uno con chim autologo sono
stati sottoposti ad un secondo trapianto: il primo ha continuato ad esprimere la presenza di cellule del ricevente
dapprima stabili e poi nel tempo transitorie fino alla
completa perdita del trapianto il secondo ha mostrato un
completo chimerismo del donatore.Nessuno ha sviluppato GvHD né severa né cronica, solo 2/8 GvHD di I
grado e la sopravvivenza a circa 4 anni dall’HSCT è del
60%,evidenziando così un buon outcome (Tabella 1).
| 60 |
Tabella 1.
P089
DISTURBI DEL SONNO IN BAMBINI CON
NEOPLASIA CEREBRALE
C. Pilotto1, E. Coassin2, E. Passone1, M. Robazza1,
S. Birri3, E. Bidoli3, A. Nocerino1, M. Mascarin2
1Clinica Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria,
Udine; 2S.O.S. di Radioterapia Pediatrica; 3S.O.S.
Epidemiologia e Biostatistica, Centro di Riferimento
Oncologico, Aviano (PN), Italy
INTRODUZIONE: Il sonno è un processo neurologico complesso, influenzato da diversi fattori tra cui
danni al sistema nervoso centrale (SNC). Non è noto
come la neoplasia cerebrale possa modificare il sonno
del bambino. Le pubblicazioni su questo argomento
sono poche e prevalentemente concentrate sull’età adulta. L’obiettivo del nostro studio è analizzare la prevalenza di disturbi del sonno in bambini con diagnosi pregressa di tumore cerebrale, rispetto alla popolazione
sana di controllo.
MATERIALI E METODI: Studio retrospettivo
caso-controllo. Sono stati arruolati 29 casi e 87 controlli
per un totale di 116 soggetti. I “casi” includono pazienti
tra 2 e 16 anni con diagnosi di neoplasia del SNC e trattamento (chirurgia e/o radioterapia e/o chemioterapia)
terminato da almeno 3 mesi. I “controlli” sono bambini
sani (frequentanti asili o scuole dell’obbligo), abbinati
per sesso ed età ai casi in rapporto 3:1. La qualità del
sonno del bambino è stata valutata tramite un questionario somministrato ai genitori (Child’s Sleep Habits
Questionnaire, CSHQ). Il sonno è stato considerato
disturbato in presenza di almeno una delle seguenti
manifestazioni: ritardo nell’addormentamento, durata
del sonno, ansia sonno correlata, risvegli notturni, parasonnie e disturbi respiratori. Il rischio di disturbi del
sonno è stato stimato con l’Odds Ratio (OR) e relativi
intervalli di confidenza al 95% (IC95%) attraverso
modelli di regressione logistica.
RISULTATI: La prevalenza del disturbo del sonno è
risultata pari a 51,7% nei casi e 33,3% nei controlli. Nei
casi si è osservato un maggiore rischio sonno disturbato
anche se non in modo statisticamente significativo
(OR=2,14 IC95%: 0,91-5,03). Analizzando i singoli
disturbi del sonno, i risvegli notturni e le parasonnie
(OR=4,32 IC95%: 1,08-17,34) sono risultati significativamente associati ad un aumento di rischio.
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
CONCLUSIONI: I dati ottenuti dimostrano la tendenza a manifestare un disturbo del sonno nei bambini
con diagnosi pregressa di neoplasia cerebrale ed in particolare per quanto riguarda i risvegli notturni e le parasonnie. Questo studio preliminare fa emergere la necessità di approfondire le problematiche del sonno in questa tipologia di pazienti tramite polisonnografia (PSG) e
dosaggio della melatonina, per meglio caratterizzare i
disturbi e focalizzare l’attenzione su un ipotetico trattamento specifico (farmacologico e/o comportamentale).
P090
L’IMMAGINE CORPOREA NEI GIOVANI GUARITI
DA TUMORI EMATOLOGICI
S. Bellini1,2, G. Zucchetti1,2, E. Roccia1,2, T. Geuna1,2,
C. Peirolo1,2, M. Bertolotti1,2, E. Biasin2, N. Bertorello2,
E. Barisone2, M. Piglione2, F. Fagioli2
1Servizio
di Psiconcologia Pediatrica; 2SC
Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti, AOU
Città della Salute e della Scienza, Torino, Italy
L’immagine corporea (IC) è un costrutto multidimensionale e si riferisce alla modalità con la quale il soggetto
considera il proprio corpo. Essa è investita di sentimenti
ed è legata al mondo emotivo, ma anche a fattori cognitivi e biologici. La malattia tumorale specie se vissuta in
età evolutiva, indipendentemente dalla zona del corpo
interessata dalla patologia, è un avvenimento in grado di
alterare la percezione del corpo. In particolare, nella fase
di passaggio alla normalità il corpo acquista significato
per i giovani che si trovano costretti ad uniformarsi a
modelli imposti dalla società. Questi modelli sono spesso
molto distanti dalla percezione che i ragazzi hanno del
proprio corpo e dall’immagine di questo, che risentono
inevitabilmente dell’esperienza pregressa di malattia. Lo
studio descrive la percezione dell’IC in giovani fuori
terapia con diagnosi di tumore ematologico durante l’età
dello sviluppo. Il campione è composto da 50 giovani di
età compresa tra i 12 e i 22 anni (M età=16.01; SD=2.4;
M=57%; LLA=27 e LINFOMA=23) in follow up presso
l’ambulatorio Off-therapy dell’O.I.R.M. di Torino tra gli
anni 2012-2014. Di questi, N=20 sono fuori terapia da 12 anni, N=18 da 3-5 anni e 12 da più di 6 anni. La percezione dell’IC è stata analizzata attraverso la somministrazione del BUT costituito da 34 item su scala Likert da 0
a 5 classificabili in 5 sottoscale (weight phobia, bodyimage concern, compulsive self monitoring, avoidance e
depersonalization) e un indice di severità globale [GSI].
I risultati mettono in luce che il disagio relativo all’IC sia
nelle sottoscale (Mwp=42,1**; Mbic=15,04**;
Ma=3,73**; Mcsm=5,6**; Md=2,56**) sia nella scala
totale (Mgsi=42,1**) è maggiore tra le ragazze. Anche
rispetto all’indice di severità globale le ragazze risultano
più a rischio rispetto ai ragazzi (Mgsi=42,1**; ChiQuadro=5,258, p<.05). Non risultano invece differenze
statisticamente significative in base agli anni trascorsi dal
fuori terapia e dalla diagnosi. La ricerca sottolinea la
necessità di aiutare ragazzi nella fase successiva alla
malattia, indipendentemente dagli anni trascorsi dal fuori
terapia, a ri-costruirsi un’IC il più possibile bonificata,
con l’obiettivo di migliorare l’autostima e accompagnarli
nel raggiungere una migliore qualità di vita.
P091
IRRADIAMENTO E CARENZA DI NUTRIENTI NON
ALTERANO LE PROPRIETÀ FENOTIPICHE,
FUNZIONALI E GENETICHE DELLE CELLULE
MESENCHIMALI STROMALI ISOLATE DA
MIDOLLO OSSEO DI DONATORI SANI
A. Conforti, S. Biagini, N. Starc, A. Pitisci, L. Tomao,
M. Algeri, M.E. Bernardo, F. Locatelli
IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italy
OBIETTIVI. Le cellule mesenchimali stromali
(MSCs) sono cellule multipotenti localizzate in vari tessuti umani, incluso il midollo osseo, in cui sostengono
la componente emopoietica regolandone crescita e funzioni. È ormai dimostrato che l’esposizione del midollo
osseo a radiazioni ionizzanti provoca la rapida deplezione dei progenitori emopoietici, ma ad oggi non sono
ancora stati chiariti gli effetti dell’irradiamento sulla
componente stromale del midollo. Inoltre, pur essendo
stati pubblicati alcuni studi sulla capacità proliferativa
delle MSCs in condizioni di carenza nutritiva, ad oggi
non è stato ancora approfondito il comportamento delle
MSCs sottoposte a tale stress. Nel presente studio
abbiamo esaminato il fenotipo, il potenziale differenziativo, le proprietà immunomodulatorie ed il profilo
genetico delle MSCs sottoposte a stress fisico/chimico.
METODI: Le MSCs sono state isolate da midollo
osseo di 10 donatori sani (età media: 16 anni; range: 532) ed espanse in presenza di lisato piastrinico al 5% fino
al passaggio 2. Successivamente le cellule sono state sottoposte sia a dosi crescenti di irradiamento (3.000,
10.000 e 20.000 rad) sia a condizioni di carenza nutritiva
(terreno con lisato piastrinico all’1% anziché al 5%).
RISULTATI: La morfologia e la capacità proliferativa delle MSCs irradiate e poi sottoposte a carenza di
fattori di crescita risultano modificate dall’induzione di
stress fisici o chimici. In particolare, a dosi crescenti di
irradiamento corrispondono un aumento della sofferenza cellulare ed un rallentamento/arresto della crescita
cellulare. Tuttavia abbiamo osservato che, in presenza
di lisato piastrinico all’1%, pur riscontrando lo stesso
effetto, esso risulta meno accentuato, suggerendo che la
carenza di fattori di crescita possa rallentare il processo
di senescenza delle MSCs sottoposte a irradiamento. Le
MSCs sottoposte a stress mantengono stessi immunofenotipo, capacità differenziativa in senso osteogenico ed
adipogenico, e proprietà immunomodulanti delle MSCs
non irradiate. Infine, mediante array-CGH e cariotipo,
non sono state rilevate traslocazioni né alterazioni nel
corredo cromosomico.
CONCLUSIONI: Questo lavoro dimostra che le
MSCs umane isolate da midollo osseo e sottoposte a
radiazioni ionizzanti e condizioni di carenza nutritiva,
pur mostrando una morfologia alterata ed un rallentamento/arresto nella capacità proliferativa, mantengono
fenotipo, proprietà funzionali e profilo genetico tipici
delle MSCs non sottoposte a stress fisico/chimico.
| 61 |
Poster
P092
P093
CRESCERE È FARE, FARE È ESSERE.
PROMUOVERE NUOVE IDENTITÀ
PER PROMUOVERE SALUTE
F. Bomben, M.A. Annunziata, M. Mascarin
Area Giovani, Centro di Riferimento Oncologico di
Aviano (PN), Italy
LA GESTIONE DELLE INFEZIONI CATETERE
CORRELATE NEL BAMBINO CON NEUTROPENIA
FEBBRILE:EFFICACIA DELLA LOCK-THERAPY
CON ETANOLO E IMPORTANZA DELLE
EMOCOLTURE DA VENA PERIFERICA
N. Decembrino1, M. Pagani2, A. Bottazzi2,
V. De Cecco1, S. Rosso1, P. Cambieri3, A. Muzzi4,
P. Marone3, M. Zecca1
1Oncoematologia Pediatrica; 2Anestesia e Rianimazione
2; 3Laboratorio di Microbiologia; 4Direzione Medica di
Presidio, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo,
Pavia, Italy
BACKGROUND: “AreaGiovaniCRO” è un’espressione ormai diffusa che denomina uno spazio
multidisciplinare e multidimensionale atto alla “cura”
di adolescenti e giovani malati di tumore. Internamente
a un Istituto oncologico per adulti, tale spazio accoglie
ogni anno circa 60 nuovi pazienti tra i 13 e i 29 anni:
2/3 di questi ricevono in questa sede ogni trattamento
previsto dal protocollo a cui sono assegnati e circa 25
sono ospitati in degenze ripetute e/o prolungate. Il
modello di intervento psicologico che si realizza in
AreaGiovani si fonda su un paradigma sociocostruttivista, che considera l’esperire umano non come effetto
predeterminato di eventi causali ma come generato dall’individuo, a partire dalle categorie conoscitive disponibili in un determinato contesto. Coerentemente, l’identità personale si costruisce e si configura in una
costruzione narrativa, mediante azioni e resoconti, realizzati in prima (o terza) persona.
OBIETTIVI: Considerando prioritaria la promozione della salute dei pazienti, ci si propone di agevolare i processi di costruzione identitaria nella direzione delle intenzioni personali e nella realizzazione
della progettualità individuale, al fine di circoscrivere
le autorappresentazioni coincidenti con malattia e
trattamenti.
METODI: Lo psicologo affianca il paziente indagando risorse, obiettivi, settori d’interesse e progetti,
supporta ideazione, pianificazione e concretizzazione di azioni, opere ed eventi posti in essere dall’individuo stesso, a misura della condizione clinica contingente.
RISULTATI: Progetti individualizzati e specifici
hanno visto giovani pazienti protagonisti di: importanti
promozioni scolastiche, mostre fotografiche, esposizioni artistiche, concerti strumentali, concorsi letterari,
pubblicazioni divulgative, convegni, incontri con personaggi emblematici, celebrazioni matrimoniali, corsi
di musica, hobbistica, lingua, cucina, make-up e terapia
complementare.
CONCLUSIONI: L’intervento psicologico in
AreaGiovani è mosso a partire dal peculiare “progetto
di vita” che ciascun paziente esprime, considerandolo
centrale e imprescindibile. Ideando, riconfigurando e
conseguendo tale obiettivo, la persona ha la possibilità
di distanziare identità e situazione medica, dando
luogo a rappresentazioni di sé, attribuzioni di senso,
sistemi di significato, cognizioni ed emozioni che si
fondano sulle risorse individuali contestualmente scoperte e agite, da rendere poi disponibili-trasferibili
entro il percorso di cura. Inoltre, l’individualizzazione
di un intervento siffatto conferisce percezione di unicità e fissa l’attenzione su ciò che si è conquistato
distogliendola da ciò che palesemente manca.
| 62 |
Le recenti linee guida contemplano il salvataggio di
cateteri venosi centrali (CVC) colonizzati mediante l’associazione di terapia antibiotica sistemica e lock-therapy.
L’etanolo al 70% è risultato un efficace battericida anche
in presenza di biofilm. Scopo dello studio: tra gennaio
2012 e agosto 2013, al San Matteo di Pavia è stato effettuato un trial multicentrico randomizzato che ha comparato l’efficacia della lock-therapy con etanolo 70%
rispetto ad antibiotico nel trattamento di infezioni CVC
correlate (CRBSI) in pazienti portatori di device a permanenza.
MATERIALI E METODI: Criteri di inclusione:
diagnosi di CRBSI (emocolture da CVC e da vena
periferica positive, 1 positività per patogeni, 2 positività per contaminanti cutanei, DTTP >2h); necessità di
salvare il CVC. Endpoint primario: numero di CVC
ritenuti a 7 giorni.
RISULTATI: Tra i pazienti sono stati randomizzati
13 bambini oncologici, (11 Broviac, 1 Port, 1
Groshong), età 3-18 anni, media di leucociti 190 mmc;
9 sul braccio etanolo e 4 su antibiotico. 10/13 emocolture erano positive per Gram negativi (1 K. pneumoniae ESBL,1 K. Pneumoniae, 1 KPC, 1 E. coli ESBL,1
Ps. aeruginosa, 3 E. coli, 1 Chryseobacterium indologenes, 1 E. faecalis, 2 S. epidermidis MR, 1 S. aureus).
Media di lock-therapy 12h (range 8-24h). Il CVC è
stato rimosso in 3/9 casi nel gruppo etanolo (2 per fine
trattamento, 1 per febbre persistente, tutti con culture
della punta negativa) e in 2/4 nel gruppo antibiotico (1
per febbre e 1 per fine trattamento con punta negativa). Nessun effetto collaterale né occlusioni del CVC
riportati nel gruppo etanolo. Abbiamo quindi proseguito con l’utilizzo dell’etanolo 70% in casi sospetti di
CRBSI. 20 pazienti sono stati trattati fino ad oggi, 9
CRBSI e 11 CLABSI. 4 CVC rimossi, (2 in elezione,
2 per febbre persistente), tutti con punta negativa: 1
Stenotrophomomas Maltophila, 1 S. epidermidis MR,
2 K.pneumoniae; nessun evento avverso è stato
riscontrato, nessuna infezione ricorrente.
CONCLUSIONI: L’etanolo è efficace, economico,
pronto all’uso e sicuro, anche nel bambino immunodepresso. Per l’ampio spettro d’azione e la capacità di penetrare il biofilm è ideale nel trattamento empirico.
L’incidenza di CRBSI è spesso soprastimata in assenza
di emocoltura da vena periferica.
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
P094
P095
VALUTAZIONE METANALITICA DEL RISCHIO DI
SVILUPPARE LA SINDROME METABOLICA DOPO
TERAPIE ONCOLOGICHE IN ETÀ PEDIATRICA
R.M. Chiuri1, A. Cocciolo2, I. Vasta2, N. Corciulo3,
F. Chiarelli1
1Clinica Pediatrica, Università G. d’Annunzio, Chieti;
2UO Oncoematologia Pediatrica PO Vito Fazzi, Lecce;
3UO Pediatria, PO S. Cuore di Gesù, Gallipoli (LE),
Italy
LINFANGIOMATOSI DIFFUSA CON
INTERESSAMENTO GENITALE E OSSEO IN
BAMBINO CON RARA VARIANTE b GLOBINICA
FORT DODGE E DEFICIT DEL FATTORE V
COAGULANTE
A. Petrone1, F. Tilotta2, G. Bisogno3, M. Ferrari4,
C. Luzzatto5, G. Cecchetto5, T. Toffolutti6, M.C. Putti3,
M. Pillon3
1UO Pediatria; 2UO Radiologia, Ospedale S. Maria del
Carmine, APSS Trento, Rovereto (TN); 3Clinica di
Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera
Universitaria di Padova; 4UO Radiologia, Ospedale S.
Chiara, APSS Trento, Trento, 5UO Chirurgia
Pediatrica; 6UO Radiologia Pediatrica, Azienda
Ospedaliera Universitaria di Padova, Italy
Il tasso di sopravvivenza per le patologie neoplastiche in età pediatrica è incrementato nel corso degli
ultimi decenni e parallelamente è aumentato l’osservazione di eventi avversi tardivi. Tra questi la sindrome
metabolica assume un importanza fondamentale perché associata ad incremento del rischio cardio-vascolare. Riportiamo i risultati di revisione metanalitica
della letteratura allo scopo di valutare il rischio di sviluppare sindrome metabolica nei pazienti sopravvissuti a cancro in età pediatrica. Sono stati valutati 47 articoli selezionati dalla letteratura attraverso il motore di
ricerca PubMed usando le seguenti parole chiave:
‘cancer survivor’, ‘childhood’, ‘metabolic syndromè.
Sono stati selezionati 23 studi dai quali risulta che la
prevalenza della sindrome metabolica nei sopravvissuti ad un tumore in età pediatrica è pari al 14,4%. La
valutazione metanalitica di 7 studi caso-controllo, per
un totale di 13255 partecipanti (9169 sopravvissuti a
vari tipi di tumore e 4086 controlli) ha consentito di
stabilire che i sopravvissuti al cancro presentano un
maggior rischio di sviluppare sindrome metabolica
rispetto ai controlli sani (OR=1,305; 95% CI 1,0161,676; I2=31,47%). Sono stati inoltre selezionati undici studi, per un totale di 3553 pazienti, per valutare il
rischio in relazione alle modalità di trattamento ricevuto (7 studi cross-sectional, 2 studi caso-controllo, 2
studi osservazionali di coorte). La metanalisi per gruppi di trattamento ha documentato un significativo
maggior rischio di sviluppare sindrome metabolica nei
pazienti sottoposti a trattamento multimodale (chemioterapia+radioterapia) rispetto a coloro che avevano ricevuto solo chemioterapia (OR=2,110 95% CI
1,77-2,50 I2=17,1%). In conclusione i sopravvissuti al
cancro in età pediatrica presentano un maggior rischio
di sindrome metabolica rispetto alla popolazione sana
e tale dato si correla ad un maggior rischio di sviluppo
di complicanze cardiovascolari. Strategie di sorveglianza e prevenzione dovrebbero essere incoraggiate
per migliorare la qualità e l’aspettativa di vita in questi
pazienti. Tuttavia il numero ridotto di studi caso-controllo ed i differenti criteri di definizione di sindrome
metabolica utilizzati nel tempo, limita la possibilità di
eseguire analisi per sottogruppi di età, trattamento e
tipo di patologia. Studi prospettici potranno confermare e meglio definire tale associazione.
Maschio, 5aa, viene a visita ematologica in Maggio
2010 per lieve piastrinopenia e lieve microcitosi: GR
6000000/mmc, Hgb 13.6g/dl, MCV 70, MCH 22,
MCHC 32.2, RDW 16.8, Piastrine 120000/mmc.
Anamnesi: rare epistassi, madre con facilità ad ecchimosi post-traumatiche. Alla visita riscontro casuale di
massa scrotale sinistra dura indolente. Negati traumi.
Eco+RMN testicoli e scroto: aumento volumetrico del
testicolo sn con struttura disomogenea, non formazioni
espansive né aree di anomala impregnazione di mdc.
Aumento di volume dell’epididimo e del funicolo omolaterale con modica omogenea impregnazione di mdc,
non formazioni espansive. Markers tumorali negativi.
PT e PTT lievemente allungati, lieve ipofibrinogenemia, D-Dimero elevato. Biopsia: tessuto riccamente
vascolarizzato e con dissociazione ematica, esclusa
neoplasia. Nei mesi successivi: progressivo calo di piastrine e fibrinogeno, aumento del D-Dimero, persistenza della massa scrotale. All’ecografia comparsa in sede
inguino-pelvica, contiguo con la massa scrotale, di tessuto disomogeneo a contenuto prevalentemente liquido
con deboli segnali di flusso. RMN pelvi+addome: milza
ingrandita disomogenea con multiple piccole areole
nodulari, diffuso ispessimento dei tessuti in sede
paraortica, peri-iliaca, peripancreatica, pararenale, con
scarsissima impregnazione dopo mdc. Diagnosi RMN:
linfangiomatosi diffusa. Concomitante diagnosi di deficit del fattore V (nel bambino e nella madre); riscontrata
inoltre rara variante b-globinica: Fort-Dodge (responsabile di microcitosi). I genitori hanno rifiutato le terapie
inizialmente proposte (bevacizumab; propanololo).
All’ultimo follow-up (2014): Eco+RMN: progressiva
estensione del tessuto linfangiomatoso nella cavità
addominale e lungo i vasi iliaci e para-aortici, infiltrante omento, mesentere, milza, pleure, pericardio, avvolgente i grossi vasi mediastinici; interessamento anche
dei corpi vertebrali D11-L4, degli archi costali D10-L4,
della testa del femore sinistro. Coagulopatia da consumo: Piastrine 50-60000/mmc, fibrinogeno 80mg/dl, DDimero>11000 ng/ml. Dosaggio di VEGF nella norma.
Ricorrente dolenzia al rachide; evidente reticolo venoso
ectasico in sede dorso-lombare.
CONCLUSIONI: La linfangiomatosi diffusa è rara,
può interessare l’osso (malattia di Gorham Stout), è
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Poster
potenzialmente letale se progressiva. Nuovi tentativi
terapeutici con bevacizumab, propanololo, sirolimus,
sono stati recentemente riportati in letteratura per casi
isolati con compromissione delle funzioni vitali.
Abbiamo riportato qui un caso con interessamento genitale, sinora non descritto in età pediatrica, associato a
due condizioni genetiche rare (deficit di fattore V e
variante b-globinica Fort Dodge)
P096
IMPLEMENTAZIONE DELLA TECNICA
RADIOTERAPICA CON PROTONI NEI TUMORI
PEDIATRICI PRESSO IL NUOVO CENTRO DI
PROTONTERAPIA A TRENTO
B. Rombi1, S. Vennarini1, L. Meneghello2,
C. Bonazza2, A. Di Palma2, M. Amichetti1
1UO di Protonterapia, 2UO di Pediatria, Ospedale S.
Chiara, Trento, Italy
INTRODUZIONE: La radioterapia con protoni
garantisce un migliore risparmio dei tessuti sani irradiati, una migliore compliance al trattamento e una potenziale riduzione delle tossicità tardive, a parità di copertura del volume tumorale.
METODI E RISULTATI: In Ottobre 2014 il centro
di Protonterapia (CPT) di Trento ha iniziato la sua attività clinica sui pazienti adulti erogando protoni secondo
la tecnica scanning. Il CPT è costituito da 2 stanze di
trattamento, una stanza di ricerca con 2 linee orizzontali
del fascio, un’area diagnostica con una CT e una MRI a
1.5 Tesla e un’area di anestesia. Ciascuna camera è provista di un gantry che permette una rotazione a 360ª del
fascio, un tavolo di trattamento robotizzato a 6 gradi di
libertà, due dispositivi X-ray ortogonali; inoltre una
stanza è attrezzata con una CT on rails mentre l’altra
verrà integrata con una cone beam CT. Il ciclotrone fornisce un’energia del fascio variabile (70-226 MeV all’isocentro) e di dimensioni di spot variabili(œÉ 3-7mm in
aria all’isocentro). A causa della maggiore complessità
della gestione del paziente pediatrico, è in programma
di iniziare il trattamento con protoni sui bambini dopo
circa 6 mesi dal primo paziente adulto. Nel frattempo,
sono pervenute 25 richieste di valutazione (21 nazionali
and 4 internazionali) da colleghi, genitori e parenti.
L’età media è di 9 anni (intervallo, 1-20) con la seguente istologia: rabdomiosarcoma (2), medulloblastoma
(4), glioma diffuso intrinseco del ponte (2), meningioma (2), tumore neuroectodermico primitivo (3), carcinoma del plesso coroideo (1), Ewing sarcoma (3), glioma a basso grado (3), cordoma (1), tumore teratoide
rabdoide atipico (1), germinoma (2), osteosarcoma (1),
schwannoma maligno (1). 19 pazienti sono stati valutati
eleggibili al trattamento radiante con protoni sebbene
per alcuni si è resa necessaria rivalutazione/inquadramento da parte dei colleghi neurochirurghi/ oncologi.
Sei pazienti sono stati rifiutati perché già trattati con
radioterapia ad alte dosi o per progressione metastatica.
CONCLUSIONI: Presso il CPT di Trento, ci aspettiamo di iniziare a breve a trattare i primi pazienti
pediatrici e poter così contribuire ad arricchire la lette-
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ratura sull’effettiva efficacia e sicurezza dei protoni ed
incrementare i dati clinici ad oggi disponibili.
P097
PROGETTO PILOTA PER LA COSTITUZIONE DI
UNA RETE DI RIABILITAZIONE ALL’INTERNO
DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EMATOLOGIA
ONCOLOGIA PEDIATRICA
F. Rossi, M. Coppo, G. Zucchetti, F. Ricci, F. Fagioli
Università degli Studi di Torino, Torino, Italy
BACKGROUND: Sempre maggiore consenso
conferma l’efficacia della collaborazione tra professionisti sanitari nella cura di patologie complesse,
all’interno di reti estese sul territorio nazionale ed
internazionale, per arrivare a definire linee di intervento condivise. La rete oncologica di Piemonte e
Valle d’Aosta ha avviato il progetto “La riabilitazione
per i malati di cancro” seguito dalla pubblicazione del
documento SIMFER “La riabilitazione del paziente
con disabilità da patologia oncologica”, entrambe
rivolti all’età adulta. Nel 2006 il “Libro Bianco sulla
riabilitazione oncologica” ha unito professionisti di
diversi Centri dedicando un capitolo anche all’età
pediatrica. Attualmente non esistono contatti tra i
Terapisti della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva (TNPE) e i Fisioterapisti (FT) che si occupano della
riabilitazione dei bambini/adolescenti affetti da patologia oncoematologica presso i vari Centri AIEOP.
OBIETTIVI: Costituire una rete di riabilitazione
all’interno dell’AIEOP per analizzare le realtà dei vari
Centri e definire linee di intervento condivise per la riabilitazione del bambino/adolescente affetto da patologia
oncoematologica.
MATERIALI E METODI: Creazione di un questionario informatico inerente le modalità di gestione della
presa in carico riabilitativa e successivo invio ai TNPE
e FT dei 55 Centri AIEOP.
RISULTATI: Dati preliminari al 15 marzo 2015.
Sono stati contattati 34 Centri, ai 27 che hanno dichiarato di occuparsi del trattamento riabilitativo della
popolazione di interesse è stato inviato il questionario,
ottenendo la compilazione di 7 questionari. 3/7 Centri
effettuano la presa in carico riabilitativa di 20-40 soggetti/anno sottoposti a trattamenti antineoplastici, 1/7
ne segue tra 10-20 e nei restanti 3/7 la numerosità è
inferiore ai 10 soggetti/anno. Tutti i Centri hanno un
CTCS, 4/7 seguono 10-20 soggetti/anno sottoposti a
TCSE, 1/7 ne segue <10/anno e i rimanenti 2/7 ne trattano <5. Le problematiche riabilitative più frequenti
sono: ipostenia, deficit motori di origine centrale/periferica e problematiche respiratorie. Tutti i TNPE e FT
hanno reputato utile la creazione della rete ipotizzata.
Entro Maggio 2015 sarà possibile rendicontare i risultati ottenuti dall’indagine complessiva.
CONCLUSIONI: I dati preliminari consentono di
analizzare le caratteristiche della modalità di presa in
carico riabilitativa presso i vari Centri AIEOP e confermano l’interesse dei professionisti a confrontarsi per
definire strumenti d’intervento condivisi.
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
P098
I RAGAZZI, CON I RAGAZZI, PER I RAGAZZI:
PSICOCREATIVITÀ
R. Vecchi, S. Paoletti, A. Longo, S. Brancaleoni
Associazione A.G.M.E.N. F.V.G., Trieste, Italy
L’adolescenza è una fase delicata e complessa della
vita. Lo diventa ancor di più se, durante questo processo
di crescita, si manifesta una malattia, in particolare quella
neoplastica: oltre a dovere far fronte alle difficoltà intrapsichiche e di relazione proprie dell’adolescenza, i giovani si ritrovano a gestire con la patologia un evento traumatico che può minare la costruzione della loro identità. Di
qui la necessità di un sostegno psico-sociale complementare alle terapie, che rinforzi la loro autostima e stimoli
con adeguate strategie di coping la loro capacità reattiva.
E’ con queste finalità che l’A.G.M.E.N F.V.G ha dato inizio, nel mese di settembre 2014, ad una nuova iniziativa
rivolta ai giovani in fase di terapia e fuori terapia: il laboratorio esperienziale. Si tratta di uno spazio creativo per
adolescenti che vogliono conoscersi, discutere e divertirsi, potenziando al tempo stesso, grazie all’aiuto di una psicologa, le proprie strategie mentali e comportamentali.
Sono già attivi i gruppi di Trieste, Udine e Pordenone
composti da ragazze e ragazzi di età compresa tra i 12 e i
20 anni che si incontrano a cadenza mensile. Tutte le attività si basano sull’approccio teorico della Psicoterapia
della Gestalt utilizzazando tecniche ludico-espressive
calibrate in base all’identità e ai bisogni di ciascun gruppo. Attualmente siamo in fase sperimentale(un anno). Gli
obiettivi raggiunti fin’ora sono: il raggiungimento di una
maggiore capacità di esprimere le proprie emozioni e pensieri all’interno del gruppo; un maggiore ascolto e sensibilità verso gli altri componenti del gruppo; una maggiore
fantasia e creatività nella scrittura, disegno ed espressione
corporea.
P099
PAUSILIPON SUMMER VILLAGE: TRA MALATTIA
E VOGLIA DI VIVERE
A. Pinto, M. Palumbo, L. Ricciardi, A. Musto,
E. Procino, S. Cesare, F. Petruzziello
Dipartimento di Oncologia, Ospedale Pausilipon,
AORN Santobono-Pausilipon-Annunziata, Napoli, Italy
L’ospedalizzazione per un giovane paziente è quasi
sempre vissuta -specie quando avviene in un Centro di
Alta Specializzazione, come una drastica interruzione dei
rapporti con i familiari e con la vita sociale. Ciò è ancor
più vero se il ricovero coincide con il periodo delle vacanze estive, dove il resto del mondo, degli amici e dei compagni di scuola si allontanano per vivere la gioia di
momenti felici, di gioco e di spensieratezza. E’ così che
nella fantasia di chi si ammala può accadere che la distanza tra benessere e malattia si amplifichi al punto da aggravare il senso di penoso isolamento e di dolorosa esclusione dal mondo dei pari. Da queste riflessioni nasce il progetto “Summer Village” ideato da un gruppo di adolescenti sostenuto dai genitori della “C. Gallo” e trasforma-
to poi in un programma variegato di attività laboratori dal
Servizio Psicologico Dipartimentale. Le attività che
hanno previsto accanto alla presenza di 5 psicologi dedicati, 5 “esperti della disciplina” hanno mirato ad offrire
accanto a spazi ludico/espressivi, spazi aperti alla comunicazione a allo scambio. Le attività che hanno avuto una
cadenza settimanale, sono state: Yoga della risata, AIKIDO; Laboratorio teatrale e cineforum; Laboratorio di
pasta di sale e di zuccchero(cake design). Il progetto con
durata 15 /07- 15/09 ha visto la partecipazione di 72
pazienti, il 59% provenienti dall’ematologia, il 27%
dall’oncologia, il 14% dal DH; l’età compresa è stata tra
gli 8/ 13 anni, gli accessi 258 accessi. Tra i pazienti seguiti
vi sono stati anche pz allettati, seguiti individualmente
con l’aiuto dei volontari. Le attività proposte hanno visto,
inaspettatamente la partecipazione di 65 genitori, che
hanno reso necessario attivare laboratori ad hoc in aree
attigue ma separate. I benefici evidenziati: 1. Ridursi del
rischio d’isolamento con aumento della socializzazione
tra i ragazzi. 2. Ridursi delle tensioni e del miglior equilibrio sonno-veglia. 3. Recupero delle parti sane nella relazione. 4. Ottimizzazione dell’impiego del personale psicologico attraverso borse di studio a progetto.
P100
SCUGNIZZO CLUB: ORGANIZZAZIONE DELLE
ATTIVITÀ PER BAMBINI CON FINALITÀ
PSICOLOGICHE IN UN DH ONCOLOGICO
L. Morieri, S. Nappi, N. Imparato, S. Cesare,
F. Petruzziello, A. Pinto
Dipartimento di Oncologia, Ospedale Pausilipon,
AORN Santobono-Pausilipon-Annunziata, Napoli, Italy
Gli Psicologi del Servizio del Dipartimento di
Onco-ematologia dell’Ospedale Pausilipon già dal
2000 hanno investito i propri sforzi in un progetto
multi-sviluppo che nel rilanciare quello spirito innato
nei ragazzi, capaci di “rompere gli schemi della malattia” con soluzioni creative e imprevedibili, li preservasse dai rischi di crollo che la malattia può determinare.
Da questo presupposto teorico nasce lo Scugnizzo
CLUB, sito nel Day-Hospital Oncologico, coadiuvato
dal servizio psicologico (giorni e orari diversi) per
rispondere ai bisogni dei pazienti di varie fasce d’età,
organizzato secondo il seguente schema: attività laboratoriali ludico/espressive, seguito da 2 psicologi e diversi
volontari, teso ad offrire anche ai più piccini l’occasione per esprimere vissuti e tensioni, come il laboratorio
delle fiabe (Gerli, F 2014) o attraverso attività creative
organizzate per aree tematiche, tese al recupero delle
risorse personali; esperienze psico-corporee come
l’AIKIDO o la Biodanza, condotte da esperti della
materia e psicologi dedicati, al fine di favorire l’acquisizione di tecniche utili a ridurre lo stress e al recupero
delle proprie energie interiori. Gruppo adolescenti
(13/17 anni) denominato dagli stessi ragazzi come
“Scugnizzo Reloaded”, condotto da uno psicologo
esperto delle dinamiche di gruppo e conoscitore del linguaggio attuale dei ragazzi. Il gruppo, fatto di nuovi e
vecchi pazienti ampliatosi ad altre patologie oltre le LH
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Poster
(Morieri, L 2012) è oramai così articolato: incontri di
gruppo, semi- strutturato della durata di due ore; incontri on-line (pagina facebook) settimanali (Morieri
L.,2014); incontri redazionali per l’organizzazione di
articoli per il Globemon News; eventi interni con gli
idoli del momento. L’inserimento costante degli psicologi nello “Scugnizzo Club” in un contesto quale il DH
in cui nel solo 2013 vi sono state 6000 visite in tutto
l’anno, ha dimostrato che in tal modo: è aumentato il
numero di richieste d’intervento psicologico da parte
dei genitori, che utilizzano questo spazio come spunto
per confronti su temi educativi inerenti la relazione con
il bambino, sono aumentati gli invii all’ambulatorio psicologico per approfondimenti, è aumentata la richiesta
di formazione e di collaborazione da parte delle associazioni di volontariato.
P101
IL CATETERE VENOSO CENTRALE TIPO
GROSHONG: ESPERIENZA MONOCENTRICA
A. Di Nicolò1, E. Cannata1, P. Samperi1, M. Papale1,
V. Fatuzzo1, A. Pezzulla1, C. Bosco1, L. Miano2,
L. Scordo3, R. Scalisi3, F. Bellia1, S. D’Amico1,
V. Miraglia1, M. La Spina1, A. Di Cataldo1, G. Russo1,
L. Lo Nigro1
1Centro di Riferimento Regionale di Ematologia ed
Oncologia Pediatrica; 2UOC Chirurgia Pediatrica;
3UOC Rianimazione ed Anestesia Azienda Policlinico,
OVE, Catania, Italy
BACKGROUND: Il Catetere venoso centrale (CVC)
è un presidio indispensabile per la cura dei pazienti affetti
da Leucemia acuta. Il Centro di Catania dal 2000 ha deciso di utilizzare i CVC tunnellizzati, tipo Groshong, che
richiedono una manutenzione senza eparina e quindi
meno frequente. Abbiamo valutato retrospettivamente la
nostra esperienza, in termini di sicurezza (infezioni exitsite e trombosi) e durata (giorni permanenza).
MATERIALI E METODI: Abbiamo analizzato i casi
di Leucemia linfoblastica acuta (LLA) e mieloide acuta
(LMA) diagnosticati e trattati presso il Centro dal
Gennaio 2000 al Dicembre 2014. Riportiamo i casi per i
quali siamo riusciti ad ottenere tutti i dati richiesti.
RISULTATI: Abbiamo studiato 161 casi (LLA 144;
LAM 17), recuperando i dati di 193 CVC. I maschi erano
83. Età mediana alla diagnosi 5 anni. E’ stata scelta prevalentemente (110 casi) la giugulare esterna destra. Il
periodo mediano di permanenza è stato di 313 giorni. Tra
le complicanze precoci (entro 96 ore dall’intervento)
abbiamo riscontrato mal-posizionamento (3 casi) e infezioni (3). Tra le complicanze tardive (>96 ore) abbiamo
riscontrato 84 infezioni exit-site (43%), 12 dislocazioni
accidentali (6%), 2 trombosi venose profonde (1%). Il
batterio più frequentemente identificato è stato lo
Stafilococco Epidermidis (48% delle infezioni); sono stati
individuati Pseudomonas (8%), Klebsiella (6%),
Corynebacterium (6%), Stafilococco Aureus (5%),
Candida Parapsylosis e Stenotrophomonas Maltophila
(1%). Le infezioni che hanno indotto una rimozione del
CVC sono state 19 (10%). In 15 pazienti (9%) sono state
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riscontrate più infezioni per lo stesso CVC; mentre in 2
casi la rimozione si è resa necessaria per la presenza di coinfezioni resistenti al trattamento antibiotico specifico. In
31 casi (19%), età mediana 2,6 anni, il CVC è stato riposizionato per malposizionamento (1), dislocazione (10) e
infezione (21), con un periodo mediano di permanenza di
118 giorni; in tre casi è stato posizionato un terzo CVC.
CONCLUSIONI: La nostra esperienza sull’uso del
Groshong è complessivamente positiva. Abbiamo identificato un gruppo più a rischio costituito da bambini di età
inferiore ai 3 anni, che, in periodi di profonda neutropenia
(induzione o post-blocchi), hanno avuto bisogno del riposizionamento del CVC per problemi prevalentemente
infettivi.
P102
STRESS GENITORIALE NELLA RELAZIONE CON
IL PAZIENTE PEDIATRICO AFFETTO DA
PATOLOGIA EMATOLOGICA CRONICA
A. Ribilotta, E. Facchini, E. Cantarini, D. Scarponi
UO Pediatria, Azienda Ospedaliero Universitaria,
Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna, Italy
OBIETTIVI: La drepanocitosi e la piastrinopenia cronica autoimmune sono malattie ematologiche croniche
dell’età pediatrica, che si associano a problematiche
cognitive ed emotive dei pazienti; le ripercussioni emotive nei caregivers di riferimento sono spesso associate al
basso status socio-economico della famiglia. L’obiettivo
dello studio è quello di valutare il livello di stress percepito dai genitori dei bambini affetti da patologie ematologiche croniche che afferiscono alla nostra Unità
Operativa.
METODI: Il campione è composto da 18 genitori di
pazienti pediatrici, 10 madri e 8 padri, contattati durante
le visite mediche periodiche, nel periodo di osservazione
dicembre-marzo 2015. Ai genitori è stato proposto e somministrato il questionario Parenting Stress Index Forma
Breve, adatto a quantificare lo stress vissuto nella relazione col proprio bambino malato. Le variabili prese in considerazione per l’analisi dei dati sono: “Stress totale”,
“Distress genitoriale”, “Interazione genitore-bambino
disfunzionale”, “Bambino difficile”, e “Risposta difensiva”. Successivamente si è provveduto ad effettuare un’analisi descrittiva dei dati.
RISULTATI: Dall’analisi dei dati si rileva che nel
22% degli intervistati è presente una sofferenza complessiva identificata come “Stress totale” (con
“Risposta difensiva” pari all’11%); il “Distress genitoriale”, variabile legata all’alterato senso di competenza genitoriale e al supporto sociale, è presente nel 6%;
il 28% dei genitori colloca il paziente nella categoria
“Bambino difficile”, per le caratteristiche fondamentali di comportamento; il 22% del campione definisce la
“Interazione genitore-bambino disfunzionale”, focalizzata sul fatto che il genitore percepisce il figlio
come non rispondente alle proprie aspettative.
CONCLUSIONI: I dati raccolti, seppure limitati
numericamente, in via preliminare, forniscono utili indicazioni del pattern di comportamento genitore-bambino
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
affetto da patologia ematologica cronica. Il Parenting
Stress Index Forma Breve appare idoneo ad individuare le
variabili dello stress genitoriale che normalmente viene
riferito durante l’indagine clinica e che è capace di influire
sull’andamento della storia familiare di malattia. Le indicazioni fornite dal questionario potrebbero, se confermate
nella prosecuzione dello studio, contribuire al trattamento
multidisciplinare della patologia pediatrica cronica.
P103
SINTOMI DEPRESSIVI E INTERVENTI
PSICO-ONCOLOGICI IN PAZIENTI GIOVANI
ADULTI
V. Lo Re, E. Marconi, D. Scarponi
Unità Operativa Pediatria Pession, Azienda
Ospedaliero Universitaria, Policlinico S. OrsolaMalpighi, Bologna, Italy
OBIETTIVI: I giovani adulti con diagnosi di cancro
richiedono un’alta complessità assistenziale. I centri della
rete nazionale AIEOP affermano che gli interventi psicologici contribuiscono a contenere, anche in questa fascia
d’età, diversi quadri di sofferenza emotiva: agitazione,
ansia, disturbo post-traumatico da stress, disturbi dell’adattamento, depressione. Rispetto a quest’ultima, dati
recenti concordano nel definire intorno al 17-25%, la
popolazione di giovani pazienti oncologici che ne è afflitta, mentre appare di controversa interpretazione l’identificazione dei diversi interventi che contribuiscono a controllarla. L’abitudine al trattamento integrato: interventi
psicologici (di supporto e psicoterapia), interventi medici
(psicofarmacologia) e quelli più generali (accoglienza,
comunicazione in equipe, accompagnamento multidisciplinare alla morte), risulta, ad ogni modo, di particolare
efficacia. Obiettivo del presente lavoro è valutare la prevalenza di sintomi depressivi, della categoria “Disturbo
Depressivo dovuto a un’altra condizione Medica” del
DSM-V, in un campione di giovani pazienti oncologici
afferenti alla nostra Unità Operativa.
METODI: Sono stati reclutati 36 pazienti giovani
adulti in trattamento (16 di genere femminile e 20 di
genere maschile; età media alla valutazione: 17 anni e 8
mesi, durata media di malattia: 3 anni e 9 mesi), affetti
da diverse patologie oncologiche, inseriti nel percorso
di accompagnamento e sostegno psicologico, come da
procedura. Il campione è stato valutato con uno strumento diagnostico per i sintomi depressivi, adeguato
all’età: Children’s Depression Inventory (8-17 anni) e
Symptom Questionnaire (>17 anni).
RISULTATI: Il 28% del campione mostra una sintomatologia depressiva, distribuita prevalentemente nel
genere femminile (70%), che raramente appare isolata;
essa correla infatti con altre forme di sofferenza psicopatologica, quali ansia e sintomi somatici, più raramente psicosi. All’8% del campione è stata fatta una prescrizione
psicofarmacologica. Non sono emerse correlazioni statisticamente significative tra la depressione e la durata di
malattia e tra la depressione e il tipo di patologia.
CONCLUSIONI: Il campione di giovani adulti studiato esprime una patologia depressiva, psicometricamen-
te indagata, in misura del 28%, con prevalenza di genere
femminile. Tale valore, di dimensione contenuta rispetto
alla gravità della patologia e alla severità della prognosi,
risente della buona qualità delle cure erogate dal centro,
con particolare riferimento agli interventi psicoterapeutici
e psicofarmacologici integrati.
P104
IL SUPPORTO PSICOLOGICO AGLI ADOLESCENTI
CON MALATTIA ONCOLOGICA: ESPERIENZA DEL
CENTRO DI CATANIA
S. Italia, C. Favara Scacco, A. Di Cataldo,
M. La Spina, L. Lo Nigro, G. Russo
Centro di Riferimento Regionale di Ematologia ed
Oncologia Pediatrica, Azienda Policlinico, OVE,
Università di Catania, Catania, Italy
INTRODUZIONE: L’adolescenza rappresenta un
momento critico caratterizzato dal raggiungimento dell’indipendenza individuale. Ricopre un periodo lungo,
diverso per ogni individuo, ma in generale si considera
dai 13 ai 19 anni. Con la malattia oncologica ciò che era
ovvio non esiste più e si sperimentano incertezza, paura,
angoscia di morte, regressione. Il supporto psicologico
diventa fondamentale per ridurre il senso di sfiducia e
d’impotenza, per integrare il presente della malattia con il
passato e poter pensare al futuro.
MATERIALI E METODI: Presso il Centro di
Riferimento Regionale di Emato-Oncologia Pediatrica di
Catania dal 2010 al 2012 sono stati studiati 22 adolescenti
con le seguenti diagnosi: 6 LLA, 2 LMA e 14 tumori solidi. L’assistenza psicologica è stata assicurata durante tutto
l’iter terapeutico (fase diagnostica-comunicazione di diagnosi-trattamento-eventuale trapianto-fine terapia-fase
terminale). Nello specifico, l’assistenza è stata fornita
attraverso tecniche di psicoterapia espressiva (Art
Therapy) che, con l’utilizzo dei materiali artistici, diventa
un elemento trasformativo per la realtà traumatica della
malattia, e con le tecniche di immaginazione guidata e
attraverso colloqui per permettere ai ragazzi di esprimere
anche a parole il loro disagio. Durante i colloqui è stato
chiesto un feedback sul percorso psicologico effettuato.
RISULTATI: Dai colloqui clinici eseguiti durante l’iter terapeutico ed allo stop terapia, tutti gli adolescenti
sostenuti attraverso la psicoterapia espressiva hanno riferito sensazioni di benessere. Quattordici di essi hanno
riferito diminuzione di alcuni effetti collaterali come nausea ed emicrania attraverso l’utilizzo dell’immaginazione
guidata, e gli 8 pazienti con leucemia diminuzione dell’ansia nell’affrontare le procedure dolorose. Solo in due
casi è stato rifiutato dai ragazzi l’intervento psicologico
sin dal momento dell’accoglienza.
CONCLUSIONI: La psicoterapia espressiva si
mostra un valido strumento per aiutare gli adolescenti a
superare le naturali barriere che, al momento della diagnosi oncologica, mettono tra loro e ciò che li circonda,
per rabbia, paura e per proteggere chi sta loro vicino.
Essa rende possibile l’espressione di paure e ansie reali
come l’elaborazione ed integrazione dell’esperienza di
malattia.
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Poster
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XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
MEDICI - Dati per letti
D001
TECNICA DI POSIZIONAMENTO DI CATETERI
VENOSI CENTRALI AD INSERZIONE PERIFERICA
IN PAZIENTI PEDIATRICI AFFETTI DA MALATTIE
ONCOEMATOLOGICHE SOTTOPOSTI A
CHEMIOTERAPIA E A TRAPIANTO DI CELLULE
STAMINALI EMOPOIETICHE
S. Benvenuti1, R. Ceresoli2, F. Porta2, D. Alberti1
1Clinica Chirurgica Pediatrica dell’Università degli
Studi di Brescia;Oncoematologia Pediatrica e CTMO,
Università degli Studi di Brescia, AO Spedali Civili di
Brescia, Italy
INTRODUZIONE: Gli autori presentano la tecnica
di posizionamento Percutaneo di Cateteri Venosi Centrali
(PICC) e Midline, con puntura ecoguidata della vena
Basilica del braccio, in pazienti pediatrici affetti da
malattie oncoematologiche candidati a chemioterapia e a
trapianto di cellule staminali emopoietiche.
TECNICA: La procedura viene eseguita in una
medicazione o in sala opertaoria in caso sia necessaria
la sedazione. Confezionato campo sterile, mediante
puntura eco guidata della vena Basilica al III medio del
braccio con Venflon 24G con metodica di Seldinger si
presenta il posizionamento di CVC PICC valvolato
Groshong 3 e 4 Fr. Controllo della posizione dell’estremità in vena Cava superiore all’imbocco dell’atrio
destro con Rx amplificatore di brillanza. Si presenta
inoltre la tunnellizzazione alla faccia laterale del braccio secondo tecnica da noi ideata per distanziare il
punto di emergenza cutanea dal punto di entrata nella
vena a scopo profilattico. Fissazione alla cute con sistema sutureless.
CONCLUSIONI: Nella nostra esperienza il posizionamento rapido e sicuro di un catetere venoso centrale ad inserzione periferica è stato raggiunto in
pazienti pediatrici di età compresa tra i 5 e i 18 anni con
soddisfazione del paziente, dei familiari e del personale.
Il posizionamento di questo device può essere eseguito
bed-side non richiedendo necessariamente una sedazione e quindi una sala operatoria. Può essere impiantato
anche anestesia locale da personale infermieristico adeguatamente formato in quanto l’inserzione periferica
evita i rischi della puntura di vena centrale al collo. La
rimozione del PICC è manovra assolutamente priva di
dolore eseguibile ambulatorialmente. Queste caratteristiche riducono i costi della linea venosa centrale. Nella
nostra esperienza l’utilizzo di PICC di nuova generazione nel bambino affetto da malattie oncoematologiche,
purchè impiantati sotto guida ecografica, si è rivelato
agevole, sicuro e ben tollerato senza significative complicazioni correlate all’inserzione e alla gestione. Il
device si è presentato versatile ed economico anche per
l’uso prolungato nel paziente oncoematologico pediatrico anche sottoposto a TCSE. Si sottolinea la necessità
di un equipe medico-infermieristica adeguatamente formata e aggiornata per l’impianto e per la gestione quotidiana del device.
D002
INDAGINE SULLE EMOZIONI MATERNE IN
ONCOEMATOLOGIA PEDIATRICA
A. Tornesello, L. Palma, L. Valletta, M. Ingrosso
UOC Oncoematologia Pediatrica, Polo Oncologico “G.
Paolo II”, PO “V. Fazzi”, Lecce, Italy
PREMESSA: Il presente lavoro ha lo scopo di
esplorare le sensazioni e l’eventuale presenza di disturbi emotivi nelle madri di bambini afferenti al reparto di
oncoematologia pediatrica dell’UOC dell’Ospedale di
Lecce. Il campione è composto da un gruppo di n 30
soggetti.
MATERIALI E METODI: E’ stata effettuata la raccolta di alcuni dati anagrafici mediante scheda anamnestica. Il test utilizzato è la Symptom Checklist-90 (SCL90, Derogatis, 1983) composto da 90 item, che valuta la
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Dati per letti
presenza e la gravità di sintomi di disagio psichico in
diversi domini sintomatologici. Il test valuta i disturbi
eventualmente provati nel corso dell’ultimo periodo e il
soggetto fornisce una valutazione da 0 (per niente) a 5
(molto grave) su Scala Likert. I risultati individuano
dimensioni sintomatologiche di diverso significato, per
ognuna di esse il punteggio relativo è calcolato come
medie delle domande con risposta. In generale, si considerano di interesse clinico i punteggi medi uguali o
maggiori a 1.00 Al fine di osservare come le dinamiche
possano evolversi, e le eventuali aree psicopatologiche
svilupparsi, sono stati esaminati i punteggi medi ottenuti dai diversi soggetti esaminati.
RISULTATI PRELIMINARI: Da un’analisi parziale si rileva la presenza di un disagio psichico tra moderato e grave. Le aree psicopatologiche interessate risultano: Attivazione somatica, Sensibilità interpersonale,
Depressione, Ansia Generale, Disturbi del sonno.
Quindi, è possibile evidenziare una condizione di sofferenza emotiva nelle madri.
D003
CUCINOTERAPIA: UNA RICETTA PER SORRIDERE
E GUARIRE
L. Calafiore, A. Barbara, E. Vaccarono, S. Ferraro,
S. Faletto, A. Da Canal, L. Guglielmetti,
A. Brach del Prever
ASL TO4, Struttura Complessa Pediatria Ivrea, Centro
Spoke della Rete Oncologica Pediatrica Piemontese,
Ivrea (TO), Italy
INTRODUZIONE: L’inizio della chemioterapia,
oltre a determinare sofferenza, implica una considerevole
modifica delle abitudini di vita di un bambino, che spesso
perde il sorriso. D. ha 6 anni ed è affetto da LLA, seguito
dal centro spoke di Ivrea della rete oncologica pediatrica
piemontese. L’opposizione all’assunzione della terapia
cortisonica orale per D. fu tale da far decidere l’ospedalizzazione per tutta la fase di induzione, in modo da effettuare la terapia endovena. Ciò determinò però la chiusura
del bambino in un mutismo ermetico; D. appariva sempre triste e arrabbiato, si grattava ossessivamente un
orecchio e ignorava chiunque gli si avvicinasse.
OBIETTIVO: Cercare di creare una dimensione di
“normalità” e di evasione all’interno dell’ospedale,
considerato da sempre luogo di sofferenza, potrebbe
rappresentare una soluzione per aumentare la compliance al trattamento.
MATERIALI E METODI: I materiali e il metodo
per spezzare l’apatia di D. li inventò un giorno Laura,
operatrice sanitaria “anziana” del reparto, che con la sua
chiacchiera aveva scoperto che al bambino piaceva
cucinare. Così una mattina gli fece trovare nella stanza
un piano di lavoro con tutti gli strumenti e gli ingredienti necessari, compreso naturalmente un cappello da
cuoco con il suo nome.
RISULTATI: Da quella mattina D. ha ricominciato
a sorridere, accettando gradualmente anche l’assunzione della terapia per bocca. Il risultato è derivato da un
lavoro di equipe; l’intervento empatico e non farmaco-
| 70 |
logico di Laura ha aperto il canale di comunicazione
con il bambino, che ha iniziato ad assumere la terapia
orale con una migliore accettazione delle cure. D. si è
aperto quando non si è più sentito identificato con la sua
“malattia da curare” ma si è invece sentito “visto”con i
suoi bisogni di bambino.
CONCLUSIONI: L’importanza crescente di una
visione olistica del paziente è testimoniata dalla sempre
maggior integrazione di trattamenti farmacologici e non
(arteterapia, musicoterapia) nel processo di cura, con il
bambino al centro del piano di trattamento. D. ci ha
ricordato che “quando si cura la persona” e non solo la
malattia “si vince sempre”; la “ricetta migliore” per
guarire non la si trova sempre e solo sui libri.
D004
“BRACCIALETTI ROSSI”: UNO STRUMENTO PER
FAVORIRE L’INTELLIGENZA EMOTIVA
V. Abate, M.G. Paturzo, S. Picazio, M. Di Martino,
D. Di Pinto, E. Pota, F. Casale
Servizio di Oncologia Pediatrica-Seconda Università
degli Studi di Napoli, Napoli, Italy
Nel presente lavoro si vuole evidenziare l’importanza dell’utilizzo di video filmati come catalizzatori delle
emozioni legate al tema della malattia oncologica in
adolescenza.L’equipe oncologica della SUN (Servizio
Autonomo Oncologia Pediatrica di Napoli) che comprende psicologi, insegnanti dell’ospedale e pediatri
oncologi ha proposto la proiezione di un videoclip con
alcune scene salienti tratte dalla fiction “Braccialetti
rossi” nei gruppi classe della scuola di appartenenza
(medie e superiori) dei pazienti oncologici. La scelta di
questo video filmato ha l’obiettivo di avvicinare il più
possibile il “mondo della malattia” e il “mondo della
salute” tra i teenagers. La serie-tv rompe un tabù, quello
della malattia e della morte spiegata ai più giovani, che
ne vengono spesso tenuti a debita distanza, un po’ per
eccesso di protezione, un po’ per l’imbarazzo ed il timore legato, troppo spesso, alla mancanza di informazioni
circa la malattia oncologica. Gli studi che ci provengono dalle neuroscienze (Gazzaniga 2009), in particolare
da
quell’ambito
denominato
“neuroestetica”
(Cappelletti, 2010), hanno sostenuto che le immagini
che appaiono nella proiezione di un videoclip siano un
potente ri-organizzatore cognitivo-emotivo ma soprattutto un strumento al servizio del modulo sociale. In
altri termini, il filmato non è solo un “facilitatore” emozionale, ma favorisce la coesione sociale e la cooperazione. L’uso delle immagini, quindi, avrebbe delle ricadute dirette nel miglioramento del processamento delle
emozioni (identificazione, comunicazione delle emozioni ed empatia) e nell’implementazione dell’intelligenza emotiva (I.E.). L’intelligenza emotiva è un aspetto dell’intelligenza legato alla capacità di riconoscere,
utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole
le proprie ed altrui emozioni, include le dimensioni
emotive, personali,sociali e di adattamento, orientate al
benessere psicologico e al successo nella vita.
L’intelligenza emotiva riguarda abilità quali la com-
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
prensione di se stessi e degli altri, l’adattamento ai cambiamenti richiesti dall’ambiente e la gestione delle emozioni. Grazie alle sollecitazioni prodotte dalla visione
del filmato è stato possibile prevenire fantasie disfunzionali, favorire l’espressione dei vissuti e dei sentimenti del gruppo classe e del corpo insegnanti, permettendo così, agli alunni e ai docenti di diventare una
risorsa per il paziente, facendo sentire la propria vicinanza emotiva nel difficile percorso di cura.
sulla combinazione di segni clinici, radiologici e istopatologici. In circa il 17% dei pazienti si associa chilotorace. La storia naturale e la prognosi sono imprevedibili
così come l’efficacia della terapia. La coagulopatia da
consumo è un segno precoce della SGS, e può esser
utile a monitorare la storia naturale e la risposta alla
terapia oppure, come nel paziente 2, essere utile indizio
per la diagnosi di SGS.
D005
GRANULOMATOSI DI WEGENER E ATASSIA
TELEANGECTASIA
M.I. Bosio1, A. Agostini1, G. Ongaro1, L. Squassabia1,
V. Lougaris1, M. Cattalini1, A. Meini1, M. Berlucchi2,
G. Gregorini3, A. Soresina1, A. Plebani1
1Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Brescia,
Ospedale dei Bambini; 2Otorinolaringoiatria Pediatrica;
3Divisione di Nefrologia, AO Spedali Civili di Brescia,
Brescia, Italy
D006
LA COAGULOPATIA DA CONSUMO NELLA
SINDROME DI GORHAM-STOUT IN ETÀ
PEDIATRICA: SEGNO PRECOCE ED INDICATORE
DELL’EVOLUZIONE DELLA MALATTIA
C. Mosa1, A. Trizzino1, M. Collura2, M. Carollo3,
V. Falcone4, F. Di Marco1, A. Trizzino1, P. D’Angelo1
1UO di Oncoematologia Pediatrica; 2UO 2ª Pediatria,
Fibrosi Cistica e Malattie Respiratorie, A.R.N.A.S.
Civico, Di Cristina e Benfratelli, Palermo; 3Pediatra di
Famiglia, ASP 6 di Palermo; 4Scuola di Specializzazione
in Pediatria, Università di Palermo, Italy
INTRODUZIONE: La sindrome di Gorham Stout
(SGS) è malattia estremamente rara che può insorgere a
qualsiasi età, ma perlopiù in bambini e giovani adulti.
E’ caratterizzata da una proliferazione benigna dei vasi
sanguigni e/o linfatici con distruzione e riassorbimento
progressivo della matrice ossea, con o senza coinvolgimento dei tessuti molli ad eziopatogenesi incerta.
L’esordio e la clinica sono variabili con andamento
generalmente progressivo, solo in alcuni casi autolimitante. Sono descritti casi complicati dall’insorgenza
acuta di coagulazione intravascolare disseminata.
Descriviamo 2 bambini affetti da SGS, entrambi esorditi con chilotorace, in cui la coagulopatia da consumo è
stato un segno precoce e progressivamente evolutivo
(caso 1) o che ha suggerito la diagnosi (caso 2).
CASI CLINICI: Caso 1, femmina, 7 anni, ci viene
inviata per il riscontro occasionale di aree osteolitiche
in sede omerale bilaterale in una Rx torace eseguita nell’ambito del follow-up di un chilotorace, esordito a 14
mesi; erano presenti altre aree osteolitiche multifocali.
Lo studio RM total body ha evidenziato abbondante tessuto proliferativo anche a livello toracico ed addominale. Alla prima valutazione era già presente un aumento
significativo del D-dimero e successivamente nel corso
dei 6 anni di follow-up si è assistito anche ad una riduzione progressiva di fibrinogeno e piastrine. Caso 2,
maschio, 3 anni, ricoverato per dispnea ingravescente
da abbondante versamento pleurico sinistro. La toracentesi da luogo a circa 850 cc di liquido chiloso. Il
rilievo di multiple lesioni osteolitiche (cranio, arti,
rachide e bacino) ed il riscontro di D-dimero elevato,
seppur con fibrinogeno e piastrine normali, ha suggerito
la diagnosi di SGS, successivamente confermata dall’esame istologico.
CONCLUSIONI: La SGS è un raro disordine
angioproliferativo che decorre inizialmente in modo
asintomatico. La diagnosi è spesso tardiva e si basa
Riportiamo il caso di una bambina di 7 anni di origine tunisina, figlia di genitori cugini di primo grado,
giunta alla nostra attenzione nel dicembre 2009 per
sospetta immunodeficienza primaria. Agli esami ematochimici eseguiti per scarsa crescita, emergeva difetto
severo dell’immunità cellulomediata e difetto di IgA. A
tali risultati si associava riscontro di difficoltà alla
deambulazione. Quindi, nel sospetto di Atassia
Teleangectasia (AT) veniva eseguita l’alfafetoproteina,
risultando molto elevata, e fragilità cromosomica
aumentata. La diagnosi di AT è stata confermata con
indagine genetica del gene ATM. Per difetto severo dei
linfociti T, veniva intrapresa profilassi con
Cotrimossazolo. Nel corso del follow up non sono state
osservate infezioni maggiori e le condizioni generali si
sono sempre mantenute buone. A Marzo 2014, in seguito alla comparsa di ostruzione nasale, russamento notturno ed epistassi occasionale, veniva eseguita visita
ORL con riscontro di naso a sella, ampia perforazione
del setto nasale, rinite crostosa con fragilità della mucosa nasale. Si disponeva ricovero per esecuzione di biopsia del setto. La TAC massiccio facciale evidenziava
perforazione del setto nasale di 1,5 cm con opacizzazione dei tessuti molli che sembrava causare diastasi delle
ossa nasali. Tutti gli esami ematochimici eseguiti (FR,
C2, C3, C4, CH50, ANA, ANCA) risultavano negativi.
L’esame istologico evidenziava quadro caratterizzato
da tessuto infiammatorio granulomatoso necrotizzante
compatibile con Granulomatosi di Wegener. E’ stata
intrapresa terapia immunosoppressiva con corticosteroidi per os e Rituximab, oltre che terapia sostitutiva
con Immunoglobuline endovena. La terapia è stata ben
tollerata con miglioramento dell’ostruzione nasale e
durante il follow-up non abbiamo osservato problemi
infettivi. La Granulomatosi con poliangite
(Granulomatosi di Wegener) è una vasculite autoimmune dei vasi di piccolo calibro spesso associata ad ANCA
positività. Segni caratteristici di questa condizione
sono: vasculite necrotizzante sistemica, infiammazione
granulomatosa necrotizzante e glomerulonefrite necro-
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Dati per letti
tizzante. L’eziologia della granulomatosi con poliangite
è da attribuire a triggers ambientali ed infettivi che possono scatenare la malattia in soggetti geneticamente
predisposti. Nonostante la ben nota associazione tra
malattie autoimmuni e difetti del sistema immunitario,
ad oggi non sono stati descritti in letteratura altri casi di
Granulomatosi di Wegener in pazienti con AT.
segni della malattia è stato molto precoce, con coinvolgimento multiorgano. Una buona pratica di prevenzione
igienica e antibiotica rispettata dalla famiglia dei piccoli
pazienti ne riduce il tasso di ospedalizzazione, migliorandone la qualità di vita. Nei pazienti con MGC l’unica
possibilità di guarigione è rappresentata dall’allotrapianto di cellule staminali emopoietiche nei primi anni
di vita, scelta terapeutica adottata in questo bambino.
D007
TRAPIANTO PRECOCE DI MIDOLLO OSSEO IN
PAZIENTE CON MALATTIA GRANULOMATOSA
CRONICA ESORDITA ALL’ETÀ DI TRE MESI
L. Carpino1, A. Finocchi2, D. Sperlì1, F. Locatelli3
1Unità Operativa di Pediatria, Azienda Ospedaliera,
Cosenza; 2Dipartimento di Pediatria; 3Dipartimento di
Oncoematologia Pediatrica, Ospedale Pediatrico
“Bambino Gesù”, Roma, Italy
INTRODUZIONE: La malattia granulomatosa cronica (MGC) è una rara immunodeficienza primitiva
caratterizzata dall’incapacità di uccidere i microorganismi fagocitati dai granulociti neutrofili e monociti, causata da una mutazione in uno dei quattro geni che codificano per le sub-unità dell’enzima NADPH ossidasi.
Nei 2/3 dei casi l’ereditarietà è legata al cromosoma X,
ma può presentarsi come autosomica recessiva nei
rimanenti casi.
OBIETTIVI: Presentare un caso di MGC ad esordio
precoce, sottoposto ad allotrapianto di cellule staminali
emopoietiche da donatore familiare compatibile.
CASO CLINICO: Lattante di tre mesi con febbre,
lesioni cutanee impetiginizzate diffuse, tumefazione
laterocervicale sinistra in via di ascessualizzazione.
Esami ematochimici: leucocitosi neutrofila, aumento
indici di flogosi ed LDH. Immunoglobuline sieriche e
fenotipizzazione linfocitaria nella norma. Ecografia
addominale: aree iperecogene a livello del VI e VII segmento epatico. Dosaggio galattomannano: positivo.
TAC total body: focolaio alveolitico apicale dx e lesioni
multiple ascessuali epatiche. Veniva effettuato drenaggio chirurgico dell’ascesso laterocervicale con esame
colturale positivo per Staphilococcus aureus. Il quadro
clinico di infezioni a sedi multiple (cute, linfonodi,
fegato, polmone), escluso un deficit dell’immunità
umorale o linfocitaria, orientava il sospetto diagnostico
verso una malattia granulomatosa cronica, confermata
da NBT-test. All’età di nove mesi si riscontrava con
TAC cerebrale una formazione ovalare a livello del
nucleo basale di dx, la cui natura granulomatosa veniva
confermata mediante angio-RMN. Il bambino ha eseguito terapia antibiotica ed antimicotica e.v. con graduale risoluzione delle lesioni epatiche e di quella cerebrale. Essendo disponibile un donatore familiare compatibile (sorella), il paziente, dopo regime di condizionamento, all’età di un anno è stato sottoposto a trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche. Il
paziente non ha presentato segni di GvHD ed attualmente è in follow-up post-trapianto.
CONCLUSIONI: La prognosi a lungo termine della
MGC è tuttora incerta. Nel caso osservato l’esordio dei
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D008
COMPLICANZE MECCANICHE E INFETTIVE DEL
CATETERE VENOSO CENTRALE. NUOVI DEVICES
E BUNDLES PER LA GESTIONE DEGLI IMPIANTI.
NOSTRA ESPERIENZA
P. Pirisi, G. Tedesco
Azienda Ospedaliera Santobono-Pausilipon, Chirurgia
Generale ad Indirizzo Oncologico, Napoli, Italy
Nel periodo 2012-2014nella nostra Divisione di
Chirurgia sono stati impiantati circa 300 CVC a mediolungo termine. Si è potuto ossevare una sensibile riduzione di complicanze meccaniche ed infettive. Ciò è
stato possibile per la introduzione di bundles di raccomandazioni tecniche e cliniche che, attuate in maniera
sinergica, hanno permesso di ridurre in maniera significativa tali problematiche. La presenza di un Team specifico e dedicato agli Accessi Venosi ha comportato
significativi vantaggi: 1) la riduzione delle complicanze
e dei costi, grazie alla adozione di una tecnica standardizzata e condivisa 2) la attuazione di una gestione,
competente e attenta, degli accessi venosi, per la valutazione di eventuali complicanze infettive, trombotiche,meccaniche. 3) il mantenimento di una attività culturale e formativa continua alivello aziendale, finalizzata all’aggiornamento delle procedure e dei protocolli
inerenti, l’impianto e la gestione degli accessi venosi.
D009
NARRAZIONE GRUPPALE E PROCESSI
RIPARATIVI NEI BAMBINI ONCO-EMATOLOGICI:
UN CASO CLINICO
F. Gerli, G. Mascolo, A. Musto, E. Procino, F. Camera,
F. Petruzziello
Università degli Studi “La Sapienza”, Roma, Italy
Il Servizio di Psicologia del Dipartimento di
Oncologia dell’AORN Santobono Pausilipon ha strutturato per bambini affetti da patologie onco-ematologiche, spazi di narrazione gruppale (ad es. costruzione di
favole, drammatizzazione con marionette) entro cui
favorire l’espressione e la condivisione con i pari dell’esperienza di malattia. Maria, 7 anni, affetta da una
grave forma di anemia e dalla nascita sottoposta a frequenti ospedalizzazioni per problemi cardiaci, nel corso
di un laboratorio di costruzione e rappresentazione grafica di storie di animali finalizzato a facilitare una identificazione proiettiva, esprime vissuti di perdita connessi all’allontanamento del suo cane da casa (“Me lo
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
hanno portato via per sempre”, “E’ stata colpa mia”,
“Non lo rivedrò mai più”). Nella discussione di gruppo,
la narrazione di un’altra bambina, Laura, rispetto alla
perdita del proprio animale, riflette al contrario un
atteggiamento riparativo (“Anche a me è successo. Non
stavo bene e abbiamo mandato via Tom. Ho chiesto a
mamma di poterlo andare a trovare nella sua nuova
famiglia”) e costituisce materiale da cui partire per aiutare Maria a sviluppare un nuova strategia di fronteggiamento basata su una ricerca attiva di soluzioni. In
occasione di un incontro successivo, incoraggiata a verbalizzare rispetto alla rappresentazione del cielo, tema
scelto dagli stessi bambini, Maria ha raccontato della
morte del nonno avvenuta mentre lei era in ospedale e
del suo dispiacere per non essere riuscita a partecipare
al funerale; lo spazio di elaborazione del tema è avvenuto rimandando l’idea che la sofferenza legata ad una
perdita sia naturale ed esprimibile. Maria, al termine
degli incontri, arriva a pensare che “Se questi disegni
sull’arcobaleno mi hanno fatto venire in mente nonno,
allora nonno non è solo nella tomba, ma è davanti a
me”. Il caso di Maria fa riflettere sulla capacità di bambini molto piccoli di contattare temi generalmente considerati tabù, come la perdita, la separazione e la malattia e di essere in grado di comprenderli e fronteggiarli
meglio degli adulti. Ciò ci porta anche alla considerazione di poter valorizzare le naturali condotte prosociali
che i bambini manifestano, utilizzando la narrazione
entro il gruppo per poter attivare processi riparativi.
D010
UTILIZZO DI FISTOLA ATEROVENOSA PER
ERITROCITOAFERESI IN PAZIENTE AFFETTO DA
DREPANOCITOSI
S. Calzavara Pinton1, F. Ricci1, P. Ferremi2, F. Nodari3,
E. Ferrari2, S. Cavagnini1, L. Notarangelo1, F. Porta1
1UO Oncoematologia Pediatrica e Trapianto di Midollo
Ospedale dei Bambini; 2Centro Trasfusionale; 3UO III
Chirurgia, Spedali Civili, Brescia, Italy
INTRODUZIONE: La drepanocitosi è un’emoglobinopatia caratterizzata da aggregazione dei globuli
rossi con conseguente incremento del rischio trombotico ed ischemico. Per tale motivo i pazienti sono sottoposti a follow up (ecodoppler vasi transcranici) e a utilizzo profilattico o terapeutico di eritrocitoaferesi
(EEX) per ridurre la percentuale di HbS aumentando
l’ossigenazione tissutale. La procedura si avvale di
accessi venosi, reperiti nella maggior parte dei casi
sotto forma di cateteri venosi tunnellizzati, transcutanei
o a inserzione periferica, ognuno dei quali gravato da
possibili complicanze. Raramente ci si avvale invece di
fistole aterovenose, pratica comune nell’emodialisi.
Presentiamo il caso di un paziente affetto da drepanocitosi in trattamento con EEX dall’età di 11 anni in seguito a stroke ischemico esitato in paraplegia. Gli accessi
inizialmente posizionati in sede femorale e periferica
sono stati soggetti a numerosi episodi flebitici e si sono
rivelati di difficile gestione.
METODI: Previo isolamento dell’arteria radiale
(calibro 2 mm) e della vena cefalica dell’avambraccio
sinistro (diametro 3 mm) e verifica del flusso tramite
sondaggio con catetere di Fogarty, è stata confezionata
anastomosi T-L tra i due vasi a 10 cm dal polso e successiva sintesi della ferita. La fistola è stata utilizzata
per la prima seduta di eritrocitoaferesi (7 unità di emazie concentrate deleucocizzate e trattate sino a un valore
di ematocrito del 70-80%) con separatore cellulare
Fresenius COM.TEC.
RISULTATI: Il paziente è stato sottoposto a sedute
mensili di EEX (18 sedute totali) con durata media di
120 minuti ciascuna. Non si sono presentate complicanze legate alla procedura o alla fistola salvo comparsa di
minimi ematomi in due occasioni e non si sono verificati ulteriori episodi ischemici e/o trombotici legati alla
patologia di base. L’emoglobina S pre-procedura e
quella post procedura si sono mantenute rispettivamente tra il 33-36% e il 12-15% confermando l’efficacia di
esecuzione della stessa. La valutazione cardiologica
non ha mostrato segni di iperafflusso.
CONCLUSIONI: Il confezionamento di una fistola
aterovenosa può essere considerato una valida alternativa per l’esecuzione di EEX nei pazienti con drepanocitosi e garantisce un accesso potenzialmente stabile nel
tempo soprattutto in caso di difficoltà al reperimento
dello stesso.
D011
ISTIOCITOSI EMOFAGOCITICA FAMILIARE DA
MUTAZIONE A91V DEL GENE DELLA PERFORINA
AD ESORDIO IN ETÀ ADULTA: DESCRIZIONE DI
UN CASO
S. Farimbella1, E. Soncini1, S. Cavagnini1,
G. Quaresmini2, C. Mazza3, D. Moratto3, S. Parolini4,
F. Porta1, L. Notarangelo1
1UO Oncoematologia Pediatrica e Trapianto di Midollo
Ospedale dei Bambini, Spedali Civili, Brescia; 2USC
Ematologia, Ospedale Papa Giovanni XXIII, Bergamo;
3Laboratorio di Medicina Molecolare A. Nocivelli,
Spedali Civili, Brescia; 4Sezione di Oncologia e
Immunologia Sperimentale, Laboratorio di Istologia,
Dipartimento di Medicina Molecolare e Traslazionale,
Spedali Civili, Brescia, Italy
INTRODUZIONE: L’Istiocitosi Emofagocitica
Familiare (Hemophagocytic LymphoHistiocytosis,
HLH) è una rara immunodeficienza autosomico recessiva caratterizzata da una disregolazione nella funzione
dei linfociti T citotossici e dei macrofagi. Mutazioni
bialleliche a carico del gene della perforina (PRF1),
implicata nei meccanismi di citotossicità cellulare, si
riscontrano nel 50% dei casi di HLH (HLH2, OMIM
603553). Sebbene l’esordio sia generalmente in età
pediatrica, sono stati descritti casi con diagnosi in età
adulta. In particolare, la mutazione A91V, in omozigosi
o eterozigosi composta con altra mutazione causale, è
stata riportata in casi atipici ad esordio tardivo.
Riportiamo la descrizione di un caso.
CASO CLINICO: Il probando, anni 37, è terzogenito di 7 fratelli di genitori non consanguinei. Un fratello
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Dati per letti
è deceduto a 26 anni per shock settico in corso di peritonite, con storia pregressa di splenomegalia esordita a
4 mesi, infezioni ricorrenti, un episodio simil leucosico
a 12 mesi, linfoma di Hodgkin a 20 anni, episodi di piastrinopenia ricorrenti. Un fratello di 37 anni presenta
broncopneumopatia cronica con splenomegalia modesta e lieve leuco-piastrinopenia. Il probando è stato in
benessere fino a 12 anni quando ha presentato ipostenia
agli arti inferiori con incapacità a deambulare per qualche mese (completa restitutio ad integrum), mielodisplasia trilineare diagnosticata a 34 anni, con cariotipo
su midollo normale, splenomegalia e adenopatie polidistrettuali. Presenta una leucopenia (G.B. 1810/mm3 con
N 140/mm3, L 950/mm3) Piastrine 153.000/mm3, normalità
delle
sottopopolazioni
linfocitarie,
Immunoglobuline sieriche, Vitamina B12, PT, PTT,
Fibrinogeno. L’analisi molecolare per geni X-LP1 e 2 è
risultata negativa mentre l’espressione citofluorimetrica
della perforina dei linfociti T citotossici è risutata ridotta. L’analisi molecolare del gene PRF1 eseguita
mediante DHPLC (Denaturing High Performance
Liquid Chromatography) e sequenziamento diretto ha
evidenziato la presenza in omozigosi della mutazione
c[272C>T] con effetto A91V. I genitori sono risutati
entrambi eterozigoti per la medesima mutazione. Al
momento risulta in corso la valutazione dell’attività NK
del probando.
CONCLUSIONI: L’HLH da deficit di perforina può
avere un fenotipo atipico a decorso intermittente e
manifestarsi in età adulta. La storia familiare, la presenza di splenomegalia, le infezioni ricorrenti e l’insorgenza di linfomi devono indurre ad esplorare tale diagnosi.
D012
DEFICIT CONGENITO DI FATTORE XIII:
DESCRIZIONE DI UN CASO
K. Cattivelli1, V. Bennato1, S. Guarisco1, E. Bertoni1,
G. Martini2, L. Notarangelo1 F. Porta1
1UO Oncoematologia Pediatrica e Trapianto di
Midollo, Ospedale dei Bambini; 2Centro Emostasi
Laboratorio, Spedali Civili, Brescia, Italy
Il deficit congenito di Fattore XIII (FXIII) è una
rarissima coagulopatia (prevalenza <1.000.000) causata
da mutazioni del gene F13A1 (cromosoma 6) o, meno
frequentemente, del gene F13B (cromosoma 1). Si trasmette in modo autosomico recessivo sebbene siano
possibili mutazioni “de novo”. I soggetti affetti sono
esposti ad un maggior rischio di sanguinamenti in varie
sedi, in particolare ematomi muscolari (32%), emartri
(24%), emorragie intracraniche (30%) ed ombelicali
(80%) alla nascita, queste ultime fortemente suggestive
del deficit specifico. Gli affetti possono inoltre presentare ritardo di guarigione delle ferite. La diagnosi si
basa sul dosaggio del FXIII nel plasma (v.n. 50-150%).
Pazienti con livelli <5% presentano un quadro clinico
da moderato a severo e si giovano della profilassi continuativa con FXIII plasma derivato (pdFXIII) o ricombinante (rFXIII). Descriviamo il caso di un ragazzo di
17 anni giunto alla nostra attenzione per sanguinamenti
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ricorrenti. I genitori sono di origine albanese, non consanguinei, e l’anamnesi familiare è muta per coagulopatie. A tre giorni di vita il paziente ha presentato sanguinamento dal cordone ombelicale. All’età di 7 anni ha
manifestato emorragia in seguito ad intervento di circoncisione. I successivi eventi emorragici sono stati:
ematoma del quadricipite evacuato chirurgicamente e
un ematoma massivo da rottura del muscolo ileo-psoas
trattato con plasma fresco ed emazie concentrate. Sono
riferiti inoltre sanguinamenti gengivali in occasione di
interventi odontoiatrici. Gli accertamenti di routine da
noi effettuati (Emocromo, Tempo di protrombina,
Tempo di tromboplastina parziale attivata e fibrinogeno) sono risultati nella norma. Il tipo di manifestazioni
presentate, in particolare il sanguinamento dal cordone
ombelicale, ha indotto il sospetto di deficit congenito di
Fattore XIII, confermato dal dosaggio dello stesso
(2%). L’analisi di mutazione è attualmente in corso. E’
in previsione l’inizio di profilassi con rFXIII.
CONCLUSIONI: Un’anamnesi positiva per sanguinamenti dal cordone ombelicale o muscolari pur in presenza di normalità degli esami della coagulazione di 1ª
livello, deve far porre il sospetto di deficit congenito di
FXIII. La profilassi continuativa con il fattore carente
rappresenta il trattamento di scelta al fine di evitare sanguinamenti potenzialmente letali.
D013
NONOSTANTE L’EMOFILIA: POTENZIALITÀ E
RISORSE PERSONALI E FAMILIARI NELLA
PROSPETTIVA DEI CAREGIVER
L. Negri1, G. Lassandro2, A.B. Aru3 A. Cannavò4,
A. Rocino5, C. Santoro6, G. Sottilotta7, A. Buzzi8,
C. Castegnaro8, P. Giordano2, M.G. Mazzucconi6,
R. Mura3, F. Peyvandi4, A. Delle Fave1
1Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e
dei Trapianti, Università degli Studi di Milano, Milano;
2Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia
Umana, Sezione di Pediatria, Università degli Studi di
Bari “Aldo Moro”, Bari; 3Oncoematologia Pediatrica e
Patologia della Coagulazione, Ospedale Regionale per
le Microcitemie, Cagliari; 4Angelo Bianchi Bonomi
Hemophilia and Thrombosis Center, Fondazione IRCCS
Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano;
5Centro Emofilia e Trombosi, Ospedale S. G. Bosco,
Napoli; 6Ematologia, Dipartimento di Biotecnologie
Cellulari ed Ematologia, Sapienza Università di Roma,
Roma; 7Centro Emofilia, Servizio Emostasi e Trombosi,
Azienda Ospedaliera “Bianchi-Malacrino-Morelli”,
Reggio Calabria; 8Fondazione Paracelso, Milano
PREMESSA: La maggior parte delle ricerche sulla
qualità di vita dei familiari di minori con patologie croniche si concentrano sulla valutazione di deficit e limitazioni associate al ruolo di caregiver. Nonostante il
ruolo svolto da tali fattori sull’esperienza quotidiana,
essi forniscono una rappresentazione parziale della
qualità di vita. Recenti contributi mostrano che la capacità di mettere in gioco risorse finalizzate ad una riorganizzare positiva della propria e dell’altrui condizione
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
di vita riveste un’importanza fondamentale nel promuovere l’adattamento dell’individuo a situazioni di
disagio e nel favorire il perseguimento di obiettivi e
significati di vita.
OBIETTIVI: Il presente studio si inserisce all’interno di un ampio progetto, attualmente in fase di svolgimento, che ha lo scopo di analizzare la qualità di vita ed
il benessere percepito dalle persone con emofilia e dai
familiari di minori con emofilia.
METODI E STRUMENTI: La ricerca integra un
approccio metodologico di tipo quali-quantitativo che
prevede la compilazione di una batteria di questionari
su scala ampiamente utilizzati e validati a livello internazionale, e la partecipazione ad un’intervista semistrutturata con un ricercatore esperto. Gli strumenti
impiegati consentono di valutare sia le difficoltà percepite nel sostenere i figli lungo il percorso della malattia
che le risorse individuali, familiari e di comunità riconosciute e mobilizzate nel quotidiano.
PARTECIPANTI: Lo studio prevede il reclutamento di 42 genitori di minori con emofilia con età inferiore
ai 13 anni; fino a questo momento sono stati raccolti e
analizzati i dati forniti da 24 partecipanti (M=39.21;
DS=5.69).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI: L’innovativa
possibilità di individuare quali risorse i familiari di
minori con emofilia riconoscono e impiegano nello
svolgere il ruolo di caregiver può avere importanti
applicazioni in ambito clinico e di ricerca. La conoscenza di tali elementi, infatti, permette di integrare percorsi
di supporto volti a prevenire il disagio, con interventi
che mirano a promuovere capacità e risorse in funzione
dell’adattamento soddisfacente e di una migliore qualità
di vita di pazienti, caregiver e famiglie.
D014
NECESSITÀ DI UNO STUDIO COMPLETO PER IL
CORRETTO INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO DI
UNA PIASTRINOPENIA REFRATTARIA AI
TRATTAMENTI
F. Lotti1, C. Calabrese1, B. Santangelo1, R.M. Melino1,
D. De Giovanni1, A. Dell’Anna1, M.P. Falcone1,
M. Foglia1, R. De Santis2, L. Miglionico2, M. Maruzzi2,
A. Spirito2, A. Ciliberti2, A. Maggio2,
M. Pettoello-Mantovani1, S. Ladogana2
1Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università
degli Studi di Foggia; 2UOC Oncoematologia
Pediatrica, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San
Giovanni Rotondo (FG), Italy
La sindrome di Bernard-Soulier (BSS) è un disordine emorragico autosomico recessivo raro, causato da
scarsa adesione delle piastrine alla parete vasale durante
la fase iniziale dell’emostasi. È sostenuta da un difetto
quali/quantitativo del complesso glicoproteico IbaIbb/IX/V. In eterozigosi la malattia può essere fenotipicamente silente. M.C. nata a 37 settimane. In anamnesi
piastrinopenia isolata, stabile, di lieve entità nel padre.
Primo riscontro di piastrinopenia all’età di 11 mesi in
occasione di ricovero ospedaliero per diatesi emorragi-
ca cutaneo-mucosa. Allo striscio periferico poche piastrine, alcune di grandi dimensioni (MPV 10-14 fl).
Aspirato midollare: serie megacariocitaria ben evidente
con figure di campeggiamento. Nel sospetto di PTI praticata terapia con Immunoglobuline (con risposta assai
parziale). La persistente modesta risposta al trattamento
con immunoglobuline, ha imposto ulteriore approfondimento diagnostico nel sospetto di piastrinopatia,
mediante: citofluorimetria delle GP piastriniche, non
dirimente, e studio molecolare per piastrinopenia
MYH9-relata e variante “Bolzano” della malattia di
Bernard-Soulier (c/o laboratorio di riferimento), risultate negative. In assenza di una diagnosi certa di piastrinopatia ereditaria, la paziente è stata trattata con la sola
terapia di supporto. All’età di 4 anni nascita del fratellino e riscontro di piastrinopenia neonatale (14.000/mcl)
con piastrine giganti, anemizzazione progressiva con
necessità di terapia di supporto con piastrine. Alla luce
dato si da seguito a ulteriore valutazione diagnostica
con evidenza di allungamento del tempo di sanguinamento, normale dosaggio dei fattori della coagulazione,
assente aggregazione piastrinica alla ristocetina (metodo Born); citofluorimetria delle GP piastriniche ->difetto assoluto di espressione della glicoproteina Iba e
minima espressione residua della glicoproteina IX, striscio periferico: piastrine giganti). Gli accertamenti diagnostici effettuati hanno fornito reperti suggestivi per
malattia di Bernard-Soulier biallelica, verosimilmente
riconducibile a due differenti mutazioni dei geni candidati (GPIba,GPIbb,GPIX) ereditate dai genitori che,
pur presentando entrambi un difetto di espressione del
complesso Ib-IX-V, hanno un quadro laboratoristico
dissimile (macrotrombocitopenia nel padre, conteggi e
morfologia piastrinica nei limiti la madre). Le varie piastrinopatie, in particolare la BSS andrebbero escluse in
caso di piastrinopenia persistente e resistente, specie se
con MPV aumentato.
D015
DALLA SPLENOMEGALIA ISOLATA ALLA
DIAGNOSI DI MALATTIA DI GAUCHER
F. Lotti1, C. Calabrese1, M.P. Falcone1, G. D’Angelo1,
B. Santangelo1, D. De Giovanni1, A. Dell’Anna1,
M. Foglia1, R.M. Melino1, R. De Santis2, L. Miglionico2,
M. Maruzzi2, A. Spirito2, A. Ciliberti2, A. Maggio2,
M. Pettoello-Mantovani1, S. Ladogana2
1Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università
degli Studi di Foggia; 2UOC Oncoematologia
Pediatrica, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San
Giovanni Rotondo (FG), Italy
S.D., 3 anni e 3 mesi, di sesso femminile, giunge
alla nostra osservazione per approfondimento diagnostico in merito al rilievo di epato-splenomegalia.
Riferita vaga dolorabilità addominale, febbre saltuaria,
tosse, positività della sierologia per Mycoplasma pneumoniae, per cui ha effettuato terapia antibiotica.
All’ingresso in reparto buone condizioni cliniche generali, non dolorabilità addominale. Esame obiettivo: epatosplenomegalia. Anamnesi familiare positiva per trait
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Dati per letti
talassemico. Emocromo: Hb 11, GR 4.580000, Hct
35%, MCV 76,4, Piastrine 119000, GB 10470; formula
leucocitaria: N 45%, L 48%, M 4%, E 1%, B 2%, SR:
anisopoichilocitosi ++/-, rari dacriociti. Funzionalità
epatica, renale, elettrolitica e coagulativa normali.
Bilancio marziale normale, ferritina 156, reticolociti
72000. Negativo lo screening infettivologico e immunologico. Normali sottopopolazioni linfocitarie, sierologia per celiachia, VES e PCR. Escluse emoglobinopatie e anemie emolitiche congenite, Nel complesso non
segni di ipersplenismo. L’imaging confermava solo l’epato-splenomegalia. Eseguite infine biopsia ossea e
aspirato midollare: punctio sicca, midollo osseo con
emopoiesi normale, note di displasia eritroide: alcune
cellule istiocitarie con citoplasma schiumoso, spesso
con aspetto lamellare, raramente in attività emofagocitica. Quadro citologico sospetto per malattia d’accumulo, in primis malattia di Gaucher (MG). Biopsia: cellularità del 70% in gran parte rappresentata da elementi
istiocitari di grossa taglia con nucleo globoso, striature
citoplasmatiche e fenotipo CD68KP1+, PGM1+, S-100
+/-, CD1a negativo, CD4 negativo. Quadro compatibile
con il sospetto clinico di MG. Richiesta la valutazione
della b glucosidasi, presso il laboratorio di riferimento,
confermato il sospetto, MG. La MG, trasmessa con
carattere autosomico recessivo, identificata per la prima
volta nel 1882, è una patologia genetica rara da accumulo lisosomiale causata dalla riduzione/mancata produzione della glucocerebrosidasi, enzima coinvolto nel
catabolismo dei glicosfingolipidi in zuccheri e grassi
con conseguente accumulo del substrato, la glucosilceramide, nei lisosomi dei macrofagi che, cosi ingrossati
(cellule di Gaucher), si accumulano in diversi organi, in
particolare milza, fegato e midollo osseo, alterandone le
normali funzioni. La sintomatologia è estremamente
variabile. La diagnosi precisa, spesso difficile quando la
forma è paucisintomatica, è indispensabile per impostare un trattamento sostitutivo. E’ importante considerare
la MG tra le possibili cause di splenomegalia infantili
anche in assenza di altri sintomi o segni clinici.
D016
LA PRESA IN CARICO DEL PAZIENTE
PLURIPROBLEMATICO IN UN REPARTO DI
EMATOLOGIA PEDIATRICA: L’ESPERIENZA DI
UN’EQUIPE MULTIPROFESSIONALE
F. Gigli, N. Petit, L. Buonocore, P. Di Carlo,
C. Cartoni, W. Barberi, F. Giona, M.L. Moleti, R. Foà,
A.M. Testi
Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia,
Umberto I Policlinico di Roma, Sapienza Università di
Roma-ISMA, Istituti Santa Maria in Aquiro, Roma, Italy
L’accesso ad un reparto di ematologia pediatrica è
un’esperienza molto complessa e fortemente destabilizzante per i piccoli pazienti e per i loro familiari.
Frequentemente una diagnosi di emopatia acuta convoca la famiglia ad una repentina riorganizzazione dei
ritmi familiari e delle priorità quotidiane, mettendo in
crisi le precedenti acquisizioni emotive, relazionali e
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sociali. Nel corso del nostro lavoro è stato possibile rilevare che per le famiglie di recente formazione può essere più rischioso mettere così precocemente in discussione una giovane organizzazione familiare ed una tenuta
di coppia ancora poco collaudata negli eventi ad alto
potere stressante. Questi casi possono rivelarsi particolarmente delicati se sono anche presenti condizioni economiche difficili, posizioni lavorative ancora poco stabili, altri figli piccoli, famiglie di origine distanti geograficamente o comunque poco presenti, ma anche, al
contrario, troppo ingerenti nella vita della giovane coppia. Abbiamo potuto verificare che la presa in carico di
questa tipologia di famiglia richiede la convergenza di
più figure professionali sin dal loro arrivo in reparto.
Infatti l’equipe medico-infermieristica si trova immediatamente a dover fronteggiare aspetti di natura non
medica il cui spessore è tale da avere il potere di interferire con il buon andamento di un protocollo terapeutico e con le esigenze tecniche da esso richieste. Con questo lavoro, attraverso un’esemplificazione clinica, si
intende offrire un’analisi dell’intervento sinergico di un
collaudato gruppo multiprofessionale, in cui psicologa,
terapista della neuro e psicomotricità e assistente sociale prendono in carico le problematiche di natura non
strettamente medica di una bimba di tredici mesi e della
sua giovane coppia di genitori. Il lavoro congiunto ha
potuto costituire una solida piattaforma con la duplice
funzione del “salvataggio”, del contenimento delle
emozioni, ma anche del potenziamento delle risorse del
piccolo paziente e della sua famiglia. Ciò ha consentito
nel qui ed ora il raggiungimento di una migliore alleanza terapeutica e un più elevato livello di compliance alle
cure, ma anche l’impostazione di un percorso di prevenzione, sia relativamente ai possibili danni evolutivi
legati a lunghi periodi di cura nella piccola paziente, sia
relativamente al rafforzamento delle competenze emotive e sociali della giovane famiglia.
D017
L’INCONTRO CON LO PSICOLOGO NELL’OFFERTA
FORMATIVA PER I MEDICI: L’ESPERIENZA DEL
MASTER DI II LIVELLO IN EMATOLOGIA
PEDIATRICA
F. Gigli, M. Montalto, M.L. Moleti, A.M. Testi,
C. Cartoni, R. Foà, F. Giona
Dipartimento di Biotecnologie Cellulari, Umberto I
Policlinico di Roma, Sapienza Università di Roma, Italy
La potenza delle emozioni che affiorano in ambiti
così delicati come l’ematologia pediatrica convoca i
medici all’uso di strumenti adeguati per poterne fronteggiare la responsabilità. Tuttavia, frequentemente le
competenze relative alla gestione delle implicazioni
psicologiche connesse con le esperienze di malattia
sono affidate quasi totalmente all’intuizione e alle capacità empatiche individuali. Sin dalla sua istituzione, il
Master di Ematologia Pediatrica, relativamente al tema
in questione ha previsto di affrontare, con il supporto di
una psicologa, alcune tematiche ad alto impatto emotivo: 1. la comunicazione della diagnosi di emopatia
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
acuta; 2. la comunicazione di “cattive notizie”; 3. la
gestione della malattia cronica; 4. le problematiche
relazionali nell’equipe curante. Obiettivo di questo
lavoro è analizzare quanto emerso nell’esperienza di
gruppo con medici specialisti provenienti da realtà
ospedaliere italiane anche molto differenti tra loro, nel
corso di cinque edizioni del Master. Ragionando sugli
outcome di una scelta metodologica interattiva, che si è
perfezionata nella sua stessa esperienza e che come tale
ha una sua assoluta unicità, sono emerse alcune aree di
criticità, in particolare: 1. la disomogeneità dei criteri di
comunicazione delle notizie all’interno delle equipe
ospedaliere; 2. la carenza nei reparti di un referente
unico per i giovani pazienti e per le loro famiglie; 3. la
quasi totale assenza di momenti strutturati di scambio e
condivisione, anche di natura non tecnica, tra le diverse
professionalità al lavoro nello stesso reparto o ambulatorio; 4. una importante “segregazione” dei ruoli, con
scarsa permeabilità tra i diversi livelli professionali. In
tale ambito sono state inoltre elaborate delle aree di
discussione su temi specifici, quali: 1. la tempistica
della comunicazione delle notizie; 2. la risoluzione del
conflitto nell’equipe; 3. le strategie di salvaguardia dal
dolore e dal senso di solitudine; 4. l’elaborazione del
lutto nell’equipe di lavoro; 5. il tema della “giusta
distanza”. Come risultato si è raggiunto un empowerment delle competenze dei partecipanti, attraverso l’utilizzo del gruppo come strumento di lavoro e risorsa
psicologica, con la costituzione di una piattaforma su
cui lavorare con e sulle emozioni per definire un’operatività professionale più attenta ai bisogni del paziente
ma anche più protettiva per i medici stessi.
D018
UN RARO CASO DI LEUCEMIA LINFOBLASTICA
ACUTA POOR RESPONDER E CON SCARSA
TOLLERANZA AL TRATTAMENTO IN PAZIENTE
CON SINDROME DA ANEUPLOIDIA VARIEGATA
G. Del Baldo, C. Marabini, P. Coccia, S. Gobbi,
V. Petroni, P. Pierani
Clinica Pediatrica, Oncoematologia Pediatrica,
Università Politecnica delle Marche, Italy
La sindrome da aneuploidia variegata in mosaico
(MVA) è un raro disordine genetico autosomico recessivo caratterizzato da aneuploidie che coinvolgono
diversi cromosomi e linee cellulari. Solo in alcuni casi
è stata dimostrata la mutazione del gene
BUB1B(15q15.1) o, più raramente, CEP57(11q21).
Circa 2/3 dei pazienti affetti da MVA presenta prematura separazione dei cromatidi (PCS). La presentazione
clinica comprende: microencefalia, dimorfismi, anomalie del SNC, convulsioni, ritardo mentale, ritardo di crescita, alto rischio di neoplasie maligne.
CASO CLINICO: Descriviamo il caso di un paziente
di 13 anni affetto da aneuploidia variegata (55% 46, XY
e 45% aneuploidia, in particolare trisomia 13,18 e 21)e
PCS, giunto al nostro Centro per leucemia acuta.
All’ingresso: epatosplenomegalia, leucociti 20.570/
mmc, emoglobina 8.7g/dl, piastrine 43.000/mmc, lattico
deidrogenasi 2.573 U/l. Successivamente viene confermata la diagnosi di LLA pro-B, SNC1, citogenetica: 575 9 , X X Y- 2 - 3 - 4 - 5 - 7 - 9 - 1 , 1 - 1 3 - 1 5 - 1 6 - 1 7 - 1 8 20,21,+3mar1[cpB].ish+12(ETV6x3),21q22(RUNX1x)
(3). Si avvia trattamento secondo protocollo LLA 2009.
Per progressivo aumento della conta blasti su sangue
periferico durante terapia steroidea si anticipa il trattamento chemioterapico al giorno 6. Le dosi successive di
chemioterapia sono state somministrate nei giorni stabiliti o di poco differite quando le condizioni cliniche erano
particolarmente compromesse. L’immunofenotipo al
G+15 ha documentato 31% di blasti. Dopo la prima dose
di chemioterapia il paziente ha presentato severa neutropenia, durata tutta la fase Ia, complicata da sepsi da
Pseudomonas Aeruginosa e successivamente da
Stafilococco coagulasi negativo, con buona risposta alla
terapia antibiotica mirata. Inoltre il paziente ha presentato un quadro di progressiva insufficienza epatica trattata
con terapie di supporto (albumina, plasma) ed epidermolisi diffusa. Nei giorni successivi le condizioni cliniche
peggiorano drasticamente per comparsa di epistassi e rettorragia profusa, seguita da dispnea ingravescente con
fabbisogno di ossigeno per massivo versamento pleurico,
che ha richiesto trasferimento in rianimazione per drenaggio. Dopo poche ore il paziente va incontro ad arresto
cardiocircolatorio con conseguente exitus.
CONCLUSIONI: MVA è una rara anomalia cromosomica (41 casi descritti in letteratura). Circa il 40% dei
pazienti affetti da MVA ha sviluppato una neoplasia
(tumore di Wilms, rabdomiosarcoma o leucemia acuta).
L’instabilità cromosomica, descritta anche nei pazienti
affetti da anemia di Fanconi, potrebbe spiegare la scarsa
tolleranza al trattamento oltre che la tendenza a sviluppare neoplasie maligne.
D019
ENCEFALOPATIA DI WERNICKE IN CORSO DI
NUTRIZIONE PARENTERALE TOTALE
FARMACEUTICA: UN CASO CLINICO
E. Varotto, M.C. Putti, E. Viscardi, M. Pillon,
R. Mardari, G. Verlato, G. Basso
Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Università degli
Studi di Padova, Italy
L’encefalopatia di Wernicke, caratterizzata da alterazione dello stato mentale, anomalie oculari e disfunzione cerebellare, è una complicanza severa del deficit
di tiamina, vitamina essenziale per il metabolismo glucidico: senza di essa, il glucosio viene metabolizzato
attraverso la via anaerobica con produzione di acido lattico e conseguente acidosi, che inficia le strutture cerebrali ed è responsabile del quadro clinico sopra descritto. La tiamina attraversa la barriera emato-encefalica, di
conseguenza un suo deficit cerebrale può essere corretto aumentandone i livelli plasmatici con una supplementazione parenterale. Se il deficit di tiamina è più
frequentemente associato ad una condizione di alcolismo, sono stati descritti alcuni casi nei pazienti oncologici, ascrivibili ad un alterato assorbimento (malnutrizione, iperemesi), un elevato catabolismo o un aumen-
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Dati per letti
tato apporto parenterale di glucosio. Una ragazza di 14
anni, seguita presso il nostro Centro per un Linfoma di
Burkitt in terapia secondo protocollo AIEOP-LNH-97
gruppo terapeutico IV, ha sviluppato, a distanza di circa
un mese dall’avvio della chemioterapia, un progressivo
calo del visus bilaterale associato a nistagmo orizzontale negli sguardi lateralizzati ed eloquio rallentato e
scandito. La RMN cerebrale eseguita è risultata compatibile con un’encefalopatia di Wernicke. E’ stata pertanto avviata una supplementenzione di tiamina per via
intramuscolare (100mg/die) con risoluzione del quadro
nell’arco di 48 ore. Sono state somministrate in tutto 5
dosi di tiamina per via intramuscolare; successivamente
la supplementazione è proseguita con un polivitaminico
per os per circa un mese. Dall’analisi retrospettiva del
caso, il quadro descritto è attribuibile ad un inadeguato
apporto di tiamina in corso di stomatite di IV grado
(somministrata una nutrizione parenterale totale con
una preparazione farmaceutica commerciale priva di
oligoelementi e vitamine per 13 giorni) associato ad un
importante calo ponderale (8kg), a cui sono seguiti una
rialimentazione a prevalente componente gluco-lipidica
senza supplementazione vitaminica, un apporto di glucosio parenterale di 5g/kg/die derivante dall’iperidratazione richiesta dalla chemioterapia. In conclusione,
negli stati di malnutrizione severa l’utilizzo sempre più
frequente di formulazioni farmaceutiche commerciali
di nutrizione parenterale totale deve essere associato ad
un adeguato apporto di oligoelementi e vitamine, quando non presenti, per prevenire l’insorgenza di complicanze severe.
D020
PSEUDOCISTI PANCREATICA IN PAZIENTE IN
TRATTAMENTO PER LEUCEMIA LINFOBLASTICA
ACUTA
F. Lotti1, B. Santangelo1, M.P. Falcone1, A. Dell’Anna1,
D. De Giovanni1, C. Calabrese1, M. Foglia1,
R.M. Melino1, R. De Santis2, L. Miglionico2,
M. Maruzzi2, A. Spirito2, A. Ciliberti2, A. Maggio2,
M. Pettoello-Mantovani1, S. Ladogana2
1Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università
degli Studi, Foggia; 2UOC Oncoematologia Pediatrica
IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni
Rotondo (FG), Italy
La Pancreatite Acuta può essere una complicanza in
bambini in chemioterapia per LLA ed è stata spesso
riportata in associazione al trattamento con LAsparaginasi. Molto rari sono,invece, i casi di progressione della pancreatite con formazione di pseudocisti.
Presentiamo il caso di una paziente di 13 anni con LLAHR, in trattamento secondo Protocollo-AIEOP-BFMLLA-2009. La paziente aveva regolarmente eseguito la
fase d’induzione e il blocco-HR1,ben tollerati. Dal g+2
del Blocco-HR2 sospensione della Chemioterapia, per
comparsa di segni di pancreatite (severo dolore epigastrico, “a barra”, vomito biliare, positività dei segni di
Gray-Turner e Cullen, febbre incostante, iperamilasemia, iperlipasemia, con esami infettivologici ed emo-
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colture negativi, ETG-addome non risolutiva). Iniziava
pertanto, terapia medica (Nutrizione parenterale totale,
somatostatina, antibiotici, analgesici). La persistenza e
ingravescenza del quadro clinico-laboratoristico imponevano approfondimento mediante TAC-addome e
Colangio-RMN che evidenziavano “grossolana pseudocisti pancreatica pluriloculata di corpo-coda (diam.max:
CC 111mmx141mm AP; spessore7,7mm), Wirsung
integro”. L’imprescindibilità all’approccio terapeutico
conservativo esclusivo, finalizzato all’organizzazione
della capsula della pseudocisti (requisito fondamentale
per un eventuale intervento chirurgico in asepsi), complicava la gestione dell’emopatia di base (HR e persistenza della MRM/PCR) che veniva monitorata tramite
aspirato midollare e successivamente, con la ripresa di
una chemioterapia di mantenimento ad interim (MTX;
6MP). Dopo un periodo di relativo benessere (ca.2mesi)
con stabilità dell’imaging, improvviso peggioramento
sintomatologico (vomito, senso di pienezza gastrica),
per cui ripeteva TAC-addome: “incremento della pseudocisti con dislocazione e compressione di stomaco e
strutture viciniori”. La raggiunta maturità della capsula
pseudocistica giustificava il drenaggio endoscopico
(800 ml di liquido color cioccolato, esame biologico:
lipasi 3530 UI/l; amilasi 29225 UI/l; esame colturale:
Enterobacter-Cloacae, con emocolture negative)
mediante cistogastrostomia posteriore, con posizionamento di stent. Successivo miglioramento delle condizioni globali della paziente che permettevano la ripresa
della chemioterapia (Protocolli-III). Le pseudocisti pancreatiche tendono a risolversi spontaneamente(soprattutto se di diametro <6,5 cm) per cui se il paziente è stabile,è indicato il monitoraggio. In caso di progressivo
ingrandimento, rottura/emorragia della pseudocisti o
segni di compressione gastrica, è indicato l’intervento
chirurgico. Il drenaggio della pseudocisti tramite cistogastrostomia o cistodigiunostomia-secondo-Roux-en-Y
è la procedura di scelta. Nel nostro caso la grave complicanza ha influito sulla prosecuzione-pianificazione
terapeutica (eliminazione dei Blocchi-HR, possibilità di
FMD-TMO) influenzando l’outcome prognostico della
paziente.
D021
UNA SEPSI NEONATALE CON LEUCOCITOSI E
PIASTRINOPENIA PROTRATTE
P. Milite, G. Aloj, N. Marra, G. De Simone,
M. Ripaldi, E. Iaccarino, G. Menna, V. Poggi
Scuola di Specializzazione in Pediatria, Dipartimento di
Scienze Mediche Traslazionali, Università degli Studi
Federico II, Napoli, Italy
M.M., neonato, a termine ricoverato ad 11 giorni di
vita per febbre e onfalite. Gravidanza e fenomeni perinatali nella norma. All’ingresso splenomegalia, piastrinopenia (PLT 42.000/µL), policitemia (Hb 18,8 g/dl),
monocitosi (1991/µL), aumento indici di flogosi, emocoltura e urinocoltura negative, RX torace negativo,
lieve proteinorrachia e pleiocitosi con esoantigeni
liquorali negativi, PFO, FO ed eco-TF nella norma. Nel
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
sospetto di sepsi iniziava terapia con AmpicillinaSulbactam e Gentamicina con risoluzione della febbre
dopo 48 ore. Infusione di PLT random con transitorio
miglioramento della piastrinopenia. Dimissione a 22
giorni di vita con indici di flogosi negativi e conta piastrinica normale. Ad otto settimane di vita consulto
ematologico per leucocitosi (WBC 91.570/µL), monocitosi (AMC 27.450/µL), anemia (Hb 8,1g/dL), piastrinopenia (PLT 28.000/µL), epatosplenomegalia, linfoadenopatie inguinali, ascellari e laterocervicali. I test
infettivologici escludevano infezioni del complesso
TORCH, HIV, EBV, virus epatitici maggiori. L’esame
morfologico del sangue periferico evidenziava precursori mieloidi, monociti ed eritroblasti maturi; l’HbF era
nella norma per età (29,2%). L’ago aspirato midollare
mostrava elementi mieloidi in ogni fase maturativa con
rari elementi immaturi; alla citofluorimetria assenti
linee cellulari monoclonali con quota monocitaria del
20-25%. L’analisi citogenetica mostrava cariotipo
maschile normale e la biologia molecolare escludeva
traslocazioni tipiche delle leucemie mieloidi acute del
bambino. Veniva riscontrata mutazione del gene NRAS
compatibile con la diagnosi di leucemia mielomonocitica giovanile (JMML). La JMML è un raro disordine
ematopoietico clonale, con esordio precoce, caratterizzato da febbre, pallore, ritardo di crescita, leucocitosi
con monocitosi, piastrinopenia, splenomegalia, infiltrati
leucemici cutanei, incremento dell’HbF, ipersensibilità
dei precursori ematopoietici al G-CSF. La quota dei blasti nel sangue midollare è <20%. Il 90% dei pazienti
presenta mutazioni somatiche a carico dei geni
NRAS/KRAS, PTPN11, NF1, CBL mutualmente esclusive, in assenza di mutazioni responsabili della leucemia mieloide acuta. Nel 25% dei casi è presente monosomia del cromosoma 7. La diagnosi differenziale va
posta con sepsi neonatale, malattia di Wiskott-Aldrich,
infezioni da virus erpetici e parvovirus B19. Ad oggi
l’unica opzione terapeutica è il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (HSCT). La terapia pre-HSCT
più efficace è costituita dalla 5-Azacitidina che viene
intrapresa in relazione alle condizioni cliniche del
paziente.
da 4 mesi e riscontro alla TC del bacino di lesione
osteolitica di 4 cm. L’esame obiettivo non evidenziava
linfoadenopatie superficiali nè epato-spenomegalia.
Normale l’emocromo e i restanti esami ematochimici.
Negativi Rx torace ed ETG addome. La RMN del bacino confermava la presenza di lesione espansiva del versante destro del sacro, infiltrante il soma vertebrale S1.
Veniva eseguita biopsia della lesione e l’esame istologico descriveva neoplasia a piccole cellule di natura sarcomatosa. I preparati della biopsia venivano inviati
presso l’Anatomia Patologica di Padova per revisione
istologica: Quadro citologico di neoplasia a piccole cellule (possibile Sarcoma di Ewing); il profilo immunofenotipico mostrava positività per gli antigeni CD99,
TdT, CD19, CD79a, negativi CD3, CD5, citocheratine
AE1/3, NSE. Sebbene l’aspetto citologico è compatibile con un sarcoma di Ewing, l’immunofenotipo consente la diagnosi di Neoplasia linfoide maligna a piccole
cellule dei precursori B (Linfoma linfoblastico B). Si
proseguiva con l’esecuzione di biopsia osteomidollare
bilaterale. L’esame morfologico dell’aspirato di sangue
midollare da cresta iliaca destra documentava cellule
blastiche linfoidi pari al 6% della cellularità totale che
all’analisi immunofenotipica erano compatibili con blasti EARLY B. Le apposizioni della biopsia ossea omolaterale e prossimale alla sede della lesione osteolitica
evidenziavano una franca presenza di blasti linfoidi
immaturi, quantizzabili in circa il 70% della cellularità
totale. L’esame morfologico e le apposizioni della biopsia ossea da cresta iliaca sinistra evidenziavano normale emopoiesi in assenza di infiltrazione linfoblastica.
Il paziente ha pertanto iniziato trattamento chemioterapico secondo protocollo EURO LB 02 IV stadio con
rapida risposta al trattamento e raggiungimento di una
remissione completa. Il paziente è attualmente in RCC.
CONCLUSIONI: Il caso descritto riporta una presentazione rara di linfoma linfobastico perché esordiva
con apparente lesione ossea isolata suggestiva per neoplasia ossea e/o sarcoma. La biopsia ossea contigua alla
neoformazione presentava una infiltrazione midollare.
Fondamentale per la diagnosi la caratterizzazione
immunofenotipica.
D022
D023
INUSUALE PRESENTAZIONE DI UNA NEOPLASIA
LINFOIDE DEI PRECURSORI B: IMPORTANZA
DELLA DIAGNOSI DIFFERENZIALE
M.P. Falcone1, G. D’Angelo1, F. Lotti1, C. Calabrese1,
A. Dell’Anna1, D. De Giovanni1, M. Foglia1,
B. Santangelo1, R. De Santis2, L. Miglionico2,
A. Spirito2, M. Maruzzi2, A. Ciliberti2, A. Maggio2,
M. Pettoello-Mantovani1, S. Ladogana2
1Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università
degli Studi, Foggia; 2UOC Oncoematologia Pediatrica,
IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni
Rotondo (FG), Italy
CONFRONTO MULTIDISCIPLINARE PER UNA
CORRETTA DIAGNOSI STRUMENTALE ED
ISTOLOGICA
S. Cardellicchio1, L. Drovandi1, T. Casini1,
A.L. Perrone2, A. Buccoliero3, C. Olianti4, F. Tucci1,
A. Tondo1, C. Favre1
1Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO
Oncoematologia Pediatrica; 2Dipartimento di
Radiologia, Azienda Ospedaliero, Universitaria Meyer,
Firenze; 3Dipartimento di Anatomia Patologica;
4Dipartimento di Fisiopatologia Medica, UO Medicina
Nucleare, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi,
Firenze, Italy
Paziente di 13 anni, sesso maschile, inviato alla
nostra osservazione, nel mese di Aprile 2012, dai colleghi dell’Ortopedia per dolore in regione sacrale destra
Bambino di 11 anni giunge alla nostra osservazione
per febbre e dolore in regione claveare sinistra, esteso
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Dati per letti
agli arti superiori. Gli esami ematici evidenziano
aumento degli indici di flogosi; la radiografia standard
mostra area ovalare cistica alla diafisi della clavicola
sinistra compatibile con focolaio osteomielitico, confermato alla Risonanza Magnetica. Viene intrapresa terapia antibiotica (ceftriaxone, oxacillina, teicoplanina).
Dopo iniziale riduzione degli indici di flogosi, si ripresenta febbre con linfoadenopatia laterocervicale e
sovra-claveare bilaterale associate a splenomegalia:
diagnosi sierologica di mononucleosi infettiva. Le condizioni cliniche migliorano: il bambino è dimesso. Due
mesi dopo, in seguito a trauma contusivo, compare
dolore a spalla e braccio destro con risvegli notturni e
febbricola, in assenza di reperti radiografici significativi. L’esame obiettivo conferma un’isolata adenomegalia sovra-claveare destra. Indagini infettivologiche
negative. Su indicazione ortopedica si effettua scintigrafia ossea che mostra multiple sedi di captazione ed
RMN total-body con mdc che documenta interessamento osseo multifocale simmetrico (scapole, sterno, clavicole, arto superiore dx e sx, femori, articolazioni sacroiliache, D5), compatibile con un quadro di Osteomielite
Cronica Ricorrente. Poiché le sequenze DWIBS a livello della corticale di entrambi i reni evidenziano alcune
aree rotondeggianti marcatamente positive, con difetto
di perfusione dopo mdc, nel sospetto di patologia neoplastica, si esegue un aspirato midollare, negativo, ed
una PET che conferma le zone ad intenso metabolismo
congruenti alla RM. Si opta per asportazione di linfonodo superficiale e biopsia ossea. L’esame istologico
descrive, sia sul preparato linfonodale che su quello di
tessuto osseo, una proliferazione di elementi linfonodali
di piccola taglia compatibile con linfoma linfoblastico
B ad immunofenotipo complesso: CD 99, vimentina,
CD 10, CD79A, TdT, CD34, BCL2 positivi; CD 20,
CD3, CD 45 negativi. L’istologia viene confermata alla
revisione istologica del Gruppo di Lavoro Linfomi Non
Hodgkin AIEOP. E’ stato eseguito trattamento chemioterapico secondo protocollo EURO-LB 02 con ottima
risposta clinica e radiologica alle rivalutazioni effettuate a fine induzione e reinduzione (negatività del quadro
PET e RM).
CONCLUSIONI: Nonostante le accurate metodiche
diagnostiche a nostra disposizione alcune presentazioni
clinicamente subdole ed aspecifiche possono risultare
difficilmente interpretabili anche a livello strumentale
ed anatomo-patologico: solo l’approccio multidisciplinare ne permette la corretta diagnosi.
D024
MANIFESTAZIONI CUTANEE DELLA LEUCEMIA
LINFOBLASTICA ACUTA: DUE CASI CLINICI
M. Robazza, F. Verzegnassi, C. Pilotto, V. Kiren,
M. Stancampiano, E. Passone, A. Nocerino,
M. Rabusin
Clinica Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria
“S. Maria della Misericordia”, Udine; IRCCS Materno
Infantile Burlo Garofolo, Trieste, Italy
Bambino di 5 anni con tumefazioni in sede restroau-
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ricolare ed al cuoio capelluto in regione parietale destra.
Ecografia: lesioni ovalari ipoecogene, a margini netti,
prive di vascolarizzazione, compatibili con cisti sebacee.
Dopo sei mesi accesso in PS per comparsa di segni di
infezione nella lesione sul cuoio capelluto; terapia antibiotica con miglioramento, esami ematici normali.
Rivalutato due giorni dopo in Ambulatorio; viene proposta ai genitori la biopsia delle lesioni, che rifiutano in considerazione della precedente diagnosi di cisti sebacee e
dell’apparente miglioramento clinico dopo l’avvio della
terapia antibiotica. Due mesi dopo il bambino viene ricondotto alla nostra attenzione per ricomparsa di segni di
sovra infezione della lesione in sede retro auricolare, di
dimensioni aumentate. Riproposta biopsia delle lesioni,
che i genitori accettano. Agli esami ematici compare pancitopenia, senza blasti circolanti, e viene perciò eseguito
anche aspirato midollare. Presenza di blasti linfoidi in
entrambe le sedi. Diagnosi: LLA common. Bambino di 10
anni con linfoadenopatia laterocervicale, sovraclaveare e
retroauricolare comparsa da 3 mesi con lesione al vertice
del capo dopo 2 mesi. Nessun segno di malattia sistemica,
emocromo normale senza evidenza di blasti circolanti,
con indici di flogosi lievamente aumentati. Mantoux, sierologia per EBV, CMV, toxoplasma, rosolia, bartonella,
tularemia negative. Funzionalità dei neutrofili normale.
Dopo trattamenti con Amoxiclavulanato, azitromicina,
ciprofloxacina miglioramento senza risoluzione della
lesione cutanea, linfadenopatia invariata. Pertanto veniva
eseguita biopsia di linfonodo laterocervicale sinistra e
della lesione cutanea. Il linfonodo mostrava all’esame
immunofenotipico infiltrazione di linfoblasti pre-B, la
lesione cutanea elementi cellulari monomorfi compatibili
con linfoblasti non identificati agenti infettivi. Blasti analoghi sono stati trovati nel sangue periferico (4.5%).
Diagnosi: LLA.
CONCLUSIONI: Varie manifestazioni cutanee si
possono osservare in pazienti affetti da patologie ematologiche maligne. Infiltrati cutanei di malattia possono
essere riscontrati in particolare nella leucemia mieloide
monoblastica e nel linfoma anaplastico a grandi cellule,
mentre molto raramente sono parte del quadro clinico
della LLA. Questi due casi clinici ricordano che la LLA
può esordire con lesioni cutanee che precedono, anche
di diversi mesi, la comparsa di segni di malattia a livello
midollare.
D025
IL MAL DI SCHIENA DA OSTEOPOROSI E
COLLASSI VERTEBRALI MULTIPLI: INUSUALE
PRESENTAZIONE ALL’ESORDIO DI LEUCEMIA
LINFOBLASTICA ACUTA IN ETÀ PEDIATRICA
D. Russo1, F. Di Marco1, C. Mosa1, V. Falcone2,
F. Ferraro2, A. Trizzino1, O. Ziino1, P. D’Angelo1
1UO di Oncoematologia Pediatrica, A.R.N.A.S. Civico,
Di Cristina e Benfratelli, Palermo; 2Scuola di
Specializzazione in Pediatria, Università di Palermo.
Italy
INTRODUZIONE: L’osteoporosi è rara in età
pediatrica, usualmente secondaria ad altre condizioni
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
patologiche. Raramente può essere una delle manifestazioni che accompagnano la leucemia linfoblastica acuta
(LLA), perlopiù nel corso del trattamento ed eccezionalmente all’esordio. Descriviamo 2 bambine che
hanno presentato come unico sintomo d’esordio dolori
diffusi al rachide per diversi mesi, prima che venisse
definita una diagnosi di LLA common.
CASO 1: D.M., 11 anni e 4 mesi, femmina, si ricovera per lieve anemia (Hb 9,6 g/dl,) neutropenia
(480/mmc) e piastrinopenia (57.000/mmc), dopo circa 4
mesi di dolore al rachide e zoppia ingravescente, trattato con ibuprofene e paracetamolo con scarso beneficio.
All’E.O. dolenzia al rachide, con difficoltà al mantenimento della stazione eretta. Lo studio dell’aspirato
midollare ha permesso di definire una diagnosi di LLA
common con t(1;19). La Rx del rachide ha mostrato collassi vertebrali multipli al tratto dorsale (Figura 1A). La
densitometria ossea ha confermato valori mineralometrici compatibili con osteoporosi severa.
CASO 2: C.N., 13 anni, femmina, si ricovera per il
riscontro di persistente leucopenia e neutropenia (Hb
9,8 gr/dl, GB 1.560/mmc, PMN 640/mmc, PLTS
238.000/mmc). Circa 2 mesi prima del ricovero comparsa di dolore in regione lombare. Alla Rx della colonna refertata soltanto una scoliosi ad ampio raggio dx
convessa dorso-lombare. All’E.O. importante rachialgia
invalidante, con difficoltà nella stazione eretta e nella
deambulazione. Lo studio dell’aspirato midollare ha
permesso di definire una diagnosi di LLA common
senza traslocazioni. La Rx della colonna ha evidenziato
riduzione in altezza del soma di alcune vertebre dorsali
a livello del medio inferiore, con minimo aspetto avvallato della limitante somatica superiore di D12, L1 e L2
con riduzione severa del tenore calcico (Figura 1B).
Alla densitometria ossea netta riduzione del tenore calcico lungo tutta la colonna.
Figura 1: La radiografia della colonna rileva osteoporosi e collassi vertebrali multipli al tratto dorsale sia nella paziente 1 (A),
che nella paziente 2 (B). A livello del tratto lombare entrambe
presentano avvallamento delle limitanti somatiche.
CONCLUSIONI: Il mal di schiena, se persistente ed
invalidante, può essere unica manifestazione all’esordio
di una LLA e merita un serio approfondimento diagnostico. Entrambi le bambine sono stata arruolate al protocollo AIEOP LLA 2009, hanno intrapreso terapia orale con
vit. D e calcio carbonato, ed hanno dovuto applicare un
estensore a 3 appoggi per mitigare la cifosi dorsale ed
impedire la progressione del danno vertebrale.
D026
EFFICACIA E SICUREZZA DELL’ASSOCIAZIONE
BORTEZOMIB-RITUXIMAB NELLA LEUCEMIA
LINFOBLASTICA ACUTA pre-B DEL BAMBINO
RECIDIVATA E/O RESISTENTE
E. Cannata, P. Samperi, S. D’Amico, M. La Spina,
A. Di Cataldo, G. Russo, L. Lo Nigro
Centro di Riferimento Regionale di Ematologia ed
Oncologia Pediatrica, Azienda Policlinico, OVE,
Università di Catania, Catania, Italy
BACKGROUND: La LLA pre-B del bambino recidiva
nel 20% dei casi. Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche allogenico (Allo-TCSE) offre un’opportunità terapeutica per i casi ad alto rischio (HR) e/o in
recidiva, con elevata espressione del CD20. E’ indispensabile una remissione molecolare ai trattamenti di
seconda linea. Nuovi farmaci, come il Bortezomib e
l’anti-CD20 (Rituximab) possono dimostrarsi efficaci.
CASO 1: Maschio di 6 anni con LLA pre-B, diagnosticata all’età di 2 anni, trattato con Protocollo
AIEOP-R-2006, prednisone good responder (PGR),
fascia di rischio standard, presenta recidiva midollare
dopo 8 mesi dallo stop terapia, e viene arruolato nel
Protocollo AIEOP-REC-2003-S2. Dopo 2 blocchi riceve FLA-DNX (Fludarabina-Aracytin-Daunoxome), tre
blocchi BFM, seguiti da CLOVE (Clofarabina-VP16Ciclofosfamide), mostrando ripresa blastica. Si esegue
terapia con Bortezomib(1,3 mg/mq in 4 dosi/ciclo)Erwinase(20.000 U/mq per 7 dosi ciclo)-Vincristina
ottenendo la remissione morfologica, ma non molecolare. Un secondo ciclo più Rituximab (375 mg/mq settimanali), induce una MRD di 1x10-3. Dopo condizionamento (TBI-VP16-Ciclofosfamide) viene eseguito
Allo-TCSE da sorella HLA compatibile. Dopo 8 mesi,
si presenta una recidiva midollare. Raggiunta la remissione molecolare con un protocollo-B modificato, il
piccolo viene avviato a un secondo trapianto usando lo
stesso donatore dopo condizionamento BusulfanoMelphalan, ma muore 6 mesi dopo per GVH polmonare
associata a ripresa di malattia.
CASO 2: Maschio di 8 anni con Sindrome di Down
affetto da LLA pre-B diagnosticata all’età di 2 anni,
Protocollo LLA R-2006, PGR, Rischio intermedio. A
18 mesi dallo stop-terapia presenta una recidiva midollare. Arruolato nel Protocollo AIEOP-REC-2003-S2,
dopo 10 cicli in fase di mantenimento, mostra una
nuova recidiva midollare. Inizia ciclo CLOVE,
mostrando ripresa blastica (30%) nel BM e una tossicità
infettivologica di 3ª grado. Si decide per una terapia con
Bortezomib-Rituximab-Desametazone-VincristinaErwinase, somministrati in regime di DH, raggiungendo la remissione molecolare. In base alla presenza di
alterazione ABL è stato ripetuto un secondo ciclo più
Dasatinib. Un mese dopo la fine del ciclo, il piccolo è
morto per ripresa di malattia.
CONCLUSIONI: La nostra esperienza conferma
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Dati per letti
che l’associazione Bortezomib-Rituximab con
Erwinase può esser somministrata con efficacia (negativizzazione MRD) e sicurezza (in DH) in seconda linea
in bambini affetti da LLA pre-B con recidiva precoce.
D027
CASISTICA LINFOMA DI HODGKIN
REGGIO CALABRIA
G. Iaria, B. Greve, A. Iero, P. Cufari, F. Ronco
Divisione di Ematologia dell’AO Bianchi Melacrino
Morelli, Reggio Calabria, Italy
Sono stati trattati presso il centro di R.C. negli ultimi
20 anni 19 pazienti di cui 10 femmine e 9 maschi. Età
media d’insorgenza 11 anni. Un paziente era in stadio IA,
10 in stadio IIA, 1 IIB, 5 IIIA, 1 IIIB, 1 IV A per localizzazione polmonare. 12 sono stati arruolati nel Prot. LH
2004; 4 nel Prot. MH 96; 3 non arruolati. Chemioterapia
di prima linea 15 COPP-ABV, 4 ABVD (1 arruolato nel
protocollo LH 2004 in stadio IA, 3 in stadio III fuoriprotocollo). Seconda linea (4 ragazze e 1 ragazzo): 3IEP,
2IGEV. Salvataggio (3 ragazze e 1 ragazzo): 3BEACOPP, 1 DECRAL. 2 ragazze e 1 ragazzo hanno effettuato autotrapianto. 4 maschi e 2 femmine hanno effettuato
la raccolta del seme o tessuto ovarico. Un ragazzo e una
ragazza hanno presentato come complicanza processo
embolico polmonare. Una ragazza ha invece presentato
osteonecrosi della testa del femore. Nonostante l’andamento più sfavorevole delle ragazze, 3 ragazzi, che
hanno iniziato il trattamento all’età di 16a, hanno presentato disturbi psichiatrici da stress: disturbo DOC, etilismo, attacchi di panico per cui effettuano trattamenti psichiatrici. Di questi, due ragazzi, trattati nel gruppo terapeutico, sono andati in remissione completa dopo 2 cicli
COPP/ABV; solo 1 ha effettuato 6ABVD; per persistenza di malattia al termine ha effettuato CHT di salvataggio
e autotrapianto ed attualmente è in remissione completa.
Si vuole evidenziare l’andamento peggiore delle pazienti
di sesso femminile e la più elevata frequenza di disturbi
psichiatrici nel pz. di sesso maschile.
D028
SINDROME DA LEUCOENCEFALOPATIA
POSTERIORE REVERSIBILE IN PAZIENTE CON
LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA
D. De Giovanni1, C. Calabrese1, F. Lotti1,
B. Santangelo1, A. Dell’Anna1, M.P. Falcone1,
M. Foglia1, R.M. Melino1, R. De Santis2,
L. Miglionico2, M. Maruzzi2, A. Spirito2, A. Ciliberti2,
A. Maggio2, M. Pettoello-Mantovani1, S. Ladogana2
1Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università
degli Studi, Foggia; 2UOC Oncoematologia Pediatrica,
IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni
Rotondo (FG), Italy
Paziente di 14 mesi, affetto da Leucemia
Linfoblastica Acuta fenotipo CD 10+. Arruolato nel
Protocollo AIEOP-BFM-LLA 2009. In anamnesi, due
mesi prima, 3 episodi di paralisi del VII nervo cranico,
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RMN encefalo negativa; eseguita terapia steroidea
(pochi giorni). Al ricovero addome globoso, inappetenza,
all’emocromo: GB 34880/mcl, N 5340/mcl, Hb 8.4 g/dl,
PLT 59000/mcl, Striscio Periferico: blasti linfoidi (52%).
Sindrome da lisi tumorale. Inizia iperidratazione, alcalinizzazione delle urine e “prefase”. TC total body “nefromegalia bilaterale, epatomegalia, splenomegalia, linfoadenomegalia, encefalo negativo”; aspirato midollare
“blasti vacuolati pari a 90% della cellularità”, rachicentesi medicata e diagnostica: negativa. Data la storia anamnestica è stato classificato come SNC3. Inizia
Chemioterapia di Induzione IA. PGR al g+8. MO g+15:
assenza di blasti. MRM-CFM 2.649%. No random.
Esegue rachicentesi aggiuntive (g+19, g+26), omessa 2ª
dose di Oncaspar. Al g+27 insorgeva ipotonia, iporeattività generalizzata, lateralizzazione dello sguardo fisso in
basso, crisi tonico-cloniche, leucopenia severa, anemia,
PLT 105000/mcl, funzionalità epatica nella norma. In
urgenza TC Cranio-Encefalica “tenue ipodensità corticosottocorticale in corrispondenza di entrambi i lobi parietali” e RMN encefalo “quadro compatibile con sindrome
da leucoencefalopatia posteriore reversibile (PRES) che
interessa il lobo temporale, regioni corticali-parietali
sinistre, verosimilmente da edema citotossico; dopo mdc
documentata tenue impregnazione delle regioni corticali
occipitali”. Sospendeva Chemioterapia e iniziava terapia
con Mannitolo, Decadron, Eparina a basso peso molecolare e Fenobarbitale e antibioticoterapia empirica.
Successivamente comparsa di ipertensione arteriosa
(esclusi problemi vascolari renali e cardiologici) che
necessitava di terapia con clonidina, calcio-antogonista e
ace-inibitore. Iniziata inoltre nutrizione parenterale totale
e trattamento fisiokinesiterapico. A distanza di 20 giorni
si assiste a un lento ma progressivo miglioramento dei
segni clinici della leucoencefalopatia con normalizzazione completa dell’imaging. Riprende la chemioterapia
prevista dal g+29 dopo circa 40 giorni. MO g+33: RC di
LLA. Completata regolarmente fase Ib. Attualmente il
paziente è in buone condizioni generali, con quadro pressorio nella norma, in terapia. La PRES si può presentare
con sintomi aspecifici e reperti radiologici di anomalie
suggestive di edema vasogenico cortico-sottocorticale
della sostanza grigio-bianca nelle regioni posteriori di
entrambi gli emisferi cerebrali. La completa reversibilità
è uno dei tratti distintivi di tale sindrome possibile solo
con un immediato ed adeguato trattamento.
D029
L’APPENDICITE COME COMPLICANZA DEL
TRATTAMENTO DELLA LEUCEMIA ACUTA
PEDIATRICA
E. Cannata1, S. Paternò1, A. Pezzulla1, P. Samperi1,
G. Belfiore2, A. Musumeci2, A. Di Cataldo1,
M. La Spina1, M.G. Scuderi3, V. Di Benedetto3,
G. Russo1, L. Lo Nigro1
1UOC Ematologia ed Oncologia Pediatrica e Trapianto
di Midollo Osseo; 2UOC Radiodiagnostica e
Radioterapia; 3UOC Chirurgia Pediatrica, Azienda
Policlinico, OVE, Università di Catania, Catania, Italy
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
BACKGROUND: Le complicanze infettive nei
pazienti affetti da leucemia acuta sono temibili e a rischio
di vita. L’appendicite, sebbene evento raro, può rappresentare una grave complicanza se non tempestivamente
diagnosticata e trattata. Descriviamo due casi con decorso
clinico differente. Caso 1. IG, 9 anni affetto da recidiva di
LLA (testis+midollo osseo). Dopo la 3ª settimana di terapia (protocollo IntReAll 2010-SR), si ricovera per neutropenia febbrile e sospetto ileo paralitico. Alla ripresa ematologica, persiste la febbre associata a neutrofilia.
Nonostante antibioticoterapia ad ampio spettro, la febbre
persiste. Una prima ecografia mostra un lieve versamento
a carico della pelvi. Dopo due giorni, persistono febbre e
neutrofilia e compare disuria. L’addome diventa poco
trattabile mostrando un Blumberg positivo. Si eseguono
una nuova ecografia e la TAC addome che mostrano
coinvolgimento appendicolare associato a versamento
peritoneale. Si asporta l’appendice, che appare necrotico/emorragica. Caso 2. CC, 6 anni, affetta da LMA. Dopo
primo ciclo ICE, compare febbre, dolore in fossa iliaca
destra e disuria. All’esame obiettivo l’addome è globoso
e trattabile. Alvo aperto a feci e gas. Al giorno +16, in
neutropenia marcata (<500/mmc) persiste la febbre nonostante la terapia antibiotica ad ampio spettro (meropenem/amikacina/metronidazolo/teicoplanina); al dolore
addominale si aggiunge il vomito. Nessuna obiettività
specifica di addome acuto. Si esegue eco-addome che
mostra lieve versamento fluido tra le anse e in sede
appendicolare. La febbre e la neutropenia persistono. Una
seconda ecografia mostra peggioramento del quadro con
appendicite. La TAC addome conferma un quadro d’interessamento appendicolare grave associato a salpingite
destra. Si esegue appendicectomia solo mediante tecnica
laparoscopica. Il decorso post-operatorio, in entrambi
casi, ha mostrato una scomparsa istantanea della febbre e
la normalizzazione del quadro ematologico.
CONCLUSIONI: I due casi hanno dimostrato come
la presentazione clinica sia legata alla risposta infiammatoria, che nel primo caso ha sostenuto una forma
classica con rischioso coinvolgimento peritoneale ma
che nel secondo caso non è stata manifesta vista la neutropenia. Nei casi di febbre non responsiva agli antibiotici, associata a sintomatologia addominale, è fortemente suggerita l’esecuzione di ecografia e/o TAC addome
che permettano una diagnosi di certezza di appendicite
per eseguire l’intervento chirurgico risolutivo.
D030
UTILIZZO DI CATETERI VENOSI CENTRALI AD
INSERZIONE PERIFERICA IN PAZIENTI PEDIATRICI
AFFETTI DA MALATTIE ONCOEMATOLOGICHE
SOTTOPOSTI A CHEMIOTERAPIA E A TRAPIANTO
DI CELLULE STAMINALI EMATOPIETICHE;
L’ESPERIENZA DEGLI SPEDALI CIVILI DI BRESCIA
S. Benvenuti1, R. Ceresoli2, F. Porta2, D. Alberti1
1Clinica Chirurgica Pediatrica; 2Oncoematologia
Pediatrica e CTMO, Università degli Studi di Brescia;
AO Spedali Civili, Brescia, Italy
INTRODUZIONE E OBIETTIVI: Si presentano i
risultati nell’uso nel lungo periodo di Cateteri Venosi
Centrali ad Inserzione Periferica (PICC), in pazienti
pediatrici sottoposti a TCSE
PAZIENTI E METODI: Fino al Febbraio 2015 sono
stati posizionati 7 PICC Groshong in 6 pazienti con età
media 14.3 anni (10-18) affetti da Linfoma di Hodgkin,
LLA e Osteopetrosi, sottoposti a TCSE. Sei Picc sono
stati tunnellizzati secondo una tecnica da noi ideata. Si
sono inoltre posizionati 3 Midline dopo TCSE come
linea infusiva accessoria, esclusi dall’analisi. Si sono
analizzate la durata, le complicanze e le difficoltà di
gestione dei PICC.
RISULTATI: Nel periodo analizzato sono stati posizionati 7 PICC in 6 pazienti sottoposti a TCSE con una
permanenza di 209.8 giorni/pz (totale 1259 giorni;
range 79-492); tre sono stati rimossi al termine della
terapia (totale 568 giorni, range 175-371; 189.3
giorni/pz) mentre 3 sono tuttora in sede. Un PICC è
stato sostituito utilizzando la stessa via. Si riportano 3
casi di rottura del catetere. La riparazione non ha comportato sequele. Non si sono verificate complicanze
trombotiche, settiche o occlusive. Il tasso di complicanze è 3.17/1000 giorni. All’ecodoppler alla rimozione i
vasi erano pervi. Abbiamo verificato alcune dermatiti
per incongrua rimozione del sistema di fissazione.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI: L’utilizzo dei
PICC è in aumento. Persistono perplessità da parte
degli oncologi pediatrici per la novità del presidio e per
vecchie pubblicazioni su complicanze causate da incongrue metodiche di posizionamento di device obsoleti
scarsamente biocompatibili. I nuovi device, costituiti da
materiali analoghi ai CVC cuffiati, se impiantati per via
ecoguidata possono essere oggi considerati a lunga permanenza. Il posizionamento è scarsamente doloroso,
non richiede necessariamente la sedazione, può essere
eseguito bed-side, anche da parte di infermieri adeguatamente formati. La rimozione è rapida e indolore.
Queste caratteristiche riducono i costi della linea venosa centrale. La vena utilizzata può essere nuovamente
incannulata qualora necessario. L’emergenza al braccio
facilita le manovre di igiene; l’assenza di cicatrici rende
il device gradito al giovane paziente. Nella nostra esperienza il PICC a lunga permanenza nel paziente sottoposto a TCSE si è dimostrato versatile, sicuro e ben tollerato con bassa incidenza di complicazioni.
D031
REGIMI DI CONDIZIONAMENTO CONTENENTI
TREOSULFANO E FLUDARABINA NEL TRAPIANTO
ALLOGENICO DI CELLULE STAMINALI
EMATOPOIETICHE. L’ESPERIENZA DEL CENTRO
DI FIRENZE
E. Sieni, C. Sanvito, S. Frenos, E. Gambineri,
M. Veltroni, M. Aricò , D. Caselli, F. Bambi, C. Favre,
V. Tintori
Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO
Oncoematologia, AOU A. Meyer, Firenze, Italy
Regimi di condizionamento per alloTCSE contenenti TREO sono sempre più spesso utilizzati, anche in
età pediatrica, per il profilo di attività mieloablativa con
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Dati per letti
ridotta tossicità. Differenti combinazioni di farmaci
sono state descritte in associazione a TREO, prevalentemente in coorti di pazienti con malattie non neoplastiche. Descriviamo 18 bambini (età mediana: 6,9 anni;
range: 0,9-15,4 anni) sottoposti ad alloTCSE presso il
nostro Centro dal 2007 al 2014, che hanno ricevuto
regimi di condizionamento contenenti TREO(3042mg/mq) e FLU(120-160mg/mq), in associazione a
Thiotepa (8-10mg/mq) in 11/18 pazienti. TCSE da
familiare HLA-identico (n=8), da familiare aploidentico (n=3), da donatore non correlato HLA-compatibile
(n=7). Profilassi della GVHD: siero antilinfocitario di
coniglio (n=13/18), ciclosporina A (n=18/18), metotrexate (n=12/18), ciclofosfamide post-TCSE (n=2/18),
micofenolato (n=2/18). Patologie sottostanti: emoglobinopatie (n=8), immunodeficienze (n=3), linfoistiocitosi
emofagocitica familiare (n=2), mielodisplasia (n=2),
leucemia mieloide acuta (n=2), leucemia mielomonocitica giovanile (n=1). L’attecchimento è stato raggiunto
in 15/18 pazienti con un tempo mediano di 23
(range:13-38) giorni per i neutrofili e 18 (range: 14-40)
giorni per le piastrine. Dei tre pazienti che hanno rigettato, due sono stati sottoposti a 2ª alloTCSE con successo, il terzo è vivo con malattia. Cinque pazienti hanno
sviluppato un chimerismo misto: persistente in 4 casi ed
evoluto in perdita di graft in un caso, che è deceduto 4
anni dopo per complicanze della malattia di base. Si
sono verificati: 5 casi di GVHD acuta cutanea (n=3) o
gastrointestinale (n=2) di grado I-II, un caso di GVHD
cronica polmonare. Nessuna complicanza infettiva
severa né tossicità d’organo, in particolare nessun caso
di malattia veno-occlusiva. Nessun decesso correlato al
trapianto (TRM a 100 giorni: 0%). L’aggiunta di
Thiotepa non ha comportato un aumentato rischio di
complicanze a fronte di una percentuale di attecchimento del 100% (n=11/11). Ad un follow-up mediano di 25
mesi (range: 7-76 mesi) 17/18 pazienti sono vivi (OS:
95%) e 16/17 senza malattia (DFS: 94%). In conclusione, regimi di condizionamento contenenti TREO/FLU
si sono dimostrati efficaci e ben tollerati nella nostra
coorte, suggerendo il loro utilizzo non solo in malattie
non maligne, ma anche in malattie neoplastiche in
pazienti ad alto rischio di mortalità trapianto-correlata.
D032
ECTOMESENCHIMOMA, DESCRIZIONE DI UN
CASO
P. Lazzeroni1, F. Savina2, L. Leoni1, F. Neri2, S. Merli1,
A. Arlotta2, A. Barone2, P. Bertolini2
1Scuola di Specializzazione Pediatria, Università degli
Studi, Parma; 2UO Pediatria e Oncoematologia, AOU
di Parma, Italy
L.C. 18 mesi, primogenito di genitori non consanguinei. Alla nascita diagnosi di sindrome del nevo epidermico tipo Schimmelpenning, in follow-up dermatologico e
genetico, per cui erano state ricercate mutazioni somatiche di n-RAS e k-RAS, risultate negative, e si era proceduto alla ricerca di mutazioni di RAS a carico dei fibroblasti. Riscontro di criptorchidismo destro, per cui il
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bambino eseguiva periodici controlli in vista di intervento chirurgico. A 12 mesi di vita riscontro di piccola tumefazione inguinale sinistra, ecograficamente compatibile
con cisti del funicolo. Per il progressivo accrescimento
della tumefazione inguinale, il bambino veniva sottoposto ad ecografia, con riscontro di formazione solida
espansiva, delle dimensioni di 3, 8x2,9 cm, nettamente
vascolarizzata, che comprimeva nel sacco scrotale il
testicolo omolaterale. Il bambino è quindi stato inviato
alla nostra attenzione ed ha eseguito approfondimento
diagnostico mediante RM addominopelvica, con riscontro linfonodi inguinali ingranditi. Si è procededuto all’asportazione chirurgica della massa, su cui veniva posta
diagnosi istologica di ectomesenchimoma (rabdomiosarcoma embrionale+ganglioneuroma). I linfonodi asportati
risultavano indenni da malattia. La stadiazione è stata
completata mediante TC torace e scintigrafia ossea, risultate negative. La diagnosi è stata confermata dal Centro
Coordinatore con presenza del trascritto MYOD1 che è
risultata positiva sul tessuto tumorale e negativa su sangue midollare. I fattori di rischio riconosciuti secondo il
protocollo EpSSG-RMS 2005 erano tutti negativi tranne
che per l’istologia bifasica, considerata come sfavorevole. L’ectomesenchimoma è un raro sarcoma dei tessuti
molli con una morfologia bifasica mesenchimale e neuroectodermica. I fattori prognostici riportati in letteratura
definiscono la prognosi come sovrapponibile a quella
della componente neoplastica di rabdomiosarcoma. Una
sindrome con mutazione di RAS, se confermata, aumenterebbe il rischio di fragilità cromosomica e il rischio da
comparsa di secondi tumori. Sono in corso le analisi
genetiche sui fibroblasti e sul tessuto tumorale. In considerazione del quadro sindromico presentato dal bambino
e del sospetto di fragilità cromosomica legato a possibili
mutazioni di RAS e dell’assenza di altri fattori di rischio,
si optava per lo schema a basso rischio con vincristina e
dactinomicina, che è tuttora in corso.
D033
IFOSFAMIDE AD ALTE DOSI: UNA OPZIONE
TERAPEUTICA DI FACILE REALIZZAZIONE NELLA
RECIDIVA DI SARCOMA DEI TESSUTI MOLLI
P. Soloni, G. Bisogno
Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Dipartimento
della Salute della Donna e del Bambino, Università
degli Studi, Padova, Italy
INTRODUZIONE: L’ifosfamide è un agente alchilante utilizzato nel trattamento dei sarcomi alla dose di
1,8-3 g/mq per 2-5 giorni associato a mesna e iperidratazione per ridurne la tossicità. Recentemente in pazienti adulti è stata valutata una schedula protratta ad alte
dosi cumulative (Ifo-HD: 14 g/mq in 14 giorni). A differenza di altri chemioterapici, Ifo-HD sembra mantenere efficacia terapeutica anche in pazienti ricaduti già
precedentemente trattati con Ifosfamide.
CASO CLINICO: Una ragazza di 16 anni affetta da
Sarcoma Sinoviale della coscia non metastatico. Il trattamento è stato somministrato secondo il protocollo
EpSSG NRSTS2005. Dopo 4 cicli Ifosfamide (3
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
gr/mq/die per 3 giorni in 3 ore)-Doxorubicina (37.5
mg/mq/die per 2 giorni in 1 ora) la RMN non ha
mostrato sostanziali variazioni della lesione; essa è stata
quindi asportata in maniera completa (margini di resezione indenni), successivamente sono stati somministrati altri 2 cicli di Ifosfamide (3 gr/mq/die per 3 giorni
in 3 ore) e radioterapia. A distanza di 26 mesi dalla diagnosi una TAC ha riscontrato una lesione di 63x55 mm
in sede mediastinica e metastasi polmonari multiple. Il
nuovo trattamento si è basato sull’infusione continua di
ifosfamide a dosi progressivamente crescenti da 10 a 14
grammi. Dopo 2 cicli una nuova TAC ha mostrato una
riduzione della lesione mediastinica (diametro massimo
di 27x10mm) e riduzione del numero delle lesioni polmonari. Dopo altri 2 cicli (massa ulteriormente ridotta a
18x24 mm) si è proceduto alla resezione delle lesioni
residue che però ha lasciato residui macrospici. Durante
il trattamento con Ifo-HD non sono state evidenziate
tossicità maggiori, né è stato necessario supporto trasfusionale e la nostra paziente ha continuato le attività quotidiane, (compresa la frequenza scolastica). A distanza
di 27 mesi dalla recidiva la ragazza presenta una malattia stabile e una buona qualità di vita.
CONCLUSIONI: L’Ifosfamide in infusione continua ha mostrato una riduzione in termini volumetrici
della lesione che invece non si era ridotta durante la
terapia di prima linea quando lo stesso farmaco era stato
utilizzato a dosi inferiori. La somministrazione di
Ifosfamide in prima linea non rappresenterebbe quindi
un motivo per non utilizzare tale farmaco in infusione
prolungata.
D034
OSTEOSARCOMA AD ALTO GRADO IN PREGRESSO
RETINOBLASTOMA SPORADICO: FOCUS SU TALE
PROBLEMATICA
A. Tamburini, C. Cecchi, S. Cardellicchio, A. Tondo,
F. Tucci, C. Favre
AUO Anna Meyer, Firenze, Italy
A Caterina, età 131/2 aa, a novembre 2014, è stata
diagnosticato osteosarcoma osteoblastico ad alto grado,
Pgp positivo, attualmente in trattamento chemioterapico post operatorio, secondo protocollo ISG-OS2.
Caterina aveva presentato un retinoblastoma unilaterale
multifocale sporadico riscontrato all’età di 9 mesi, trattato con chemio e laserterapia e per il quale ha effettuato l’analisi molecolare del gene RB1.Tale analisi aveva
rilevato la presenza di una mutazione patogenetica, in
condizione di eterozigosi, nel DNA della bambina,
risultata assente nel DNA dei genitori. Durante l’intervento sulla lesione ossea è prelevato un frammento per
studi genetici, attualmente in corso. Dalla letteratura
sappiamo che soggetti portatori di una mutazione germinale del gene RB1presentano un rischio aumentato di
sviluppare tumori al di fuori del tessuto oculare. Molto
raramente è possibile riscontrare la presenza di pinealoblastomi o di altri tumori neuroectodermici, soprattutto
in età pediatrica. Il rischio di altre neoplasie a carico di
altri organi o apparati risulta genericamente aumentato;
la maggior parte dei tumori extraoculari descritti nei
soggetti portatori di una mutazione in RB1 sono rappresentati da osteosarcomi, sarcomi dei tessuti molli (principalmente leiomiosarcomi e rabdomiosarcomi) o
melanomi; esistono inoltre segnalazioni per tumori polmonari, della vescica o altri carcinomi. Generalmente
tali neoplasie si manifestano nell’adolescenza o in età
adulta. L’incidenza è aumentata a più del 50% per i
pazienti che si sono sottoposti a radioterapia mentre i
soggetti che non hanno ricevuto terapia radiante presentano comunque un maggior rischio durante tutta la vita
di sviluppare un tumore ad insorgenza tardiva, rispetto
alla popolazione generale. Questo caso inoltre ci permette di rifare un punto su come minimizzare questo
rischio per il soggetto affetto, come effettuare un adeguato follow-up e come comportarsi in epoca riproduttiva; inoltre va adeguatamente valutato anche il rischio
dei collaterali (fratelli, zii, cugini).
D035
E’ UTILE IL MONITORAGGIO PLASMATICO DEL
PROPRANOLOLO NELLA TERAPIA
DELL’EMAGIO-ENDOTELIOMA KAPOSIFORME?
S. Cardellicchio, A. Tamburini, C. Cecchi,
L. Drovandi, M. Veltroni, L. Filippi, C. Favre
Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO
Oncoematologia Pediatrica; Azienda Ospedaliero
Universitaria Meyer, Firenze, Italy
Bambino nato da gravidanza normodecorsa con
parto vaginale spontaneo alla 40+2 sett, PN 3350, IA 910. In ottava giornata giunge presso la Terapia Intensiva
Neonatale del nostro ospedale per distress respiratorio
ingravescente e quadro di coagulazione intravascolare
disseminata. L’iniziale sospetta eziologia infettivoimmunologica è stata esclusa dai reperti clinico-laboratoristici. Le indagini strumentali (ecografia e TC) hanno
mostrato in sede toraco-addominale neoformazione
solida espansiva prevertebrale con estensione dalla
biforcazione della trachea alla biforcazione dell’aorta
iliaca. Sono state avviate le indagini diagnostiche del
caso: markers tumorali specifici negativi, mieloaspirato
negativo; la biopsia chirurgica ha posto iniziale diagnosi di lesione di natura fibrosarcomatosa. Sulla base del
referto non definitivo, il piccolo ha eseguito inizialmente trattamento con vincristina ed actinomycina-D come
da protocollo AIEOP EpSSG-NRSTS 2005. Al fine di
ridurre la sindrome da coagulopatia da consumo, verosimilmente dipendente dalla presenza del tumore, lo
schema è stato modificato con l’introduzione di ciclofosfamide, proseguendo vincristina settimanale in associazione a prednisone (2 mg/kg/die) in attesa della centralizzazione istologica. La valutazione istologica è
stata chiusa ponendo diagnosi di emangio-endotelioma
kaposiforme. L’emangio-endotelioma kaposiforme rappresenta una rara neoplasia dell’etàpediatrica e della
adolescenza associata al fenomeno Kasabach-Merritt
gravato da una mortalità per complicanze emorragiche
fino al 30%. Alla luce del nuovo referto è stato quindi
sospeso il protocollo chemioterapico in corso ed inizia-
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Dati per letti
ta terapia con propranololo come da dati presenti in letteratura (dose raccomandata 2mg/kg/die) e progressiva
riduzione del cortisonico fino a sospensione. Dopo
un’iniziale progressiva risposta, con diminuzione del
volume della lesione nella sua porzione più spessa al
passaggio toraco-addominale, si è verificata una stabilizzazione. Pertanto dopo circa 8 mesi di trattamento
ben tollerato dal punto di vista clinico (un solo episodio
di ipoglicemia), è stato effettuato monitoraggio farmacologico della concentrazione ematica del propranololo
ed aumentato il dosaggio pro/kg, in base alla propranololemia, considerando come range di efficacia quello
riconosciuto in letteratura (picco di 40 microg/L a due
ore dall’assunzione). Attualmente il dosaggio raggiunto
per mantenere una risposta terapeutica in termini di
riduzione della massa nei vari controlli RM, eseguiti
ogni 4 mesi, è 4mg/kg/die (in atto da 6 mesi). Il trattamento sarà proseguito fino a prova della sua efficacia.
D036
PROTOCOLLO LINES. ARRUOLAMENTO ITALIANO
NEL BRACCIO LOW RISK
M. Conte, K. Mazzocco, A. Pezzolo, A.R. Sementa,
L. Varesio, M. Nantron, G. Bracciolini, P. Bertolini,
A. Castellano, V. Cecinati, P. D’Angelo,
F. De Leonardis, S. Mastrangelo, P. Pierani, M. Podda,
E. Tirtei, A. Tondo, E. Viscardi, S. Vetrella,
G. Zanazzo, A.R. Gigliotti, A. Di Cataldo
Per il Gruppo Italiano Neuroblastoma, Italy
Da maggio 2012 è attivo in Italia il protocollo LINES
per il neuroblastoma (NB) a rischio basso ed intermedio.Lo studio è articolato in tre differenti “sezioni” di
arruolamento: LR (low risk) comprensivo di 6 gruppi
terapeutici, IR (intermediate risk) con 4 gruppi e lo studio
osservazionale NAM per le masse soprarenali perinatali.
Il braccio LR arruola casi di NB in stadio L2 con età alla
diagnosi inferiore a 18 mesi e casi in stadio MS.
L’allocazione al gruppo terapeutico dipende oltre che
dallo stadio di malattia dalla presenza di sintomi alla diagnosi (LTS) e dal tipo di profilo genomico del tumore
(NCA=anomalie cromosomiche numeriche o SCA=anomalie segmentarie). I casi con profilo genomico non
disponibile e/o non interpretabile non sono eleggibili allo
studio e sono considerati gruppo storico. Al febbraio
2015, 29 casi sono arruolati nel braccio LR, di cui 22
assegnati ad uno dei 6 gruppi terapeutici e 7 al gruppo
storico (5 per profilo non informativo e 2 per decorrenza
dei termini di arruolamento). 18 casi sono stati diagnosticati con biopsia “open” e 11 con agobiopsia eco guidata
della massa, il materiale tumorale è risultato in tutti i casi
idoneo per lo studio isto-biologico del tumore. Dei 10
casi inseriti nel gruppo 1 (L2 no SCA e no LTS) uno del
gruppo osservazionale ha sviluppato una progressione
locale (PM) ed è vivo in RC a 10 mesi dopo chirurgia e
chemioterapia di salvataggio. Altri 4 casi, 3 nel gruppo 4
e uno nel gruppo 5 hanno sviluppato un evento, locale in
3 casi a distanza in un caso (cute+fegato). Tutti sono
attualmente vivi in RC con un follow up medio di 8 mesi.
| 86 |
D037
PROTOCOLLO LINES: STATO DELL’ARRUOLAMENTO
IN ITALIA DEL GRUPPO INTERMEDIATE RISK
S. Marino1, A.R. Gigliotti2, M. Conte2, K. Mazzocco2,
R. Defferrari2, A. Pezzolo2, A.R. Sementa2,
A. Castellano3, P. D’Angelo4, F. De Leonardis5,
S. Mastrangelo6, M. Podda7, A. Tondo8, S. Cesaro9,
E. Viscardi10, M. Bianchi11, M. La Spina1,
S. D’Amico1, L. Lo Nigro1, G. Russo1, A. Di Cataldo1
Per il Gruppo di Lavoro AIEOP Neuroblastoma, Centri
AIEOP di 1Catania; 2Genova; 3Roma, Bambin Gesù;
4Palermo; 5Bari; 6Roma, Gemelli; 7Milano, INT;
8Firenze; 9Verona; 10Padova; 11Torino, Italy
Lo studio europeo Low and Intermediate risk
Neuroblastoma European Study (LINES), attivo in
Italia dal 2012, raggruppa in un unico protocollo terapeutico pazienti con neuroblastoma (NB) a rischio
basso (LR) ed intermedio (IR). L’IR comprende bambini: di età maggiore di 18 mesi con NB localizzato
senza amplificazione di MYCN di stadio INRG L2;
con NB localizzato asportato radicalmente, di stadio
INRG L1, con amplificazione di MYCN; di età inferiore o uguale a 12 mesi con NB metastatico a scheletro, polmone e SNC, senza amplificazione di MYCN.
Sono stati identificati 4 gruppi terapeutici (gruppo 78-9-10). A differenza del LR, nel IR, il profilo genomico viene studiato solo per comprenderne prospetticamente il ruolo prognostico. Nell’IR l’istotipo, differenziante vs scarsamente differenziato o indifferenziato, rappresenta un fattore prognostico significativo e
guida la scelta del trattamento, rispettivamente 4 cicli
di chemioterapia contro 6 cicli seguiti da radioterapia
ed acido 13-cis retinoico (gruppi 7 e 8). Nel gruppo 9
i bambini, operati radicalmente all’esordio, ricevono
un trattamento adiuvante con 6 cicli di chemioterapia,
radioterapia ed acido 13-cis retinoico. Infine il trattamento del gruppo 10 ripropone quello del protocollo
INES 99.3. I pazienti per i quali l’istologia non sia
disponibile e/o interpretabile, non sono inclusi nel
protocollo, ma ugualmente analizzati. Sono stati
arruolati 19 pazienti, 17 assegnati a uno dei 4 gruppi,
e 2 non eleggibili per dato istologico incompleto.
Nove di essi (47%) avevano malattia localizzata mentre 10 (53%) malattia metastatica. Dei 9 pazienti con
malattia localizzata, 8 (89%) sono stati diagnosticati
mediante biopsia chirurgica e 1 (11%) in seguito ad
exeresi radicale della massa. Sono state segnalate 2
progressioni di malattia: una in un paziente di gruppo
8, ora in remissione parziale dopo terapia di seconda
linea; l’altra in un bambino di gruppo 9, successivamente deceduto. Degli altri 17, quattro sono stati
reclutati solo da poche settimane, mentre dei 13 che
hanno completato il trattamento, 11 sono in remissione completa e 2 hanno un residuo minimo di malattia.
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
D038
D039
OSTEOSARCOMA PRIMITIVO DELLA TECA
CRANICA: CASO CLINICO
S. Merli1, L. Leoni1, F. Neri2, F. Savina2, P. Lazzeroni1,
A. Arlotta2, A. Barone2, P. Bertolini2
1Scuola di Specializzazione Pediatria, Università degli
Studi di Parma; 2UO Pediatria e Oncoematologia, AOU
di Parma, Italy
TUMEFAZIONI DELLA GUANCIA:
A COSA PENSARE?
C. Cecchi, S. Cardellicchio, E. Sieni, A. Tamburini,
C. Favre
Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO
Oncoematologia Pediatrica, AOU A. Meyer, Firenze,
Italy
G.M, maschio, 5 anni, etnia caucasica; da circa 2
mesi progressiva comparsa di tumefazione indolente a
livello occipitale. In anamnesi: negli ultimi mesi riferiti
3 traumi cranici lievi in tale sede; vivacità ed accrescimento staturo-ponderale regolari. Ottobre 2014: per il
progressivo aumento delle dimensioni della tumefazione, eseguiva ecografia dei tessuti molli, che documentava tessuto disomogeneo ed ipervascolarizzato a verosimile partenza ossea; l’esame radiologico standard
confermava la presenza di osteolisi occipitale. Veniva
quindi eseguita biopsia a cielo aperto che evidenziava
tessuto neoplastico. E’ stata eseguita in urgenza RMN
encefalo che evidenziava una lesione occupante spazio
a partenza dall’osso occipitale, che si estendeva sia
superficialmente ai tessuti molli del cranio che in
profondità con soluzione di continuo dell’osso e presenza di tessuto patologico livello della volta cranica con
compressione dell’encefalo. Veniva deciso intervento
neurochirurgico di asportazione della massa e posizionamento di derivazione ventricolare esterna; l’esame
istologico risultava diagnostico per Osteosarcoma
Osteoblastico primitivo della teca cranica (Grado III),
non valutabili i margini di resezione. Il decorso postoperatorio in terapia intensiva veniva complicato da
emorragia cerebellare, evacuata, ed idrocefalo secondario, che richiedeva posizionamento di derivazione esterna poi ventricolo-peritoneale. Ad avvenuta stabilizzazione delle condizioni generali, con netto miglioramento degli esiti neurologici, abbiamo consigliato stadiazione mediante TC torace e scintigrafia ossea risultate
negative per lesioni secondarie (o primitive). E’ stato
deciso di trattare con chemioterapia adiuvante secondo
schema MAP. In considerazione delle complicanze
post-chirurgiche, si è deciso di posticipare la prima
somministrazione di Metotrexate in coda ai restanti
cicli; la rivalutazione strumentale all’ottava settimana
ha mostrato assenza di malattia. L’osteosarcoma primitivo della teca cranica è estremamente raro in età pediatrica; i casi totali ad oggi riportati in letteratura sono 36.
Costituisce circa l’11% degli osteosarcomi del distretto
testa-collo, che a loro volta sono circa il 5% degli osteosarcomi e il 1% delle neoplasie maligne in età pediatrica. Il trattamento delle forme localizzate si avvale di
chirurgia radicale e chemioterapia adiuvante con
Metotrexate, Adriamicina, Carboplatino ed Ifosfamide.
Il tasso di sopravvivenza a 5 anni per l’osteosarcoma
della teca cranica è attualmente dal 9 all’11%. Il principale fattore prognostico è attualmente la radicalità dell’intervento chirurgico.
Il distretto craniocervicofacciale presenta ampia
tipologia istologica per la quantità di tessuti presenti
(cute, linfatico, neurogeno e delle strutture salivari). Le
lesioni più frequentemente riscontrate sono: cisti della
ghiandola parotide o malformazioni arterovenose, cisti
o neoplasie del dotto di Stenone, tumori benigni e primitivi maligni delle ghiandole parotidi accessorie,
emangiomi, tumori dermoidi, lipomi, fibromi, cisti
sebacee, neuroma, neurofibroma, schwannoma, ematomi, adenopatia benigna (iperplasia o adeniti), patologia
maligna (sarcomi, linfomi, carcinomi delle ghiandole
salivari), metastasi (carcinoma a cellule squamose,
melanoma, meningioma, adenocarcinoma). Alla nostra
osservazione sono giunti 3 casi clinicamente simili ma
con diversa evoluzione: 1) Bambina di 12 anni con
ingravescenti dolore e tumefazione emivolto dx. Il seno
mascellare destro alla Tc massiccio facciale risultava
occupato da neoformazione solida a carattere espansivo. Abbiamo eseguito agobiopsia: l’esame istologico
poneva diagnosi di Fibroma ossificante giovanile
aggressivo. Seguiva intervento di resezione e ricostruzione e poi è stata avviata a follow up. 2) Bambino di
12 anni con ingravescenti dolore e tumefazione a sede
sotto-angolo-mandibolare-parotidea destra di consistenza dura. La TC collo mostrava massa solida avvolgente la branca ascendente-angolo mandibolare ed il
condilo con dislocazione e compressione delle strutture
adiacenti ed interessamento della cavità articolare.
Eseguita biopsia Tc guidata: l’esame istologico poneva
diagnosi di osteosarcoma osteoblastico ad alto grado.
La stadiazione mostrava malattia localizzata. Il paziente
è stato trattato con chemioterapia e immunoterapia
secondo protocollo ISG/OS2 associate a chirurgia di
asportazione e ricostruzione: la necrosi risultava massiva. Il paziente è attualmente in follow up multidisciplinare. 3) Bambino di 9 anni con dolore all’emivolto
destro e tumefazione parotidea dx di consistenza dura,
linfoadenopatia (laterocervicale, sottoangolomandibolare dx e sovraclaveare sx). La Tc collo mostrava alterazione morfostrutturale a carattere osteolitico del condilo mandibolare ascendente dx a localizzazione prevalentemente ossea con estensione extraossea. L’esame
istologico della biopsia Tc guidata poneva diagnosi di
Istiocitosi a cellule di Langerhans. E’ stato trattato con
indometacina per un anno e poi avviato a follow up
neuro-endocrinologico.
CONCLUSIONI: Data l’ampia varietà di natura
delle lesioni riscontrabili e del loro conseguente ampio
spettro prognostico, suggeriamo di eseguire sempre
esame bioptico per impostare un adeguato piano di trattamento in base alla diagnosi istologica.
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Dati per letti
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XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
MEDICI - Relazioni
LA RETE PSICO-ONCOLOGICA REGIONALE
PIEMONTESE: UN MODELLO CONSOLIDATO
C. Peirolo1, M. Bertolotti2
1Psicologa-Psico-Oncologa; 2Psicologa Responsabile
Psico-Oncologia, SC Oncoematologia Pediatrica e
Centro Trapianti, Presidio OIRM, Torino, Italy
La Rete di Psico-Oncologia Pediatrica piemontese
nasce nel 2006 dalla gemmazione della Rete di
Oncologia e Oncoematologia Pediatrica, approvata
quest’ultima da D.G.R. n° 30/14272 del 6/12/2004, con
l’obiettivo di promuovere gli aspetti psicologici e di
umanizzazione inerenti l’ambito della cura su tutto il
territorio interregionale Piemonte e Valle d’Aosta.
Nello specifico la Rete si occupa di 2 ambiti di attività:
attività clinico assistenziale; attività organizzativa – formativa. Il primo consiste nell’offrire supporto psicologico nelle varie fasi di malattia, dalla diagnosi all’offtherapy ed è rivolta ai pazienti e ai famigliari (genitori /
fratelli). Lo scopo è di limitare le interferenze della
malattia tumorale sulla crescita: accompagnando il
paziente lungo il suo percorso di cura, sostenendo la
qualità della relazione terapeutica offerta dall’équipe
curante e salvaguardando, per quanto possibile, la qualità della vita presente e futura del bambino/adolescente
e della sua famiglia. In genere i pazienti utilizzano il
servizio psicologico di Rete in un periodo successivo a
quello della diagnosi, in cui viene offerto a tutti un
primo contatto e un eventuale approfondimento presso
il Centro HUB. Nel caso il paziente abbia un’età superiore ai 18 anni o genitori che necessitino di un supporto
farmacologico esiste una collaborazione attiva con la
Psico-Oncologia adulti (Presidio Molinette). Il secondo
prevede momenti di riunione coordinati dal Servizio di
Psiconcologia del Centro HUB, allo scopo di condividere criticità e sviluppi del lavoro in Rete. I referenti dei
Centri SPOKE sono psicologi e/o neuropsichiatri infantili inseriti nei servizi di Psicologia o Neuropsichiatria
Infantile (NPI), che dedicano, per competenza e su
mandato del direttore della Struttura di appartenenza,
una “corsia preferenziale” ai pazienti seguiti clinicamente nei Centri SPOKE. Inoltre è previsto nel Centro
HUB un lavoro in rete costante e attivo con i servizi di
supporto quali Sevizi Sociali, Scuola di ogni ordine e
grado, sia Ospedaliera sia di Territorio e Associazioni di
Volontariato (ad es. UGI). La Rete utilizza come strumento comune di lavoro e di scambio la scheda di complessità1 prevista nei Percorsi Diagnostico Terapeutici
Assistenziali [PDTA] della Regione Piemonte e rappresenta un importante mezzo per la valutazione della
“complessità globale” attraverso l’analisi di 4 aree: biologica, psicologica/psichiatrica, sociale e assistenziale.
Ogni area ha degli indicatori ai quali viene assegnato un
punteggio, utile all’attribuzione della “complessità globale”. La scheda viene compilata all’esordio della
malattia, ad ogni cambiamento significativo nel percorso di cura e all’off- therapy. Il base alla disfunzione biologica, al rischio psicologico, alla vulnerabilità sociale
e alla criticità assistenziale, indicatori questi delle varie
aree e, mediante lo score assegnato all’Impatto sulla
vita, viene deciso il livello di intervento più appropriato
da attuare per il paziente e la sua famiglia. Inoltre la
scheda consente una raccolta dati utile al monitoraggio
dell’evoluzione clinica/assistenziale e dei cambiamenti
psicologici/psichiatrici e sociali del paziente che è possibile condividere in Rete. Indubbiamente i benefici che
derivano da un lavoro in Rete sono molteplici: ottimizzazione delle risorse; livelli di intervento più appropriati; diminuzione dei costi; non sentirsi isolati ma parte di
un progetto comune. Naturalmente non si può dimenticare il vantaggio che per primo ha stimolato la nascita
della Rete, ovvero la maggiore vicinanza del paziente e
della sua famiglia al proprio domicilio per affrontare
parte del percorso di cura, infatti se si garantisce un
buon intervento “periferico” i costi diminuiscono (sia
per la struttura, sia per l’economia familiare) e ne è salvaguardata la qualità di vita. Per quanto concerne le criticità, che si possono definire meglio come punti deboli
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Relazioni
o carenti, esse possono riguardare: la mancanza di psicologi dedicati /non presenti in tutti i Centri SPOKE ma
collocati in altre sedi che possono allungare i tempi di
una reale presa in carico del paziente e/o della sua famiglia; la difficoltà nell’avere rimandi dei casi che vengono inviati in Rete; il difficile rapporto/condivisione riferito dai Centri SPOKE con i Servizi di Supporto del territorio, rispetto al Centro HUB che è visto come unico
riferimento per il paziente. A tal proposito, il forte legame che si crea tra i pazienti e il Centro HUB (che
riguarda non solo l’aspetto medico/infermieristico ma
anche quello psicologico) talvolta può minacciare la
concreta presa in carico o passaggio al Centro SPOKE,
per tale ragione occorre, in un’ottica futura di crescita,
investire nel sostenere e dare sempre maggiore fiducia
al lavoro in Rete.
1
In sede congressuale verrà presentata nel dettaglio la Scheda
di Complessità.
LA PET IN ONCOLOGIA PEDIATRICA:
STATO DELL’ARTE
A. Cistaro
Positron Emission Tomography Centre IRMET S.p.A.,
Euromedic inc., Turin; Co-ordinator of PET Pediatric
AIMN InterGroup; Associate researcher of Institute of
Cognitive Sciences and Technologies, CNR, Rome, Italy
La Tomografia a Emissione di Positroni fornisce
informazioni di tipo fisiologico del distretto anatomico
esaminato. Mentre altri metodi di scansione, come la
TAC e la RMN permettono di identificare alterazioni
organiche e anatomiche nel corpo umano, le scansioni
PET sono in grado di rilevare alterazioni a livello biologico molecolare, che spesso precedono l’alterazione
anatomica, attraverso l’uso di marcatori molecolari.
Sempre più frequentemente, le scansioni della PET
sono raffrontate con le scansioni a Tomografia
Computerizzata, fornendo informazioni sia anatomiche
e morfologiche, sia metaboliche in un’unica seduta
mediante PET/CT. La PET in oncologia ha le seguenti
indicazioni: stadiazione e ristadiazione a fine terapia;
monitoraggio delle terapie antineoplastiche; caratterizzazione metabolica di lesioni sospette neoplastiche;
ricerca di tumori primitivi occulti; ricerca del miglior
punto di una lesione da cui effettuare una biopsia; pianificazione di trattamenti radioterapici. Prima di effettuare trattamenti radioterapici è necessario definire i
volumi da trattare. Solitamente tale operazione è svolta
con l’ausilio di immagini TC o RMN. La PET, fornendo
indicazioni funzionali sui tessuti a seconda del radiotracciante utilizzato (metabolismo, ipossia, angiogenesi, apoptosi, etc), consentono altri approcci nella definizione dei volumi di trattamento, con maggiore precisione all’interno delle stesse aree neoplastiche. Al momento sono in corso diversi studi sull’argomento, per numerosi istotipi e con valutazione delle immagini sia qualitativa che semi-quantitativa mediante SUV. Il tracciante
più utilizzato in oncologia è il 18fluorodesossiglucosio
(18F-FDG), glucosio che in posizione 2, invece di
un ossidrile, presenta un atomo di fluoro 18 emettitore
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di positroni. Tale farmaco viene captato in maggior
misura dai tessuti neoplastici in quanto metabolicamente più attivi e per il fatto che la loro principale via metabolica per il sostentamento energetico è la glicolisi
anaerobia. Anche i tessuti ove è in atto il fenomeno
dell’infiammazione captano avidamente FDG, e lo stesso vale per la muscolatura sotto sforzo. Altro tessuto
avidamente captante l’FDG è il tessuto adiposo bruno e
il timo, che è ancora ben rappresentato nel paziente
pediatrico. Le patologie oncologiche più frequentemente studiate mediante 18F-FDG PET sono: i linfomi di
Hodgkin e quelli non Hodgkin; sarcomi e osteosarcomi;
neuroblastoma MIBG negativo; epatoblastoma; tumori
neuroendocrini (con 18F-DOPA o traccianti recettoriali
marcati con 68Ga); tumori cerebrali
LINFOMI: In questi ultimi anni diversi lavori hanno
evidenziato come l‟utilizzo della PET con FDG possa
rappresentare un importante strumento diagnostico sia
nei linfomi di Hodgkin che non Hodgkin, sia dell’adulto
che del paziente pediatrico. Poiché la prognosi e la scelta
terapeutica dipendono dallo stadio di malattia è indispensabile eseguire una serie di indagini atte a precisare, con
la maggior accuratezza possibile, l’estensione anatomica
del linfoma. Con l’avvento delle nuove terapie multimodali ed il tentativo di ridurre al minimo la tossicità somministrata ai pazienti, modulandola in base dell’estensione della patologia, una corretta stadiazione è indispensabile al fine di potere successivamente instaurare una terapia il più possibile personalizzata. La PET con FDG
appare un’accurata metodica in questo contesto, permettendo un accurato staging e stabilendo precocemente se la
risposta alla terapia è stata completa (la scomparsa di tutte
le aree visualizzate all’indagine pre-terapia in quella post
è considerata indice di remissione completa), parziale o
non c’è stata, e così influenzando i successivi trattamenti.
E’ dimostrato che, almeno per i linfomi di Hodgkin dell’adulto, la negativizzazione della interim PET correli con
la prognosi dei pazienti. Per ridurre la captazione dovuta
all’infiammazione post-trattamento e quindi la possibilità
di falsi positivi, e ridurre la possibilità di presenza di stunning cellulare e quindi la possibilità di falsi negativi, gli
esami post-terapia devono essere eseguiti almeno 3-4 settimane dopo l’ultimo trattamento chemioterapico e almeno 2-3 mesi dopo l’ultimo radioterapico. Rimangono
ancora quesiti a tutt’oggi aperti, quale la corretta interpretazione del residuo di malattia, in parte risolto nell’adulto
con l’applicazione del metodo Deuville, e la valutazione
di recidiva o persistenza di malattia in sede mediastinica
anteriore e splenica in presenza di rebound timico e attivazione funzionale splenica.
SARCOMI E OSTEOSARCOMI: La captazione
dell’FDG da parte di queste lesioni neoplastiche dipende molto dall’istotipo. La PET nei sottotipi tumorali
captanti (osteosarcoma, Sarcoma di Ewing, rabdomiosarcoma) è usata in associazione ad altre tecniche per:
definire il grading metabolico delle lesioni, guidando le
biopsie, stadiare la malattia all’esordio, ristadiarla dopo
terapia e valutare la risposta a nuovi trattamento terapeutici. La corretta stadiazione del polmone è estermamente rilevante in questi pazienti, modificando significativamente la prognosi del paziente. La TC ad alta
XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
risoluzione ha una elevata sensibilità ma una specificità
piuttosto bassa. La PET sembra migliorarne questo ultimo aspetto, se le dimensioni dei nodi polmonari sono di
almeno 1cm e con SUVmax>1. Tuttavia, vi sonoi alcuni
limiti da superare in questo ambito, quale la diagnosi
differenziale tra recidiva locale di malattia e attivazione
midollare, o la definizione del residuo minimo di malattia. D’altro canto, la PET offre come unica metodica, la
possibilità di valutare precocemente la risposta a nuovi
trattamenti, spesso molto costosi, e la possibilità di
costruire planning radioterapici mirati sulle aree ipermetaboliche (quindi vitali) di una grande massa morfologicamente evidente.
TUMORI CEREBRALI: La PET in questo settore è
ampiamente in via di grande sviluppo. La PET con
FDG è consolidata: nella caratterizzazione di lesione
encefaliche, per distinguere lesioni a basso ed elevato
grading; per eseguire biopsie mirate su grandi masse a
differente aspetto; in fase di ristadiazione dopo trattamento di tumori ad alto grado, nel sospetto di ripresa o
persistenza di malattia; nella diagnosi differenziale fra
radionecrosi e recidiva di neoplasia ad alto grado. I
limiti della metodica risiedono nel fatto che anche la
sostanza grigia encefalica capta avidamente FDG, pertando è necessario conoscere a priori le dimensioni
della lesione e la localizzazione (sostanza bianca o grigia). Sono stati sintetizzati e sono in studio traccianti
alternativi. Uno dei più usati nei centri ove è disponibile
un ciclotrone è la metionina marcata con 11C (marker
che rileva l’aumentata sintesi proteica) in grado di rilevare sia lesioni primitive del cervello sia secondarie, e
che presenta una bassa captazione a livello dei tessuti
cerebrali sani. Non da ultimo l’avvento di nuove macchine ibride, che prevedono l’acquisizione delle immagini contemporanee di risonanza magnetica e di tomografia ad emissione di positroni.
TRATTAMENTO DELLA LEUCEMIA LINFOBLASTICA
ACUTA NEGLI ADOLESCENTI: RISULTATI E
TOSSICITÀ
V. Conter, A. Colombini
Clinica Pediatrica, Università Milano Bicocca,
Ospedale San Gerardo, Monza (MB), Italy
I progressi ottenuti nel trattamento della leucemia
linfoblastica acuta (LLA) dell’età pediatrica e dell’adolescenza rappresentano un grande successo della medicina moderna. Infatti, la probabilità di sopravvivenza
libera da malattia (EFS) a 5 anni dalla diagnosi per i
pazienti di età inferiore a 18 anni è passata da meno del
10% nei primi anni ’60 all’attuale 80%, con una sopravvivenza del 90%.1,2 Questo successo si è ottenuto grazie
ai progressi nella caratterizzazione immunofenotipica e
genetica delle cellule leucemiche e nella valutazione
della risposta alla terapia misurata come malattia residua minima (MRM), che hanno permesso di elaborare
strategie terapeutiche mirate ai singoli gruppi di rischio,
e ad una graduale intensificazione del trattamento, resa
possibile dal miglioramento della terapia di supporto.
In questo contesto si sono sviluppate strategie spe-
cifiche per pazienti con LLA con riarrangiamento BCRABL e per bambini con età <1 anno alla diagnosi, assai
frequentemente carratterizzate da riarrangiamenti del
gene MLL ed altre caratteristiche prognosticamente sfavorevoli. Le prime sono trattate generalmente come
LLA ad alto rischio con l’aggiunta di un inibitore di
tirosinchinasi con un netto miglioramento dei risultati
rispetto al passato, tale da far cadere l’indicazione generalizzata al trapianto di midollo osseo (TMO) per questi
pazienti. Il secondo gruppo è invece candidato a trattamenti innovativi che devono ancora essere validati.3
Alcuni gruppi di oncologia pediatrica hanno sviluppato
strategie specifiche anche per le LLA-T, ma di solito i
protocolli per LLA non-B mature includono tutti i sottogruppi di LLA, eccetto per i due citati sopra. L’età
limite per l’eleggibilità ai protocolli pediatrici è tuttora
oggetto di dibattito; in passato il limite era solitamente
<15 anni, ma negli ultimi 20 anni è stato portato a <18
anni nella maggior parte dei protocolli, e ad una età
ancora maggiore in alcuni protocolli. In questo contesto, studi comparativi in pazienti con LLA nella fascia
di età tra i 15 e i 20 anni, trattati con protocolli pediatrici o per adulti, hanno permesso di dimostrare che i protocolli pediatrici erano molto più efficaci.4 Tale differenza è stata attribuita ad un impiego maggiore di vincristina, cortisone, metotrexate ad alte dosi e L-asparaginasi e in generale ad una maggior intensità terapeutica. A partire dagli anni 2000 pertanto i pazienti di età
inferiore ai 18 anni sono stati sempre più riferiti a centri
pediatrici, e i protocolli per giovani adulti sono stati
disegnati seguendo le strategie pediatriche.
L’esperienza pediatrica evidenzia peraltro che negli
adolescenti i risultati sono meno favorevoli e la tossicità
nettamente maggiore sia a breve e a lungo termine
rispetto a bambini di età 1-9 anni. La prognosi meno
favorevole negli adolescenti è in parte spiegata dalle
caratteristiche genetiche e di immunofenotipo meno
favorevoli dei blasti leucemici, come la bassa frequenza
di iperdiploidia, la rarità di riarrangiamento ETV6RUNX1 e la maggior frequenza di ipodiploidia, riarrangiamento MLL-AF4, iAMP 21, delezione di IKZF1,
lesione di CRLF2, e BCR-ABL like ». In conseguenza
di queste caratteristiche i bambini di età ≥10 anni hanno
una probabilità molto maggiore di presentare una scarsa
risposta alla terapia iniziale, e quindi essere allocati
nella fascia ad alto rischio e anche di avere indicazione
ad essere trattati con TMO in prima remissione completa. Nello Studio AIEOP-BFM 2000, in cui la stratificazione era basata solamente su caratteristiche biologiche
e sulla risposta iniziale alla terapia, la probabilità essere
trattati nel braccio ad alto rischio è stata del 21% nei
pazienti di età ≥10 anni rispetto 12% in quelli di età
inferiore. Ciò è stato dovuto soprattutto ad una più alta
frequenza di pazienti con una scarsa risposta alla terapia
steroidea (PPR), e/o assenza di remissione completa
(RC) dopo 5 settimane di terapia e/o elevati livelli di
MRM alla settimana +12 di terapia. Anche l’incidenza
delle ricadute, come atteso sulla base della minor sensibilità alla terapia iniziale, è stata nettamente maggiore
nei pazienti di età ≥10 anni, per cui l’EFS a 5 anni dalla
diagnosi di LLA in questi pazienti è stato inferiore di
| 91 |
Relazioni
oltre 10% rispetto a quelli di età <10 anni. Un aspetto
potenzialmente contributivo, e considerato a questo
proposito, riguarda anche la aderenza al trattamento,
per atteggiamenti di rifiuto che possono avere un impatto negativo sulla assunzione di terapia, particolarmente
se somministrata a domicilio per via orale.
Relativamente alla tossicità acuta, nello Studio AIEOPBFM 2000 il rischio di eventi avversi severi, di eventi
life-threatening e di eventi fatali nei pazienti di età ≥10
anni è stato circa 3 volte maggiore rispetto a rispetto ai
bambini di 1-9 anni di età sia nella fase di Induzione
della remissione che in RC, ovvero dopo aver raggiunto
la remissione completa. Questa esperienza è peraltro
simile a quella riscontrata anche nei protocolli di altri
gruppi di oncologia pediatrica, come COG e DFCI, con
cui vengono trattati anche pazienti rispettivamente fino
a 30 e 50 anni di età; è interessante a questo proposito
il riscontro di profili di tossicità simili tra adolescenti e
giovani adulti in questi protocolli. Gli adolescenti presentano anche una minor tolleranza a trattamenti con
vari farmaci antiblastici. Tra questi vanno annoverati i
farmaci steroidei, la L-Asparaginasi e le terapie con
metotrexate ad alte dosi. In particolare gli adolescenti
presentano un rischio maggiore di presentare diabete
metasteroideo, aumento dei livelli di trigliceridi, di bilirubina e di transaminasi epatiche in corso di terapia con
L-Asparaginasi e lenta clearance del metotrexate somministrato a 5g/mq in 24 ore. Un’altra complicazione
grave, che può esitare in sequele importanti, e che si
verifica elettivamente nella fascia di età 10-20 anni è
l’osteonecrosi (ON). Questa patologia che è rara nei
bambini di età <10 anni alla diagnosi trattati per LLA
(circa 1% dei casi), si riscontra in circa il 10% degli
adolescenti, e con frequenza minore in soggetti di età
>20 anni. L’ON negli adolescenti con LLA viene diagnosticata assai frequentemente in articolazioni maggiori, con rischio di necessità di interventi protesici
ancora da determinare, e verosimilmente riducibile
mediante una diagnosi precoce. In conclusione, la LLA
negli adolescenti rappresenta una entità specifica in
ambito pediatrico, non solo per il rischio maggiore di
presentare caratteristiche biologiche a prognosi sfavorevole, ma anche per la necessità di particolare attenzione alla tolleranza e tossicità del trattamento, e agli
aspetti psicologici.
BIBLIOGRAFIA
1. Molecular response to treatment redefines all prognostic factors in children and adolescents with B-cell precursor acute
lymphoblastic leukemia: results in 3184 patients of the
AIEOP-BFM ALL 2000 study. Conter V. et al. Blood 2010;
115: 3206-14.
2. Late MRD response determines relapse risk overall and in
subsets of childhood T-cell ALL: results of the AIEOPBFM-ALL 2000 study. Schrappe M. et al. Blood 2011;
118: 2077-84.
3. Imatinib after induction for treatment of children and adolescents with Philadelphia-chromosome-positive acute
lymphoblastic leukaemia (EsPhALL): a randomised, openlabel, intergroup study. Biondi A. et al. Lancet Oncol 2012;
13: 936-45.
4. Should adolescents with Acute Lymphoblastic Leukemia be
treated as old children or young adults? Comparison of the
French FRALLE-93 and LALA-94 trials. Boissel N. et al.
JCO 2003; 21: 774-80.
| 92 |
SIMPOSIO: RIORGANIZZAZIONE DELLA RETE
ONCOLOGICA PEDIATRICA. VALIDAZIONE DELLA
RETE DI ONCOEMATOLOGIA PEDIATRICA DEL
PIEMONTE E DELLA VALLE D’AOSTA
F. Fagioli, N. Bertorello, E. Barisone, P. Quarello,
G. Zucchetti
SC Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti
Cellule Staminali, Città della Salute e della Scienza,
Presidio OIRM, Torino, Italy
INTRODUZIONE: Il tumore in età pediatrica e
adolescenziale rappresenta una patologia rara, di grande interesse biologico e di estrema rilevanza sociale e
di sanità pubblica, nella quale la multidisciplinarietà
ha comportato un evidente miglioramento della prognosi e della qualità di vita. In alcuni paesi, in particolare quelli con risorse economiche elevate, la sopravvivenza dei tumori infantili ha raggiunto oggi l’80%.
Ciò è avvenuto attraverso l’attivazione di protocolli
clinici multicentrici utilizzati nella totalità dei centri
italiani di Oncoematologia Pediatrica e grazie al
miglioramento delle terapie di supporto [1-2]. Per
quanto riguarda il Piemonte e la Valle d’Aosta negli
ultimi anni si sono rese necessarie attività coordinate
tra il Centro di Riferimento Regionale [HUB] (responsabile: dr.ssa Franca Fagioli, direttore SC
Oncoematologia e Centro Trapianti), identificato nel
Polo Oncologico di Torino, con sede presso l’AO
OIRM, e le Unità Satellite [SPOKE], dislocate su tutto
il territorio del Piemonte e della Valle d’Aosta. E’ nata
così la Rete di Oncologia e Oncoematologia Pediatrica
di Piemonte e Valle d’Aosta, approvata con il D.G.R.
n°30/14272 del 6.12.2004 con l’obiettivo di fornire
risposte immediate e adeguate alle esigenze della
popolazione e di garantire le cure appropriate per le
patologie oncologiche del bambino e dell’adolescente
in accordo con quanto previsto dalle specifiche linee
guida nazionali (BU. n. 236 del 7.10. 1999; BU n. 415670 del 16.4.2013) [3]. La “Rete” non è quindi un
modello gerarchico, ma un modello organizzativo
dove l’integrazione è qualcosa di più della semplice
relazione fra strutture erogatrici, che nel loro insieme
costituiscono un sistema e una squadra. Compito della
Rete è il coordinamento delle attività assistenziali:
presa in carico diagnostico-terapeutica con approccio
multidisciplinare, assistenza psicologica, riabilitazione psicologica, fisica e sociale, collaborazione con il
Territorio (Pediatri di Libera Scelta, medici di
Medicina Generale, medici dei Presidi Ospedalieri e
delle Strutture di Oncoematologia per adulti) e con le
associazioni di volontariato, terapia del dolore e cure
palliative, monitoraggio a lungo termine dei soggetti
guariti. Inoltre la Rete partecipa alla programmazione
di studi collaborativi epidemiologici, biologici, clinici
e psicologici. I modelli e i metodi organizzativi proposti e adottati di fronte agli specifici bisogni assistenziali che scaturiscono dalla patologia oncologica
richiedono dunque un processo di monitoraggio
costante al fine di poter verificare i miglioramenti e i
cambiamenti prospettati, nonché la qualità di quest’ultimi. Dati questi presupposti, è evidente come diventi
XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
di attuale e prioritaria importanza rivalutare il modello
organizzativo di tipo HUB/SPOKE esistente in
Piemonte e Valle d’Aosta, al fine di poterne proporre
uno rinnovato nei contenuti e negli intenti.
OBIETTIVI: Il progetto si propone di rivalutare il
modello organizzativo di tipo HUB/SPOKE esistente in
Piemonte e Valle d’Aosta. Nello specifico, lo studio
intende rispondere all’esigenza di monitorare e valutare
i percorsi clinici e assistenziali promossi dalla Rete
attraverso la costruzione di valutazioni ad hoc da cui
emergeranno le azioni da mettere in atto per creare e
validare un nuovo modello organizzativo di tipo clinico
assistenziale a rete basato sulle reali necessità dei professionisti che vi operano e dell’utenza che ne usufruisce. Quest’ultimo aspetto risulta particolarmente importante nella misura in cui un percorso condiviso di scambio e partecipazione diventa il mezzo attraverso il quale
giungere a strutturare percorsi assistenziali ottimali per
la gestione del paziente pediatrico con diagnosi di
malattia oncoematologica e per consentire nel tempo un
migliore impiego delle risorse ed una maggiore efficacia delle prestazioni erogate.
DISEGNO DELLO STUDIO E PROCEDURE: Si
tratta di uno studio trasversale multicentrico
(HUB/SPOKE). Sono stati costruiti due specifici questionari somministrati sia ai professionisti sia ai pazienti
(con diagnosi di LLA) e alle loro famiglie, allo scopo di
valutare la loro percezione in merito alla qualità del percorso clinico-assistenziale offerto dal modello a Rete. I
questionari sono stati costruiti attraverso una serie di
indicatori1 usati in letteratura per descrivere il concetto
multidimensionale di qualità in ambito ospedaliero
adattati in conformità a quanto proposto e sottolineato
dal documento riguardante l’approvazione dello schema di convenzione tra la Regione Piemonte e la Valle
d’Aosta per la riorganizzazione e il prosieguo delle attività della Rete. Per ogni indicatore scelto sono stati formulati specifici item al fine di monitorare le diverse
attività enunciate nel documento, in particolare
nell’’Articolo 3 della Deliberazione della Giunta
Regionale 16 aprile 2013, n. 41-56702. Un terzo questionario, ripreso e adattato dal Gruppo dei colleghi
dell’Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale dell’Emilia
Romagna è stato somministrato ai professionisti appartenenti al Centro HUB e alle Unità SPOKE al fine di
indagare il modo in cui questi percepiscono e si figurano la Rete e il suo funzionamento. I questionari sono
stati inviati alle mailing list dei professionisti, mentre
per la somministrazione dei questionari ai pazienti e
alle famiglie ci si è avvalsi della collaborazione di uno
psicologo che ha somministrato di persona i questionari
ai pazienti e alle famiglie (garantendo loro l’anonimato). Il momento della data collection è stato dunque
parte integrante del processo di empowerment garantendo momenti di condivisione di valori, strumenti saperi
ed esperienze significative allo scopo di promuovere
azioni di cambiamento e child empowerment.
RISULTATI:3 I questionari sono stati compilati da
80 professionisti (F=83%; Metà=43.7) (medici, infermieri esperti e/o coordinatori infermieristici e psicologi
psicoterapeuti) (participation rate 80%), bilanciati in
merito al Servizio di Appartenenza (HUB e SPOKE) e
da 50 pazienti (F=52%; Metà=10,2) e dai loro genitori
(F=74%). Il 64% delle famiglie risiede a Torino, mentre
la restante percentuale si suddivide tra la provincia di
Torino (Lanzo, Moncalieri, Caselle), Biella, Santhià,
Alba e Aosta. Per quanto riguarda l’opinione dei professionisti in merito alla Rete questa sembra essere tendenzialmente positiva in termini di: Accessibilità dei servizi (Mean=19; range 0-25), Appropriatezza dell’iter diagnostico e terapeutico (Mean=28; range 0-35),
Tempestività delle cure e del trattamento (Mean=23;
range 0-25), Efficacia (Mean=15; range 0-20), Sicurezza
(Mean=8; range 0-10), Continuità Ospedale-Territorio
(Mean=16; range 0-20), Centralità del Paziente
(Mean=19; range 0-25), Empowerment dei Cittadini
(Mean=13; range 0-15) e Gestione del Personale
(Mean=15; range 0-20). Anche l’opinione dei pazienti e
delle loro famiglie in merito al modello a Rete risulta
essere relativamente positiva. Nello specifico, buone
percezioni emergono rispetto all’Autonomia percepita
dai pazienti (Mean=13; range 0-15), al livello di
Comunicazione e Confidenzialità (Mean=13; range 015), alla percezione di Dignità (Mean=4; range 0-5), alla
Tempestività (Mean=9; range 0-10) alla Fiducia (Mean=4;
range 0-5), all’Utilizzo dei Servizi di Supporto
(Mean=15; range 0-20), e al Confort ambientale
(Mean=35; range 0-50). Per quanto riguarda invece le
relazioni tra i nodi della Rete HUB e SPOKE queste
sembrano essere presenti in maniera sia formale sia
informale.
DISCUSSIONE: Sebbene in linea generale lo studio metta in luce la buona percezione del modello a
Rete da parte dei professionisti, dei pazienti e delle
famiglie, i Centri (HUB/SPOKE) si sono già adoperati
per rispondere ed intervenire alle/sulle criticità emerse.
Presso il Centro HUB ad esempio, vista la criticità
emersa in merito agli spazi e alle attività dedicate ai
pazienti adolescenti, è stato creato e adibito uno spazio
a loro dedicato e, dal mese di marzo, sono iniziate attività di Cineforum in collaborazione con il Museo del
Cinema di Torino. Sempre presso il Centro HUB è stato
installato il collegamento della rete WI-FI (come richiesto dall’utenza) ed è in corso la ri-strutturazione (logistica e ambientale) dell’Ambulatorio. Un’attenzione
particolare si sta dando anche alle attività della “Scuola
in Ospedale” con la proposta di un progetto pilota
(scuola via Skype) che coinvolge alcuni bambini del
Centro HUB. Lo studio ha poi messo in luce le relazioni
tra i nodi che beneficeranno di un processo di empowering come ad esempio alcune relazioni all’interno degli
SPOKE (personale medico infermieristico e il personale di supporto) e le relazioni tra gli infermieri (categoria
che risulta dinamica e attiva) e alcuni nodi come ad
esempio il Laboratorio Analisi, la Medicina
Trasfusionale e l’Endocrinologia presso il Centro HUB.
Inoltre, la Rete si propone di portare avanti altre attività
di cambiamento/miglioramento tra le quali: Attività di
Empowerment di Rete per la riduzione di complicazioni
legate al trattamento; Attività di Empowerment di Rete
per il potenziamento della sicurezza (training adeguati
in merito alla sicurezza) per il personale medico-infer-
| 93 |
Relazioni
mieristico; Attività di Empowerment di Rete per la formazione del personale medico infermieristico per la
presentazione adeguata della rete psiconcologica ai
pazienti; Attività di Empowerment di Rete per il miglioramento dell’aspetto di continuità ospedale territorio
(cure palliative), ma soprattutto per il processo di transizione dei pazienti off therapy maggiorenni; Attività di
Empowerment di Rete per l’Empowerment dei cittadini: attività di promozione e sensibilizzazione dei cittadini per la conoscenza della patologia per eventuali diagnosi precoci e per il monitoraggio dei soggetti a
rischio. Si tratterebbe di attività di empowerment professionale che andrebbe ad agire su un processo di
empowerment individuale del cittadino stesso potenziando la sua consapevolezza e la sua conoscenza;
Attività di Empowerment di Rete per migliorare la
comunicazione tra medici, psicologi e personale dei servizi di supporto sia all’interno del Centro HUB che del
Centro SPOKE; Attività di Empowerment di Rete per
garantire la presenza degli psicologi e dei servizi di supporto all’interno dei Centri SPOKE e favorire la comunicazione tra i professionisti di queste aree sia all’interno dello stesso Centro SPOKE che con il Centro HUB;
Attività di Empowerment di Rete per il riconoscimento
del lavoro svolto in Rete da parte delle Autorità (presentazione della Rete in occasioni particolari; maggiore
attività scientifica).
CONCLUSIONI: Lo studio permette considerazioni e riflessioni interessanti in merito alla percezione (di
professionisti e utenza) della qualità dei percorsi clinici-assistenziali offerti dal modello a Rete, rappresentando un primo punto di partenza per la strutturazione di
strategie operative di intervento-miglioramento nell’ottica dell’empowerment della Rete di Oncologia
Pediatrica di Piemonte e Valle d’Aosta. Gli output del
progetto poi, oltre a rappresentare un mezzo attraverso
il quale validare il modello a Rete già esistente, potranno fungere da linea guida per le altre Reti presenti a
livello nazionale. Come mostra lo studio descritto, l’analisi delle reti non deve essere svolta solo da un punto
di vista sanitario ed economico, ma deve fare riferimento al miglioramento della presa in carico della persona,
ponendo al centro del giudizio non solo gli operatori
della rete, ma in primis il paziente stesso e la sua famiglia. Questo aspetto, risulta ancora più importante nel
caso della Rete di Piemonte e Valle d’Aosta che pone al
centro un paziente in età pediatrica ed adolescenziale
colpito da una malattia oncoematologica.
1
2
3
Ad esempio per la costruzione dei questionari per i pazienti
si è utilizzato il concetto di “responsiveness” definito
dall’OMS come un indicatore multidimensionale che si riferisce a diversi aspetti dell’interazione tra il paziente e il sistema sanitario [4].
http://www.regione.piemonte.it/governo/bollettino/abbonati/2013/19/attach/dgr_05670_830_16042013.pdf
I risultati, specifici per ogni singolo item, verranno presentati
nel dettaglio in sede congressuale.
BIBLIOGRAFIA
1. Pession, A., Rondelli, R. I tumori dei bambini e adolescenti
in Italia. Prospettive in Pediatria 2013; 172(43): 226-232.
2. Pession, A., Rondelli, R. The italian hospital-based registry
of paediatric cancer run by AIEOP. Epidemiologia &
Prevenzione 2008; 32(2): 102-5.
| 94 |
3.
4.
La Rete di Oncologia Pediatrica. Accessibile attraverso
(www.reteoncologica.it).
WHO Regional Office for Europe (2003). Measuring hospital performance to improve quality of care in Europe: a need
for clarifying concepts and defining the main dimensions.
NUOVE PROSPETTIVE NEL TRATTAMENTO
DEL LINFOMA DI HODGKIN
F. Fagioli, N. Bertorello, P. Quarello, E. De Luna,
M. Bianchi
SC Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti
Cellule Staminali, Città della Salute e della Scienza,
Presidio OIRM, Torino, Italy
INTRODUZIONE: Il Linfoma di Hodgkin (LH) rappresenta circa il 6% delle neoplasie nei bambini (0-14
anni) e il 23% negli adolescenti (15-19 anni) [1]. Con
l’approccio radio-terapico fino ad ora utilizzato, i risultati
in termini di sopravvivenza (OS) e di sopravvivenza libera da eventi (EFS) a 5 anni sono tra i migliori ottenuti
nell’ambito delle patologie oncologiche diagnosticate in
soggetti con età <18 anni, rispettivamente 95.2% e
80.3% [2]; a causa dell’elevata mortalità e morbidità
legate alla tossicità tardiva, tali risultati sono però destinati a peggiorare nel tempo [3]. In questi pazienti (pz)
risulta quindi di primaria importanza individuare schemi
terapeutici più mirati che aumentino le probabilità di
guarigione, ma siano gravati da minori effetti tossici.
Brentuximab Vedotin: da terapia di salvataggio all’uso in
prima linea. Nonostante i progressi ottenuti nel trattamento di prima linea, il 20-30% circa dei pz con LH in
stadio avanzato non raggiunge la remissione completa e
fino al 40% presenta recidiva di malattia dopo la terapia
iniziale [4,5,6]. La chemioterapia ad alte dosi seguita da
trapianto autologo di cellule staminali (CTHD/auto
TCSE) ha migliorato i risultati in termini di sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS) e di EFS
(4,7,8) ed è considerata la strategia di scelta per il LH in
recidiva/refrattario (R/R). Tale approccio è però efficace
solo nel 50% dei casi e, per i pz che successivamente presentano R/R, la prognosi rimane tutt’ora severa [9,10]: le
diverse combinazioni terapeutiche fino ad ora utilizzate
hanno ottenuto risposte di breve durata con una OS
mediana <3 anni [11,12,13] e un tempo di sopravvivenza
mediano dopo fallimento di CTHD/auto TCSE compresa
tra 7.3 e 25 mesi [9]. Nel 2011 Brentuximab Vedotin
(BV), anticorpo monoclonale farmaco coniugato diretto
contro il CD30, è stato approvato dalla FDA (Food and
Drug Administration) per il trattamento di pz adulti con
LH dopo fallimento di CTHD/auto TCSE o di almeno 2
regimi chemioterapici in soggetti non candidati a
CTHD/auto TCSE. L’approvazione ha fatto seguito ai
risultati di uno studio di Fase II condotto in 102 pz adulti
con LH R/R dopo CTHD/auto TCSE in cui BV ha consentito di ottenere un tasso di risposta globale (ORR) e di
remissione completa (RC) rispettivamente del 75% e del
34% e un tasso di controllo di malattia pari al 96%, dimostrando elevata efficacia di BV anche in una popolazione
in cui il 71% dei pz era rappresentato da soggetti che non
avevano ottenuto una precedente RC o che avevano presentato recidiva precoce di malattia. Il valore mediano di
XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
PFS è risultato di 5.6 mesi per tutti i pz e di 21.7 mesi per
quelli che avevano raggiunto la RC. BV è stato inoltre
ben tollerato [14]. In una valutazione più a lungo termine
di questo stesso trial la OS e la PFS a 3 anni sono risultate
rispettivamente del 73% e del 58% e il 47% dei pz che
avevano ottenuto la RC è rimasto libero da malattia ad un
tempo mediano di 53.3 mesi [15]. BV ha anche dimostrato di possedere un’altra importante caratteristica, quella
di poter fungere da “terapia ponte” verso il TCSE allogenico (allo TCSE) in pz adulti con LH R/R dopo auto/allo
TCSE, permettendo di ottenere una ORR del 67%-72%
[16,17]. In uno studio condotto da Illidge et al. tutti i pz
(n=7) con LH R/R dopo auto TCSE e trattati con BV in
previsione di ricevere un allo TCSE, hanno ottenuto RC
o RP (remissione parziale) [18]. Inoltre l’uso di BV
prima di allo TCSE con condizionamento ad intensità
ridotta non ha avuto impatto negativo su attecchimento,
GVHD (graft versus host disease) e sopravvivenza [19].
Alla luce dell’elevata attività dimostrata da BV come singolo agente, sono stati disegnati e sono attualmente in
corso studi clinici che ne valutano l’uso in associazione
ad altre molecole. Nei pz con LH in prima R/R si sta studiando l’associazione di BV con DHAP (Desametasone,
HD-ARAC, Cisplatino) (NCT02280993). L’analisi ad
interim dell’utilizzo di BV con Bendamustina
(NCT01874054) ha mostrato un tasso di ORR e di RC
rispettivamente del 94% e dell’82% [20]. In prima linea
BV è stato utilizzato con chemioterapia standard: poiché
in pz con nuova diagnosi di LH la combinazione di BV
con AVD (Adriamicina, Vinblastina, Dacarbazina) è
risultata sicura ed efficace [21], è stato disegnato uno studio di Fase I che ha previsto l’uso randomizzato di
BV+AVD verso BV+ABVD (Adriamicina, Bleomicina,
Vinblastina, Dacarbazina) in pz con diagnosi di LH in
stadio avanzato: i dati riguardanti il braccio BV+AVD,
dimostrando una sopravvivenza libera da ricaduta di
malattia a 3 anni del 92% e una OS a 3 anni del 100%,
accompagnate da un accettabile profilo di tossicità [22],
oltre a costituire un importante risultato a supporto dell’uso di BV in prima linea, hanno permesso di disegnare
un ulteriore studio di Fase III, attualmente in corso, che
confronta BV+AVD e ABVD (NCT017122490). Un
altro trial di fase II sta valutando in prima linea i 2 regimi
BRECAPP
(BV,
Etoposide,
Ciclofosfamide,
Adriamicina, Procarbazina, Prednisone) e BRECADD
(BV, Etoposide, Ciclofosfamide, Adriamicina,
Procarbazina, Prednisone) e una sua analisi ad interim ha
già mostrato risultati promettenti [23]. I risultati preliminari di uno studio di fase II che contempla l’uso in prima
linea di BV in monoterapia confrontato con BV+D,
hanno mostrato un tasso di risposta del 93% nel braccio
che prevede solo BV [24]. Brentuximab Vedotin in
pediatria. Per quel che concerne la popolazione pediatrica i dati sull’uso di BV sono tuttora limitati, ma anch’essi
molto promettenti. In uno studio di Fase I/II
(NCT01492088) tuttora in corso, condotto in pz con LH
R/R trattati con BV, i risultati preliminari della Fase II
hanno infatti dimostrato una ORR del 64%, con un tasso
di RC del 21% [25]. Anche in ambito pediatrico sono
attualmente in fase di reclutamento protocolli clinici di
associazione, uno studio di Fase I/II in cui si propone
l’uso di BV con Gemcitabina (NCT01780662) e uno di
Fase 0 che prevede la combinazione di BV e Rituximab
(NCT01900496). Altre nuove strategie terapeutiche. Nei
pz con LH R/R sono state valutate anche altre molecole
target che hanno mostrato elevata attività associata ad un
accettabile profilo di tossicità. Tra gli inibitori di mTOR,
everolimus è un derivato di rapamicina il cui effetto è
stato studiato in pz con LH in quanto l’alterazione della
via di traduzione del segnale del fosfatidilinositolo 3-chinasi (PI3K)/Akt/mTor è risultata implicata nella patogenesi di questa neoplasia [26,27,28,29]. Un primo studio
di fase II, condotto nel 2010, ha valutato l’efficacia di
everolimus in 19 pz adulti con LH in recidiva, ottenendo
una ORR del 47% [30]. In uno studio successivo l’utilizzo di tale molecola in 57 pazienti adulti con HL in progressione di malattia ha mostrato una ORR del 42.1% e
una PFS mediana di 9.0 mesi [31]. Questi risultati preliminari supportano la possibilità di indagare l’attività di
everolimus anche in pz pediatrici con LH R/R. Per l’effetto antiproliferativo sulle cellule di Reed Stenberg e l’azione immunomodulatrice sul microambiente che le circonda, gli inibitori orali delle istone deacetilasi
Mocetinostat e Panobinostat sono stati utilizzati in studi
di Fase II in pz con LH R/R, dimostrandosi dotati di attività terapeutica [32,33]. Panobinostat è stato usato anche
in combinazione con lo schema standard ICE
(Ifosfamide, Carboplatino, Etoposide) ottenendo una
ORR dell’86% e un tasso di RC del 71% [34]. Poiché
un’attivazione aberrante della via di trasduzione
JAK/STAT è stata riportata essere promotrice della proliferazione e della sopravvivenza delle cellule di LH [34],
l’inibitore orale di JAK2 pacritinib è stato utilizzato in
uno studio clinico di fase I in pz con LH R/R, fornendo
risultati incoraggianti [35]. La lenalidomide è invece un
agente immunomodulante dotato anche di proprietà
antiangiogeniche la cui attività in pz con LH in recidiva
è stata dimostrata come singolo agente in studi di fase II
in cui ha permesso di ottenere una ORR del 30%-50%
[36,37]; il suo uso è risultato promettente anche in combinazione con altri farmaci: nello studio di fase I che l’ha
utilizzata in sostituzione di Bleomicina all’interno dello
schema ABVD, i tassi stimati di PFS e OS ad 1 anno
sono stati rispettivamente 69% e 91% [38]. E’ in corso un
trial di Fase II che prevede l’uso combinato di
Lenalidomide e panobinostat (NCT01460940).
CONCLUSIONI: Nel corso degli ultimi decenni BV
è stata la prima, e al momento l’unica, molecola target ad
aver ricevuto l’approvazione nel trattamento del LH R/R
dell’adulto, ambito clinico in cui si è dimostrata l’agente
più efficace. Si tratta di un farmaco innovativo dotato di
una significativa azione clinica e di una ridotta tossicità,
che inducono a valutare in modo sempre più esteso il suo
utilizzo anche nella terapia di prima linea e lo pongono in
primo piano tra le nuove prospettive terapeutiche nel trattamento dei pz con diagnosi di LH.
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DEFICIT RARI DEI FATTORI DELLA COAGULAZIONE
P. Giordano, G. Lassandro
Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”,
Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia
Umana, Bari, Italy
I deficit congeniti rari della coagulazione (RBDS)
rappresentano il 3% al 5% di tutte le carenze ereditarie
della coagulazione e, di solito, sono trasmesse con modalità autosomica recessiva. Includono: le carenze quantitative e le alterazioni qualitative del fibrinogeno, il deficit
del fattore (F) II, del FV, del FVII, del FX, del FXI, del
FXIII ed il deficit combinato del FV e del FVIII
(FV+VIII). La distribuzione geografica delle RBDS nel
mondo è variabile con una prevalenza che si attesta da
1:2 milioni di abitanti per le carenze del FII e del FXIII
ad 1:500.000 abitanti per il FVII. Nonostante la rarità, le
RBDS stanno guadagnando una sempre maggiore interesse sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli industrializzati (anche per l’aumentare dei flussi migratori). A
causa della scarsa prevalenza delle RBDS è, tuttora, limitata la conoscenza di molti dati su mutazioni geniche,
caratteristiche fenotipiche e test di laboratorio. I trials clinici sinora condotti si riferiscono solo a piccoli case
series o singoli case report. Ne consegue che le linee
guida basate sull’evidenza scientifica per la diagnosi e la
gestione del paziente con RBS non sono appieno condivise derivando dall’esperienza di ogni centro clinico.
Sono, tuttavia, attivi diversi registri nazionali ed internazionali dedicati che si spera possano, col tempo, colmare
il gap conoscitivo di questi disturbi orfani. Di seguito
elencheremo le caratteristiche peculiari di alcuni deficit.
I deficit congeniti del fibrinogeno possono essere suddivisi in disordini di tipo I e disordini di tipo II. Il tipo I
indica una carenza quantitativa di fibrinogeno (per ipofibrinogenemia si intendono livelli inferiori a 1,5 g/l, mentre l’ afibrinogenaemia è caratterizzata dal deficit assoluto di fibrinogeno). Il tipo II indica, invece, anomalie qualitative (nella disfibrinogenemia è dosabile e normale
l’attività antigenica del fibrinogeno, mentre nella ipodisfibrinogenemia i livelli di attività antigenica sono ridot-
ti). L’afibrinogenaemia ha una prevalenza stimata di
circa 1:1.000.000 di abitanti lì dove sono frequenti i
matrimoni tra consanguinei. I sanguinamenti nell’afibrinogenaemia si manifestano solitamente nel periodo neonatale. L’emorragia intracranica è la principale causa di
morte. Sanguinamenti intra-articolari sono meno frequenti al cospetto delle “emofilie” gravi. Sono descritti,
non infrequenti, casi di rottura spontanea della milza. Le
donne possono sperimentare meno-metrorragia. Aborti
nel primo trimestre di gravidanza sono comuni.
Paradossalmente sono osservate, anche, complicanze
tromboemboliche sia arteriose che venose. Queste complicanze possono verificarsi in presenza di fattori di
rischio concomitanti come trombofilia ed uso di terapie
estro-progestiniche. Pazienti con ipofibrinogenemia sono
generalmente asintomatici quando i livelli di fibrinogeno
si aggirano intorno a 1,0 g/l. La maggior parte dei casi di
disfibrinogeniemia sono asintomatici; circa il 25% dei
pazienti con disfibrinogenemia hanno una storia di sanguinamento ed in circa il 20% è stata osservata una tendenza trombotica. Il deficit di FVII è la più comune
RBDS con un’ampia variazione nella distribuzione geografica: 1 su 2.000.000 (Giappone, Sudan, Pakistan), 1 su
500.000 (USA, Australia), 1 su 200.000 (Canada, Italia,
Iran, Polonia), 1 su 100.000 (UK, Croazia), 1 su 60.000
(Irlanda, Ungheria). In Slovacchia, la prevalenza di persone con livello di FVII <10 IU/dl è 1 su 50 000. La grande variabilità potrebbe essere influenzata da diversi criteri nella classificazione dei pazienti (soglia di livello di
FVII dosabile, presenza/assenza di sintomi emorragici).
L’emorragia intracranica è un sintomo comune nei
pazienti con deficit assoluto di FVII. Tuttavia, la sintomatologia è molto variabile. Comune la menorragia nelle
donne ma sono limitati i dati su ginecologia e problematiche ostetriche nelle donne affette da carenza di FVII. Il
trattamento delle emorragie consiste nella somministrazione endo-venosa del fattore mancante ogni 6-8 h a
causa della breve emivita del FVII. Il plasma fresco congelato ed il concentrato di complesso protrombinico
molto utilizzati in passato hanno limitazioni legate al
sovraccarico di volume ed al potenziale rischio di trombosi. Altre opzioni sono i concentrati plasma-derivati di
FVII ed il concentrato attivato ricombinante di FVII. Un
livello di FVII tra le 10-15 UI/dl viene considerato il
valore minimo per la sicurezza emostatica. La carenza
assoluta di FXI si associa nell’uomo ad un lieve rischio
di sanguinamento tale che gli individui possono essere
diagnosticati incidentalmente. Non sembra, infatti, esserci una correlazione netta tra la quantità di fattore circolante e le manifestazioni emorragiche. La carenza di FXI
è particolarmente frequente negli ebrei di etnia
Ashkenazy, pur riscontrandosi in tutti i gruppi razziali. Il
trattamento va ritagliato sulla specifica situazione individuale. Una stretta sorveglianza può essere sufficiente a
ridurre i rischi di sanguinamento. Interventi chirurgici di
tonsillectomia e/o di chirurgia nasale presentano un elevato rischio. Gli agenti antifibrinolitici sono molto utili,
soprattutto nelle menorragie e nelle estrazioni dentarie. Il
plasma fresco congelato è efficace ma possono essere
richiesti grandi volumi d’infusione; pertanto in caso di
chirurgia elettiva, può essere utile infondere plasma
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Relazioni
anche nel giorno antecedente l’intervento. Sono disponibili anche concentrati plasma derivati di FXI con una
emivita tale da richiedere, in caso di trattamento, somministrazioni giornaliere e/o a giorni alterni. L’obiettivo è
quello di raggiungere non elevati livelli di FXI. Possono,
infatti, essere sufficienti concentrazioni plasmatiche di
30-40 UI/dl in pazienti con carenza grave per garantire
una buona emostasi. Il concentrato di FXI dovrebbe essere usato con cautela nei pazienti (specie in quelli con preesistenti fattori di rischio pro-trombotico) poiché si associa ad un aumentato rischio di patologia trombotica. La
carenza congenita di FXIII è una raro disordine ereditato
per via autosomica recessiva. Presenta una frequenza di
1: 2-3 milioni di individui. Le manifestazioni cliniche del
deficit di FXIII includono emorragie cutanee (57%),
ritardata caduta e sanguinamenti dal cordone ombelicale
(56%), ematomi muscolari (49%), emorragie post-intervento chirurgico (40%), emorragia cerebrale (34%). A
differenza di tutti gli altri deficit congeniti la carenza del
FXIII presenta i test coagulativi di primo livello (tempo
di protrombina, tempo di tromboplastina parziale attivata) nella norma. La conoscenza riguardo le RBDS è in
espansione, e recenti studi hanno permesso di raggiungere importanti traguardi nella comprensione di queste
malattie rare. Tuttavia, diverse lacune persistono e nuovi
studi clinici sono necessari per rispondere a domande
sull’epidemiologia, il fenotipo emorragico, la quantità
minima di concentrato di fattore della coagulazione
necessario per prevenire le emorragie e/o per curarle.
Sono disponibili da poco tempo concentrati selettivi
ricombinanti di FXIII. Il deficit combinato del fattore V
e del fattore VIII è una malattia emorragica ereditaria
dovuta alla riduzione dell’attività e dell’antigene di
entrambi i fattori V e VIII (FV e FVIII), che causa sintomi emorragici lievi o moderati. La prevalenza è stimata
tra 1/100.000 e 1/1.000.000. La malattia è più frequente
nell’area del Mediterraneo e nelle aree in cui sono comuni i matrimoni consanguinei. Il deficit combinato del fattore V e del fattore VIII può esordire a tutte le età. I sintomi più comuni sono l’epistassi, le ecchimosi, la menorragia e i sanguinamenti successivi agli interventi chirurgici e al parto. Possono presentarsi emartri e ematomi
muscolari. I sintomi sono di solito lievi. Il deficit combinato del fattore V e del fattore VII è dovuto sia alle mutazioni del gene LMAN1 (cromosoma 18; q21), che del
gene MCFD2 (cromosoma 2). Il gene LMAN1 codifica
per ERGIC-53, una lectina transmembrana, mentre
MCFD2 codifica per una proteina `EF-hand’. Il complesso proteico ERGIC-53/MCFD2 funziona come recettore
che facilita il trasporto dei fattori della coagulazione V e
VIII dal reticolo endoplasmatico all’apparato di Golgi. In
circa il 70% dei casi sono state osservate mutazioni nonsenso di LMAN1 e in circa il 30% dei casi mutazioni
nonsenso e missenso di MCFD2. La trasmissione è autosomica recessiva. La diagnosi si basa sulla misurazione
dei livelli dei fattori V e VIII e sul prolungamento dei
tempi di tromboplastina parzialmente attivata e di protrombina. I livelli dei fattori V e VIII variano dall’1% al
46%, ma in genere sono compresi tra il 5% e il 30%. La
presa in carico ha l’obiettivo di controllare le emorragie
e prevede trattamenti con plasma fresco congelato e la
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somministrazione di desmopressina. La prognosi è favorevole per le forme lievi della malattia.
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DISESITROPOIESI EREDITARIA
A. Iolascon
CEINGE, Centro di Ingegneria Genetica e
Biotecnologie Avanzate, Napoli; Dipartimento di
Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche,
Università degli Studi di Napoli “Federico II“, Napoli,
Italy
Si definisce diseritropoiesi quella condizione di anormalità della eritropoiesi in cui il fenomeno dominante dal
punto di vista morfologico è costituito dalle atipie eritroblastiche e dal punto di vista funzionale dai segni dell’eritropoiesi inefficace. Dal punto di vista classificativo le
anemie diseritropoietiche possono essere sia primitive
che secondarie e se ne conoscono sia forme ereditarie che
forme acquisite. Le anemie diseritropoietiche congenite
(CDA) sono state classificate in tre forme in relazione
alle caratteristiche dell’ereditarietà e della morfologia del
midollo. E’ noto anche un vasto gruppo di forme ereditarie che non rientra in nessuna delle tre forme canoniche e
che rimangono un problema diagnostico di difficile soluzione (CDA-IV, etc.). La CDA-II è la forma più diffusa
di anemia diseritropoietica e viene ereditata con modalità
autosomica recessiva. L’anemizzazione per solito è di
grado lieve, anche se si annoverano dei casi di trasfusione-dipendenza. Compare anche piuttosto tardivamente,
la media delle diagnosi avviene in età giovanile.
Recentemente sono stati creati dei registri internazionali
dei casi di famiglie con CDA-II (CDAN2) con il duplice
scopo di fornire nuove e precise informazioni sulla storia
naturale e sull’epidemiologia di questa malattia e di ottenere una banca di DNA ed RNA che potesse consentire
gli studi molecolari. L’emocromo rivela un’anemia normocitica e normocromica, caratterizzata da una reticolocitosi di grado lieve (soprattutto in rapporto all’anemizzazione). Si rivelano inoltre: anisopoichilocitosi, anisocromia e presenza di sferociti. Il quadro clinico somiglia
per molti aspetti a quello della sferocitosi ed è caratterizzato da ittero, splenomegalia ed anemia. La litiasi delle
vie biliari e l’accumulo di ferro (emocromatosi) possono
complicare il quadro clinico. La diagnostica di laboratorio prevede: la valutazione delle resistenze osmotiche,
che appariranno diminuite, e la dimostrazione dell’aumento dell’espressione dell’Ag-i. Una caratteristica della
XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
malattia, anche se di difficile esecuzione, è rappresentata
dalla positività del test di Ham. La ME mette in evidenza
la presenza di una doppia membrana osservabile soprattutto a livello degli eritroblasti. A lungo la diagnosi di
certezza si è fondata sulla caratteristica binuclearità dei
precursori eritroidi. L’analisi biochimica delle proteine
della membrana del globulo rosso permette di dimostrare
la caratteristica di questa malattia: una riduzione della
glicosilazione, che viene evidenziata come una corsa più
rapida ed un aspetto più ristretto della banda 3 (trasportatore degli anioni) in SDS-PAGE. L’analisi mediante
western blot permette una ulteriore conferma dimostrando la presenza sulla superficie delle emazie di proteine
caratteristiche del reticolo endoplasmatico (es. GRP78).
L’emivita dei globuli rossi é ridotta nei soggetti con
CDA-II e ciò era stato considerato a lungo una conseguenza di un ipotetico difetto di membrana. I nostri risultati hanno dimostrato che la lieve emolisi evidenziabile
in tali soggetti é imputabile ad una clusterizzazione delle
molecole di banda 3 (trasportatore degli anioni) che
causa un legame con autoanticorpi (IgG). Le emazie così
ricoperte vengono rimosse durante l’attraversamento
della milza. Questa osservazione potrebbe suggerire un
utilizzo terapeutico della splenectomia in tale malattia.
L’analisi dei profili di espressione genica dei precursori
eritroidi durante il differenziamento combinata con le
informazioni sulla mappatura ha permesso recentemente
di identificare il gene malattia: il gene SEC23B. Questa
informazione ha permesso di identificare le mutazioni
presenti nella maggior parte dei casi fino ad oggi registrati. Tali mutazioni sono distribuite su tutta la lunghezza
del gene e comprendono sia mutazioni missenso che
nonsenso. Nonostante l’eterogeneità allelica, è possibile
orientare la diagnosi molecolare alla ricerca di alcune
mutazioni che ricorrono più frequentemente: le sostituzioni R14W, E109K, R497C e I318T descrivono, infatti,
più del 50% di tutte le mutazioni del gene SEC23B.
L’analisi molecolare ha inoltre consentito l’identificazione di una correlazione tra il genotipo composto dall’associazione di una mutazione missenso e una mutazione
nonsenso e un fenotipo più deleterio, rispetto a quello
osservato nei pazienti con due mutazioni missenso.
Tuttavia una separazione netta tra le due classi genotipiche non è attuabile, dal momento che esiste un certo
grado di sovrapposizione fenotipica tra di esse. Non vi
sono casi di omozigosità per mutazioni nonsenso e questo fa ipotizzare che la carenza totale di questa proteina
sia disvitale. La proteina SEC23B svolge un ruolo nel
traffico cellulare delle proteine neoformate dal reticolo
endoplasmatico all’apparato del Golgi. Studi funzionali
eseguiti su cellule CD34 positive e su zebrafish hanno
chiarito parte delle caratteristiche cliniche e biochimiche
della malattia (ipoglicosilazione delle proteine, presenza
di binuclearità, alterazione del ciclo cellulare). Lo studio
in corso sul topo KO per tale proteine e su quello transgenico serviranno a svelare i meccanismi molecolari alla
base di tale patologie ed a cercare possibili approcci farmacologici. Nell’attesa di questi futuri risultati, l’identificazione del gene malattia ha comunque reso possibile la
diagnosi precoce e quella prenatale.
QUIZ: Quale di queste forme di diseritropoiesi ere-
ditaria puo essere dominante:CDA di tipo II; CDA di
tipo I; CDA di tupo III x; tutte le precedenti.
Quale delle seguenti complicanze è rilevante nel
follow-up delle CDA: colelitiasi; accumulo di ferro;
calcoli al rene; colelitiasi ed accumulo di ferro x.
Quale forma di CDA può essere sensibile al trattamento con IFN: CDA I x; CDA II; CDA III; CDA IV.
LA RETE PSICO-ONCOLOGICA REGIONALE
PIEMONTESE: UN MODELLO CONSOLIDATO
C. Peirolo1, M. Bertolotti2
1Psicologa-Psico-Oncologa; 2Psicologa Responsabile
Psico-Oncologia, SC Oncoematologia Pediatrica e
Centro Trapianti, AOU Città della Salute e della
Scienza, Torino, Italy
La Rete di Psico-Oncologia Pediatrica piemontese nasce
nel 2006 per gemmazione della Rete di Oncologia e
Oncoematologia Pediatrica (approvata quest’ultima da
D.G.R. n° 30/14272 del 6/12/2004) con l’obiettivo di
promuovere gli aspetti psicologici e di umanizzazione
inerenti l’ambito della cura su tutto il territorio interregionale Piemonte e Valle d’Aosta. Essa ripropone il
modello HUB e Spoke. Nello specifico la Rete si occupa
di 2 ambiti: attività clinico assistenziale; attività organizzativa-formativa. La prima ha l’obbiettivo di offrire supporto psicologico nelle varie fasi di malattia, dalla diagnosi all’off-therapy, ed è rivolta ai pazienti e ai famigliari (genitori / fratelli). Lo scopo è di limitare le interferenze della malattia tumorale sulla crescita: accompagnando
il paziente lungo il suo percorso di cura, sostenendo la
qualità della relazione terapeutica offerta dall’équipe
curante e salvaguardando, per quanto possibile, la qualità
della vita presente e futura del bambino/adolescente e
della sua famiglia. In genere i pazienti utilizzano il servizio psicologico di Rete in un periodo successivo a quello
della diagnosi, in cui viene offerto a tutti un primo contatto e un eventuale approfondimento presso il Centro
HUB. Nel caso il paziente abbia un’età superiore ai 18
anni o genitori che necessitino di un supporto farmacologico esiste una collaborazione attiva con la PsicoOncologia adulti (Presidio Molinette). L’attività organizzativo-formativa prevede momenti di riunione coordinati
dal Servizio di Psiconcologia del Centro HUB, allo
scopo di condividere criticità e sviluppi del lavoro in
Rete. I referenti dei Centri SPOKE sono psicologi e/o
neuropsichiatri infantili inseriti nei servizi di Psicologia o
Neuropsichiatria Infantile (NPI), che dedicano, per competenza e su mandato del direttore della Struttura di
appartenenza, una “corsia preferenziale” ai pazienti
seguiti clinicamente nei Centri SPOKE. Inoltre è previsto
nel Centro HUB un lavoro in rete costante e attivo con i
servizi di supporto quali Sevizi Sociali, Scuola di ogni
ordine e grado, sia Ospedaliera sia di Territorio e
Associazioni di Volontariato (ad es. UGI). La Rete utilizza come strumento comune di lavoro e di scambio la
scheda di complessità1 prevista nei Percorsi Diagnostico
Terapeutici Assistenziali [PDTA] della Regione
Piemonte e rappresenta un importante mezzo per la valutazione della “complessità globale” attraverso l’analisi di
| 99 |
Relazioni
4 aree: biologica, psicologica/psichiatrica, sociale e assistenziale. Ogni area ha degli indicatori ai quali viene
assegnato un punteggio, utile all’attribuzione della “complessità globale”. La scheda viene compilata all’esordio
della malattia, ad ogni cambiamento significativo nel
percorso di cura e all’off- therapy. In base alla disfunzione biologica, al rischio psicologico, alla vulnerabilità
sociale e alla criticità assistenziale, indicatori questi
delle varie aree e, mediante lo score assegnato
all’Impatto sulla vita, viene deciso il livello di intervento
più appropriato da attuare per il paziente e la sua famiglia. Inoltre la scheda consente una raccolta dati utile al
monitoraggio dell’evoluzione clinica/assistenziale e dei
cambiamenti psicologici/psichiatrici e sociali del paziente che è possibile condividere in Rete. Indubbiamente i
benefici che derivano da un lavoro in Rete sono molteplici: ottimizzazione delle risorse; livelli di intervento più
appropriati; diminuzione dei costi; non sentirsi isolati ma
parte di un progetto comune. Naturalmente non si può
dimenticare il vantaggio che per primo ha stimolato la
nascita della Rete, ovvero la maggiore vicinanza del
paziente e della sua famiglia al proprio domicilio per
affrontare parte del percorso di cura, infatti se si garantisce un buon intervento “periferico” i costi diminuiscono
(sia per la struttura, sia per l’economia familiare) e ne è
salvaguardata la qualità di vita. Per quanto concerne le
criticità, che si possono definire meglio come punti deboli o carenti, esse possono riguardare: la mancanza di psicologi dedicati /non presenti in tutti i Centri SPOKE ma
collocati in altre sedi che possono allungare i tempi di
una reale presa in carico del paziente e/o della sua famiglia; la difficoltà nell’avere rimandi dei casi che vengono
inviati in Rete; il difficile rapporto/condivisione riferito
dai Centri SPOKE con i Servizi di Supporto del territorio, rispetto al Centro HUB che è visto a volte come
unico riferimento per il paziente. A tal proposito, il forte
legame che si crea tra i pazienti e il Centro HUB (che
riguarda non solo l’aspetto medico/infermieristico ma
anche quello psicologico) talvolta può minacciare la concreta presa in carico o passaggio al Centro SPOKE. Per
tale ragione occorre, in un’ottica futura di crescita, investire nel sostenere e dare sempre maggiore fiducia al
lavoro in Rete.
1
In sede congressuale verrà presentata nel dettaglio la Scheda
di Complessità.
BAMBINI, ADOLESCENTI E GIOVANI ADULTI CON
LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA: STRATEGIE A
CONFRONTO CON UN FOCUS PARTICOLARE SUI
PROTOCOLLI PEDIATRICI E SUL RUOLO
DELL’ASPARAGINASI
C. Rizzari, E. Brivio, S. Casagranda, F. Dell’Acqua,
G.M. Ferrari, A. Colombini
Ematologia
Pediatrica,
Clinica
Pediatrica
dell’Università di Milano Bicocca, AO S. Gerardo,
Fondazione MBBM, Monza (MB), Italy
INTRODUZIONE: L’asparaginasi (ASP) rappresenta una farmaco universalmente utilizzato nelle fasi
| 100 |
di induzione della remissione e di intensificazione/reinduzione dei protocolli per la leucemia linfoblastica
acuta (LLA) dell’età pediatrica. L’uso dell’ASP è meno
ampio nell’età adulta; ciononostante, negli ultimi 10-15
anni, è risultata piuttosto evidente la tendenza ad adottare strategie di ispirazione pediatrica e con ciò un conseguente uso più estensivo dell’ASP. Il razionale biologico dell’uso dell’ASP risiede nel fatto che le cellule
leucemiche non sono in grado di sintetizzare autonomamente asparagina (ASN) e devono quindi basarsi su
approvvigionamenti di origine extracellulare. L’ASN
presente nel siero viene immediatamente deaminata in
presenza di ASP, il che riduce di fatto in maniera letale
la possibilità da parte delle cellule leucemiche di effettuare una adeguata biosintesi proteica1. Esistono oggi in
commercio due prodotti principali di ASP, uno derivato
dall’Escherichia Coli (una forma nativa ed una forma
coniugata con il polietilenglicole - PEG) ed uno derivato dall’Erwinia Chrysanthemi. Quest’ultimo prodotto
ha un profilo antigenico molto differente rispetto al
primo ed è quindi prevalentemente utilizzato nei
pazienti allergici ai prodotti da E. Coli. Questi prodotti
non sono fra loro facilmente interscambiabili per le loro
differenti proprietà farmacocinetiche, farmacodinamiche ed antigeniche1,2.
LE ESPERIENZE PEDIATRICHE E DELL’ADULTO A CONFRONTO: RUOLO DELL’ASPARAGINASI: I protocolli pediatrici basati su un uso intensivo dell’ASP hanno permesso di ottenere rilevanti benefici in termini di event free survival (EFS),, disease free
survival (DFS) e di Remissione Continua Completa
(RCC)3-5. Anche il completamento del trattamento con
ASP pianificato nel protocollo si è rivelato di grande
importanza nel garantire ai pazienti i migliori benefici.
In uno studio condotto dal Consorzio americano DanaFarber Cancer Institute (DFCI), 352 bambini sono stati
trattati con una fase di intensificazione consistente di 30
settimane con ASP ad alte dosi (HD). Dopo 5 anni di
follow-up mediano, l’EFS dei bambini che avevano
ricevuto meno di 25 settimane del trattamento pianificato hanno ottenuto un EFS significativamente inferiore
rispetto a quelli che ne avevano effettuato 26 o più
(73% versus 90%, p<0.01)6. Un miglioramento significativo dell’outcome è stato anche riportato in pazienti
trattati in un protocollo del Tokyo Children’s Cancer
Study Group, nel quale i pazienti che avevano ricevuto
almeno il 50% della dose cumulativa totale del trattamento con ASP avevano un’EFS a 5 anni significativamente migliore rispetto a quelli che ne avevano ricevuto
meno del 50% (92.9% versus 74.1%, p<0.025)7. Da
ricordare anche i risultati di un protocollo internazionale di ispirazione BFM condotto negli anni ‘90 in Italia,
Ungheria ed Olanda, randomizzato su un uso esteso (20
settimane) di HD (25.000 UI/m2/settimana) ASP da
Erwinia C. nella fase di mantenimento nei pazienti con
LLA a Rischio Standard, che ha mostrato un outcome
significativamente migliore nei pazienti trattati con il
braccio caratterizzato dal prolungato uso di HD ASP5.
Esistono numerose evidenze in letteratura che dimostrano l’ottenimento di risultati migliori con i protocolli
pediatrici rispetto a quelli degli adulti7-11. Rispetto a
XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
questi ultimi i protocolli pediatrici hanno in generale un
maggiore dosaggio cumulativo di alcuni farmaci (ASP,
corticosteroidi, methotrexate, alcaloidi della vinca) e
sono previsti intervalli più brevi tra i vari cicli di chemioterapia3,4. Un certo numero di studi sono stati condotti retrospettivamente per comparare, negli stessi
paesi, i risultati degli adolescenti trattati con protocolli
di ispirazione pediatrica o meno. Uno studio retrospettivo francese ha confrontato i risultati ottenuti in 177
adolescenti/giovani adulti di età 15-20 anni trattati con
un protocollo pediatrico (FRALLE-93) o con un protocollo per adulti (LALA-94). La dose complessiva di
ASP era 20 volte superiore nel protocollo pediatrico
(180.000 UI/m2 vs 9.000 UI/m2). EFS ed Overall
Survival (OS) sono risultati 67 vs 41% e 78 vs 45%
(p<0.001), rispettivamente8. Uno studio retrospettivo
italiano ha confrontato i risultati negli adolescenti di età
compresa tra 14 e 18 anni trattati con i protocolli pediatrici dell’AIEOP 95 e 2000 rispetto a quelli della stessa
età trattati con i protocolli GIMEMA per l’adulto (ALL
0496 e 2000). I protocolli pediatrici avevano un’induzione a sette farmaci seguita da altri schemi ad intensità
modulata mentre il trapianto di midollo osseo (TMO)
era raccomandato solamente per i pazienti ad alto
rischio. L’OS è risultato dell’ 80 vs 71%, rispettivamente9. Un altro studio retrospettivo ha confrontato in
Olanda la terapia del gruppo pediatrico DCOG con i
protocolli per gli adulti HOVON e Ayas. Le principali
differenze tra i protocolli erano rappresentate da intervalli più brevi tra i cicli (≤1 settimana contro ≤4 settimane) e da una dose media cumulativa di ASP più alta
(101.000 UI/m2 vs 70.000 UI/m2). EFS e OS sono
risultati 69 vs 34% e 79 vs 38% (p<0.001), rispettivamente10. Uno studio simile ha confrontato negli USA la
terapia del gruppo pediatrico CCG con quella per gli
adulti del gruppo CALGB. Il protocollo pediatrico
comprendeva dosi più alte di ASP (54.000 UI / m2 vs
36.000UI/ m2 in induzione e 90.000 o 318.000 UI/m2
vs 36.000 UI/m2 in post-remissione). EFS ed OS sono
risultati 64 vs 34% e 67 vs 46% (p<0.001), rispettivamente11. La strategia applicata dal Consorzio americano
DFCI nel trattamento della LLA dell’età pediatrica 12
basata su un ciclo intensificato (30 settimane) di ASP
nativa da E. Coli (con dosi aggiustate in base alla farmacocinetica) è stata applicata tra il 2002 e il 2008 in
92 pazienti di età compresa tra i 18 ed i 50 anni13. Con
un pattern di tossicità tollerabile ed un follow-up di 4,5
anni, la DFS a 4 anni per i pazienti che avevano ottenuto una CR è stata del 69% mentre l’OS a 4 anni per tutti
i pazienti eleggibili è stata del 67%. Nell’attuale protocollo AIEOP-BFM ALL 2009, basato sulla strategia
terapeutica del BFM ed applicato in numerosi paesi
europei ed extraeuropei, i pazienti sono eleggibili fino
all’età di 18 anni non compiuti14. A testimonianza del
rilevante impatto che oggi l’ASP viene ritenuta poter
avere nel trattamento della LLA dell’età pediatrica ed
adolescenziale è opportuno ricordare che all’interno di
tale protocollo l’ASP di prima linea è il prodotto da E.
Coli coniugato con PEG (2.500 IU/m2 e.v. ogni 2 settimane) e la sua somministrazione è sottoposta ad un
monitoraggio intensivo sia di tipo clinico che farmaco-
logico. Va anche sottolineato che ben due dei tre studi
randomizzati implementati nel protocollo (quelli per i
pazienti a rischio intermedio ed alto) sono incentrati su
un uso intensificato dell’ASP. Il prodotto di seconda
linea utilizzato per i pazienti con fenomeni allergici clinicamente rilevanti oppure per i pazienti con inattivazione silenziosa, svelata grazie al dosaggio in real time
dell’attività asparaginasica nel siero, è l’ASP da
Erwinia C., il cui dosaggio, per sostituire una dose di
PEG ASP, è di 20,000 IU/m2 e.v. o i.m. a giorni alterni
per 7 dosi. Alla luce di quanto esposto in precedenza è
chiaro che l’opportunità di disporre di un farmaco come
l’ASP da Erwinia C. consente di poter assicurare a tutti
i pazienti, compresi quelli con allergia o inattivazione
silenziosa, la migliore intensità e completezza dell’itinerario terapeutico14.
CONCLUSIONI: Nonostante i dimostrati vantaggi
dei protocolli pediatrici, molti pazienti adolescenti e
giovani adulti attualmente in molti paesi europei ed
extraeuropei non ricevono routinariamente un regime
ad orientamento pediatrico. Ciò può essere dovuto a
una serie di fattori, tra cui la paura di un aumento dell’incidenza e severità degli effetti collaterali e la possibilità di un aumento della mortalità correlata alla tossicità. Inoltre ancora oggi alcuni adolescenti sono riferiti
ai centri dell’adulto per scelte sanitarie locali (ad esempio in alcune regioni italiane il limite dell’età pediatrica
è fissato a 14 anni), per scelta dei medici di base o degli
oncologi. Se per portare a soluzione questo problema è
necessario uno sforzo comune, va anche detto come nel
disegno dei moderni protocolli chemioterapici per bambini, adolescenti e giovani adulti con LLA vadano tenuti in debita considerazione gli specifici aspetti biologici
della malattia e del differente pattern di risposta e tossicità noti per ciascuna categoria di età. Abbiamo descritto in precedenza numerose esperienze che dimostrano
come i protocolli pediatrici possano essere vantaggiosamente applicati negli adolescenti e nei giovani adulti; in
tutte queste esperienze viene comunque sempre sottolineata l’importanza di tenere in considerazione la maggiore propensione di questi ultimi pazienti a sviluppare
tossicità e complicanze anche rilevanti. Questo aspetto
è di notevole importanza giacchè gli eventi tossici e le
complicanze possono compromettere la possibilità di
effettuare correttamente il restante trattamento chemioterapico. In questo contesto, la ASP rappresenta uno
strumento importante, visto il suo modesto effetto mielotossico, la possibilità di sorvegliarne farmacologicamente gli effetti con dei test relativamente semplici e
poco costosi e la conoscenza consolidata del suo pattern
di tossicità. La tossicità ASP correlata può infatti essere
facilmente monitorizzata, adeguatamente prevenuta con
una attenta modulazione dello schema terapeutico ed
anche gestita con successo grazie agli avanzati strumenti di supporto oggi disponibili15,16.
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PROSPETTIVE DEL TRAPIANTO DI CELLULE
STAMINALI EMATOPOIETICHE NELLE MALATTIE
NEUROMETABOLICHE RARE
A. Rovelli
Centro Trapianto Midollo Osseo, Clinica Pediatrica
dell’Università di Milano Bicocca, Fondazione MBBM,
Monza (MB), Italy
Le malattie neurometaboliche rare sono un gruppo di
malattie estremamente eterogeneo dovute ad errori congeniti del metabolismo a trasmissione autosomico reces-
| 102 |
siva o legati al cromosoma X, comprendenti i deficit di
produzione di enzimi lisosomiali (malattie lisosomiali, es.
mucopolisaccaridosi), anormalità della funzione dei
perossisomi (malattie perossisomiali, es. adrenoleucodistrofia) e difetti di enzimi citosolici responsabili di alcune
patologie mitocondriali (es. encefalomiopatia neurogastrintestinale mitocondriale). In generale queste malattie
sono caratterizzate da patologia multiorgano progressivamente devastante e alterazioni severe delle funzioni neurologiche e neurocognitive. Per quanto in molti casi vi sia
una correlazione genotipo/fenotipo, in altrettanti la natura
privata della mutazione non consente una predizione certa
della storia naturale. Nelle malattie a fenotipo severo l’insorgenza delle manifestazioni è usualmente precoce, già
nella prima infanzia o nei primi anni di vita, ma diverse
malattie neurometaboliche possono manifestarsi anche in
età adulta. Il razionale del trapianto di cellule staminali
ematopoietiche (TCSE) nelle malattie lisosomiali risiede
nella possibilità di sostituire le cellule microgliali con cellule di origine del donatore e nella possibilità delle cellule
difettive di “uptakare” l’enzima da queste dismesso.
Nell’adrenoleucodistrofia il meccanismo è meno compreso, ma si ritiene che l’immunosoppressione contribuisca
alla riduzione della neuroinfiammazione e che la microglia corretta supporti le funzioni degli oligodendrociti.
Nell’encefalomiopatia neurogastrointestinale mitocondriale il trapianto funge da “organo” detossificante. Oltre
al TCSE, nell’ultimo decennio altre terapie si sono rese
progressivamente disponibili (terapia enzimatica sostitutiva, terapia di deprivazione del substrato con piccole molecole, terapia genica) consentendo una strategia d’approccio complessa dove ricollocare costantemente il ruolo del
trapianto e definire il ruolo della combinazione dei trattamenti. Ad oggi oltre 2000 TCSE per queste patologie
sono stati eseguiti in tutto il mondo. Nella Tabella 1 sono
riportate le indicazioni al TCSE attualmente condivise a
livello internazionale. La decisione per il trapianto nello
specifico caso è basata su un bilancio dei rischi e dei
potenziali benefici della procedura prendendo in considerazione il tipo di malattia, l’età all’esordio, la curva di progressione, il fenotipo atteso, i valori e le aspettative della
famiglia. I soggetti che hanno un maggior beneficio sono
quelli con un fenotipo meno severo e/o trapiantati precocemente rispetto all’evoluzione della malattia. Poiché
occorrono molti mesi per sostituire la microglia con quella derivata dal donatore, vi è un considerevole intervallo
prima che il trapianto possa beneficiare il sistema nervoso
centrale. Malattie molto rapidamente progressive sono
difficilmente trattabili col trapianto. Oggi il TCSE per
queste malattie è una procedura significativamente più
sicura che in passato e per questo si sta riconsiderando la
possibilità di offrirlo a soggetti con forme in passato considerate non beneficiare dal TCSE sulla scorta di conoscenze oggi obsolete o ad errori congeniti di fenotipo
meno severo come alternativa alla terapia enzimatica
sostitutiva a vita e in considerazione delle numerose disabilità cui comunque andranno incontro. L’esperienza trapiantologica più consistente è quella relativa ad una
malattia lisosomiale, la mucpolisaccaridosi di tipo I-H o
sindrome di Hurler, dove grazie alla collaborazione internazionale nell’ultimo decennio si è potuto dimostrare che
XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
il TCSE migliora drammaticamente l’aspettativa di vita e
molte delle manifestazioni della malattia, che il condizionamento mieloablativo (con busulfano) consente migliori
risultati, che dopo un familiare 10/10 HLA-matched non
eterozigote, la miglior fonte di CSE da non correlato per
questa patologia è il sangue cordonale e che la terapia
enzimatica sostitutiva pre-TCSE riduce le complicanze
trapiantologiche nei soggetti a maggior rischio. In queste
malattie, è necessario un condizionamento pienamente
mieloablativo per ottenere uno stabile e robusto attecchimento con la più alta chimera possibile. E’ infatti estremamente importante favorire l’ “engraftment” mieloide e,
soprattutto, l’ “engraftment” microgliale; il busulfano
sembra superiore ad altri farmaci per quest’ultimo obbiettivo. Oggi la sopravvivenza al TCSE per la sindrome di
Hurler è superiore al 90% con oltre il 90% di soggetti chimera completa. Nonostante questi risultati, il TCSE ha
ancora limiti consistenti dato che la morbidità dovuta al
carico residuo di malattia nei sopravviventi, soprattutto
sull’apparato scheletrico, rimane significativa e approcci
alternativi (terapia genica) o combinati sono in fase di studio. Lo screening neonatale sta emergendo come un’opzione progressivamente più disponibile per queste malattie e nel prossimo futuro la possibilità di sottoporre a
TCSE in epoca precoce e pre-sintomatica potrebbe cam&
&
&
&&
&
biare significativamente il livello dei & benefici
ottenibili.
&
MALATTIA
INDICAZIONE
NOTE
Mucop
poliisaccaridosi
Tabella
1. Indicazioni al trapianto
di cellule staminali
Hurler (MPS-IH)
Standard
Hurler/Scheie (MPS-IHS)
Scheie (MPS-IS)
Hunter, severa (MPS-IIA)
Hunter, attenuata (MPS-IIB)
Sanfilippo (MPS-III)
Maroteaux-Lamy (MPS-VI)
Sly (MPS-VII)
Adrenoleucodistrofia X-linked (forma cerebrale)
Opzionale
Opzionale
Ricerca clinica
Opzionale
Controindicato
Opzionale
Opzionale
Leucodistrofie
Standard
Leucodistrofia metacromatica early infantile
Leucodistrofia metacromatica late infantile//jjuvenile
Leucodistrofia metacromatica adult onset
Leucodistrofia a cellule globoidi early onset
Controindicato
Opzionale
Opzionale
Opzionale
Leucodistrofia a cellule globoidi, late onset
Standard
ERT prima scelta
ERT prima scelta
Solo se early o asintomatico
ERT prima scelta
ERT prima scelta
No malattia avanzata
Terapia genica disponibile
Terapia genica disponibile
Se neonato da screening o
secondo caso familiare, altrimenti
controindicato
Se paucisintomatico, altrimenti
controindicato
Alltre
Aciduria mevalonica
Alfa-mannosidosi
Aspartilglucosaminuria
Farber
Fucosidosi
GM1 gangliosidosi
Mucolipidosi II (I-cell disease)
Mucosulfatidosi (malattia di Austin)
Niemann-Pick tipo A
Niemann-Pick tipo B
Niemann-Pick tipo C
Pompe
Sandhoff early onset
Sandhoff juvenile
Tay-Sachs early onset
Tay-Sachs juvenile
Wolman
Encefalomiopatia neurogastrointestinale mitocondriale
Opzionale
Op
p z io n a le
Opzionale
Opzionale
Opzionale
Controindicato
Controindicato
Ricerca clinica
Ricerca clinica
Ricerca clinica
Opzionale
Ricerca clinica
Controindicato
Opzionale
Controindicato
Opzionale
Opzionale
Opzionale
No malattia avanzata
ERT disponibile
ERT disponibile
ERT prima scelta
Per familiarità nota
Leegenda:
ERT: Terapia enzimatica sostitutiva
Standard: TCSE da considerarsi routine clinica se il probando corrisponde ai criteri di eleggibilità defiiniti per la
specifiica malattia (evidenza consistente di dimostrata efficacia da ricerche pubblicate da registri, gruppi collaborativi o
istituzioni).
Opzionale: TCSE efficace, ma evidenze pubblicate non suffi
f ic ie n ti p e r c o n s id e r a r lo u n o s ta n d a r d e /o te r a p ie a lte r n a tiv e
disponibili progressivamente più considerate di prima scelta.
Ricerca clinica: razionale teorico per il TCSE, ma necessità di evidenze pubblicate per supportarne l’impiego.
ematopoietiche nelle malattie neurometaboliche.
ANEMIA DI FANCONI: PREDISPOSIZIONE
AL CANCRO
A. Savoia1, D. De Rocco1, R. Bottega1, E. Cappelli2,
J. Shan2, C. Dufour2 e Gruppo di Studio Aplasie
Midollari AIEOP
1Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e della
Salute, IRCCS Burlo Garofolo, Università di Trieste;
2IRCCS Giannina Gaslini, Genova, Italy
L’anemia di Fanconi (FA) è una malattia recessiva,
autosomica o X-linked, caratterizzata da eterogeneità
genetica con almeno 17 geni che svolgono un ruolo
nella riparazione del DNA1. A livello cellulare, infatti,
si osserva instabilità cromosomica con prolungamento
o arresto in fase G2 del ciclo cellulare, aspetti particolarmente pronunciati se le cellule sono esposte ad agenti
che, come il diepossibutano (DEB), interagiscono con il
DNA. Il trattamento con queste sostanze determina un
aumento della fragilità cromosomica che si manifesta
con rotture cromatidiche e formazione di strutture triradiali e quadriradiali d’interscambio tra cromosomi non
omologhi (Test al DEB). Anche da un punto di vista clinico si osserva una condizione eterogenea, con fenotipo
da molto grave a lieve. Spesso i pazienti alla nascita
presentano malformazioni a carico di diversi organi e
tessuti. Ad un’età media di 7 anni compare l’insufficienza del midollo osseo. Il 90% dei pazienti sviluppa
aplasia midollare prima dei 40 anni. Alla malattia si
associa un rischio aumentato di sviluppare tumori. Le
neoplasie più frequenti sono la sindrome mielodisplastica (MSD) e la leucemia mieloide acuta (AML) con
un’incidenza cumulativa di circa il 33% prima dei 40
anni. In FA si osservano anomalie cromosomiche nelle
cellule del midollo osseo, tra cui la duplicazione del
braccio lungo del cromosoma 1 (1q+) e 3 (3q+) e la
monosomia (7-) o perdita del braccio lungo del cromosoma 7 (7q-). Mentre le alterazioni 3q+, 7- o 7q- sono
associate a MDS o AML, 1q+ è indipendente dall’evoluzione del quadro ematologico2. I pazienti sono anche
a rischio di sviluppare tumori solidi, come i carcinomi
delle cellule squamose (testa-collo, esofago e vulva).
Dati controversi sono riportati sull’associazione di questi tumori con i papillomavirus umani, le cui oncoproteine sono implicate in una serie si processi cellulari che
favoriscono la carcinogenesi. Il rischio di sviluppare
neoplasie è stato studiato anche nei genitori degli individui affetti e in altri portatori asintomatici. Non ci sono
dati a favore di questa ipotesi; solo i portatori di mutazioni monoalleliche di BRCA1 e BRCA2 sono a rischio
per il tumore della mammella. La diagnosi, inclusa
quella molecolare, di FA è complicata da una serie di
aspetti, l’eterogeneità genetica, la variabilità clinica, la
presenza di una condizione nota come reversione del
fenotipo ematologico dovuta al ripristino di un allele FA
wild-type. Con l’avvento delle tecniche di nuova generazione è possibile sequenziare in un’unica reazione
tutti i geni FA. Combinando una serie di tecnologie in
Italia abbiamo caratterizzato 111 individui FA. Di questi, 90 (82%) hanno mutazioni nel gene FANCA, 10
(9%) in FANCG, 5 (5%) in FANCC. In rari casi è mutato il gene FANCB (N. 1), FANCD2 (N. 2), FANCF (N.
2) o FANCL (N. 1)3. In uno studio condotto su 97 di
questi pazienti si è osservato che la citopenia non sempre peggiora dalla diagnosi ma possa anche migliorare
o rimanere stabile come è stato osservato nel 54% dei
casi. Per quanto riguarda l’aspetto neoplastico, 11
pazienti hanno sviluppato un’alterazione cromosomica
clonale (N. 2), MDS (N. 6) o AML (N. 3). Tre individui
hanno sviluppato un tumore solido, confermando così i
dati della letteratura per quanto riguarda il rischio
| 103 |
Relazioni
aumentato di sviluppare tumori (Svahn et al., submitted). Pur non conoscendo i meccanismi molecolari
attraverso i quali gli individui FA sviluppano tumori,
l’instabilità cromosomica associata ad un difetto nella
riparazione del DNA è molto probabilmente la causa
principale. E’ tuttavia importante ricordare che le cellule FA producono un eccesso di radicali liberi che, a loro
volta, possono danneggiare il DNA. Da un nostro
recente studio è emersa una stretta correlazione tra il
tipo di mutazioni e il danno, sia morfologico sia funzionale, a carico del mitocondrio (Bottega e Cappelli, in
preparazione). Sarà pertanto di fondamentale importanza valutare non solo il difetto di riparazione del DNA
ma anche il danno mitocondriale per meglio comprendere i meccanismi molecolari implicati nella carcinogenesi in FA e identificare eventuali target terapeutici.
BIBLIOGRAFIA
1. Kee, Y., and D’Andrea, A.D. (2012). Molecular pathogenesis
and clinical management of Fanconi anemia. J Clin Invest
122, 3799-3806.
2. Quentin, S., Cuccuini, W., Ceccaldi, R., Nibourel, O.,
Pondarre, C., Pagès, M.P., Vasquez, N., Dubois d’Enghien, C.,
Larghero, J., Peffault de Latour, R., et al. (2011).
Myelodysplasia and leukemia of Fanconi anemia are associated with a specific pattern of genomic abnormalities that includes cryptic RUNX1/AML1 lesions. Blood 117, e161-170.
3. De Rocco, D., Bottega, R., Cappelli, E., Cavani, S.,
Criscuolo, M., Nicchia, E., Corsolini, F., Greco, C., Borriello,
A., Svahn, J., et al. (2014). Molecular analysis of Fanconi
anemia: the experience of the Bone Marrow Failure Study
Group of the Italian Association of Pediatric OncoHematology. Haematologica 99, 1022-1031.
TRATTAMENTO LOCALE: OLTRE LA
RADIOTERAPIA CONVENZIONALE
G. Scarzello, M.S. Buzzaccarini, E.E. Pane
UOC di Radioterapia. Istituto Oncologico Veneto,
Padova, Italy
La terapia dei sarcomi dell’età pediatrica generalmente consiste in una chemioterapia sistemica. seguita
da un trattamento locale più o meno aggressivo che
comprende chirurgia, radioterapia o, più spesso,
entrambe. La Radioterapia (RT) è una componente fondamentale di questi trattamenti combinati che hanno
attualmente permesso di ottenere nelle malattie localizzate tassi di sopravvivenza libera da malattia a 5 anni
superiori al 70%. La RT è però associata , soprattutto
nella popolazione pediatrica, a una morbidità a breve e
a lungo termine, in stretta relazione con sede di irradiazione, volume irradiato e dose erogata. Disfunzioni
d’organo, sequele psico-cognitive o neoplasie secondarie possono portare a condizioni di severa disabilità
nell’ età adulta, limitando in modo significativo la qualità e talvolta anche la spettanza di vita. Compito della
moderna RT pediatrica è ridurre al minimo la morbidità,
mantenendo, o meglio, migliorando, il controllo di
malattia attuale, ciò si può ottenere evitando il trattamento radiante quando non necessario, ritardandolo
quando possibile, riducendo la dose in casi selezionati a
prognosi più favorevole, riducendo il volume bersaglio
allo stretto indispensabile e, soprattutto, migliorando la
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tecnica, in modo da ridurre il volume di tessuto sano
irradiato a parità di target trattato. Il trattamento radiante deve essere evitato in assenza di dati di un suo significativo impatto sul controllo locale o sulla sopravvivenza e, nel caso di un miglioramento dell’outcome
percentualmente limitato, devono essere attentamente
considerati la possibilità di reinduzione della remissione completa ed il costo della recidiva in termini di
sopravvivenza, inoltre deve essere confrontata la tossicità di una chemioterapia di seconda linea, seguita o
meno da un secondo atto chirurgico e da un trattamento
radiante eseguito in età successiva, verso la RT di prima
linea. Nel bambino molto piccolo, nell’impossibilità di
evitare l’irradiazione, è opportuno posticiparla dal
momento previsto dal protocollo alla fine delle cure:
nella fascia di età inferiore a 3 anni, anche un guadagno
di pochi mesi può essere rilevante. Al momento attuale,
il protocollo SIOP EpSSG, in uso in Italia, prevede una
dose radiante variabile in accordo al rischio clinico; è
auspicabile che in breve tempo si possa perfezionare
questa stratificazione utilizzando dei dati funzionali. E’
noto da tempo il valore predittivo, per quanto riguarda
il controllo locale, della PET dopo RT, la letteratura più
recente riporta nel Rabdomiosarcoma un significativo
valore predittivo anche della PET post chemioterapia di
induzione. Se confermato, questo dato potrebbe consentire l’inserimento di questa indagine in una più precisa
stratificazione del rischio clinico, rendendo possibili
terapie post chemio di prima linea meno invasive e,
quanto meno, permettere uno studio di efficacia di dosi
radianti ridotte nei “good responders”. Il volume bersaglio, con tecniche moderne, può essere ridotto al minimo. Il centraggio attraverso la TAC rimane necessario
per la sua precisione geometrica e le macchine di nuova
generazione permettono una definizione di immagine
adeguata, significativamente migliorata dalla possibilità
di fusione con RMN e/o PET. In questo modo è agevole
delineare un target estremamente preciso. I sistemi di
immobilizzazione reperibili in commercio, la possibilità di controllo del campo in tempo reale ed i programmi di “traking” e “gating” rendono sufficiente un’espansione di millimetri per coprire gli spostamenti del
volume bersaglio dovuti a piccoli movimenti involontari del paziente, ad atti fisiologici come il respiro o il battito cardiaco o allo stato di replezione degli organi cavi
addominali. Una volta definito con la massima precisione possibile il target, deve essere scelta la tecnica più
adeguata, in base alla situazione clinica, per coprire
questo volume con il rapporto costo-beneficio più favorevole. Di seguito una necessariamente sintetica ed
incompleta descrizione delle tecniche in uso:
Radioterapia conformazionale 3D. La 3DCRT prevede
l’utilizzo di Acceleratori Lineari ad alta energia e l’integrazione con sistemi computerizzati per la ricostruzione
3D del volume da irradiare, utilizzando immagini TACRNM. E’ possibile in questo modo eseguire trattamenti
radianti per via esterna, conformati alla reale estensione
della massa neoplastica, con maggior risparmio delle
strutture sane e degli organi a rischio adiacenti.
Nonostante il maggior carico per la struttura, dovuto
alle procedure di “quality assurance”, la 3DCRT trova
XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
indicazione in tutti i pazienti affetti da neoplasia radiotrattabile ad esclusione della palliazione ed in radioterapia pediatrica è lo standard minimo accettabile.
Radioterapia a Intensità Modulata di dose. La IMRT
rappresenta un’evoluzione della 3D CRT e può essere
definita come una metodica tecnologicamente avanzata
per la programmazione ed erogazione di una RT con
campi multipli ad intensità di dose non uniforme. con
questa tecnica si possono coprire bersagli di forma irregolare anche se situati in prossimità di organi critici,
che potrebbero essere seriamente danneggiati da dosi
superiori alla soglia. La IMRT permette l’erogazione di
dosi più elevate rispetto alle dosi standard consentite
dalle tecniche meno sofisticate, con conseguente possibile impatto sul controllo locale, garantendo nel contempo una buona qualità di vita per il risparmio dei tessuti sani contigui. La pianificazione IMRT deve essere
supportata da tecniche di acquisizione di immagine
avanzate: TAC spirale, RNM, ecografia e PET-TAC,
per la necessità di avere immagini ad alta risoluzione di
volumi estesi, eseguite in tempi rapidi in modo da evitare i movimenti degli organi durante l’esecuzione
dell’esame. Stereotassi. La radiochirurgia stereotassica
(SRS) è una tecnica ormai datata, comunemente usata
per i tumori dell’encefalo o del midollo spinale.
Utilizza diverse apparecchiature: LinAc, Gamma-knife,
Cyber-knife, Tomotherapy per ottenere una concentrazione della dose in piccoli volumi, molto spesso prossimi ad organi sensibili. Da questa sono, più recentemente, derivate le tecniche di radioterapia stereotassica
“body” (SBRT), indirizzata a bersagli tumorali extra
SNC. La procedura ha dimostrato la sua utilità in
pazienti selezionati in stadio di malattia precoce o in
pazienti oligometastatici. IORT La Radioterapia
Intraoperatoria (IORT) è una tecnica ormai consolidata,
ben conosciuta e comprovata da numerosi studi clinici
che ne hanno evidenziato l’efficacia. Il paziente, immediatamente dopo la rimozione della neoplasia, viene
trattato con un’irradiazione singola di alcune decine di
Gy, direttamente in sala operatoria mentre è ancora
sedato. Il volume bersaglio è rappresentato dal guscio
di tessuto che avvolge il tumore, potenzialmente sede di
infiltrazione microscopica, e può essere coperto adeguatamente da un campo diretto di elettroni o di fotoni
di bassa energia, in un tempo variabile, ma comunque
nell’ordine delle decine di minuti. Grazie allo sviluppo
tecnologico attuale, si utilizzano acceleratori lineari
miniaturizzati, mobili, leggeri e maneggevoli, tali da
consentire un rapido trattamento del paziente, senza
spostamenti del tavolo operatorio. Adroterapia. Per
adroterapia si intende la moderna tecnica di RT che utilizza fasci di adroni, ossia di particelle elementari. Nella
pratica clinica si impiegano oggi protoni, particelle
subatomiche con carica elettrica positiva e nuclei atomici, anch’essi di carica positiva, come gli ioni carbonio (nuclei del 12C). Il vantaggio più significativo degli
adroni è quello di concentrare la dose rilasciata ai tessuti in uno spazio circoscritto, risparmiando i tessuti circostanti, oltre a questo, per la loro massa, gli ioni hanno
una efficacia biologica relativa (EBR), cioè un effetto
biologico sul tumore, da 1,3 a 4,5 volte superiore a
quella dei raggi X. Le apparecchiature per produrre
fasci di protoni e di ioni sono molto complesse e costose, per questo a tutt’oggi poco diffuse. L’esperienza di
trattamenti adroterapici è assai più limitata di quella con
fasci di radiazioni X e sono in corso di definizione le
indicazioni più appropriate. Vi sono stime che in Italia,
“a regime”, vi possano essere indicazioni per un trattamento elettivo con adroterapia di circa 2000 pazienti
l’anno, naturalmente ciò non esclude l’impiego di questa modalità terapeutica in altri casi, sia pure con indicazioni meno evidenti. L’oncologo radioterapista è il
professionista responsabile di questo tipo di trattamenti
ed anche la figura professionale in grado di definire le
indicazioni. Brachiterapia. E’ una metodica di radioterapia che consiste nell’introduzione di sorgenti radioattive nel contesto del bersaglio neoplastico, BT interstiziale, a contatto con questo, BT di superficie, o nell’organo cavo affetto da neoplasia, BT endocavitaria e
endoluminale. Ogni tecnica, in base alla struttura anatomica da irradiare, prevede l’uso di applicatori per veicolare e alloggiare la sorgente radioattiva nella sede di
trattamento e di mantenerne la corretta posizione per
tutta la durata della terapia. Il posizionamento degli
applicatori o delle sorgenti può avvenire per via diretta,
al termine di veri e propri atti chirurgici oppure sotto
guida endoscopica e/o radioscopica. La brachiterapia
può avere finalità curativa o palliativa e può essere
usata da sola o in associazione a chirurgia, chemioterapia e radioterapia a fasci esterni. La RT, soprattutto in
età pediatrica, quando il suo potenziale costo biologico
è maggiore, dovrebbe essere personalizzata in rapporto
al sottotipo istologico, alla sede di malattia, alla risposta
alla chemioterapia, all’entità della resezione chirurgica
e al rapporto costo-beneficio del trattamento pre o post
operatorio. Pianificazioni ed esecuzioni dell’irradiazione integrate e ad alta tecnologia possono migliorarne
l’efficacia e ridurne gli effetti collaterali. I risultati sono
superiori ed il percorso terapeutico e più agevole e
meno traumatizzante per bambino e famiglia se si svolge in un centro specializzato, sotto la guida di un team
multidisciplinare rodato. Il possesso e la perfetta conoscenza di tecnologie avanzate non sono infatti sinonimo
di cura di elevata qualità. La moderna tecnologia,
necessaria per un trattamento in età pediatrica esente da
rischi al giorno d’oggi inaccettabili, deve essere inserita
in un percorso di cura organizzato secondo protocolli,
che va dalla diagnosi, alla stadiazione, al trattamento
multidisciplinare, la cui qualità deve essere costantemente verificata, fino alla pianificazione del follow-up
e delle eventuali terapie di supporto e riabilitazione.
MIFAMURTIDE: ATTUALITÀ NELL’UTILIZZO NEI
PAZIENTI CON OSTEOSARCOMA
A. Tamburini
Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO
Oncoematologia Pediatrica, AOU A. Meyer, Firenze,
Italy
INDICAZIONE APPROVATA: Mifamurtide è indicato nei bambini, negli adolescenti e nei giovani adulti
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Relazioni
per il trattamento dell’osteosarcoma non metastatico ad
alto grado resecabile in seguito a resezione chirurgica
macroscopicamente completa. Il medicinale viene utilizzato in associazione alla chemioterapia post-operatoria con più agenti. La sicurezza e l’efficacia sono state
valutate in studi condotti su pazienti di età compresa tra
2 e 30 anni al momento della diagnosi iniziale.
DOSAGGIO E SOMMINISTRAZIONE, DURATA
DEL CICLO TERAPEUTICO E NUMERO DI CICLI:
La dose raccomandata di mifamurtide per tutti i pazienti
è 2 mg/m2 di area di superficie corporea per infusione
endovenosa di un’ora. Il medicinale deve essere somministrato come terapia adiuvante in seguito a resezione
per un ciclo terapeutico, in accordo al seguente schema:
due volte alla settimana ad almeno 3 giorni di distanza
l’una dall’altra per 12 settimane, per poi passare a trattamenti una volta alla settimana per altre 24 settimane,
per un totale di 48 infusioni in 36 settimane.
TIPO DI AZIONE NELL’OSTEOSARCOMA E
RAZIONALE D’USO: Una strategia terapeutica per il
trattamento dell’ osteosarcoma è rappresentata da un
uso combinato di chemioterapia antiblastica e immunoterapia. Accanto all’effetto citotossico diretto proprio
dei farmaci antitumorali, tale strategia sfrutta la capacità di interazione con il microambiente tumorale da
parte di farmaci immunostimolanti in grado di sviluppare una risposta infiammatoria ed immunitaria contro il
tumore. Sulla base di questo presupposto la mifamurtide (liposome-encapsulated muramyl tripeptide phosphatidyl ethanolamine [MTP-PE]; Mepact@), è un farmaco in grado di sviluppare una risposta infiammatoria
ed immunitaria verso l’ osteosarcoma.
PROPRIETà FARMACODINAMICHE: MTP-PE
è un derivato di sintesi del muramyl dipeptide (MDP)
che è un componente ad azione immunostimolante della
parete di batteri Gram+ e Gram-.Analogamente a MDP,
MTP ha proprietà di stimolazione monocitaria e macrofagica, ma in relazione alla sua elevata lipofilia risulta
molto più potente ed efficace del precedente. Le caratteristiche lipofile di MTP ne consentono l’incapsulamento all’interno di liposomi. I liposomi vengono rapidamente fagocitati dal sistema macrofagico in particolare a livello epatico e splenico.Studi preclinici hanno
chiaramente dimostrato che rispetto a MTP libero, MTP
incapsulato viene più a lungo trattenuto negli organi
bersaglio, ha una maggiore attività di stimolo macrofagico ed è anche meno tossica.M
MECCANISMO D’AZIONE ED INDUZIONE
DELL’ ATTIVITà TUMORICIDA: Dopo somministrazione, MTP è fagocitato da monocoti e macrofagi.
La degradazione dei liposomi rilascia MTP a livello
citoplasmatico. MTP si lega al recettore NOD2 (nucleotide-binding oligomerization domain 2), una proteina
citoplasmatica espressa in monociti, macrofagi, cellule
dentritiche, che induce l’attivazione del nuclear factor
(NF)-kB . Si ritiene dunque che l’ attivazione macrofagica e monocita sia indotta da MTP sia mediata da
NOD2. Studi in vitro e in vivo hanno mostrato come l’
esposizione di monociti a MTP sia in grado di provocarne l’ attivazione e stimolarne l’ attività citotossica antitumorale in colture cellulari di tumori del colon, rene,
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melanoma ed ovaio. In uno studio clinico su pazienti
con sarcomi venne riscontrato un significativo incremento, rispetto ai valori basali, dell’ attività monocitica
dopo trattamento con MTP.L’ interazione fra MTP e
sistema monocitico/macrofagico si esprime attraverso l’
aumentata produzione di citochine pro infiammatorie
quali TNF-α, IL-6, IL-8 sia in vitro sia in studi in vivo
su pazienti con osteosarcoma metastatico. Studi in vivo
hanno evidenziato che il trattamento con MTP induce
un incremento di PCR, neopterina (marcatore di attività
macrofagica) e b2 microglobulina. Da segnalare che
non sembra esservi relazione fra l’ attività monocita ria
indotta da MTP e livelli plasmatici delle citochine.La
somministrazione di Mifamurtide ha mostrato attività
in modelli animali. L’ uso adiuvante di MTP ha aumentato la sopravvivenza in cani con osteosarcoma, tuttavia
l’ uso di MTP in animali (cani, gatti) in presenza di
malattia macroscopica non ha impattato sulla sopravivenza, indicando come la massa tumorale sia un fattore
condizionante l’ efficacia di MTP.La somministrazione
di chemioterapia non modifica l’ efficacia di stimolazione monocitaria propria del farmaco. Sono stati condotti studi con DOXO, CDDP, HDMTX, peraltro, l’ uso
congiunto di ADM e CTX deprime significativamente l’
attività di immunostimolazione di MTP.Sono stati condotti studi di combinazione con Ifosfamide che hanno
mostrato come l’ incremento dei livelli plasmatici di
TNF a, IL-6, IL-8, Neopterina e PCR non differisse da
quello riscontrato in pazienti trattati con il solo MTP. Il
profilo di tossicità di entrambi i farmaci non veniva
modificato da un loro uso congiunto.
PROPRIETà FARMACOCINETICHE: Dopo
somministrazione endovenosa MTP è rapidamente
rimosso dal circolo. L’ eliminazione plasmatica ha un
andamento bifasico, con un’ iniziale emivita plasmatica
di 15 minuti e un’ emivita terminale di 18 ore. MTP non
si accumula per somministrazioni ripetute. Dopo ripetute somministrazioni non sono state osservate variazioni
rispetto alla prima somministrazione in termini di AUC
e concentrazioni plasmatiche di MTP.
STUDI CLINICI DI FASE I E II: MTP è stato valutato clinicamente in una serie di studi clinici di fase I
che hanno coinvolto approssimativamente 150 pazienti
con neoplasie in fase avanzata. In tali studi la dose massima tollerata è stata fissata in 4-6 mg/m2 In una fase
successiva il farmaco è stato valutato in uno studio di
fase II in pazienti con osteosarcoma in ricaduta con
metastasi polmonari.Di particolare interesse la dimostrazione di un intenso infiltrato infiammatorio a carico
delle lesioni polmonari resecate dopo trattamento con
MTP (6 pazienti) con conservazione di tessuto vitale al
centro della lesione, contrariamente a quanto osservato
in noduli polmonari di pazienti non precedentemente
trattati con il farmaco, ma con la sola chemioterapia che
presentavano necrosi centrale con cellule vitali periferiche. Tale osservazione è stata interpretata come un
segno di attività del farmaco nei confronti dei noduli
tumorali.In termini di sopravvivenza la mediana di
sopravvivenza libera da malattia fu di 9 mesi rispetto ai
controlli storici. Un gruppo di pazienti ricevette MTP
per 12 settimane, un altro gruppo per 24 settimane. In
XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
termini di sopravvivenza, il 56% dei pazienti trattati per
24 settimane sopravisse a 5 anni, rispetto al 25% di
quanti vennero trattati per 12 settimane. Di quanti ricevettero chemioterapia solo 2 dei 21 pazienti sopravvissero a 5 anni.Mepact@ è un farmaco in grado di sviluppare una risposta infiammatoria ed immunitaria verso l’
osteosarcoma consentendo un uso combinato di chemioterapia e immunoterapia. MTP-PE è un derivato di
sintesi del muramyl dipeptide (MDP) che è un componente ad azione immunostimolante della parete di batteri Gram+ e Gram-. Le caratteristiche lipofile di MTP
ne consentono l’ incapsulamento all’ interno di liposomi. I liposomi vengono rapidamente fagocitati dal sistema macrofagico in particolare a livello epatico e splenico. Studi in vitro e in vivo hanno mostrato come l’ esposizione di monociti a MTP sia in grado di provocarne l’
attivazione ed a stimolarne l’ attività citotossica antitumorale in colture cellulari di tumori del colon, rene,
melanoma ed ovaio. In uno studio clinico (Chou A. J. et
al. Cancer, 10/2009) coinvolgente pazienti con sarcomi
venne riscontrato un significativo incremento, rispetto
ai valori basali, dell’ attività monocitica dopo trattamento con MTP. Gli autori riportano la loro esperienza
nell’uso di questo farmaco per il trattamento dell’osteosarcoma localizzato trattato secondo protocollo ISGOS2, valutando soprattutto gli aspetti di farmacocinetica, farmacodimamica e tossicità.
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Relazioni
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XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
INFERMIERI - Comunicazioni orali
C001
GESTIONE DEL PERIPHERALLY INSERTED
CENTRAL CATHETER IN ONCOEMATOLOGIA E
CTMO PEDIATRICO: UNA NUOVA COMPETENZA
INFERMIERISTICA
R. Ceresoli1, S. Benvenuti2, D. Alberti2, F. Porta1
1Oncoematologia e Centro Trapianti Midollo Osseo
Pediatrico; Clinica Chirurgica Pediatrica, Università
degli Studi, Brescia, Italy
L’introduzione in ambito oncoematologico pediatrico dei cateteri venosi centrali ad inserzione periferica
[Peripherally Inserted Central Catheter (PICC) e MIDLINE] costituisce una recente ma importamtissima
innovazione tecnologica che rappresenta, ad oggi, la
migliore risposta alla necessità di ottenere in ogni
paziente, sia in ospedale che a domicilio, una linea
venosa centrale stabile e sicura, conseguita e mantenuta
con il minimo rischio e il miglior rapporto costo-beneficio. La diffusione di questi presidi è legata essenzialmente a quattro caratteristiche: Versatilità del device, il
tempo di permanenza più lungo rispetto ai dispositivi a
breve e medio termine, la possibilità di essere posizionato anche a pazienti con scarso patrimonio venoso e
l’inserimento anche da parte di personale infermieristico adeguatamente addestrato. L’obiettivo di questo
lavoro è quello di illustrare il device, le sue caratteristiche, le indicazioni al posizionamento, le modalità per
una corretta gestione da parte dell’equipe infermieristica e la prevenzione delle complicanze. Attraverso uno
studio osservazionale nell’anno 2014 sono state analizzate alcuni casi clinici per i quali è stato possibile l’utilizzo del PICC in Oncoematologia e Centro Trapianti di
Midollo Osseo pediatrico dell’AO “Spedali Civili” di
Brescia, raccogliendo dati inerenti la tecnica di impianto, i vantaggi, la gestione, la prevenzione delle complicanze e gli interventi da attuare nel caso compaiano. I
risultati della ricerca mostrano come i PICC, in base
alla nostra esperienza siano una componente essenziale
per le infusioni a medio lungo termine di farmaci, chemioterapici, Trapianto di Cellule Staminali
Emopoietiche allogeniche e autologhe, Nutrizione
Parenterale Totale, grazie alla maggiore sicurezza e
rapidità nel posizionamento e alla facilità di gestione
rispetto ai CVC tradizionali. La novità più importante
sta nella totale gestione infermieristica del Device in
quanto l’infermiere, in qualità di professionista dell’assistenza, ormai svincolato da un mansionario che ne
limitava le competenze, ne possiede la completa autonomia infatti il posizionamento, la gestione ordinaria e
le complicanze possono essere controllate e trattate da
personale infermieristico adegutamente addestrato.
Pertanto è anche interesse dell’infermiere poter far propria una maggiore professionalità al pari dei paesi
anglosassoni.
C003
INSIEME PER UNA CORRETTA GESTIONE DEL
CATETERE VENOSO CENTRALE IN AMBITO
DOMICILIARE
A. Ciuffreda
UO Oncoematologia Pediatrica, IRCCS Casa Sollievo
della Sofferenza, Opera Padre Pio da Pietrelcina, San
Giovanni Rotondo (FG), Italy
BACKGROUND: Gestire un catetere venoso centrale a livello domiciliare è qualcosa di semplice ma
assolutamente non esente da rischi di ogni tipo, a maggior ragione se di ciò se ne deve occupare un care giver
rappresentato da uno dei genitori o da un familiare o dal
paziente stesso.
OBIETTIVI: Attraverso la relazione d’aiuto che si
stabilisce durante il ricovero con il personale ospedaliero e in particolar modo con gli infermieri, è emerso
spesso il bisogno di avere una migliore conoscenza del
CVC e della sua gestione, per cui insieme si è cercato
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Comunicazioni orali
di realizzare uno strumento che permettesse ciò, tenendo conto sia delle esigenze di conoscenza del pazientefamiliare che delle esigenze di correttezza e uniformità
del personale sanitario.
METODI: Partendo dal numero di CVC posizionati
annualmente nel nostro reparto (circa 30) e dal numero
di CVC rimossi per infezioni domiciliari e/o ospedaliere (2-3 circa) attraverso l’esigenza di conoscenza e
d’informazione rilevata dal nucleo paziente-genitore
(dubbi, timori, esigenza di uniformità d’azione tra le
figure che a diverso titolo, modo e con diverse responsabilità hanno cura del CVC), attraverso ricerche, confronto di protocolli nazionali e internazionali, delle
linee guida più utilizzate nei centri onco-ematologici
pediatrici e non, mirati a soddisfare l’esigenza di gestione corretta del cvc da parte del personale infermieristico, anni di esperienza in questo campo mutuati dalla
costante collaborazione con il GdL dell’Aieop sulla
gestione del catetere venoso centrale; si è avuta una graduale crescita che ha permesso di realizzare una procedura di gestione e di un manuale che insieme all’addestramento teorico-pratico del care-giver ha permesso in
quest’ultimo anno di azzerare o quasi, i già pochi casi
di rimozione CVC per infezione.
CONCLUSIONI: Attraverso il manuale realizzato
e consegnato alla famiglia sarà possibile avere un filo
conduttore unico che renderà più corretta ed uniforme
possibile la gestione del CVC a domicilio sia che essa
venga fatta da parte di care-giver familiare che sanitario (Figura 1).
Figura 1.
C004
L’EQUIPE MULTIDISCIPLINARE DELL’AREA
GIOVANI: LA RISPOSTA ALLE ESIGENZE DI UN
REPARTO ONCOLOGICO DI/PER ADOLESCENTI
E GIOVANI
L. Franceschetto, F. Bomben, T.R. Cirillo,
M.A. Annunziata, P. Bulian, E. Coassin, M. Debiasi,
C. Elia, P. Fabbro, M. Gigante, M. Spina, I. Truccolo,
M.F. Valentini, M. Mascarin
Area Giovani CRO Centro di Riferimento Oncologico,
Aviano (PN), Italy
INTRODUZIONE: Il Centro di Riferimento
Oncologico di Aviano (PN) accoglie mediamente
55/nuovi-pazienti/anno tra 14-29 anni (21%‚ ≤18 anni)
che necessitano di trattamenti post-chirurgici.
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Prerogative proprie di questa fascia d’età hanno reso
necessaria, nel 2007, l’apertura dell’Area Giovani, spazio assistenziale multidisciplinare e multidimensionale
specifico e distinto, in cui convergono e cooperano differenti Dipartimenti e Strutture Operative. Per il giovane paziente, l’Area Giovani rappresenta un’offerta di
cura “dedicata”, nella quale può riconoscersi protagonista attivo del proprio percorso, disponendo di strumenti
clinici, relazionali e pratici che gli consentono di interfacciarsi con malattia, trattamenti e ospedalizzazione in
modo agevole e vantaggioso.
OBIETTIVI: Ricercando la promozione della salute
globale dell’individuo, ci si propone di attendere in
egual misura al benessere biologico, clinico, psicologico e socio-relazionale del paziente. Al fine di comprendere e rispondere adeguatamente a ogni bisogno, si considera necessario lo scambio di punti di vista differenti
all’interno di un gruppo di lavoro dedicato e variegato
nelle professionalità.
METODI: L’Area Giovani prende in carico ogni
giovane paziente dell’Istituto occupandosi di processi
diagnostici, trattamenti antineoplastici, effetti collaterali, fertilità, equilibri familiari, relazioni amicali, risultati
scolastici, progetti di vita, attività diversionali, ruoli
sociali e di ricerca traslazionale. Ciò avviene attraverso
l’impegno di un’equipe specifica e multidisciplinare
composta da medici, infermieri, tecnici, psicologi,
ricercatori, educatori, insegnanti, bibliotecari, assistenti
spirituali e volontari che cooperano offrendo contributi
peculiari e complementari. Ciò si fonda sul continuo
scambio comunicativo tra le parti, sulla disponibilità
del singolo operatore e sulla diacronica riformulazione
del processo di cura sulla base delle necessità del
paziente.
RISULTATI: E’ esperienza dei pazienti, riferita a
voce, mediante questionari di soddisfazione e su diari di
libera espressione presenti in reparto, considerare
l’Area Giovani come un luogo in cui la cura è rappresentata dalla coesione dell’equipe che la promuove e la
agisce, in virtù della quale esiste lo spazio per esprimere, decodificare e limitare difficoltà molteplici e differenti/contingenti.
CONCLUSIONI: L’oncologia dell’adolescente è un
terreno che necessita di una visione sul paziente polimorfa, per portare avanti trattamenti e crescita individuale allo stesso tempo e con il medesimo interesse. In
Area Giovani ciò è fattibile mediante scambio e cooperazione continui in un’equipe specializzata e dedicata.
C005
VALUTAZIONE DEI SINTOMI NEGLI ADOLESCENTI
AFFETTI DA PATOLOGIA NEOPLASTICA DURANTE
L’ITER TERAPEUTICO
S. Macchi, M. Berti, M. Ferrante, M. Gaidolfi,
R. Ghezzi, G.E. Triglia, R. Marra, S. Saverino,
M.A. Armiraglio
IRCCS Fondazione Istituto Nazionale dei Tumori,
Milano, Italy
SCOPO: Scopo del presente studio è di determinare
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
frequenza, intensità e preoccupazione correlata ai sintomi avvertiti da adolescenti in trattamento per neoplasie
solide, in seguito alla somministrazione di agenti chemioterapici.
METODO: Studio osservazionale tramite la somministrazione del Memorial Symptom Assessment
Scale 10-18, previa validazione trans-culturale per la
lingua italiana, una settimana dopo aver concluso la
somministrazione di chemioterapia ad un campione di
51 pazienti (10-18 anni) per i primi tre cicli.
CAMPIONE: Dal gennaio 2013 al dicembre 2014, 51
pazienti consecutivi di età compresa tra i 10 e i 18 anni
compiuti afferiti presso la nostra S.C. di pediatria per il
trattamento di un tumore solido sono stati arruolati, previa
firma del consenso informato dei genitori se minorenni ed
assenso degli stessi oppure consenso dei maggiorenni. La
popolazione è costituita da 23 femmine e 28 maschi, età
mediana alla prima intervista 16 anni. Quattro pazienti
hanno rifiutato di partecipare, 1 ha rifiutato al primo ciclo
accettando poi ai 2 successivi cicli ed una ha compilato il
primo questionario e non gli altri due per l’aggravarsi
delle condizioni generali. Tutti gli arruolati, eccetto uno,
erano al loro primo ciclo di chemioterapia.
RISULTATI: Per ogni singolo questionario la media
dei sintomi riferiti è stata di 11 (range compreso tra 2 e
22), il 60% dei pazienti ha presentato più di 10 sintomi
contemporaneamente. I sintomi più avvertiti sono stati
mancanza di energia (77%), perdita dei capelli (64%),
sonnolenza (57%), nausea (56%), perdita di appetito
(50%), sensazione di avere la bocca secca (45%), dolore alla bocca (42%) e dolore (41%). E’ stata calcolata
anche la percentuale di frequenza, intensità e preoccupazione per ogni sintomo.
CONCLUSIONI: Dall’analisi dei dati raccolti
emerge un numero significativo di sintomi avvertiti dai
pazienti pediatrici affetti da tumori solidi e sottoposti a
trattamento chemioterapico, tali da incidere negativamente sulla loro qualità di vita. Occorre pertanto porre
maggior attenzione al riconoscimento precoce di tali
sintomi e alla loro gestione, sia con interventi farmacologici che non farmacologici.
IMPLICAZIONI PER GLI INFERMIERI: E’
necessario un esame supplementare per la gestione dei
sintomi in ambito onco-ematologico pediatrico. Ad
esempio scale multidimensionali per monitorare i sintomi possono essere utilizzate per fornire una valutazione
più completa e permettere, di conseguenza, un miglior
trattamento dei sintomi.
(Kurdistan Regional Government, KRG) è un’area con
elevata incidenza di b-Thalassemia. Il Thalassemia
Center di Dohuk ogni anno assiste circa 1020 bambini,
destinati ad aumentare per la guerra negli stati confinanti di Iraq e Siria. I pazienti che accedono al Centro
sono per lo più affetti da b-Thalassemia Major ed hanno
età differenti: da pochi mesi fino all’età adulta, che
necessitano di trasfusioni di emazie e supporto clinico
per complicanze in fase avanzata della malattia.
OBIETTIVI: Potenziamento dei servizi ospedalieri
in campo materno-infantile attraverso attività formative
in loco in ambito pediatrico-ematologico. Miglioramento
dell’assistenza infermieristica mediante l’educazione,
training e utilizzo di strumenti pratici per l’equipe infermieristica del luogo.
METODI: Prima fase di raccolta di informazioni
relative al Centro in merito all’organizzazione e all’assistenza in essere; successive proposte educative e inserimento di strumenti operativi in ambito assistenziale e
valutazione delle attività svolte.
RISULTATI: Il progetto formativo si è realizzato in
3 missioni per un totale di 8 settimane. L’attività infermieristica in loco appariva confusa e disorganizzata. E’
stata adibita una stanza dedicata all’equipe infermieristica dove svolgere le attività peculiari di assistenza ad
ogni singolo paziente. E’ stata realizzata e messa in pratica documentazione assistenziale, per accrescere la
conoscenza del personale infermieristico in merito alle
patologie e alla gestione dei pazienti trattati. La documentazione riguarda: 1) HANDBOOK EDUCATIVI
su: thalassemia nursing, vital signs, chelation therapy,
check list blood transfusion, check list platelets transfusion, handover; 2) POSTERS: check list blood transfusion, check list platelets transfusion, fever, severe tranfusion reaction, wash your hands, vital signs; 3) EMERGENCY BOX per gestione della reazione trasfusionale
severa. E’ stata educata l’equipe infermieristica sul passaggio delle consegne tra il turno del mattino e quello
del pomeriggio e consegnata la turnistica per 4 mesi
così da permettere un’equa rotazione delle risorse.
CONCLUSIONI: Questo progetto di cooperazione
internazionale ha permesso la formazione del personale
infermieristico curdo che ha collaborato e mostrato
interesse al cambiamento e apprendimento. Ad oggi, gli
infermieri del Centro mettono in atto i contenuti appresi. Questo ha permesso un miglioramento dell’assistenza ai pazienti.
C007
C006
PROGETTO FORMATIVO AL JIN THALASSEMIA
CENTER DI DOHUK-KURDISTAN-IRAQ:
ESPERIENZA DI DUE INFERMIERE
DELL’EMATOLOGIA DELL’OSPEDALE
SAN RAFFAELE DI MILANO
F. Buzzi, M. Gavezzotti, S. Rolandi, F. Chiodi Daelli,
R. Corrado, F. Ciceri, C. Soliman, F. Giglio
Ospedale Vita Salute San Raffaele, Milano, Italy
INTRODUZIONE:
Il
Kurdistan
Iracheno
IMMIGRAZIONE SANITARIA: ESPERIENZA NEL
DIPARTIMENTO DI ONCO-EMATOLOGIA
DELL’ISTITUTO G. GASLINI DI GENOVA
C. Badino, C. Verardo, O. Vianello, G. Nulchis,
M. Marina, F. Naselli, M. Conte, L. Amoroso,
R. Haupt
Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italy
BACKGROUND: Negli ultimi anni si è assistito
nel nostro istituto ad un aumento del flusso migratorio
di pazienti provenienti da paesi europei o extra per trat-
| 111 |
Comunicazioni orali
tamenti onco-ematologici. Nel periodo 2005-2014
infatti il numero di ricoveri di bambini stranieri è cresciuto passando da 11 a 22 nuovi caso/anno. Tale fenomeno migratorio costituisce un impegno rilevante per il
personale medico-infermieristico che deve confrontarsi
con la patologia oncologica ma anche con differenze
linguistiche, culturali, religiose e comportamentali. Per
tali motivi da anni è stato istituzionalizzato nella nostra
struttura un servizio di mediazione culturale con soggetti madrelingua che viene utilizzato a supporto del
personale medico-infermieristico e psicologico nei
momenti importanti del percorso terapeutico del bambino: comunicazione di diagnosi e del piano terapeutico,
richiesta di consensi informati, procedure diagnostiche
invasive, comunicazione di recidiva, terminalità. Per
usufruire del servizio è necessario farne richiesta telefonica 12-24 ore prima della prevista comunicazione
mentre per le esigenze più pratiche quotidiane si fa
ricorso a traduttori portatili su tablet. Sono inoltre
disponibili libretti informativi in varie lingue che illustrano l’organizzazione del reparto, regole alimentari ed
igieniche da seguire.
OBIETTIVI E METODI: Definire con un questionario tipo Likert le criticità assistenziali percepite dal
personale infermieristico legate all’interazione con
famiglie straniere.
RISULTATI: Sono stati analizzati 23 questionari.
CRITICITà RILEVATE: inguistica nel 100% dei
casi, difficoltà nel comunicare le regole di reparto e
adattabilità alla dieta proposta in degenza nel 75% dei
casi, comprensione del concetto di terminalità o necessità di cure palliative nel 50% dei casi, diverso culto
religioso nel 40% dei casi.
CONCLUSIONI: La cura di bambini stranieri comporta criticità assistenziali in particolare nel personale
infermieristico. Gli strumenti a disposizione sono ancora
inadeguati e un percorso formativo specifico per il personale potrebbe essere un utile strumento per il futuro.
errore nel calcolo del dosaggio rapportato al peso o di
interpretazione dei decimali. Maggiore professionalizzazione infermieristica nella somministrazione dei farmaci e nella verifica della posologia e della conoscenza
degli effetti dei farmaci. Preparazione specifica del professionista all’interazione farmaco-paziente. Se la fornitura del farmaco è ad personam da parte del farmacista, il farmacista comunicherà! al prescrittore le incongruenze rilevate. Ogni farmaco ha un luogo di preparazione. Esso determina i passaggi successivi
(FaemaSafe@): COLLABORAZIONE (farmacista) →
PRESCRIZIONE (medico) → ALLESTIMENTO
(infermiere, medico) → SOMMINISTRAZIONE
(infermiere). LA SOMMINISTRAZIONE DELLA
TERAPIA: per ogni paziente c’è un piano di somministrazione organizzato per giornata, turno, modalità operative. Identificazione del paziente tramite codice a
barre (attualmente non ancora attivo). → associazione
farmaco-paziente tramite codici nuovi → lettura etichetta presente sul farmaco allestito → confronto dato
del paziente che riceve la somministrazione. La
Pediatria Oncoematologica è un settore clinico a rischio
ancora maggiore per le terapie chemioterapiche, perché
sconta alcuni problemi legati al dosaggio dei farmaci, al
loro calcolo e alla relativa disponibilità dei piccoli
pazienti. Raramente gli incidenti sono causati da un
unico errore, ma più spesso sono il frutto di una concatenazione di eventi e il personale infermieristico, essendo l’ultimo anello della catena, molto spesso intercettano gli errori degli altri professionisti, riducendone l’incidenza. La tecnologia informatica è un valido supporto
per contenere e ridurre gli errori di terapia in
Oncoematologia Pediatria, inoltre risolve molti problemi di comunicazione, ma ciò, presuppone l’impego di
procedure chiare, precise e standardizzate. Guida l’operatore ad eseguire le attività di prescrizione con modalità prestabilite garantendo di eseguire tutti i passaggi.
C009
C008
APPROCCIO METODOLOGICO DI UN SISTEMA
INFORMATICO ALL’AVANGUARDIA NELLA
TERAPIA IN ONCOEMATOLOGIA PEDIATRICA.
IL RUOLO DELLA MULTIDISCIPLINARIETÀ NEL
RISK MANAGEMENT
B. Togni, M. Gialli, M. Provenzi
U.S.S. Oncoematologia Pediatrica, AO Papa Giovanni
XXIII, Bergamo, Italy
La gestione dei rischio è una delle principali componenti del sistema qualità e gli errori di terapia risultano essere una delle maggiori attività a rischio, soprattutto, ad opera degli infermieri. Esistono cinque categorie
di errore nella gestione del farmaco: l’errore di prescrizione, l’errore di trascrizione/interpretazione, l’errore
di preparazione, l’errore di distribuzione e l’errore di
somministrazione. Il RISK MANAGEMENT nel trattamento farmacologico in PEDIATRIA può essere caratterizzato da una prescrizione errata o poco precisa del
farmaco, negligenza nella trascrizione del dosaggio,
| 112 |
IMMAGINE CORPOREA ALTERATA PERCEPITA
DAL BAMBINO ONCO-EMATOLOGICO: REVISIONE
SISTEMATICA
E. Di Tullio
Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara,
Italy
INTRODUZIONE: Il corpo è il mezzo e lo strumento con cui ogni individuo sperimenta la propria soggettività e il proprio rapporto con il mondo. Quando si
entra nella dimensione della malattia, il corpo sofferente rimanda sensazioni, paure, visioni di sé, spesso inedite per ognuno di noi. Per un bambino contrarre una
malattia rappresenta un’interruzione violenta del suo
ciclo vitale in evoluzione; nel bambino e nell’adolescente l’impatto emotivo è più intenso e provoca forti
modificazioni in quanto questo è di per sé un periodo
già normalmente caratterizzato da cambiamenti, crisi e
continui adattamenti psicologici, fisici e relazionali.
OBIETTIVI: Valutare quanto il cancro e le terapie
antineoplastiche influiscono sull’immagine corporea
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
percepita dai bambini e adolescenti affetti da tumori
maligni solidi e del sistema emopoietico.
MATERIALI E METODI: Disegno dello studio:
revisione sistematica. Strategia PICO utilizzata: P=bambini onco-ematologici; I=terapia antineoplastica; C=;
O=alterazione dell’immagine corporea. Strategie di
ricerca: fonti primarie, consultati i database di Medline
(pubMed), Cochrane Collaboration, Cinahal ed Embase.
Letteratura grigia ricercata mediante: American Nurses
Association, Digital Dissertation, SIGLE, Clinical
Trial.gov, EBSCO Host, Google Scholar. Periodo di
tempo: dal 1920 al 2013. Variabili di interesse: immagine
corporea, bambini e adolescenti, cancro, onco-ematologia Valutazione qualitativa: tutti gli studi sono stati valutati criticamente e riassunti secondo la Critical Appraised
Topocs (CATs) (Tabella 1).
DISCUSSIONE: Dagli studi esaminati emerge che
nei bambini, ma soprattutto negli adolescenti, il cancro e le cure provocano preoccupazione per il cambiamento del loro aspetto fisico, particolarmente in relazione agli effetti collaterali delle terapie come la perdita dei capelli e le amputazioni, trasformando, così,
l’immagine corporea. Per gli adolescenti con cancro
diventa difficile interagire con gli amici e sviluppare
relazioni intime.
CONCLUSIONI: Oltre a dover sopportare la sofferenza fisica legata alla patologia e ai trattamenti diagnostici e terapeutici a cui i bambini malati di cancro
vengono sottoposti, devono anche affrontare il disagio
psicologico che deriva dal cambiamento dell’immagine corporea; tale cambiamento modifica il rapporto
con i familiari, con il gruppo dei pari, nonché può
comportare modificazioni nel rendimento scolastico.
Il ruolo dell’infermiere è fondamentale, egli è il collegamento tra i vari componenti dell’équipe, la famiglia
e il bambino.
Tabella 1. Articoli eleggibili per l’analisi qualitativa.
Studio
Obiettivi
Larouche&C
hin-Peuckert
(2006)
Studiare: (1) la relazione tra
immagine corporea, cancro e
terapie oncologiche; (2)
l’impatto dell’immagine
corporea sulla vita quotidiana
Studiare le variazioni nella
“ffatigue” durante il
trattamento per il cancro
secondo la prospettiva di
bambini, adolescenti e genitori
Perdikaris et
al. (2009)
McCaffrey et
al. (2006)
Kyritsi et al.
(2007)
Identificare i fattori con
maggiore impatto negativo sul
benessere dopo la diagnosi di
tumore
Studiare l’influenza delle
patologie onco-ematologiche
sul concetto di sé
Misura
Commento
Pazienti = 5
Popolazione
Trasversale
Disegn
no
dello studio
Colloquio semistrutturato
Nonostante l’immagine corporea dei
pazienti risulti alterata, si mettono in atto
meccanismi di compenso in grado di
avere una normale vita sociale
Pazienti
69 pz ed un loro
genitore (7 - 12
anni, N = 40;
13 - 15 anni,
N = 29)
Pazienti = 35
(età 5 - 15 anni)
Prospettico
Scala peediatrica
della “ffatigue”
Il 62.5% dei pazienti riferisce che la
diagnosi di tumore ha modificato la loro
immagine corporea
Trasversale
Colloquio
La variazione dell’immagine corporea ha
un notevole impatto negativo sul
benessere psico-fisico
Pazienti = 165
Controlli sani =
417
Pazienti affetti
da talassemia =
212
Pazienti = 22
Trasversale
Piers!Harris
Children’s Self!
concept scale
I bambini con neoplasie valutano
negativamente il loro comportamento, il
loro aspetto, la perfor
o mance scolastica, ed
esprimono meno soddisfazione e felicità
Trasversale
Colloquio semistrutturato
On-line survey
La variazione dell’aspetto esteriore
rappresenta una problematica rilevante
nei bambini ed adolescenti con patologie
onco-ematologiche, determinando ansia e
timore di mostrarsi in pubblico
Williamson et
al. (2010)
Valutare se la diagnosi di
tumore possa modificare la
percezione esteriore e come
questo possa influire sulla vita
sociale e personale
Lee et al.
(2012)
Esaminare l’esperienza
dell’immagine corporea dei
bambini e adolescenti affetti
da cancro
Studi = 8
Metasintesi
Ricerca di
articoli scientifici
su databa
b se
Il cambiamento dell’immagine corporea
provoca cambiamenti nelle interazioni
interpersonali oltre che nella vita
quotidiana e del benessere fisico
Fan & Eiser
(2009)
Valutare l’esperienza del
cambiamento dell’immagine
corporea (IC) dei bambini e
degli adolescenti con neoplasie
maligne sottoposti a
trattamenti terapeutici
Studi = 32
Revisione
sistematica
Ricerca di
articoli scientifici
su databa
b se
Non vi sono prove sufficienti che
mostrano che i bambini e gli adolescenti
con cancro hanno IC alterata rispetto ai
controlli sani. Tuttavia, le variabili
demografiche e mediche possono
incidere IC
Woodgate
(2005)
Valutare l’impatto che i
sintomi legati alla malattia
hanno sull’immagine corporea
Famiglie = 39
Adolescenti =
15
Studio
longitudinale
qualitativo
Intervist
se
strutturate e
non, individuali
e focus group
Il cancro insieme ai suoi trattamenti,
nell’adolescente, ha spesso un effetto
imponente sull’immagine di sé,
influenzando la percezione che hanno dei
loro corpi
Pendley
(1997)
Esaminare l’immagine
corporea e l’adattamento
sociale degli adolescenti che
hanno completato il
trattamento
Osservazionale
Intervist
se
strutturate e non
I sopravvissuti al cancro sviluppano una
difficoltà maggiore nei rapporti psicosociali specialmente se il gruppo dei pari
ha progredito molto nelle interazioni
sociali, per esempio negli incontri e
relazioni romantiche
Eapen et al.
(1999)
Valutazione della percezione di
sé e dell’autostima dei bambini
con diagnosi di cancro recente
e de
d lla percezione ch
he ha
h nno
di essi le loro famiglie
Adolescenti (al
termine delle
terapie) = 21
Gruppo di
controllo,
adolescenti sani
= 21
Bambini = 30
(19 M, 11 F)
Famiglie = 30
Osservazionale
Harter’s Selff-percepttion
Proffile for
Children
Interviste ai
genitori
I bambini con il cancro sono
particolarmente vulnerabili e si sentono
socialmente indesiderabili a causa dei
trattamenti;i i genitorii all contrariio pensano
che i loro figli si siano adeguati senza
problemi, forse a causa del rifiuto
!
C010
LA DILUIZIONE E LA SOMMINISTRAZIONE DEI
FARMACI IN PEDIATRIA PER LA SALVAGUARDIA
DEL PATRIMONIO VENOSO: REVISIONE DELLA
LETTERATURA
D. Cariolato, A. De Tina, E. Pasut
Università degli Studi di Udine, Italy
BACKGROUND: La presenza di un catetere venoso periferico (cvp) è associata a complicanze quali flebite, infiltrazione e stravaso (Gabriel et al., 2005;
Scales 2008) e tra i fattori che li determinano vi sono le
caratteristiche chimico-fisiche delle soluzioni da infondere per via enodovenosa (pH e osmolarità).
OBIETTIVI: Raccogliere tutte le evidenze scientifiche disponibili sulle modalità di diluizione e di somministrazione dei farmaci ad uso parenterale, per ridurre le
complicanze relative alla loro infusione endovenosa
(flebite, infiltrazione e stravaso).
MATERIALI E METODI: E’ stata condotta una
revisione integrativa della letteratura interrogando
attraverso i termini MESH, la banca dati MEDLINE e
le banche dati Cochrane, Terap, Cinahl, AIFA (Agenzia
Italiana del Farmaco), Clin-eGuide. Gli articoli considerati sono pubblicati in lingua inglese, dall’anno 2000
all’anno 2014 riferiti alla popolazione umana nella
fascia d’età 0-18 anni. Sono stati considerati anche articoli della letteratura grigia e libri di testo.
RISULTATI: Il 69% dei farmaci utilizzati in pediatria provoca una complicanza a livello venoso, di questi
il 52% è rappresentato da farmaci particolarmente acidi,
basici, ipertonici o ipotonici: per ognuno è stata creata
una scheda con la descrizione delle caratteristiche chimico-fisiche e con le indicazioni di diluizione e somministrazione adeguate.
DISCUSSIONE: Le evidenze scientifiche disponibili sono limitate e non indagano gli effetti sui bambini,
mentre i campioni sono di bassa numerosità e disomogenei. Gli studi raccolti e le stesse schede tecniche del
farmaco, si concentrano maggiormente sugli outcome
terapeutici e sugli effetti collaterali, indicando le modalità di somministrazione e diluizione al fine di preservare gli organi vitali come ad esempio il rene o il fegato.
CONCLUSIONI: Per ogni farmaco o soluzione da
infondere per via endovenosa è necessario conoscere il
tipo di solvente, il volume finale, la velocità di infusione e la modalità di somministrazione (continua, intermittente o in bolo); è da valutare sempre la possibilità
di ricorrere ad un accesso venoso centrale quando si
debbano somministrare farmaci vescicanti e/o irritanti,
la nutrizione parenterale e in particolare farmaci con
pH‚ ≤ a 5 o ≥9 e/o con osmolarità ≥a 600 mOsm/L
(Moureau 2014) per i quali si preveda un periodo lungo
di trattamento. Key Words: child: birth-18 years, phlebitis, prevention & control, endothelium, vascular/drug
effects, infusion, intravenous/adverse effects, catheterization, peripheral/adverse effects, fluid therapy/adverse
effects, Hydrogen-Ion Concentration, osmolar concentration, pharmaceutical preparations.
| 113 |
Comunicazioni orali
C011
I DESIDERI DEI BAMBINI E DEGLI ADOLESCENTI
NELLA FASE DELLA TERMINALITÀ: INDAGINE
CONOSCITIVA TRA GLI OPERATORI SANITARI
DEI CENTRI PEDIATRICI ITALIANI
S. Errani
Londra, England
Al giorno d’oggi molti bambini riescono a sopravvivere a patologie un tempo mortali e, alcuni di loro, guariscono. Nonostante ciò la morte in età pediatrica è ancora presente e l’emergente tecnologia medica sta “monopolizzando” anche questo aspetto della malattia. Spesso
bambini e adolescenti trascorrono i loro ultimi giorni in
reparti ospedalieri senza avere l’opportunità, insieme alle
proprie famiglie, di scegliere di morire nella propria casa,
accanto ai propri cari. Gli adulti, soprattutto nella cultura
italiana, faticano ad accogliere i desideri dei piccoli
malati nella fase di fine vita. L’indagine conoscitiva è
stata svolta servendosi di due libretti, ormai di utilizzo
quotidiano in Florida, “My wishes” e “Voicing my choice” e di un questionario costruito ad hoc. Dopo aver tradotto in italiano i due libretti, costruito e validato il questionario, questi sono stati inviati al personale sanitario
dei 9 ospedali pediatrici italiani selezionati. I risultati dell’indagine mostrano come, nella nostra cultura, parlare
con il bambino delle sue condizioni cliniche non sia
ancora una procedura di routine. Il 71% degli operatori
pensa che il bambino abbia il diritto di conoscere la propria situazione clinica, il 26% pensa che non ne abbia il
diritto, e il 3% non ha dato risposta. Il 90% dei professionisti crede che l’adolescente abbia il diritto di conoscere
le proprie condizioni di salute, l’8% che non le debba
conoscere, il 2% non ha dato risposta. E’ stata anche
indagata l’opinione dei professionisti riguardo l’ eventuale distribuzione nei reparti di libretti trattanti l’argomento
del fine vita: il 41% di loro si è dimostrato favorevole, il
21% non è d’accordo mentre il 38% non sa. L’indagine
svolta ha mostrato come sia importante informare il
paziente (qualora egli lo desideri) sulle sue condizioni
cliniche e fornirgli ascolto. In questi casi, il bambino si
rivela molto più aperto e fiducioso. Nonostante ciò i dati
dimostrano che non sempre avviene una comunicazione
tra personale sanitario e paziente e, in alcuni casi, il silenzio è tutto ciò che viene offerto al bambino e alla sua
famiglia.
C012
VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE E DEGLI
OBIETTIVI ATTESI IN PEDIATRIA
ONCO-EMATOLOGICA: IL MODELLO DELLA
FAMILY CENTERED CARE
C. Carriero
Università degli Studi G. d’Annunzio, Chieti, Italy
INTRODUZIONE: L’infermieristica pediatrica
oncologica ha delle peculiarità che la contraddistinguono dalle altre forme di assistenza. La presenza fisica
costante del genitore-caregiver ha delle implicazioni
| 114 |
pervasive nel processo di cura. C’è quindi la necessità
di un approccio multidisciplinare, in cui, accanto alle
procedure mediche convenzionali, il sostegno psicologico dei piccoli malati e delle loro famiglie, abbia lo
spazio sufficiente ad affrontare la malattia. Ma la famiglia può, anche, essere coinvolta nell’assistenza come
“risorsa” (Friedman, 2003). Questo approccio, a sostegno di un ambiente di cura efficace, si identifica nella
FAMILY CENTERED CARE (FCC), un modello assistenziale che prevede il supporto al bambino e alla
famiglia attraverso un processo di coinvolgimento, partecipazione e condivisione, sostenuto da empowerment
e negoziazione. Ma la FCC non è sempre attuata correttamente o percepita come un risultato positivo dalle
famiglie o dagli operatori sanitari.
OBIETTIVI: Valutare la percezione sulla Family
Centered Care, misurando il grado di soddisfazione
delle prestazioni assistenziali erogate dall’infermiere ai
genitori e al bambino malato.
MATERIALI E METODI: Lo studio è stato condotto presso i centri onco-ematologici dell’Ospedale Civile
di Pescara e del Policlinico di Bari, somministrando il
questionario “Healthcare Satisfaction (HS) Generic
Module version 3.0 of the PedsQL inventory”.
RISULTATI: Dai dati raccolti si evince che in
entrambi i centri, la soddisfazione del genitore è molto
alta. Sebbene le cure sembrerebbero efficaci, permane
ancora una piccola percentuale di insoddisfazione, legata
a lacune sull’importanza della famiglia, come entità bisognosa di assistenza. La diagnosi di malattia, per un bambino, si ripercuote sull’intera famiglia, le sue dinamiche
di sviluppo, la sua armonia. Ma molti operatori considerano questi “caregivers”, il più delle volte, solo degli
ostacoli per l’attuazione di un piano di cura adeguato.
CONCLUSIONI: Per sensibilizzare e aiutare l’infermiere nella FCC, la “Regitred Nurses” Association
of Ontario” ha proposto un “panel’ di raccomandazioni
seguendo la struttura “Flower(em)power, il cui fulcro è
la “nurse-family partnership”.
C014
AIEOP-BFM ALL 2009: DAL PROTOCOLLO
MEDICO AL PROTOCOLLO INFERMIERISTICO.
ESPERIENZA DELLA STRUTTURA COMPLESSA DI
PEDIATRIA SAVIGLIANO CENTRO SPOKE DI II
LIVELLO DELLE RETE ONCOEMATOLOGICA
PEDIATRICA PIEMONTESE
D. Botta, A. Alladio, E. Frulio
S.C. Pediatria, ASL CN1, Savigliano (CN), Italy
INTRODUZIONE: Lo sviluppo di protocolli di
cura specifici per ogni neoplasia è tra i fattori che hanno
maggiormente contribuito a migliorare la sopravvivenza di pazienti pediatrici. In particolare, il trattamento
della LLA rappresenta uno dei più grandi successi della
medicina moderna; la probabilità di sopravvivenza libera da malattia per i pazienti di età inferiore a 15 anni è
passata da meno del 10% nei primi anni ‚Äò60 all’attuale 75%, con una sopravvivenza complessiva a lungo
termine dell’85%. La gestione di un paziente arruolato
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
in un protocollo è complessa e richiede personale infermieristico altamente specializzato che garantisca l’aderenza al medesimo e la sicurezza del paziente, nel
rispetto delle GCP.
OBIETTIVI: L’obiettivo di questo lavoro è eseguire
l’analisi del protocollo Aieop-BFM ALL 2009, estrapolare i ruoli dell’infermiere e creare i documenti specifici
per la gestione dello studio: Nursing Summary e
Procedure Operative Standard.
MATERIALI E METODI: E’ stata eseguita una
revisione della letteratura per individuare i ruoli dell’infermiere pediatrico (I.P.) coinvolto nella gestione di un
protocollo. Per creare i documenti sono stati utilizzati:
Cancer Nurs. 1996 Oct;19(5):343-7. Expanding the role
of the nurse in clinical trials: the nursing summaries. Di
Giulio P, Arrigo C, Gall H, Molin C, Nieweg R,
Strohbucker B.; PGsq001gestione della documentazione e delle registrazioni del sistema qualità; procedura
interna ASL CN1.
RISULTATI: E’ stato definito il ruolo dell’I.P. nella
gestione del protocollo. Sono stati prodotti i seguenti
documenti: 1. Nursing Summary; 2. Procedura
Operativa Standard per la gestione dei farmaci del protocollo terapeutico; 3. Procedura Operativa Standard
per la richiesta di preparazione dei farmaci antiblastici;
4. Procedura Operativa Standard per la raccolta dei
campioni ematici per la PK/PD
CONCLUSIONI: Garantire le migliori cure possibili al paziente oncoematologico è tra i doveri dell’I.P.
Questo studio ha permesso di produrre dei documenti
fondamentali per garantire l’adeguata formazione del
personale infermieristico. La gestione consapevole del
protocollo ha contribuito a: documentare il razionale di
ogni attività infermieristica; incrementare la qualità dell’assistenza riducendo il rischio di errore; garantire l’aderenza al protocollo e la raccolta dati; potenziare l’educazione terapeutica al paziente e alla sua famiglia
OBIETTIVI DELLO STUDIO: Migliorare la qualità di vita a lungo termine dei lungo-sopravviventi (LS)
di un tumore pediatrico; Garantire, oltre ad una guarigione fisica, una guarigione sociale con una perfetta
integrazione nel mondo del lavoro; Definire ruoli, competenze e contributi dell’infermiera di ricerca nell’organizzazione di un ambulatorio off-therapy.
PAZIENTI E METODI: Presso il nostro
Dipartimento dal 2005, 328 LS da LAL sono stati inseriti nello studio e sono state osservate il 50% di effetti
tardivi (Figura 1). Il programma di follow-up a lungo
termine prevedeva un approccio integrato multidisciplinare tra emato-oncologo, infermiera dedicata, psicologa
e consulenti in varie discipline. In base alle linee guida
internazionali sono stati definiti tempi e modalità di
controlli clinici, strumentali per escludere eventuali
recidive tardive o seconde neoplasie e comparsa di
effetti tardivi. Compiti dell’infermiera di ricerca sono
stati: Creazione di una scheda raccolta dati, diversificata per patologia : breve anamnesi, tipo di protocollo,
dose cumulativa farmaci cardiotossici o nefrotossici,
data dello stop-terapia, radioterapia e dosi, tossicità in
corso di terapia, trapianto di midollo, tipo e condizionamento; Rilevazione dei dati auxologici e valutazione
della crescita attraverso le curve dei percentili e le tavole di Tanner; Registrazione di eventuale comparsa di
complicanze a lungo termine; Prenotazioni di esami
strumentali e consulenze specialistiche
CONCLUSIONI: Il progetto è on-going con l’allargamento a tutte le patologie neoplastiche e la creazione
di schemi di follow-up diversificati in base al tipo di
trattamento ricevuto e dei fattori di rischio genetici o
acquisiti.
C015
RUOLO DELL’INFERMIERE DI RICERCA
NEL PROGETTO OFF THERAPY
M. Cavezza, R. Parasole, F. Petruzziello
AORN Santobono-Pausillipon, Università Federico II,
Napoli, Italy
INTRODUZIONE: L’intensificazione dei trattamenti chemioterapici e il miglioramento della terapia di
supporto ha consentito la guarigione del 75-80% dei
bambini malati di cancro (Dati Registro ROT-AIEOP).
Il progressivo allungamento della sopravvivenza e l’istituzione di programmi di follow-up a lungo termine
dei pazienti fuori terapia ha permesso di identificare gli
effetti tardivi secondari alla chemio/radioterapia. Presso
il DH Oncologico del AORN Santobono-Pausilipon già
dal 2005 è stato istituito un ambulatorio pilota, inizialmente riservato al follow-up delle Leucemie acute
linfoblastiche (LAL), e poi successivamente aperto a
tutte le patologie oncologiche nell’ambito del progetto
D.O.PO (acronimo di Diagnosi, Osservazione,
Prevenzione dopo la terapia Oncologica).
Figura 1. Effetti tardivi.
C017
RUOLO DELL’INFERMIERE PEDIATRICO NEL
COMITATO INTERSOCIETARIO SOCIETÀ ITALIANA
DI PSICO-ONCOLOGIA ASSOCIAZIONE ITALIANA
EMATOLOGIA E ONCOLOGIA PEDIATRICA
I. Dardo
AOU Città della Salute e della Scienza di Torino,
Presidio Ospedaliero Pediatrico OIRM, Torino,
Oncoematologia Pediatrica, Torino, Italy
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Comunicazioni orali
Il Consiglio Direttivo della Società Italiana di
Psiconcologia (SIPO) istituisce nel 2009 il “Comitato
Intersocietario Società Italiana di Psico-Oncologia
(SIPO) e Associazione Italiana di Ematologia e
Oncologia Pediatrica (AIEOP)”. Il Comitato
Intersocietario SIPO-AIEOP è rappresentativo delle
diverse figure professionali che operano nel campo della
Psiconcologia Pediatrica: psicologi, oncologi, infermieri,
assistenti sociali. Tra gli altri obbiettivi il Comitato si propone di promuovere: 1) La Condivisione del lavoro
comune all’interno dell’equipe multidisciplinare e garanzia di continuità al fine di consentire la crescita del gruppo; 2)La formazione continua agli operatori in campo psiconcologico; 3) La formulazione di un percorso di inter-
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vento, integrato col percorso di cura del paziente, che preveda momenti “raccomandati(attivabili in ciascun Centro
pediatrico) e momenti “consigliati (attivabili nel maggiori
Centri o comunque laddove la realtà locale e le risorse
professionali lo consentano); 4) La Predisposizione di un
percorso di transizione a Centri per gli adulti per i ragazzi
maggiorenni ormai fuori terapia e che necessitano solo di
controlli predisposti; 5) La stesura quindi di Linee di indirizzo applicabili presso tutti i centri AIEOP. Nell’ambito
di tali aree il ruolo dell’infermiere pediatrico si declina
nel: 1) essere presenti in modo condiviso all’identificazione dei processi trasversali di “Care”; 2) portare, all
‘interno del comitato, l’esperienza e la competenza specifica della professione infermieristica.
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
INFERMIERI - Poster
P001
VALIDAZIONE TRANS-CULTURALE DEL PAIN
EXPERIENCE HISTORY. PROPOSTA DI METODO
PER L’ANAMNESI DELL’ESPERIENZA DI DOLORE
IN AMBITO PEDIATRICO
S. Macchi, L. Rondalli
Oncologia Pediatrica, Fondazione IRCCS Istituto
Nazionale dei Tumori, Milano; Associazione La Nostra
Famiglia, IRCC S. Eugenio Medea, Lecco, Italy
PREMESSA: Una accurata valutazione iniziale è
essenziale per un appropriata e corretta gestione del
dolore in ambito pediatrico. La raccolta dell’anamnesi
dell’esperienza di dolore è il primo passo da compiere
quando si tratta il dolore nei bambini, in modo da definire un profilo preciso riguardo l’identificazione della
comprensione del bambino sul sintomo, le precedenti
esperienze e capire le preferenze per il trattamento,
soprattutto sugli interventi non-farmacologici, nonché
sulle possibili strategie di coping adottate.
OBIETTIVI: E’ stato quello di sviluppare la versione italiana del questionario “Pain Esperienze History”
di Hester e Barcus 1986, testandone la validità linguistica e culturale.
METODI: La versione originale del “Pain
Experience History” è stata tradotta e validata in lingua
italiana tramite le linee guida proposte da Guillemin et
al. per la traduzione e adattamento trans-culturale di
strumenti sulla qualità della vita. La versione così ottenuta è stata sottoposta ad un campione di dieci bambini
di età compresa tra i 6 e i 12 anni e ai loro familiari per
testare la comprensione e la chiarezza delle domande.
CONCLUSIONI: Il Pain Experience History è uno
strumento semplice da somministrare, flessibile e comprensibile in grado di aiutare l’infermiere ad impostare
un dialogo comprensivo sul dolore con il bambino e i
suoi genitori, che permette di ottenere un profilo delle
precedenti esperienze dolorose, di identificare la com-
prensione del bambino circa il dolore e di cogliere le
preferenze per il trattamento nonché le strategie di
coping che il piccolo paziente adotta per “stare meglio”.
Un’accurata valutazione può essere raggiunta con l’utilizzo intenzionale e sistematico di un metodo che contribuirà a raggiungere gli obiettivi per occuparsi dei
bambini con dolore, grazie anche alla collaborazione tra
infermieri, bambini e genitori. Discutere circa le precedenti esperienze di dolore può creare questa condizione
sin dal primo ingresso in ospedale dando l’opportunità
di aver un profilo preciso degli interventi da apportare
al paziente per raggiungere gli obiettivi per l’eliminazione del dolore. Questi obiettivi sono l’aumento del
confort del bambino, promuovere il recupero appena
possibile, migliorare la condizione funzionale ed impedire gli effetti negativi del dolore non trattato.
P002
DISTURBI DEL RITMO SONNO-VEGLIA IN
PAZIENTI ONCOEMATOLOGICI PEDIATRICI:
L’INFLUENZA DELL’ATTIVITÀ FISICA ADATTATA
R. Riccardi1, L. Di Liddo1, G. Caito2, C. Rutigliano1,
R. Mesto1, C. Novielli2, G. Arcamone2, R. Koronica2,
R. Daniele2, N. Santoro2
1APLETI Onlus, Bari; 2Oncologia ed Ematologia
Oncologica Pediatrica, AOUC Policlinico, Bari, Italy
OBIETTIVI: Individuare l’incidenza dei disturbi
del ritmo sonno-veglia confrontando i risultati di due
gruppi di pazienti pediatrici in trattamento chemioterapico con patologia onco-ematologica, valutandone l’eventuale miglioramento in termini di qualità del sonno
in rapporto all’Attività Fisica Adattata.
METODI: Partendo dallo studio Nighttime sleep
characteristics of hospitalized school-age children with
cancer (Linder L., et al., Pediatric Nursing, 2013) condotto su un gruppo di pazienti (n=15) dell’Ospedale
| 117 |
Poster
Pediatrico di 3º livello degli Utah (U.S.A.) che, durante
il periodo di ricovero, non ha svolto attività motoria
all’interno del reparto è stato creato un questionario ad
hoc somministrato ai genitori dei pazienti (n=15) del
reparto di Onco-ematologia Pediatrica del Policlinico di
Bari (ITA) che, durante il periodo di ricovero, ha svolto
Attività Fisica Adattata all’interno del reparto con
“Progetto Bien Être..lo sport in ospedale è geniale!” per
tre volte a settimana.
RISULTATI: Sono emerse delle correlazioni statisticamente significative (p<0,05) tra la qualità del
sonno e l’attività fisica adattata : è stata identificata
un’incidenza minore dei disturbi del sonno e, dunque,
una qualità del sonno più soddisfacente e tollerante nel
gruppo che durante il periodo del ricovero ha eseguito
attività fisica rispetto a quella riportata nella letteratura,
nella quale, il campione (n=15) degli Utah non associa
alle terapie per patologie onco-ematologiche l’Attività
Fisica Adattata svolta a cadenza regolare.
CONCLUSIONI. Con questo studio si è potuta confermare l’effettiva incidenza dei disturbi del sonno in
ambito onco-ematologico con differenze sostanziali, in
termini di qualità dello stesso, tra i pazienti pediatrici
dello Utah (U.S.A.) e quelli ricoverati presso il reparto
di onco-ematologia del Policlinico di Bari (ITA) e come
l’attività fisica possa apportare dei miglioramenti sia
sulla qualità del sonno che sulla Quality of Life (QoL)
del paziente. Fondamentale l’approccio multidisciplinare e l’applicazione dal punto di vista infermieristico di
interventi appropriati alla base di una collaborazione
efficace tra infermiere e professionista in Attività Fisica
Adattata.
CONCLUSIONI: Lo strumento è stato accettato
dall’equipe medica ed infermieristica ed utilizzato nel
100% dei casi. In corso di studio sono emerse carenze
nello strumento ed apportate successive modifiche.
Figura 1.
P003
GRAFT VERSUS HOST DISEASE CUTANEA ACUTA:
SCHEDA DI MONITORAGGIO
M. Canesi, M. Della Ducata
Fondazione MBBM, AO San Gerardo, Monza (MB),
Italy
BACKGROUND: Gestione disomogenea della
GVHD cutanea acuta in età pediatrica. Assenza di strumento di monitoraggio e trattamento,validato.
Necessità di indicazioni univoche sul corretto management della problematica.
OBIETTIVI: Realizzazione e validazione di una
scheda di monitoraggio e trattamento della GVHD cutanea acuta in pazienti in età pediatrica, sottoposti a TMO.
MATERIALI E METODI: Popolazione > pazienti
0-18 aa sottoposti a TMO. No limiti patologia o tipologia TMO effettuato. Fasi dello studio: 1) revisione letteratura italiana e straniera. 2) realizzazione e validazione strumento. 3) coinvolgimento multicentrico e diffusione dello strumento.
RISULTATI: La revisione bibliografica ha dimostrato l’assenza di uno strumento specifico. In nessun
CTMO pediatrico italiano è risultato essere in uso tale
documento. E’ stata redatta la scheda ex novo. La fase
pilota ha confermato l’applicabilità dello strumento alla
pratica clinica (Figura 1).
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P004
EMERGENZE ONCOLOGICHE PEDIATRICHE:
SINDROME DA LISI TUMORALE, SINDROME
DELLA VENA CAVA SUPERIORE E
COMPRESSIONE MIDOLLARE
S. Macchi, D. Valsecchi, M. Ferrante, M. Gaidolfi
Fondazione IRCCS Istituto Tumori, Milano, Italy
PREMESSA: Le emergenze cliniche possono manifestarsi in momenti diversi durante il trattamento dei
bambini affetti da tumore (alla diagnosi, durante il percorso di cura, alla recidiva/progressione di malattia). La
sindrome da lisi tumorale, la sindrome della vena cava
superiore e la compressione midollare sono le emergenze oncologiche più comuni.
SCOPO: Porre in evidenza le tre principali emergenze oncologiche, fornirne la fisiopatologia, identificarne segni e sintomi, trattamento ed implicazioni per la
pratica infermieristica.
METODI: E’ stata effettuata una ricerca bibliografica
mediante le banche dati di Pubmed e CINAHL, utilizzando le seguenti parole chiave sia separatamente che in
combinazione: “tumor lysis syndrome”, “vena cava superior syndrome”, “spinal cord compression”, “oncologic
emergency”, “cancer”, “pediatric”, “medical “nursing”.
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
RACCOLTA E ANALISI DEI DATI: Creazione di
uno strumento per la raccolta e analisi dei dati di ogni
singolo articolo.
RISULTATI: Tra tutti gli articoli trovati ne sono
stati selezionati 15 per la sindrome da lisi tumorale, 10
per la sindrome della vena cava superiore e 8 per compressione midollare, in base alla valutazione dell’abstract, alla data di pubblicazione e all’impact factor
della rivista.
DISCUSSIONE: Per ognuna delle emergenze è
stata fornita la patologia che maggiormente presenta
l’emergenza, la fisiopatologia, l’identificazione dei
segni e sintomi, il trattamento con i possibili effetti collaterali o complicanze, il ruolo dell’infermiere nella
valutazione e nella gestione, e nell’educazione da fornire a pazienti e genitori.
IMPLICAZIONI PER GLI INFERMIERI:
Dall’analisi dei lavori emerge che gli infermieri hanno
un ruolo fondamentale nel riconoscimento precoce
delle emergenze oncologiche pediatriche. Infatti, lo
stretto contatto con il paziente permette un’attenta e
costante valutazione delle sue condizioni cliniche, rendendo possibile un precoce riconoscimento anche di
minime variazioni cliniche. L’identificazione tempestiva di una potenziale emergenza, può condizionare favorevolmente la sua gestione.
P005
LA TERAPIA NON FARMACOLOGICA IN
ONCOEMATOLOGIA PEDIATRICA
P. Farina, B. Roccati, A. Cavalcoli
AO Universitaria S. Anna, Ferrara, Italy
La possibilità di interagire con il bambino/adolescente affetto da patologia oncoematologica con tecniche non farmacologiche per il controllo dei sintomi
può alleviare i disagi dell’ospedalizzazione e delle
procedure invasive. La terapia non farmacologica prevede metodi fisici (tocco, carezze, massaggio, suzione/saccarosio), cognitivi (informazione, distrazione,
immaginazione, bolle di sapone, disegno) e comportamentali (gioco, simulazione). Tali metodi sono riconosciuti in ambito clinico in associazione alla terapia
tradizionale e sono efficaci per il trattamento del dolore e dell’ansia. Presso il Servizio di Oncoematologia
Pediatrica dell’AOU di Ferrara sono stati realizzati
diversi progetti, fra cui: “La stanza dei bambini: scuola materna in ospedale”, “La Pet-Therapy” e “Su il
sipario: un ospedale da favola”. Abbiamo voluto offrire a 8 bambini (età 3-6 anni) affetti da malattia tumorale, alcune esperienze educative per favorire la socializzazione. Tutto all’interno di un ambiente sanitario,
gradevole e lontano dall’essere riconducibile alle
asettiche “stanze dell’ospedale”, idoneo e piacevole
per l’età dei piccoli, nei pressi del Day-Hospital OEP,
sotto l’attento controllo di educatori formati e quindi
rassicurante per i bambini e soprattutto per le famiglie. Dopo l’esperienza del primo modulo educativo,
della durata di 12 settimane, con incontri bisettimanali, si sono evidenziate delle priorità pedagogiche tali
da far nascere un secondo modulo, questa volta incentrato sulla rassicurazione e sulle autonomie personali.
Queste esperienze di gruppo sono state veramente
apprezzate dai bambini e dalle famiglie. I primi hanno
potuto fruire di proposte educative tipiche della scuola materna, a loro interdetta, con momenti di gioco e
socializzazione a sostegno sia della loro individualità
all’interno di un gruppo sia della capacità di rapportarsi ad altri adulti/bambini al di fuori del nucleo
familiare. Le famiglie hanno invece sperimentato un
momento di “normalità”, altrimenti difficile da provare, nel contesto di una fase così delicata e complicata
della vita del proprio figlio e della famiglia intera.
Questi progetti socio educativi hanno coinvolto talmente le famiglie ed i loro bambini che tutti hanno
espresso il desiderio di reiterare ed arricchire queste
iniziative, ritenute fondamentali e propedeutiche
all’inserimento dei bambini nella scuola pubblica e
nella società che li vedrà procedere nel tempo come
lungo sopravviventi alla malattia oncoematologica.
P006
OPERATORI PROFESSIONALI E CAM IN
PEDIATRIA: INDAGINE PRESSO L’OSPEDALE
PEDIATRICO G. SALESI DI ANCONA
E. Donnici
Oncoematologia Pediatrica, Ospedali Riuniti, Ancona,
Italy
“Le medicine complementari e alternative (CAM)
rappresentano una serie di diversi sistemi e terapie medici basati su conoscenze, strumenti e pratiche derivati da
teorie, filosofie ed esperienze utilizzati per mantenere e
migliorare la salute, ma anche per prevenire, diagnosticare, alleviare o curare malattie fisiche e mentali.
L’Infermieristica è nata per essere Scienza Olistica e
risponde ai requisiti proposti dalla CAM. e secondo la
Federazione Nazionale IPASVI Le cure infermieristiche
complementari sono cure olistiche e naturali che possono essere affiancate alle cure ufficiali sia infermieristiche, sia mediche. Possono essere parte integrante del
piano di cura in ambito preventivo, curativo e riabilitativo. Offrono delle risposte che non si fermano alla malattia o all’organo malato, ma possono essere considerate
“cure della persona”. Tecniche e approcci complementari possono offrire all’infermiere la possibilità di ampliare il proprio bagaglio di competenze, sia per quanto
riguarda il piano assistenziale, sia per un più efficace
intervento come ad esempio la riduzione dei
sintomi,valorizzando l’importanza del rapporto tra operatore e assistito. L’obiettivo di questa indagine è quello
di indagare sulla diffusione delle terapie complementari
ed integrate in ambito pediatrico e in particolare verificare: o la presenza delle medicine complementari ed
integrate nell’ospedale pediatrico G. Salesi di Ancona; o
la conoscenze e l’atteggiamento degli operatori sanitari;
o l’eventuale richiesta di formazione. E’ un’indagine
descrittiva indirizzata agli operatori sanitari operanti
nelle strutture di degenza, ambulatori, Day-Hospital, e
UO di Area Critica. Come strumento di indagine è stato
| 119 |
Poster
elaborato un questionario, strutturato in 20 domande, a
risposta chiusa e multipla. Il fatto che gli infermieri sono
chiamati a rispondere alle richieste di queste terapie da
parte dei pazienti senza una base solida di conoscenza,
rende indispensabile che il curriculum infermieristico
venga ampliato per includere questi argomenti. In generale gli elementi che emergono da questa indagine, in
linea con i dati emersi in analoghi studi nazionali e internazionali, sono: un crescente interesse e una buona predisposizione verso la medicina alternativa e integrata; la
convinzione che devono far parte della pratica assistenziale e rientrare nei piani terapeutici; il bisogno di avere
una formazione adeguata.
P007
GESTIONE DELLE LINEE INFUSIONALI IN UN
PAZIENTE AFFETTO DA LEUCODISTROFIA
METACROMATICA TRATTATO CON TERAPIA
GENICA
R. Gironi, F. Buzzi, D. Previtali, M. Milanovic,
C. Moser, C. Soliman, A. Aiuti, A. Biffi
Ospedale Vita Salute San Raffaele, Milano, Italy
INTRODUZIONE: Presso l’Ospedale San Raffaele
di Milano nell’Unità Operativa di Immunoematologia
Pediatrica e Trapianto di Midollo Osseo, è attivo un trial
clinico di terapia genica per la Leucodistrofia
Metacromatica (MLD), una patologia autosomica
recessiva, invariabilmente fatale, dovuta al deficit dell’enzima lisosomiale Arilsolfatasi A (ARSA).
Dall’esordio dei sintomi si assiste ad una progressiva
perdita delle funzioni motorie e cognitive dei piccoli
pazienti, fino alla disabilità completa nello stadio terminale. Il trial prevede la somministrazione di un regime
di condizionamento mieloablativo a base di Busulfano
attraverso un catetere venoso centrale (CVC) ed il successivo trapianto di cellule staminali ematopoietiche
autologhe corrette per il difetto di ARSA.
OBIETTIVI: Descrivere la gestione delle linee
infusionali in un paziente di 12 anni affetto da MLD
portatore di un CVC monolume e di un catetere venoso
centrale ad inserzione periferica (PICC) monolume, utilizzati per la somministrazione del condizionamento e
della terapia infusionale.
METODI: Nel settembre 2014 viene ricoverato un
piccolo paziente, portatore di CVC Groshung 7F in succlavia dx, a cui viene posizionato un PICC 3F monolume in vena basilica sx. Durante il condizionamento
vengono utilizzate entrambe le linee infusionali: il CVC
per la somministrazione del Busulfano ed il PICC per i
dieci prelievi di sangue necessari per i monitoraggi
della farmacocinetica del chemioterapico. Al termine
del condizionamento, entrambi gli accessi venosi vengono mantenuti in uso per la somministrazione dei farmaci di profilassi, per il supporto nutrizionale e trasfusionale. Entrambi i presidi sono stati gestiti secondo le
raccomandazioni internazionali sulla prevenzione delle
infezioni CVC correlate.
RISULTATI: Il paziente non ha presentato infezioni
correlate agli accessi vascolari ed ha ricevuto una dose
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adeguata di Busulfano in termini di sicurezza, tollerabilità ed efficacia. E’ stato possibile gestire la terapia
endovenosa e nutrizionale senza complicanze per il
paziente.
CONCLUSIONI: La presenza del PICC in associazione al CVC ha consentito di dosare il Busulfano evitando il posizionamento di accessi venosi periferici e di
gestire le somministrazioni endovena in maniera adeguata senza sovrapposizioni di soluzioni infusionali e/o
farmaci diversi. Il paziente si è dimostrato compliante
nella gestione dei due accessi vascolari a lungo termine.
P008
PRESCRIZIONE E SOMMINISTRAZIONE DI
FARMACI ANTINEOPLASTICI PER VIA
INTRATECALE IN AMBITO PEDIATRICO: COME
GARANTIRE LA SICUREZZA DEI PROCESSI
M. Gialli, A. Piazzalunga, M. Provenzi
Centro A.I.E.O.P,. USS Oncoematologia Pediatrica, AO
Papa Giovanni XXIII, Bergamo, Italy
Sin dal 1994, Lucian Leape ha sintetizzato le
conoscenze attuali sull’errore del farmaco. Gli studi
suggeriscono come tali errori si presentino nel 2-14%
dei pazienti ricoverati. In uno studio che valutava la
preparazione di 30.000 farmaci antineoplastici, il tasso
di errore grave era soltanto dello 0,19% (Limate t al
2001). Da allori molti ospedali statunitensi, hanno
introdotto sistemi computerizzati per la gestione del
processo farmacologico, riducendo sensibilmente la
possibilità di errore.L’AO Papa Giovanni XXIII di
Bergamo ha messo in sicurezza la gestione della chemioterapia intratecale in ambito pediatrico tramite l’utilizzo di un programma informatico di prescrizione e
di preparazione centralizzato allestito dal laboratorio
di farmacia Farmasafe@. Dopo la consegna in reparto
l’infermiera controlla la congruenza tra prescrizione e
farmaco preparato siglando la Check list. Il farmaco
(Methotrexate) viene posizionato sul vassoio con il
materiale necessario per l’esecuzione della rachicentesi in sala operatoria dove il medico che effettuerà la
procedura ricontrolla il farmaco e lo riconosce con la
penna ottica attraverso il barcode dell’RI sul farmaco
e sul braccialetto del paziente siglando la check list.La
procedura così descritta consente di evitare eventi
avversi quali: Scambio di paziente; Interpretazione
errata del farmaco da preparare: in quanto il programma consente il riconoscimento univoco del principio
attivo contenuto nel farmaco precedentemente allestito, utilizzando la lettura ottica del barcode riportato
sul farmaco stesso; Scelta errata della forma farmaceutica, della dose e della via di somministrazione.
Nella banca dati della Joint Commission, l’11% degli
eventi sentinella, inclusi nei dati aggregati concernenti
gli ultimi dieci anni, vede al quarto posto gli errori
legati all’uso dei farmaci. E’ evidente che la somministrazione in sicurezza di farmaci antineoplastici non
può prescindere dall’informatizzazione e da indicazioni aziendali condivise e uniformi all’interno dell’organizzazione.
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
P009
INCONSUETA COMPLICANZA DEL PROTOCOLLO
AIEOP-BFM ALL 2009: INFILTRATO CUTANEO
CHE HA NECESSITATO DI INTERVENTO DI
CHIRURGIA PLASTICA
A. Ranieri, A. Altomare, D. Cagliostro, P. Caroleo,
P. Curto, G. Gentile, M. Muratore, L. Stranieri
Emato-Oncologia Pediatrica, Catanzaro, Italy
Dall’Agosto 2011 ad oggi sono stati arruolati nel
protocollo AIEOP-BFM ALL 2009 presso il nostro
Centro EOP, 19 pazienti. Le complicanze verificatesi
durante il trattamento sono elencate in Tabella 1.
Tabella 1.
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Le complicanze cutanee prevalenti riguardano la
comparsa, in varie fasi della terapia, di infiltrati in sede
perianale o della piega interglutea. Descriviamo il caso
di una bambina di anni 4, che ha manifestato un infiltrato cutaneo all’avambraccio destro, durante la fase di
trattamento d’Induzione 1a. Tra la 2a e la 3a settimana
dall’inizio del trattamento (13a - 15a giornata) comparsa di flittene sierosa non alonata in corrispondenza della
faccia dorsale dell’avambraccio destro, interpretata
come verosimile reazione di ipersensibilità al cerotto
(TNT). In 3a settimana evoluzione della lesione in
necrosi asettica di tipo coagulativo e colliquativo estesa
fino al sottocute senza interessamento della fascia
muscolare(esami colturali negativi). Il trattamento ha
richiesto coinvolgimento multidisciplinare: terapia antibiotica a largo spettro per via parenterale, intervento di
chirurgia plastica di necrosectomia e applicazione di
VAC a permanenza, con risoluzione completa della
lesione in 15a giornata dall’esordio. La paziente ha
ripreso il trattamento chemioterapico, sospeso per 15
giorni, in remissione completa e a tutt’oggi prosegue la
chemioterapia mantenendo la R.C. Tale complicanza,
pur non essendo fra i più comuni eventi avversi descritti
nel corso di trattamento per LLA, può comunque essere
definita come evento “life-threatening” poiché, oltre
che prolungare i tempi di ospedalizzazione e richiedere
l’intervento di terapia chirurgica con un esito all’atto
cicatriziale, ha comportato una sospensione del tratta-
mento antiblastico in una fase precoce della terapia
(Induzione 1a), e soprattutto un maggiore impegno di
risorse assistenziali. Da questa esperienza è scaturita,
pur nella rarità dell’evento, nel personale di nursing
l’input a produrre un protocollo di prevenzione e trattamento delle lesioni superficiali cutanee.
P010
L’ASSISTENZA SANITARIA INFERMIERISTICA
‘MULTIETNICÀ: LA PRESA IN CARICO DEL
BAMBINO IMMIGRATO E DELLA SUA FAMIGLIA
M. Calandrino1, A.R. Favale1, L. Valentino1,
M.A. Protopapa1, P. Spedicato2, E.G. De Mitri1,
L.V. Mariano1, G. Miccoli1, F. Fabrizio3
1UO Oncoematologia Pediatrica, PO Vito Fazzi, Lecce;
2UO Rischio Clinico e Medicina Legale, ASL Lecce;
3Coordinamento Infermieristico, PO Vito Fazzi, Lecce,
Italy
L’immigrazione dal Nord Africa e dalle regioni settentrionali dell’Asia verso l’Europa Meridionale, l’ingresso di molti Paesi dell’Est Europa nell’Unione
Europea e la rapida diffusione di informazioni attraverso i mezzi di comunicazione hanno prodotto negli ultimi anni anche un aumento del flusso migratorio di
famiglie dai Paesi in via di sviluppo ai Paesi
dell’Europa alla ricerca delle cure migliori per i bambini affetti da patologie neoplastiche. L’analisi dei flussi
migratori registrati negli ultimi dieci anni nella banca
dati dell’AIEOP mostra come i pazienti stranieri ricoverati per tumore o leucemia in Italia nei centri AIEOP
rappresentano il 7,8% (1.146 bambini in totale) dei
14.738 pazienti registrati. La percentuale di stranieri
trattati nei centri AIEOP varia in relazione alle differenti realtà locali, all’esistenza di programmi istituzionali,
alle risorse disponibili. L’infermieristica transculturale
in Italia è tuttavia un concetto relativamente nuovo ed i
curricula dei corsi di laurea in infermieristica solo sporadicamente dedicano spazio all’argomento. Questo fa
si che la maggioranza degli infermieri italiani si trovano
nella condizione di assistere dei pazienti stranieri senza
avere il background ed il supporto derivanti da una
struttura teorico-concettuale. Tale situazione può determinare il rischio di erogare un’assistenza infermieristica non rispettosa del background religioso e culturale
dei pazienti curati. Questo può inoltre dare luogo sia ad
un’inappropriatezza e/o inadeguatezza dell’assistenza
infermieristica, sia ad un senso di impotenza e frustrazione per gli Infermieri, a motivo delle difficoltà nel
processo comunicativo. Dal 1 gennaio 2010 al 31
dicembre 2014 sono stati seguiti presso l’UO di
Oncoematologia Pediatrica dell’Ospedale Vito Fazzi di
Lecce 35 pazienti stranieri di età compresa tra 1 e 18
anni, su un totale di 84 pazienti della stessa fascia di età
ricoverati in altre UO presso lo stesso Ospedale. A
seguito dell’esperienza che ne è derivata, il gruppo
infermieristico della nostra UO ha elaborato, insieme
con l’UO di Rischio Clinico e Medicina Legale della
ASL di Lecce, un protocollo di approccio al bambino
immigrato che intendiamo presentare. Assicurare che i
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Poster
bisogni di salute dei bambini immigrati vengano soddisfatti è il primo passo per promuovere la salute di tutti.
P011
COME MARGINARE LE INFEZIONI NEL PAZIENTE
ONCO-EMATOLOGICO
B. Martino, D. Rotilio, G. Iaria, A. Iero, B. Greve,
P. Cufari, C. Leuzzo, C. Quartuccio, F. Gaeta,
F. Ronco
Reparto di Ematologia, AO Bianchi Melacrino Morelli,
Reggio Calabria, Italy
Le infezioni sono frequenti in pz. emato-oncologici
pediatrici per la malattia e/o la chemioterapia. La loro
prevenzione e trattamento sono una parte critica nella
gestione delle problematiche infettivologiche.
Recentemente sono emerse resistenze ai carbapenemi
da parte delle Enterobacteriaceae. Tra queste la
Klebsiella pneumoniae carbapenemasi (KPC) dà un alto
indice di mortalità nei pazienti infettati e inoltre la resistenza ai Carbapenemi è in continuo aumento. Nel
nostro reparto il primo caso di pz. infettato da KP multiresistente risale al 2010 e da allora si è avuto un
aumento dell’incidenza. E’ stato dimostrato come sia
possibile far fronte al fenomeno della diffusione dell’epidemia attraverso la stretta osservanza di norme igieniche. Le infezioni sono rappresentate da polmoniti, infezioni vie urinarie, sepsi correlate al CVC. Presso la
Divisione vengono effettuati test di screening con tamponi rettali per individuare soggetti colonizzati e quindi
ad alto rischio di avere KPC. Il primo tampone rettale
viene effettuato entro le prime 24h dal ricovero e poi
ogni settimana. Il tampone deve essere inserito per la
profondità di circa 2cm, ruotando delicatamente per
campionare le cripte anali e deve essere inviato al più
presto al laboratorio di microbiologia che deve dare una
risposta entro 48h. Nel caso di sospetta positività, vengono applicate le precauzioni per impedire la diffusione
del germe e più esattamente bisogna: collocare il pz. in
stanza singola con bagno dedicato; utilizzare ove possibile personale dedicato; predisporre i dispositivi di protezione (guanti, mascherine..) subito all’esterno della
stanza disporre di un contenitore di rifiuti speciali a
rischio infettivo per favorire l’eliminazione; rimuovere
ed eliminare i guanti subito dopo aver terminato lo
scopo per cui sono stati utilizzati; indossare un sovracamice; eseguire il lavaggio delle mani prima di indossare
i guanti e dopo averli gettati; utilizzare strumenti come
il fonendoscopio ad uso dedicato nelle stanze dei
pazienti colonizzati; effettuare l’igiene del paziente ad
elevato rischio con panni imbevuti di clorexidina 2%;
per il lavaggio delle mani utilizzare iodopovidone al
75% in soluzione saponosa o Clorexidina gluconato al
4% in soluzione saponosa.
| 122 |
P012
LA COMUNICAZIONE PER APRIRE NUOVI
ORIZZONTI!
A. Ranieri
Catanzaro, Italy
Il concetto di salute, formulato nel 1948 dall’OMS,
è ancora oggi una definizione valida: “ La salute è uno
stato di completo benessere fisico- psichico e sociale”.
La diagnosi di tumore provoca sconvolgimento, smarrimento, disorientamento,non ultimo trasformazione
nella vita del paziente e della famiglia, non solo sul
piano fisico ma anche sul piano emotivo- affettivo e su
quello sociale. Il cancro è una malattia della famiglia.
L’ospedale rappresenta un luogo ignoto, sconosciuto,
inesplorato; le stesse cure necessarie ed essenziali per
portare ad un processo di guarigione, sono dolorose,
provocano ansia, rabbia, smarrimento. Per i pazienti in
età pediatrica, il personale sanitario svolge un ruolo
contraddittorio; vi è una mancanza di relazione logica,
di chi cura e di chi nello stesso tempo procura dolore.
Dobbiamo tenere presente che la reazione ad un trauma
è diverso a seconda della fascia d’età. E’ necessario
coinvolgere il bambino e l’adolescente con informazioni chiare; usare un linguaggio comprensibile, accessibile, adatto a seconda della fascia d’età con cui andiamo a relazionarci stabilire un rapporto interpersonale,
usare un tono di voce calmo tranquillo, spiegare con
parole semplici, leggibili i motivi per cui deve essere
effettuato un esame diagnostico o una manovra invasiva. Per noi infermieri che operiamo all’interno delle
unità operative di onco- ematologia pediatrica, confrontarci quotidianamente con la sofferenza dei pazienti e delle loro famiglie richiede molto impegno; il carico psicologico che ne deriva rischia di attivare inevitabilmente meccanismi inconsci quale angosci, ansia ed
identificazione che possono rendere il coinvolgimento
emozionale insopportabile, Tutto ciò può avere dei
risvolti negativi sullo stato d’animo e sulla componente
psicologica. Spesso questa situazione è ulteriormente
complicata dal difficile rapporto con i colleghi chiusi
ognuno, nel proprio mondo, nella propria individualità,
e spesso poco disposti a condividere i propri vissuti
emozionali e lavorativi in un reale lavoro d’equipe. E’
fondamentale per l’operatore acquisire conoscenze
psico-oncologiche di base; questo fa si che si presti
maggiore attenzione al proprio mondo interiore, alla
relazione con gli altri. Dobbiamo imparare a gestire le
nostre emozioni e trasformarle. Avere cura di se per
avere cura degli altri.
P013
VALUTAZIONE DEL DOLORE IN ETÀ PEDIATRICA
L. Derosas, L. Mameli, L. Manfredini, L. Palomba
Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italy
Il dolore è una sensazione comune e nota alla gran
parte degli esseri umani. Al di là del significato del
tutto soggettivo e personale che ogni individuo può
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
dare del concetto di algesia basandosi sulla propria
esperienza, in letteratura sono state proposte quattro
definizioni condivise dal mondo scientifico. La più
accreditata delle quali è stata formulata
dall’Associazione Internazionale per lo Studio del
Dolore, che considera il dolore “una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a danno
tessutale effettivo o potenziale, oppure descritta nei
termini di tale danno” (Boyd & Merskey, 1978; IASP,
1979). La valutazione del dolore nel bambino rappresenta ancora oggi un difficile banco di prova per tutti
gli operatori sanitari. Il bambino è un paziente particolare e difficile, una persona in continua evoluzione
fisica, psichica, cognitiva e relazionale: ciò condiziona in maniera importante sia la scelta delle metodiche
proposte per la valutazione del dolore che le strategie
da usare per la loro somministrazione. Il bambino
spesso è un paziente non collaborante: per problemi
di età e/o situazione e/o patologie e/o terapia, il bambino non è in grado o non vuole esprimere con le
parole o con i gesti, le proprie sensazioni, ed ancor
più degli adulti, il piccolo paziente risente della
pesante influenza di fattori emozionali/affettivi (quali
ansia e paura),che complicano ulteriormente la possibilità di dare una valutazione affidabile. La letteratura, infatti, propone numerosi strumenti di misurazione
del dolore, efficaci, applicabili nelle diverse realtà
cliniche ed anche poco costose in termini di tempo e
risorse. Perché valutare il dolore? La valutazione del
dolore (definizione del perché, quanto, come, dove) è
la condizione essenziale, per impostare un programma terapeutico adeguato alla situazione del bambino.
Come valutare il dolore L’iter nella valutazione algometrica in pediatria prevede: anamnesi accurata
riguardante soprattutto le esperienze precedenti di
dolore e le modalità di risposta; esame obiettivo completo con attenzione alla sede e proiezione del dolore,
all’espressività ed al comportamento nei riguardi
dello stesso, all’eventuale presenza di posizioni antalgiche ed all’andamento della sintomatologia in corso
di manovre attive e passive; misurazione del dolore
che permette di dare una valutazione quantitativa del
sintomo.
P017
REVISIONE DELLA LETTERATURA SUI METODI DI
VALUTAZIONE DELLA STIPSI NEI PAZIENTI
ONCOLOGICI PEDIATRICI
V. Strini, P. Lazzarin, A. Vedovetto
Università degli Studi di Padova, Italy
INTRODUZIONE: Un paziente oncologico deve
sopportare numerosi disagi dovuti sia alla malattia da
cui è colpito, sia alle terapie necessarie. Nel bambino
oncologico alla potenziale presenza di stipsi funzionale, tipica dell’età, si aggiunge la malattia, fonte di
malessere per la sua natura e per gli effetti collaterali
dei farmaci utilizzati per curarla, tra i quali è presente
la stipsi. La percentuale di pazienti pediatrici oncologici stitici, in cura con oppioidi, varia tra il 50 ed il
95%. Spesso i bambini non riescono a comunicare
questo problema o non lo considerano come potenziale o effettiva causa di dolore. Spesso i genitori la sottovalutano.
OBIETTIVI: La revisione si pone l’obiettivo di
studiare i metodi di valutazione della stipsi utilizzati
in oncologia pediatrica, riportati in letteratura, per
indagare se ne è presente uno riassuntivo, che condensi tutte le questioni relative alla sintomatologia ed origine del problema, e che l’infermiere, in piena autonomia, possa utilizzare per rilevare meglio la presenza di
stipsi in tutti i pazienti, senza alcuna differenza di età,
tipologia di tumore e terapie in atto.
MATERIALI: La revisione è stata condotta tramite
l’utilizzo di due banche dati, Cochrane e Pubmed.
Successivamente si sono analizzati gli articoli proposti
dai RELATED CITATIONS e dalle bibliografie dei
rispettivi articoli scelti. Sono stati posti limiti di età e
specifici criteri di inclusione ed esclusione.
RISULTATI: Sono stati scelti 17 articoli, senza
limiti temporali e tutti in lingua inglese, alcuni specifici della popolazione pediatrica, altri comprendenti
anche parte di popolazione adulta, altri ancora senza
specificazione dell’età. Si sono confrontati tutti i
metodi di valutazione proposti, sottolineando quelli
adattati e studiati per l’età pediatrica.
CONCLUSIONI: Quanto emerge dalla revisione
della letteratura effettuata è l’attuale mancanza di un
metodo condiviso che permetta la valutazione della
stipsi per i pazienti pediatrici oncologici. Ad oggi,
dunque, non risultano ancora presenti opinioni concordanti ed univoche sul metodo di valutazione della stipsi nell’oncologia pediatrica. La revisione effettuata
ha mostrato la necessità di ulteriori studi in tale campo
e la necessità di sensibilizzare gli infermieri rispetto
tale problematica.
P019
COME PREVENIRE LE INFEZIONI AL CENTRO
TRAPIANTI DI MIDOLLO OSSEO: L’INFERMIERE E
L’ISOLAMENTO PREVENTIVO PER IL BAMBINO
SOTTOPOSTO A TRAPIANTO DI CELLULE
STAMINALI EMOPOIETICHE
M. Piazzalunga, M. Canesi
Università degli Studi di Milano Bicocca, Milano, Italy
I bambini sottoposti a Trapianto di Cellule
Staminali Emopoietiche (TCSE), una volta effettuato
il trattamento di condizionamento, attraversano una
fase di aplasia, nell’attesa che le nuove cellule staminali attecchiscano nel midollo. È, questa, una fase
molto delicata: le difese immunitarie sono ridotte a tal
punto da esporre il paziente ad un rischio infettivo che
può, in certi casi, risultare letale. E’ necessario dunque
utilizzare misure di prevenzione delle infezioni efficaci. Allo scopo di evidenziare quali siano le raccomandazioni per un corretto isolamento preventivo da effettuare in un Centro Trapianti di Midollo Osseo e per
scoprire se queste vengano o meno applicate, è stata
condotta una revisione della letteratura sulle banche
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Poster
dati Medline e Cinahl, che ha portato a reperire 12
articoli pertinenti e 3 linee guida. Sono state individuate diverse aree di interesse infermieristico riguardo
alla prevenzione delle infezioni: le caratteristiche
dell’ambiente, l’utilizzo dei dispositivi di protezione
individuale, il lavaggio delle mani, le visite agli assistiti, la dieta. La letteratura selezionata mostra con
chiarezza la disomogeneità nell’applicazione delle
procedure di isolamento preventivo in tali aree. Una
spiegazione è la mancanza di conoscenze da parte del
personale sanitario delle attuali linee guida o la scarsa
compliance nell’applicare le procedure raccomandate,
viste le poche evidenze scientifiche che le supportano.
Gli infermieri dovrebbero prendere coscienza dell’importante ruolo che ricoprono all’interno di un CTMO:
devono essere pronti a riconoscere segni e sintomi di
complicanze e sono i primi responsabili dell’educazione della persona e del caregiver. Incrementando le attività di formazione per i professionisti si avrebbero
come conseguenze una riduzione dei costi e una
migliore qualità dell’assistenza e indagando come
strutturare gli interventi di educazione sanitaria si
aumenterebbe la compliance dell’assistito e del caregiver alle norme di isolamento. Ne conseguirebbe una
riduzione delle infezioni.
P020
RICERCA DI UN ADEGUATO APPROCCIO ALLA
FATIGUE CANCRO CORRELATA NEL PAZIENTE
ONCOLOGICO PEDIATRICO IN ETÀ PRESCOLARE,
SCOLARE E ADOLESCENZIALE
V. Belluccio, M. Provenzi, M. Gialli
USS Oncoematologia Pediatrica, AO Papa Giovanni
XXIII, Bergamo, Italy
La fatigue cancro-correlata è definita dal National
Comprehensive Cancer Network (NCCN) come una
sensazione soggettiva, stressante, persistente di stanchezza o spossatezza correlata al cancro o al suo trattamento, che non è proporzionale all’attività eseguita
ed interferisce con le abituali attività di vita del
paziente. La definizione di tale sintomo è difficoltosa
e non sempre univoca, data l’eterogeneità e complessità dei sintomi che la caratterizzano. Alle difficoltà di
definizione si accompagnano anche quelle di diagnosi,
valutazione e gestione di esso, soprattutto nell’ambito
pediatrico. L’interrogativo che ha guidato la ricerca e
a cui ho cercato di rispondere è: “Quali potrebbero
essere gli interventi costituenti di un’adeguata assistenza infermieristica al paziente oncologico pediatrico in età prescolare, scolare e adolescenziale per curare la fatigue cancro-correlata?”. La presenza di evidenze scientifiche in merito è scarna, per varie motivazioni: l’eterogeneità della fascia pediatrica, accompagnata ad una diversa concezione della fatigue, ad
una diversa percezione della malattia, del rapporto con
i famigliari e con l’equipe socio- sanitaria- l’ampiezza
dell’ambito onco-ematologico- la scarsa conoscenza e
considerazione della fatigue cancro correlata da parte
dell’equipe socio-sanitaria - dal tipo di trattamenti
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oncologici e dalla loro durata- dalla terapia ancillare dalla cultura di appartenenza dei pazienti e delle loro
famiglie- poca precisione delle modalità di studio,
efficacia e risultati su interventi analizzati dai ricercatori in tale ambito. Ad oggi non esistono gold-standard
assistenziali infermieristici sulla gestione della fatigue
nel paziente onco-ematologico pediatrico ma, in base
alle evidenze analizzate, alla mia esperienza di tirocinio nel reparto di Pediatria dell’Ospedale Papa
Giovanni XXIII di Bergamo. Nella realtà vissuta nel
reparto di Pediatria dell’ospedale Papa Giovanni
XXIII, pur non essendovi linee guida o protocolli specifici per la prevenzione e gestione della fatigue cancro correlata, ho notato l’esecuzione di alcuni interventi proposti in letteratura come: atteggiamento
empatico/positivo, momenti di condivisione/lavori di
gruppo, esercizio fisico personalizzato (in camera),
all’educazione di bambino e genitore sui sintomi che
possono influire negativamente sulla quotidianità del
bambino ed il loro trattamento. La presenza di volontari e zone di gioco apposite, di assistenti sociali e psicologi, migliorano la qualità di vita del bambino diminuendo, probabilmente, la fatigue. La presenza di
insegnanti aiutano i piccoli pazienti a mantenere un
contatto con la realtà scolastica che gli appartiene,e li
aiutano nel reinserimento post-ospedaliero permettendo di recuperare il tempo trascorso in ospedale, favorendo la diminuzione del senso di alienazione, di solitudine e frustrazione che, altrimenti, li affliggerebbero. La possibilità di una adeguata assistenza scolastica
personalizzata è possibile a Bergamo nel reparto di
Oncoematologia Pediatrica anche nel periodo estivo
grazie all’Associacione con Giulia. L’assistenza infermieristica non si deve, perciò limitare alla cura sintomatica o all’assistenza tecnica, ma deve, soprattutto,
avere una matrice empatica nei confronti del paziente
e dei genitori.
P021
LA MUCOSITE ORALE NEL BAMBINO
ONCOLOGICO: UN’INDAGINE CONOSCITIVA
NEI CENTRI AIEOP
F. Dal Monte
Università degli Studi di Firenze, Italy
Lo scopo dell’indagine è stato quello di indagare
come viene affrontata negli ospedali pediatrici italiani
la mucosite orale, complicanza dei trattamenti oncologici. E’ stata indagata la presenza di protocolli di prevenzione e cura della mucosite orale nei 55 centri
AIEOP e i tipi di interventi preventivi e curativi attuati.
L’indagine è stata realizzata per mezzo di interviste
telefoniche a infermieri e coordinatori infermieristici e
l’invio di domande tramite posta elettronica ai centri
non disponibili telefonicamente. 50 centri hanno risposto allo studio. Di questi, 4 centri non sono stati considerati nell’analisi statistica perchè non trattanti il
paziente oncologico e un altro centro perchè non facente più parte dell’AIEOP. Dall’indagine è risultato che il
40% dei centri intervistati ha un protocollo di preven-
XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
zione ed il 54% possiede un protocollo di cura. Esiste
una forte disomogeneità riguardo ai trattamenti utilizzati nei centri. Il 68,9% dei centri dichiara di effettuare
quotidianamente l’igiene del cavo orale, il 6,7% dichiara di porre attenzione alla dieta, alcuni centri indicano
l’importanza di sottoporre il piccolo paziente a visite
odontoiatriche prima dei trattamenti oncologici.
Frequente è l’uso di sciacqui soprattutto a base di
Bicarbonato di Sodio, Nistatina, Benzidamina
Cloridrato e Clorexidina e l’uso di prodotti galenici.
Riguardo ai trattamenti curativi, è menzionato l’uso di
antidolorifici e antifungini. Altri interventi nominati
sono l’uso di antivirali, antibiotici, cortisonici, colluttori, laser terapia e gel medicamentali. Si denota, considerando le linee guida del Ministero della Salute del 2010,
che alcuni degli interventi nominati come l’igiene del
cavo orale quotidiana, presentano un livello di raccomandazione elevato, mentre altri, come l’uso di anestetici locali per il dolore, presentano una raccomandazione minore. L’assenza in molti centri di protocolli di prevenzione e cura, la disomogeneità di trattamento esistente tra i centri e l’uso di trattamenti poco raccomandati dalle linee guida indicano la necessità di un incontro tra i centri AIEOP per discutere della problematica e
costruire un protocollo unico di prevenzione e cura in
linea con le migliori evidenze scientifiche. Auspicabile
sarebbe che gli infermieri potessero iniziare uno studio
multicentrico per valutare i metodi più utili alla prevenzione di questa complicanza.
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Poster
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XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015
INFERMIERI - Dati per letti
D001
TOSSICITÀ MUCO-CUTANEA IN PAZIENTE
ONCO-EMATOLOGICA, PORTATRICE DI CVC,
CON MUTAZIONE MTHFR IN OMOZIGOSI
A. Iero, G. Iaria, B. Greve, P. Cufari, C. Leuzzo,
F. Ronco
Divisione di Ematologia, AO Bianchi Melacrino
Morelli, Reggio Calabria, Italy
INTRODUZIONE: MTHFR è un enzima coinvolto
nel metabolismo dell’omocisteina, ossia nella trasformazione del 5-10 metilen-tetraidrofolato in 5 metilentetraidrofolato. La mutazione MTHFR-C677T differisce dalla forma enzimatica normale per una sostituzione
dell’aminoacido Alanina con uno di Valina. A questa
mutazione è associata: Riduzione del 30% dell’attività
enzimatica negli omozigoti; Iperomocisteinemia;
Diminuzione dei folati circolanti.
CASO CLINICO: Bambina di 3a arriva alla nostra
osservazione il 20/01/2014 in stato febbrile e dispnoico
con i seguenti dati di laboratorio: Hb 4,4g/dl; GB 4,480;
PLT 50000; Iperuricemia 12,1g%; Formula: Neutrofili
10%; Linfociti 70%; Blasti 20%. Diagnosi: LAL B
Common. Intraprende CHT secondo Protocollo LAL
AIEOP 2009 con ottenimento della remissione. Si
soprassiede nella fase dell’induzione al posizionamento
del CVC per problemi coagulativi. Il 26/05/2014 viene
posizionato CVC a breve permanenza e dopo 24h viene
disinfettato il punto d’inserzione con Clorexidina 2% e
applicata medicazione trasparente traspirante con clorexidina gluconata. Il 27/05/2014 effettua 1º MTX del
consolidamento (5 g/mq) e nelle medicazioni successive si evidenzia arrossamento del punto d’inserzione,
tanto da rinnovare ancora la medicazione ogni 24h e
sostituire medicazione CHG con Betadine. Le condizioni cliniche vengono complicate da severa mucosite,
dalla comparsa di vescicole e maggiore iperemia nel
punto d’inserzione del CVC, con quadro obiettivo di
cellulite e rush cutaneo diffuso. Intraprende terapia antibiotica ev. Il 2/06/2014 il CVC si sfila spontaneamente.
Effettua 2º MTX con due settimane circa di ritardo,
complicato, anche questa volta, da severa mucosite. Si
nota che nei siti dove viene applicato cerotto per prelievi ematici o incannulazioni aumenta il rush cutaneo.
Perviene, nel frattempo, esito studio trombofilico: stato
di omozigosi per MTHFR con variante genetica C677T.
Viene sottoposta a terapia con acido folico e complesso
vitaminico B che non ha mai sospeso, per cui i successivi cicli sono stati effettuati senza tossicità e rispettando le scadenze stabilite dal Protocollo.
CONCLUSIONI: Si ritiene che il CVC si sia sfilato
spontaneamente, nonostante idonea manutenzione, a
causa della tossicità su mucose e cute provocata dai
chemioterapici che agiscono sulle vie metaboliche dove
è coinvolto l’enzima MTHFR (in questo caso MTX) e
modificando la farmacodinamica dei folati.
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Dati per letti
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XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
INFERMIERI - Relazioni
NEEDLE-FREE CONNECTORS PER LA GESTIONE
DEI CATETERI VENOSI CENTRALI IN
ONCOEMATOLOGIA PEDIATRICA
S. Brancaleoni
Padova, Italy
Introdotti negli Stati Uniti alla fine degli anni
Settanta per rispondere principalmente all’esigenza di
tutelare salute e sicurezza degli operatori esposti al
rischio di contaminazione biologica da puntura accidentale, i connettori senza ago (needleless connectors/
needle-free connectors, NFCs) sono tappini sterili che,
pur garantendo la chiusura del sistema verso l’esterno,
consentono - senza che sia necessario rimuoverli - il
raccordo diretto o del cono della siringa o della parte
terminale del set d’infusione a quello del catetere
(Lawrence et al. 1997, Terrell & Williams 1993).
Attualmente sono in commercio diversi modelli di connettori senza ago (Hadaway 2012) ed esiste evidenza
dell’ampia diffusione del loro impiego presso la quasi
totalità degli ospedali americani (Ryder 2006). I NFCs
differiscono in termini di come appaiono e come funzionano. Qui sotto sono descritte le caratteristiche interne ed esterne (Hadaway 2012). Caratteristiche esterne.
L’involucro esterno del NFC può essere opaco e colorato o trasparente. La superficie di collegamento esterno
può avere un centro angolato o essere praticamente
piatta, concava, o frastagliata. Ci sono due modi per
collegare un set d’infusione o una siringa: la punta luer
maschio del set o della siringa può essere o spinta
manualmente attraverso un setto di divisione (split septum) o direttamente raccordata (luer-locked) sulla valvola meccanica. Caratteristiche interne. Anche se il loro
aspetto esteriore può essere simile, i NFCs hanno differenze interne che influenzano il modo in cui funzionano. Semplice contro complessa. La maggior parte dei
NFCs rientrano in due categorie: connettori semplici
(non hanno parti mobili interne, come quelli con un
setto di divisione esterna) e connettori complessi (si
basano su componenti mobili interni, come una valvola
meccanica, per controllare il flusso di liquido all’interno del dispositivo). Le caratteristiche interne dei connettori determinano il modo in cui i dispositivi gestiscono lo spostamento del fluido, così come il percorso del
fluido. Spostamento del fluido. Lo spostamento del fluido all’interno del NFC è descritto dai produttori come
negativo, positivo o neutro. I connettori con spostamento negativo permettono al sangue di essere tirato indietro, o di refluire, nel lume del catetere durante la connessione, la disconnessione, o quando il set di somministrazione è collegato. I connettori con spostamento
positivo del fluido possiedono un piccolo serbatoio di
fluido, in modo che quando viene scollegato/a il set di
infusione o la siringa, il fluido viene spinto nel lume del
catetere per superare il reflusso del sangue intraluminale. I connettori con spostamento neutro impediscono al
sangue di muoversi nel lume del catetere dopo connessione o disconnessione. Percorso del fluido. A seconda
del tipo di connettore, il fluido ha un percorso diverso.
I potenziali fattori di rischio per le complicanze
associate con l’utilizzo dei NFCs cadono in diverse
categorie, compresa la progettazione del dispositivo, i
deficit di conoscenza dell’utilizzatore, la disattenzione
alla gestione dell’intero sistema di somministrazione e
la frequenza con cui i connettori sono cambiati
(Hadaway 2012). Mentre i NFCs hanno notevolmente
ridotto il rischio di punture tra gli operatori sanitari,
sono anche stati associati ad un aumento di complicanze come infezioni catetere-correlate (catheter-related
bloodstream infection, CRBSI), se il loro utilizzo non è
appropriato, e occlusioni del lume del catetere (Field et
al. 2007, Jarvis et al. 2009, O’Grady et al. 2011,
Salgado et al. 2007, Schilling et al. 2006); ambiti che
necessitano ancora di studio. Le raccomandazioni sui
NFCs secondo i Centers for Disease Control (CDC) di
Atlanta del 2011 sono qui di seguito riportate (O’Grady
et al. 2011). Sostituire i NFCs almeno altrettanto frequentemente che i set da infusione. Non vi è evidenza
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Relazioni
che sia utile sostituirli più frequentemente che ogni 72
ore (categoria II). Sostituire i NFCs non più spesso che
ogni 72 ore o secondo le raccomandazioni del produttore, al fine di ridurre l’incidenza di infezione (categoria
II). Accertarsi che tutte le componenti del sistema siano
tra loro compatibili, così da minimizzare le perdite e le
rotture nel sistema (categoria II). Ridurre al minimo il
rischio di contaminazione strofinando la porta di accesso con un antisettico appropriato (clorexidina, iodopovidone, uno iodoforo, o alcool al 70%) e accedere al
sistema utilizzando soltanto dispositivi sterili (categoria
IA). Usare un NFC per accedere ai set di infusione
(categoria IC). In termini di rischio infettivo, i NFCs
con valvola tipo split septum sembrano preferibili ad
alcuni dei NFCs con valvola meccanica (categoria II).
Per ridurre il rischio di infezione e di occlusione, è
imperativo che il personale infermieristico sia addestrato al corretto utilizzo dei connettori (Hadaway 2006,
Hadaway 2011, Infusion Nursing Society 2011,
O’Grady 2011, Simmons et al. 2011). Anche se non si è
in grado di determinare il livello, basato su prove disponibili, di rischio associato ad ogni tipo di connettore, si
può ridurre notevolmente le complicanze note di infezione e di occlusione del lume del catetere diventando
ben informati e sviluppando le competenze necessarie
per utilizzare i connettori disponibili in modo sicuro.
Ciò significa che tutte le strutture sanitarie dovrebbero
valutare l’adesione del personale ai protocolli stabiliti.
Studi clinici ben progettati sono necessari per uniformare ulteriormente la pratica (Hadaway 2012).
BIBLIOGRAFIA
Field K, McFarlane C, Cheng AC, Hughes AJ, Jacobs E, Styles
K, et al. Incidence of catheter-related bloodstream infection
among patients with a needleless, mechanical valve-based
intravenous connector in an Australian hematology-oncology
unit. Infection control and hospital epidemiology 2007
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GESTIONE DEL CVC NEI CENTRI AIEOP:
SURVEY 2013
S. Buchini
Università degli Studi di Padova, IRCCS Materno
Infantile Burlo Garofolo, Trieste, Italy
BACKGROUND: Il catetere venoso centrale
(CVC) è un dispositivo essenziale per il trattamento del
paziente pediatrico onco-ematologico (Carraro et al.,
2013; Cecinati, Brescia, Tagliaferri, Giordano &
Esposito, 2012; Pinon et al., 2009), tuttavia la presenza
di una linea venosa centrale è associata a complicanze
di vario genere che hanno un impatto negativo sulla
salute del paziente (Arora, Roberts, Eden & Pizer,
2010; Carraro et al., 2013; Cecinati et al., 2012; Pinon
et al., 2009). Nel 2011 (Centers for Disease Control and
Prevention, CDC) sono state aggiornate le linee guida
sulla prevenzione delle infezioni associate alla presenza
dei cateteri intravascolari (Webster, Gillies, O’Riordan,
Sherriff & Rickard, 2011), ma ad oggi non esistono evidenze di quanto tali raccomandazioni siano state recepite dai Centri AIEOP.
OBIETTIVI DELLO STUDIO: Indagare le modalità di gestione dei CVC nei vari Centri AIEOP, rilevando eventuali eterogeneità e confrontando quanto emerso
con le evidenze presenti in letteratura.
MATERIALI E METODI: Disegno dello studio:
Studio descrittivo. Setting: Lo studio ha coinvolto
l’Associazione Italiana Ematologia e Oncologia
Pediatrica (AIEOP). Campione: Sono stati inclusi
nello studio tutti i 55 Centri AIEOP. Strumenti e raccolta dei dati: Un questionario, costruito sulla base
della letteratura esistente, è stato inviato tramite mail
a tutti i referenti infermieristici dei 55 Centri AIEOP.
Il questionario era composto da sette sezioni: informazioni generali, medicazione exit-site, prevenzione/
trattamento occlusioni, prelievi, gestione linee infusionali, PORT, gestione domiciliare. Analisi dei dati: I
questionari raccolti, resi anonimi assegnando un codice alfanumerico, sono stati trasferiti in un database
elettronico su software SPSS, versione 15.0. È stata
quindi effettuata un’analisi univariata, con descrizione
di frequenze e percentuali.
RISULTATI: Caratteristiche del campione: Hanno
partecipato all’indagine 39 Centri su 55 (71%).
Informazioni generali: Nei Centri partecipanti nel 2012
sono stati posizionati 964 CVC tunnellizzati, in prevalenza “a punta aperta” (nel complesso, 747 monolume),
86 Port-a-Cath e 138 PICC. La vena succlavia è il sito
XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
di incannulamento più frequentemente indicato anche
se molti Centri hanno selezionato più opzioni contemporaneamente. In 35 Centri (90%) esiste una procedura
scritta per la gestione del CVC, aggiornata negli ultimi
3 anni nel 48% dei Centri. Nella maggior parte dei
Centri si utilizzano frizione con soluzione idroalcolica,
guanti sterili e tecnica asettica per la medicazione exitsite, nelle procedure di prevenzione e trattamento delle
occlusioni, nel prelievo ematico, nella gestione delle
linee infusionali e nella gestione del Port-a-cath.
Mascherina e copricapo sono invece utilizzate in misura
più ridotta. Medicazione exit-site: La medicazione è per
lo più di tipo sterile (67% CVC tunnellizzati e 59%
PICC). Per i CVC tunnellizzati la disinfezione viene
effettuata in modo equivalente con Clorexidina al 2%
su base alcolica e con Iodiopovidone mentre per i PICC
prevale la prima (45%). In entrambi i casi la medicazione viene cambiata ogni 6-7 giorni (77%) e i tamponi
vengono effettuati solo in caso di segni e/o sintomi di
infezione. Prevenzione/trattamento occlusioni: Prevale
l’utilizzo di soluzione eparinata, con tappo standard o
con tappo a pressione positiva. La concentrazione della
soluzione eparinata, il volume infuso e la frequenza
variano da Centro a Centro (Tabella 1).
Tabella 1. Prevenzione/trattamento occlusioni.
Nella quasi totalità dei Centri il farmaco usato per la
disocclusione è l’Urokinasi. La quantità di farmaco è
molto variabile come anche i tempi di attesa fra la somministrazione del farmaco e la rivalutazione del funzionamento. Prelievi: Il 60% ha dichiarato di utilizzare la
siringa e non il sistema vacutainer mentre il 17% adotta
entrambi. Gestione linee infusionali: Il cambio dei set
viene effettuato ogni 24, 48 o 72 ore in base alle diverse
indicazioni nella quasi totalità dei casi e solo 2 Centri su
39 affermano di superare le 96 ore. La protezione dei
raccordi è sterile nel 67% dei Centri. PORT: Il tipo di
medicazione utilizzata è sterile nella maggior parte dei
Centri (80%) e prima di accedere al sistema la cute
viene disinfettata esclusivamente con Iodiopovidone
nel 49% dei casi. L’ago del dispositivo viene cambiato
ogni 7 giorni nell’83% dei Centri. Gestione domiciliare:
Nella maggior parte dei Centri (74%) il genitore/caregiver viene addestrato alla gestione domiciliare del CVC.
In particolare, il 97% dei Centri educa il caregiver per
la medicazione dell’ex-site, il 70% per l’eparinizzazione/irrigazione con soluzione fisiologica, il 62% per il
cambio tappo e il 24% per il prelievo ematico. Il 73%
dei Centri (N=22) ha una procedura scritta dedicata a
questo tema e il 70% dei Centri rivaluta il caregiver ma
solo quando si verificano dei problemi. Nel 60% dei
casi viene fornito al caregiver materiale informativo su
supporto cartaceo mentre solo in un caso è previsto
anche un supporto elettronico.
DISCUSSIONE: La gestione del CVC non risulta,
in tutti i Centri AIEOP, conforme alle evidenze scientifiche esistenti in letteratura. Alcune procedure vengono svolte nonostante non abbiano alla base una letteratura di riferimento (per esempio gestione del Porta-cath, prelievo ematico); inoltre, ad alcuni ambiti
sembra non essere data la rilevanza che meriterebbero
(per esempio addestramento/rivalutazione del genitore
sulla gestione del CVC). L’indagine ha mostrato che i
Centri AIEOP partecipanti aderiscono alle indicazioni
presenti in letteratura per la maggior parte degli aspetti
presi in esame come ad esempio il numero di lumi utilizzato, la presenza di una procedura scritta per la
gestione del CVC, le precauzioni generali adottate per
prevenire il rischio infettivo. L’aspetto che colpisce
maggiormente è l’ampia eterogeneità fra i Centri
rispetto alla prevenzione e al trattamento delle occlusioni. Questa evidenza associata alla disomogeneità di
dati presenti in letteratura porta a concludere che
sarebbe necessario realizzare uno studio multicentrico
a livello nazionale per sondare la reale efficacia dei
diversi approcci oggi adottati.
CONCLUSIONI: Un adeguamento delle procedure
alle evidenze scientifiche presenti in letteratura, l’utilizzo di procedure scritte fondate su linee guida valide,
l’aggiornamento e il training dell’infermiere, nonché
l’addestramento del genitore, sono fattori su cui è
necessario incidere ed agire per migliorare la qualità
dell’assistenza del bambino affetto da patologie oncoematologiche e portatore di CVC. Inoltre, è necessaria
ancora molta ricerca sulla gestione del CVC in ambito
pediatrico. Parole chiave: catetere venoso centrale a
permanenza, bambini, onco-ematologia, Centri AIEOP.
BIBLIOGRAFIA
Arora, R.S., Roberts, R., Eden, T.O.B., & Pizer, B. (2010).
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| 131 |
Relazioni
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O’Grady, N.P., Alexander, M., Burns, L.A., Dellinger, E.P.,
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Pinon, M., Bezzio, S., Tovo, P.A., Fagioli, F., Farinasso, L.,
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central venous catheter - related complications at a single
pediatric hospital. European Journal Of Pediatrics, 168 (12),
1505-1512.
LA FATIGUE NEL BAMBINO E NELL’ADOLESCENTE
SOTTOPOSTO A CHEMIOTERAPIA: PROPOSTA
PER UNO STUDIO MULTICENTRICO
E. Rostagno
Infermiere Pediatrico, Oncologia ed Ematologia
Pediatrica, AOU S.Orsola-Malpighi, Bologna, Italy
In ambito pediatrico, la fatigue correlata alla malattia onco-ematologia, viene definita come una sensazione di stanchezza, di difficoltà nel movimento e difficoltà a tenere gli occhi aperti. La fatigue può essere il
risultato di singoli fattori ambientali, fattori sociali o
fattori legati al trattamento e può causare ulteriori problemi come il giocare con altri bambini, la mancanza di
concentrazione, l’irritabilità, la depressione, lo sviluppo
di sentimenti negativi come rabbia o tristezza. La fatigue è un sintomo correlato alla patologia oncologica, al
trattamento chemioterapico e ad altri sintomi come la
depressione o la carenza di sonno. La fatigue è un sintomo notevolmente studiato fra gli adulti con tumore,
mentre, nella popolazione pediatrica, ci sono molte
meno conoscenze in merito. La sua reale incidenza è
sconosciuta poiché differenze nella misurazione producono una vasta gamma di stime di incidenza in base
anche alla dimensione della fatigue che viene considerata. Scopo di questo studio è quello di migliorare le
conoscenze in merito alla fatigue in una popolazione
pediatrica affetta da patologia onco-ematologica.
OBIETTIVI: Obiettivo primario dello studio è di
valutare l’incidenza e l’intensità del sintomo fatigue in
bambini e adolescenti sottoposti a trattamento chemioterapico nei primi due anni dalla diagnosi di patologia
onco-ematologica. Obiettivi secondari sono: valutare la
correlazione fra intensità del sintomo e livelli di emoglobina, giornate di degenza, terapia cortisonica, stato
nutrizionale (BMI), protocollo di trattamento e stato di
malattia.
MATERIALI E METODI: Studio osservazionale
prospettico di coorte multicentrico. Verranno arruolati
nello studio bambini/adolescenti (5-17 anni) in cura
presso i Centri aderenti all’Associazione Italiana di
Ematologia e Oncologia Pediatrica che, nel normale
percorso di cura, sono sottoposti a trattamento chemioterapico. Ai pazienti e ai genitori/cagivers verrà somministrato il questionario PedsQLTM Multidimensional
Fatigue Scale.
| 132 |
LINEE GUIDA AIEOP SULLA GESTIONE DEL
CATETERE VENOSO CENTRALE
E. Rostagno1, A. Barone2, S. Bellini2, A. Bergadano3,
R. Ceresoli4, A. Crocoli5, L. Dallai6, V. De Cecco7,
A.R. Favale8, M. Giacchino3, V. Grillenzoni9, F. Paoli6,
P. Saracco3, G. Zanazzo10, S. Cesaro9
1AOU Sant’Orsola-Malpighi, Bologna; 2AOU di
Parma; 3AOU Città della Salute e della Scienza, Torino;
4AO Spedali Civili, Brescia; 5Ospedale Pediatrico
Bambino Gesù, Roma; 6AOU Meyer, Firenze,
7Policlinico S. Matteo, Pavia; 8Ospedale Vito Fazzi,
Lecce; 9Policlinico G.B. Rossi, Verona; 10IRCCS Burlo
Garofolo, Trieste, Italy
INTRODUZIONE: Il catetere venoso centrale
(CVC) ha un ruolo importante nel favorire la corretta
applicazione del piano diagnostico-terapeutico nel
bambino affetto da malattie onco-ematologiche.
OBIETTIVI: Presentare le più recenti evidenze
scientifiche sulla gestione infermieristica di tale presidio.
MATERIALI E METODI: Mediante ricerca bibliografica sulla banca dati Pubmed, un gruppo di infermieri e medici ha elaborato delle linee guida sull’uso del
CVC in età pediatrica. I risultati sono stati condivisi con
l’associazione Unione Genitori Italiani (UGI) di Torino
come rappresentanza di pazienti e caregiver.
RISULTATI: Il gruppo ha definito il grado di evidenza delle azioni e manovre necessarie per lo svolgimento
delle principali attività infermieristiche relativa al CVC:
medicazione (frequenza, tipo, modalità di disinfezione
cutanea), irrigazione (frequenza di lavaggio, tipo di soluzione, concentrazione eparina), gestione domiciliare contro gestione ospedaliera, adozione di strumenti o score per
la sorveglianza delle complicanze, gestione delle linee
infusionali e modalità di esecuzione di prelievi ematici
(uso dei tappi a pressione positiva, tappi standard).
CONCLUSIONI: La lettura di queste linee guida
offre delle indicazioni basate sull’evidenza per l’esecuzione delle manovre assistenziali inerenti l’uso dei
CVC nei pazienti pediatrici affetti da patologia oncoematologica.
LO STATO NUTRIZIONALE NEI BAMBINI CON
DIAGNOSI DI PATOLOGIA TUMORALE IN FASE
OFF-THERAPY: PROPOSTA PER UNO STUDIO
MULTICENTRICO
A. Bergadano1, E. Farina2, L. Sergi1, L. Arada1
1Oncoematologia Pediatrica, Trapianto di Cellule
Staminali e Terapia Cellulare, AOU Città della Salute e
della Scienza, Ospedale Infantile Regina Margherita,
Torino; 2AOU Città della Salute e della Scienza,
Ospedale Infantile Regina Margherita, Torino, Italy
INTRODUZIONE: La prognosi delle patologie
neoplastiche è significativamente migliorata negli ultimi anni. La sopravvivenza a 5 anni dopo la diagnosi
risulta essere, fra i pazienti trattati nel periodo compreso tra il 2003 ed il 2008 dell’82% nei bambini e
dell’86% negli adolescenti. Tuttavia l’aumentata
sopravvivenza ha messo in evidenza gli effetti collate-
XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
rali causati dall’insieme dei trattamenti proposti. Tra gli
effetti tardivi sono inclusi un alto rischio di secondi
tumori, patologie cardiache, problemi psicosociali, e,
sempre più riconosciuti, vi sono la Sindrome
Metabolica ed il sovrappeso/obesità. Queste ultime
contribuiscono all’aumento delle malattie croniche nei
sopravissuti a neoplasia infantile, soprattutto a
Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA). Una recente
metanalisi ha evidenziato come il Body Mass Index
(BMI) Z score in 1742 pazienti sopravvissuti ad LLA
infantile dopo 10 anni dalla diagnosi sia di 0.83
(95%Cl:0.60-1.06) che corrisponde circa all’80esimo
percentile per il BMI. Considerando solo i 1391 bambini a 5 anni dalla diagnosi il BMI Z score risulta essere
di 0.89 (95%Cl:0.60-1.18). Questo suggerisce che i
sopravvissuti ad LLA infantile hanno un BMI significativamente più elevato rispetto a quello della restante
popolazione comparato per genere ed età. Il genere
femminile pare essere più soggetto a questa complicanza, così come i soggetti esposti a irradiazione craniale
terapeutica. Purtroppo molte di queste informazioni
fanno riferimento unicamente ai bambini sopravvissuti
ad LLA mentre per le altre patologie oncologiche sono
decisamente più scarse. Lo studio che si propone è volto
a descrivere la popolazione dei bambini, adolescenti,
giovani adulti sopravvissuti a patologia oncologica
rispetto al loro stato nutrizionale.
OBIETTIVO: Obiettivo primario dello studio è
descrivere lo stato nutrizionale dei bambini con pregressa
diagnosi tumorale che si trovano in fase di off- therapy.
Gli obiettivi secondari dello studio sono: 1) Valutare la
correlazione fra patologia diagnosticata è stato nutrizionale tardivo; 2) Valutare la correlazione fra protocollo di
trattamento chemioterapico è stato nutrizionale tardivo;
3) Valutare la correlazione fra stato nutrizionale e qualità
di vita; 4) Valutare l’esigenza di programmare un intervento di educazione alimentare durante i follow up.
MATERIALI E METODI: Lo studio sarà di tipo
osservazionale prospettico multicentrico presso i centri
AIEOP. Saranno inclusi nello studio tutti i bambini in
fase di follow up afferenti, presso i centri AIEOP aderenti, agli ambulatori o day-hospital di oncoematologia
pediatrica. I soggetti inclusi nello studio dovranno avere
un età compresa fra 1-17 anni al momento della diagnosi
e dovranno essere passati tra i 2 e i 5 anni dalla sospensione della terapia; inoltre, per la compilazione del questionario, dovranno avere una buona comprensione della
lingua italiana. I dati saranno raccolti, indicativamente,
nel periodo tra il 1 Gennaio 2016 ed il 31 Dicembre
2016. Le valutazioni verranno effettuate durante la visita
programmata per il follow up e si potranno raccogliere i
dati di ogni bambino un’unica volta. Al momento dell’accoglienza del bambino verrà consegnata la lettera di
presentazione dello studio ed il modulo di consenso
informato. Una volta compilato quest’ultimo verranno
rilevati i dati necessari (peso, altezza, pressione arteriosa,
circonferenza addome, circonferenza braccio), e verrà
consegnato il questionario idoneo all’età inerente la
Qualità di Vita (EQ-5D-Y). Tutti i dati inerenti l’analisi
dello stato nutrizionale, compresi alcuni valori ematochimici, saranno rilevati da misurazioni che rientrano nel
normale percorso di follow up per le patologie oncoematologiche non comportando stress aggiuntivo a bambino
e famiglia. Ogni centro aderente allo studio dovrà individuare un infermiere che durante le visite avrà il compito
di raccogliere su un apposita scheda i dati antropometrici
richiesti ed, ogni settimana, dovrà inviare le schede compilate al centro di riferimento, Torino. I risultati dello studio verranno resi noti entro 12 mesi dalla conclusione
della sperimentazione.
CONCLUSIONI: Il razionale su cui si fonda il presente studio è quello di fotografare la situazione italiana
dei sopravvissuti a tumore infantile rispetto al loro stato
nutrizionale comprendendo se alcune caratteristiche possono essere favorenti lo sviluppo di situazioni di morbilità tardiva. In questo modo nella pratica clinica si potrà
pensare ad interventi informativi e di controllo unificati
sul territorio nazionale,ma diversificati a seconda del
rischio evidenziato nelle specifiche sotto-popolazioni.
LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI BATTERICHE
NEI PAZIENTI ONCOLOGICI E PORTATORI DI CVC
N. Trevisan, M.C. Salgarello, M. Cavaliere
Padova, Italy
INTRODUZIONE: La clinica di Oncoematologia
pediatrica dell’AO di Padova dal 2012 ad oggi ha adottato cambiamenti organizzativi e strutturali volti a prevenire la trasmissione delle infezioni nosocomiali. Si è impegnata in un continuo lavoro di revisione per la gestione
del CVC, procedura che richiede una precisa manutenzione non esente da rischi e complicanze: una medicazione del punto di uscita settimanale ed un lavaggio del
lume ogni 4 giorni. Il rischio infettivo è uno dei problemi
fondamentali che deve essere tenuto in considerazione
dal personale sanitario. Inoltre ci si è interrogati se tali
procedure possano essere eseguite a domicilio da caregivers informali dopo un percorso educativo. Il management domiciliare può costituire un carico di lavoro eccessivo per il caregiver, quindi si è pensato di utilizzare i
principi espressi dalla teoria Self-Efficacy per analizzare
tale problematica.
OBIETTIVI: Valutare l’efficacia degli interventi
organizzativi e strutturali. Aggiornare e formare il personale sanitario in merito alla procedura di gestione del
CVC. Progettare un corso teorico pratico rivolto ai genitori che desiderano gestire a domicilio il CVC del proprio
figlio. Valutare se il valore della Self-Efficacy dei genitori
che gestiscono il CVC è maggiore rispetto a quello dei
caregivers che si affidano agli healthcare providers.
MATERIALI E METODI: Analisi dei referti microbiologici e dei controlli ambientali prima e dopo i cambiamenti strutturali ed organizzativi. Progettazione del
Laboratorio teorico-pratico per la gestione del CVC
all’interno del reparto di degenza rivolto ai genitori. si
propongono quindi sei lezioni con i seguenti obbiettivi:
1) descrivere e spiegare alla famiglia l’utilizzo del CVC
per una corretta gestione domiciliare del dispositivo; 2)
ridurre gli accessi al DH dell’Oncoematologia Pediatrica
per la sola manutenzione del dispositivo; 3) migliorare la
qualità di vita del paziente. Somministrazione del que-
| 133 |
Relazioni
stionario dell’Autoefficacia Generalizzata ai caregivers
che si sono recati in Day-Hospital di Onco-Ematologia
Pediatrica dal 24 al 29 settembre 2014 ed ai caregivers
che hanno frequentato le lezioni teorico-pratiche in reparto. Inoltre, durante l’ultimo incontro formativo si prevede
l’utilizzo di una check-list costruita ad hoc per verificare
l’acquisizione delle competenze minime per una gestione
domiciliare sicura.
RISULTATI: Con il programma “Qlik” è stato possibile analizzare l’esito delle emocolture eseguite dal 2012
ad oggi. Sulla base delle più recenti evidenze scientifiche
e pareri di esperti si è aggiornata la procedura per la
gestione del CVC. Da gennaio 2014 è partito il progetto
“Il mio CVC”. Il 40% dei caregivers informali intervistati in Day-Hospital avevano partecipato alle lezioni di
management del CVC e la loro Self-Efficacy è risultata
essere maggiore dei caregivers che non avevano partecipato al percorso educativo in reparto.
CONCLUSIONE: I referti microbiologici e l’esito
dei controlli ambientali hanno confermato l’efficacia
delle azioni di miglioramento. Nel mese di giugno 2015
avrà luogo la prima edizione del corso formativo per i
sanitari per la gestione del CVC. Lo studio pilota ha
evidenziato una Maggiore Self- Efficacy associata alla
partecipazione al trattamento educativo. Parole chiave:
Self-Efficacy, educazione, gestione domiciliare, catetere
venoso centrale.
DA UN’IDEA DI RICERCA ALLA RICADUTA
SULL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA
PEDIATRICA: IDEARE, PIANIFICARE, CONDURRE,
UTILIZZARE E DIFFONDERE I RISULTATI DI UNO
STUDIO OSSERVAZIONALE
L. Vagliano
Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e
Pediatriche, Corso di Laurea in Infermieristica
Pediatrica, Università degli Studi, Torino, Italy
Tra le principali responsabilità dei professionisti
infermieri si riconosce la ricerca, che entra a pieno titolo nel campo di attività e responsabilità professionale,
determinato dai contenuti dei Profili Professionali,
dagli Ordinamenti Didattici e dal Codice Deontologico.
Quando si parla di ricerca scientifica in ambito biomedico è necessario rifarsi all’ Evidence Based Clinical
Practice che viene comunemente tradotta in lingua italiana, anche in modo improprio, con “medicina basata
sull’evidenza” o più propriamente pratica clinico –
assistenziale basata su prove scientifiche di efficacia.
Gli infermieri, pediatrici e non, rientrano a pieno titolo
nel team di ricerca multidisciplinare, come figure
essenziali nel processo sistematico di ricerca, composto
dalle seguenti fasi: Identificazione e definizione del
problema con annessa revisione della letteratura, scelta
del metodo-disegno di ricerca, raccolta e analisi dei
dati, interpretazione e discussione dei risultati, utilizzo
dei risultati nella pratica clinica e pubblicazione e diffusione dei risultati. Tra i disegni di studio più utilizzati
nella pratica clinica si trovano gli studi quantitativi,
anche se i metodi di ricerca qualitativa vengono sempre
| 134 |
più utilizzati. La suddivisione fatta da diversi autori
prevede, tra gli studi con approccio quantitativo, gli
studi sperimentali (randomised controlled trials – RCT)
e gli studi descrittivi o osservazionali: la differenza tra
le due tipologie sta soprattutto nella “manipolazione” o
introduzione deliberata di una o più variabili da studiare. Negli studi descrittivi, il ricercatore si limita ad
osservare e descrivere un fenomeno, così come si manifesta naturalmente, senza intervenire attivamente in
alcun modo. Questi disegni hanno generalmente lo
scopo di descrivere un fenomeno misurandolo o mettendo in relazione tra loro una o più variabili misurate
(single variable descriptive design vs multiple variables
descriptive design). All’interno degli studi descrittivi, è
possibile effettuare un’ ulteriore suddivisione tra gli
studi di prevalenza (survey) e gli studi longitudinali,
che a loro volta possono essere classificati in prospettici
o retrospettivi, a seconda del loro andamento temporale
(forward o backward). Tutto ciò che accomuna i diversi
approcci e disegni di studio è l’impianto metodologico,
il quale deve essere solido, rigoroso e ben studiato e
strutturato a priori, secondo le indicazioni delle Good
Clinical Practice (GCP). Uno dei punti chiave di ogni
disegno di studio è il Protocollo di Ricerca, un documento ufficiale e sottoposto ad approvazione di un
Comitato Etico, che guida i ricercatori nella pianificazione, conduzione, analisi e interpretazione dei risultati,
nonché nella pubblicazione e disseminazione dei risultati. Il Protocollo di ricerca (con i suoi eventuali emendamenti) è quindi quel documento fondamentale per la
conduzione dello studio e in esso devono essere presenti tutte le informazioni necessarie allo svolgimento della
ricerca. La struttura generale di un protocollo è ben
definita e deve contenere al suo interno una iniziale
sezione di background scientifico ed il razionale dello
studio, nonché chiari obiettivi, le misure di outcome o
gli endpoint, il disegno dello studio, le caratteristiche
dei soggetti/oggetti eleggibili (compresi i criteri di
inclusione/esclusione), gli aspetti legati alle analisi statistiche previste, le implicazioni etiche, gli aspetti
amministrativi, ecc. Un importante strumento, in grado
di aiutare nella pianificazione di uno studio osservazionale, è lo STROBE Statement (Strengthening the
Reporting of Observational Studies in Epidemiology).
L’iniziativa del gruppo STROBE è nata per migliorare
la descrizione degli studi clinici osservazionali. Il gruppo STROBE ha redatto una checklist di controllo contenente una serie di voci che dovrebbero essere presenti
nel report di pubblicazione di uno studio osservazionale. In sede congressuale verranno approfonditi i diversi
aspetti di uno studio osservazionale.
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XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
INDICE DEGLI AUTORI
A
Abate, V. 70
Acampora, E. 56
Agapiti, C. 31
Agostini, A. 71
Aiuti, A. 120
Alaggio, R. 18, 20
Alberti, D. 69, 83, 109
Alfano, V. 19
Algeri, M. 12, 61
Alladio, A. 114
Aloj, G. 78
Altomare, A. 121
Amichetti, M. 64
Amoroso, L. 10, 18, 23, 111
Andreano, A. 5
Andria, G. 56
Annunziata, M.A. 62, 110
Antonazzo, L. 43
Antonelli, M. 19
Arada, L. 132
Arcamone, G. 41, 46, 117
Arcangeli, S. 13
Arcioni, F. 53
Ardissino, G. 31
Aria, V. 12
Aricò, M. 33, 47, 58, 83
Arlotta, A. 84, 87
Armiraglio, M.A. 110
Aru, A.B. 74
Aspesi, A. 12
Astolfi, A. 34
Atzeni, C. 48
Avanzini, S. 18, 21, 23
Avolio, V. 56
B
Badino, C. 111
Baffelli, R. 28, 31, 32, 60
Bagnasco, F. 5
Balduzzi, A. 27
Ballerini, A. 36
Bambi, F. 83
Bandettini, R. 58
Bandini, J. 34
Barabino, P. 10
Barbanera, Y. 53
Barbara, A. 70
Barbato, D. 13, 17
Barberi, W. 76
Bardelli, D. 7
Bardelli, M. 13
Bardoni, A. 31
Barella, S. 48
Barisone, E. 33, 37, 38, 40, 61, 92
Baronci, C. 5
Barone, A. 52, 58, 59, 84, 87, 132
Bartolini, E. 47
Basaglia, G. 11
Basso, E. 22
Basso, G. 8, 20, 33, 34, 35, 37, 39, 40, 43, 45, 77
Battaglia, E. 51
Becherini, P. 22
Beghin, A. 28, 32, 60
Belfiore, G. 82
Bellanti, F. 50
Bellia, F. 53, 66
Bellini, S. 58, 61, 132
Belluccio, V. 124
Belotti, T. 27
Benedetto, L. 55
Bennato, V. 74
Benvenuti, S. 69, 83, 109
Beqiri, V. 35, 50
Berchicci, L. 53
Bergadano, A. 132
Bergamaschi, L. 29
Berger, M. 39, 58
Bergonzini, G. 49
Berlucchi, M. 71
Bernardo, M.E. 12, 61
Bertelli, E. 23
Berti, M. 110
Bertolini, P. 20, 36, 39, 84, 86, 87
Bertolotti, M. 58, 61, 89, 99
Bertoni, E. 74
Bertorello, N. 61, 92, 94
Bestagno, M. 21
Biaggini, G. 42
Biagi, E. 11, 13
Biagini, S. 12, 61
Bianchi, M. 20, 21, 36, 86, 94
Biasin, E. 5, 61
Bidoli, E. 60
Biffi, A. 120
Bigi, E. 49, 51
Bini, I. 14, 37, 38
Biondi, A. 5, 7, 13, 33, 34, 40
Birri, S. 60
Bisio, V. 35
Bisogno, G. 16, 18, 20, 22, 63, 84
Bolda, F. 28, 31, 32, 60
Boldrini, R. 13, 16, 17
Bollini, S. 22
Bomben, F. 62, 110
Bonanomi, S. 52
Bonazza, C. 64
Bonetti, F. 20, 31
Bosco, C. 66
Bosio, M.I. 29, 71
Botta, D. 114
Bottazzi, A. 62
Bottega, R. 103
Bourquin, J.P. 34
Bracciolini, G. 21, 86
Brach del Prever, A. 70
Brancaleoni, S. 65, 129
Branciforte, F. 59
Brigidi, P. 11
Brivio, E. 27, 33, 37, 38, 40, 100
| 135 |
Indice degli autori
Bronzini, I. 33, 34
Buccoliero, A. 47, 79
Buchini, S. 130
Buffardi, S. 36, 39, 43
Buffone, A. 19
Bugarin, C. 33, 34
Buldini, B. 33, 34, 35, 37, 40
Bulian, P. 39, 110
Buonocore, L. 76
Burnelli, R. 5, 36, 43, 44
Buttarelli, F.R. 19
Buzzaccarini, M.S. 104
Buzzi, A. 74
Buzzi, F. 111, 120
C
Cabria, M. 23
Caggiari, L. 36
Cagliostro, D. 121
Caito, G. 117
Calabrese, C. 75, 78, 79, 82
Calafiore, L. 70
Calandrino, M. 121
Caldarelli, M. 15
Caldrer, S. 21
Calvillo, M. 50, 57
Calzavara Pinton, S. 73
Cambieri, P. 62
Camera, F. 72
Campana, D. 21
Candela, M. 11
Canesi, M. 118, 123
Cangelosi, D. 22
Caniglia, M. 10, 53
Cannata, E. 53, 59, 66, 81, 82
Cannavò, A. 74
Cano, C. 5, 49, 51
Cantarini, E. 66
Cantarini, M.E. 6
Caporelli, N. 56
Cappelli, E. 103
Cappuzzello, C. 7
Cara, L. 48
Carai, A. 16, 19
Cardellicchio, S. 48, 79, 85, 87
Cario, G. 33
Cariolato, D. 113
Caroleo, P. 121
Carollo, M. 71
Carpino, L. 72
Carraro, E. 37, 39, 43, 45
Carraro, F. 58
Carriero, C. 114
Cartoni, C. 76
Caruana, I. 7, 13, 17
Caruso, A. 28, 32, 60
Caruso, R. 38, 46
Caruso, S. 5
Casagranda, S. 27, 36, 40, 100
Casale, F. 14, 33, 40, 70
Casanova, M. 29
| 136 |
Casazza, G. 20, 24
Casella, C. 5
Caselli, D. 43, 58, 59, 83
Casini, T. 44, 47, 48, 79
Castagnola, E. 18, 58, 59
Castegnaro, C. 74
Castellano, A. 20, 21, 86
Castelli, I. 34
Cattalini, M. 71
Cattivelli, K. 74
Cavagnini, S. 31, 73
Cavalcoli, A. 119
Cavaliere, M. 133
Cavallero, A. 27
Cavallo, L. 42
Cavezza, M. 45, 115
Caviglia, I. 50
Cazzaniga, G. 33, 34
Cecchetto, G. 16, 18, 22, 63
Cecchi, C. 48, 85, 87
Ceci, A. 50
Cecinati, V. 21, 86
Cefalo, M.G. 16, 19
Cellini, M. 24, 39, 49, 51, 58, 59
Centanni, M. 11
Cereda, C. 31
Ceresoli, R. 69, 83, 109, 132
Cesare, S. 65
Cesaro, S. 10, 20, 39, 58, 59, 86, 132
Cetica, V. 55
Chiarelli, F. 63
Chiaretti, A. 15
Chiereghin, A. 27
Chiocca, E. 47, 48
Chiodi Daelli, F. 111
Chiuri, R.M. 63
Ciambotti, B. 55
Ciccarese, M. 19
Ciceri, F. 111
Ciliberti, A. 75, 78, 79, 82
Cimino, C. 39
Cing Yu Wong, M. 18
Cirillo, T.R. 110
Cistaro, A. 90
Ciuffreda, A. 109
Civino, A. 44
Coassin, E. 9, 60, 110
Cocca, F. 38, 46
Coccia, P. 41, 56, 77
Cocciolo, A. 63
Coccoli, L. 24
Colafati, G.S. 19
Colecchia, A. 30
Collura, M. 71
Colombini, A. 14, 33, 36, 37, 38, 40, 58, 59, 91, 100
Colosimo, C. 15
Colpani, M. 29
Coluccia, P. 29
Comini, M. 32
Comoli, P. 36
Conforti, A. 12, 61
XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
Coniglio, M.L. 55
Consarino, C. 58, 59
Consolandi, C. 11
Conte, M. 16, 17, 18, 21, 22, 23, 86, 111
Conter, V. 14, 33, 36, 40, 91
Coppo, M. 64
Corciulo, N. 63
Corongiu, F. 48
Corrado, R. 111
Corti, P. 6
Cosmi, C. 50
Cotella, D. 12
Crocoli, A. 132
Cufari, P. 82, 122, 127
Curto, P. 121
D
D’Amico, G. 7
D’Amico, S. 12, 26, 36, 53, 66, 81, 86
d’Amore, E.S. 37, 39, 45
D’Angelo, G. 75, 79
D’Angelo, P. 16, 20, 21, 22, 25, 39, 54, 71, 80, 86
D’Ippolito, C. 31
Da Canal, A. 70
Dal Monte, F. 124
Dall’Igna, P. 18
Dallai, L. 132
Dander, E. 7
Daniele, R. 47, 117
Daniele, R.M. 41
Dardo, I. 115
Dati, E. 24
Davitto, M. 52
De Angelis, B. 13, 17
de Bellis, G. 11
De Bernardi, B. 24
De Cecco, V. 62, 132
De Giorgio, M.R. 19
De Giovanni, D. 75, 78, 79, 82
De Ioris, M.A. 24
De Leonardis, F. 16, 20, 21, 41, 42, 46, 47, 86
De Luna, E. 94
De Marco, E. 24
De Mariano, M. 17
De Masi, S. 58, 59
De Matteis, E. 19
De Matteo, A. 45
De Mitri, E.G. 121
De Paoli, A. 9
De Pasquale, M.D. 16
De Re, V. 36
De Rocco, D. 103
De Rooij, J.D.E. 8
De Santis, R. 39, 59, 75, 78, 79, 82
De Simone, G. 78
De Tina, A. 113
De Vito, R. 13, 17, 45
De Zorzi, M. 36
Debiasi, M. 110
Decembrino, N. 62
Decorti, G. 37, 38
Defferrari, R. 17, 21, 86
Del Baldo, G. 41, 56, 77
Del Bufalo, F. 7
Del Prete, A. 7
Del Vecchio, G. 50
Del Vecchio, M. 42
Dell’Acqua, F. 14, 36, 100
Dell’Anna, A. 75, 78, 79, 82
Della Ducata M. 118
Della Pasqua, O. 50
Della Valle, A. 29
Delle Fave, A. 74
Derosas, L. 122
Di Benedetto, V. 82
Di Carlo, D. 22
Di Carlo, P. 76
Di Cataldo, A. 6, 20, 21, 26, 53, 59, 66, 67, 81, 82, 86
Di Duca, M. 32
Di Liddo, L. 117
Di Marco, F. 25, 54, 71, 80
Di Martino, D. 32
Di Martino, M. 70
Di Nicolò, A. 66
Di Palma, A. 64
Di Pinto, D. 70
Di Tullio, E. 112
Dianzani, I. 12
Dickmann, A. 15
Disarò, S. 37
Dominici, M. 21
Donati, C. 29
Donnici, E. 119
Dotti, G. 7
Drovandi, L. 79, 85
Dufour, C. 6, 42, 50, 52, 103
Dworzak, M. 34
E
Elia, C. 9, 36, 43, 110
Errani, S. 114
Esposito, M.R. 17
Eva, A. 22
F
Fabbro, P. 110
Fabrizio, F. 121
Facchini, E. 66
Fagioli, F. 35, 39, 58, 61, 64, 92, 94
Fagnani, A.M. 21
Faienza, M.F. 42
Falcone, M.P. 75, 78, 79, 82
Falcone, V. 71, 80
Faletto, S. 70
Falsini, B. 15
Faraci, M. 10, 32, 42
Farimbella, S. 73
Farina, E. 132
Farina, P. 119
Farruggia, P. 6, 43, 44, 52, 54
Fatuzzo, V. 66
| 137 |
Indice degli autori
Favale, A.R. 121, 132
Favara Scacco, C. 67
Favre, C. 24, 47, 48, 55, 79, 83, 85, 87
Favretto, D. 37, 38
Federici, M. 15
Ferrante, M. 110, 118
Ferrari, A. 22
Ferrari, C. 41
Ferrari, E. 73
Ferrari, G.M. 36, 100
Ferrari, M. 63
Ferraro, F. 54, 80
Ferraro, S. 19, 70
Ferremi, P. 31, 73
Ferretti, E. 16, 19
Ferro, F. 52
Ferruzzi, V. 53
Festi, D. 30
Filippi, L. 85
Filosa, A. 50
Finocchi, A. 72
Fioredda, F. 6, 42, 50, 52
Fiori, J. 11
Foà, R. 76
Foglia, M. 75, 78, 79, 82
Foletti, L. 55
Follenzi, A. 12
Folsi, V. 31
Franca, R. 37, 38
Franceschetto, L. 110
Franchin, G. 9
Fraschini, D. 5
Frenos, S. 83
Frizziero, M.L. 50
Frulio, E. 114
Fuso Nerini, I. 36
G
Gabrielli, L. 27
Gaeta, F. 122
Gaidolfi, M. 110, 118
Gaipa, G. 34
Galbiati, M. 33
Galleni, B. 20
Galli Resta, L. 15
Galli, L. 43
Gambineri, E. 47, 83
Gandolfo, C. 24
Garaventa, A. 10, 18, 20, 21, 23, 39, 43
Garelli, E. 12
Gaspari, S. 38, 46
Gavezzotti, M. 111
Gazzola, M.V. 10
Gentile, G. 121
Gerli, F. 72
Gervasi, F. 54
Geuna, T. 58, 61
Ghezzi, R. 110
Ghilardi, R. 52
Giacchino, M. 58, 132
Gialli, M. 112, 120, 124
| 138 |
Giancotti, L. 51
Giangaspero, F. 16, 19
Giannini, G. 19
Giardino, S. 32, 42
Gibertoni, D. 27
Gigante, M. 9, 110
Gigli, F. 76
Giglio, F. 111
Gigliotti, A.R. 17, 21, 24, 86
Giona, F. 76
Giordano, P. 42, 49, 74, 97
Giraldi, E. 43
Girardi, K. 38, 46, 47
Gironi, R. 120
Gobbi, S. 41, 56, 77
Golinelli, G. 21
Gorello, P. 53
Gotti, R. 11
Granata, C. 23
Grassi, M. 49
Gregorini, G. 71
Greve, B. 82, 122, 127
Grillenzoni, V. 132
Grisendi, G. 21
Guarisco, S. 29, 31, 32, 60, 74
Guerzoni, M.E. 49, 51
Guglielmetti, L. 70
Guglielmi, G. 15
Gustincich, S. 12
H
Haupt, R. 5, 111
Hoyos, V. 7
I
Iaccarino, E. 78
Iaria, G. 55, 82, 122, 127
Iero, A. 82, 122, 127
Imparato, N. 65
Indio, V. 34
Indolfi, P. 16
Ingrosso, M. 69
Inserra, A. 16
Iolascon, A. 98
Italia, S. 67
Ittmann, M.M. 7
Iughetti, L. 49, 51
Ivaldi, G. 57
Izraeli, S. 34
Izzo, M. 22
J
Jankovic, M. 5
Juli, G. 12
K
Kim, E.S. 7
Kiren, V. 80
Kleinschmidt, K. 30
Koronica, R. 47, 117
Kulozik, A. 33
XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
L
La Spina, M. 26, 53, 58, 59, 66, 67, 81, 82, 86
Ladogana, S. 52, 75, 78, 79, 82
Lanfranchi, A. 28, 29, 31, 32, 60
Lanino, E. 32, 42
Lanza, T. 50, 52
Lapi, E. 55
Lassandro, G. 74, 97
Laurieri, C. 16
Lazzareschi, I. 15
Lazzarin, P. 123
Lazzarotto, T. 27
Lazzeroni, P. 84, 87
Leone, D. 57
Leoni, L. 84, 87
Leuzzo, C. 122, 127
Levrero, M. 16
Licciardello, M. 53
Liu, H. 7
Lo Nigro, L. 14, 26, 33, 36, 37, 39, 40, 53, 66, 67, 81,
82, 86
Lo Re, V. 67
Lo Valvo, L. 6
Locatelli, F. 8, 12, 13, 14, 16, 17, 19, 33, 34, 35, 39, 40,
47, 61, 72
Lodi, M. 49, 51
Lombardi, A. 39, 43
Longo, A. 65
Loreni, F. 12
Lorenzi, I. 10
Lotti, F. 75, 78, 79, 82
Lougaris, V. 71
Lovisa, F. 37, 45
Luciani, M. 39, 49
Ludwig, K. 20
Luksch, R. 20, 29
Luria, D. 34
Luti, L. 24
Luzzatto, C. 63
M
Macaluso, A. 6, 25, 52
Macchi, S. 110, 117, 118
Macrì, S. 12
Maffeis, M. 31
Maggio, A. 50, 75, 78, 79, 82
Maglia, O. 34
Mameli, L. 122
Manara, E. 35
Mandaglio, R. 52
Mandese, A. 36, 37, 38
Manfredini, L. 122
Mangiarini, L. 50
Manni, L. 15
Manzitti, C. 17, 18, 20, 22, 23
Marabini, C. 41, 56, 77
Marasco, G. 30
Marcello, A. 54
Marchesi, S. 51
Marchetti, D. 7
Marconi, E. 67
Mardari, R. 77
Mariano, L.V. 121
Marina, M. 111
Marino, I. 55
Marino, S. 59, 86
Mariotti, I. 49, 51
Marone, P. 62
Marra, N. 52, 78
Marra, R. 110
Marras, C.E. 16
Martelli, M.F. 10
Martina, L. 36
Martini, G. 74
Martino, B. 122
Martire, B. 6, 52
Martucciello, G. 18, 23
Maruzzi, M. 75, 78, 79, 82
Mascarin, M. 9, 36, 43, 44, 60, 62, 110
Mascolo, G. 72
Masetti, R. 8, 11, 30, 34, 35, 39
Masini, E. 47
Massimino, M. 29
Mastrangelo, S. 86
Mastronuzzi, A. 16, 19, 46
Mattioli, G. 18, 23
Mauro, S. 19
Mazza, C. 73
Mazza, G.A. 51
Mazzocco, K. 17, 21, 86
Mazzocco, M. 44
Mazzucconi, M.G. 74
Meazza, C. 29, 58
Mecucci, C. 53
Meini, A. 71
Mejstrikova, E. 34
Melchionda, F. 16
Meli, C. 26
Melino, R.M. 75, 78, 82
Meneghello, L. 18, 64
Menna, G. 39, 56, 78
Merenda, N. 41
Merli, S. 84, 87
Meshinchi, S. 8
Messina, C. 10, 40
Messina, R. 16
Mesto, R. 117
Miano, L. 66
Miano, M. 42, 50, 57
Micalizzi, C. 10, 14, 33, 40, 42, 50, 56
Miccoli, G. 121
Micheli, R. 31
Miele, E. 16, 19
Miglionico, L. 75, 78, 79, 82
Migliorino, G. 27
Milanaccio, C. 10
Milano, G. 13, 17, 22
Milanovic, M. 120
Miligi, L. 5
Milite, P. 78
Miniero, R. 51
Miraglia, V. 53, 66
| 139 |
Indice degli autori
Moleti, M.L. 44, 76
Molinari, A.C. 49
Montalto, M. 76
Moratto, D. 73
Morieri, L. 65
Morini, M. 17, 22
Moroni, I. 6
Morosi, C. 29
Morotti, F. 10
Morreale, G. 32, 42
Morsellino, V. 5
Mosa, C. 25, 54, 71, 80
Moscheo, C. 20
Moser, C. 120
Motta, M. 53
Muckenthaler, M. 33
Muggeo, P. 41, 42, 46, 47
Muggeo, P.E. 58, 59
Mura, R. 5, 39, 44, 48, 58, 59, 74
Muratore, M. 121
Mussolin, L. 36, 37, 39, 43, 45
Musto, A. 65, 72
Musumeci, A. 82
Muzzi, A. 62
N
Nantron, M. 18, 21, 23, 86
Nappi, S. 65
Nardi, M. 39
Naselli, A. 18
Naselli, F. 111
Nastasi, C. 11
Negri, L. 74
Neri, F. 84, 87
Nesi, F. 58
Nocerino, A. 60, 80
Nodari, F. 73
Notarangelo, L. 28, 31, 52, 73, 74
Novielli, C. 42, 46, 117
Nulchis, G. 111
O
Olgasi, C. 12
Olianti, C. 79
Olivieri, I. 50
Ongaro, G. 71
Onofrillo, D. 52
Orlando, D. 13, 17
Orofino, M.G. 58, 59
P
Pagani, M. 62
Paganin, M. 33
Pagliara, D. 13, 17
Palazzi, G. 49, 51
Palma, L. 19, 69
Palmentieri, B. 45
Palmi, C. 33, 34
Palmisani, E. 6, 42, 50, 57
Palomba, L. 122
Palumbo, G. 5, 12
| 140 |
Palumbo, M. 65
Pane, E.E. 104
Paoletti, S. 65
Paoli, F. 132
Paolucci, P. 21, 49, 51
Papale, M. 66
Parasole, R. 5, 14, 33, 40, 45, 56, 115
Paratella, A. 18
Parenti, G. 56
Parolini, S. 73
Parrella, S. 12
Passone, E. 60, 80
Pasut, E. 113
Paternò, S. 82
Paturzo, M.G. 70
Pavesi, E. 12
Peano, C. 11
Pedrelli, L. 51
Peirolo, C. 58, 61, 89, 99
Pellegriti, G. 59
Pennica, M. 47
Perillo, T. 41, 46, 47
Perri, K. 50
Perrone, A.L. 47, 48, 79
Perruccio, K. 10, 39, 43, 58, 59
Pessano, S. 5
Pession, A. 5, 8, 11, 14, 27, 30, 33, 34, 35, 40
Petit, N. 76
Petrachi, T. 21
Petris, M.G. 40
Petrone, A. 63
Petroni, V. 41, 56, 77
Petruzziello, F. 33, 36, 45, 56, 65, 72, 115
Pettoello-Mantovani, M. 75, 78, 79, 82
Peyvandi, F. 74
Pezzolo, A. 86
Pezzulla, A. 66, 82
Piazzalunga, A. 120
Piazzalunga, M. 123
Picazio, S. 70
Piccardi, M. 15
Piccardo, A. 23
Piccirilli, G. 27
Pierani, P. 20, 21, 41, 43, 56, 77, 86
Pigazzi, M. 8, 34, 35
Piglione, M. 39, 43, 61
Pillon, M. 5, 6, 37, 39, 40, 43, 44, 45, 52, 63, 77
Pilotto, C. 60, 80
Pinelli, L. 31
Pinto, A. 65
Pinto, R.M. 6
Pio, L. 18, 23
Pirisi, P. 72
Pitisci, A. 12, 61
Piva, L. 16
Plebani, A. 71
Po, A. 16, 19
Podda, M. 21, 24, 29, 86
Poggi, V. 78
Pomari, E. 45
Porretti, L. 52
XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015
Porta, F. 20, 28, 29, 31, 32, 39, 60, 69, 73, 74, 83, 109
Pota, E. 5, 20, 70
Prapa, M. 21
Prete, A. 11, 20, 27, 30
Previtali, D. 120
Primerano, S. 43
Procino, E. 65, 72
Protopapa, M.A. 121
Provenzi, M. 20, 112, 120, 124
Puccio, G. 6, 52
Puma, N. 29
Putti, M.C. 14, 33, 35, 39, 40, 49, 50, 63, 77
Q
Quagliarella, A. 14
Quarello, P. 12, 39, 92, 94
Quaresmini, G. 73
Quartuccio, C. 122
Quintarelli, C. 13, 17
R
Rabusin, M. 37, 38, 80
Raggi, F. 22
Ramenghi, U. 12, 52
Rampelli, S. 11
Ranieri, A. 121, 122
Recordati, C. 7
Ribilotta, A. 66
Riccardi, R. 15, 117
Ricci, F. 31, 64, 73
Ricciardi, L. 45, 65
Riceputi, L. 10
Ripaldi, M. 78
Rizzari, C. 14, 33, 35, 36, 39, 40, 100
Rizzo, D. 15
Robazza, M. 60, 80
Robustelli, G. 52
Roccati, B. 119
Roccia, E. 58, 61
Rochira, I. 29
Rocino, A. 74
Rolandi, S. 111
Rombi, B. 64
Ronco, F. 55, 82, 122, 127
Rondalli, L. 117
Rondelli, R. 5, 35, 44, 58
Rosati, U. 18
Rossi, E. 5
Rossi, F. 64
Rossi, P. 12
Rosso, S. 62
Rostagno, E. 132
Rotilio, D. 122
Rotiroti, M.C. 13
Rovelli, A. 27, 102
Rubini, G. 41
Ruggiero, A. 15
Ruotolo, S. 21
Russo, D. 25, 54, 80
Russo, G. 5, 6, 26, 52, 53, 59, 66, 67, 81, 82, 86
Rutigliano, C. 117
S
Sacerdote, C. 5
Sagar, V. 12
Sainati, L. 40
Sala, A. 36, 39, 43, 44
Sala, S. 34
Salerni, A. 15
Salgarello, M.C. 133
Samperi, P. 53, 59, 66, 81, 82
Sanseviero, M. 51
Santangelo, B. 75, 78, 79, 82
Santangelo, G. 54
Santoro, C. 12, 74
Santoro, N. 5, 14, 33, 39, 40, 41, 42, 46, 47, 117
Sanvito, C. 83
Sapuppo, G. 59
Saracco, P. 49, 132
Sarno, J. 34
Satta, S. 48
Saverino, S. 110
Savina, F. 84, 87
Savino, A.M. 33, 34
Savoia, A. 103
Savoldo, B. 7
Scagnellato, A. 22
Scalisi, R. 66
Scarponi, D. 66, 67
Scarzello, G. 22, 104
Schiavello, E. 29
Schrappe, M. 33
Schumacher, F. 31, 32
Scordo, L. 66
Screpanti, I. 16, 19
Scuderi, M.G. 82
Sementa, A.R. 17, 23, 86
Sepe, G. 45
Sergi, L. 132
Serra, A. 19
Severgnini, M. 11
Shan, J. 103
Sibilio, M. 56
Sieni, E. 48, 55, 83, 87
Silvestri, D. 14, 33, 36, 40
Siracusa, F. 16
Soligo, M. 15
Soliman, C. 111, 120
Soloni, P. 84
Soncini, E. 28, 31, 32, 60, 73
Soresina, A. 60, 71
Sorrentino, S. 17, 24
Sottilotta, G. 74
Sozzani, S. 7
Spadaro, A. 59
Spano, C. 21
Spedicato, P. 121
Sperlì, D. 72
Spina, M. 110
Spirito, A. 75, 78, 79, 82
Spreafico, F. 16
Squassabia, L. 71
Stancampiano, M. 80
| 141 |
Indice degli autori
Stanulla, M. 33
Starc, N. 12, 61
Stocco, G. 37, 38
Stranieri, L. 121
Strini, V. 123
Strocchio, L. 19, 38, 46
Suffia, C. 24
Svahn, J. 42, 50, 56
T
Talmon, M. 12
Tamburini, A. 48, 85, 87, 105
te Kronnie, G. 33, 34
Tedesco, G. 72
Terenziani, M. 5, 16, 44
Terraneo, F. 31
Terranova, P. 32, 50
Testi, A.M. 14, 33, 40, 76
Tettamanti, S. 13
Tilotta, F. 63
Timelli, L. 15
Tintori, V. 83
Tirtei, E. 21, 86
Todesco, A. 36, 40, 44
Toffolutti, T. 63
Togni, B. 112
Togni, M. 8, 34
Tomao, L. 12, 61
Tondo, A. 20, 39, 43, 45, 47, 48, 79, 85, 86
Topini, F. 10
Tornesello, A. 6, 16, 19, 69
Tosti, A. 10
Tregnago, C. 35
Trevisan, N. 133
Triglia, G.E. 110
Trizzino, A. 5, 25, 54, 71, 80
Tropia, S. 25, 54
Truccolo, I. 110
Tucci, F. 52, 58, 79, 85
Tumino, M. 40
Turroni, S. 11
V
Vacca, A. 19
Vaccarono, E. 70
Vagliano, L. 134
Valente, S. 16
Valentini, M.F. 110
Valentino, L. 121
Valletta, L. 69
| 142 |
Valsecchi, D. 118
Valsecchi, M.G. 5, 14, 33, 36, 40
van den Heuvel-Eibrink, M.M. 8
Varani, L. 13
Varesio, L. 22, 86
Varotto, E. 40, 77
Varotto, S. 6, 40
Vassallo, E. 58
Vasta, I. 19, 63
Vecchi, R. 65
Vedovetto, A. 123
Velardi, A. 10
Veltroni, M. 48, 83, 85
Vennarini, S. 64
Venturelli, D. 49, 51
Verardo, C. 111
Vercellati, C. 54
Verlato, G. 77
Verna, M. 27
Verzegnassi, F. 5, 80
Vetrella, S. 20, 86
Vianello, O. 111
Viano, A. 49
Villanova, S. 32, 60
Villavecchia, G. 23
Vinci, P. 7
Vinti, A. 43
Vinti, L. 36, 37, 38, 43, 45, 46
Viscardi, E. 20, 21, 77, 86
Vizzuso, S. 24
Voltolini, L. 47
W
Weber, G. 7
Z
Zallocco, F. 41
Zama, D. 11
Zanazzo, G. 20, 44, 58, 59, 86, 132
Zani, M. 19
Zecca, M. 62
Ziino, O. 14, 25, 33, 40, 58, 80
Zimmermann, M. 8, 33
Zin, A. 20
Zucchelli, S. 12
Zucchetti, G. 58, 61, 64, 92
Zucchetti, M. 36
Zucchi, M. 28, 32, 60
Zwaan, M. 8