dalla parte dei bambini: fiabe per genitori che si separano
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dalla parte dei bambini: fiabe per genitori che si separano
DALLA PARTE DEI BAMBINI: FIABE PER GENITORI CHE SI SEPARANO di Vincenzo Luca Carrera “Il diritto riflette, ma non determina affatto il valore morale di una società. I valori di una società sufficientemente giusta si rifletteranno in un diritto sufficientemente giusto. Tanto migliore è la società, tanto meno diritto vi sarà. In Paradiso non vi sarà diritto ed il leone starà accanto all’agnello. I valori di una società ingiusta si rifletteranno in un diritto ingiusto. Tanto peggiore sarà la società, tanto più diritto vi sarà. Nell’Inferno non vi sarà altro che diritto e le garanzie processuali verranno osservate meticolosamente” Oliver Wendell Holmes, The Common Law, Boston, Little, Brown and Co., 1923, p.36 1 Introduzione Può accadere che i coniugi, interrogati su come pensano che i figli vivano la loro separazione, proiettino su di essi le loro emozioni. Anche i genitori più attenti sono convinti che, in fondo, i bambini la pensano come loro: per esempio che siano certi, come lo è la mamma, che il papà ha chiesto la separazione per un improvviso colpo di follia, mentre il papà a sua volta è sicuro che i piccoli siano sollevati che le liti in famiglia sono terminate. Oppure ritengono che per i bambini vedere insieme i genitori significhi un ritorno alla normalità, mentre questa interpretazione esiste solo nella testa di chi ha subito maggiormente la decisione di sciogliere il vincolo matrimoniale1. La decisione di separarsi costituisce, quasi sempre, l'epilogo di un periodo di sofferenze ed insofferenze che si sono sommate nel tempo. Il progetto condiviso dalla coppia si sgretola lasciando delusione, rabbia ed un dolore che ciascun genitore cerca di curare come meglio può. In questa situazione i genitori corrono il rischio di ignorare, di trascurare o anche semplicemente di sottovalutare ciò che provano i figli. Nella maggior parte dei casi il pensiero di un bambino, nel momento in cui i genitori gli comunicano di volersi separare - eccezion fatta per casi particolari di violenza ed abuso - è quello rappresentato da Beatrice Masini e Monica Zani nel loro libro: “Io non mi separo”2. “Io non mi separo!”: si tratta della logica affermazione che potrebbe essere esternata da un bambino, figlio di genitori che hanno deciso di separarsi, il cui mondo viene sconvolto da questa notizia. Ecco che si rende necessario, allora, prestare una particolare attenzione alle sue emozioni, ai suoi pensieri ed alle sue paure. Uno dei temi più complessi da affrontare è proprio quello del “come” dare la notizia della separazione: “La mamma mi ha detto che lei e il papà hanno deciso di separarsi…Il papà ha detto – con riferimento al fatto che cambierà casa - che non possiamo andare anche io e la mamma, che non è un trasloco: è una separazione. Lui e la mamma si separano. Ecco, l’avevano detto tutti e due. Erano pari”3. Il linguaggio utilizzato dalla Masini, semplice e diretto, suggerisce un modo – che non è ovviamente l'unico né necessariamente quello giusto per tutte le situazioni - per dire la separazione e ipotizza alcune di quelle che potrebbero essere le risposte e le obiezioni avanzate dal bambino che questa notizia riceve. Si tratta di una “storia” anche (e soprattutto) per i grandi, di un racconto che può aiutare i genitori ad integrare se non addirittura capovolgere il proprio punto di vista rispetto alla separazione che coinvolge tutta la famiglia e non solo la coppia, accompagnandoli nel territorio emozionale di un bambino che potrebbe essere loro figlio. La lettura di questo testo fornisce un utile strumento per i genitori che, pur senza delegare alla storia narrata il difficile compito di trovare le parole per comunicare “una” separazione, ne possono trarre un utile spunto per cogliere quelle reazioni ed interazioni - che in essa vengono 1 2 3 D. Ovadia, I divorziati, da Mente & cervello, ottobre 2008, n. 46, VI, p. 82-83. B. Masini, M. Zani, Io non mi separo, Carthusia, 2011. B. Masini, M. Zani, Io non mi separo, cit. pp. 3-4 2 descritte – le quali, per la criticità della situazione vissuta, corrono il rischio di non essere “lette” nei propri figli. Questo libro può rappresentare l'utile punto di partenza per indagare lo stato d'animo del bambino e capirne gli interrogativi e le ansie. Una volta presa coscienza dei temi da trattare che, come già detto, devono essere affrontati caso per caso e nel rispetto di quelle che sono le specifiche esigenze del figlio, possono venire in soccorso le fiabe. Proprio attraverso una scelta mirata della “storia” da raccontare, selezionata con cura, tenendo ben presente l’età, il carattere, le inclinazioni ed i palesati timori del bambino, mamma e/o papà, con la lettura ripetuta della fiaba, aiutano loro figlio ad elaborare il proprio dolore, le proprie paure ed ansie collegate a questo delicato momento. L’obiettivo è quello di trovare una modalità utile per far esternare i propri sentimenti oltre che per aprire una nuova finestra di dialogo ed avviare un “confronto” con gli adulti sul tema della separazione. L’obiettivo, ambizioso ma non irraggiungibile, è quello di trovare, insieme, il modo per raggiungere un nuovo equilibrio dei rapporti anche laddove sembrerebbe impossibile. I. La separazione La famiglia può assumere connotazioni molto diverse, in quanto tende ad adattarsi alle condizioni di vita, alle esigenze di lavoro e di sopravvivenza dei singoli individui e delle comunità e risente delle culture di appartenenza. I bambini, dal canto loro, sono inclini ad accettare quel che trovano: per loro va bene la famiglia in cui nascono, purchè abbia alcune prerogative irrinunciabili. In famiglia devono poter trovare ciò di cui hanno bisogno: affetto, rispetto dei tempi di sviluppo e di loro stessi come individui, disponibilità e responsabilità degli adulti, stabilità, sostegno della crescita, autenticità nei rapporti. A traumatizzarli sono i cambiamenti improvvisi, le perdite delle figure di attaccamento, le liti ripetute e croniche, l’indifferenza, il caos educativo, l’assenza di linee di condotta, la solitudine, l’abbandono. Sono pochi i figli che desiderano la separazione dei genitori. Ciò accade soltanto quando le violenze e i litigi sono continui o eclatanti e i figli abbastanza grandi da capire che non c’è altra via d’uscita. In casi del genere, possono essere loro stessi a suggerire ai genitori di separarsi. In tutti gli altri casi, i figli subiscono la scelta dei grandi, l’assenza del genitore lontano e, se le ostilità continuano, possono soffrire, vivere sentimenti d’ansia, di colpa, di vergogna, fare tentativi per rimettere insieme papà e mamma, cercare di proteggerli, di risolvere i loro problemi… Tutto ciò a spese della spensieratezza, dei giochi, dello studio4. Se per i più fortunati l’esperienza del divorzio dei genitori è un evento transitorio, assimilabile e superabile nel giro di uno o due anni, per altri invece è un’esperienza “cumulativa”: l’impatto non si esaurisce ma continua inalterato nel tempo. Quando si verifica questa eventualità, si possono individuare almeno tre fasi critiche. Una prima fase coincide con la notizia della rottura. 4 A. Oliverio Ferraris, Dire il divorzio, da Psicologia, settembre-ottobre 2001, n. 167, p. 32 3 Generalmente i figli vivono forti emozioni, che vanno dallo stupore alla paura, dalla rabbia alla tristezza o alla vergogna. Il che non significa che, insieme a questi sentimenti, non ci possa essere un senso di liberazione; ciò accade più facilmente quando la notizia arriva dopo un periodo di ostilità o di maltrattamenti. Per superare lo stress, un figlio deve poter esprimere liberamente i propri sentimenti, parlare delle proprie preoccupazioni e trovare comprensione, supporto e rassicurazione. Non sempre però i genitori sono in grado di aiutare, soprattutto se essi stessi sono sotto shock. Si entra in una seconda fase quando il post-divorzio incomincia a prendere forma. In alcuni momenti la casa può sembrare vuota. In altri ci si sente soli, trascurati. I rapporti con i fratelli si trasformano. In casa possono entrare i compagni di mamma o di papà. Ogni novità richiede un adattamento. Un figlio può diventare l’amico e il confidente del genitore con cui vive, oppure sentirsi ostaggio di un legame soffocante o di presenze non gradite e ribellarsi. La terza fase comincia quando i figli cominciano a fare i conti con i propri progetti sentimentali e può prolungarsi molto a lungo. In molte famiglie divorziate l’adolescenza è anticipata. I figli cercano di colmare le carenze affettive con un legame amicale, sentimentale o sessuale. Qualche volta il compenso affettivo lo vanno a cercare nell’alcol o nella droga. Può anche accadere che una figlia adolescente il cui padre ha lasciato la famiglia per una donna, cerchi una relazione con un uomo molto più anziano di lei. Un ragazzo può vivere con fastidio la sessualità dei propri genitori con altri partner in una fase in cui deve ancora orientarsi sulla propria e non ha ancora vissuto un rapporto amoroso. Per alcuni il disagio maggiore può arrivare in età adulta, quando vanno alla ricerca di legami sentimentali e rapporti stabili. Non avendo interiorizzato una immagine positiva dei rapporti amorosi, mancando di buoni modelli di riferimento, possono trovarsi impreparati ad una relazione sentimentale, avere paura dei conflitti, essere troppo possessivi, continuamente preoccupati di perdere ciò che hanno conquistato, incapaci di mostrare affetto o di esprimerlo in modo accettabile. Le dinamiche del post-divorzio, ossia le esigenze dei figli nel corso del tempo, non soltanto nell’infanzia, ma anche nell’adolescenza e in età adulta, emergono nella loro complessità. Questo quadro deve essere tenuto presente da quei genitori che si trovano ad affrontare una separazione e da tutti coloro che, attraverso azioni legali, intervengono nella vita dei figli e intrudono nella loro intimità5. Le persone che si separano devono continuare ad occuparsi di tutti quegli aspetti che restano in comune dopo una separazione – abitazione, beni, amicizie, spazi, oggetti – e soprattutto, pur cessando di essere una coppia di coniugi, in molti casi devono poter continuare ad assolvere le funzioni di coppia di genitori. 5 A.Oliverio Ferrarsi, L’eredità del divorzio,in Psicologia, novembre-dicembre 2004, n. 186, pp. 8-9. 4 Il tracciato che la coppia separata segue inizialmente può comprendere una mera richiesta di sostegno che spesso si traduce, in seguito, in una completa delega, e dunque la gestione autorizzata da parte di un contesto altamente formalizzato. Avvocati, giudici, assistenti sociali e periti legali, rispondendo alla richiesta di affido più o meno consapevole o esplicita posta dalla coppia, vengono così a occuparsi degli aspetti pragmatici, economici, logistici e organizzativi, con conseguenze che vanno inevitabilmente ad incidere sulle questioni di valore affettivo: prima su tutte, la gestione dei figli. Così gli ex coniugi si pongono e vengono posti, molto presto, nella seducente condizione di comodo di rinunciare a occuparsi di ciò che li riguarda, di lasciare che altri decidano piuttosto che decidersi, di lasciare che classifichino, orientino, scelgano, a non occuparsi di ciò che li riguarda. In questi frangenti la posizione dei figli assume caratteristiche di estrema complessità. Oltre alle conseguenze dei cambiamenti che subiscono in quanto figli di genitori separati, sperimentano spesso situazioni di triangolazione doppia da parte dei genitori: “O sei con me o sei contro di me”. Ma in questa guerra che, ancora minorenni, si trovano a combattere, il nemico non è il legale divorzista, ma è mamma o papà. Altre coppie presentano modalità diverse di affrontare la separazione: lui e lei possono arrivare ad avere un rapporto molto civile, rinunciando a comunicare, se non per lo stretto necessario e con frasi monosillabiche. Nell’intento di non far soffrire troppo i figli, riescono a confezionare e a mantenere per anni un atteggiamento pacifico, evitando scrupolosamente percorsi conflittuali o strade che portino ad accedere a qualsiasi livello emotivo. A volte questa modalità interattiva, chiamata “congelamento”, può risultare utile, intervenendo a sostituire una relazione satura di contrasti o violenze; altre volte viene a confermare modalità di congelamento già collaudate in passato dalla coppia. Sicuramente il congelamento è, fra tutti, il tipo di atteggiamento che riceve più consensi nella società; viene approvato ed incoraggiato perché formalmente utile al benessere dei figli, poco oneroso nelle spese giudiziarie, visibilmente e sensibilmente più tollerabile rispetto alle famiglie che si separano tra mille litigi. Questo modo di relazionarsi può però tradursi in un blocco delle interazioni e condurre ad un soffocamento di tutti gli aspetti più veri della separazione. In questo caso la posizione dei figli è quella di ritrovarsi a vivere nell’ambiguità dei messaggi. Pur avendo la percezione dello stato di sofferenza in cui versano i genitori, non possono condividerne il contenuto ma celarlo, mantenendo il clima congelato. In un contesto simile, avvertendo confusione e smarrimento, arrivano a nascondere anche i propri stati emotivi. Aderendo al sistema, partecipano al congelamento adeguandosi: smettono di fare domande, assumono un comportamento simile a quello di un adulto, si mostrano responsabili e civili e si impegnano nel mantenere un rapporto sereno con entrambi i genitori, ricevendo in cambio approvazione ed incoraggiamenti per la maturità dimostrata. D’altro canto i 5 genitori, constatando nei figli questo apparente equilibrio, verranno dunque rassicurati sul fatto che essi non stiano soffrendo e confermati nella loro modalità interattiva congelata. Pensare l’altro come genitore aiuta a gestire i sensi di colpa per avere scelto di separarsi. Serve a fare chiarezza e a distinguere tra l’opinione negativa che si arriva ad avere per l’ex coniuge da quella eventualmente positiva che si può mantenere. Questo atteggiamento contribuisce alla nascita della volontà di cercare un compromesso con le esigenze dell’altro, anche quando questo nuovo equilibrio può essere conquistato solo passando attraverso inevitabili liti e controversie; serve a non scoraggiarsi se intervengono disaccordi nella gestione della genitorialità. Essere figlio di due genitori separati che hanno imparato a collaborare è qualcosa che può insegnare molto: restituisce loro la stima, veicola un messaggio di maturità. I figli possono essere liberi di tornare al loro ruolo di figli senza dover partecipare a nessuna disputa con i genitori e senza sentirsi responsabili, sconfitti o arrabbiati nel caso mamma e papà continuino a litigare. Perché se proprio i bambini devono essere arrabbiati o delusi, che lo siano per tutto ciò che riguarda i loro problemi, la loro età, ciò che li compete.6 Esporre noi stessi, spiegare noi stessi, i nostri bisogni, le nostre paure, i nostri limiti alle persone cui teniamo è sempre cosa utile. Ma diventa indispensabile per una coppia, soprattutto quando vuole essere una coppia genitoriale. Il dià-logos è, appunto, lo spiegare se stessi all’altro per mezzo di parole7. II. Comunicare la separazione Il conflitto, come si è accennato, è una situazione relazionale che mette in gioco sentimenti forti ma frequentemente richiede anche interventi, decisioni, scelte, imponendo una gestione in termini prettamente “razionali” del problema; però, quando è esclusivamente su queste ultime che si basano tentativi operati dalle parti e/o dai terzi di superamento del conflitto, ne discende spesso un forte senso di solitudine in capo alle persone coinvolte, bloccate entro ruoli rigidi e spersonalizzanti, logorate dall’isolamento, dalla difficoltà di riconoscere ed esprimere le proprie contrastanti emozioni, ma anche dalla paura di perdere posizioni nella contesa in corso: infatti, in un’escalation di ostilità, l’altro diventa progressivamente un nemico, persecutore, incarnazione di tutti i mali possibili e soprattutto della sofferenza generata dal conflitto, mentre quest’ultimo può divenire una partita, una sfida, da cui uscire come trionfatori o vinti. E la conclusione della vicenda, se avviene in questi termini, acuisce la distanza tra le parti. Ne derivano amarezze, associate ad un senso di sconfitta, che si collega al mancato riconoscimento – non tanto e non solo della propria istanza, 6 7 L. Fabi, Tra moglie e marito, in “Mente & Cervello”, Febbraio 2010, n. 62, Anno VIII, pp.57-61; A. Martone, La tutela del minore, Forlì, Esperta S.p.A., 2007, p. 3. 6 quanto di sé -, alla sensazione di non avere voce, di non avere le parole giuste, i bisogni adatti, le emozioni corrette. E non soltanto la solitudine del perdente può essere crudele, poiché non è detto che ne sia immune anche il “vincitore”, che raramente esce trionfante dalla contesa: potrebbe per esempio scoprire che assistere alla sofferenza dell’altro non reca soddisfazione e ritrovarsi a sua volta con un oscuro senso d’irrisolto; potrebbe rendersi conto, più o meno consapevolmente, che le proprie ragioni sono state accolte, ma non comprese; ha vinto la disputa, ma forse ha perduto la relazione e la possibilità stessa di dar voce alle proprie motivazioni più intime, personali, umane. Quali che siano i fattori all’origine delle vicende conflittuali, loro denominatore comune è la difficoltà di comunicare e di ascoltarsi, cioè di ascoltare se stessi e di ascoltare l’altro e il dialogo subisce delle alterazioni, la comunicazione risulta distorta e il ripristino della comprensione reciproca e della serenità comporta sforzi notevoli, potendo anche tali tentativi di riparazione essere vissuti da ciascuna delle parti come manifestazioni di resa o come segno di debolezza o addirittura come possibili trappole8. Inevitabili ripercussioni, rispetto ad una comunicazione alterata tra i genitori, ricadono anche sui figli che, incolpevoli ma comunque al centro del conflitto, si vedono destinatari di messaggi distorti, contraddittori ed incoerenti; la confusione alimenta il conflitto ed in pari tempo il bambino non capisce più chi ascoltare ritrovandosi a dover dare ragione a volte all'uno ed a volte all'altro genitore. La comunicazione, nella sua accezione più ampia, è il termine impiegato sul piano biologico, ecologico, etologico e umano per indicare quello scambio di messaggi che va dagli organismi unicellulari agli animali, alle macchine e all’uomo, le cui forme comunicative sono studiate, a seconda della forma, della funzione e della destinazione, dalla psicologia, dalla linguistica, dalla sociologia, dalla teoria dell’informazione e dalla cibernetica. A unificare tutte le possibili forme di comunicazione sono tre fattori che Roman Jakobson 9 individua nel mittente che invia un messaggio al destinatario. Per essere operante, il messaggio richiede in primo luogo un riferimento a un contesto che possa essere afferrato dal destinatario e che sia verbale o suscettibile di verbalizzazione; in secondo luogo esige un codice interamente, o almeno parzialmente, comune al mittente e al destinatario; infine un contatto, un canale fisico e una connessione psicologica tra il mittente ed il destinatario che consenta loro di stabilire e mantenere la comunicazione10. Lo schema di Jakobson è universalmente accettato; le differenze riguardano la semplificazione o 8 E. Franceschetti, S. Sanino, V. Caputo, A. Quattrocolo, S. Boverini, Associazione Me.dia.re, La tutela del minore, Forlì, Esperta S.p.A., 2007, pp. 190-191. 9 Roman Jakobson filologo, linguista e critico russo (Mosca 1896 – Boston 1982). In tutte le sue opere l’accento è costantemente posto sulla comunicazione e sulle funzioni del linguaggio: esso può essere referenziale (messaggio come contenuto); emotivo; fatico, per mantenere il contatto tra i due interlocutori; poetico; metalinguistica, per l’esplicitazione o spiegazione del codice linguistico stesso. (Grande Enciclopedia De Agostani, Istituto Geografico De Agostani S.p.A., Novara, 2001, vol. 12, pp 485-486). 10 R. Jakobson, Saggi di linguistica generale (1963), Feltrinelli, Milano, 1966, p. 185. 7 l’arricchimento delle relazioni che il messaggio ha con il contesto, con il contatto e con il codice. Il messaggio viaggia in un canale che sta tra il mittente e il destinatario o, in altra formulazione, tra il codificatore e il decodificatore. I segnali possono essere “discreti” o “continui” e la quantità di informazione che tramite loro può essere trasmessa esprime la “capacità del canale”. Il canale può essere disturbato da distorsioni, perdite o interferenze da parte di altri segnali che vengono ricondotti a una sorgente di rumore11 che ha la possibilità di modificare il messaggio e rendere più problematica la decodificazione. La caratteristica principale del canale è la sua “capacità”, misurata sulla velocità del flusso di informazione. Il problema dell’utilizzazione ottimale di un canale consiste nell’adeguare il codice al canale in modo da rendere ottimale la velocità di trasmissione consentendo un’informazione dall’attendibilità elevata nonostante tutte le deformazioni dovute al rumore, e con una ridondanza ridotta in modo da non rallentare la velocità di trasmissione. La quota di informazione che viene ricevuta e decodificata in uscita (output) nello stesso senso e significato con cui era stata immessa in entrata (input) prende il nome di transinformazione i cui limiti sono costituiti dal rumore e dall’ampiezza del canale 12 . La fiaba, se utilizzata in modo appropriato, può senza dubbio agevolare il passaggio delle informazioni dal genitore al figlio per spiegare, ad esempio, la situazione di conflitto esistente, le prospettive nel breve termine e gli effetti – non necessariamente tutti negativi – che si produrranno sulla quotidianità di vita del bambino. In sostanza può costituire il canale per il passaggio del messaggio, attraverso un codice adatto all'età, dal mittente al destinatario. Nei bambini, di solito, è presente una paura latente di poter essere abbandonati. La separazione rende reale e tangibile questa paura. L’intensità dell’emozione varia, però, in rapporto alle azioni e reazioni dei grandi. E’ massima quando vi è una forte conflittualità e i genitori non comunicano ai figli la loro decisione, non li rassicurano sul fatto che continueranno a vederli, mostrano di non avere il controllo della situazione. Uno dei compiti delle coppie che si separano è perciò quello di spiegare con chiarezza ciò che sta avvenendo. Un altro, particolarmente importante, è quello di non coinvolgere i figli nelle loro dinamiche sentimentali, di non strumentalizzarli per “avere il sopravvento”, attraverso di loro, sull’ex partner. I figli devono poter assorbire questo cambiamento esistenziale (che loro non hanno ricercato) senza grossi traumi. Per questo servono parole chiare e 11 La teoria dell’informazione definisce varietà l’insieme di tute le configurazioni possibili di cui ogni tipo particolare di informazione rappresenta un sottoinsieme. Nella varietà si distingue l’informazione dal rumore; la prima rappresenta una varietà strutturata e codificata , il secondo una varietà non codificata. A seconda della qualità della ricerca e di quanto si attende, ciò che è informazione da un certo punto di vista diventa rumore da un altro, per cui informazione e rumore sono intrinsecamente intercambiabili e sono di volta in volta decisi dal contesto. Così, ad esempio, il processo secondario con cui, secondo S. Freud, la coscienza ordina i messaggi che provengono dal processo primario inconscio è informazione, mentre il processo primario è rumore. In questo contesto, informazione è sinonimo di ordine, e rumore di disordine (Enciclopedia di Psicologia di Umberto Galimberti, Garzanti, 1999, p. 528). 12 Enciclopedia di Psicologia di Umberto Galimberti, Garzanti, 1999, p. 223. 8 rassicuranti. Hanno bisogno di ritrovare al più presto la tranquillità: pertanto, serve anche saper tacere su particolari che potrebbero turbarli o mettere in cattiva luce un papà o una mamma cui sono affezionati, in cui si identificano o di cui hanno bisogno per essere rassicurati sulla loro identità di maschio o di femmina. Un primo passo consiste, dunque, nel comunicare che i genitori si separano. Il genitore che se ne va urlando e sbattendo la porta può creare un vero e proprio trauma: il figlio si sente abbandonato, impotente, non di rado colpevole. Anche il padre che scompare per un lungo periodo, adducendo come ragione un viaggio o un impegno di lavoro, può generare angosce e tormenti. Un bambino può pensare che non lo rivedrà mai più, che sia morto. Nel comunicare la notizia bisogna essere chiari, ma non dilungarsi: generalmente i bambini sono troppo scossi per poter sentire altre spiegazioni. Si tornerà sull’argomento in seguito, rispondendo alle domande e chiarendo che loro non hanno alcuna colpa per quanto è accaduto. E’ preferibile, se possibile, che la notizia venga data da entrambi i genitori insieme. Questo elimina la possibilità che il bambino pensi che forse una dei due non desideri separarsi veramente e che spetti a lui di convincere mamma, o papà, a cambiare idea. Se questo non è possibile, bisogna spiegare chiaramente che si tratta di una decisione presa di comune accordo da entrambi i genitori: “Mamma e io abbiamo deciso che…”. Le spiegazioni che i bambini si danno dei fatti che succedono rispecchiano ciò che diciamo loro, oltre che la loro conoscenza del mondo e i loro bisogni emotivi. Dai quattro anni in poi e fino agli otto, un bambino a cui non sia stata data la notizia della separazione, oppure sia stata detta una bugia o una mezza verità, può pensare che se uno dei genitori se n’è andato è perché lui stesso, come figlio e come persona, non vale nulla. Questa considerazione può essere all’origine di sentimenti di auto-svalutazione e risentimenti. E’ meglio annunciare la decisione prima che sia messa in pratica. Se ne parla senza perdere la calma, senza accusare, senza fornire dettagli inutili o angoscianti e consentendo ai figli di porre domande, di esprimere il loro dispiacere e i loro timori. Si spiega che è una questione interna alla coppia, che i figli non hanno né colpe né responsabilità, che l’amore di papà e mamma resta immutato, che il genitore che si allontana da casa si terrà in contatto e li vedrà spesso, che continuerà ad occuparsi di loro. I figli devono avere la sensazione che la situazione, sia pure spiacevole, è sotto controllo13. Per impostare correttamente il dialogo sul tema della separazione, è importante conoscere le esigenze dei bambini nelle diverse età. La fiaba viene incontro ad un desiderio spontaneo e fondamentale che si manifesta nei bambini già a partire dai 2-3 anni, quello di sentirsi raccontare qualcosa attraverso la voce di un adulto che narra un racconto o lo legge da un libro, oppure dopo i 6 anni, attraverso la lettura compiuta in modo autonomo, in cui chi narra è lo scrittore. Tutti noi sappiamo (o dovremmo sapere) quanto profondo sia il coinvolgimento di un bambino che ascolta o 13 A. Oliverio Ferraris, Dire il divorzio, da Psicologia, settembre-ottobre 2001, n. 167, p. 32-33. 9 legge una fiaba se il racconto è commisurato alle sue capacità di comprensione e al suo livello linguistico. E non solo egli ascolta in silenzio e con grande attenzione, ma desidera che la fiaba gli venga raccontata una seconda e una terza volta, o desidera rileggerla, per riviverla e capirla meglio. L’ascolto e la lettura di una fiaba alimentano così quel tipo di pensiero che Bruner ha designato come “narrativo” che è la modalità cognitiva attraverso cui le persone strutturano la propria esistenza, le danno significato e la interpretano14. Indubbiamente anche per i bambini, ad esempio dell’età scolare, i conflitti possiedono una risonanza emotiva non trascurabile, ed è con questa dimensione che essi, soprattutto, si confrontano. L’emozione nel bambino coinvolge direttamente i processi cognitivi, poiché egli tenta con il ragionamento di trovare una spiegazione sia agli eventi relazionali che alle sensazioni e alle emozioni, ma è anche vero che le esperienze emozionali contribuiscono ai cambiamenti cognitivi15. D’altra parte, alle emozioni sono state riconosciute sia funzioni di preparazione all’azione, sia funzioni di tipo comunicativo, potendo, così, considerarle una forma di linguaggio 16. E questo linguaggio è appreso ed affinato anche grazie alle interazioni conflittuali: l’emozione provata in tali circostanze facilita nei bambini l’attenzione al comportamento proprio e altrui, talchè è lecito ritenere che i conflitti che i bambini mettono in atto possano essere considerate anche come modalità per conoscere il mondo e la mente adulta (cioè dei genitori), per capire la realtà sociale, le regole del gruppo, gli atteggiamenti e i bisogni degli altri e per saggiare la portata delle proprie esigenze, la consistenza dei propri desideri e l’efficacia dei comportamenti adottati. In sintesi, il conflitto costituisce uno dei percorsi seguiti per costruire il proprio sé. Non sempre la società adulta risponde positivamente a tali esperienze dei bambini: ad esempio, allorché colpevolizza il bambino per le interazioni conflittuali cui dà vita o alle quali prende parte. I conflitti scatenati dal bambino, infatti, troppo spesso sono dagli adulti demonizzati, poiché interpretati come sinonimo di egoismo, di mancanza di rispetto o di generiche difficoltà di socializzazione. Frequentemente gli adulti, anziché svolgere una funzione di restituzione al bambino, o di rinforzo, del suo diritto di essere conflittuale, aiutandolo nell’elaborazione dei modi più sereni e costruttivi per vivere tali esperienze, lo sanzionano perseguendo l’obiettivo della deterrenza dal ricadere nel “reato” della lite. Ci si dimentica così che aiutare i bambini a trovare le parole “per dire” i loro sentimenti, la loro rabbia, le loro ragioni ha la funzione di facilitare l’acquisizione di quelle competenze sociali e capacità 14 15 16 G. Petter, Fiabe sì o fiabe no?, in Psicologia, luglio-agosto 2007, n. 202, p.76 J. Dunn, La nascita della competenza sociale, 1990, Cortina, Milano. R. Vinello, Psicologia dello sviluppo, 1993, Junior, Bergano. 10 relazionali che sono invece compromesse, con diverse ripercussioni sullo sviluppo, quando bisogni ed emozioni restano inespressi e incompresi 17. III. Le fiabe La fiaba è un racconto in cui si proiettano i desideri più profondi che in essa vengono realizzati, e le ansie più segrete, che vengono superate. In ambito pedagogico si è soliti distinguere la favola dalla fiaba perché la favola ha una funzione moralistica e precettistica in cui le vicende narrate servono a sottolineare le punizioni a cui va incontro chi trasgredisce le regole sociali, morali e religiose di cui il racconto si fa portavoce, mentre la fiaba enfatizza e privilegia l’affermazione individuale, e quindi la divergenza e l’autodeterminazione, contro i valori collettivi di obbedienza di normalizzazione propri della favola. I sostenitori della fiaba ritengono positivo raccontare storie dove il protagonista, in cui il bambino si identifica, alla fine trionfa, perché la fragile personalità infantile trova una compensazione ai suoi stati depressivi e di paura. Questo soprattutto perché, affermano gli psicoanalisti, le situazioni delle fiabe richiamano simbolicamente le ansie, le paure e le angosce infantili che nel racconto trovano una soluzione positiva e rassicurante18. La fiaba può portare un contributo essenziale allo sviluppo delle due componenti fondamentali della nostra attività cognitiva: la fantasia e la razionalità. Esse sono come le due “gambe” grazie alle quali cammina la nostra vita mentale. Claparède parlava della fantasia e della ragione come dei due momenti della “respirazione mentale”; Bruner ne parla come della mano destra e della mano sinistra. Queste espressioni sottolineano da un lato l’esistenza di differenze caratterizzanti fra le due forme di attività mentale - la razionalità opera su contenuti contrassegnati da un “marchio di realtà”, di cui sono invece privi quelli su cui opera la fantasia; la razionalità usa in modo rigoroso i rapporti logici, spaziali, temporali, causali, mentre la fantasia compie spesso delle trasgressioni – dall’altro mettono bene in evidenza che non si tratta di modi di pensare totalmente contrapposti e antitetici, come spesso si ritiene a livello di senso comune, bensì di forme di pensiero che sono spesso compresenti, collaborando fra loro in vario modo. Nella fiaba sono presenti infatti molti elementi di razionalità. La storia ha una sua struttura d’insieme, con una logica corrispondenza fra le parti (per esempio, il problema iniziale di Hansel e Gretel viene da loro affrontato, e la nuova situazione ne suscita altri, fino alla soluzione conclusiva); i singoli eventi sono caratterizzati da un pieno rispetto dei rapporti in gioco: per viaggiare, di solito, anche in una fiaba, vengono usati normali mezzi di trasporto, come il cavallo, la carrozza o la barca; per dormire ci si reca in una locanda o in una capanna; per mangiare si fa uso di bacche o di focacce, o si va in un’osteria, come 17 E. Franceschetti, S. Sanino, V. Caputo, A. Quattrocolo, S. Boverini, Associazione Me.dia.re, La tutela del minore,cit., p. 192. 18 Enciclopedia di Psicologia di Umberto Galimberti, Garzanti, 1999, p. 432. 11 quella del Gambero Rosso in cui si trovano Pinocchio, il Gatto e la Volpe; i personaggi compiono delle azioni avendo in mente certi scopi. E tuttavia, a un certo momento, l’intervento di un personaggio o di un oggetto magico, o di un animale che parla il linguaggio degli umani (il Grillo parlante, ad esempio, o il lupo di Cappuccetto Rosso), determina una trasfigurazione in senso fantastico dell’intera vicenda, che acquista un carattere di irrealtà. Ascoltare o leggere una fiaba, dunque, significa attivare entrambe le funzioni della razionalità e della fantasia, in una situazione di compresenza e di pari importanza. La fiaba può favorire lo sviluppo affettivo ed emotivo del bambino che, proprio come si affeziona alle persone che lo circondano, ma anche al proprio gatto, o alla bambola, o all’orsacchiotto, che diventano in certa misura una parte del suo mondo interiore, o ancor più del suo stesso Io, così può affezionarsi ad alcuni dei personaggi di quelle fiabe che ascolta più di frequente. E non solo si affeziona ad alcuni personaggi, ma generalmente, nel corso dell’ascolto o della lettura, si identifica con essi, nel senso che vive le loro emozioni, partecipa al loro sforzo per uscire dalle difficoltà, per superare i problemi. Ascoltando la fiaba di Hansel e Gretel, ad esempio, un bambino può identificarsi in uno dei due fratellini, vivere la sua angoscia nel trovarsi sperduto, di notte, nella foresta, la gioia di trovare una capanna con le pareti di marzapane, e ancora il terrore di essere gettato nel forno della strega e l’ansia di trovare al più presto una via di scampo. L’ascolto o la lettura di una fiaba possono favorire lo sviluppo sociale e morale del bambino. Le fiabe presentano con frequenza situazioni in cui emergono certe forme di rapporti sociali come la collaborazione o atteggiamenti di solidarietà; questi tipi di rapporti sociali possono essere presenti nelle fiabe anche “in negativo”, per mostrare le brutte conseguenze che capitano a chi li adotta. Nelle fiabe, inoltre, sono presenti personaggi che possiedono in modo spiccato certe qualità, o certi tratti del carattere, come l’intelligenza, la prudenza, la costanza, la scaltrezza, il coraggio, la bontà d’animo, la compassione, la generosità; ma anche, in negativo, la dabbenaggine, l’invidia, la gelosia, la sventatezza, la credulità, la paura di crescere, e così via. Vi è dunque ogni volta la possibilità di discutere con i bambini dei vari modi di essere dei personaggi. E ogni volta essi hanno la possibilità di constatare che, nelle fiabe, le vicende finiscono sempre bene, nel senso che i personaggi buoni alla fine vengono premiati, o trionfano, mentre quelli cattivi vengono puniti, o comunque finiscono male; e da ciò si può discutere del fatto che così dovrebbero andare le cose anche nella realtà, il che purtroppo non sempre succede. La fiaba trasmette dunque un messaggio importante: il lieto fine non è mai un fatto scontato, gratuito, ma viene raggiunto solo se il protagonista si dà da fare, si impegna a fondo, non si scoraggia, prova e riprova, corre dei rischi19. Le fiabe, attraverso l'utilizzo di metafore, affrontano e propongono soluzioni ai problemi delle famiglie separande o separate, presentando situazioni facilmente riconoscibili da chi vive quel 19 G. Petter, Psicologia, luglio-agosto 2007, n. 202, pp. 76-79. 12 particolare momento della vita ed offrendo la possibilità di coglierne il significato profondo in un ottica orientata al benessere della prole. La vasta letteratura disponibile consente di scegliere - operazione fondamentale e tutt'altro che semplice - le fiabe adatte (per età e situazione specifica) da leggere (o far leggere in autonomia) per affrontare i singoli argomenti: ex plurimis il conflitto tra i genitori e le conseguenze che questo produce sui figli, il trasferimento del papà o della mamma in un'altra casa con i conseguenti spostamenti della prole, i cambi di abitudini nella quotidianità, il disagio vissuto dal genitore che subisce la separazione proiettato sul figlio, il disagio del figlio per una separazione dettata dalla malattia di uno dei due genitori, il desiderio del genitore assente, il paradiso perduto. Manuela Mareso, nel suo libro “Sotto il temporale. Fiabe-ombrello per famiglie in trasformazione”, racconta la storia di un semino, divenuto germoglio, che viene dimenticato dalle due nuvole che sino a quel momento avevano badato alla salute della tenera piantina. Le nuvolette, tutto ad un tratto, anziché aiutarlo a crescere innaffiandolo quotidianamente, diventano burrascose e, troppo prese a litigare l'una con l'altra, iniziano a far piovere talmente forte da sradicare e travolgere il piccolo germoglio che, scivolato a valle, si ferma contro un masso. Nonostante la disavventura, la piantina, anche grazie all'aiuto di nuovi amici, sopravvive, attecchisce e diventa l'albero più resistente e rigoglioso di tutta la collina.20 Il messaggio che la fiaba trasmette al bambino è quello che, nonostante le avversità, è possibile trovare nuove risorse, anche affettive, che aiutano a vincere lo sconforto e la solitudine, e che consentono di crescere anche più forti di chi non le ha vissute. Un'altra bella fiaba, sempre della raccolta di Manuela Mareso, si intitola “La credenza” 21 ed affronta il disagio vissuto da due bicchierini di cristallo che, insieme a mamma caraffa e papà bricco, costituiscono l'unico servizio rimasto integro, dopo i bombardamenti subiti dalla città dove si trova la casa della vecchia signora cui appartengono. Buona parte degli altri oggetti contenuti nello stesso mobile dove si trovano i protagonisti della fiaba sono ridotti in mille cocci: tazzine, piatti, bicchieri. La proprietaria, molto affezionata a quelle porcellane e a quella cristalleria, decide di combinare tra loro i vari elementi che si sono salvati e, a seconda delle occasioni, ottiene dei servizi graziosi ed assai originali. I due bicchierini, particolarmente fini, vengono utilizzati assai spesso ma, a differenza di prima, non più solo insieme alla mamma e al papà bensì, a seconda delle occasioni, ora con l’una ed ora con l’altra e in alcuni casi anche da soli con altri servizi. La cosa che più li infastidisce, oltre ai continui spostamenti, è quella di essere riposti, ogni volta, su ripiani diversi; a volte solo con la caraffa, altre volte con il bricco ed in talune occasioni, addirittura, in mezzo ad altri bicchieri che non conoscono. Ricordano con nostalgia i tempi in cui uscivano dalla 20 21 M. Mareso, Sotto il temporale. Fiabe-ombrello per famiglie in trasformazione, cit. pp. 19-22. M. Mareso, Sotto il temporale. Fiabe-ombrello per famiglie in trasformazione, cit. pp. 31-36. 13 credenza solo il venerdì sera con mamma e papà e si fanno prendere dallo sconforto. Ecco che interviene, a quel punto, un’antica zuccheriera che gli chiede perché stanno piangendo. “Siamo tristi perché vogliamo stare con la nostra caraffa e il nostro bricco” rispondono. La zuccheriera gli spiega con pazienza perché questo non è possibile; gli racconta della guerra, dei bombardamenti, della scelta della signora e li incoraggia ad affrontare la nuova situazione. Gli spiega che anche mamma caraffa e papà bricco avrebbero voluto stare con loro per sempre ma che purtroppo la guerra è arrivata, si sono dovuti dividere e non ci si può far niente. Poi, inaspettatamente, gli suggerisce di guardare oltre il vetro della credenza. Per la prima volta i due bicchierini, riposti nel ripiano più alto, vedono attraverso la finestra un meraviglioso cielo stellato; dal ripiano più basso, dove erano soliti stare con il bricco e la caraffa, potevano vedere solo il ricamo del tappeto. Si rendono conto che, ogni sera, cambiando posizione sui vari ripiani, riescono a vedere cose nuove. I continui viaggi dalla credenza alla tavola diventano sempre meno pesanti e uscire spesso dalla cristalliera significa ascoltare i racconti di tutti gli ospiti della vecchia signora che sono davvero interessanti. I due bicchierini imparano così moltissime cose e vengono a conoscenza di storie di paesi lontani; ogni giorno tiene in serbo una nuova scoperta. Questa bella fiaba affronta i temi del disagio dei bambini di doversi dividere tra mamma e papà; del fastidio provato per i continui spostamenti da una casa all’altra; della nostalgia per il “paradiso perduto”. I bambini sono riluttanti ai cambiamenti e ogni modifica delle abitudini quotidiane implica uno sforzo enorme. Nella fiaba della credenza, l’aiuto arriva da una vecchia zuccheriera che, con calma, trasparenza e pazienza, dapprima spiega ai bicchierini perché si è venuta a creare quella nuova situazione e poi li stimola a coglierne gli aspetti positivi. Si tratta di dare una nuova prospettiva alle cose, di andare avanti, di pensare al futuro con curiosità ed entusiasmo per poter vedere tutte quelle cose belle che, diversamente, sfuggirebbero all’attenzione di chi è troppo impegnato a rimpiangere il passato. Brigitte Spangenberg, nel suo libro “Il vaso spezzato”, offre un aiuto supplementare ai genitori per la proposizione delle fiabe ponendo, in calce a ciascuna storia, suggerimenti ed indicazioni utili per chi si appresta a leggerle: antefatto, obiettivo e procedimento narrativo. L’antefatto consiste nella descrizione della vicenda reale che ha ispirato la fiaba; l’obiettivo è l’aiuto che la fiaba si propone di offrire al bambino nel concreto ed il procedimento narrativo consiste nel collegamento tra la storia reale e la metafora utilizzata nella fiaba. Così, a seconda del disagio percepito nel destinatario della lettura, ovvero dei timori esplicitamente palesati dal bambino in relazione alle vicende collegate alla separazione, è possibile scegliere il racconto più adatto. Se, ad esempio, l'obiettivo è quello di liberare il bambino dalle responsabilità che si è assunto nei confronti di uno dei genitori in conflitto e dagli atteggiamenti innaturali che ne derivano, perchè possa tornare a vivere una vita infantile piena e autentica, si può optare per “Il vaso spezzato”. Si tratta della storia di una bambina 14 che, per alleviare le sofferenze della madre e farle tornare il sorriso, si propone l'obiettivo di riparare un vaso dal significato molto speciale che si è rotto in due parti simmetriche quando lei era molto piccola e che è stato causa di una lite fra i due genitori che, successivamente, si sono allontanati uno dall’altra. Per quanto si ostini nel perseguire il suo obiettivo, rinunciando al gioco con gli amici e addirittura privandosi del sonno, la protagonista della fiaba si rende conto di non riuscire a ricomporre ciò che si è rotto. Ne prenderà piena coscienza nel finale della storia grazie all'intervento casuale di un amico che le permetterà di vedere in quei due cocci, all'apparenza inutilizzabili poiché non ricomponibili, una possibilità di utilizzo separato ed alternativo ma ugualmente valido. Le due parti del vaso, con la loro nuova funzione, si riveleranno comunque utili e l'accompagneranno per il resto della vita. Il significato della fiaba è quello di accettare la separazione dei genitori come una realtà, anche se la mamma, nel suo intimo, non ne è convinta e tende ad abbandonarsi a speranze irreali di riunione della coppia; riconoscere, in pari tempo, che ognuno per conto suo, i genitori separati hanno molto da offrire22. Sempre sul tema della responsabilizzazione dei figli ad opera dei genitori separati in difficoltà c’è la fiaba di “Penna Danzante, ragazzo indiano”, ove viene narrata la storia del rapporto tra un padre malato ed un figlio amorevole che ne sente la mancanza. La malattia del padre – l’autrice si ispira ad un caso di depressione -, che lo ha costretto ad allontanarsi dalla madre e dal figlio, induce Due Volti (questo il nome del papà) a trasmettere, da molto lontano, dei segnali di fumo a Penna Danzante; si tratta di messaggi confusi e, con il passare del tempo, sempre più cupi e pregni di richieste di aiuto che caricano di ansia il fanciullo. Penna Danzante, che in principio è felice di poter tornare a parlare con il padre assente, si rende conto, via via, che questo rapporto lo stanca e gli impedisce di vivere serenamente la sua età; è combattuto tra l’amore che prova per Due Volti e la fatica cui è costretto per mantenere questo legame. La situazione viene intuita da un altro membro della tribù che decide di intervenire raccontando a Penna Danzante la storia di un giovane bufalo che, cedendo alle richieste del padre malato, che pretendeva di essere aiutato a guadare un fiume, nonostante la stazza del genitore fosse insostenibile per il figlio, stava per annegare. Penna Danzante capisce, a questo punto, di non essere responsabile per la malattia del padre e che la cosa più giusta per lui è vivere la sua età giocando con i compagni del villaggio; il suo amore per il padre non verrà meno anche se non si presterà a dedicargli tutto il suo tempo e tutte le sue energie. 23 L’obiettivo della fiaba, in questo caso, è quello di far capire al bambino che non si deve sentire responsabile del problema del padre - cioè la malattia - e di fargli ritrovare il piacere di dedicarsi ad attività più adatte alla sua età. 22 B. Spangenberg, Il vaso spezzato (un mondo di fiabe per i figli di genitori separati), Genova, Casa Editrice Marietti S.p.A., 2000, pp.21-25. 23 B. Spangenberg, Il vaso spezzato (un mondo di fiabe per i figli di genitori separati), cit. pp. 60-68. 15 Anche il desiderio del genitore assente è un tema ricorrente nei casi di separazione tra i coniugi. Nella fiaba “Il piccolo abete” viene narrata la storia di un piccolo albero che prova emozioni bellissime quando nevica. Improvvisamente, da un anno con l’altro, la neve smette di cadere ed il piccolo abete, con il passare degli inverni, triste ed avvilito per l’assenza di quella bianca coltre che lo copriva rendendolo tanto orgoglioso e fiero, smette di crescere. Il suo unico pensiero è che torni a nevicare. Interviene, a questo punto, un personaggio magico che vive nel bosco il quale spiega al giovane abete che purtroppo, a causa dei cambiamenti climatici causati dall’insensatezza degli uomini, sarà molto difficile che torni a nevicare; gli spiega che può scegliere se continuare a desiderare una cosa che non tornerà più oppure cercare una nuova ragione per gioire e vivere. Con l’arrivo della primavera il giovane abete realizza che la primavera porta con sé colori variopinti e fiori; sente la vita che riprende e, improvvisamente, vive quella stessa sensazione di benessere che provava quando nevicava e ricomincia a crescere. La fiaba fa riferimento specifico a quelle sensazioni di cui un bambino sente la mancanza quando un genitore non è con lui. L’obiettivo è quello di comunicargli che deve imparare a trovare, anche attraverso nuovi contatti con altre persone, quelle sensazioni piacevoli che in precedenza provava stando con il papà o la mamma.24 Il mondo delle fiabe per i figli dei genitori separati è vasto ed offre un’ampia scelta di storie adatte per trattare i diversi temi in modo mirato e specifico. Non sempre la fiaba può essere adatta per un bambino ma, forse, lo può diventare per i genitori. La ricerca del libro o della fiaba “giusta” da raccontare al proprio bambino costringe, chi si avvicina a questo mondo, alla lettura di pagine e pagine di storie che non annoiano mai. A volte consolano, a volte ispirano… Sicuramente aiutano. IV. Conclusioni I genitori amano i figli e hanno a cuore il loro bene; i figli amano i genitori e hanno bisogno tanto del padre quanto della madre. Il fallimento di un matrimonio logora enormemente la relazione tra i genitori e figli, qualora gli adulti non distinguano tra il piano del rapporto di coppia e quello del rapporto tra genitori e figli, e rivolgano al genitore le accuse che andrebbero invece rivolte al coniuge. Può perciò accadere che con le migliori intenzioni si scelga anche per il proprio figlio la soluzione che si è decisa come coniuge, per esempio la separazione definitiva dal partner, e poi, intenzionalmente o meno, si faccia di tutto per interrompere il legame che il figlio ha con l'altro genitore, con la motivazione, apparentemente inoppugnabile che si conoscono molto bene i difetti dell'ex partner. Per superare la crisi della separazione e del divorzio è importante lasciare da parte le “apparenze” della realtà matrimoniale e prendere in considerazione i “retroscena”, e avere la consapevolezza del fatto che ogni bambino ha i genitori e di essi ha bisogno; che il rapporto tra 24 B. Spangenberg, Il vaso spezzato (un mondo di fiabe per i figli di genitori separati), cit. pp. 69-75. 16 genitori e figli, che man mano si adatta alla loro età, è utile al benessere della persona, e che vale la pena cercare di incentivarlo.25 Le fiabe, come visto nelle pagine che precedono, possono affrontare temi duri e diffusi nell'esperienza di figli di coppie separate e/o divorziate, sia in termini oggettivi che soggettivi: il disgregarsi della famiglia produce una nuova situazione di fatto e, conseguentemente, crea nel bambino un senso di paura e smarrimento. Le sue certezze vengono minate proprio da quelle due figure di riferimento che, al contrario, dovrebbero essere i suoi garanti. Subentra la nostalgia per un paradiso perduto. L'”obiettivo”, per citare la Spangenberg, deve essere quello di far ritrovare al bambino la propria autostima, aiutarlo a vincere quel senso di inadeguatezza e goffaggine che può provare in tante situazioni, indurlo a ritrovare equilibrio e fiducia nelle proprie risorse facendogli capire che crescere è un'avventura e che, per quanto ci si possa sentire soli e smarriti, guardandosi attorno con occhi magici, vigili e creativi, si troverà pur sempre “una zuccheriera” a cui chiedere aiuto.26 Trovare le parole giuste per comunicare al proprio figlio che si è deciso di separarsi non è affatto cosa semplice. E’ ben vero che i bambini sono molto più ricettivi di quanto gli adulti possano immaginare e che, vivendo la quotidianità domestica, sono sensibili ai più piccoli cambiamenti, figuriamoci se non sono consapevoli che le cose tra mamma e papà non funzionano, pur tuttavia è fondamentale trasmettere loro un messaggio chiaro ed univoco affinché non immaginino ciò che non è. Le fiabe possono risultare utili proprio per trasmettere, con le parole giuste, dei messaggi importanti, dei messaggi volti a fare chiarezza sullo stato di fatto delle cose e a deresponsabilizzare il bambino rispetto al disagio di una famiglia che sta cambiando. A differenza di altri saperi, la fiabazione mantiene intimità con la vita e cioè con l’emozione e il cuore. E’ sapere simbolico e affettivo insieme. Immaginifico e realista. Ci appartiene e ci svela: è anima e specchio dell’anima, contiene ferita e medicina, morte e resurrezione, smarrimento e approdo. Dà corpo all’inquietudine e ne dipana i labirinti, fornendoci un filo d'Arianna che ci consente di neutralizzare i mostri che via via si presentano, provenienti da fuori o da dentro. Traduce in linguaggio il non altrimenti dicibile, sia che si tratti di odio, che si tratti di amore. E' l'abbandono e l'abbraccio, sono gli incontri e gli addii. La fiaba spezza il silenzio, impedisce al muro della solitudine di cementarsi attorno al nostro io spaventato, sottraendolo al rischio della disperazione. La fiaba è mare di libertà e terra d'identità. E' il ricorrente e lo straordinario, la discesa agli inferi e la salita a “riveder le stelle”. La fiaba è semina, deposito di tracce che, come quelle di Pollicino, ci consentano di andare per il mondo senza smarrirci, garantendoci ogni volta la 25 26 E. Spangenberg, Il vaso spezzato (un mondo di fiabe per i figli di genitori separati), cit. p. 11. M.R. Parsi, Sotto il temporale (fiabe-ombrello per famiglie in trasformazione), cit. p. 12. 17 possibilità di un ritorno atteso. La fiaba è divenire senza alienazione. E' trama e modello di ogni letteratura. E' senso, è giustizia, è spazio del valore. Le fiabe sono parole dell'inconscio che la coscienza non evita di accogliere. Sono percorsi di crescita e consapevolezza. Sono “enciclopedie” interiori. Contengono i segreti, gli insegnamenti, le strategie, i rituali, gli obiettivi, i fini e le indicazioni dei mezzi per realizzarli. Ogni fiaba e l'atto di inventare fiabe, prevede, rivela, consente la scoperta, l'indagine, l'approfondimento e, spesso, la soluzione di ogni particolare e peculiare situazione che il soggetto, di volta in volta, di fiaba in fiaba, intende affrontare nel (col) proprio inconscio che è tassello dell'inconscio collettivo. Saper fiabare, dunque, equivale a saper vivere, a saper trasformare la propria vita in progetti da realizzare, in crescita, in confronti, in superamenti, in accettazione di ogni sconfitta come di ogni vittoria (non ultime quelle sulla paura e sulla morte) con senso di realtà e responsabilità, ma anche con quella lievità, con quella autoironia e con quel senso del meraviglioso che ci consentono un diverso e creativo stile di vita.27 27 M.R. Parsi, Sotto il temporale (fiabe-ombrello per famiglie in trasformazione), Torino, Edzioni Gruppo Abele, 2011, pp. 9-10. 18 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI O. W. HOLMES, The Common Law, Boston, Little, Brown and Co., 1923, p.36 D. OVADIA, I divorziati, da Mente & cervello, ottobre 2008, n. 46, VI, p. 82-83. B. MASINI, M. ZANI, Io non mi separo, Milano, Carthusia, 2011. A. OLIVERIO FERRARIS, Dire il divorzio, da Psicologia, settembre-ottobre 2001, n. 167, p. 32-33 - L’eredità del divorzio,in Psicologia, novembre-dicembre 2004, n. 186, pp. 8-9. L. FABI, Tra moglie e marito, in “Mente & Cervello”, Febbraio 2010, n. 62, Anno VIII, pp.57-61; A. MARTONE, La tutela del minore, Forlì, Esperta S.p.A., 2007, p. 3. E. FRANCESCHETTI, S. SANNINO, V. CAPUTO, A. QUATTROCOLO, S. BOVERINI, ASSOCIAZIONE ME.DIA.RE, La tutela del minore, Forlì, Esperta S.p.A., 2007, pp. 190-191-192. R. JAKOBSON, Saggi di linguistica generale (1963), Feltrinelli, Milano, 1966, p. 185, 485, 486. U. 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