Centro Interculturale Millevoci

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Centro Interculturale Millevoci
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
DIPARTIMENTI ISTRUZIONE
Centro Interculturale Millevoci
agosto 2008
Provincia Autonoma di Trento
Dipartimento Istruzione
a cura di:
Chiara Xodo
Riferimenti
_______________________________________________________
Servizio sviluppo e innovazione del sistema scolastico e formativo
Centro Millevoci, documentazione e laboratorio per un'educazione interculturale
Referente: Adriano Tomasi
tel: 0461/ 920955 E-mail: [email protected]
Stampa: Centro duplicazioni della PAT – agosto 2008
La presente pubblicazione è consultabile e scaricabile sul portale della scuola trentina:
www.vivoscuola.it
SCHEDE DIDATTICHE AUDIOVISIVI MILLEVOCI
a cura di Chiara Xodo
Amaro sapore del caffè (L')
G. Beretta e G. Sganzini
Svizzera (Guatemala)
2005
25'
documentario
DVD
A nous la rue (a noi la strada)
Moustapha Dao
Burkina Faso
1987
16'
film
VHS
Antuca
Maria Barea
Perù
1992
72'
film
VHS
Arafat
Andrea Bevilacqua
Italia 2004
58'
trasmissione televisiva
VHS
Autre ecole (L')
(L'altra scuola)
Nissi Joanny Traoré
Burkina Faso
1986
28'
film
VHS
Bambini nel mondo: Americhe
G. Cossia e M. De Poli
Italia (Brasile, Perù, Guatemala, Cuba)
58'
documentario
VHS
Bowling a Columbine
Michael Moore Stati Uniti
2002
120' documentario
VHS
Cacao (Il)
G. Beretta e C. Marcoli
2006
34'
documentario
DVD
Città delle differenze (La)
Diocesi di Italia
Verona, UNIVR, Cestim
2005
67'
documentari
+ film d'animazione
DVD + CD
Conchiglia (La)
Abdulkadir Ahmed Said
Italia/Somalia
1992
30'
film
VHS
Cri du coeur (Le)
(Il grido del cuore)
Idrissa Ouédraogo
Francia/Burkina Faso
1994
86'
film
VHS
Danubio. L'Europa si racconta
L. Rosini e
A. Bougleux
Italia (Balcani)
2003
30'
documentario
+ immagini
+ musica
DVD
De Gasperi e l'Europa
Leonardo Ferantini
Italia
2004
41'
documentario
DVD
Svizzera
1979
64'
documentario
VHS
India
1997
125' film
Don Milani e la sua scuola
Gudia
Gautam Ghose
Svizzera (Ecuador)
VHS
SCHEDE DIDATTICHE AUDIOVISIVI MILLEVOCI
a cura di Chiara Xodo
Immigrazione in 3D
Maria Chiara Martinetti
Italia
Impronta digitale
Sai Paranjpye
India
Keita, l'heritage du griot
(Keita, l'eredità del saggio)
Dani Kouyaté
Burkina Faso
Lampo più grande (Il)
20'
documentario
VHS
1988
55'
film
VHS
1995
94'
film
VHS
Marco Pontoni
Italia (Giappone) 2006
17'
documentario
DVD
Medecin du Gafire (Le) (Il medico di Gafire)
Moustapha Diop
Niger
1983
100' film
VHS
My american grandson
(Il nipotino americano)
Ann Hui
Taiwan
1991
104' film
VHS
Neveu du peintre (Le)
(Il nipote del pittore)
Moustapha Dao
Burkina Faso
1989
29'
film
VHS
Non lasciamo che presto sia troppo tardi
Luigi Ottoni
Italia
2003
20'
documentario
VHS
Nuova speranza per i bimbi delle favelas
Lia e Alberto Beltrami Italia/Brasile
2005
20'
documentario
DVD
Italia
2004
89'
documentario
VHS
Gran Bretagna
2001
55'
documentario
DVD
Nuove povertà, nuove solidarietà
nel nord e nel sud del mondo
Nuovi padroni del mondo (I)
John Pilger
Nyamanton, la lezione dell'immondizia
Cheick Oumar Mali
Sissoko
1986
90'
film
VHS
Petite vendeuse de Soleil (La)
(La piccola venditrice di 'Soleil')
Djibril Diop Mambety
Senegal
1999
45'
film
VHS
Pieces d'identites
(Carte d'identità)
Mweze Ngangura
Rep. Dem. del Congo
1998
97'
film
VHS
Pomodoro nero Literno
E. De Falchi e
L. Calanchi
Italia
1995
26'
documentario
VHS
SCHEDE DIDATTICHE AUDIOVISIVI MILLEVOCI
a cura di Chiara Xodo
Poussieres de vie
(Polveri di vita)
Rachid Bouchareb
Algeria/Vietnam
1994
87'
film
VHS
Racconto straniero
Daria Menozzi
Italia
2003
34'
documentario
VHS
Ritorno a Tunisi
Marcello Bivona
Italia/Tunisia
1992
72'
documentario
VHS
Ritrovare Oulad Moumen
Izza Genini
Marocco
1994
50'
documentario
VHS
Souko, le cinematographe en carton
(Souko, cinematografo di cartone)
Issiaka Konatè
Francia/
Burkina Faso
1998
45'
film
VHS
Tiziano Terzani, il kamikaze della pace
W. Baggi e
L. Manfrini
Svizzera
2002
49'
documentario
VHS
Trentini dell'altro mondo: Africa
Luciano Happacher
Italia
2003
30'
documentario
VHS
Trois fables à l'usage des blancs en Afrique L. Maeques e C. Gnaouri
(Tre favole ad uso dei bianchi in Africa)
Costa d'Avorio/
Francia
1999
17'
film
VHS
Tulilem
Bruno Bozzetto
Italia
1992
5'
film d'animazione
VHS
Uè paisà! Atto I. Frankein
Gianni Torres
Italia
2003
9'
documentario
DVD
Viaggi di Pim e Pom (I)
Letizia Favero
Italia
1997
30'
videofilmati
VHS
Volontari nel mondo
M. Guberti e
M. Iannelli
Italia (Perù, Tanzania)
2002
40'
documentari
VHS
Yaaba
Idrissa Ouedraogo
Burkina Faso
1989
90'
film
VHS
A nous la rue
(A noi la strada)
di Moustapha Dao
Sceneggiatura: Moustapha Dao
Burkina Faso, 1987, 16'. versione originale dioula sottotitolata in italiano
VHS
Il 4 agosto 1984 l'Alto Volta cambiò denominazione chiamandosi Burkina Faso, che letteralmente tradotto significa “Terra di uomini onesti”.
La trama.
Un'orchestrina improvvisata accompagna il susseguirsi delle scene: alcuni bambini costruiscono giocattoli con materiali di recupero (un elicottero fatto con bastoncini di legno, un camioncino intrecciato con del filo di ferro, ...) e magari qualche oggetto poi riescono a venderlo ai turisti. Altri giocano a calcio (una curiosa formazione indossa magliette della compagnia petrolifera francese “Total”, forse a ricordare un legame coloniale mai cessato). Intanto le bambine al ciglio della strada danzano, si confezionano l'una con l'altra tipiche pettinature e cucinano dolcetti che poi venderanno per pochi spiccioli ai compagni. Dietro a tutto ciò, la strada, come palcoscenico naturale.
Impressiona, in quella che può sembrare la cronaca di una giornata normale, il gioco imitativo di alcuni piccoli protagonisti: un esercito scalzo marcia ed imita manovre militari, segno che conflitti intestini e colpi di stato sono presenti nel vissuto di questi bambini.
A nous la rue è una sequenza di fresche immagini, mentre quasi assenti sono i dialoghi. Moustapha Dao
Nato nel 1955 a Koudougou (Burkina Faso). Ha studiato presso l'INAFEC. Ha lavorato come direttore di produzione presso il Cinafric Studi a Kossodo (Ougadougou) e per il National Center for Film and Television Nacional, in Burkina Faso. Oltre a A nous la rue (1987) ha realizzato Le neveu du peintre (1989), L'enfant et le caïman (1991) e L'oeuf (1995).
A nous la rue 1/2
Antuca
di Maria Barea
Sceneggiatura: Gianfranco Annichini
Perù, 1992, 72'.
versione originale spagnola con sottotitoli in italiano
VHS
La trama.
Antuca è una giovane donna quequa che vive a Lima in Perù. Originaria di un piccolo paese sulle Ande, da quando ha tredici anni lavora come domestica nelle case delle ricche famiglie della capitale. La madre, morta in giovane età, l'aveva affidata alla sua madrina che portatala in città l'aveva introdotta a questo mestiere, non curandosi però di darle anche l'affetto di cui una bambina ha bisogno. Nei lunghi anni di servizio, in cui come un oggetto è passata da una famiglia ad un'altra, Antuca ha conosciuto l'umiliazione ed il razzismo ma soprattutto le molestie sessuali da parte di molti dei suoi padroni. Lei, però, come altre sue amiche e colleghe, si è rifugiata nell'associazionismo, entrando a far parte di un gruppo di mutuo aiuto tra donne immigrate, dove ha potuto prendere il coraggio e l'affetto necessari per sopravvivere.
Dopo l'ennesima esperienza negativa Antuca decide di licenziarsi anche dall'ultima famiglia e con un'amica intraprende il viaggio che la riporterà finalmente al suo paese d'origine. Lo fa in coincidenza della festa patronale, per risentire la musica e rivestire gli abiti tradizionali che tanto amava da bambina e al cui ricordo è rimasta aggrappata per tutti gli anni di solitudine a Lima. Al paese riabbraccia il nonno ed il fratello ormai adulto che contrariamente a lei era rimasto in montagna ad occuparsi delle terre e del bestiame. Rincontra anche Artemio, il suo amore adolescenziale, e vorrebbe con lui riprendere la storia romantica da dove era rimasta... ma Artemio appare strettamente legato al suo mondo e non potrebbe mai lasciarlo e, d'altra parte, anche Antuca è ormai una ragazza di città e non può rimanere al villaggio per sempre. “Io non sono di qua. I miei paesani mi chiamano 'signorina'”. Con questa frase sulle labbra la protagonista riprende la corriera e torna a Lima dove ad attenderla ci sono le compagne dell'associazione, che presto aprirà un consultorio per le donne in difficoltà.
Maria Barea E' nata nel 1943 a Chancay in Perù. Per oltre 20 anni, ha lavorato come attrice, regista e produttore di film. Nel 1982 ha co­fondato il Film group Chaski con cui ha girato il film Gregorio and Miss Universum en el Peru. Nel 1989, ha creato il gruppo di donne 'WARMI Cine y Video', con il quale produce e dirige documentari. Antuca 1/2
Il sui film, centrati su tematiche che riguardano la condizione delle donne, includono: Mujeres del Planeta (1982), Andahuaylas ­ suenen las campanas. Andahuaylas ­ cuidad hermana (1987), Porcon (1989/92), Porque queria estudiar (1990), Barro y Bambu (1991), Antuca (1992).Hijas de la guerra (1998), Las niñas de todo el mundo (1999).
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● I due spazi geografici in cui si svolge il film, il villaggio sulle Ande e la capitale Lima, corrispondono metaforicamente agli “spazi interiori” di Antuca. Descrivi questi spazi e confronta la loro rappresentazione.
Rispetto alla trama
● Il viaggio a ritroso da Lima al paese d'origine chiarisce ad Antuca che quel mondo non le appartiene più. Come ha elaborato l'evoluzione della sua vita la protagonista? Perché decide di non provare a restare?
Emigrazione femminile
● Il film mostra come queste donne hanno tessuto una solida trama di relazioni per aiutarsi vicendevolmente. La volontà delle donne di mettere al mondo delle situazioni che non sono date ma vanno riformulate e realizzate con il lavoro e la partecipazione di tutte è ben rappresentata nel film. Per quali motivi Antuca e le sue colleghe hanno sentito il bisogno di associarsi? Quali sono le difficoltà aggiuntive per le donne in immigrazione?
● “Domestiche”, “serve” e “balie”, prima che le donne immigrate da altri paesi iniziassero a venire in Italia, hanno caratterizzato l'immigrazione femminile interna di questo paese per moltissimi anni. Giovani donne che dalle montagne e dalle compagne più povere d'Italia si recavano nelle gradi città come Milano, Roma, Genova, ... per prestare servizio in qualche ricca famiglia. Conosci questa parte della storia d'Italia?
Il contesto
● Il quechua è una lingua nativa americana. Fu la lingua ufficiale dell'impero Inca, ed è attualmente parlata in vari dialetti da circa 9,6 milioni di persone nella zona occidentale del Sud America, inclusa la Colombia meridionale e l'Ecuador, tutto il Perù e la Bolivia, la parte nord­occidentale dell'Argentina e quella settentrionale del Cile. Oggi è la lingua nativa americana più estesa in tutto il mondo e la quarta lingua più estesa nel continente. Svolgi una ricerca al riguardo.
● Il Perù è il paese in cui si svolge questo film: qual'è stata la sua storia prima della scoperta dell'America e quale la sua storia coloniale?
Film adatto agli studenti del terzo anno della scuola secondaria di I° grado, agli studenti della scuola secondaria di II° grado e degli istituti professionali. Antuca 2/2
L'amaro sapore del caffè
di Gianni Beretta e Giovanna Sganzini
Svizzera, 2005, 25'.
Documentario
versione originale spagnola doppiata in italiano
DVD
"Zappa, machete e polmoni"
(da una testimonianza del film).
La trama
125 milioni di persone nel mondo vivono oggi sulla coltivazione del caffè. Da qualche anno però si assiste ad una sovrapproduzione di questo bene ed il 10% del raccolto mondiale non trova compratori. Un grosso colpo all'aumento della produzione è dato dalla liberalizzazione del mercato e dai continui incentivi da parte delle organizzazioni internazionali. E' per questo motivo che il prezzo di questa materia prima (la seconda per importanza dopo il petrolio) è sceso dell'80% negli ultimi cinque anni e che il 50% dei coltivatori sudamericani ha abbandonato le piantagioni... anche se, nello stesso periodo, il costo di una tazzina di caffè al bar è aumentato del 20%.
Il documentario mostra in primo luogo il lavoro dei raccoglitori, che nelle piantagioni del Guatemala è svolto ancora totalmente a mano. Un lavoro a cottimo che coinvolge indistintamente uomini, donne e bambini che non hanno quindi la possibilità di frequentare la scuola. Un lavoro che ha bisogno di rinforzi stagionali e che quindi vede arrivare nelle piantagioni migliaia di persone ospitate temporaneamente nelle “galere”, così sono chiamate le baracche degli stagionali: senza corrente, acqua, servizi o appoggi sindacali.
Da qualche anno è entrata nel paese la produzione equa e solidale del caffè che, seppur con numeri esigui rispetto al mercato convenzionale, sta associando i lavoratori e dando valore al loro lavoro. Questo modo di produrre e commercializzare il caffè garantisce ai lavoratori un prezzo minimo, indipendentemente dalle oscillazioni del mercato, un bonus per ogni sacco raccolto e alcuni servizi. Se un sacco di caffè equo­solidale viene infatti pagato 140 dollari e uno di caffè della produzione tradizionale ne vale 70 è proprio perché i coltivatori sono le vittime del mercato mondiale, soprattutto se si pensa che sugli scaffali dei negozi europei il caffè equo e solidale ha un costo uguale o talvolta minore di quello della produzione tradizionale.
L'amaro sapore del caffè 1/2
Il Commercio Equo e Solidale
E' un approccio alternativo al commercio convenzionale; esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l’ambiente, attraverso il commercio, la crescita della consapevolezza dei consumatori, l’educazione, l’informazione e l’azione politica. Il Commercio Equo e Solidale è una relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: produttori, lavoratori, Botteghe del Mondo, importatori e consumatori.
(Art. 1, Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale)
Per conoscere meglio la produzione equa e solidale del caffè, e più in generale il commercio equo e solidale, in Trentino si può far riferimento alla Cooperativa Mandacarù di Trento che ha individuato in questo tipo di commercio, nella finanza solidale e nell'educazione allo sviluppo i mezzi per coniugare riflessione e tensione ideale con scelte concrete di cambiamento in campo economico e finanziario.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
il commercio equo e solidale
● Come funziona il commercio equo e solidale rispetto a quello tradizionale? In che modo viene ripartito il guadagno della vendita del caffè nell'uno e nell'altro modo di produrre?
● Qual'è l'atteggiamento delle grandi multinazionali in questo documentario?
Il lavoro
● Descrivi la vita dei lavoratori delle piantagioni del Guatemala.
● Come si vede nel film, in Guatemala il Governo impone che i bambini non possano lavorare nelle piantagioni ma per i proprietari terrieri è semplice aggirare tali restrizioni. Di chi sono le colpe? Dove sta il problema di fondo? Il caffè ● Qual'è la storia del caffè? Quali le origini di questa bevanda e la sua diffusione nel mondo?
● Quali sono le cause della crisi attuale del mercato del caffè?
Sul piano del contesto
● Nel documentario si fa riferimento al genocidio di diecimila persone in Guatemala. Conosci la storia recente di questo paese?
Documentario adatto agli studenti dell'ultimo anno della scuola secondaria di I° grado, agli studenti della scuola secondaria di II° grado e degli istituti professionali. L'amaro sapore del caffè 2/2
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Si può parlare di sceneggiatura in questo cortometraggio? ● Perché comunque non lo si può considerare un documentario?
Rispetto alla trama
● Qual'è l'intento di questo film? ● Quali sequenze ti sono rimaste più impresse? ● Il Balafon è uno strumento musicale tradizionale, simile allo xilofono. E’ fatto di lamelle di legno o metallo, che vengono percosse da martelletti maneggiati dal suonatore. Il suono si produce in quanto sotto ogni lamella c’è una zucca vuota di diversa grandezza, che fa da cassa di risonanza. Conosci gli altri strumenti che vengono suonati nel film? La strada
● I bambini del film passano molto del loro tempo per strada, come la vivete invece tu ed i tuoi compagni? ● Chiedi ai tuoi nonni come vivevano la strada loro quando erano piccoli. Che cosa è cambiato?
Il contesto
● Il Burkina Faso è il paese africano che ospita l'ambientazione di questo film: quali sono la geografia del suo territorio e al momento la sua situazione economico/politica?
● Anche il film Yaaba di Idrissa Ouedraogo è ambientato in Burkina Faso, guardalo e cerca di notare le differenze o le similitudini ambientali rispetto a A nous la rue.
Per il suo carattere essenzialmente illustrativo il film è adatto già a partire dai primi anni della scuola primaria. A nous la rue 2/2
Arafat
(trasmissione RAI “Correva l'anno”)
regia di Andrea Bevilacqua
Italia, 2004, 58'
Trasmissione televisiva
VHS
"Oggi sono venuto con un ramoscello di ulivo e un fucile da combattente per la libertà.
Non lasciate che il ramoscello di ulivo cada dalla mia mano"
(Yasser Arafat, Assemblea generale delle Nazioni Unite 1974)
La trama
Arafat è il titolo della puntata di “Correva l'anno” (trasmissione RAI) interamente dedicata alla biografia del leader palestinese Yasser Arafat: dal 1947 quando l'ONU ripartì i territori alla sua morte avvenuta l'11 novembre 2004 in Francia.
Ricco di immagini di repertorio, il documentario è una cronaca dettagliata degli eventi: dalla fondazione di “Al Fatah” in una casa privata di Kuwait City fino alla Presidenza del Comitato Esecutivo dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), alla “Guerra dei sei giorni”, lo scoppio dell`Intifada, la stretta di mano tra Rabin e Arafat sul prato della Casa Bianca alla presenza del Presidente Clinton, e ancora, la proclamazione dello Stato di Palestina e l`11 settembre del 2001, con la tragedia delle Twin Towers.
Protagonisti, insieme ad Arafat, i leaders del mondo arabo e non solo (Nasser, Anwar al­Sādāt, Gheddafi, Yitzhak Rabin, Clinton...) i loro interessi, i loro “giochi diplomatici”, quelli degli Usa, la politica dell'Europa. E, su tutto, i tanti attentati, la minaccia del terrore a livello internazionale e le sofferenze del popolo palestinese.
Il documentario, che concentra in poco meno di un'ora l'intera storia politica di Arafat, può risultare troppo rapido e pesante per gli studenti che per la prima volta si approcciano alla “Questione palestinese”, si consiglia pertanto di prepararli prima della visione con una versione più semplificata della storia. Per contro risulta molto chiaro il commento finale dello storico e giornalista Paolo Mieli, direttore del Corriere della Sera, che sottolinea l'importanza degli “anni della speranza” e degli “anni della sconfitta” nella storia del grande leader politico e la sua più nobile aspirazione: il diritto del suo popolo ad avere una terra. Arafat 1/2
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
La “Questione palestinese”
● Negli anni a cavallo fra '800 e '900, periodo nel quale le potenze europee, in primis l'Inghilterra, decidevano le sorti della Palestina e incoraggiavano il movimento sionista ad occuparla, la Palestina non era un territorio desertico. Era, all'opposto, un paese dove viveva una comunità politica e civile composta di oltre seicentomila persone, che dava nome al territorio in cui viveva da millenni. I palestinesi parlavano l'arabo ed erano in gran parte mussulmani sunniti, con la presenza di minoranze cristiane, druse e sciite, che utilizzavano anch'esse la lingua araba. Grazie all'elevato livello di istruzione, la borghesia palestinese rappresentava una élite della regione mediorientale: intellettuali, imprenditori e banchieri palestinesi occupavamo posti strategici nel mondo politico arabo, nella burocrazia e nelle industrie petrolifere del Golfo Persico. Questa era la condizione sociale e demografica della Palestina nei primi decenni del 1900 e tale sarebbe rimasta fino a poco prima della proclamazione dello Stato d'Israele nella primavera del 1948: in quel momento in Palestina era presente una popolazione autoctona di circa un milione e mezzo di persone (mentre gli ebrei, nonostante l'imponente flusso migratorio del secondo dopoguerra, superavano di poco il mezzo milione). L'intera vicenda dell'invasione sionista della Palestina e della autoproclamazione dello Stato di Israele ruota dunque attorno ad un'operazione ideologica che poi si incarnerà in una sistematica strategia politica: la negazione dell'esistenza del popolo palestinese. Confronta la distribuzione degli insediamenti ebraici in Palestina nel 1947 con la spartizione del territorio secondo la risoluzione ONU del 1948 e descrivi come vive da allora il popolo palestinese.
● Cosa sono l'OLP, “Al Fatah” e l'intifada?
● Paolo Mieli parla di “anni della speranza” e di “anni della sconfitta”, quali fatti della storia include nell'uno e nell'altro gruppo?
● Che cos'è una “Nazione senza Stato”... conosci degli esempi?
Il terrorismo
● Conosci i fatti inerenti l'attentato delle Olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972 ed il dirottamento dell'Achille Lauro (1985)?
Approfondimenti ● Il film “Ticket to Jerusalem” (2002) di Rashid Masharawi racconta come una coppia palestinese, Jaber e Sanah, vive in un campo profughi mentre “Jenin, Jenin”, del regista arabo­israeliano Mohammad Bakri (2002), è un documentario sull’incursione israeliana nel campo profughi palestinese.
● Il film “Munich” diretto da Steven Spielberg nel 2005 racconta come durante le Olimpiadi di Monaco del 1972, undici atleti israeliani vennero presi in ostaggio e uccisi da un gruppo di terroristi palestinesi denominato “Settembre Nero”.
● Conosci il fumetto di Naji al­Ali “Handala”? Handala ha dieci anni, piedi nudi e toppe sui vestiti. E' difficile vederne il volto perché sta sempre di spalle: una presenza muta ma ostinata, come quella del popolo palestinese. Come quella di un popolo al quale si vuole negare identità, ma che come Handala, c'è e anche se senza volto riesce a gridare contro la negazione. www.handala.org
Documentario adatto agli studenti della scuola secondaria di II° grado e degli istituti professionali.
Arafat 2/2
L'autre ecole
(L'altra scuola)
di Nissi Joanny Traoré
Sceneggiatura: Nissi Joanny Traoré
Interpreti: Armel Sare, Kaddja Traore, Adama M. Taore,
Karim Zemane, Alexis Konkobo.
Burkina Faso, 1986, 28’.
versione originale doppiata in italiano
VHS
La trama.
Il cortometraggio L'autre ecole è la storia di Abou, un ragazzino del Burkina Faso, che per studiare viene inviato dal villaggio in città a casa di una zia. Dalla lettera che Abou porta con sé e che ha promesso di consegnare all'anziana donna, si evince il sacrificio che la sua famiglia si sta assumendo, investendo nella sua istruzione e accettando di separarsi da un figlio che potrebbe dare una mano nel lavoro. “Se puoi aiutalo, se non puoi rimandamelo, può badare alle pecore” scrive infatti il padre alla zia nella lettera. La zia lo accoglie con affetto e dopo alcune titubanze gli promette di mantenerlo negli studi grazie al suo piccolo commercio.
Abou inizia ad andare a scuola ma ben presto non può più frequentarla perché la zia non ha provveduto a pagare le tasse scolastiche. In aula, infatti, proprio durante una lezione, entra il direttore e senza mezzi termini legge il nome degli alunni i cui genitori non hanno pagato la retta e li invita ad andarsene. Il piccolo Abou con altri compagni si alza e se ne va, ma non ha il coraggio di rivelarlo ai genitori e alla zia, perché nel frattempo la donna si è ammalata ed è lei stessa ad aver bisogno di cure e denaro per le medicine.
Abou comincia a questo punto la disperata ricerca di una qualsiasi occupazione che possa procurargli un po' di soldi. Così la strada diventa “l’altra scuola”, una scuola di vita, nella quale Abou prova a sopravvivere. Diventa lustrascarpe, ma la fatica è molta e i guadagni insufficienti. Si aggrega nel frattempo ad una banda di "bambini di strada", dediti al furto di pezzi di ricambio di auto e al fumo di sostanze stupefacenti ma la sua vita "on the road" durerà poco: ritrovato da un conoscente, uscirà di scena e forse sarà ricondotto dai genitori, dalla zia oppure a scuola, ma in questo caso dovrà escogitare un nuovo stratagemma per poter far fronte al pagamento delle tasse scolastiche.
Nissi Joanny Traoré
E' nato nel 1952 in Burkina Faso.
Come altri colleghi africani si diploma all'INCA di Parigi ed in seguito insegna tecniche cinematografiche nel suo paese d'origine.
Oltre a L'autre ecole ha diretto il lungometraggio Sabadu del 1992.
L'autre ecole 1/2
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Rispetto alla trama
● Nel film vediamo come passano il tempo i ragazzi che non vanno a scuola e che non hanno un lavoro: si danno appuntamento nelle sale giochi o nel “cimitero di macchine”, dove tra i rottami fumano e si preparano a un futuro di ladruncoli spinti anche da adulti disonesti. Come si sente Abou in questa situazione?
● Durante una lezione il maestro detta il titolo di un tema: “Quale lavoro vorreste fare da grandi? Spiegate le ragioni della scelta”. Il regista decide di lasciare sospesa la risposta del protagonista e degli altri bambini: prova a svolgere il tema come se a scrivere fosse Abou e poi confronta quello che hai scritto con una tua personale risposta.
Diritto all'istruzione
● Come nel film Nyamanton di Cheick Oumar Sissoko (anch'esso presente al Centro Millevoci) anche in L'autre ecole la scuola non è un diritto garantito a tutti i bambini. Confronta questa affermazione con i dati pubblicati nell'ultimo rapporto UNICEF sulla condizione dell'infanzia nel mondo (scaricabile dal sito www.unicef.it). Il contesto
● Quando la zia di Abou si ammala, si stende su di una stuoia fuori dalla sua casupola di fango e lì riposa. Siamo in città, dove, al posto della tradizionale abitazione rurale (ben visibile per esempio nel film Yaaba di Idrissa Ouedraogo presente al Centro Millevoci), ci sono casette composte normalmente di due o tre stanze in genere senza finestre. Questo film ci mostra anche la periferia della città: vie fangose, polverose, sconnesse, sporche, dove circolano liberamente animali domestici e randagi. Ben diverso è il centro della città dove si ergono condomini eleganti, negozi e bar per la gente benestante. Confronta la periferia e la città che vengono illustrate nel film e raffrontale in un secondo momento con i sobborghi ed il centro della tua città. ● Il film si apre sulla strada che congiunge i villaggi sparsi nella savana a Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso. Merci, animali e persone viaggiano sui i tipici “taxi­brousse”, auto o camioncini collettivi adattati per portare di tutto. A un certo momento si assiste al sorpasso di un taxi­brousse carico di cotone. La coltivazione del cotone è una delle più importanti per l'economia del Burkina Faso: solo in parte lavorato nel paese, viene poi esportato in Francia e in Europa per essere trasformato in tessuto, quindi ritorna in Africa dove viene rivenduto ad un prezzo molto elevato per l'economia locale. Con l'aiuto del tuo insegnante studia questi passaggi e commentali.
Film semplice e breve. La visione è adatta a partire dalle prime classi della scuola primaria, anche grazie al doppiaggio.
L'autre ecole 2/2
Bambini nel mondo: Americhe
di Giovanna Cossia e Marco De Poli
Italia, 58' (totali).
versione originale doppiata in italiano
documentario
VHS
"Gli indigeni non sono ancora ascoltati con attenzione. Ascoltateli. È quello che desiderano perché hanno conservato tanti valori controcorrente. Eppure nei vostri paesi nascono ancora istituti universitari per studiare gli indigeni. Noi non siamo e non vogliamo essere una specie protetta come ha affermato il delegato brasiliano, convinto di fare un'affermazione umanitaria. Noi non siamo farfalle, siamo esseri umani pensanti. Perché non si accetta l'idea che i popoli indigeni potrebbero insegnare, a loro volta, qualcosa al mondo di oggi?"
(Rigoberta Menchu)
La trama.
Bambini nel mondo: Americhe è un film composto da quattro cortometraggi che vuole far conoscere i modi di vivere di alcuni bambini in America Latina.
Brasile non solo di strada. 14 '
Il Brasile è il paese più esteso e più ricco dell'America meridionale. Ha più di 160 milioni di abitanti ed una crescente urbanizzazione della popolazione che oggi arriva a superare il 70% del totale e che da vita alle ben note favelas: disordinati agglomerati di baracche privi di servizi e ad alto rischio sicurezza per la popolazione. Il 40­45% dei brasiliani vive oggi in condizioni di povertà. Da Belo Horizonte a Recife, fino a Salvador de Bahia il documentario racconta la storia di quei bambini che, soli per le strade, ogni giorno lottano per cercare di sopravvivere. Il cortometraggio mette inoltre in risalto la moltitudine di culture che da secoli convive in questo grande paese, a partire dal tratto più marcato: la discendenza degli schiavi africani che oggi rappresenta circa la metà della popolazione.
Bambine dalle Ande. 14'
I popoli delle Ande discendono dagli abitatori del grande impero degli Inca, il Tahuantinsuyu, che in epoca precolombiana comprendeva un'area di circa duemilionisettecentomila chilometri quadrati: gli attuali Bolivia, Perù ed Ecuador.
I bambini e le bambine di questi popoli non sempre possono frequentare la scuola e quando hanno la fortuna di poterlo fare nel restante periodo di tempo sono costretti a lavorare.
Bambini del mondo: Americhe 1/20
Le bambine, in particolare, oltre ad occuparsi del lavoro dei campi, dell'allevamento degli animali e di tenere in ordine la casa spesso sono costrette a lasciare il villaggio per lavorare come domestiche in città, in particolare in Perù, dove la grande crisi economica ha obbligato migliaia di persone ad emigrare dalle Ande verso la capitale in cerca di lavoro. Enormi responsabilità sulle spalle di questi bambini che, unite al drammatico problema della fame e della malnutrizione, producono un calo nel loro rendimento intellettuale e un alto abbandono scolastico.
Guatemala: costruire la pace. 16'
Il Guatemala, come molti paesi dell'America Latina, è un “mosaico etnico”. La maggior parte della sua popolazione appartiene a 22 differenti etnie indigene, discendenti degli antichi Maya, ognuna con la propria lingua. Ogni mattina a Città del Guatemala migliaia di bambini, invece di recarsi a scuola, scendono nelle piazze del centro storico per i piccoli commerci che gli permettono si sopravvivere. Vendono candele, palloncini colorati o cose da mangiare; si ingegnano lustrascarpe o, con molta fantasia, qualcuno mette a disposizione dei passanti una bilancia pesapersone e si fa pagare pochi centesimi per il servizio. Nelle zone montuose del paese le comunità indigene vivono ancor più disagiate: bambini e ragazzi si occupano dei lavori agricoli, della cura del bestiame e della tessitura e pochi hanno la fortuna di frequentare la scuola. L'analfabetismo in Guatemala supera infatti il 70%. Eppure per molti bambini la scuola sarebbe l'unica possibilità per imparare la lingua ufficiale del paese, lo spagnolo, e attenuare, se non cancellare del tutto, la loro condizione di emarginazione.
Dopo tanti anni di guerra civile finalmente in Guatemala è arrivata la pace ma nelle esperienze dei ragazzi e delle ragazze di questo paese il dramma è ancora vivo e presente. Cuba: un'infanzia protetta. 14'
A Cuba il 25% della popolazione ha meno di 15 anni.
Ogni scuola dell'isola mostra immediatamente il carattere multietnico della società cubana, dove ai discendenti dei colonizzatori spagnoli si affiancano quelli degli schiavi africani.
Con la rivoluzione la scuola è garantita a tutti i bambini e sono molti gli studenti che accedono agli studi superiori e universitari. L'analfabetismo è stato sconfitto ed il tasso di scolarizzazione si avvicina oggi al 100%.
Il sistema sanitario nazionale è uno dei più efficienti dell'America Latina ma a causa del crollo dell'Unione Sovietica, prima, e dell'embargo, poi, il tasso di malnutrizione della popolazione è in forte crescita: due indicatori contrastanti, che non si verificano in nessun altro paese del mondo.
Il clima tropicale di Cuba fa si che gran parte della vita si svolga all'aperto: per le strade e nelle piazze, intere classi fanno ginnastica sotto gli occhi attenti degli insegnanti; o giocano liberamente, con allegria contagiosa e spensierata nelle ore libere. Nonostante le grandi difficoltà che Cuba incontra per portare avanti il suo modello di sviluppo non si può negare che la sua l'infanzia sia protetta.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Colonialismo in America Latina
● I racconti che compongono Bambini nel mondo: Americhe descrivono la situazione dell'infanzia in alcuni paesi dell'America meridionale, situazioni fortemente condizionate dal passato coloniale che questi Stati hanno vissuto. Svolgi una ricerca su questo periodo storico e ricerca quanto le tracce di questa dominazione siano riscontrabili ancor oggi in questi paesi. ● Con quali dinamiche avvenne la deportazione degli schiavi dall'Africa in America a partire dal XVI secolo?
Bambini del mondo: Americhe 2/20
“Dalla parte delle bambine”
● Il documentario “Bambine delle Ande” racconta di quelle bambine che sono costrette a lasciare le loro famiglie nei villaggi sulle Ande per recarsi nelle grandi città a lavorare come domestiche. Il film riprende alcuni fotogrammi del lungometraggio Antuca di Maria Barea (presente al Centro Millevoci) guardalo e approfondisci questo argomento. Inurbamento
● Quali paesi al mondo stanno conoscendo un forte inurbamento? Perché questo sta avvenendo e che cosa comporta?
Embargo
● Che cos'è l'embargo? Quali paesi al mondo sono oggi soggetti a questa restrizione? Quali conseguenze comporta nella vita della popolazione?
La scuola
● Confronta le scuole dei diversi paesi raccontati in Bambini nel mondo: Americhe: le aule, le divise, le classi, ... Guarda poi i film L'autre ecole di Nissi Joanny Traoré ­ Burkina Faso e Impronta digitale di Sai Paranjpye ­ India (entrambi presenti al Centro Millevoci) e confrontali con le esperienze scolastiche presenti in questo documentario.
“Proteggere l'infanzia”
● Istruzione, alimentazione e gioco sono tre argomenti che più volte vengono sottolineati nei quattro documentari che compongono Bambini nel mondo: Americhe. Confronta le esperienze di questi bambini con gli articoli della convenzione dei diritti dell'infanzia approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e di seguito allegata.
Film adatto dai primi anni della scuola primaria.
Bambini del mondo: Americhe 3/20
Bowling a Columbine
(Bowling for Columbine)
Scritto, prodotto e diretto da Michael Moore
Stati Uniti, 2002, 120'.
versione originale inglese doppiata in italiano
VHS
""Qualcosa non va in questo paese”.
(Citazione dal film)
La trama.
Il 20 aprile 1999 è una data nota al mondo per essere stato il giorno del più imponente bombardamento americano sul Kosovo; ma la mattina di quello stesso giorno è accaduta anche un'altra cosa: a Littleton, piccola cittadina vicino a Denver in Colorado, due diciassettenni, Eric Harris e Dylan Klebold, dopo aver giocato a bowling sono entrati nella loro scuola e hanno ucciso a colpi di fucile dodici compagni e un insegnante. Partendo da questo evento, il regista Michael Moore si domanda quale sia la ragione che porta gli Stati Uniti d'America ad avere il primato mondiale di omicidi con armi da fuoco, distaccando enormemente gli altri paesi industrializzati (sono quasi 11.200 gli omicidi l'anno negli USA, contro i 400 scarsi in Germania o i 60 in Giappone).
Bowling a Columbine è un film documentario che alterna interviste a riprese televisive, a immagini di repertorio, cartoni animati e registrazioni del sistema a circuito chiuso della Columbine Hight School. E' un viaggio attraverso gli Stati Uniti. Un paese dove se apri un conto corrente presso una certa banca ti regalano un fucile e ti spiegano come utilizzarlo; dove le armi possono essere acquistate legalmente in molti negozi e i proiettili comperati in una qualsiasi ferramenta; dove uomini e donne si organizzano in milizie cittadine, con tanto di campi di addestramento e tute mimetiche; dove gli abitanti dei quartieri residenziali scambiano il diritto alla difesa con il dovere di possedere armi.
Bowling a Columbine è stato il primo film documentario accettato in concorso al Festival di Cannes e la giuria gli ha assegnato all'unanimità il Premio speciale della 55a edizione. L'anno successivo ha vinto il premio Oscar 2003 come miglior documentario.
Michael Moore
E' nato a Flint, Michigan, Stati Uniti d'America nel 1954. Noto regista e sceneggiatore di documentari dalla feroce satira contro il potere dominante delle major e del business specialmente in America è anche scrittore di molti romanzi di successo.
Nel documentario del 1989 Roger & Me il suo attacco era diretto contro la General Motors, Bowling a Columbine 1/3
colpevole a suo dire, di "avere distrutto Flint nel Michigan", riducendo di circa 30.000 posti di lavoro la fabbrica ivi ubicata.
Nel 1999 ha condotto il programma televisivo via cavo The Awful Truth dove ha messo alla berlina le pecche dei potenti ed evidenziato con sarcasmo le ingiustizie delle grandi società di affari statunitensi (dall'industria, alle assicurazioni, al governo).
Nel 2004 ha presentato Fahrenheit 9/11 ove pone al centro dell'attenzione la guerra in Iraq scatenata da George W. Bush dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 alle “torri gemelle”. Il film ha riscosso un grandissimo successo di pubblico in America e scatenato notevoli polemiche. La pellicola è risultata vincitrice della Palma d'Oro al Festival di Cannes sotto la giuria guidata da Quentin Tarantino.
Il suo ultimo lavoro è Sicko del 2006, nel quale racconta la sanità nel suo paese.
Filmografia completa
* Roger ed io (Roger & Me) (1989)
* Pets or Meat: The Return to Flint (1992) ­ TV
* Two Mikes Don't Make a Wright (1992) ­ TV
* TV Nation (1994­1995) ­ serie TV
* Canadian Bacon (1995)
* The Big One (1997)
* TV Nation (1997)
* TV Nation 2 (1997)
* And Justice for All (1998) ­ TV
* The Awful Truth (1999) ­ serie TV
* Bowling a Columbine (Bowling for Columbine) (2002)
* Fahrenheit 9/11 (2004)
* Sicko (2006)
Bibliografia
* Giù le mani! (Downsize this!) (1996)
* Adventures in a TV Nation (1998)
* Stupid White Men (2002)
* Ma come hai ridotto questo paese? (Dude Where's My Country?) (2003)
* Will They Ever Trust Us Again? (2004)
* The Official Fahrenheit 9/11 Reader (2004)
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Per trasmettere i suoi messaggi, in Bowling a Columbine Moore utilizza diversi stili di editing (drammatico, divertente, sconvolgente, satirico, ecc... ). Descrivili e prova a spiegare se questa mescolanza secondo il tuo punto di vista è efficace oppure no.
Armi
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Il Secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America garantisce il diritto di possedere armi, ma come viene interpretato dai cittadini intervistati nel film questo diritto?
In che modo altri paesi regolano il possesso di armi? Ad esempio il Canada, la Gran Bretagna, l'Italia, la Francia, la Germania, ecc.)
Michael Moore chiede al responsabile della fabbrica di missili, sita nel distretto di Columbine, che cosa secondo lui possono pensare gli adolescenti della zona dei loro genitori che la mattina escono di casa per andare al lavoro ed entrano in una fabbrica dove si producono armi di distruzione di massa. Gli domanda se ci può essere attinenza con quanto accaduto alla Columbine High School ma l'uomo nega con sicurezza ... tu che cosa ne pensi? Bowling a Columbine 2/3
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Charlton Heston, noto attore americano, è oggi presidente della National Rifle Association. Di che associazione si tratta?
Media
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Quale ruolo svolgono i media nell'alimentare la cultura della paura e la crescita del “razzismo bianco” negli Stati Uniti?
In Italia, i media (TV, giornali, ...) spesso parlano di “allarme sicurezza” vi è attinenza con l'atteggiamento tenuto dai media americani? Se si, perché?
Immagina di essere un giornalista che vuole scrivere un articolo sui fatti della Columbine Hight School: scrivi la traccia della tua intervista a Matt Stone, Charlton Heston e Marilyn Manson.
Rispetto al contesto
● Il documentario ad un certo punto è intermezzato da un rapidissimo cartone animato che racconta la storia degli Stati Uniti d'America: dall'arrivo dei pellegrini alle guerre del Golfo. Perché Michael Moore ha ritenuto importante partire dall'esame della storia degli Stati Uniti per spiegare il complesso problema della detenzione e dell'uso delle armi nel suo paese? Film adatto agli studenti della scuola secondaria di I° e II° grado e della formazione professionale. Bowling a Columbine 3/3
Il cacao
di Gianni Beretta e Consuelo Marcoli
Svizzera, 2006, 34'.
Documentario
Versione originale doppiata in italiano
DVD
“I lavoratori delle piantagioni recavano il vischio del cacao molle attaccato alla pianta dei piedi, come una spessa scorza che nessuna acqua al mondo avrebbe mai lavato. Ma tutti avevano il vischio del cacao attaccato all'anima, nel profondo del cuore”.
(Jorge Amado)
La trama
14 milioni di lavoratori al mondo sono occupati nella produzione di cacao. Si tratta della terza materia prima per importanza, dopo petrolio e caffè.
Le più grandi piantagioni di cacao si hanno in Africa Occidentale: Costa d'Avorio e Ghana in particolare ma il cacao più pregiato viene raccolto in Ecuador. Utilizzato in pasticceria soprattutto per la produzione di cioccolato fondente offre qualità più raffinate e profumate rispetto a quello africano.
Il documentario mostra la fase iniziale della sua produzione e mette in risalto il duro lavoro dei contadini ecuadoreni: dalla raccolta nelle piantagioni dei grossi frutti variopinti (le cabosse) si passa all'estrazione del grappolo di semi, bianco e viscido, che è custodito al loro interno e successivamente alla fermentazione e ad una prima parziale essiccatura. A questo punto i contadini portano i loro preziosi sacchi agli intermediari che poi venderanno le fave di cacao ai grossisti che si occupano dell'esportazione del prodotto nel resto del mondo.
Un sacco di cacao viene pagato 60­70 dollari americani al cacautero mentre sul mercato ne vale circa il doppio. I contadini non sanno a quanto si vende il loro cacao e tanto meno a quanto viene scambiato nelle borse dei futures di Londra o New York. Sanno solo che non potranno comperare ai loro figli le deliziose praline, prodotto finito del loro lavoro, e si dovranno accontentare di una miscela fatta in casa. Si stima infatti che nelle tasche dei cacauteros finisca solo il 5% del costo finale di una tavoletta acquistata nei nostri supermercati.
Nel 1979 Padre Graziano Mason ha fondato in Ecuador l'associazione “Maquita – MCCH” che oggi coinvolge circa 8000 coltivatori di cacao. L'associazione si prefigge il miglioramento delle condizioni di lavoro dei coltivatori e il reinvestimento degli utili per fini formativi, con lo scopo di innalzare la qualità della materia prima prodotta: unico modo per essere competitivi sul mercato. Certo “Maquita” non riesce ad essere concorrenziale alla multinazionale “Nestlè”, che peraltro in Ecuador esporta più semilavorati che materia prima, ma si sta ingrandendo sempre più e sta aiutando i contadini a far fronte alla crisi degli ultimi anni. “Maquita” vende al mercato equo e solidale, ma non solo, esso infatti non è in grado di assorbire tutta la sua produzione e circa il 98% del cacao prodotto dall'associazione approda sul mercato convenzionale.
Il cacao 1/2
Il Commercio equo e solidale
è un approccio alternativo al commercio convenzionale; esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l’ambiente, attraverso il commercio, la crescita della consapevolezza dei consumatori, l’educazione, l’informazione e l’azione politica. Il Commercio Equo e Solidale è una relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: produttori, lavoratori, Botteghe del Mondo, importatori e consumatori.
(Art. 1, Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale)
Per conoscere meglio la produzione equa e solidale del cacao, e più in generale il commercio equo e solidale, in Trentino si può far riferimento alla Cooperativa Mandacarù di Trento che ha individuato in questo tipo di commercio, nella finanza solidale e nell'educazione allo sviluppo i mezzi per coniugare riflessione e tensione ideale con scelte concrete di cambiamento in campo economico e finanziario.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Il lavoro
● Descrivi il ciclo di lavorazione del cacao come si vede nel documentario.
● Quali sono le condizioni di lavoro e di vita dei cacauteros ecuadoreni?
● Jorge Amdo e' uno dei più noti scrittori brasiliani. Nato nel 1912 a Itabuna è morto nel 2001 a Salvador de Bahia. I suoi romanzi affondano le radici nella vita quotidiana, nelle tradizioni e nel lavoro del popolo brasiliano. Cacao, il romanzo a cui si fa riferimento nel documentario, racconta la dura vita dei lavoratori nelle piantagioni di cacao del Sud dello stato di Bahia negli anni'30.
Il cacao
● Qual'è la storia del cacao? Quali le origini di questo prodotto e la sua diffusione nel mondo?
● Quali sono le cause della crisi attuale del mercato del cacao?
Sul piano del contesto
● L’Ecuador ha altissime potenzialità in campo economico. Il paese è infatti ricco di materie prime, soprattutto di petrolio, il cui sfruttamento però va ad arricchire, in maniera smisurata, poche persone locali e molte compagnie straniere, mentre la maggior parte della popolazione vive in condizioni di disagio e di povertà. Svolgi una ricerca su questo argomento e successivamente individua quali prodotti alimentari, che abitualmente trovi sulla tua tavola, provengono da questo paese.
Documentario adatto agli studenti dell'ultimo anno della scuola secondaria di I° grado, agli studenti della scuola secondaria di II° grado e degli istituti professionali. Il cacao 2/2
La città delle differenze
un progetto della Diocesi di Verona, dell'Università di Verona e del Cestim
Italia, 2005, 67' (Totali)
DVD + CD
"L'essere umano è nemico di quello che ignora".
(Imam di Verona, citazione dal film)
La trama.
La città delle differenze è un DVD contenente filmati, reportage e un cartone animato. Il CD ROM allegato raccoglie sussidi didattici elaborati dal Centro Studi Interculturali dell'Università di Verona.
Il materiale, molto frammentato, è costituito da alcuni cortometraggi che bene si prestano a trattare temi specifici della migrazione ma non a dare un quadro completo della situazione.
"Storie di nuovi cittadini” ­ filmati.
“Telefonando a casa” 11'
Una ragazza indiana, una donna moldava, un ragazzo peruviano, un uomo marocchino telefonano ai propri cari nei loro paesi d'origine e parlano con loro delle difficoltà quotidiane: il permesso di soggiorno, l'alloggio, il lavoro, la fatica di vivere divisi tra due mondi e la nostalgia per le famiglie lontane.
“Daniel professione musicista” 5'
Daniel è un ragazzo che viene dal Ghana e da qualche anno vive a Verona. Suona la chitarra, la testiera, il basso e le percussioni e in Italia ha realizzato il suo sogno: diventare un musicista professionista.
“Oggi sposi” 5'
Christoph, originario del Senegal, e Nadia, di Verona, sono prossimi al matrimonio. In un'intervista doppia viene chiesto loro che cosa significa essere una “coppia mista”. “Due o tre cose che (non) so di lui” 9'
Chamal viene dallo Sri Lanka e a Verona suona con un gruppo di connazionali la musica tipica del suo paese; il dott. Monteiro della Guinea Bissau lavora da anni come infettivologo all'Ospedale di Negrar (VR); Edmond è albanese e lavora come cameraman per un'emittente locale. Tutte esperienze di immigrazione che fanno cadere i pregiudizi negativi che gli italiani hanno creato nei confronti degli immigrati.
"La città delle differenze“ 30' ­ reportage
“La percezione del disagio” nel quartiere di “Veronetta” dalla voce di un residente di via XX settembre e di una commerciante del quartiere.
“Immigrazione e criminalità”. Un poliziotto, attraverso i dati della questura di Verona, sfata i pregiudizi che hanno originato questo connubio.
La città delle differenze 1/2
“La dimensione religiosa”. Il parroco di lingua romena della Chiesa Ortodossa di Verona e alcuni musulmani che si stanno recando alla Moschea parlano della convivenza tra religioni diverse in questa città.
“Auto­imprenditorialità”. Un parrucchiere marocchino ha avviato un proprio negozio in zona stadio a Verona; un cuoco romeno gestisce un ristorante che prepara piatti tipici della cucina romena congiuntamente a specialità della trazione veronese.
“Lavoro dipendente”. Immigrazione come risorsa e non come minaccia.
“Conservazione dell'identità culturale”. Sono 170 i bambini che la domenica mattina frequentano la scuola di lingua araba presso il Centro culturale della Comunità Islamica di Verona.
“Tempo libero”. Lo sport aiuta a sopportare la lontananza dal proprio paese e favorisce l'incontro e l'integrazione.
"Hill arriva in città“. 7'
Hill è un pupazzetto arancione che arriva a Verona e vi si muove confuso e spaesato. Non conosce le abitudini della città, i suoi ritmi e le sue strade.
Di fronte all'indifferenza della gente, che lo scansa noncurante delle sue paure, prova molto dispiacere, fino a quando incontra Leonardo e Samuel che incuriositi gli domandano la sua storia e alla fine lo invitano a giocare con loro.
Hill arriva in città è il racconto della città vista attraverso gli occhi dello straniero, tentativo di far capire ai più piccoli cosa prova chi viene da lontano e si trova solo in un luogo sconosciuto.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
“Conoscere oltre gli stereotipi”
● Riusciamo a leggere, nel volto di uno straniero, la storia di una persona? Riusciamo a sfuggire agli stereotipi, alle facili etichette "straniero”, "immigrato", "extracomunitario" e vedere oltre? Più siamo disposti ad ascoltare, più è facile riconoscere le individualità che si celano dietro volti che vediamo tutti uguali. Conoscere ha un effetto pratico: rende l'intolleranza e il rifiuto più difficili e facilita il confronto e la convivenza. Condividi questa affermazione?
● Confronta le esperienze degli immigrati raccolte in questi filmati con quelle dei documentari Racconto straniero di Daria Menozzi, Immigrazione in 3D di Maria Chiara Martinetti e Pomodoro nero Literno di Edoardo de Falchi e Lorenzo Calanchi (tutti presenti al Centro Millevoci).
Immigrazione
● Servendoti del Rapporto immigrazioni pubblicato ogni anno dalla Caritas confronta il fenomeno immigratorio in provincia di Verona con quello in provincia di Treno: dimensioni, tendenze, paesi di provenienza, occupazione.
Hill arriva in città
● L'incontro tra chi arriva e chi è qui da sempre: anche se tra bambini, anche se auspicato dai grandi, è comunque incertezza, diffidenza, prima di divenire ricchezza per gli uni e per gli altri. Rifletti su questo argomento e, se ne hai la possibilità, confronta la situazione ipotetica descritta nel cartone animato con dei casi concreti di alcuni amici o compagni.
I filmati e i reportage sono adatti agli studenti della scuola secondaria di I° e II° grado e agli studenti degli istituti professionali, il cartone animato agli alunni della scuola primaria.
La città delle differenze 2/2
La conchiglia
(Aleel)
di Abdulkadir Ahmed Said
Sceneggiatura: Abdulkadir Ahmed Said
Italia/Somalia, 1992, 30’.
versione originale somala sottotitolata in italiano
VHS
La trama.
Una pittrice intenta a dipingere un paesaggio marino trova sulla spiaggia deserta una bella e misteriosa conchiglia. Curiosa la raccoglie e ascolta l’eco delle onde ma con esse si leva anche una vocina: è il richiamo di una bambina, Sophie, che inizia a raccontare la sua storia. La bambina descrive la sua breve a tormentata vita e quella del suo villaggio, che una volta sorgeva rigoglioso sulla riva e che ora non c’è più. Una notte, infatti, una barca clandestina ha scaricato in mare delle sostanze tossiche che dapprima hanno avvelenato i pesci e i pescatori che si trovavano al largo e poi, via via, anche tutta la vegetazione e la popolazione che viveva su quel tratto di costa.
Il racconto di Sophie riprende dodici mesi dopo la catastrofe ecologica che ha contaminato quel lembo di terra, rovinando per sempre la natura e la storia di tante persone e descrive la sua morte.
La sequenza finale del film riprende la situazione iniziale della pittrice e accende un filo di speranza: da un gruppo di bambini sulla spiaggia si stacca correndo una bambina che la invita a giocare. Nel film ha lavorato tutta la popolazione di Gwendershe un paese sulle coste della Somalia.
Abdulkadir Ahmed Said
E' nato a Mogadiscio nel 1953. Nel 1970 ha iniziato a lavorare presso la Somaly Film Agency come fotografo, addetto alle relazioni internazionali e consulente per le produzioni con l'estero. È stato direttore di programmi per la televisione somala, nonché autore e regista di programmi di formazione (1984­86). Ha fatto l'assistente alla regia per le seguenti produzioni: A Somali Dervish (1983), A Parching Wind of Somalia (1984), Azzurra Somalia (1984), un programma RAI, e Un uomo di razza (1987), una produzione Istituto Luce­Saimon Cinematografica.
La conchiglia (Aleel) è il suo secondo cortometraggio, dopo quello di esordio, Geedka nolosha, realizzato nel 1987 e sempre dedicato a tematiche ecologiste.
La conchiglia 1/2
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Rispetto alla trama
● Partendo dal racconto di Sophie ricostruisci che cosa è accaduto al suo villaggio.
● Che messaggio ha voluto lanciare il regista con l'ultima scena del film?
La questione ambientale
● Lo smaltimento dei rifiuti pericolosi è un grave problema che coinvolge anche i paesi impoveriti, ed in particolare i paesi africani. Cosa sai al riguardo?
● Purtroppo sono molte le catastrofi ecologiche che si sono registrate nella storia mondiale recente: puoi illustrarne alcune? Il contesto
● La Somalia è stata per alcuni anni una colonia italiana. Svolgi una ricerca su questo periodo storico.
● La Somalia è il paese africano che ospita l'ambientazione di questo film: qual'è la sua situazione politica attuale? Cosa sai del conflitti in atto nel così detto 'Corno d'Africa'?
Film adatto a partire dagli otto anni per la presenza di sottotitoli. La conchiglia 2/2
Le cri du coeur
(Il grido del cuore)
di Idrissa Ouédraogo
Sceneggiatura: Idrissa Ouédraogo, Robert Gardner, Jacques Akchoti.
Interpreti: Richard Bohringer, Said Diarra, Félicité Wouassi, Alex Descas, Clémentine Celarié, Jean­Yves Gautier. Francia­Burkina Faso, 1994, 86'.
versione originale sottotitolata in italiano
VHS
“Che differenza c’è, secondo lei, fra l’Europa e l’Africa?”
“Che in Africa, quando guardi, vedi più lontano”.
(da un'intervista al regista Idrissa Ouédraogo)
La trama.
Il grido del cuore è un film idealmente e geograficamente diviso in due parti. La prima parte è girata in Mali, nel villaggio in cui Moctar, un ragazzino di circa dieci anni, vive con la madre Saffi e l'adorato nonno. Al villaggio la vita scorre tranquilla e serena, scandita dai tempi lenti e a contatto con la natura. Il bambino è felice, spensierato e totalmente integrato nella sua comunità. Vive un mondo che conosce bene e apparentemente non sembra soffrire per la mancanza del padre, emigrato in Francia molto tempo prima. Un giorno però arriva una lettera che cambierà per sempre la vita di Moctar: il padre, raggiunta con molti sacrifici una stabile posizione economica in Europa, vuole riunire la famiglia a Lione; ma mentre Saffi è contenta ed eccitata della notizia, Moctar è triste e spaventato e non vorrebbe partire.
A questo punto ha inizio la seconda parte del film e lo scenario muta sotto molteplici aspetti. Moctar e sua madre sono giunti in Francia. Il padre, dopo anni di duro lavoro, è riuscito ad aprire per conto proprio un'officina meccanica, ad avere una casa ed anche un'automobile. Saffi dinnanzi a tante novità si dimostra da subito molto felice e fiera del marito, mentre Moctar, al contrario, non sembra esserne attratto e nella nuova città si sente solo, spaesato e triste. Anche se a scuola va bene: trova fin da subito numerosi amici e si rivela un alunno brillante e preparato, qualcosa dentro di lui “non va” e ben presto inizia ad avere delle allucinazioni e a vedere una iena.
Man mano che i giorni passano il bambino cambia atteggiamento: è inquieto, non vuol più frequentare i suoi compagni e a scuola non riesce più a concentrarsi. Racconta della iena ai suoi genitori e agli insegnanti che però non gli credono e si limitano a rassicurarlo dicendogli che in Francia le iene non vagano per le strade, che non deve temere, e che la visione dell'animale è solo una sua fantasia. Ma tutte queste parole hanno solo il potere di farlo sentire ancora più emarginato e solo. Un giorno però Moctar conosce casualmente Paulo, un uomo adulto che è disposto ad ascoltarlo davvero. Paulo lo capisce e da subito si dimostra pronto ad aiutarlo. A differenza di tutti gli altri Le cri du coeur 1/3
infatti non cerca di convincere il bambino che la iena è frutto della sua immaginazione, anzi si fa raccontare di queste apparizioni, asseconda la sua inquietudine e cerca di comprendere quale significato possa avere nella mente del ragazzo e nella sua cultura di origine la iena. "Le iene”, aveva detto il nonno a Moctar, “hanno paura del fuoco", quindi una sera Paulo e Moctar ammassano vicino ad una discarica dove alle volte la iena appare cartoni e cassette di legno, accendono un grande fuoco e attendono l'arrivo dell'animale. Finalmente la iena appare ma ben presto alla vista del fuoco fugge, scomparendo per sempre anche dalla mente di Moctar. Idrissa Ouédraogo Nasce nel 1954 a Banfora in Burkina Faso. Diplomato all’Institut Africain des Études Cinématographiques di Ouagadougou, nel 1981 lavora presso la Direzione della Produzione Cinematografica del Burkina Faso. Dopo aver diretto il suo primo cortometraggio, Poko, ha vissuto per qualche tempo a Kiev. Nel 1985 si diploma all’Idhec di Parigi e in seguito consegue il diploma di studi cinematografici alla Sorbona. Con i film Tilai, Samba Traoré e Yaaba ha ottenuto numerosi riconoscimenti in festival internazionali. Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● I due spazi geografici in cui si svolge il film, corrispondono metaforicamente agli “spazi interiori” di Moctar. Confronta la rappresentazione di questi “spazi” in Mali e in Francia.
Rispetto alla trama
● Che cosa rappresenta la iena per Moctar?
● I bambini dei film di Idrissa Ouédraogo in numerose occasioni danno prova di grande coraggio: guarda anche Yaaba, in cui Bila va contro gli adulti, pieni di pregiudizi, e confrontalo con Le Cri du coeur, in cui il protagonista Moctar apparentemente sembra debole, ma anche lui alla fine lotta e si dimostra coraggioso perché da solo riesce a sfidare la iena, il male che aveva dentro.
● In Yaaba e Le Cri du coeur, c’è una figura molto importante che è quella dell’anziano, simbolo di saggezza per le culture africane. Nel primo caso è una donna anziana alla quale viene attribuito il nome di “nonna”, anche se non lo è veramente. Nel secondo, è un nonno vero. Descrivi dapprima i due legami e confrontali successivamente con il rapporto tra generazioni diverse nella nostra società.
Emigrare/immigrare
● Che sentimenti provoca in Moctar l'abbandonare il suo villaggio e l'immigrare in Francia? Perché si sente tanto infelice? Quali differenze lo mettono più a disagio?
● Qual'è l'atteggiamento di sua madre invece?
● Che ruolo ha l'amicizia con Paulo nell'esperienza di Moctar? ● Migrare per un bambino non è mai una scelta volontaria, si trova sempre coinvolto nel progetto della sua famiglia. Al contempo è qualcosa in più della scelta dovuta a necessità vitali o al desiderio di realizzare un sogno; è anche avventura, paura, nostalgia, curiosità... E poi l'incontro tra chi giunge e chi è qui da sempre: anche se tra bambini, anche se auspicato dai grandi, è comunque incertezza, diffidenza, prima di divenire ricchezza per gli uni e per gli altri. Rifletti su questo argomento e, se ne hai la possibilità, confronta la situazione ipotetica qui descritta con dei casi concreti.
Le cri du coeur 2/3
Il contesto
● Qual'è oggi la situazione economica del Mali?
Film adatto agli studenti delle scuole secondarie di I° e II° grado e agli studenti degli Istituti professionali.
Le cri du coeur 3/3
Danubio. L'Europa si incontra
di Luca Rosini e Alberto Bougleux
Sceneggiatura e montaggio: Alberto Bougleux
Italia, 2003, 30'.
Documentario
Versione originale sottotitolata in italiano
DVD
Il DVD comprende: Il FILM del viaggio
“VOLTI” ­ video, interviste e cinegiornali di viaggio
“GALLERIA” ­ foto di Dejan Georgievski, Massimo Gnone e Domenico Sartori
“MUSICA” ­ del gruppo Destràni Taràf. Musiche tradizionali della memoria europea.
“Credo di aver imparato a nuotare nel Danubio e mi accorsi quanto sia difficile nuotare controcorrente, è facile scendere con la corrente ma è difficile risalire...”
(Ruzica Rozandic, Centre for Antiwar Action e partecipante al viaggio)
La trama.
Il 12 settembre 2003 un piccolo gruppo di persone, provenienti da oltre 10 paesi, parte di organizzazioni non governative, istituzioni locali e semplici cittadini dell'Europa occidentale e orientale, s'imbarca a Vienna su un battello fluviale ungherese di nome Győr. La destinazione è Belgrado, dove il gruppo giungerà dopo una navigazione di dieci giorni lungo il corso del Danubio. Un viaggio simbolico, voluto dall'Osservatorio sui Balcani e dalle reti di solidarietà internazionale nate durante le guerre balcaniche degli anni novanta, per ricordare che l'Unione Europea non sarà completa fino alla piena integrazione dei paesi nati con la dissoluzione della Jugoslavia.
Il viaggio.
12 settembre 2003, saluto della Città di Vienna, poi cinque tappe lungo il fiume più internazionale del mondo: Bratislava, Budapest, Vukovar, Novi Sad e Belgrado, con arrivo il 21 di settembre.
Una settimana di incontri/seminari per parlare di:
Commercio equo;
Sistema Danubiano, protezione del Danubio e “Campagna del diritto all’acqua”;
“Integrazione europea e aspetti ambientali”;
“Media nel processo di integrazione europea”;
Cooperazione decentrata;
Sviluppo sostenibile per il sud est Europa e diritti di cittadinanza dentro e fuori l'area di Schengen.
Danubio. L'Europa si incontra 1/5
Osservatorio sui Balcani E un progetto promosso dalla Fondazione Opera Campana dei Caduti, in collaborazione con il Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani e con il supporto dell'Assessorato alla Solidarietà internazionale della Provincia autonoma di Trento e del Comune di Rovereto.
Istituito nel 2000 per rispondere alla domanda di conoscenza e dibattito di persone, associazioni ed istituzioni che da anni operavano per la pace e la convivenza nei Balcani, oggi l'Osservatorio è un laboratorio sull’Europa di mezzo e offre uno sguardo sui Balcani e sull’intera Europa che nei Balcani si riflette.
Gli interlocutori e gli utenti dell'Osservatorio sono volontari e professionisti della solidarietà internazionale, ricercatori, giornalisti, studenti, funzionari di Enti locali, regionali e nazionali, cittadini del sud­est Europa, turisti, semplici curiosi.
Con il portale www.osservatoriobalcani.org, il programma
BalcaniCooperazione (www.balcanicooperazione.it) e la pagina tematica dedicata al
Caucaso (www.Ossevatoriocaucaso.org), l'Osservatorio intreccia informazione, ricerca e stimolo alla cooperazione territoriale, sfrutta le potenzialità del multimedia e favorisce la riproducibilità attraverso il modello opensource. Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Il viaggio
● Quello che in questo documentario viene raccontato è un “viaggio ­ meeting” per parlare di Balcani. Cosa pensi di questa formula?
● “L'Unione Europea non sarà completa fino alla piena integrazione dei paesi nati con la dissoluzione della Jugoslavia”. Commenta questa affermazione pronunciata nel documentario da Michele Nardelli (Osservatorio sui Balcani) e leggi il saggio del Prof. Predrag Matvejevic “L'Europa promessa: l'allargamento o la riunificazione” in allegato.
Il contesto
● Le guerre balcaniche degli anni novanta.
● Segui su di una mappa il percorso del Danubio... “il fiume più internazionale del mondo”.
Film è adatto agli studenti delle scuole secondarie di II° grado e degli istituti professionali
Danubio. L'Europa si incontra 2/5
L’Europa promessa: l'allargamento o la riunificazione.
di Predrag Matvejevic
Ultimamente ho attraversato la maggior parte dei nuovi Paesi candidati all'adesione all'Unione europea della prima o della seconda fase, e in particolare gli ex Paesi dell'Est. Sin da ora possiamo individuare alcuni punti in comune nelle loro aspettative, nelle loro speranze o nei loro timori. Man mano che il «gran giorno» si avvicina, abbiamo infine smesso di volere la luna e un certo realismo ha sostituito le illusioni. Ci siamo finalmente resi conto che i requisiti preliminari imposti da Bruxelles non hanno nulla di troppo sentimentale e che nessuno è disposto a chiudere un occhio sull'obbligo di rispettare determinate condizioni.
Ad ogni modo, le reazioni decisamente antieuropee sono sempre più deboli o limitate. Si fanno sentire solo in ciò che resta di una certa sinistra che avrebbe ancora conti da saldare col passato, o negli ambienti nazionalisti o ultraconservatori come, ad esempio, la «Lega delle famiglie polacche» o qualche altra organizzazione o partito simile, generalmente minoritario. D'altro canto, nella marea proeuropea, ogni giorno siamo più prudenti; emergono anche alcune apprensioni tutto sommato auspicabili e positive. La volontà di «uscirne a qualunque costo», di liberarsi del passato e del suo fardello, si accompagna a quella di «entrarvi a qualunque costo» e di diventare infine membri di un'Europa unita. Evidentemente, vi è in tale atteggiamento precipitazione, improvvisazione, mancanza di riflessione e molto altro.
Il primo gruppo di candidati senza dubbio porrà meno problemi del secondo, ma abbastanza perché questi ultimi prolunghino la loro attesa molto più del previsto. Le questioni reali dell'altro gruppo saranno definitivamente poste soltanto in base alle esperienze, buone o soprattutto cattive, che avremo maturato con i primi ammessi, cosa che non sarà sicuramente semplice né tanto meno indolore.
TRANSIZIONI PIÙ LUNGHE DEL PREVISTO
Nessuno si aspettava che le transizioni sarebbero state così lunghe, lente ed estenuanti. Nell'euforia seguita alla caduta del muro di Berlino e al crollo dell'Unione sovietica, tutto sembrava a portata di mano. Le privatizzazioni sono state più o meno scandalose, anche nella Repubblica ceca, in Ungheria o in Polonia, senza parlare della Russia, della Romania, ecc. Malta o Cipro non conoscono questo tipo di problemi, ma coprono comunque uno spazio meno importante. Ad ogni modo, le due isole costituiscono altrettante ancore gettate nel Mediterraneo, e questo gesto potrebbe anche assumere, in futuro, una valenza più che simbolica. L'Europa dimentica o trascura «la culla dell'Europa», il Mediterraneo.
Ci è voluto più tempo del previsto per riprendersi dai regimi del cosiddetto "socialismo reale" ­ livello di produzione, scambi, sicurezza sociale, pensioni, ecc. Un paese come la Slovenia, che spesso si cita come buon modello di transizione, ha avuto bisogno di più di sette anni per ritornare solo ad essere … la Slovenia del 1990. Gli ingenti aiuti erogati dalla Germania occidentale alla sua sfortunata sorella dell'Est dimostrano perfettamente l'entità dei mezzi necessari per queste trasformazioni strutturali. Il lavoro preparatorio, al momento dell'adesione dei candidati, non sarà stato concluso ovunque e possiamo aspettarci, nei prossimi anni, difficoltà o impedimenti di vario genere, imprevisti e inattesi, con i quali occorre sin da ora fare i conti.
NUOVE FRONTIERE
La nuova Unione europea, quella che, entro dieci anni, avrà dieci membri di più, avrà l'obbligo di essere una guardiana severa delle nuove frontiere. Ebbene, mi risulta difficile immaginarlo. Coloro che già in passato hanno vissuto questo problema, che erano abituati alle frontiere stagne o poco permeabili, frontiere che talvolta occorreva attraversare con astuzia o con la forza, difficilmente possono esser visti come nuovi guardiani all'entrata. Rispetto al passato, le frontiere dovranno risultare più accoglienti e facilmente attraversabili. Non so se i responsabili delle decisioni daranno prova di un'attenzione tale da porre tali problemi e risolverli in maniera soddisfacente. In tutti i casi, sarà costoso e probabilmente sgradevole.
TRA L'UNIONE EUROPEA E LA NATO
Spesso si stabilisce un nesso tra l'adesione all'Unione europea e la presenza nella NATO, un nesso Danubio. L'Europa si incontra 3/5
che non dovrebbe essere indispensabile né, soprattutto, scontato. Occorre veramente passare per il purgatorio di un'alleanza militare che ha perso il suo vero avversario per meritare di essere ammessi all'esame? Pare che ciò sia richiesto senza sapere esattamente da chi. Ammiro le reazioni, purtroppo non abbastanza numerose, che si sono manifestate negli ambienti più culturali che politici di alcuni paesi candidati contro una siffatta esigenza. Ciò dipende probabilmente dal fatto che l'Unione europea stessa non è pensata in termini di cultura, quanto piuttosto in termini di rapporti economici, statali, persino strategici, il che significa, in ultima istanza, soggiacere alla volontà degli Stati Uniti piuttosto che sostenere realmente un progetto europeo a tutti gli effetti. Vi possiamo intravedere un'ombra della guerra fredda, di alcuni tipi di allineamenti di un'epoca ormai passata. Non so perché questo dovrebbe essere un criterio (inconfessato) per far parte della nuova Unione.
QUESTIONI CULTURALI
Nelle istituzioni europee che hanno predisposto l'adesione di dieci nuovi paesi nell'Unione ­ e non possiamo trascurare i loro sforzi né alcune loro competenze in materia ­ le questioni culturali sono state poste raramente, come per acquietare la coscienza. D'altronde, noi viviamo in un'epoca in cui l'intellighenzia europea, dopo gli errori che le sono imputati a torto o a ragione, cerca di evitare impegni troppo diretti o espliciti, mentre quella dell'Europa orientale non si è ancora completamente ripresa da ciò che le è successo. Né l'una né l'altra paiono, al momento, aver voce in capitolo, e non cercano troppo di averne. Ciò non significa che, al riguardo, non abbiamo idee od opinioni. Ho cercato, durante più di un viaggio nelle regioni dell'Europa orientale, di raccogliere e classificare, sotto forma di alternative, i diversi modi in cui l'Europa è vista dall'"altra Europa": sarebbe auspicabile che l'Europa del futuro fosse meno eurocentrica di quella del passato, più aperta agli altri dell'Europa colonialista, meno egoista dell'Europa delle nazioni, più consapevole di se stessa e meno incline all'americanizzazione; sarebbe utopico aspettarsi che essa divenga, in un lasso di tempo prevedibile, più culturale che commerciale, meno comunitaria che cosmopolita, più comprensiva che arrogante, meno orgogliosa che accogliente, più l'Europa dei cittadini che si tendono la mano, meno l'"Europa delle patrie" che si sono tanto combattute l'un l'altra e, in fin dei conti, più socialista dal volto umano (secondo il senso che alcuni dissidenti dell'ex Europa dell'Est davano in passato al termine) e meno capitalista senza volto. Aggiungo che noi, pochi, che ancora pensiamo ad una qualche forma di socialismo tuttora facciamo paura a molte persone, agli intellettuali nazionali come alle fasce medie della popolazione.
LO SGUARDO DELLA RUSSIA
La Russia non è più ­ e ciò risulta evidente ­ quello che era fino a ieri l'Unione sovietica, nonostante cerchi sempre di svolgere il ruolo di una grande potenza e riesca, entro certi limiti, ad esserlo. Molte cose dipendono dalla sua evoluzione interna. In base al suo passato, alla sua forza, alle sue prove, possiamo immaginare diverse Russie del domani. Sarà una vera democrazia o una semplice "democratura"? Tradizionale o moderna? "Santa" o profana? Ortodossa o scismatica? Più bianca che "rossa" o viceversa? Meno slavofila che occidentalista o viceversa? Tanto asiatica quanto europea o il contrario dell'una e dell'altra? Una Russia che "la ragione non è in grado di comprendere appieno e nella quale possiamo solamente credere" (come diceva magnificamente il poeta Tjutchev nel XIX secolo), oppure quella "robusta e dal grosso fondoschiena" (tolstozadaja) cantata da Alexander Blok durante la Rivoluzione? "Con Cristo" o "senza la croce"? Semplicemente russa (russiskaja) o "di tutte le Russie" (vserossiskaja)? Qualunque cosa diventi, dovrà fare i conti con tutto ciò che l'ex Unione sovietica le ha lasciato e tutto ciò di cui l'ha privata, forse per sempre.
Noi altri, nati all'Est e formati nell'altra Europa, dobbiamo dar voce a questi ed altri interrogativi di fronte a tanti comportamenti conservatori, atteggiamenti tradizionalisti, opacità nella maniera di governare o gestire le cose, mancanza di trasparenza o mentalità retrograde che riemergono in tanti paesi al tempo stesso europei e tagliati fuori dall'Europa. E questo soprattutto laddove la mancanza di tradizioni democratiche pare evidente, laddove i diritti dell'uomo continuano ad essere violati e lo Stato di diritto è lungi dall'esser instaurato. Per citare un esempio, è utile osservare come Serbia o Croazia accolgono con ostilità le accuse provenienti dal Tribunale internazionale dell'Aia e rifiutano di consegnargli coloro che, senza ombra di dubbio, hanno commesso crimini come Karadzic, Mladic e altri. Molti accusano l'Europa di incitare contro di loro il Tribunale …
Danubio. L'Europa si incontra 4/5
CONTRADDIZIONI DEI BALCANI
Un passato lontano e molti avvenimenti recenti hanno inferto ai Balcani ferite che continuano a sanguinare: l'Albania di Enver Hoxha, la Romania di Nicolae Ceaucescu, la Bulgaria di Todor Jivkov, una Iugoslavia ieri nettamente più prospera degli altri "paesi dell'Est", oggi devastata dalle ultime guerre balcaniche… E il fenomeno va ben oltre, da un paese all'altro: equivoci tra Serbia e Montenegro, conflitti tra kosovari albanesi e serbi, separazione delle nazionalità in Bosnia­
Erzegovina, rapporti tesi tra Grecia e Turchia, rapporti ambigui tra Bulgaria e Macedonia, questione ungherese in Transilvania, rumena in Moldavia, greca e turca in Cipro, macedone in Grecia, serba in Croazia, turca in Bulgaria, più di due milioni di esiliati o "sfollati", mille maniere diverse di assumere e vivere un'"identità post­comunista", di porre e di risolvere l'eterna "questione nazionale" e quella delle minoranze, oppure di rivedere frontiere considerate "ingiuste" e "mal tracciate", di subire o rifiutare la famosa "balcanizzazione" che, come il Destino nelle tragedie nate sotto i cieli di questa penisola, continua a separare anche ciò che pare indiviso e indivisibile.
Si fanno divisioni senza che resti molto da dividere. Abbiamo creduto di conquistare il presente e non riusciamo a gestire il passato. In molti di questi paesi, è stato necessario difendere un patrimonio nazionale. Oggi, in parecchi casi, occorre difendersi da questo stesso patrimonio. Cosa che vale anche per la memoria: dovevamo salvaguardarla, e adesso sembra punire gli stessi che l'hanno salvata. Tanti eredi restano così senza eredità.
(dal sito di Pedrag Matvejevic' ­ http://giardini.sm/matvejevic/, traduzione di Giacomo Scotti)
Pedrag Matvejevic' è nato a Mostar nel 1932: padre russo, madre croata della Bosnia­Erzegovina. Professore all'Università di Zagabria e poi alla Sorbona a Parigi, insegna attualmente letterature slave all'Università La Sapienza di Roma e nel 1999 ha tenuto lezioni all'università di Lovanio.
Vive tra Parigi e L'Italia. Dopo la "caduta del muro", si è opposto a tutti le moderne "democrature", ossia, come egli stesso li definisce, i nuovi regimi instauratisi in alcuni paesi dell'est, che si dichiarano formalmente democratici senza che la società presenti una struttura effettivamente democratica. Nel gennaio del 2000 il Professor Pedrag Matvejevic' ha ricevuto un incarico dall'Alto Commisariato dell'Onu per i territori della ex­Jugoslavia.
Danubio. L'Europa si incontra 5/5
De Gasperi e l'Europa
regia di Leonardo Ferrantini
testi di Pier Luigi Ballini
Italia, 2004, 41'
Documentario
DVD
“Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione”.
(Alcide de Gasperi).
La trama
Giulio Andreotti (statista, politico, scrittore e giornalista italiano, oggi senatore a vita), Helmut Kohl (statista tedesco, leader del partito dell'Unione Cristiano­Democratica e Cancelliere della Germania dal 1982 al 1998), Pierferdinando Casini (politico italiano), Sergio Romano (storico, scrittore, giornalista e diplomatico), Giorgio Napolitano (politico e undicesimo Presidente della Repubblica Italiana) e la figlia di De Gasperi Maria Romana, con le loro preziose testimonianze analizzano e raccontano il De Gasperi europeista. Dal periodo della formazione mitteleuropea a Vienna, alla ricostruzione dopo la guerra, passando per gli anni del fascismo e della Costituente, e via via verso il processo di formazione dell'Unione Europa (di cui De Gasperi è considerato il padre fondatore insieme al francese Robert Schuman e al tedesco Konrad Adenauer) il documentario è un prezioso strumento di conoscenza curato dal professor Pierluigi Ballini, ordinario di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Firenze.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
De Gasperi e l'Europa
● Qual'è la visione europeistica di De Gasperi? ● Come conciliava questa con il concetto di Nazione?
● Dalla costituzione della CECA nel 1951, passando per l'idea di un esercito unitario europeo e per la formazione della Comunità Economica Europea (CEE), fino all'entrata in vigore della moneta unica il I° gennaio 2002, spiega le tappe che hanno segnato il processo di formazione dell'Unione Europea.
● Maria Romana De Gasperi nel documentario parla di “un'anima dell'Europa”. Esiste oggi un'identità europea? Si può creare, costruire, un'identità condivisa? Come?
De Gasperi e l'Europa 1/2
Emigrazione
● Mai come nel dopoguerra l’emigrazione di massa divenne una politica voluta, sollecitata e fortemente regolata dallo Stato italiano in quanto valida risoluzione a numerose questioni sia di politica interna che esterna. Innanzitutto, era necessario creare una valvola di sfogo alla crescente tensione sociale dovuta alla povertà e poi bisognava collocare la forza lavoro italiana laddove il mercato effettivamente la richiedeva. Questa prospettiva fu trovata grazie agli accordi bilaterali, vero e proprio scambio tra uomini e carbone. L’equazione, pensata dal governo De Gasperi, era semplice: forze lavoro giovani, sane, produttive in cambio di materie prime, di cui l'Italia scarseggiava. Così vennero conclusi accordi con i maggiori paesi d’emigrazione quali: l’Argentina, l’Australia, ma in modo particolare con i più vicini paesi europei, il Belgio, la Francia e la Svizzera. In questo modo l’Italia, che usciva perdente dal conflitto mondiale, poteva recuperare prestigio internazionale, vantandosi di aver contribuito, grazie alle enormi masse di forza lavoro messe a disposizione, alla ricostruzione dell’Europa liberata. Solamente in due anni, tra il 1946 e il 1947, partirono per le miniere della Francia e del Belgio, quasi 84mila italiani, la maggior parte provenienti dal Veneto, dalla Campania e dalle regioni del Sud. L’incredibile sacrificio delle “rimesse” di denaro inviate nel Bel Paese dai lavoratori emigrati, costituiva una ricchezza irrinunciabile che permise all’Italia di pagare i debiti internazionali, di acquistare materie prime e avviare la rinascita economica... ma a quale prezzo? Cerca i documenti che testimoniano gli accordi bilaterali dell'epoca e confrontali con i dati storici che riportano le condizioni di lavoro e di vita che effettivamente attendevano i lavoratori italiani nei paesi d'immigrazione. Approfondimenti ● La Provincia autonoma di Trento, oltre ad aver prodotto questo documentario, ha realizzato in collaborazione con RAI fiction il film “De Gasperi l'uomo della speranza” per la regia di Liliana Cavani, che racconta gli ultimi anni della vita di De Gasperi.
● A cura del Prof. Pier Luigi Ballini, è disponibile sul sito www.degasperi.net la biografia dettagliata di De Gasperi.
Documentario adatto agli studenti della scuola secondaria di II° grado e delle scuole professionali.
De Gasperi e l'Europa 2/2
Don Milani e la sua scuola
Svizzera, 1979, 64'.
Documentario
VHS
Una professoressa protestava che non aveva mai cercato e mai avuto notizie sulle famiglie dei ragazzi. “Se un compito è da quattro io gli do quattro”. E non capiva poveretta che era proprio di questo che era accusata perché non c'è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali.
(da Lettera a una professoressa).
La trama
Don Milani è stato sacerdote a San Donato di Calenzano (FI) per sette anni: dal 1947 al 1954. Durante questi anni aveva fatto il prete “in modo differente”: aveva cercato gli ultimi, i più bisognosi e si era schierato con loro. Aveva condiviso le loro ragioni, si era opposto allo sfruttamento sul lavoro e ai ragazzi della sua scuola aveva insegnato il vangelo senza compromessi. In questo suo impegno si era allontanato dai metodi della “Chiesa regnante” che vedeva i cattolici al potere a livello nazionale e locale e le porte delle fabbriche che si aprivano alle raccomandazioni dei preti. Quella Chiesa ripiegata su se stessa che non vedeva i poveri, i più deboli. Fu quindi per il suo pensiero e le sue azioni contrastanti che lo esiliarono a Barbiana, che lo mandarono lassù per farlo tacere.
Barbiana non era un paese e non era neppure un villaggio. Situato a pochi chilometri da Firenze, nel cuore del Muggello, Barbiana era una chiesa con la sua piccola canonica. Le case, una ventina in totale, erano sparse nel bosco e nei campi circostanti ed erano isolate tra di loro. Quando il 7 dicembre 1954 il parroco don Lorenzo Milani arrivò a Barbiana, non c'erano strade, acqua, luce e scuola. All'epoca la popolazione del luogo ammontava a 39 persone. La scuola che don Lorenzo impiantò a Barbiana era una scuola privata con 29 studenti in tutto. Le lezioni, per metà dell'anno all'aperto, si svolgevano dalle 8 della mattina alle 19.30 della sera per 365 giorni l'anno. Non c'erano voti, orari, pagelle o bocciature ma era una scuola di formazione civile dove lui insegnava agli studenti più grandi e i più grandi insegnavano ai più piccoli. La priorità assoluta l'avevano le lingue: l'italiano prima di tutto e poi anche le lingue straniere, per comunicare con i poveri del mondo. Fine ultimo del suo modello pedagogico era l'elevazione civile dei poveri, dei contadini, dei meridionali, degli stranieri perché potessero avere voce.
Il documentario è un collage di sequenze, alcune delle quali inedite girate da Agostino Ammannati collaboratore di don Milani, che testimoniano il clima culturale ed il metodo di lavoro applicato a Barbiana.
Un Pier Paolo Pasolini commosso, commenta nel documentario il libro scritto da don Milani e i suoi ragazzi “Lettera a una professoressa” e afferma:“Leggendo questo libro la vitalità aumenta ogni momento (...) riguarda la scuola ma anche la realtà della vita italiana”.
Don Milani e la sua scuola 1/3
Don Lorenzo MIlani
Don Lorenzo nasce a Firenze il 27 maggio 1923 in una colta famiglia borghese. E’ figlio di Albano Milani e di Alice Weiss, quest’ultima di origine israelita.
Nel 1930 da Firenze la famiglia si trasferì a Milano dove don Lorenzo fece gli studi fino alla maturità classica. Dall’estate del 1941 Lorenzo si dedicò alla pittura iscrivendosi dopo qualche mese di studio privato all’Accademia di Brera.
Nell’ottobre del 1942, causa la guerra, la famiglia Milani ritornò a Firenze. Sembra che anche l’interesse per la pittura sacra abbia contribuito a far approfondire a Lorenzo la conoscenza del Vangelo.
In questo periodo incontro don Raffaello Bensi, un autorevole sacerdote fiorentino che fu da allora fino alla morte il suo direttore spirituale.
Nel novembre del 1943 entrò in Seminario Maggiore a Firenze. Il 13 luglio 1947 fu ordinato prete e mandato in modo provvisorio a Montespertoli ad aiutare per un breve periodo il proposto don Bonanni e poi, nell’ottobre 1947 a San Donato di Calenzano (FI), cappellano del vecchio proposto don Pugi. A San Donato fondò una scuola popolare serale per i giovani operai e contadini della sua parrocchia.
Nel 1954 don Lorenzo fu trasferito a Barbiana, una piccola parrocchia di montagna. Dopo pochi giorni cominciò a radunare i giovani della nuova parrocchia in canonica con una scuola popolare simile a quella di San Donato. Nel 1956 rinunciò alla scuola serale per i giovani del popolo e organizzò per i primi sei ragazzi che avevano finito le elementari una scuola di avviamento industriale.
Nel maggio del 1958 dette alle stampe Esperienze pastorali iniziato otto anni prima a San Donato. Nel dicembre dello stesso anno il libro fu ritirato dal commercio per disposizione del Sant’Uffizio, perché ritenuta "inopportuna" la lettura.
Nel dicembre del 1960 fu colpito dai primi sintomi del male che sette anni dopo lo portò alla morte,
Il primo ottobre 1964 insieme a don Borghi scrisse una lettera a tutti i sacerdoti della Diocesi di Firenze a seguito della rimozione da parte del Cardinale Florit del Rettore del Seminario Mons. Bonanni.
Nel febbraio del 1965 scrisse una lettera aperta ad un gruppo di cappellani militari toscani, che in un loro comunicato avevano definito l’obiezione di coscienza "estranea al Comandamento cristiano dell’amore e espressione di viltà". La lettera fu incriminata e don Lorenzo rinviato a giudizio per apologia di reato.
Al processo, che si svolse a Roma, non poté essere presente a causa della sua grave malattia. Inviò allora ai giudici un’autodifesa scritta. Il 15 febbraio 1966, il processo in prima istanza si concluse con l’assoluzione, ma su ricorso del pubblico ministero, la Corte d’Appello quando don Lorenzo era già morto modificava la sentenza di primo grado e condannava lo scritto. Nel luglio 1966 insieme ai ragazzi della scuola di Barbiana iniziò la stesura di Lettera a una professoressa.
Don Lorenzo moriva a Firenze il 26 giugno 1967 a 44 anni.
(dati biografici tratti dal sito della Fondazione Don Lorenzo Milani)
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
La lingua italiana
● Saper padroneggiare la lingua italiana per don Milani era fondamentale per poter essere attore nella vita del Paese. Saper leggere e scrivere però non era sufficiente: chi egli riteneva alfabetizzato?
● Questo suo pensiero di emancipazione sociale era attuale allora quanto oggi. Che importanza ha la conoscenza della lingua italiana per uno straniero per esempio?
Don Milani e la sua scuola 2/3
La scuola
● Descrivi l'ambiente culturale ed il modello educativo che si perseguivano alla scuola di Barbiana.
● Quali sono le critiche mosse da don Milani alla scuola dell'obbligo di allora?
Commenta queste frasi tratte da “Lettera a una professoressa”.
● “È solo la lingua che rende uguali. Uguale è chi sa esprimersi e intendere l’espressione altrui”. ● “Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. É un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. ● “Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”.
Documentario adatto agli studenti della scuola secondaria di II° grado e degli istituti professionali.
Don Milani e la sua scuola 3/3
Gudia
(Manichino)
di Gautam Ghose
Sceneggiatura: Ain Rashid Khan
Interpreti: Mithun Chakraborty, Nandana Dev Sen, Pran, Mohan Agashe, Masood Akhtat
India, 1997, 125'
versione originale hindi sottotitolata in italiano
VHS
La trama.
Il musicista Johnny Mendez, originario della regione di Goa in India, si unisce alla compagnia di artisti itineranti capeggiata da Hameed, un ventriloquo. La star dello spettacolo è Urvashi, la bambola parlante di Hameed: seduttrice, sempre bella e giovane, incapace di invecchiare e di morire. Quando il vecchio Hameed perde la voce a causa di una malattia e quindi la possibilità di esibirsi, vende la sua Urvashi a Johnny che, rassegnatosi all'impossibilità di far successo come musicista, decide di tentare la carriera di ventriloquo. Johnny spera di sfondare e porta la bambola con sé nel piccolo sobborgo dove è nato. Lì ritrova Rosemary, la ragazza di cui è innamorato fin da piccolo e la convince a seguirlo nel suo progetto. Johnny e Urvashi si esibiscono nei piccoli teatri e per le strade e ben presto riscuotono un grande successo di pubblico. Impressionato positivamente dallo spettacolo, un politico locale “invita” Johnny a far parte della sua campagna elettorale, spingendolo a sedurre gli elettori tramite le parole della sua bambola. Johnny rifiuta, convinto che non sia quella la sua strada, ma poi viene costretto dallo staff del politico a portare in scena una specie di comizio. Una volta sul palcoscenico, però, invece di recitare il testo scritto per la campagna elettorale, Johnny inizia a canzonare gli intenti del politico e a manifestare senza indugi le proprie opinioni. Intimato più volte di smettere, Johnny viene aggredito e la sua bambola distrutta. Senza Urvashi Johnny è ridotto a nulla e non riesce più neppure a parlare perché gli è stato strappato il suo mezzo per esprimersi. A Rosemary non resta quindi che sottrarlo dalla disperazione: salire sul palcoscenico insieme a lui e ballare al ritmo delle sue canzoni, dando così vita ad un nuovo spettacolo.
Gautam Ghose
Il regista nato a Faridpur (Uttar Pradesh, India) nel 1950 ha realilzzato numerosi documentari (Hungry autumn; Land of sand dunes; Meeting a milestone; Beyond the Himalayas) e alcuni lungometraggi: Maa Bhoomi (1980), Dakhal (1982), Paar (1985), Antarjali Jatra (1988), Padma Nadir Manjhi (1992), Patang (1993), Gudia (1997), Abar Aranye (2003), Yatra (2006).
Gudia 1/2
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Gudia è un film musicale, una produzione cinematografica indiana di quelle che qualche anno più tardi la sua uscita sarebbero entrate a far parte del fenomeno chiamato “Bollywood”. Che cosa si intende con questo termine? Di che genere cinematografico si tratta?
Rispetto alla trama
● Uno dei messaggi che preme maggiormente agli autori di questa pellicola, che ha avuto ampi consensi in India, è sottolineare l'evoluzione del gusto e la capacità dei protagonisti di sviluppare la tradizione, senza stravolgerla. Si passa infatti dallo spettacolo di Hameed, un vero e proprio dramma che commuove le signore del pubblico, alle note più “leggere” delle canzoni di Johnny e Rosemary: ritmate, moderne ed anche ballabili. Condividi questa osservazione? In quale fasi del film si vede questo passaggio?
Il contesto
● Goa, la regione indiana di cui si parla nel film, è stata fino al 1961 una colonia portoghese. Svolgi una ricerca su questo periodo storico e cerca quanto le tracce di questa dominazione siano riscontrabili ancor oggi in questa zona dell'India.
Film adatto agli studenti delle scuole secondarie di I° e II° grado e degli istituti professionali.
Gudia 2/2
Immigrazione in 3D
di Maria Chiara Martinetti
Italia, 20'.
documentario
VHS
“Se riusciamo a non essere indifferenti davanti ai cambiamenti della società,
ci troveremo meglio in un futuro fatto di diversità”
(da un passaggio del documentario)
La trama.
Dario Ferrari e Frida Silhaku, lui romano e lei di origine albanese, hanno entrambi sedici anni e, sotto la guida di Maria Chiara Martinetti e Klaudia Bumci, sono gli inviati di questo documentario.
Mete del loro viaggio, alla scoperta di uno spaccato dell'immigrazione in Italia, sono: Genova, Roma e Napoli dove con grande semplicità i due protagonisti riescono a penetrare la “terza dimensione” dell'immigrazione, la profondità che sfugge ad una fotografia, ma che emerge non appena ci si mette in viaggio e si presta attenzione all'umanità delle persone.
A Genova Dario e Frida incontrano Mustapha e Omar, due loro coetanei di origine marocchina che lavorano come ambulanti. Omar è a Genova con suo padre e suo fratello e ha una fidanzata italiana, Mustapha vive con un gruppo di amici e in passato ha persino trovato una “madre italiana”. A Roma scoprono che cos'è l'Islam dalla voce dei molti fedeli che gravitano attorno alla Grande Moschea. Visitano il Centro Culturale dove i bambini imparano l'arabo e discutono di identità con i responsabili della scuola coranica.
A Napoli, nella splendida cornice del Teatro S. Carlo, conoscono un musicista di origine albanese che gli racconta la sua esperienza professionale e la sua vita in Italia. Dal “salotto” di Napoli la telecamera si sposta nel quartiere periferico di Ponticelli, dove i due intervistatori fanno la conoscenza di un folto gruppo di famiglie albanesi.
Il video è parte integrante del materiale prodotto per il progetto di educazione allo sviluppo “Mediterraneo casa comune: un mare di identità e intercultura” promosso da Volontari nel mondo – FOCSIV e dagli organismi associati ACCRI, Centro mondialità sviluppo reciproco, CLMC, COPE, CPS, CVM, MOCI, OSVIC, PROMOND.
Immigrazione in 3D 1/2
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
“Conoscere oltre gli stereotipi”
● Riusciamo a leggere, nel volto di uno straniero, la storia di una persona? Riusciamo a sfuggire agli stereotipi, alle facili etichette "straniero”, "immigrato", "extracomunitario" e vedere oltre? Più siamo disposti ad ascoltare, più è facile riconoscere le individualità che si celano dietro volti che vediamo tutti uguali. Conoscere ha un effetto pratico: rende l'intolleranza e il rifiuto più difficili e facilita il confronto e la convivenza. Condividi questa affermazione?
● Confronta le esperienze degli immigrati raccolte in questo film con quelle dei documentari Trentini dell'altro mondo di Luciano Happacher, Racconto straniero di Daria Menozzi e Pomodoro nero Literno di Edoardo de Falchi e Lorenzo Calanchi (tutti presenti al Centro Millevoci).
L'immigrazione in Italia ● Come si è evoluto il fenomeno immigratorio in Italia dalla seconda metà degli anni '70 ad oggi? Che tipo di progetti migratori si riscontrano nell'ultimo decennio rispetto al periodo iniziale?
Le percentuali di cittadini immigrati sul totale della popolazione variano considerevolmente tra nord e sud Italia e sono collegate al mercato del lavoro. Svolgi una ricerca (ISTAT e Rapporto annuale Caritas) e confronta le due realtà.
Documentario adatto agli studenti delle scuole secondarie di I° e II° grado e agli studenti degli istituti professionali.
Immigrazione in 3D 2/2
Impronta digitale
(Aangootha Chaap)
di Sai Paranjpye
India, 1988, 55'.
versione originale indi sottotitolata in italiano
VHS
La trama.
Kondiba è un anziano contadino che vive con il figlio, la nuora e il nipotino Chikhloo in una zona rurale dell'India. Ogni mese “firma” con l'impronta digitale del pollice la ricevuta del vaglia che l'altro suo figlio, emigrato a Bombay, gli invia regolarmente. Quando in una di queste occasioni Kondiba viene canzonato dagli amichetti del nipote per essere analfabeta, mortificato, chiede a lui di insegnargli a scrivere il suo nome. Il piccolo maestro però è molto esigente e promette al nonno di aiutarlo a condizione che impari a leggere e scrivere e non solo a ricopiare a memoria la sua firma. Kondiba, messo alle strette, accetta ma a patto che le lezioni avvengano in gran segreto e che nessuno al villaggio venga a sapere dei suoi intenti.
Lo studio intensivo dura un mese, fino a quando arriva il giorno in cui si presenta di nuovo il postino e, per la prima volta nella sua vita, Kondiba firma la ricevuta con nome e cognome davanti a molti testimoni increduli. Ben presto la notizia si sparge nell'intero villaggio e gli altri anziani, tutti analfabeti, decidono di farsi istruire dai propri nipoti seguendo l'esempio di Kondiba e Chikhloo. Venutolo a sapere, il maestro della scuola, commosso, si offre di impartire lui sesso delle lezioni agli anziani dopo l'orario ufficiale.
Il film si chiude con la scena iniziale, solo che adesso all'immagine dei bambini intenti a seguire la lezione si è sostituita quella degli anziani nella medesima circostanza.
Sai Paranjpye Nata nel 1938 a Lucknow, nell'Uttar Pradesh, è una dei registi e sceneggiatori indiani più acclamati.
Suo padre, Youra Sleptzoff, pittore, era il figlio di un generale russo, morto in battaglia. Shakuntala Paranjpye, sua madre, è stata una delle prime ragazze indiane a studiare a Cambridge ed una delle principali sostenitrici del movimento per la pianificazione familiare in India. Sai è stata educata da sua madre, dalla quale ha preso il nome, e da suo nonno materno, Sir RP Paranjpye, il primo Senior Wrangler (Cambridge) indiano, un rinomato educatore e primo alto commissario in Australia. Sai Paranjpye ha scritto il suo primo libro all'età di otto anni. Dopo Angootha Chhaap del 1988, gira Disha nel 1990 che che vinse il Festival di Cannes, Papeeha nel 1993, Chooriyan (1993), Saz (1997), Bhago Bhoot (2000) e Chaka Chak (2005). Impronta digitale 1/2
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Che differenze di ritmo, colore, sceneggiatura e tecniche di ripresa si possono notare tra questo film e i film europei e nord americani che più facilmente vengono proposti nelle sale cinematografiche italiane o in televisione?
Rispetto alla trama
● Perché Kondiba, il nonno di Chikhloo, decide in età avanzata di imparare a leggere e scrivere? Quale messaggio vuole trasmettere il regista rispetto al tema dell'analfabetismo?
L'istruzione
● Descrivi la scuola frequentata da Chikhloo: la classe, le divise, i compagni, ...
● Chikhloo, mentre insegna al nonno a leggere e scrivere, fa riferimento all'alfabeto della sua lingua, l'indi, e dice che è composto da trentacinque lettere. Svolgi una ricerca e confrontalo con l'alfabeto della lingua italiana.
● L'analfabetismo è una piaga che affligge molti paesi del mondo. L'Unicef pubblica ogni anno una serie di dati su questo argomento. Quali sono i paesi che soffrono maggiormente questo problema? Vi è disparità nella frequentazione della scuola tra bambini e bambine? In quali paesi e con quali motivazioni?
● Anche il film Central do Brasil di Walter Salles tratta il tema dell'analfabetismo, guardalo e confrontalo con Impronta digitale.
Il contesto
● Descrivi la realtà contadina indiana rappresentata nel film.
● Il maestro, davanti alla mappa del suo paese, chiede agli alunni di indicargli le principali città indiane: fai la stessa cosa con l'aiuto del tuo insegnante.
Film adatto a partire dagli otto anni per la presenza di sottotitoli.
Impronta digitale 2/2
Keita, l'heritage du griot
(Keita, l'eredità del saggio)
di Dani Kouyaté
Sceneggiatura: Dani Kouyaté
Interpreti: Hamed Dicko, Sotigui Kouyaté (padre del regista), Seydou Rouamba, Seydou Boro, Abdoulaye Komboudri Burkina Faso, 1995, 94’. versione originale francese­bambara sottotitolata in italiano
VHS
“Ho la fortuna di appartenere al secolo del cinema, si tratta di uno strumento favoloso per un narratore”.
(Dani Kouyaté)
La trama.
Il griot (saggio) Djeliba lascia il suo villaggio e si trasferisce in città perché gli spiriti gli hanno affidato il compito di intervenire nell’educazione di Mabo, il figlio unico di una giovane coppia benestante. Mabo è il discendente di un'antica famiglia, i Keita, ed è giunta l'ora che conosca la storia dei suoi antenati. “Sono qui per compiere il mio dovere” dirà il saggio al padre del bambino “Mabo deve sapere la storia”.
Il griot inizia a rivelare un racconto affascinante: narra di un regno, di oracoli che predicono il futuro, di bufali selvaggi che si trasformano in donne, della forza interiore di Keita, il capostipite della comunità che riesce a camminare con le proprie gambe solo dopo anni in cui è stato costretto a strisciare a terra come un rettile.
Mabo è affascinato dal racconto e comincia a preferire la compagnia del saggio alla scuola, dove fino a quel momento era stato uno studente modello. La cultura che Djeliba gli trasmette, inoltre, spesso contrasta con quella delle moderne istituzioni e gli provoca seri problemi in classe, tanto che il maestro decide di intervenire ammonendo i genitori del bambino, dicendo loro che i tempi sono cambiati e che la scuola si deve sostituire ai vecchi griot. Anche la famiglia è preoccupata: ma se il padre, assai rispettoso e timoroso nei confronti dell’anziano cantastorie, vive con più tranquillità la situazione, la madre si infuria per i recenti risultati scolastici del figlio ed è decisa ad intervenire affinché Mabo non venga bocciato. Ad aggravare la situazione inoltre si aggiunge il fatto che il bambino, profondamente coinvolto dagli insegnamenti del saggio, affascina a sua volta alcuni compagni con il magico racconto. Dopo ripetute ammonizioni Mabo sarà sospeso da scuola e, a quel punto, nell'agitazione generale, il griot Djeliba deciderà di andarsene e di non finire il racconto, ricordando però al ragazzo che “questa storia è come il vento, non può essere fermata (... che) Il mondo è vecchio e il futuro nasce sempre dal passato”. Il bambino dovrà quindi rassegnarsi a cercare altri saggi nel corso della sua vita, per riuscire finalmente a conoscere il significato del suo nome.
Keita, l'heritage du griot 1/2
Dani Kouyaté
E' nato nel1961 in Burkina Faso e proviene lui stesso da una famiglia di griot.
Ha frequentato l'Istituto Africano di Studi Cinematografici e corsi di antropologia e cinema a Parigi, dove attualmente vive. Può essere considerato un griot: la mitica figura del cantastorie popolare, metà poeta e metà saggio, al quale nell'Africa tradizionale era affidata la trasmissione della cultura orale.
La filmografia di Dani Kouyaté è molto ricca: oltre a Keita, l'heritage du griot del 1995 è autore del documentario Joseph KiZerbo – Identités/Identité pour l'Afrique (2005), del film Ouaga Saga (2004), di Sia, le revedu python (2001), della serie televisiva A nous la vie (1998), del cortometraggio Les larmes sacrées du crocodile (1993), di Taberre Kassam (1991) e di Bilakoro (1989).
Il sito ufficiale del regista è all'indirizzo http://www.danikouyate.com/fr/keita.php.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Da un punto di vista cinematografico come il regista decide di rappresentare il racconto del griot e come il presente della narrazione a Mabo?
Rispetto alla trama
● Il film è ricco di informazioni interessanti: immagini di vita quotidiana, suoni, tradizioni, cerimonie. Quali di queste immagini raccontano il passato e quali il presente? Quali la vita in città e quali quella nei villaggi?
● Il confronto tra due forme del sapere: quella del griot, la tradizione orale e quella della scuola, il presente e l'omologazione con il resto del mondo. Nel film non emerge la volontà di farle convivere, come potrebbe invece essere possibile?
I griots
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Nelle culture africane la storia ha una tradizione orale e il “griot” rappresenta il saggio, colui che conosce l'origine e la storia della propria comunità e che è il depositario della cultura e della memoria del suo popolo. Attraverso la parola/la narrazione delle tradizioni, il griot riesce a trasmettere alle nuove generazioni il senso della loro identità, le immagini del tempo passato. Con l'aiuto del tuo insegnante svolgi una ricerca su questo argomento.
I griots, per secoli, sono stati i depositari della cultura africana. Con l’avvento del colonialismo prima e della globalizzazione poi, che hanno causato un progressivo sgretolamento della società tradizionale, si è però indebolita anche la loro importanza e spesso sono stati a rischio di “estinzione”. Oggi alcuni giovani musicisti africani (alcuni dei quali vivono e lavorano in Europa) stanno riscoprendo e cercando di valorizzare attraverso la musica questa tradizione. Come veri griot, nei loro brani raccontano la storia mitica dei loro antenati. Svolgi una ricerca in proposito e leggi i testi dei loro brani.
Il contesto
● In Keita, l'heritage du griot Mabo vive in una città del Burkina Faso, mentre nel film Yaaba di Idrissa Ouedraogo Bila vive in una zona rurale del paese. Confronta la quotidianità di questi bambini e quella delle loro famiglie.
● Il Burkina Faso è il paese africano che ospita l'ambientazione di questo film: quali sono la geografia del suo territorio e al momento la sua situazione economico/politica?
Film adatto a partire dai dieci anni. Keita, l'heritage du griot 2/2
Il lampo più grande
Testo di Marco Pontoni
Riprese di Federico Deanesi
Italia, 2006, 17’.
Documentario
DVD
“Poiché non devi cominciare un solo giorno nell’illusione che quello che ti circonda sia un mondo stabile. Quello che ti circonda è qualcosa che domani potrebbe essere già semplicemente 'stato'; e noi, tu e io e tutti i nostri contemporanei, siamo più 'caduchi' di tutti quelli che finora sono stati considerati tali. Poiché la nostra caducità non significa solo il nostro essere 'mortali'; e neppure che ciascuno di noi può essere ucciso. Questo era vero anche in passato. Ma significa che possiamo essere uccisi in blocco, che possiamo essere uccisi come 'umanità'. Dove 'umanità' non è solo l’umanità attuale, quella che si estende e si distribuisce attraverso le regioni terrestri; ma è anche quella che si estende attraverso le regioni del tempo: poiché, se l’umanità attuale sarà uccisa, si estinguerà con lei anche l’umanità passata, e anche quella futura”.
(da “I comandamenti dell'era atomica” di Günter Anders, filosofo tedesco)
La trama.
La seconda guerra mondiale iniziò nel settembre del 1939 con l'invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, allargandosi progressivamente con l'entrata in guerra di: Gran Bretagna, Francia, Italia, Unione Sovietica, Stati Uniti e altri paesi, europei e non, fra cui il Giappone, che attaccò di sorpresa la marina americana a Pearl Harbour il 7 dicembre 1941.
La guerra si concluse in Europa l'8 maggio 1945 con la resa incondizionata del Terzo Reich e nell'area del Pacifico il 15 agosto dello stesso anno con la capitolazione dell'Impero giapponese, che subì pochi giorni prima gli unici due bombardamenti atomici della storia.
Hiromu Morishita, protagonista di questo documentario, aveva 14 anni quando il 6 agosto 1945 fu sganciata la prima bomba atomica della storia sulla sua città, Hiroshima. L'esplosione, che avvenne a 630 metri di altitudine, provocò all'istante la morte di 300.000 esseri umani (molti di più perirono a causa delle radiazioni nel periodo successivo) e rase al suolo il 98% degli edifici nel raggio di 3 chilometri.
Morishita racconta che quel giorno stava lavorando con alcuni colleghi alla demolizione di alcune case quando d'un tratto vide un lampo accecante e successivamente sentì un calore immenso “come se fossi stato gettato in un forno di fusione”. Perse i sensi e non ricordò più nulla. Quando si risvegliò vide tutto distrutto attorno a sé, i suoi colleghi non c'erano più e ovunque erano stesi al suolo solo cadaveri. Alcuni anni più tardi, ebbe occasione di incontrare l'allora presidente Truman: gli raccontò la sua storia ma rimase molto deluso perché da parte sua non vi fu nemmeno una parola di scuse. Per Il lampo più grande 1/4
molto tempo provò un sentimento d'odio nei confronti del popolo americano, per quello che avevano potuto fare ad Hiroshima e tre giorni dopo a Nagasaki. Morishita dice che cambiò idea molti anni più tardi, alla nascita di sua figlia. Guardando alla sua purezza trovò la forza ed il coraggio di vivere positivamente e di smettere di odiare. Oggi Hiromu Morishita ha 74 anni e gira il mondo in qualità di direttore dell'Associazione World Friendhip Center per far conoscere la sua esperienza ed il suo immenso desiderio di pace.
Questo documentario racconta la visita in Trentino di Hiromu Morishita, invitato nel 2006 dalla Provincia autonoma di Trento, dalla Fondazione Opera Campana dei Caduti di Rovereto e dalla scuola internazionale Isodarco per far conoscere la sua storia. Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Rispetto alla trama
● Cosa desidera il signor Hiromu Morishita per le generazioni future?
● Qual'è il valore di una testimonianza? Qual'è il valore della memoria?
Le testimonianze degli “Ibakusha”
● In giapponese "Ibakusha" significa letteralmente “persona esposta alla bomba”. La vita dei sopravvissuti della catastrofe atomica non è stata facile, costretta tra rimozione sociale, emarginazione, vergogna di essere stati in qualche modo “contaminati” e senso di colpa di essere rimasti vivi in mezzo a tanti morti.
C’è un elemento che accomuna tutte le testimonianze oculari delle esplosioni ed è il fatto che ciò che accadde superò ogni immaginazione e si fissò nella memoria di ciascuno come un ricordo incancellabile. Anche i dettagli spesso si somigliano: il cielo che si annerisce all’improvviso, l'insopportabile vampata di calore, e i particolari agghiaccianti della pelle che si stacca dal corpo, dei volti gonfi e tumefatti, degli occhi bianchi, degli edifici che crollano come fossero di cartapesta e di un sibilo continuo e insopportabile che perfora i timpani. L’odore di morte, simile allo zolfo, gli sbuffi di vapore che provengono dal terreno surriscaldato, lo stupore di essere vivi e la certezza che da quell’istante, la propria esistenza non sarebbe stata più la stessa.
Leggi e confronta le testimonianze dei sopravvissuti con quanto raccontato dal signor Hiromu Morishita nel documentario.
Improvvisamente, nel cielo, al di sopra del fiume, vidi una massa d'aria straordinariamente trasparente che risaliva la corrente. Ebbi appena il tempo di gridare "Una tromba" che già un vento terribile ci colpì. I cespugli e gli alberi si misero a tremare; alcuni furono proiettati in aria da dove ricaddero come saette sul tetro caos. Si aveva l'impressione che il riflesso verde di un orribile inferno venisse a stendersi al di sopra della terra. (…) Dopo il passaggio della tromba, ben presto il crepuscolo invase il cielo. Incontrai mio fratello maggiore il cui viso era ricoperto come da una sottile pellicola di pittura grigia. Il dorso della sua camicia era ridotto a brandelli e scopriva una larga lesione che somigliava ad un colpo di sole. Risalendo con lui la stretta banchina che costeggia il fiume, alla ricerca di un traghetto, vidi una quantità di persone completamente sfigurate. Ve ne erano lungo tutto il fiume e le loro ombre si proiettavano nell'acqua. I loro visi erano così orrendamente gonfiati che appena si potevano distinguere gli uomini dalle donne. I loro occhi erano ridotti allo stato di fessure e le loro labbra erano colpite da forte infiammazione. Erano quasi tutti agonizzanti ed i loro corpi malati erano nudi. Quando passavamo vicino a questi gruppi, ci gridavano con voce dolce e debole "Dateci un po' d'acqua", "Soccorretemi, per favore"; quasi tutti avevano qualche cosa da chiederci. (…) Le persone morivano l'una dopo l'altra e nessuno veniva a portar via i cadaveri. Con l'aria sconvolta, i vivi erravano tra i corpi. Si videro allora tutte le rovine nelle strade principali. Uno spazio vuoto e grigio si estendeva sotto un cielo di Il lampo più grande 2/4
piombo. Soltanto le strade, i ponti ed i bracci del fiume erano ancora riconoscibili. Nell'acqua galleggiavano cadaveri dilaniati, gonfiati. Era l'inferno divenuto realtà.(…) Tutto ciò che era umano, era stato cancellato (…). Ebbi l'impressione di non esser venuto sulla terra che dopo l'esplosione della bomba atomica. (Da Lettera da Hiroshima di T. Hara, suicidatosi nel 1951)
Il 6 agosto il mio turno di lavoro sarebbe cominciato solo alle 10, perché avevo terminato il precedente, la sera prima, in ora molto tarda. Mi sono alzato alle 7 e, nel momento in cui è scoppiata la bomba, ero chinato sulla terra del mio orto a piantare sementi, protetto da un muro di mattoni non più alto di un metro. Mia moglie Ikuko era in piedi accanto a me e mangiava [...] in una ciotola di legno. Parlava in fretta, come tutte le donne. Poi ha smesso di parlare, di colpo: ha detto la prima metà di una parola e non ha detto la seconda metà. Per qualche secondo ho continuato a spargere semi, finché ho udito un boato spaventoso. Ho alzato la testa e ho visto Ikuko nera come un pezzo d'antracite, con le mani rattrappite attorno alla ciotola. Era morta senza sapere di morire. Ho pensato subito, non so perché, alle nostre gite in campagna, dai parenti. Mi pareva che fossero passati cento anni dall'ultima volta. (Shintaki Motomitsu, operaio specializzato della fabbrica Touyou Kougyou )
Avevo appena salutato mio marito che era andato al lavoro nel suo ufficio sulla Minamidanbara­chou. D'un tratto ho sentito una ventata di caldo insopportabile che veniva dal centro. Sono uscita all'aperto, incredula più che terrorizzata, e ho visto ciò che nessuno potrà mai credere: uomini e donne tutti neri, bruciacchiati, seminudi, senza capelli. Qualcuno aveva la faccia che si liquefaceva come cera. Non potevamo aiutare quegli sventurati a salire sui carretti, perché erano privi di pelle. Se solo li toccavamo, urlavano come folli. I cavalli dei soldati nitrivano e stramazzavano a terra, con gli occhi fuori dalle orbite. Ho pensato tutto il giorno, mentre Hiroshima era una palude di pece ribollente, alle visite ai templi di Nigitsu e di Gokoku. Ma ora Hiroshima è arsa, smaterializzata. Non c'è più nulla, non ci è rimasto neppure il passato. (Koyama Sutomu, 49 anni, casalinga )
Mi trovavo in municipio a controllare la distribuzione del riso e di altri generi razionati. L'edificio è rimasto in piedi, almeno nelle sue strutture principali, e non tutti sono morti. Io ho subìto delle ustioni, non gravi come quelle di altri. Ma presto un medico mi ha detto che, dall'aspetto dei colpiti, si capiva che la bomba aveva liberato delle radiazioni, e che anch'io certamente dovevo aspettarmi una forte perdita di globuli bianchi. L'ho ascoltato come in un incubo, ma non per me: fuori, Hiroshima era sparita sotto le volute di fumo, cosa m'importava più di vivere? (Hamai Shinzou, più tardi diventato per qualche tempo sindaco)
Stavo preparando la colazione per me e per i miei diciassette colleghi della compagnia Sakura­Tai in un moderno e solido edificio, situato a non più di 700 metri dal punto dov'è scoppiata quella maledetta bomba. Una fiamma bianca ha riempito tutto l'appartamento e ogni cosa ci è crollata addosso. Sono svenuta e ho ripreso conoscenza dopo cinque o sei ore. Tredici miei compagni erano morti. Sono riuscita ad aprirmi un passaggio fra le macerie e a raggiungere, mezza nuda, le acque dell'Ota, che erano ancora calde. Ho nuotato per qualche chilometro e sono stata raccolta dai soldati di un natante di soccorso. Hiroshima era scomparsa, Hiroshima era qualcosa di antidiluviano. (Naka Midori, attrice, morirà il 24 agosto)
Il lampo più grande 3/4
Sono vivo per miracolo e non saprò mai spiegarmi perché. Stavo aprendo il mio negozio, come ogni mattina, quando c'è stata la fine del mondo. Tutti, nella via, sono bruciati come zanzare alla luce della fiamma, in un attimo. L'asfalto si è trasformato in un fiume di olio bollente. Le mie terrecotte sono tornate ad essere argilla cruda, e io? Vivo, sano, senza neanche una scottatura. Ho sognato, forse. Eppure Hiroshima non c'è più e i miei ricordi del giorno prima, tutti i ricordi, non hanno senso. (Yainada Takayoshi, a tempo perso poeta, nella vita reale venditore di terraglie) (Materiale raccolto dal sito del programma RAI “La storia siamo noi”)
Film adatto agli studenti della scuola secondaria di II° livello e degli Istituti di formazione professionale.
Il lampo più grande 4/4
Le medecin de Gafire
(Il medico di Gafire)
di Moustapha Diop
Sceneggiatura: Moustapha Diop
Interpreti: Sidiki Bakaba, Marlin N'Diagne, Dala Kouyate Fifi
Niger, 1983, 100'.
versione originale doppiata in italiano
VHS
La trama
Tornato nella nativa Africa dopo gli studi nel “paese dei bianchi” il giovane medico Karunga e sua moglie si stabiliscono in città dove lui lavora presso l'ospedale principale e lei come insegnante. La vita scorre tranquillamente per loro, fino a quando il governo decide che tutti i medici dello Stato devono esercitare la professione per almeno due anni nei villaggi. Karunga non può fare a meno di accettare tale imposizione e dopo un tempo imprecisato parte per la località che gli è stata assegnata. Il villaggio si chiama Gafire e dispone di un piccolo ed approssimativo ambulatorio, senza infermieri né attrezzature funzionanti. Karunga fin dal principio non viene accolto positivamente dalla gente del luogo che considera il suo sapere “adatto a curare le malattie dei bianchi” e non le loro. Inoltre, scopre ben presto che dovrà confrontarsi con Ouba, un guaritore tradizionale del luogo che gode di grande prestigio presso la popolazione. Dopo varie umiliazioni e periodi di crisi, il giovane medico è costretto a rivedere la propria posizione nei confronti del guaritore: smette di considerarlo un ciarlatano e decide di apprendere anch’egli i segreti della medicina tradizionale diventando suo discepolo. Il regista con questo film riassume i dubbi e le certezze degli intellettuali africani che dopo gli studi rientrano in patria. Ciò che egli auspica è l'ipotesi di un'alleanza fra due culture ... “ma può l'acqua mischiarsi al fuoco?”.
Moustapha Diop
Ha la nazionalità nigeriana ma è nato nel 1945 a Cotonou in Benin. Ha studiato prima in Mali, in Niger e in Francia e poi letteratura moderna ad Abidjan (Costa d'Avorio) e ad Ouagadougou (Burkina Faso). Dal 1979 al 1984 è stato direttore della televisione in Niger (ORTN).
Nel 1974, ha diretto il suo primo film "Synapse" e, nel 1981, "Tomate" con Isabelle Calin. Nel 1982, presenta per la prima volta "Le medecin de Gafire", con il quale vincerà riconoscimenti internazionali: il "Grand Prix of the ACTC" di Cartagine nel 1984 ed il premio della critica al “Locarno film festival” nel 1985.
Le medecin de Gafire 1/2
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Che differenze di ritmo, colore, sceneggiatura e tecniche di ripresa si possono notare tra questo film e i film europei e nord americani che più frequentemente vengono proposti nelle sale cinematografiche italiane o in televisione?
Rispetto alla trama
● Quale percorso interiore compie Karunga? Perché dopo tanti sacrifici per studiare in Europa arriva a rinnegare la sua posizione iniziale? Come vive questo cambiamento sua moglie?
● Il suicidio di Ouba, il guaritore tradizionale, appare ai nostri occhi come un gesto eccessivo. Quali sentimenti ha scatenato in lui la proposta di Karunga?
● Il capo villaggio nel film menziona tre proverbi: riprendili e commenta il loro significato.
Modernità e tradizione
● Come nel film “Keita, l'heritage du Griot” di Dani Kouyaté (film presente al Centro Millevoci) in cui il maestro della scuola si scontra con il Griot, colui che ha il compito di insegnare la tradizione, anche in "Le medecin de Gafire" il medico entra in conflitto con la cultura del passato. Questo scontro tra tradizione e modernità è spesso presente nel recente cinema africano perché in quelle società si avverte molto forte il disagio di far convivere queste due realtà. Che cosa ne pensi? Esistono delle soluzioni di convivenza possibili? Il contesto
● Situato nel medio continente africano, il Niger è composto per i suoi due terzi dal deserto del Sahara, praticamente inabitabile. Con l'aiuto del tuo insegnante studia la geografia e la situazione economica del paese.
Film adatto agli gli studenti delle scuole secondarie di I° e II° grado e agli studenti degli istituti professionali.
Le medecin de Gafire 2/2
My american grandson
(Il nipotino americano)
di Ann Hui
Sceneggiatura: Nien­Jen Wu
Interpreti: Wu Ma, Wong Kwan Yuen, Carina Lau Kar Ling
Wang Lai, Suen Pang
Taiwan, 1991, 104’ versione originale cinese sottotitolata in italiano
VHS
La trama.
Ku è uno stravagante maestro in pensione che a Shanghai conduce una tranquilla vita da vedovo. Vive in un quartiere della città vecchia, in una casa in condivisione con altre famiglie. Un luogo dove tutti si conoscono da tempo e si aiutano vicendevolmente. Un giorno i vicini vengono a chiamarlo in tutta fretta perché c'è una telefonata per lui dagli Stati Uniti. Si tratta del figlio che da anni vive in America con la sua famiglia. Lui e sua moglie devono recarsi per un periodo di aggiornamento lavorativo in Germania e chiedono a Ku di poter mandare per qualche mese a Shanghai il loro figlioletto Ming. Il vecchio è felice e non vede l'ora di poter accogliere il nipotino, così finalmente avrà una novità in grado di turbare la routine della sua solita vita.
Ming arriva all'aeroporto e già dal primo impatto impersona lo stereotipo del teen ager americano anni '90: blue jeans, scarpe da ginnastica, zainetto in spalla e walkman alle orecchie. Ku e tutte le famiglie del quartiere si fanno in quattro per il nuovo ospite e cercano di assecondare le sue esigenze ed i suoi capricci. Lui però è scorbutico ed arrogante e non perde occasione di offendere la cultura di suo nonno e delle altre persone che lo circondano. Per questo motivo ben presto tra i due nascono dei conflitti e quando Ku, esasperato, lo rimprovera, il ragazzo scappa, lasciando il nonno nel rimorso. Alla fine Ming tornerà pentito: l'avventura vissuta durante la fuga nelle campagne cinesi, senza denaro né protezione, gli ha fatto capire la lezione. Da quel momento in avanti si dimostrerà rispettoso nei confronti di suo nonno, dei vicini di casa e delle usanze del luogo ... ma la vacanza è ormai finita perché una nuova telefonata dagli Stati Uniti lo richiama a casa. Hann Nui Nacque nel 1947 in Manciuria, da padre cinese e madre giapponese ma presto di tra trasferì a Hong Kong per gli studi. Studiò anche a Londra alla International Film School.
Questa sua formazione internazionale non poté che incidere sul suo modo di concepire il cinema ed, infatti, fu tra le prime a realizzare film in coproduzione con altri Paesi Asiatici, in un periodo di forte instabilità politica.
Ann Hui è considerata la madre di quella che i critici chiamarono la New wave del cinema di My american grandson 1/2
Hong Kong, iniziata sul finire degli anni ’70. La New wave hongkonghese non ha le caratteristiche di un movimento unitario: i diversi registi portano avanti un discorso individuale, ma tutti sono accomunati dalla visione cosmopolita del cinema, dalla necessità di contaminazione di cui Hong Kong è sempre stato un chiaro esempio.
Tra i suoi film più recenti si annoverano: Xiaoao jiang hu ­ Swordsman (1990), Ketu qiuhen ­ Autumnal Lament in Exile ­ Song of Exile (1990), Shanghai jiaqi ­ My American Grandson (1990), Jidao zhuizhong ­ Zodiac Killer (1991), Boy and His Hero (1993), Nu ren si shi ­ NuRen si shi ­ Summer Snow ­ Woman, Forty (1994), Ah Kam ­ A Jin de gu shi ­ The Stunt Woman (1996), Gei diy chun fung ­ Ji du chun feng ­ As Time Goes By (1997), Boon sang yuen ­ Ban sheng yuan ­ Half Life Fate ­ Eighteen Springs (1997), Qian yan wan yu ­ Ordinary Heroes (1998), Youling renjian ­ Visible Secret (2001), The Making of 'Youling renjian ­ Visible Secret' (2001), Laam yan sei sap ­ Nan ren si shi ­ July Rhapsody (2002) Yi ma de hou xian dai sheng huo ­ The Postmodern Life of My Aunt (2006).
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Da un punto di vista cinematografico come il regista decide di rappresentare la vita tradizionale e la cultura cinese e come lo stile di vita dei giovani americani?
Rispetto alla trama
● E' molto interessante notare come Ku: vedovo, solo e senza una famiglia vicina, viva comunque un'attiva vita di comunità. Quali sono le risorse a sua disposizione?
● La scuola che Ming deve frequentare a Shanghai è profondamente diversa dalla sua negli Stati Uniti. Descrivila.
Seconde generazioni
● Ming è cinese (come gli ripetono in continuazione suo nonno ed anche il preside della scuola) o è americano? Quanto conta il “colore della pelle” e quanto contano invece l'educazione ed il contesto in cui si vive? Sono queste le riflessioni che ruotano attorno al concetto di “seconde generazioni”, una condizione che può causare un forte conflitto interiore nelle nuove generazioni figlie dell'immigrazione: un turbamento che può manifestarsi a contatto con la cultura di origine dei propri genitori (come nel film) o anche nel contesto dell'immigrazione, quando i ragazzi vivono una realtà domestica/familiare estremamente diversa da quella sociale e non riescono a far coesistere questi due mondi.
Il contesto
● Shanghai, Pechino e più in generale la Repubblica Popolare Cinese stanno vivendo in questi ultimi anni profondi cambiamenti che trasformano bruscamente anche l'assetto del territorio. Le grandi città, in particolare, stanno rivoluzionando il loro piano urbanistico: i grattacieli si fanno spazio tra i vecchi quartieri con forti pressioni sulla popolazione. Svolgi una ricerca al riguardo.
Film adatto a partire dalla scuola secondaria di I° grado.
My american grandson 2/2
Le neveu du peintre
(Il nipote del pittore)
di Moustapha Dao
Sceneggiatura: Moustapha Dao
Burkina Faso, 1989, 29'
versione originale dioula sottotitolata in italiano
VHS
La trama.
Il film Le neveu du peintre è diviso i due parti: la prima è ambientata in un villaggio, la seconda in città a Ougadougou, capitale del Burkina Faso.
La prima parte mette in scena la storia che la nonna racconta ad Alì e agli altri bambini del villaggio. E' il racconto di una lepre e di una iena che vogliono abbellire le loro mogli con dei gioielli, ma mentre la iena con l'argilla da forma ad una collana la lepre scopre casualmente un baobab magico che le farà vivere un'avventura affascinante.
Oggetto di questa prima parte del film è la tradizione orale delle culture africane, tanto ricca di simboli e significati.
La seconda parte del film cambia invece ambientazione. Alì, che ha da poco conseguito la licenza elementare, viene mandato in città dal padre in visita da uno zio che di professione fa l'imbianchino ed il pittore. Riceve un passaggio in motorino e durante il viaggio osserva stupito il paesaggio che pian piano si definisce attorno a lui: le strade affollate di gente, le biciclette e i motorini, i negozi, le molte persone intente a lavorare. (Simpatica la scena in cui incuriosito si pone delle domande circa lo strano congegno che gli si pone davanti: un semaforo).
Alì giunge a destinazione e viene accolto con affetto da tutti i parenti. Dopo aver aiutato lo zio al cantiere, organizza con i cugini una serata danzante dove tutti i bambini si divertono molto. E' solo più tardi, la notte, che Alì ha terribili incubi: sogna che i murales dipinti il giorno stesso prendono vita e spaventato, l'indomani, decide di far ritorno al villaggio, un luogo che lo rassicura e che lo fa sentire meno solo.
Moustapha Dao
Nato nel 1955 a Koudougou (Burkina Faso). Ha studiato presso l'INAFEC. Ha lavorato come direttore di produzione presso il Cinafric Studi a Kossodo (Ougadougou) e per il National Center for Film and Television Nacional, in Burkina Faso.
Oltre a Le neveu du peintre (1989) ha realizzato A nous la rue (1987), L'enfant et le caïman (1991) e L'oeuf (1995).
Le neveu du peintre 1/2
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Quali sono le differenze principali sul piano narrativo che riscontri tra la prima e la seconda parte di questo film?
Rispetto alla trama
● Guarda e se necessario riguarda il film e prova con l'aiuto del tuo insegnante a riscrivere la storia che la nonna racconta ad Alì. E' una bella storia? Quale messaggio vuole trasmettere?
● Quali strumenti musicali compaiono nel film? Li hai mai visti dal vero o in altre pellicole cinematografiche? Con l'aiuto del tuo insegnante svolgi una ricerca e prova a dare un nome agli strumenti.
Griot
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I raccontastorie sono figure importanti perché le tradizioni africane si tramandano oralmente di generazione in generazione. Svolgi una ricerca a riguardo e se vuoi guarda su questo argomento il film Keita, l'heritage du griot di D. Kouyaté, anch'esso disponibile al Centro MIllevoci.
Il contesto
● Quali differenze si possono notare riguardo l'ambientazione tra la prima e la seconda parte del film?
● Hai visto il film Yaaba del regista Idrissa Ouedraogo? Come la prima parte di questo film è ambientato in un villaggio del Burkina Faso, quali sono i tratti caratteristici del luogo (le case, gli indumenti indossati dalle persone, gli utensili della cucina, ...)?
● Il Burkina Faso è il paese africano che ospita l'ambientazione di questo film: quali sono la geografia del suo territorio e al momento la sua situazione economico/politica?
Film adatto a partire dagli otto anni perché sottotitolato. Non di immediata comprensione necessita della visione guidata di un insegnante. Le neveu du peintre 2/2
Non lasciamo che presto sia troppo tardi
regia di Luigi Ottoni
interpretato dagli studenti del laboratorio cinema (classi 1a e 1b) della Scuola media di Taio (TN)
Italia, 2003, 20'.
documentario
VHS
La trama.
Taio è un paese di quasi tremila abitanti nella Valle di Non, in provincia di Trento. Nella scuola media di Taio da alcuni anni sono presenti molti studenti stranieri che provengono da diversi Paesi del mondo: Brasile, Croazia, Marocco, India, ... e proprio la scuola, grazie all'immigrazione, si trova oggi ad essere fondamentale occasione di incontro e confronto tra differenti culture.
Nel documentario vengono intervistati e si raccontano alcuni dei piccoli protagonisti dell'immigrazione in questa zona del Trentino ma anche i loro genitori ed i loro compagni italiani. In queste conversazioni i temi maggiormente trattati sono: ●
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le paure e le curiosità di affrontare un'esperienza migratoria,
la nuova lingua da imparare, gli amici, quelli lasciati nel paese d'origine ed i nuovi in Trentino, la nostalgia, le famiglie ed i parenti lasciati nel proprio paese, l'incontro con un nuovo territorio e il confronto tra l'ambiente lasciato e quello dell'immigrazione.
Non lasciamo che presto sia troppo tardi è un grazioso ed interessante esperimento che mette in campo numerosi spunti di riflessione: che vanno dal problema dell'identità, ai motivi della migrazione, all'emigrazione trentina. Il documentario nasce del desiderio di una conoscenza reciproca, valorizzando quello che è uno dei contesti privilegiati d'osservazione del fenomeno immigratorio oggi: la scuola.
Non lasciamo che presto sia troppo tardi è un lavoro realizzato nel secondo quadrimestre dell'anno scolastico 2002­2003 durante il laboratorio cinematografico­teatrale presso l'Istituto Comprensivo di Taio (TN), grazie alla collaborazione delle insegnanti Bubba Caterina, Dalpiaz Marisa e Vinotti Maria.
Non lasciamo che presto sia troppo tardi 1/2
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Il documentario
● Che cosa hanno voluto rappresentare i curatori di questo documentario con la palla/mondo che corre per le strade scoscese di Taio? ● Nel film non viene spiegato espressamente ma che cosa significa il titolo “Non lasciamo che presto sia troppo tardi”?
● Tulilem, il breve cartone animato di Bruno Bozzetto (anch'esso presente al Centro Millevoci), ha molti tratti in comune con questo documentario: la simbologia della palla, l'incontro tra bambini provenienti da diversi paesi, l'integrazione positiva attraverso la conoscenza reciproca... guardalo e confronta i due film.
Immigrare/emigrare
● Migrare per un bambino non è mai una scelta volontaria, si trova sempre coinvolto nel progetto della sua famiglia. Al contempo è qualcosa in più della scelta dovuta a necessità vitali o al desiderio di realizzare un sogno; è anche avventura, paura, nostalgia, curiosità... E poi l'incontro tra chi giunge e chi è qui da sempre: anche se tra bambini, anche se auspicato dai grandi, è comunque incertezza, diffidenza, prima di divenire ricchezza per gli uni e per gli altri. Rifletti su questo argomento e, se ne hai la possibilità, confronta la situazione ipotetica qui descritta con dei casi concreti.
● Servendoti del Rapporto immigrazioni pubblicato ogni anno dalla Provincia Autonoma di Trento studia il fenomeno immigratorio in questa provincia: la situazione attuale e le tendenze degli ultimi anni.
● L'emigrazione è stata per molti anni un triste fenomeno che ha colpito il Trentino, come molte altre provincie italiane. La povertà spinse intere famiglie ad abbandonare i piccoli paesi delle valli per trovare nuove condizioni di vita e di lavoro in altre nazioni, più o meno lontane. L'emigrazione ebbe inizio nei primi anni del XIX secolo ma fu solo a partire dalla seconda metà del secolo scorso che acquistò le caratteristiche di massa, anche come emigrazione definitiva e non più stagionale, oltre Oceano, in particolare nelle Americhe. Svolgi una ricerca servendoti dei supporti offerti dal Servizio Emigrazione e Solidarietà internazionale della Provincia autonoma di Trento, dall'associazione Trentini nel mondo onlus e dal Centro di documentazione sulla storia dell'emigrazione trentina del Museo Storico in Trento.
Documentario adatto agli alunni delle ultime classi della scuola primaria e agli studenti della scuola secondaria di I° grado.
Non lasciamo che presto sia troppo tardi 2/2
Nuova speranza
per i bimbi delle favelas
di Lia e Alberto Beltrami
Italia/Brasile, 2005, 20'.
Documentario
DVD
La trama
In Brasile milioni di bambini vivono nelle favelas. Con il termine portoghese favelas si indicano le baraccopoli brasiliane, edificate generalmente alla periferia della maggiori città del paese. Sono costruite con diversi materiali, da semplici mattoni a scarti recuperati dall'immondizia. I problemi che più comunemente si riscontrano in questi ambienti sono il degrado, la criminalità diffusa e i problemi di igiene pubblica. I bambini, anche in questo caso, sono la fascia della popolazione più colpita: la povertà compromette la qualità dell'alimentazione e di conseguenza aumenta per loro il rischio di contrarre malattie. L'abbandono scolastico, inoltre, è molto elevato e facilmente i bambini che vagano tutto il giorno per le strade della favela rischiano di essere coinvolti in attività criminali. Nel 1970, nella città di San Matteo a nord di Rio de Janeiro, Egidio e Luisa, una coppia di italiani, ha fondato “Nova Esperanza”: un centro che raccoglie circa 500 bambini delle favelas circostanti. A “Nova Esperanza” vengono garantiti l'istruzione, alcuni pasti giornalieri, assistenza sanitaria di base e la prospettiva di un lavoro per il futuro. Le sue porte sono aperte dalle 7 della mattina alle 17.30 del pomeriggio e oltre ad offrire un ricco programma didattico e ricreativo i suoi educatori si preoccupano di tenere lontani i ragazzi dalla strada. Gabriel che frequenta le scuole elementari racconta la sua giornata tipo.
Adelina, un'altra bambina che frequenta “Nova Esperanza”, la sera quando rientra a casa diventa lei stessa maestra ed insegna alla sua mamma a leggere e scrivere.
Il documentario, ricco di colori e di immagini della rigogliosa natura che caratterizza questa zona del Brasile, è centrato sulla descrizione del Centro, peccato non si soffermi anche ad illustrare la difficile vita nelle favelas circostanti, dalle quali in effetti provengono i bambini.
Lia Beltrami
E' nata a Trento nel 1967, si è laureata in Lingue e Letterature Straniere e poi si è diplomata in regia, presso la New York Film Academy. Ha iniziato a realizzare film documentari nel 1991 e a partecipare attivamente a gruppi di studio di cinema e storia (IAMHIST).
Nel 1996 ha fondato Bianconero, archivio di film dei Paesi in via di Sviluppo, insieme con il Centro Missioni Cappuccini di Trento.
Nel 1998 ha ideato e contribuito a fondare il Festival internazionale di Cinema e Religione, Religion Today, di cui è direttrice artistica.
Nuova speranza per i bimbi delle favelas 1/2
Alberto Beltrami
E' nato nel 1952, ha studiato architettura a Venezia prima e musica poi. Per diversi anni si è dedicato alla produzione di dischi come compositore e cantautore della scuola romana, partecipando a festival internazionali e vincendo numerosi premi, tra cui il Premio della Critica al Festival di San Remo nel 1980. Ha continuato a suonare come supporter per i migliori cantautori italiani: Antonello Venditti, Angelo Branduardi, Ivan Graziani; e in tour insieme a: Marco Ferradini, Goran Kuzminac, Mario Castelnuovo, Grazia Di Michele.
Oltre a questo documentario, Lia e Alberto Beltrami hanno diretto:
Adamà. Danzando nella luce (2003) – Anch'esso presente al Centro Millevoci.
Il Cristo della Polvere (2002)
Lettere dallo Zimbabwe (2002)
Del concilio e delle vie d'Europa 13 Dicembre del 1545 (1995)
Quando la vita è un dono (2001)
L'acqua del cocco è saporita solo nel cocco (1999)
Tucul in Eritrea (2002)
Pamir Alay: climbing Big Wall… (2000)
A Bologna mi trovavo tra gli studenti…. Bologna, università degli Studi. (2000)
Studium fuit Bononiae…(2000)
Il recupero della Pescheria di Trieste: un progetto Italia (2000)
Telecatechesi (2001 / 2002 /2003 / 2004) – 5 puntate
Da Nazareth alla città (2003)
E salvezza sarà… (2003)
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Nuova speranza
● Descrivi una giornata tipo dei bambini a Nuova speranza.
● A Rio de Janeiro ci sono 701 favelas, dove vivono circa 1,5 milioni di abitanti e il comune di Rio ne ha 5,5 milioni. Significa che un abitante su 5 vive in questo tipo di situazione. Cosa ha contribuito allo sviluppo di questi quartieri? Come si vive in una favela? Il contesto
● Il Brasile è il paese che ospita l'ambientazione di questo documentario: quali sono la geografia del suo territorio e la sua situazione economica?
+ Il film documentario Nuova speranza per i bimbi delle favelas ha un fascicolo didattico in allegato. Documentario adatto agli alunni della scuola primaria.
Nuova speranza per i bimbi delle favelas 2/2
Nuove povertà, nuove solidarietà
nei nord e nei sud del mondo
Italia, 2004, 89'.
Documentario
VHS
“Un sistema mondiale in cui il 20% della popolazione si 'pappa' l'83% delle risorse è disumano”
(Alex Zanotelli, Missionario Comboniano).
La trama
Il 3 marzo 2004, nell'auditorium dell'Università degli Studi di Bologna si svolse un incontro il cui tema è il titolo di questo documentario, a cui presero parte Alex Zanotelli, missionario comboniano e Giovanni Nicolini, sacerdote e direttore della Caritas di Bologna. Un incontro aperto agli studenti, in cui la visione globale di denuncia del sistema attuale proposta da Padre Alex si incontrò con l'impegno locale nella città di Bologna di Don Nicolini, volto a combattere le nuove forme di povertà.
“Dove stiamo andando?” Si chiede Padre Alex all'inizio del suo intervento. La risposta sta nelle dinamiche del sistema economico e finanziario, negli immensi spostamenti di denaro che muovono l'economia mondiale. “Tre famiglie al mondo” continua “detengono le risorse economiche pari al prodotto nazionale lordo di 48 Stati africani, di 600 milioni di persone. Arrabbiatevi per questo!”.
“Un ristretto numero di persone controlla la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e il WTO (l'Organizzazione mondiale per il commercio). E proprio questi organismi impongono le nuove politiche che regolano il sistema globale”. “Smettiamo di pensare che queste decisioni siano prese dagli Stati o dai politici”, ammonisce, “L'Unione Europea, gli Stati Uniti, ... sono tutti sullo stesso piano: tutti orientati verso le medesime politiche di privatizzazione: della scuola, dell'acqua, della sanità... stiamo assistendo alla mercificazione di tutto!”. “Sapete che significa privatizzare l'acqua per i poveri del mondo? E' un genocidio!” conclude.
“Indignatevi” e “datevi da fare” sembrano essere le sue istruzioni “Cercate di vedere la realtà al di là del pensiero ufficiale e, a quel punto, 'riaggregatevi'. La risposta può venire solo da una società organizzata che diventa soggetto politico”.
Alex Zanotelli
Nato a Livo (Trento) il 26 agosto 1938, nel 1964, dopo aver completato gli studi di teologia a Cincinnati (Usa), è ordinato sacerdote. Partito come missionario comboniano per il Sudan, dopo otto anni viene allontanato dal governo a causa della sua solidarietà con il popolo Nuba e della coraggiosa testimonianza cristiana. Nuove povertà, nuove solidarietà nei nord e nei sud del mondo 1/2
Assume la direzione di Nigrizia nel 1978 e contribuisce a renderla sempre più un mensile di informazione, nel solco di una tradizione avviata nel 1883 e consolidatasi a partire dagli anni '50. Il suo programma di lavoro è ben chiaro fin dall'inizio: “Essere al servizio dell'Africa, in particolare 'voce dei senza voce', per una critica radicale al sistema politico­economico del nord del mondo che crea al Sud sempre nuova miseria e distrugge i valori africani più belli, autentici e profondi”. Per quasi dieci anni, Zanotelli prende posizioni precise e s'impone all'opinione pubblica italiana, affrontando i temi del commercio delle armi, della cooperazione allo sviluppo affaristica e lottizzata, dell'apartheid sudafricano. È anche tra i fondatori del movimento "Beati i costruttori di pace", con cui ha condotto molte battaglie in nome della cultura della mondialità e per i diritti dei popoli.
Nel 1987 ­ su richiesta di esponenti politici e vaticani ­ Alex Zanotelli lascia la direzione di Nigrizia: ma la sua eredità culturale, raccolta dai successivi direttori e redattori, continua a manifestarsi anche oggi.
Fino al 2001, il lavoro missionario di Zanotelli si è svolto a Korogocho, una delle baraccopoli che attorniano Nairobi, la capitale del Kenya. Ha dato vita a piccole comunità cristiane, ma anche a una cooperativa che si occupa del recupero di rifiuti e dà lavoro a numerosi baraccati; ha propiziato la nascita di Udada, una comunità di ex prostitute che aiuta le donne che vogliono uscire dal giro e, nello stesso tempo, si è battuto per le riforme che riguardano la distribuzione della terra, uno dei temi­chiave della politica keniana.
Oggi vive ed opera a Napoli, nel quartiere Sanità.
Giovanni Nicolini E' nato a Mantova nel 1940. Dopo la laurea in Filosofia all’Università Cattolica, ha studiato Teologia all’Università Gregoriana. È stato ordinato per la Chiesa di Bologna nel 1967. Dal 1999 è parroco a Sant’Antonio da Padova alla Dozza. Come vicario della carità è anche direttore della Caritas diocesana.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
●
Che cos'è il sistema finanziario di cui parla Alex Zanotelli nella sua relazione?
●
Seguendo il discorso di Padre Alex, quali sono le nuove politiche di privatizzazione che si stanno adottando in tutto il mondo? Quali gli effetti per la popolazione mondiale?
●
Alex Zanotelli vive oggi al Rione Sanità di Napoli ma per dodici anni ha operato a Korogcho, un'enorme baraccopoli di Nairobi in Kenya. Cerca informazioni su questo luogo. Documentario adatto agli studenti delle scuola secondaria di II° grado e agli studenti degli istituti professionali. Nuove povertà, nuove solidarietà nei nord e nei sud del mondo 2/2
I nuovi padroni del mondo
scritto e diretto da John Pilger
Gran Bretagna, 2001, 55'.
versione originale doppiata in italiano
Documentario
DVD
“Mai il divario tra ricchi e poveri è stato così vasto e la disuguaglianza così diffusa”.
(John Pilger)
La trama
In I nuovi padroni del mondo John Pilger esplora gli effetti della globalizzazione prendendo come esempio la realtà dell'Indonesia: un paese che la Banca mondiale ha descritto come "pupilla di modello", ma che nel 1998 è collassato a livello economico e oggi vede la maggior parte della sua popolazione vivere in condizioni di povertà estrema.
Nella prima parte del documentario Pilger indaga il lavoro nelle fabbriche indonesiane che producono abbigliamento per i più noti marchi della moda. Le condizioni di lavoro degli operai e delle operaie sono disumane: ambienti claustrofobici che raggiungono i 40 °C in quanto privi di aria condizionata, turni di 24 ore intervallati da due sole brevi pause, impossibilità di sedersi per anche 12 ore, uno stipendio mensile che oscilla tra i 30 e i 40 dollari. “Il campione di golf Tiger Woods”, dice Pilger, “per la sua sponsorizzazione del marchio Nike ha guadagnato di più di tutta la forza lavoro che in Indonesia produce abbigliamento e accessori per questa marca”. In Indonesia, insomma, la gran parte della popolazione vive sfruttata, con un lavoro che è più prossimo alla schiavitù che non al lavoro come normalmente dovrebbe essere inteso.
Nella seconda parte il regista cerca di risalire alle ragioni di questo modello produttivo e parte dal colpo di stato del Generale Suharto del 1965. Suharto con l'appoggio di Stati Uniti, Gran Bretagna e dei leaders commerciali occidentali, dopo il suo insediamento, ridisegnò l'economia indonesiana “svendendo” il suo paese e la sua gente alle multinazionali, al solo fine di arricchire il proprio patrimonio familiare, oggi stimato attorno ai 15 miliardi di dollari. La vicenda è tristemente nota anche perché più di un milione di indonesiani morirono per mano del Generale che perseguitò con accanimento gli oppositori politici e utilizzò sistematicamente l'esercito per mantenere il controllo delle regioni del paese. Il documentario, nella sua fase conclusiva, si concentra sul concetto di "globalizzazione" che per John Pilger è in realtà neo­imperialismo collegato agli interessi delle classi dominanti (il complesso imprenditorial­finanziario). Cita il WTO (l'Organizzazione mondiale per il commercio), la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale quali maggiori responsabili dell'indebitamento dei paesi poveri e raccoglie l'invito alla cancellazione del debito proposto dai movimenti popolari.
I nuovi padroni del mondo 1/2
John Pilger E' un giornalista di fama mondiale, scrittore, autore e regista di film documentari. Ha iniziato la sua carriera nel 1958 nella sua patria, l'Australia, prima di trasferirsi a Londra nel 1960.
E' stato un corrispondente straniero e un front­line reporter di guerra, a partire dalla guerra del Vietnam nel 1967. Ritiene anche un giornalista dovrebbe essere un custode della memoria del pubblico e spesso cita Milan Kundera: "La lotta del popolo contro il potere è la battaglia della memoria contro l'oblio." Noam Chomsky ha scritto di lui: "il lavoro di John Pilger è stato un faro di luce nel buio spesse volte. Le realtà che ha portato alla luce sono state una rivelazione, più e più volte, e il suo coraggio e la sua visione una costante ispirazione".
Per informazioni sulla filmografia e la bibliografia di John Pilger si rimanda al sito internet: www.johnpilger.com.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Il lavoro
● Descrivi la vita dei lavoratori e delle lavoratrici indonesiani raccontata nel documentario.
● Confronta queste condizioni di lavoro con quelle che vengono presentate nei documentari Pomodoro nero Literno di Edoardo de Falchi e Lorenzo Calanchi e L'amaro sapore del caffè di Gianni Beretta e Giovanna Sganzini, entrambi presenti al Centro Millevoci.
Globalizzazione
● Che cos'è la globalizzazione? ● Spiega il processo di indebitamento dei paesi poveri e quali sono le conseguenze vissute dalle popolazioni di questi paesi. ● Quali sono i compiti svolti dal WTO, dalla Banca Mondiale e dal Fondo monetario internazionale?
● Come si legge nel documentario di John Pilger, i movimenti popolari chiedono la cancellazione del debito ma i media, mossi dai governi e dalle multinazionali interessate a mantenere la situazione allo stato attuale, in molti casi producono un'informazione che descrive un fittizio clima di violenza e crea uno stato di allarme ingiustificato. Che cosa ne pensi?
Sul piano del contesto
● Svolgi una ricerca sull'ascesa del Generale Suharto in Indonesia e sulla sua politica repressiva.
Documentario adatto agli studenti della scuola secondaria di II° grado e degli istituti professionali.
I nuovi padroni del mondo 2/2
Nyamanton, la lezione dell'immondizia
(Nyamanton, la leçon des ordures)
di Cheick Oumar Sissoko
Sceneggiatura: Cheick Oumar Sissoko
Mali, 1986, 90’.
versione originale bambara con sottotitoli in italiano
VHS
“Faccio film per illuminare le nostre popolazioni, come ha detto Sembene Ousmane, per dare una mano alla soluzione dei nostri problemi. Con le mie immagini voglio provocare shock, risvegliare le coscienze e istigare al cambiamento”.
(Cheick Oumar Sissoko)
La trama.
Kalifa è un bambino di nove anni che viene cacciato dall'aula il primo giorno di scuola perché non possiede il banco. In Mali i banchi sono di proprietà degli alunni e così i bambini anche molto piccoli sono costretti a trascinare ogni giorno pesanti banchi di legno per poter essere ammessi a scuola. I genitori di Kalifa, benché molto poveri, sono intenzionati a fargli proseguire gli studi, consci che l'istruzione può essere l'unica possibilità di riscatto per liberarsi dall'ignoranza e dalla subalternità. Chiedono per questo un prestito, grazie al quale riescono ad acquistare un banco e ad affittare un carrettino con il quale Kalifa, nelle ore libere dalla scuola, potrà raccogliere le immondizie e contribuire così al mantenimento della famiglia. Kalifa è felice di questo primo passo e si affatica fino allo sfinimento raccogliendo immondizie nel quartiere dei ricchi, lo stesso dove la sua mamma fa la domestica, anche se con quel lavoro guadagna troppo poco e il noleggio del carrettino è davvero molto caro. Anche Fanta, sorella di Kalifa, lavora, vende arance per la strada e spesso è vittima degli scherzi crudeli dei passanti. Nel frattempo le tasse scolastiche aumentano ancora e i due fratellini non potendo pagare vengono cacciati definitivamente dalla scuola. Fanta e Kalifa, schiacciati dalla miseria e precocemente consci dell'ingiustizia della società nella quale vivono, decidono comunque di non arrendersi e di partire per la città pronti a lottare per il loro futuro.
Il film, girato al costo record di quindicimila euro, avrebbe dovuto essere completamente diverso per motivi di censura ma il regista facendo le riprese clandestinamente con una troupe totalmente maliana è poi riuscito a montare il film grazie all'aiuto di alcuni tecnici yugoslavi e a distribuire la sua pellicola.
Nyamanton, la lezione dell'immondizia 1/2
Cheick Oumar Sissoko
E' nato nel 1955 a San (Mali).
La formazione di Cheick Oumar Sissoko si svolge innanzitutto a Parigi, dove il regista ottiene un DEA in storia e sociologia dell'Africa ed in seguito si diploma in storia del cinema alla prestigiosa Ecole des hautes études en sciences sociales: infine, segue i corsi presso l'Ecole nationale Louis Lumière. Tornato in Mali, diventa direttore del Centre National de la Production Cinématographique (CNPC) di Bamako, e dirige il suo primo lavoro Sécheresse et Exode rural. Nel 1996, Sissoko e Oumar Mariko fondano un partito politico, il SADI e il regista viene nominato Ministro della Cultura del Governo di Ahmed Mohamed Ag Hamani dall'ottobre del 2002 fino al maggio del 2004, quando sale al potere come Primo Ministro Issoufi Ousmane Maïga.
Nyamanton, il suo primo lungometraggio, ha riscosso grande successo ai festival di Cartagine, Nantes, Edimburgo. Londra, Ouagadougou, Montreal; ma anche altre sono le sue produzioni: Les Audiothèques rurales (1983), Sécheresse et exode rural (1984), Finzan (1990), Etre jeune à Bamako (1992), L'Afrique bouge (1992), Problématique de la malnutrition (1993), Guimba, un tyrant, une époque (1995), La Genèse (1999), Battù (2000). Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Il montaggio alternato è utilizzato spesso dal regista per mettere in contrapposizione il microcosmo dei ricchi padroni a quello povero abitato dalla famiglia di Kalifa. Da una parte ci sono i pochi uomini che nel paese hanno saputo arricchirsi, facendo ricorso ad opportunismi di ogni tipo, dall'altra i molti che vivono ai margini, vittime della loro povertà, eppure pronti a darsi una mano e a non scordare valori come l'amicizia e la solidarietà. Si evidenzia questa tecnica durante la visione del film? Pensi sia efficace?
Rispetto alla trama
● Fai una descrizione del personaggio Kalifa, quali sono i tratti del suo carattere che ti hanno colpito maggiormente?
● Prova ad immaginare un proseguo della storia, che cosa accadrà in città ai due fratellini?
Diritto all'istruzione
● “Il diritto all'istruzione viene inteso dai genitori di Fanta e Kalifa come unica possibilità di riscatto, per liberarsi dall'ignoranza e dalla subalternità”. Analizza questa affermazione e confrontandola con i dati pubblicati nell'ultimo rapporto UNICEF sulla condizione dell'infanzia nel mondo (scaricabile dal sito www.unicef.it). Il contesto
● Ancora una volta un film racconta come i bambini africani vivono quotidianamente la strada. Guarda anche A nous la rue di Moustapha Dao e La petite vendeuse de Soleil di Djibril Diop Mambety (presenti al Centro Millevoci) e confronta le storie dei piccoli protagonisti.
● Il Mali è il paese africano dove è ambientato questo film: quali sono la geografia del suo territorio e al momento la sua situazione economico/politica?
Film adatto a partire dagli otto anni, non tanto per la tematica quanto per la presenza dei sottotitoli. Nyamanton, la lezione dell'immondizia 2/2
La petite vendeuse de Soleil (La piccola venditrice di 'Soleil')
di Djibril Diop Mambety
Sceneggiatura: Djibril Diop Mambety
Interpreti: Lissa Baléra, Tairou M’Baye, Oumy Samh, Moussa Baldé, Dieynaba Laam, Martin N’Gom Senegal, 1999, 45'.
versione originale wolof sottotitolata in italiano
VHS
“Fare cinema non è una cosa difficile. Quando tu chiudi gli occhi vedi l’oscurità, ma se tu li chiudi
ancora più forte, tu cominci a vedere delle piccole stelle. Alcune di esse sono delle persone, altre
sono animali, dei cavalli, degli uccelli. Ora se tu dici loro come muoversi, dove andare, quando fermarsi, tu avrai creato una storia. Una volta finita, tu puoi aprire gli occhi e il film è fatto, davanti a te”. (Djibril Diop Mambety)
La trama
Sili è una ragazzina che vive nella periferia di Dakar chiedendo l'elemosina per sé e per la nonna non vedente. Ha gravi problemi di deambulazione e per questo è costretta a camminare con le stampelle.
Un giorno come tanti altri, dopo aver assistito all'umiliazione di un suo coetaneo sulla sedia a rotelle da parte di una banda di ragazzi, decide di dare una svolta alla sua vita e inizia a lavorare vendendo per le strade della capitale il giornale "Le Soleil". Grazie alla sua dolcezza e alla scelta dei luoghi giusti, esaurirà ogni giorno le sue copie, scatenando l'invidia della stessa banda, che cercherà più volte di vendicarsi, inutilmente.
La petite vendeuse de Soleil è la storia di un'emancipazione. Di una ragazzina dallo sguardo penetrante: fiera ed orgogliosa, che riscopre attraverso il lavoro le sue reali potenzialità.
Djibril Diop Mambety
Djibril Diop Mambéty è precocemente scomparso nel luglio del 1998 a soli 53 anni, ma ancora oggi rappresenta una delle anime più interessanti ed eclettiche del panorama del cinema africano: avendo sperimentato, in quasi 30 anni di attività, una cinematografia poetica ed appassionata.
La petite vendeuse de Soleil 1/2
In questo lungo periodo di attività ha tuttavia realizzato pochi film: 2 cortometraggi (Contras City, del 1968 e Parlons Grand Mère, del 1989), 3 mediometraggi (Badou Boy, 1969; Le Franc, 1994 e La petite vendeuse de Soleil 1998) e 2 lungometraggi (Touki Bouki, 1973 e Hyènes, 1992), ma le sue opere, seppur numericamente esigue, sono indimenticabili e rappresentano delle tappe significative nell’evoluzione del cinema prodotto in Africa.
Djibril Diop Mambéty si discostava infatti da altri cineasti per la sue ecletticità e capacità di esplorare forme narrative e canoni estetici che vanno dalla tragedia alla commedia, all’autobiografia, al surrealismo. I suoi set privilegiavano quasi sempre Dakar (la sua città natale) alla quale era molto legato e ne mettevano in risalto le incoerenze e le persone più semplici, che a partire dalle prime luci del mattino vivono la città cercando di sopravvivere. Diop Mambéty filmava Dakar con passione quindi, poneva su di essa uno sguardo documentario e al tempo stesso segnato dall’artificio. In questo senso reinventava la città, la vestiva di luci, la apriva alla contaminazione e all’incontro con il fantastico, con humor benevolo, aspro e dissacrante.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Lo sguardo della macchina da presa descrive in maniera significativa gli spazi geografici e gli “spazi interiori” dei protagonisti. Quali scene o inquadrature del film sembrano essere più rappresentative di questa considerazione?
Rispetto alla trama
● Sili sembra aver accettato la sua disabilità e cerca di affrontarla al meglio. Alcune persone attorno a lei la aiutano e la sostengono mentre altre la prendono in giro e le fanno del male. Qual è il rapporto della gente di Dakar nei confronti di Sili? Quale il rapporto della nostra società nei confronti dei disabili?
● Sili è una bambina con una grave disabilità fisica che limita la sua vita. A questo si aggiunge la sua povertà in un paese che, a causa di gravi problemi economici, non ha servizi a sostegno delle persone. Quale confronto si può fare in questo senso tra Senegal e Italia?
Diversità/normalità
● L'handicap e l'accettazione di sé; il concetto di diversità e quello di normalità...
● L’importanza dell’amicizia, della comprensione, della relazione con gli altri.
● Il bullismo, le prevaricazioni, i differenti ruoli dei membri di un gruppo.
Il contesto
● Sili si sposta in continuazione da un luogo all’altro di Dakar, una grade città africana, quali differenze ambientali si possono riscontrare confrontando il film La petite vendeuse de Soleil con il film Yaaba, ambientato in una zona rurale dell'Africa?
● Il Senegal e l’Italia. Due realtà a confronto: la città, la vita della strada, i lavori, i bambini.
● La situazione socio­economica del paese. Analisi dei dati statistici (siti UNICEF, WHO, ...).
● La storia del Senegal: lo schiavismo, il colonialismo, l’indipendenza.
Film adatto a partire dagli otto anni, non tanto per la tematica quanto per la presenza dei sottotitoli. La petite vendeuse de Soleil 2/2
Pieces d'identites
(Carte d'identità)
di Mweze Ngangura
Sceneggiatura: Mweze Ngangura
Interpreti: Gerard Essomba, Herbert Flack, Jean­Louis Daulne, Dominica Mesa, Cecilia Kankonda, David Steegen, Tshilombo Lubambu, Mwanza Goutier
Rep. Democratica del Congo, 1998, 97'.
versione originale francese sottotitolata in italiano
VHS
“L'identità riguarda i modi in cui gli individui definiscono la propria situazione e si collocano all’interno di un campo simbolico, tracciando dei confini; come essi stabiliscono modi di selezionare e ordinare le proprie preferenze; come mantengono nel tempo i confini e le differenze fra sé e il mondo, trovando il senso della continuità del proprio essere sociale”.
(Arnaldo Bagnasco in Tracce di comunità, 1999, p.30.)
La trama.
Mani Kongo, vecchio re del Congo*, nostalgico dei rapporti belga­congolesi, è un re di quelli che incarnano le nostre fantasie più esotiche: sfarzosi ornamenti d'oro e di perle, scettro e un elegante portamento. Non avendo da diverso tempo più notizie della figlia Mwana, che aveva mandato a studiare in Belgio all’età di otto anni, un giorno il “re” decide di partire alla sua ricerca. Arrivato all’aeroporto di Bruxelles vestito dei suoi paramenti reali suscita ilarità e complicazioni in un mondo che non conosce la sua cultura. Da subito infatti si deve confrontare con l’Europa e con una serie di personaggi stravaganti: Chako­Jo, un ragazzo di origine congolese che si spaccia per autista di taxi ed è innamorato segretamente di sua figlia; Jefke, ex amministratore coloniale nel suo paese e attuale referente del quartiere africano di Bruxelles; Viva­wa, giovane congolese alla moda che subito trova il modo di scroccare dei soldi al re; Noubia, cantante brillante e solitaria…
Equivoci a non finire, scandali e imbrogli inaspettati accompagnano questa avventura dolce­
amara, ma anche incontri illuminanti e scoperte incredibili portano dritto al lieto fine. Il ritrovamento della figlia diventata ballerina in un night svela improvvisamente a Mani Kongo i grandi e rivoluzionari mutamenti della società. Fatta lezione di questa esperienza, torna in Africa ed ipotizza una nuova identità per sé e per il suo popolo. Alla fine del lungo viaggio, infatti, lontano dalle sue illusioni, il re si rende conto che la tradizione non è immutabile e che i cambiamenti prima di tutto devono “venire da dentro”, da ciascuno.
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* In epoca coloniale il paese era chiamato Congo Belga, fino alla sua indipendenza nel 1960 quando diventò la Repubblica del Congo. Nel 1964 sotto la presidenza di Josev Kasavubu cambiò forma di stato e divenne divenne Repubblica democratica del Congo.
Nel periodo 1971­1997 il Presidente Joseph Désiré Mobutu volendo tornare alla cultura tradizionale rifiutò tutti i nomi coloniali e rinominò il Congo in Repubblica dello Zaire. Lui stesso cambiò nome: da Joseph Désiré a “Sese Seko Kuku Ngbendu wa za Banga” che significa “guerriero irresistibile, che andrà di conquista in conquista lasciando il fuoco dietro di sé”.
Nel 1997 il Paese tornò ad essere la Repubblica democratica del Congo. Pieces d'identites 1/3
Pièces d'identités è una divertente commedia sul tema dell'identità: sulla necessità delle genti africane di sapere chi sono e da dove vengono in questo mondo sempre più interconnesso e globalizzato, che li travolge oggi nel fenomeno delle migrazioni, come il secolo scorso in quello delle dominazioni coloniali.
Pièces d'identités vinse il Premio del Pubblico al Festival del Cinema Africano di Milano nel 1998 ed il Gran Premio FESPACO 1999.
Mweze Ngangura
Nasce nel 1950 a Bukavu (oggi Repubblica democratica del Congo). Beneficia nel 1970 di una borsa di studio dal governo belga per l'Institut des Arts de Diffusion (IAD), di Bruxelles, dove si laurea nel 1975.
Torna in patria nel 1976 e insegna in alcuni istituti superiori di Kinshasa.
Nel 1980, dirige il documentario "Chéri Samba" , il ritratto di un giovane pittore di Kinshasa.
Dal 1986, lavora come un regista di film indipendenti.
Nel 1992, dirige "Changa Changa", documentario made in Bruxelles dove la musica e gli incontri interculturali si arricchiscono a vicenda.
Nel 1994, lavora al documentario “Le Roi, la Vache et le Bananier, Chronique d’un retour au Royaume de Ngweshe”. L'anno successivo dirige, "Lettre à Makura : les derniers Bruxellois ", la lettura di un antropologo della più antica comunità africana di Bruxelles.
Nel 1997, gira "Le general Tombeur", un documentario per raccontare la storia di Bukavu.
In Belgio, dove attualmente risiede, ha fondato l'associazione "Cinema Sud", la cui finalità principale è la comunicazione interculturale e la cooperazione Nord­Sud tramite il mezzo audiovisivo.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Si è detto che questo film è una commedia dolce­amara. Che cosa significa?
Rispetto alla trama
● Quale percorso interiore compie Mani Kongo in questo viaggio?
● Quali vicende hanno caratterizzato l'esperienza migratoria di sua figlia Mwana in questi anni?
L'identità
● Che cos'è l'identità? Come si definisce e come si manifesta? Cosa accade quando ciò che pensiamo caratterizzare la nostra identità diventa un elemento di discriminazione?
● Ciò che è "normale" e ciò che non lo è, cambia a seconda del sistema di valori in cui ci si trova. Cosa sarebbe successo se al posto del re a recarsi in Belgio fosse stato un ricco uomo belga di mezza età ad andare in Congo per cercare sua figlia? Lo spiazzamento e le incomprensioni sarebbero state le stesse o le cose sarebbero andate diversamente? ● L'identità è un argomento "delicato", che è alla ribalta nelle cronache e nelle riflessioni dei giorni nostri e che spesso contrappone a presunte solide identità nazionali le 'contaminazioni' proprie dell'immigrazione. Ma l'identità è sempre un concetto collettivo o possiamo parlare anche di identità personali? Quanto contano le origini nella costruzione dell'identità delle persone? E soprattutto, sono l'unico elemento che serve a definire questo concetto?
Pieces d'identites 2/3
Integrazione
● Nelle immagini di questo film si apre una coloratissima Africa dipinta dalle popolazioni immigrate che vivono a Brouxelles. Il regista offre un ricco quadro dove è possibile riconoscere tematiche e problemi legati al tema dell'integrazione. Quali sono i più evidenti?
Il contesto
● La Rep. Democratica del Congo è il paese d'origine del vecchio re protagonista del film: qual'è stata la sua storia coloniale e quale quella più recente di questo paese?
Film adatto a partire dai primi anni della scuola secondaria di I° grado.
Pieces d'identites 3/3
Pomodoro nero Literno
di Edoardo de Falchi e Lorenzo Calanchi
Italia, 1995, 26'.
Documentario
La trama
VHS
Le campagne attorno alla cittadina di Villa Literno, in provincia di Caserta, vedono ogni giorno al lavoro nei campi migliaia di operai immigrati. Si tratta esclusivamente di lavoratori in nero (da qui il titolo del film) perché nessuno di loro ha un permesso di soggiorno e perché i piccoli imprenditori agricoli e le grandi cooperative locali, spesso controllate dalla camorra, non subiscono alcun tipo di controllo da parte dello Stato e possono quindi servirsi liberamente di questo tipo di manodopera immigrata senza diritti. La piazza principale di Villa Literno, ribattezzata “Piazza degli schiavi”, alle cinque del mattino è piena di gente che attende arrivi qualche caporale in cerca di manodopera per la giornata. Nella zona si coltivano perlopiù pomodori ma, spiega un'operatrice del Campo di solidarietà di S.Cipriano di Aversa ”questi uomini vivono da nomadi”: due mesi da una parte a raccogliere angurie, altri due a pomodori... e poi arrivano fino a Bolzano per la raccolta autunnale delle mele.
Vivono in casolari abbandonati: senza servizi igienici, senza corrente e senza acqua corrente. Attorno a Villa Literno si stima siano circa un migliaio gli immigrati in queste condizioni alloggiative.
Anche la popolazione locale non è contenta di queste situazioni ed è capitato spesso che le baracche vengano incendiate; per contro questi incendi non possono essere denunciati perché gli immigrati non hanno un permesso di soggiorno che possa farli uscire allo scoperto.
La casa non è l'unico problema però, in queste zone non c'è un ospedale, mancano i mezzi di trasporto pubblico e poi il rapporto con gli italiani è di forte discriminazione, tanto che qualcuno degli intervistati dichiara di preferire la vita segregata nei campi allestiti all'esterno della città perché “ci si sente a casa, ci si comprende e non ti discrimina nessuno”.
“Pomodoro nero Literno” è un documentario realizzato in occasione del Campo di Solidarietà organizzato a S.Cipriano di Aversa da CGIL, CARITAS, ARCI – Nero e non solo, FCEI, MAZZAFARRO, Forum Antirazzista Reg. Campania.
ARCI – Nero e non solo
E' un’associazione nazionale di volontariato antirazzista e antifascista che si occupa di politiche dell’immigrazione e si batte per lo sviluppo di una società multietnica e multiculturale.
L’idea di un’associazione di questo tipo nasce quando, in seguito e come risposta all’assassinio di Jerry Masslo, avvenuto nel 1988, un gruppo di persone decise di dar vita a Villa Literno ad un centro di accoglienza per gli immigrati giunti in estate in cerca di lavoro stagionale. Pomodoro nero Literno 1/8
Ci si rese presto conto, però, che un’attività di mero sostegno umanitario è incapace di fornire una risposta alle manifestazioni di intolleranza, razzismo e xenofobia e di migliorare la situazione degli immigrati in Italia. Prese forma, quindi, l’idea che la lotta debba essere articolata su due livelli: il primo, già sperimentato, del sostegno materiale, il secondo, che può definirsi politico, da realizzare attraverso la diffusione di una cultura antirazzista, mediante forme di contro­
informazione. La costituzione, a Bari, dell’associazione è avvenuta nel 1993 con circa 130 iscritti. Nel 1995 l’associazione Nero e Non Solo si è affiliata all’ARCI Nuova Associazione divenendone il progetto per le politiche della solidarietà. L’associazione fa parte della Consulta Cittadina degli immigrati e delle immigrate.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Rispetto alla trama
● Il documentario si sviluppa attraverso tre argomenti che definiscono la situazione del lavoro nero nelle campagne attorno a Villa Literno: la tipologia del lavoro, il problema degli alloggi e le discriminazioni. Quali sono i punti più importanti che si evidenziano nel film?
L'immigrazione in Italia ● Come si è evoluto il fenomeno immigratorio in Italia dalla seconda metà degli anni '70 ad oggi? Che tipo di progetti migratori si riscontrano nell'ultimo decennio rispetto al periodo iniziale?
● Le percentuali di cittadini immigrati sul totale della popolazione variano considerevolmente tra nord e sud Italia e sono collegate al mercato del lavoro. Svolgi una ricerca (ISTAT e Rapporto annuale Caritas) e confronta le due realtà.
Il lavoro nero
● Cosa si intende con il termine “lavoro nero”? E' una prerogativa legata all'immigrazione o questo problema esiste anche per i lavoratori italiani? Quali conseguenze comporta sul piano della sicurezza e delle retribuzioni? E per gli immigrati in particolare, come influenza i ricongiungimenti familiari e la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno?
● Confronta il documentario “Pomodoro nero Literno” con l'articolo giornalistico di Fabrizio Gatti “Io schiavo in Puglia”, in allegato.
Documentario adatto agli studenti delle scuole secondarie di II° grado e degli istituti professionali.
Pomodoro nero Literno 2/8
Io schiavo in Puglia
di Fabrizio Gatti
Sfruttati. Sottopagati. Alloggiati in luridi tuguri. Massacrati di botte se protestano. Diario di una settimana nell'inferno. Tra i braccianti stranieri nella provincia di Foggia L'Espresso, 1 settembre 2006.
Il padrone ha la camicia bianca, i pantaloni neri e le scarpe impolverate. È pugliese, ma parla pochissimo italiano. Per farsi capire chiede aiuto al suo guardaspalle, un maghrebino che gli garantisce l'ordine e la sicurezza nei campi. "Senti un po' cosa vuole questo: se cerca lavoro, digli che oggi siamo a posto", lo avverte in dialetto e se ne va su un fuoristrada. Il maghrebino parla un ottimo italiano. Non ha gradi sulla maglietta sudata. Ma si sente subito che lui qui è il caporale: "Sei rumeno?". Un mezzo sorriso lo convince. "Ti posso prendere, ma domani", promette, "ce l'hai un'amica?". "Un'amica?". "Mi devi portare una tua amica. Per il padrone. Se gliela porti, lui ti fa lavorare subito. Basta una ragazza qualunque". Il caporale indica una ventenne e il suo compagno, indaffarati alla cremagliera di un grosso trattore per la raccolta meccanizzata dei pomodori: "Quei due sono rumeni come te. Lei col padrone c'è stata". "Ma io sono solo". "Allora niente lavoro".
Non c'è limite alla vergogna nel triangolo degli schiavi. Il caporale vuole una ragazza da far violentare dal padrone. Questo è il prezzo della manodopera nel cuore della Puglia. Un triangolo senza legge che copre quasi tutta la provincia di Foggia. Da Cerignola a Candela e su, più a Nord, fin oltre San Severo. Nella regione progressista di Nichi Vendola. A mezz'ora dalle spiagge del Gargano. Nella terra di Giuseppe Di Vittorio, eroe delle lotte sindacali e storico segretario della Cgil. Lungo la via che porta i pellegrini al megasantuario di San Giovanni Rotondo. Una settimana da infiltrato tra gli schiavi è un viaggio al di là di ogni disumana previsione. Ma non ci sono alternative per guardare da vicino l'orrore che gli immigrati devono sopportare.
Sono almeno cinquemila. Forse settemila. Nessuno ha mai fatto un censimento preciso. Tutti stranieri. Tutti sfruttati in nero. Rumeni con e senza permesso di soggiorno. Bulgari. Polacchi. E africani. Da Nigeria, Niger, Mali, Burkina Faso, Uganda, Senegal, Sudan, Eritrea. Alcuni sono sbarcati da pochi giorni. Sono partiti dalla Libia e sono venuti qui perché sapevano che qui d'estate si trova lavoro. Inutile pattugliare le coste, se poi gli imprenditori se ne infischiano delle norme. Ma da queste parti se ne infischiano anche della Costituzione: articoli uno, due e tre. E della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Per proteggere i loro affari, agricoltori e proprietari terrieri hanno coltivato una rete di caporali spietati: italiani, arabi, europei dell'Est. Alloggiano i loro braccianti in tuguri pericolanti, dove nemmeno i cani randagi vanno più a dormire. Senza acqua, né luce, né igiene. Li fanno lavorare dalle sei del mattino alle dieci di sera. E li pagano, quando pagano, quindici, venti euro al giorno. Chi protesta viene zittito a colpi di spranga. Qualcuno si è rivolto alla questura di Foggia. E ha scoperto la legge voluta da Umberto Bossi e Gianfranco Fini: è stato arrestato o espulso perché non in regola con i permessi di lavoro. Altri sono scappati. I caporali li hanno cercati tutta notte. Come nella caccia all'uomo raccontata da Alan Parker nel film 'Mississippi burning'. Qualcuno alla fine è stato raggiunto. Qualcun altro l'hanno ucciso.
Adesso è la stagione dell'oro rosso: la raccolta dei pomodori. La provincia di Foggia è il serbatoio di quasi tutte le industrie della trasformazione di Salerno, Napoli e Caserta. I perini cresciuti qui diventano pelati in scatola. Diventano passata. E, i meno maturi, pomodori da insalata. Partono dal triangolo degli schiavi e finiscono nei piatti di tutta Italia e di mezza Europa. Poi ci sono i pomodori a grappolo per la pizza. Gli altri ortaggi, come melanzane e peperoni. Tra poco la vendemmia. Gli imprenditori fanno finta di non sapere. E a fine raccolto si mettono in coda per incassare le sovvenzioni da Bruxelles. 'L'espresso' ha controllato decine di campi. Non ce n'è uno in regola con la manodopera stagionale. Ma questa non è soltanto concorrenza sleale all'Unione europea. Dentro questi orizzonti di ulivi e campagne vengono tollerati i peggiori crimini contro i diritti umani.
Pomodoro nero Literno 3/8
Non ci vuole molto per entrare nel mercato più sporco dell'Europa agricola. Qualche nome inventato da usare di volta in volta. Una fotocopia del decreto di respingimento rilasciato un anno fa a Lampedusa dal centro di detenzione per immigrati. E la bicicletta, per scappare il più lontano possibile in caso di pericolo. Il caporale che pretende una ragazza in sacrificio controlla la raccolta dei perini a Stornara. Uno dei primi campi a sinistra appena fuori paese, lungo il rettilineo di afa che porta a Stornarella. Meglio lasciar perdere. Per arrivare fin qui bisogna pedalare sulla statale 16 e poi infilarsi per dieci chilometri negli uliveti. Il borgo è una piccola isola di case nell'agro. Alla stazione di Foggia, Mahmoud, 35 anni, della Costa d'Avorio, aveva detto che quaggiù la raccolta, forse, è già cominciata. Lui, che dorme in una buca dalle parti di Lucera, è senza lavoro: lì a Nord i pomodori devono ancora maturare. Così Mahmoud campa vendendo informazioni agli ultimi arrivati in treno. In cambio di qualche moneta.
Oggi dev'essere la giornata più torrida dell'estate. Quarantadue gradi, annunciavano i titoli all'edicola della stazione. Sperduta nei campi appare nell'aria bollente una stalla abbandonata. È abitata. Sono africani. Stanno riposando su un vecchio divano sotto un albero. Qualcuno parla tamashek, sono tuareg. Un saluto nella loro lingua aiuta con le presentazioni. La segregazione razziale è rigorosa in provincia di Foggia. I rumeni dormono con i rumeni. I bulgari con i bulgari. Gli africani con gli africani. È così anche nel reclutamento. I caporali non tollerano eccezioni. Un bianco non ha scelta se vuole vedere come sono trattati i neri. Bisogna prendere un nome in prestito. Donald Woods, sudafricano. Come il leggendario giornalista che ha denunciato al mondo gli orrori dell'apartheid. "Se sei sudafricano resta pure", dice Asserid, 28 anni. È partito da Tahoua in Niger nel settembre 2005. È sbarcato a Lampedusa nel giugno 2006. Racconta che è in Puglia da cinque giorni. Dopo essere stato rinchiuso quaranta giorni nel centro di detenzione di Caltanissetta e alla fine rilasciato con un decreto di respingimento. Asserid ha attraversato il Sahara a piedi e su vecchi fuoristrada. Fino ad Al Zuwara, la città libica dei trafficanti e delle barche che salpano verso l'Italia. "In Libia tutti gli immigrati sanno che gli italiani reclutano stranieri per la raccolta dei pomodori. Ecco perché sono qui. Questa è solo una tappa. Non avevo alternative", ammette Asserid: "Ma spero di risparmiare presto qualche soldo e di arrivare a Parigi". Adama, 40 anni, tuareg nigerino di Agadez, ha fatto il percorso inverso. A Parigi è atterrato in aereo, con un visto da turista. Poi gli è andata male. Dalla Francia l'hanno espulso come lavoratore clandestino. Ed è sceso in Puglia, richiamato dalla stagione dell'oro rosso. "Questo è l'accampamento tuareg più a Nord della storia", ride Adama. Ma c'è poco da ridere. L'acqua che tirano su dal pozzo con taniche riciclate non la possono bere. È inquinata da liquami e diserbanti. Il gabinetto è uno sciame di mosche sopra una buca. Per dormire in due su materassi luridi buttati a terra, devono pagare al caporale cinquanta euro al mese a testa. Ed è già una tariffa scontata. Perché in altri tuguri i caporali trattengono dalla paga fino a cinque euro a notte. Da aggiungere a cinquanta centesimi o un euro per ogni ora lavorata. Più i cinque euro al giorno per il trasporto nei campi. Lo si vede subito quanto è facile il guadagno per il caporale. Alle due e mezzo del pomeriggio arriva con la sua Golf. E la carica all'inverosimile. "Davvero questo è africano?", chiede agli altri davanti all'unico bianco. Nessuno sa dare risposte sicure. "Io pago tre euro l'ora. Ti vanno bene? Se è così, sali", offre l'uomo, calzoncini, canottiera e sul bicipite il tatuaggio di una donna in bikini ritratta di schiena.
Si parte. In nove sulla Golf. Tre davanti. Cinque sul sedile dietro. E un ragazzo raggomitolato come un peluche sul pianale posteriore. Solo per questo trasporto di dieci minuti il caporale incasserà quaranta euro. I ragazzi lo chiamano Giovanni. Loro hanno già lavorato dalle 6 alle 12.30. La pausa di due ore non è una cortesia. Oggi faceva troppo caldo anche per i padroni perché rinunciassero a una siesta. Giovanni si presenta subito dopo, guardando attraverso lo specchietto retrovisore: "Io John e tu?". Poi avverte: "John è bravo se tu bravo. Ma se tu cattivo...". Non capisce l'inglese né il francese. E questo basta a far cadere il discorso. Ma il pugnale da sub che tiene bene in vista sul cruscotto parla per lui. Amadou, 29 anni, nigerino di Filingue, rivela lo stato d'animo dei ragazzi: "Giovanni, oggi è venerdì e non ci paghi da tre settimane. Ormai stiamo finendo le scorte di pasta. Da quindici giorni mangiamo solo pasta e pomodoro. I ragazzi sono sfiniti. Hanno bisogno di carne per lavorare". I tre euro l'ora promessi erano solo una bugia. Ma Giovanni promette ancora. Quando risponde dice sempre: "Noi turchi". Anche se la targa della macchina è bulgara. E per il suo accento potrebbe essere russo oppure ucraino. "Ti giuro su Dio", continua il caporale, "oggi arrivano i soldi e vi paghiamo. Tu mi devi credere. Io lavoro come te a Stornara. Non prendo in giro i Pomodoro nero Literno 4/8
miei colleghi". Giovanni abita alla periferia. Un villino di mattoni sulla destra, a metà del rettilineo per Stornarella. Quasi di fronte a un'altra stalla pericolante senz'acqua, riempita di materassi e schiavi.
La Golf stracarica corre e sbanda sulla stretta provinciale per Lavello. Il contachilometri segna 100 all'ora. Una follia. Alle prime aziende agricole del paese, Giovanni svolta a destra dentro una strada sterrata. Altri due chilometri e si è arrivati. Si prosegue a piedi, in fila indiana. Il campo è tra due vigneti. Questi pomodori vanno raccolti a mano. Quando il padrone vede arrivare il gruppo di africani, imita il verso delle scimmie. Poi dà gli ordini con gli insulti resi celebri dal vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli: "Forza bingo bongo". Nello stesso istante un furgone scarica nove rumeni. Tra loro tre ragazze, le uniche nella squadra. Si lavora a testa bassa. Guai ad alzare lo sguardo: "Che cazzo c'è da guardare? Giù e raccogli", urla il padrone avvicinandosi pericolosamente. Si chiama Leonardo, una trentina d'anni. È pugliese. Indossa bermuda, canottiera e occhiali da sole alla moda come se fosse appena rientrato dalla spiaggia. Da come parla è il proprietario dell'azienda agricola. O forse è il figlio del proprietario. Si occupa della manodopera. Una sorta di comandante dei caporali. La sua azienda è a una decina di chilometri, alle porte di Stornara. Proprio sulla strada che Giovanni percorre per portare gli schiavi al campo. Leonardo si fa aiutare da un altro italiano, il caporale dei rumeni. Uno con la maglietta bianca, i capelli lunghi e i baffetti curati. Il terzo italiano è probabilmente il compratore del raccolto. Magro. Capelli biondi corti. Telefonino appeso al petto in fondo a una catena d'oro. Parla con un forte accento napoletano. Parcheggia il suo Suv e si fa subito sentire. Qualcuno ha appoggiato per sbaglio le cassette piene sulle piante di pomodoro. E lui grida come un pazzo: "Il primo che rimette una cassetta sulle piante, com'è vero Gesù Cristo, gliela spacco sulla testa". I tre italiani sudano. Ma solo per il caldo. Oltre a sorvegliare i loro schiavi, non fanno assolutamente nulla.
Giovanni va a recapitare altri braccianti. Poi torna due volte con i rifornimenti d'acqua. Quattro bottiglie di plastica da un litro e mezzo da far bastare nelle gole di 17 persone assetate. Sono bottiglie riempite chissà dove. Una zampilla da un buco e arriva quasi vuota. L'acqua ha un cattivo odore. Ma almeno è fresca. Comunque non basta. Due sorsi d'acqua in oltre quattro ore di lavoro a quaranta gradi sotto il sole non dissetano. La maggior parte dei ragazzi africani non ha nemmeno pranzato né fatto colazione. Così ci si arrangia mangiando pomodori verdi di nascosto dai caporali. Anche se sono pieni di pesticidi e veleni. E forse è proprio per questo che sulla pelle, per giorni, non comparirà più nemmeno una puntura di zanzara.
Leonardo vuole sapere com'è che in Africa ci siano i bianchi. Gira tra le schiene curve come un professore tra i banchi. E dà il permesso a Mohamed, 28 anni, un ragazzo della Guinea. Per smettere di lavorare o parlare, qui bisogna sempre chiedere il permesso. Mohamed sa bene perché ci sono i bianchi in Sudafrica. È laureato in scienze politiche e relazioni internazionali all'Università di Algeri. Parla italiano, inglese, francese e arabo. E risponde rimanendo in ginocchio, davanti a quell'italiano che confessa senza pudore di non aver mai sentito parlare di Nelson Mandela. "Avete capito?", ripete dopo un po' Leonardo agli altri due italiani: "In Italia quelli chiari stanno al Nord mentre noi al Sud siamo scuri. In Africa invece al Sud sono bianchi e questi qua del Nord sono neri".
L'incidente accade all'improvviso. Michele è il più anziano tra i rumeni. Ha una sessantina d'anni, i capelli grigi. Sta caricando cassette piene sul rimorchio del trattore. Il legno è troppo sottile, è secco. E una cassetta si sfonda rovesciando dodici chili di pomodori. Michele non fa in tempo ad abbassarsi a raccoglierli. Leonardo, con la mano chiusa a pugno, lo colpisce. Una sventola sulla testa. "Stai attento, coglione", urla, "credi che noi stiamo ad aspettare mentre tu butti le cassette?". Michele forse chiede scusa. È troppo stanco e offeso per parlare ad alta voce. "Scusa un cazzo", continua Leonardo, "devi stare più attento". Ci fermiamo tutti a guardare. Una ragazza si alza in piedi per protesta. Quello con l'accento napoletano accorre come una furia: "Giù, non è successo niente. Giù o stasera non si va a casa finché non si finisce". Come se questi ragazzi avessero una casa.
Michele ritorna a caricare il rimorchio aiutato da altri rumeni. Ma dopo mezz'ora è ancora seduto a terra. Si tiene la testa. Perde molto sangue dal naso. Un suo compagno di lavoro spreme un Pomodoro nero Literno 5/8
pomodoro maturo per bagnarli la fronte. Cosa ha fatto lo spiega a Leonardo l'uomo con i baffetti curati: "Ho dovuto spaccargli una pietra in mezzo agli occhi. Ho dovuto. Quello stronzo se l'è presa con me perché tu prima l'hai picchiato. E poi perché stasera non ci sono i soldi per pagarli. Ma che c'entro io? Lui ha raccolto una pietra e io gliel'ho tolta dalle mani. Tu pensa se un rumeno di merda mi deve minacciare". Leonardo sorride.
Si smette solo quando il sole va a nascondersi dietro i monti Dauni. Michele sta meglio. I rumeni si raccolgono intorno al loro caporale. Giovanni scatta una foto ai suoi ragazzi. Serve per i pagamenti e per scoprire se qualcuno scappa dal gruppo. Poi fa firmare il registro con le ore lavorate. Oggi si finisce prima del solito. Il perché lo racconta il caporale ad Amadou, in macchina durante il ritorno: "Ci sono in giro i carabinieri". Giovanni segnala un campo di pomodori lungo la strada: "Vedi qua? Questo pomeriggio i carabinieri sono venuti a prendere dei miei ragazzi. Io lavoro anche qui. Africani come te e rumeni. Li hanno portati via per il rimpatrio. Ma non avere paura, il campo dove lavorate voi", dice indicandosi le spalle come se avesse i gradi, "è controllato dalla mafia". Succede spesso quando è giorno di paga. A volte sono gli stessi padroni a chiamare vigili, polizia o carabinieri e a segnalare gli immigrati nelle campagne. Basta una telefonata anonima. Così i caporali si tengono i loro soldi. E la prefettura aggiorna le statistiche con le nuove espulsioni.
Amadou però fa notare che nemmeno oggi i ragazzi verranno pagati: "Tu sei musulmano?", chiede Giovanni: "Sì? Allora io ti giuro su Allah che la prossima settimana vi pago tutti. E se avete bisogno di carne, ti giuro che vi invito tutti a casa mia. Ovviamente la prossima settimana. Quando potrete pagare la carne".
Il 14 maggio 1904 qua vicino la polizia attaccò una manifestazione di braccianti. C'era anche il giovane Giuseppe Di Vittorio. Morirono in quattro quel giorno. Tra le vittime Antonio Morra, 14 anni, amico d'infanzia del futuro leader sindacale. Adesso le proteste vengono spente prima che possano dilagare. I caporali agiscono come una polizia parallela. Gli imprenditori si rivolgono a loro se ci sono problemi. A cominciare dall'imposizione delle regole: "Domani mattina vengo a prendervi alle cinque", annuncia Giovanni dopo aver scaricato i suoi passeggeri. Sono quasi le dieci di sera ormai. Calcolando una doccia improvvisata con l'acqua del pozzo e la misera cena, restano appena cinque ore di sonno. I ragazzi africani spiegano subito le sanzioni. Chi si presenta tardi, una volta al campo viene punito a pugni. Chi non va a lavorare deve versare al caporale la multa. Anche se si ammala. Sono venti euro, praticamente un giorno di lavoro gratis.
Una cinquantina di chilometri più a nord, stesse storie. La carta stradale indica Villaggio Amendola. Era un borgo agricolo. Ora è solo un paese fantasma riempito da immigrati rumeni e bulgari ridotti in schiavitù. Come l'ex zuccherificio di Rignano o il Ghetto che la sera, al suono della township music, sembra Soweto. Al Villaggio Amendola perfino la chiesa abbandonata è stata riempita di materassi. Qui il cento per cento degli abitanti non è italiano. Tutti raccoglitori. E tutti stranieri. Tranne una. Giuseppina Lombardo, 51 anni. Viene dalla Calabria. Per gli agricoltori del posto è una santa donna. Lei e il suo amico tunisino che si fa chiamare Asis sono capaci di mettere insieme una squadra di raccoglitori di pomodori in meno di mezz'ora. Giuseppina e Asis con gli schiavi ci campano. L'unico pozzo di Villaggio Amendola è loro. L'acqua è inquinata ma la vendono ugualmente: cinquanta centesimi una tanica da 20 litri. Anche l'unico negozio del borgo è loro. Hanno bottiglie di minerale, se uno proprio non vuole perdere la giornata per la dissenteria. E hanno carne e pollame: "A prezzi maggiorati del cento per cento e di dubbia qualità", dicono gli abitanti. Non è facile infiltrarsi come immigrato in questo ghetto e vincere la paura dei suoi prigionieri. Perché Asis, come tutti i caporali, non perdona chi parla. Lui e la sua compagna qui sono l'unica legge. Chi c'era si ricorda bene cosa è successo la settimana di Pasqua del 2005. Quel pomeriggio un ragazzo rumeno, 22 anni, arrivato da appena quattro giorni, torna al Villaggio Amendola con i sacchetti della spesa. È stato a Foggia e cammina davanti al negozio del caporale con quello che si è procurato. Una bottiglia d'olio, un po' di pasta. Il testimone che parla con 'L'espresso' è convinto che Asis abbia considerato quel gesto una ribellione al suo controllo. I rumeni raccontano di aver visto poco dopo due uomini affrontare il nuovo arrivato. Uno, secondo i testimoni, è parente di Asis. Con una spranga lo centrano in mezzo alla testa. Un colpo solo. Poi trascinano il corpo sanguinante e semisvenuto su un furgone. Nessuno al villaggio rivedrà più quel Pomodoro nero Literno 6/8
ragazzo.
Lo stesso accade il 20 luglio di quest'anno. Il giorno prima Pavel, 39 anni, ha una discussione con Giuseppina Lombardo. Gli sono caduti quindici euro nel negozio e lei crede che glieli abbia rubati dalla cassa. Pavel in Romania faceva il cuoco per 150 euro al mese. Dal 20 marzo 2004, quando è arrivato in Puglia, sopporta violenze e angherie. Lo fa per mandare quanto risparmia alla moglie e alla sua "fata", la figlia studentessa, che ha 15 anni. Pavel ha braccia veloci. L'anno scorso è riuscito a riempire fino a 15 cassoni al giorno: 45 quintali di pomodori, lavorando dall'alba a notte. Con il cottimo a 3 euro a cassone, era una buona paga secondo lui: tolti il trasporto al campo e la tangente per il caporale, Pavel riusciva a guadagnare anche 25 o 30 euro al giorno. Ma il 20 luglio Asis gli impedisce di ripetere il record. Qualcuno gli ha riferito che Pavel ha protestato per la faccenda dei soldi e per lo sfruttamento dei braccianti. Il tunisino lo colpisce nel sonno, in una giornata senza lavoro, alle due del pomeriggio. Pavel si protegge la testa con le braccia. La sbarra di ferro gli rompe le ossa e apre profonde ferite nella carne.
Lui è sicuro di non essere stato ucciso soltanto per l'intervento dei suoi compagni di stanza. Ma lo lasciano lì a sanguinare sul materasso fino all'una di notte. Gli altri stranieri hanno troppa paura di Asis. Anche di chiamare la polizia e correre il rischio di essere rimpatriati. Alle otto di sera qualcuno finalmente telefona di nascosto all'ospedale. L'ambulanza e una pattuglia dei carabinieri, al Villaggio Amendola, arrivano soltanto cinque ore dopo. Così è andata, secondo la denuncia.
Il 31 luglio Pavel viene dimesso dall'ospedale di Foggia. È stato operato da appena quattro giorni. Ha quasi due mesi di prognosi. Ferri e chiodi nelle ossa. Le braccia ingessate. Medici e infermieri lo consegnano alla polizia, violando il codice deontologico. E in questura lo trattano da clandestino. Anche se dal primo gennaio 2007 tutti i rumeni potrebbero essere cittadini dell'Unione europea. Con le braccia immobilizzate, Pavel non riesce a impugnare la penna. Il 'Primo dirigente dottoressa Piera Romagnosi', siglando la notifica del decreto di espulsione, scrive che lui 'si rifiuta di firmare'. Anche la prefettura di Foggia va per le spicce: nel decreto di espulsione annota che Pavel è 'sprovvisto di passaporto'. Un'aggravante. Eppure Pavel il passaporto ce l'ha. Alla fine, non trovando alternative, un ispettore gli dona dieci euro. E una macchina della questura lo riporta al Villaggio Amendola. Lo scaricano davanti al negozio di Giuseppina e Asis. Il tunisino se ne occupa subito. Vuole dimostrare a tutti chi comanda. Minaccia Pavel e lui va a rifugiarsi in un casolare a un chilometro dal villaggio. Qualche connazionale gli porta in segreto un po' di pane e da bere. Dopo nove giorni di dolori e sofferenze un amico rumeno riesce a contattare un avvocato di Foggia, Nicola D'Altilia, ex poliziotto al Nord. L'avvocato trova il casolare. Incontra Pavel e lo riporta immediatamente in ospedale. Le ferite sono infette. Il bracciante rumeno è grave. Denutrito. Viene ricoverato per setticemia. Il resto è cronaca degli ultimi giorni. Il 21 agosto Pavel è di nuovo dimesso dall'ospedale. Va in questura a completare la denuncia contro il caporale tunisino e la sua complice italiana, che era riuscito a presentare al posto di polizia del pronto soccorso soltanto il 14 agosto. Lo accompagna l'avvocato che l'ha salvato. Ma dopo una giornata in questura, la Procura fa arrestare Pavel come immigrato clandestino: non ha rispettato il decreto di espulsione che, così è scritto, lo obbligava a lasciare l'Italia dall'aeroporto di Roma Fiumicino. Non importa se in quelle condizioni comunque non avrebbe potuto viaggiare. Lo costringono a dormire su una panca di legno nelle camere di sicurezza. Nonostante le operazioni, le ossa rotte e le ferite ancora fresche.
Il giorno dopo si apre il processo, immediatamente rinviato a ottobre. Oltre ad aver perso il lavoro, grazie alla legge Bossi­Fini Pavel rischia da uno a quattro anni di prigione. Più di quanto potrebbe prendersi il suo caporale che intanto resta libero. "Quell'uomo", racconta Pavel terrorizzato, "mirava alla testa. Voleva uccidermi".
Qualche bracciante morto da queste parti l'hanno già trovato. Slavomit R., polacco, aveva 44 anni quando è stato bruciato il 2 luglio 2005 in un campo a Stornara. Un caso irrisolto. Come quello di due cadaveri mai identificati abbandonati a Foggia. Le scomparse sono un altro capitolo dell'orrore. Nessuno sa quanti siano i lavoratori rumeni, bulgari o africani spariti. I caporali, quando li ingaggiano o li massacrano di botte, non sanno nemmeno come si chiamano. Gli unici casi sono Pomodoro nero Literno 7/8
stati scoperti grazie alle denunce dell'ambasciata di Polonia. Hanno dovuto insistere i diplomatici di Varsavia. È dal 2005 che cercano notizie di tredici connazionali. Erano venuti a lavorare come stagionali nel triangolo degli schiavi. E non sono più tornati a casa. L'elenco compilato in agosto dal consolato sulle ricerche delle persone scomparse non rende onore all'Italia. Su dodici "richieste indirizzate alla questura di Foggia", l'ambasciata ha dovuto prendere atto che per nove casi non c'è stata "nessuna risposta da parte della questura". Dopo mesi di inutile attesa l'appello è stato girato al Comando generale dei carabinieri. E, attraverso gli investigatori del Ros, la Procura antimafia di Bari ha finalmente aperto un'inchiesta.
Nessuno sta invece indagando sulla morte di un bambino. Perché quello che è successo apparentemente non è reato. Il piccolo sarebbe nato a fine settembre. Liliana D., 20 anni, quasi all'ottavo mese di gravidanza, la settimana di Ferragosto arranca con il suo pancione tra piante di pomodoro. La fanno lavorare in un campo vicino a San Severo. Né il marito, né il caporale, né il padrone italiano pensano a proteggerla dal sole e dalla fatica. Quando Liliana sta male, è troppo tardi. Ha un'emorragia. Resta due giorni senza cure nel rudere in cui abita. Gli schiavi della provincia di Foggia non hanno il medico di famiglia. Sabato 18 agosto, di pomeriggio, il marito la porta all'ospedale a San Severo. La ragazza rischia di morire. Viene ricoverata in rianimazione. Il bimbo lo fanno nascere con il taglio cesareo. Ma i medici già hanno sentito che il suo cuore non batte più. Anche lui vittima collaterale. Di questa corsa disumana che premia chi più taglia i costi di produzione.
L'industria alimentare campana paga i pomodori pugliesi da 4 a 5 centesimi al chilo. Sulle bancarelle lungo le strade di Foggia i perini salgono già a 60 centesimi al chilo. A Milano 1,20 euro quelli maturi da salsa e 2,80 euro al chilo quelli ancora dorati. Al supermercato la passata prodotta in Campania costa da 86 centesimi a 1,91 euro al chilo. I pelati da 1,04 a 3 euro al chilo. Eppure, nel ghetto di Stornara, nemmeno stasera che il mese è quasi finito ci sono i soldi per comprare un pezzo di carne. "Donald, non te ne andare", si fa avanti Amadou, "Giovanni è molto arrabbiato con te perché hai lasciato il gruppo. Ti sta cercando, vado a dirgli che sei qui". Nel fondo di questa miseria, Amadou sa già con chi stare. Tra tanti uomini costretti a inginocchiarsi, lui ha scelto i caporali. È il momento di prendere la bici e scappare. Nel buio. Prima che Giovanni decida di chiamare i suoi sgherri. E di dare il via alla caccia nei campi. Pomodoro nero Literno 8/8
Poussieres de vie
(Polveri di vita)
di Rachid Bouchareb
Sceneggiatura: Rachid Bouchareb e Bernard Gesbert
Interpreti: Gilles Chitlaphone, Siu Lin Lam, Léon Outtrabady, Eric Nguyen, Jéhan Pages, Daniel Guyant
Algeria/Vietnam, 1994, 87'.
versione originale vietnamita sottotitolata in italiano
VHS
La trama.
Nel 1975 Saigon cade e l'esercito vietnamita del Nord si prepara ad entrare in città. Nel caos più completo le tuppe americane abbandonano le loro attrezzature e, in poco tempo, lasciano il paese. Nei lunghi anni della guerra molti soldati e funzionari americani hanno avuto figli dalle donne vietnamite (si stima siano stati 40.000) ma in quel momento sono obbligati a lasciarli sul posto perché, anche volendo, l'ambasciata non è più in grado di emettere passaporti.
Dopo pochi mesi Saigon diviene Ho Chi Minh City e i soldati vietnamiti iniziano a catturare i bambini che trovano per le strade: piccoli ladruncoli, orfani ed anche i figli degli americani, con lo scopo di rieducarli dalle cattive abitudini apprese in quegli anni di convivenza con gli stranieri. Questi bambini vengono stipati sui camion e, senz'acqua né cibo per un lungo viaggio, vengono portati a nord del paese, nella giungla, in campi di lavoro. Son, che ha 13 anni e vive solo con la madre vietnamita dopo che il padre, un funzionario americano, se né andato, è uno di loro. Le condizioni al campo sono disumane e molti bambini periscono ma il piccolo protagonista con un gruppo di amici decide di fuggire. Comincia così una folle avventura verso la libertà ma non sarà quella l'occasione per andarsene. Poussieres de vie e stato candidato al Premio Oscar come miglior film straniero nel 1996. Rachid Bouchareb
Nato a Parigi nel 1959, dopo la laurea divenne assistente regista e poi regista di film per la televisione francese, dal 1977 al 1984. Due anni più tardi diresse il suo primo lungometraggio, Baton Rouge, che racconta la storia di tre amici che decidono di partire per gli Stati Uniti in cerca di lavoro. I temi dell'identità, del ritorno alle radici, dell'immigrazione sono lo sfondo per tutti i suoi film. Con il suo partner Jean Brehat, con il quale ha creato la società di produzione “3B”, produce film di diverse nazionalità, tra cui albanesi e vietnamiti. I suoi lavori più noti sono: Indigènes (2006), Little Seneal (2001), L'Honneur de ma famille (1998), Poussières de vie (1995), Les annèes déchirées (1993), Cheb (1991), Baton Riuge (1985).
Poussieres de vie 1/2
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Che utilizzo viene fatto della luce in questo film?
Rispetto alla trama
● Quali sequenze ti sono rimaste più impresse? ● Perché Son anche in mezzo a mille difficoltà oggettive non rinuncia a tenere un diario? ● Che significato ha il saper leggere e scrivere in questo film? Che opportunità in più ha avuto Son rispetto agli altri bambini del campo proprio per questa sua capacità?
● L'amicizia nel film nasce come necessità di sopravvivenza. Cosa pensi di questa considerazione?
L'identità
● Ogni bambino al campo ha una propria storia e propri caratteri identitari. Descrivi il personaggio di Son.
Il contesto
● il Vietnam è il paese che ospita l'ambientazione di questo film: qual'è stata la sua storia coloniale, quali quella post coloniale e quella più recente?
Film adatto agli studenti delle scuole secondarie di I° e II° grado e degli istituti professionali.
Poussieres de vie 2/2
Racconto straniero
di Daria Menozzi
Italia, 2003, 34'.
documentario
VHS
La trama.
Racconto Straniero è un racconto corale, un ritratto di gruppo. Storie personali, raccontate in prima persona da alcuni immigrati che provengono da diverse aree geografiche: dal Marocco, dalla Tunisia, dal Ghana, dalla Nigeria, dall'Ucraina, dall'Albania, dallo Sri Lanka e dalla Repubblica Ceca e che oggi vivono in provincia di Modena, nei comuni di: Castelnuovo Rangone, Castelvetro di Modena, Savignano sul Panaro, Spilamberto e Vignola, dove gli immigrati sono circa il 5% della popolazione. Le persone, colte spesso nell'Intimità delle loro case e contornate dai propri familiari, raccontano di viaggi, di esperienze e di speranze. Storie comunque di sacrificio quelle messe in scena in questo documentario, segnate da difficoltà e da ostacoli burocratici, a volte da delusioni e discriminazioni, ma anche da grandi ambizioni di riscatto sociale, nuove opportunità e nuove conoscenze.
I temi maggiormente approfonditi nelle interviste sono: ● la discriminazione,
● il lavoro, ● la casa, ● l'emancipazione della persona, ● l'integrazione ● ed il diritto di cittadinanza. .
Daria Menozzi
Nata a Modena nel 1958 fonda nel 1986 la società di videoproduzioni “VBR” e realizza diversi documentari e video in Italia e in Africa. Nel 1988 gira il cortometraggio Dedicato a Marguerite, seguito dal lungometraggio Le mosche in testa (1991), presentato a numerosi festival nazionali e internazionali. Dal 1995 al 1999 lavora a Intermedia, serie televisiva di documentari e reportage sulla civiltà multietnica e sui rapporti tra nord e sud del mondo. Nel 2000 il video Bike Baba viene presentato in concorso al Torino Film Festival e al NAFA Festival. I suoi lavori più recenti sono: Dedicato a Marguerite (cortometraggio, 1988), Le mosche in testa (1991), Intermedia (TV, 1995), Sprecare Sentimenti (video, 1997), L’ideogramma capovolto (video, 1998), Germano Almeida Scrittore (video, doc., 1999), Bike Baba (video, doc., 2000), Figli delle stelle (video, 2001), L’acqua in mezzo (video, 2002), Radio clandestina (video, 2004), Manooré (doc., 2005), Giorni di prova (2007).
Racconto straniero 1/2
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
“Conoscere oltre gli stereotipi”
● Riusciamo a leggere, nel volto di uno straniero, la storia di una persona? Riusciamo a sfuggire agli stereotipi, alle facili etichette "straniero”, "immigrato", "extracomunitario" e vedere oltre? Più siamo disposti ad ascoltare, più è facile riconoscere le individualità che si celano dietro volti che vediamo tutti uguali. Conoscere ha un effetto pratico: rende l'intolleranza e il rifiuto più difficili e facilita il confronto e la convivenza. Condividi questa considerazione?
● Confronta le esperienze degli immigrati raccolte in questo film con quelle dei documentari Trentini dell'altro mondo di Luciano Happacher, Immigrazione in 3D di Maria Chiara Martinetti e Pomodoro nero Literno di Edoardo de Falchi e Lorenzo Calanchi (tutti presenti al Centro Millevoci).
Il lavoro
● Il lavoro è per molti immigrati il motivo vero per cui vengono in Italia. Che lavoro svolgono i protagonisti di questo documentario? Di che tipologie di lavoro si tratta?
La casa
● Anche il tema della casa viene ripreso da quasi tutti gli immigrati intervistati in questo film: quali case hanno abitato durante il loro percorso immigratorio e come invece le desidererebbero?
Integrazione e ottenimento della cittadinanza italiana
● Integrazione e cittadinanza emergono come due elementi inscindibili. Perché?
Documentario adatto agli studenti delle scuole secondarie di I° e di II° grado e degli istituti professionali.
Racconto straniero 2/2
Ritorno a Tunisi
di Marcello Bivona Italia/Tunisia, 1992, 72’.
Documentario
VHS
“Tutto inizia il 15 aprile 1959, quando siamo costretti a lasciare un paese nel quale avevamo vissuto da diverse generazioni e quindi sentivamo come nostro. Sono ricordi tenui e confusi di un bambino di cinque anni...”.
(Marcello Bivona)
La trama.
Il 20 marzo 1956 la Tunisia viene dichiarata indipendente. L'assemblea costituente redige la nuova costituzione e dichiara decaduta la dinastia Husaynide. L'anno seguente viene proclamata la Repubblica e ad Habib Burguiba, allora Primo Ministro, vengono attribuite le funzioni di Presidente della Repubblica. Burguiba inizia ben presto un processo di “decolonizzazione forzata”, allontanando gli stranieri dal paese, in particolare i francesi e gli italiani che costituivano allora le comunità più numerose. Anche la famiglia di Marcello Bivona, direttore di questo film, nato e cresciuto a Tunisi fino all'età di cinque anni, è costretta a partire per l'Italia.
Il film, ricco di immagini di repertorio e di riprese recenti, racconta come a partire dall'inizio del 1900 la comunità italiana in Tunisia diede vita ad una straordinaria esperienza di convivenza etnica, culturale e religiosa di cui oggi si è persa quasi totalmente la memoria. Marcello Bivona ricostruisce i suoi ricordi, ormai tenui e confusi di bambino, che poi riaffiorano nella realtà dei nostri giorni quando torna nel suo paese natale per una vacanza. La prime impressioni del regista sono di meraviglia e di stupore. I ricordi affiorano spontaneamente e con grande intensità. “Tutto era esagerato: il tè troppo forte, i dolci troppo dolci, i colori troppo colorati. Io mi prendevo tutta quell'esagerazione” confessa. Per diversi giorni ripercorre le strade dai nomi familiari, visita il mercato generale, le case, i vicini, la scuola (dove allora si studiava in arabo, francese ed italiano in un grande progetto multiculturale) e gli sembra che tutto sia rimasto come allora. Poi prosegue la sua ricerca e incontra gli italiani ormai anziani che a suo tempo non poterono o non ebbero il coraggio di partire e allora è costretto rivede le sue impressioni iniziali “Mi stavo ricredendo che tutto era cambiato” dice ”che a Tunisi erano rimasti i fantasmi che non avevano saputo lasciarla”.
Oggi, in cui i ragazzi di Tunisi sognano di emigrante per venire a vivere in Italia o in Europa, Bivona, dopo 30 anni, riporta sua madre ormai ottantenne nella città che l'aveva vista nascere e che aveva visto nascere sua madre. La donna con grande commozione racconta le sue emozioni, il dolore che provò nel lasciare la sua terra e confessa“Il nostro cuore era rimasto a Tunisi, la nostra città”.
Ritorno a Tunisi 1/2
Marcello Bivona
Marcello Bivona è nato a Tunisi.
Nei primi anni '80 frequenta la scuola di cinema della Regione Lombardia.
Esordisce nel cinema come assistente di Peter Del Monte per il film Piso Pisello. Altri film a cui ha collaborato sono Il ladro di Bambini di Gianni Amelio, Marie della baia degli angeli di Manuel Pradal. Nel 1992 realizza il suo primo lungometraggio Clandestini nella città mentre è del 1997 la regia di Ritorno a Tunisi. E' autore e regista del monologo teatrale Aparicion con Vida, storia delle Madri di Plaza de Majo recitato dall'attrice Anna Goel. Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Ritorni
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Perché Marcello Bivona decide di tornare a Tunisi? Che cosa significa ricercare le proprie origini, le proprie radici?
Confronta questo film con il documentario “Ritrovare Oulad Moumen” di Izza Genini (anch'esso presente al Centro Millevoci).
Emigrazione italiana
● Quando si parla degli italiani come emigranti si pensa sempre al Belgio, alla Germania, alle Americhe, ma mai ai paesi del Nord Africa, sull’altra riva del Mediterraneo. Nel XIX secolo, invece, nel mezzo delle lotte per l’unità repubblicana, Tunisi accolse molti patrioti sfuggiti alle persecuzioni politiche o semplici cittadini che cercavano un posto migliore in cui vivere. Già nel 1910 a Tunisi erano presenti oltre centodiecimila italiani e la comunità sarebbe cresciuta ancora, fino all’epoca dell’indipendenza avvenuta nel 1956. Che cosa sai di questa storia? Il contesto
● Il film bene illustra alcuni aspetti della città di Tunisi, che cosa ti colpisce di queste immagini? Quali sono le caratteristiche più evidenti?
● La Tunisia è il paese africano che ospita questo film: quali sono la geografia del suo territorio e al momento la sua situazione economico/politica? Film adatto agli studenti della scuola secondaria di I° e II° grado e degli istituti professionali.
Ritorno a Tunisi 2/2
Ritrovare Oulad Moumen
(Retrouver Oulad Moumen)
di Izza Genini
Marocco, 1994, 50'.
Documentario
versione arabo/francese sottotitolata in italiano
VHS
“Nel marzo del '92 ebbi la possibilità di riunire tutta la mia famiglia a sud di Marrakech, a Oulad Moumen, il villaggio che i miei genitori avevano fondato intorno agli anni '10.
Una cinquantina di persone, arrivate da tutti i punti dell'orizzonte, scoprì con emozione, un luogo di una forza immensa, tenuto da circa un secolo dalla stessa famiglia. Questo ritorno alle nostre origini fece sparire gli anni trascorsi. Erano tutti là quegli anni, nella testimonianza dei nostri amici e vicini arabi, nei documenti d'archivio storici e familiari, in quei rari e preziosi ricordi della vita giudaica­
arabo­berbera leggendaria e millenaria del Marocco. Erano anche semplicemente nella vita quotidiana della mia famiglia, partita da una fattoria del sud del Marocco e che con nove figli (otto femmine e un maschio), in due o tre generazioni, ha descritto le grandi tappe della migrazione umana: dall'isolata località di Oulad Moumen, al villaggio di El Gara, alla città di Casablanca, da qui a Parigi e poi per il mondo, la mia famiglia è passata dal regionalismo più stretto al mondialismo, dalla conoscenza di una lingua unica e dialettale (l'arabo), al multilinguismo colorato e tutto questo per il gioco complice delle forze che vanno dalla vita privata alla vita del mondo che la contiene. Marocco, Francia, Stati Uniti, Canada, Israele, Italia, Messico, offrono non solo il quadro della nostra vita, ma costituiscono la forza motrice dei nostri cambiamenti. Cambiamenti che però non hanno significato la rottura con le nostre origini. Grazie a questa cultura mediterranea da cui deriviamo, grazie anche al giudaismo marocchino, così particolarmente conviviale, ma soprattutto grazie allo spirito protettivo che i nostri genitori ci hanno fatto respirare e che oggi ci appartiene e ci permette di continuare a vivere”.
(da un'intervista del 1995 alla regista Izza Genini)
La trama.
Retrouver Oulad Moumen è un bel documentario sul ritorno alle origini, sul tema del richiamo alla propria terra che talvolta è più forte dell'assimilazionismo culturale. Il video, ricco di materiali recenti e di repertorio, ricostruisce la saga della famiglia Genini inserendosi con delicatezza nella storia coloniale e neo coloniale del Marocco. L'emigrazione ha separato Izza dalle sue sorelle e da suo fratello Alber. I componenti di questa famiglia sono oggi “dispersi” nel mondo ma Izza è riuscita a coronare il suo sogno: riunire tutti, anche i parenti più lontani, in una grande festa a Oulad Moumen il villaggio a sud di Marrakech fondato dai suoi genitori. In un paesaggio surreale, arido e assolato, com'è la parte meridionale del Marocco, una cinquantina di persone si ritrova commossa e siede sulle stuoie all'ombra degli olivi. “Il grano, gira, gira finisce sempre nella macina” è la frase che la regista pronuncia soddisfatta in chiusura del film.
Ritrovare Oulad Moumen 1/3
Izza Génini
Izza Génini è nata a Casablanca nel 1942 e vive in Francia dal 1960.
Dopo gli studi di letteratura e di lingue straniere alla Sorbona e alla Scuola di Lingue Orientali, si occupa, dal 1966 al 1970, delle relazioni esterne per i Festival di Annecy.
Dal 1970 al 1986 dirige la Sala di proiezione 'Club 70'.
Nel 1973, crea la società SOGEAV, che produce, distribuisce e diffonde film africani in lingua francese.
La sua filmografia è molto ricca: Aïta, Cantiques brodés, Chants pour un Chabbat, Concerto pour 13 voix, Gnaouas, Louanges, Malhoune, Moussem, Nuptiales en Moyen Atlas, Retrouver Oulad Moumen, La route du cédrat, Rythmes de Marrakech, Transes e Vibrations en Haut Atlas.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Pasqua ebraica in Marocco
● Come si osserva nel documentario, la Pasqua viene festeggiata dagli ebrei marocchini ma coinvolge anche gli amici musulmani. Alla luce dei conflitti tra questi due popoli in altre parti del mondo quello della ricorrenza di Mimouna è un significativo esempio di convivenza pacifica. Per approfondire le origini e le tradizioni di questo giorno leggi l'articolo del giornalista di PeaceRporter Chrstian Elia, in allegato.
Emigrare
● Dopo l'indipendenza molti paesi del Nord­Africa, tra i quali anche il Marocco, si trovarono in condizioni economiche difficili e non furono più in grado di rispondere ai bisogni di una popolazione povera che rapidamente prese la strada dell'avventura migratoria. Per la conoscenza della lingua appresa in epoca coloniale i più si trasferirono in Francia ma successivamente anche in altri paesi. Quanti sono oggi i marocchini in Italia? E in Trentino? ● Confronta questo film con il documentario “Ritorno a Tunisi” di Marcello Bivona (anch'esso presente al Centro Millevoci).
Il contesto
● Nel documentario viene mostrata la Medine di Marrakech, un dedalo di stradine strette strette in cui coesistono abitazioni private, edifici pubblici, mercati... . E' la “città vecchia”, in un certo senso quello che in Italia siamo soliti chiamare il “centro storico”. Successivamente la famiglia di Izza si trasferisce in una casa di costruzione più recente nella Ville nouvelle. Con questo termine si indica la “città nuova”, quella che ha preso vita a partire dalla colonizzazione francese. Si definisce infatti con il temine Ville nouvelle una città o un assembramento che solitamente nasce da una volontà politica, che viene costruito in un breve periodo di tempo su di un territorio precedentemente poco o per nulla abitato. Si tratta del progetto di una città ideale, efficiente, ideata in un dato e particolare momento storico, com'è stato appunto il colonialismo francese in Marocco. Confronta queste due zone della città ● Casablanca è la città più cosmopolita del Marocco, poi ci sono Marrakech, Meknes, Rabat e Fes che comunemente vengono indicate come le “città imperiali”. Svolgi una ricerca al riguardo.
Documentario adatto agli studenti della scuola secondaria di I° e II° grado e degli istituti professionali. Ritrovare Oulad Moumen 2/3
La Pasqua ebraica in Marocco: “Una festa di pace”.
di Christian Elia, PeaceReporter
Sono circa quattromila gli ebrei sefarditi (quelli di origine spagnola che, dopo la cacciata del 1492, si dispersero in Europa e in Africa del nord) che vivono ancora in Marocco e l’occasione per aprire la loro casa a tutti i musulmani è la festa di Mimouna, quella che segna la fine della Pesach, la Pasqua ebraica. Gli ospiti sono accolti da tavole imbandite secondo un antico rituale che prevede una tovaglia bianca, riccamente addobbata con fiori e spighe di grano, sulla quale fanno bella mostra di loro recipienti ricolmi di latte, burro, farina, uova, miele, frutta, nocciole, torte, caramelle, 5 datteri, vino e le muffaleta, dolci simili alle crépes, da mangiare calde con il burro e il miele. Gli ospiti saranno ricevuti con il saluto tradizionale: "Tarbah, Alallah Mimouna, Ambarka Mas'uda", che significa ‘che ci siano prosperità e felicità’. Le origini di questa festa non sono molto chiare. Secondo una corrente di pensiero, la festività deve il suo nome al vocabolo ebraico­aramaico ‘mammon’, che significa ‘ricco, prospero’, e in questo senso la festività è un momento di buon augurio e di felicità che le due comunità si scambiano. Secondo un’altra ipotesi, il termine Mimouna deriva dal nome grande filosofo ebreo Maimonide, vissuto a Fez, in Marocco. La festività coinciderebbe quindi con la data della morte o della nascita dell’intellettuale, simbolo di convivenza culturale tra ebrei e musulmani. Altri ancora sostengono che derivi dalla parola araba che significa fortuna. Ma in fondo l’origine della festa passa in secondo piano rispetto all’esempio di convivenza e rispetto, di condivisione e fratellanza inter religiosa. La festa è solo il simbolo della convivenza tra ebrei e musulmani in Marocco che, per ovvi motivi, va ben aldilà della ricorrenza del Mimouna. La comunità ebraica marocchina è la più grande di quelle dei paesi islamici, anche perché è quella che vive la situazione più serena. La comunità di ebrei sefarditi in Marocco ha una storia antica e anche coloro che hanno abbandonato il Marocco per raggiungere Israele hanno mantenuto un forte legame con la terra d’origine. In contemporanea, la festa di Mimouna si celebra anche in Israele, dove è diventata una sorta di festa nazionale e un’occasione per una gita fuori porta.
La vita degli ebrei in Marocco però non è tutta in discesa, anzi. La convivenza secolare non ha evitato momenti di tensione e di scontro, che sono diventati più aspri dopo la nascita dello stato d’Israele nel 1948. Molti marocchini, come in tutti i paesi islamici, non hanno salutato con favore l’evento e le comunità ebraiche in giro per il mondo arabo e islamico hanno vissuto momenti molto duri. L’esodo verso Israele ha ridotto significativamente la presenza ebraica in nord Africa, ma la comunità marocchina è rimasta quella più numerosa, segnale di un rapporto meno conflittuale che altrove o anche grazie all’impegno che la famiglia reale del Marocco ha sempre profuso per il rispetto della comunità ebraica nel Paese. Il momento più duro degli ultimi anni per i marocchini di religione ebraica è stato il 2003. Il 16 maggio di quell’anno, a Casablanca, 14 attentatori suicidi si fecero esplodere colpendo cinque obiettivi, per lo più ebraici. Le esplosioni, che causarono la morte di 45 persone, avvennero al consolato belga e al vicino ristorante ebraico (forse il vero obiettivo), il circolo dell'Alleanza israelita, l'hotel Farah Maghreb e il centro culturale spagnolo. Già nel 1994, il fondamentalismo islamico aveva progettato un attentato contro la sinagoga di Casablanca, ma all’ultimo momento l’attacco era fallito per il ripensamento di un attentatore, ma il 2003 ha segnato un momento di grande paura per la comunità ebraica in Marocco. I problemi restano e sono anche tanti, ma la festività di Mimouna resta un simbolo di come si possa convivere in pace, aprendo le porte di casa agli ‘altri’, senza permettere, a coloro che diffondono la cultura dell’odio, di vincere. Ritrovare Oulad Moumen 3/3
Souko, le cinematographe en carton
(Souko, cinematografo di cartone)
di Issiaka Konatè
Sceneggiatura: Issiaka Konatè
Francia­Burkina Faso, 1998, 45'.
versione originale bambara/francese sottotitolata in italiano
VHS
“L’idea di Souko, cioè del ritorno all’infanzia, parte dal mio progetto di descrivere il microcosmo in cui sono cresciuto: l’infanzia nella mia città natale è già cinema; il bambino che nel film costruisce il cinematografo con cartoni di recupero presi dalle immondizie...sono io da piccolo! Così è nata l’idea di farne un film: più mi inoltravo nei ricordi, più cresceva dentro di me la suggestione, la magia del cinema”.
(da un'intervista al regista Issiaka Konatè)
La trama.
Nella città di Bobo Dioulasso in Burkina Faso, un piccolo pubblico sta assistendo alla proiezione di un film in un rudimentale cinema all'aperto. Le immagini sullo schermo scorrono ondeggiando poeticamente per la brezza della sera che muove il telo bianco issato nel mezzo dello spiazzo.
Un gruppetto di ragazzini, che siede appartato dietro allo schermo, fantastica di possedere un cinematografo per poter vedere i film ogni volta che lo desidera. Nasce così l'idea: costruire tutti insieme un proiettore, con cartone e vecchie latte recuperate dall'immondizia. Alpha intuisce la possibilità di giocare con le luci e ruba da un motorino parcheggiato la lampadina che servirà per il fascio di luce; Amadou, con molta inventiva, costruisce un proiettore servendosi di uno scatolone ed alcuni cavi elettrici. La pellicola, infine, è ricavata da tanti fogli di quaderno incollati l'uno all'altro, nei quali si ripetono delle immagini ritagliate per far passare il raggio di luce che proietterà la loro grande passione: i cavalli. E' solo un gioco, certo, ma il sogno diventa realtà quando il cavallo bianco che prende forma sul lenzuolo si materializza davvero dinnanzi ai piccoli spettatori. Questo cavallo che compare e scompare anche i giorni seguenti trascina i bambini in un'euforia senza precedenti e sconvolge la tranquillità e la routine della comunità. Genitori ed insegnanti sono preoccupati, la situazione sta sfuggendo loro di mano, anche perché i bambini non stanno più attenti in classe e quando il cavallo appare nel cortile della scuola non c'è verso di trattenerli. Neppure l'intervento dell'esercito serve a farli desistere: la scuola è ormai deserta da settimane. Soltanto i bambini infatti potranno far tornare la situazione alla normalità e riportare il cavallo sullo schermo. Craine Blanche, così lo hanno chiamato, dopo che gli adulti hanno distrutto il proiettore tornerà dunque nel mondo fatato da cui proviene... ma forse non se ne andrà per sempre: resterà nei sogni dei suoi piccoli amici di Bobo Dioulasso.
Souko, le cinematographe en carton 1/2
Issiaka Konatè
Ha studiato cinema a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso e poi a Parigi. Ha partecipato alla realizzazione di diversi film in Africa e in Francia. Attualmente vive e lavora a Parigi. Il suo ultimo film Souko, le cinématographe en carton è stato premiato nel 1998 al festival di Cannes.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Di tanto in tanto compaiono nel film dei palloncini colorati, che cosa rappresentano? Qual'è stato secondo te l'intento del regista? Quali sequenze introducono?
Rispetto alla trama
● Alpha e Amadou, pur muovendosi a loro agio nella società che li circonda, dimostrano che la loro "realtà" dimora nel regno della fantasia. Perché il cavallo ritagliato nella carta si trasforma in un cavallo vero? Che cosa è vero per questi bambini?
● Il cavallo, così come il cinema, sono nel film simboli del mondo fantastico interiore del bambino che sviluppa la sua capacità di crescere emotivamente non tanto attraverso la comprensione razionale ma lavorando su alcuni elementi fantastici che alimentano in lui una fiducia positiva nella vita. Il cavallo è quindi vero o immaginario per Amadou e i suoi amici?
Cinema africano
● In gran parte dei paesi africani il numero delle sale cinematografiche è piuttosto limitato e inoltre i film distribuiti sono spesso di qualità scadente, frutto di produzioni straniere di “seconda scelta”. Solo raramente vengono presentati al pubblico film d'autore. Inoltre, sempre più spesso in questi ultimi anni, i cineasti africani di valore, del calibro di Ousmane Sambène, Idrissa Ouedraogo e dello stesso Issiaka Konatè, lavorano in Europa e producono film che vengono distribuiti quasi esclusivamente nel mercato europeo. Ancora una volta l'Africa perde risorse (umane) a favore dell'Europa?
Il contesto
● Il Burkina Faso vanta un posto di primo piano nel cinema africano: Ouagadougou, la sua capitale ospita dal 1969 il Festival Panafricano del Cinema. Conosci altri registi africani? E altri film girati in Burkina Faso?
● Il Burkina Faso è il paese in cui è ambientato questo film: quali sono la geografia del suo territorio e la sua situazione economico/politica?
Film adatto a partire dagli otto anni per la presenza di sottotitoli. Souko, le cinematographe en carton 2/2
Tiziano Terzani
il kamikaze della pace
di Willy Baggi e Leo Manfrini
Svizzera, 2002, 49'.
Documentario
VHS
"...Ancor più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi. Sono in passioni come il desiderio, la paura, l'insicurezza, l'ingordigia, l'orgoglio, la vanità... Dobbiamo cambiare atteggiamento. Cominciamo a prendere le decisioni che ci riguardano e riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse. Facciamo più quello che è giusto, invece di quel che ci conviene. Educhiamo i nostri figli ad essere onesti, non furbi. È il momento di uscire allo scoperto; è il momento di impegnarsi per i valori in cui si crede. Una civiltà si rafforza con la sua determinazione morale, molto più che con nuove armi."
(da “Lettere contro la guerra”).
La trama
Tiziano Terzani, il kamikaze della pace è un documentario in cui la figura del giornalista, dello scrittore, dell'uomo, é raccontata attraverso alcune interviste filmate nella sua casa di Firenze, video di alcuni suoi interventi per la pace (a Lugano e in un istituto superiore di Pisa) e immagini di viaggi in Cina, India, Tibet, Vietnam, ... testimonianze efficaci e schiette dei suoi trent'anni di vita e lavoro in Asia.
Terzani parla del ruolo del giornalismo nell'epoca di internet e della televisione. Non accetta che una guerra possa essere raccontata dalla stanza di un albergo, a distanza, osservata da un monitor. Ribadisce l'esigenza per un giornalista di scendere nelle strade, di stare a contatto con la gente, di provare empatia per poter poi raccontare i fatti, le emozioni, a chi legge i suoi articoli a migliaia di chilometri di distanza.
Parla della violenza ed afferma senza indugi che “mai si è visto nella storia del mondo un episodio di violenza che abbia sconfitto la violenza”.
Muove infine una critica radicale e impietosa alla modernità del consumismo “che ci consumerà”. Semplicemente propone una soluzione: il digiuno. Perché non lavorare meno, per avere meno superfluo ma più tempo a disposizione per vivere, per fare cose che ci interessano o per stare con le persone che amiamo?
Con un'ultima allegra risata, Tiziano Terzani manda il suo ultimo saluto e lascia in dono ai suoi lettori le cose semplici ma elevatissime della sua esperienza e della sua vita limpida e coerente. Tiziano Terzsani, il kamikaze della pace 1/2
Tiziano Terzani Nasce a Firenze nel 1938 da una famiglia di umili origini: padre comunista e madre cattolica (come amava ripetere).
Dal 1971 è corrispondente dall'Asia per il settimanale tedesco Der Spiegel.
Vissuto a Singapore, Hong Kong, Pechino, Tokyo e Bangkok nel 1994 si trasferisce in India con la moglie Angela Staude, scrittrice, e i due figli Folco e Saskia. Profondo conoscitore del continente asiatico, Terzani diventa uno dei giornalisti italiani che gode di maggior prestigio a livello internazionale.
Quando nel 1997 gli viene diagnosticato il cancro, si mette di nuovo in viaggio, alla ricerca della cura per la sua malattia. Da questa ricerca nasce la sua ultima opera, il libro che ha conquistato il cuore di migliaia di vecchi e nuovi lettori "Un altro giro di giostra".
Al termine del suo viaggio, Tiziano Terzani forse non trova la cura che cercava, scopre anzi che “la malattia è la cura” e incontra strada facendo risposte alle mille domande che ognuno si pone: qual'è il mio posto nel mondo, che senso dare al mio esistere e morire. Temi importanti, affrontati sempre con ironia, leggerezza, e profonda onestà. Il suo grande regalo e forse uno dei segreti del suo successo, è stato quello di saper comunicare le proprie esperienze nella loro essenza primordiale: con un linguaggio chiaro e accessibile.
La sua bibliografia
• Pelle di leopardo. Diario vietnamita di un corrispondente di guerra 1972­1973, Milano, Feltrinelli, 1973 • Giai Phong! La liberazione di Saigon, Milano, Feltrinelli, 1976 • Holocaust in Kambodscha, 1980 (solo edizione tedesca) • Fremder unter chinesen. Reportagen aus China, 1984 (solo edizione tedesca) • La porta proibita, Milano, Longanesi, 1984 • Buonanotte, signor Lenin, Milano, Longanesi, 1992 • Un indovino mi disse, Milano, Longanesi, 1995 • In Asia, Milano, Longanesi, 1998 • Lettere contro la guerra, Milano, Mondolibri, 2002
• Un altro giro di giostra, Milano, Longanesi, 2004 • La fine è il mio inizio, a cura di Folco Terzani (il figlio), Milano, Longanesi, marzo 2006 Itinerari didattici e spunti per la riflessione
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I racconti di Tiziano Terzani sono sempre vivi ed appassionati: quali sentimenti lasciano nello spettatore le sue parole e la sua passione?
Hai mai letto una delle sue opere? Se si, che cosa ti ha lasciato?
Che cosa pensi della sua visione del consumismo? Veramente le persone lavorano più di quello che potrebbero solo per acquistare cose superflue? Cosa pensi della sua proposta di “digiunare” per vivere diversamente e fermarsi a riflettere?
Come vede la donna occidentale?
Cosa dice dell'omologazione del mondo? Commenta questa sua affermazione contenuta nel filmato: “La politica nasce dal superamento della violenza”.
Documentario adatto agli studenti della scuola secondaria di II° grado e degli istituti professionali. Tiziano Terzsani, il kamikaze della pace 2/2
Trentini dell’altro mondo: Africa
di Luciano Happacher Italia, 2003, 30'.
documentario
VHS
La trama.
Prodotto dall'Assessorato alle politiche sociali della Provincia autonoma di Trento e realizzato in collaborazione con il Centro informativo per l'immigrazione­Cinformi, l'associazione Bianconero e la Lalibela films, Trentini dell’altro mondo: Africa ha lo scopo di far conoscere l'esperienza positiva di tre africani giunti a Trento per strade molto diverse. Tre vite diverse e tre percorsi di integrazione. Mamadou Sow è un musicista senegalese. Prima di venire in Europa ha vissuto per cinque anni in Libia, poi in Turchia e successivamente in altri paesi. In Trentino, oltre ad insegnare le percussioni, dopo aver conseguito la licenza per il commercio, lavora come ambulante. Josephine Tomasi è trentino­congolese. Dopo una vita passata in Congo, nel 1991 viene a vivere a Trento a causa della guerra. E' decisa a rimanere qui con la sua famiglia.
Magok Riak è sudanese. Del Sud Sudan come ha voluto specificare. Studia ingegneria civile all'Università degli Studi di Trento grazie ad una borsa di studio ottenuta dopo moltissimi sacrifici. Ricorda la sua prima scuola, nel suo paese, “era un assembramento di bambini attorno ad un albero di mango... ed era l'unica scuola nel raggio di 200 chilometri”. A casa, terminati gli studi, tutti aspettano il suo ritorno.
Gli argomenti che vengono trattati nelle interviste sono: ● i rapporti con la popolazione locale,
● il rapporto con il paese d'origine,
● la famiglia,
● la guerra,
● la nostalgia,
● l'appartenenza.
Le parole dei protagonisti sono accompagnate dalla musica africana di Mamadou Sow. Trentini dell'altro mondo: Africa 1/2
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
“Conoscere oltre gli stereotipi”
● Riusciamo a leggere, nel volto di uno straniero, la storia di una persona? Riusciamo a sfuggire agli stereotipi, alle facili etichette "straniero”, "immigrato", "extracomunitario" e vedere oltre? Più siamo disposti ad ascoltare, più è facile riconoscere le individualità che si celano dietro volti che vediamo tutti uguali. Conoscere ha un effetto pratico: rende l'intolleranza e il rifiuto più difficili e facilita il confronto e la convivenza. Condividi questa affermazione?
● Confronta le esperienze degli immigrati raccolte in questo film con quelle dei documentari Racconto straniero di Daria Menozzi, Immigrazione in 3D di Maria Chiara Martinetti e Pomodoro nero Literno di Edoardo de Falchi e Lorenzo Calanchi (tutti presenti al Centro Millevoci).
Immigrazione
● Servendoti del Rapporto immigrazioni pubblicato ogni anno dalla Provincia autonoma di Trento studia il fenomeno immigratorio in questa provincia: la situazione attuale e le tendenze degli ultimi anni.
Documentario adatto agli studenti delle scuole secondarie di I° e II° grado e agli studenti degli istituti professionali.
Trentini dell'altro mondo: Africa 2/2
Trois fables à l'usage des blancs en Afrique
(Tre favole ad uso dei bianchi in Africa)
di Luìs Marques e Claude Gnaouri
Costa d'Avorio/Francia, 1999, 17' (totali).
versione originale francese sottotitolata in italiano
VHS
"La iena non mangia mai due volte i cuccioli del ghepardo".
(Citazione dal film)
La trama.
Il film Trois fables à l'usage des blancs en Afrique è la parodia di alcuni bianchi in terra africana. Il film è composto da tre cortometraggi.
"I bianchi si divertono". 6 '
“La mia ora è arrivata, il vincolo è sciolto. Ho scacciato il male dentro di me. Non ho profanato il nome di Dio. Non ho tolto il pane di bocca ai poveri. Non ho mai diffamato uno schiavo di fronte al suo padrone. Non ho fornicato nei luoghi sacri del mio villaggio. Non ho mai affamato nessuno, né ho nascosto la verità. Non ho ucciso, né ho ordinato di uccidere. Ti offro tutto ciò che posseggo in sacrificio affinché tu mi accolga in pace".
In un piccolo villaggio da qualche parte in Africa un uomo anziano si avvicina all'epoca della morte. Rispettoso della tradizione, decide di acquistare una pecora e, per l'ultima volta, di fare un sacrificio agli dei. Nello stesso momento, una vettura che partecipa alla Parigi­Dakar si avvicina al suo villaggio e mette fine al rituale.
"Buona fortuna Trophy “. 5'
Un giovane francese sta partecipando ad una maratona in Africa. Improvvisamente, nel caldo infernale, incontra un uomo che siede sotto una grande pietra. L'uomo lo invita a sedersi “Vieni, ci beviamo un tè e facciamo due chiacchiere” ma l'atleta, ossessionato dal timer che scorre, declina bruscamente l'invito per non accumulare ritardo sugli altri concorrenti. Continua quindi la sua corsa incappando però in uno spiacevole imprevisto. Il film è una simbolica rappresentazione della differente concezione del tempo nei diversi paesi e nelle diverse culture.
"I cuccioli del ghepardo". 6'
Una piccola delegazione francese deve intrattiene una contrattazione con gli uomini di un villaggio africano per organizzare sul loro territorio il passaggio di un rally. I francesi, come l'anno precedente, sperano di spuntala in cambio di beni di bassa qualità... ma ancora non hanno compreso con chi hanno a che fare. Gli abitanti del villaggio, infatti, decidono di organizzarsi e fingendo di vivere come dei trogloditi, si faranno regalare le loro pompe idrauliche e i gruppi elettrogeni, dando origine ad una scena divertente e ad una punizione indimenticabile per i due affaristi spregiudicati.
Trois fables à l'usage des blancs en Afrique 1/2
Luis Marquès è nato in Francia nel 1966. Ha studiato “Lettere, arti, espressione e comunicazione” (LAEC) alla Sorbona, e prima ancora presso l'Istituto di Studi Teatrali di Parigi. Nel periodo dell'università vince una borsa di studio per la Costa d'Avorio, per preparare la sua tesi di dottorato. Ad Abidjan incontra Claude Gnakouri, classe 1961, rientrato nel suo paese natale dove lavora come attore, dopo una formazione in arti drammatiche.
Dal 1993, Luis Marques e Claude Gnakouri hanno realizzato diversi film e video insieme. Trois fables à l'usage des blancs en Afrique è il loro primo film in 35 mm.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Il secondo cortometraggio è una simbolica rappresentazione della differente concezione del tempo: lenta e riflessiva per l'uomo africano che siede sotto la grande pietra e frenetica ed impaziente per l'atleta francese che sta partecipando alla maratona. Anche i tempi cinematografici variano nelle diverse culture e spesso le produzioni africane sono riconoscibili per la loro lentezza e per la semplicità dei dialoghi. Che cosa ne pensi?
● II tre cortometraggi giocano sul piano ironico, fanno sorridere ma anche riflettere. E' questo un taglio riconoscibile in molti cortometraggi, che in una manciata di minuti devono raccontare una storia e lasciare un messaggio incisivo. Confronta questo stile con quello del lungometraggio.
Colonialismo francese in Africa
● I racconti che compongono Trois fables à l'usage des blancs en Afrique si fondano sul rapporto tra francesi e africani definitosi in epoca coloniale. Svolgi una ricerca su questo periodo storico e ricerca quanto le tracce di questa dominazione siano riscontrabili ancor oggi in questi paesi. In quali casi si può parlare di post­colonialismo e in quali di neo­
colonialismo?
Film adatto agli studenti delle scuole secondarie di I° e II° grado e agli studenti degli istituti professionali.
Trois fables à l'usage des blancs en Afrique 2/2
Tulilem
disegni di Bruno Bozzetto
Italia, 1992, 5'.
Film d'animazione
VHS
La trama.
Un gruppo di bambini sta giocando con una palla azzurra in un non ben specificato paese africano. La palla viene lanciata troppo lontano e uno di loro si allontana per recuperarla.
Anche un bambino in America Latina fa la stessa cosa con la sua palla gialla e così un bimbo cinese con la sua palla di colore rosso, uno medio orientale con un pallone arancione ed uno russo con una palla verde.
Intanto, dei bambini stanno giocando con una palla bianca nel parco di in una grande città (si suppone in Italia, in Europa o negli Stati Uniti d'America). Di improvviso la loro palla diventa dei colori dell'arcobaleno e mano a mano arrivano anche i bambini dei tanti paesi visti in precedenza, rivendicando uno dopo l'altro il possesso della palla. Guardandola però la palla non è più solo bianca, azzurra o gialla: è di tutti i colori dell'arcobaleno e così, semplicemente, il cerchio si allarga accogliendo anche i nuovi arrivati e, senza più discussioni, i bambini iniziano a giocare tutti insieme.
Tlilem è un film a disegni animati che non ha parole ma racconta a tutti i bambini del mondo, attraverso il linguaggio universale del disegno, la storia del viaggio di immigrazione dei bambini che vengono nel nostro paese da terre lontane e si incontrano con chi vive qui da sempre. Questo di film d'animazione, che dura solo 5 minuti, nasce dal lavoro volontario di insegnanti, pedagogisti e scrittori che hanno partecipato al progetto “Pedagogia e cultura delle differenze” voluto dal CESVI ­ cooperazione e sviluppo e con il sostegno della Commissione della Comunità Europea.
Bruno Bozzetto
Nato a Milano nel 1938, ha realizzato tre lungometraggi in animazione “West and Soda”, “Vip mio fratello superuomo” e “Allegro non troppo” e moltissimi cortometraggi, ottenendo numerosi premi tra cui l'Orso d'Oro al Festival di Berlino del 1990 per “Mister Tao” e la Nomination all'Oscar nel 1991 con “Cavallette”. In collaborazione con Piero Angela ha anche diretto un centinaio di cortometraggi di divulgazione scientifica.
Il suo personaggio più famoso è il Signor Rossi, un uomo comune di mezza età nel quale molti spettatori si riconoscono facilmente.
Dal 2000 si dedica anche ad animazioni in Flash per Internet, riscuotendo grande successo nel Web. (Il suo sito è www.bozzetto.com).
Nell'anno 2007 l'Università di Bergamo conferisce a Bruno Bozzetto la Laurea Honoris Causa in "Teoria, Tecniche e Gestione delle Arti e dello Spettacolo".
Tulilem 1/2
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Tulilem ha una trama ma non ha dialoghi. Prova a scrivere con le tue parole la storia che viene raccontata.
Bambini immigrati
● Migrare per un bambino non è mai una scelta volontaria, si trova sempre coinvolto nel progetto della sua famiglia. Al contempo è qualcosa in più della scelta dovuta a necessità vitali o al desiderio di realizzare un sogno; è anche avventura, paura, nostalgia, curiosità... E poi l'incontro tra chi giunge e chi è qui da sempre: anche se tra bambini, anche se auspicato dai grandi, è comunque incertezza, diffidenza, prima di divenire ricchezza per gli uni e per gli altri. Rifletti su questo argomento e, se ne hai la possibilità, confronta la situazione ipotetica qui descritta con dei casi concreti.
Film adatto agli alunni della scuola primaria.
Tulilem 2/2
Uè paisà! Atto I. Frankein
di Gianni Torres
Italia, 2003, 9'45''. versione originale in dialetto barese sottotitolata in italiano
documentario
DVD
La trama.
“Ué…paisà! Atto I. Franchein” è un documentario nato dalla domanda: è possibile integrarsi nel popolo italiano comunicando mediante l’espressione più radicata, ossia il dialetto? In Italia, infatti, in ogni paese o città si parla un dialetto differente, a volte, più dell’italiano stesso. Ecco dunque l’incontro/intervista con Talla, ambulante senegalese, immigrato regolare. Talla parla un dialetto barese dei più antichi, quello della città vecchia, quello stesso linguaggio proveniente da una realtà cittadina avvolta dall’emarginazione e dal disagio sociale. Il dialetto è davvero una porta d’ingresso privilegiata per accedere nella società: dopo pochi minuti, superato l’impatto folcloristico, miracolosamente non ci si accorge quasi più della diversa colorazione della pelle di Talla perché, quella lingua, è compagna di vita di tutti gli italiani, nelle proprie rispettive cadenze e negli infiniti dialetti. Straordinarie, inoltre, e interessantissime, la gestualità e le espressioni di Franchein proprie di chi parla il dialetto barese. Talla, chiamato da tutti “Franchein“ (Franchino), esprime infinità dignità, sottolineando le diversità religiose, le difficoltà quotidiane, gli obiettivi futuri della sua vita.
Gianni Torres
E' nato a Polignano a Mare (Bari) nel 1967. Autore di trasmissioni radiofoniche e fondatore della rivista Dilectus, è stato ideatore di iniziative, come Modugno torna a casa. Regista di cortometraggi e documentari, ha diretto Il futuro della memoria (2001) e Bintou l’uomo (2003).
Uè paisà! Atto I. Frankein 1/2
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● La scelta di regia (camera a mano) si allinea con la provvisorietà della storia del protagonista. Sei d'accordo con questa affermazione?
Rispetto alla trama
● Descrivi i personaggio di Talla. Quali tratti emergono dal suo carattere? ● Come vive il suo essere musulmano?
● Cosa spera per i suoi figli?
La lingua
● Per un immigrato quanto è importante parlare la lingua del paese in cui si vive? ● Perché Talla ha voluto imparare, oltre all'italiano, anche il dialetto barese? La conoscenza del dialetto lo aiuta in qualche modo nella sua vita quotidiana?
● Che cosa pensa la gente di Bari di un senegalese che parla così bene il loro dialetto?
Film adatto agli studenti della scuola secondaria di II° grado e degli istituti professionali.
Uè paisà! Atto I. Frankein 2/2
I viaggi di Pim e Pom
Testi a cura di Letizia Favero
Disegni degli alunni delle classi 1B, 1C, 2A, 2C della Scuola media “D.Valeri” di Campolongo Maggiore (VE)
Italia, 1997, 30' (totali)
Videofilmati
La trama.
VHS
Le storie di Pim e Pom costituiscono il punto di partenza degli itinerari didattici presenti nel Quaderno “La mia casa è il mondo”.
“Oggi dovremmo avere una cultura dell'umanità che ci faccia sentire prima di tutto cittadini del mondo. In secondo luogo cittadini d'Europa. In terzo luogo cittadini del nostro paese, l'Italia.
In quarto luogo cittadini della nostra città o comunità locale”
(Aldo Visalberghi, pedagogista)
Pim storia dell'aereo che non sapeva volare.
Quattro bambini su di una spiaggia dell'isola di Timor, in Indonesia, con le lattine vuote delle bibite raccolte per la strada costruiscono un buffo aeroplano, che però non riesce a volare. Un giorno, passa dalla loro spiaggia una grande portaerei, piena di aeroplani che atterrano e decollano in continuazione e i bambini decidono di chiedere al capitano se può insegnare anche a Pim a volare. Egli rifiuta ma si fa avanti un marinaio che decide di assisterli.
Pim si imbarca e conosce così il mondo dell'aviazione. Gli altri aerei raccontano di viaggi meravigliosi: paesi, genti, animali straordinari e lui prova sempre più dispiacere per non riuscire a volare. Un giorno però la porta dell'hangar rimane aperta e Pim decide di uscire seguendo luce del sole. Giunto sulla pista il suo motore inizia a rollare, spicca il volo e finalmente può anche lui conoscere il mondo.
“Guadando in basso, da 850 miglia di quota, le sole frontiere che ho visto sono quelle tra terra e acqua. Un solo mondo” .
(James Mc Diwitt, astronauta)
... A viverci sopra però sembra il contrario. Ci sono frontiere tra stato e stato, sorvegliate da uomini armati e frontiere invisibili perché sono segnate nella mente degli uomini.
Storia di un robot che cercava la felicità.
Pom è un robottino scelto dalla NASA per una missione spaziale. Lanciato nello spazio incontra due I viaggi di Pim e Pom 1/2
guardiani della galassia che gli chiedono cosa sta accadendo sulla terra che vedono piena di guerre e di violenza. Gli raccontano di provenire dal “pianeta felice” e lo invitano a visitarlo. Pom si aspetta di trovare un luogo nuovo, dove tutti sono uguali perché altrimenti non si spiegherebbe la pace. Invece il “pianeta felice” è identico alla terra: popolati di uomini e donne ognuno con le proprie caratteristiche, solo i loro comportamenti sono diversi e Pom si chiede perché non ci sia alcun tipo di conflitto.
Per avere una spiegazione a questo interrogativo viene accompagnato dal saggio del pianeta, il quale gli spiega che per avere una risposta deve tornare sulla terra e conoscere uno ad uno tutti gli uomini e tutte le donne e, congedandosi, gli dona una sfera magica dove si può vedere il nostro pianeta senza frontiere. Il segreto per una terra felice, si dice nel filmato, è quello di conoscersi, accettasi nelle proprie differenze e pensare ad un luogo senza reali confini.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Le storie di Pim e Pom sono due videofilmati. Non animazione vera e propria ma disegni (in questo caso preparati dagli alunni di una scuola elementare) che poi vengono ripresi da una telecamera mentre una voce narra la storia. E' una tecnica abbastanza semplice, sono sufficienti una telecamera ed una persona in grado di fare il montaggio delle immagini... e potrebbe essere un'idea per realizzare un filmato con la tua classe.
Intercultura e multiculturalità
● La storia di Pim introduce il concetto di multiculturalità e quello di intercultura a partire dal rispetto delle differenze. Definisci e distingui questi due termini.
● In un mondo interconnesso come quello in cui viviamo, dove il multiculturalismo si respira ogni giorno nelle strade, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, sembra anacronistico parlare di questi argomenti facendo riferimento ad eschimesi o nativi americani, rappresentandoli con i loro costumi tradizionali come accade nel secondo cortometraggio. Ormai anche loro vestono in jeans e maglietta! O ancor peggio vestire i bambini africani di pelle di leopardo, come se fossero una caricatura di “Tarzan”! Basterebbe guardare nelle nostre aule per scoprire dov'è sta la diversità culturale e come questa realmente si manifesta. Se il filmato è quindi mosso da intenti lodevoli ha però bisogno di essere viso con un occhio critico. Cosa pensi di questa affermazione?
Confini
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Sei d'accordo che sulla terra non ci sono confini naturali? O è solo una metafora introdotta nel filmato per dire che i confini che provocano conflitti sono solo quelli creati dall'uomo?
Film adatto agli alunni della scuola primaria. I viaggi di Pim e Pom 2/2
Volontari nel mondo
di Michela Guberti e Maurizio Iannelli
Italia, 2002, 40' (totali).
versione originale doppiata in italiano
VHS
La trama.
Volontari nel mondo è un documentario diviso in due cortometraggi che racconta alcuni progetti di cooperazione allo sviluppo attivati dal FOCSIV in Perù e Tanzania. I cortometraggi sono intervallati da una presentazione di questa organizzazione: la descrizione della sua struttura e le finalità che la muovono.
Periferie di Lima ­ Perù La capitale peruviana ospita oggi circa un terzo della popolazione nazionale. I suoi oltre 8 milioni di abitanti sono essenzialmente il risultato della migrazione interna degli ultimi vent'anni del XX secolo, quando la popolazione, mossa dal pericolo scatenato dal “terrorismo” nella Sierra, si riversò nelle città creando un rapido e disorganizzato sviluppo urbano.
Il documentario, girato nel mese di aprile del 2002, focalizza l'attenzione su alcuni progetti di sviluppo coordinati da organizzazioni affiliate al FOCSIV: ●
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il recupero di adolescenti di strada, un intervento di miglioramento delle condizioni abitative nei bairros,
un progetto di sviluppo socio­educativo a sostegno di donne donne e bambini che hanno subito violenze familiari.
Le immagini colpiscono lo spettatore per l'impressionante urbanizzazione del territorio e per le condizioni di vita estreme in cui versa la gran parte della popolazione di questa città, che è considerata una delle capitali più popolose del mondo.
Zona rurale di Matembwe ­ Tanzania A Matembwe, una zona rurale della Tanzania che dista due giorni di strada da Dar es Salaam, quindici anni fa, i volontari del FOCSIV, in collaborazione con la popolazione locale, costruirono una centrale elettrica che portò in tutta la regione: energia, lavoro e vita.
Giovanni, un ingegnere bolognese che aveva partecipato come volontario alla costruzione della centrale, torna oggi a Matembwe. Nel documentario si racconta il suo incontro con i colleghi di un tempo e la gioia nel vedere che la centrale funziona ancora.
Un giovane tanzaniano, John, formato in Trentino presso l'Istituto di San Michele all'Adige (TN), è oggi direttore del Matembwe Village Company, un'organizzazione che nella stessa zona ha avviato Volontari nel mondo 1/2
dei laboratori di falegnameria, un'impresa di fabbricazione di strutture in muratura e un'industria di mangimi per i piccoli allevamenti di pollame. Lo scopo di John in questi anni è stato quello di creare e favorire lo sviluppo di autonomie locali. Volontari nel mondo ­ FOCSIV E' la Federazione di 60 organizzazioni non governative (Ong) cristiane di servizio internazionale volontario impegnate nella promozione di una cultura della mondialità e nella cooperazione con i popoli dei Sud del mondo, con l’obiettivo di contribuire alla lotta contro ogni forma di povertà e di esclusione, all’affermazione della dignità e dei diritti dell’uomo, alla crescita delle comunità e delle istituzioni locali.
FOCSIV con i propri progetti è oggi presente in più di 70 paesi del mondo.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Volontariato internazionale
● Riprendi le testimonianze dei protagonisti del documentario e prova a spiegare che cos'è il volontariato internazionale.
● Che cosa si intende con il termine “cooperazione allo sviluppo”?
● Che cosa sono i progetti di sviluppo di autonomie locali?
Donne e bambini nelle periferie di Lima
● Il primo cortometraggio ambientato nelle periferie di Lima mostra come le donne, sostenute dai progetti del FOCSIV, hanno tessuto una trama di relazioni per aiutarsi vicendevolmente dando vita ad una struttura comunitaria in grado di sostituire i loro sistemi familiari spezzati. Confronta questa mobilitazione con quella che si racconta nel film Antuca di Maria Barea, anch'esso ambientato a Lima e presente al Centro Millevoci.
● Uno dei principali progetti attivati dai volontari a sostegno dei ragazzi nelle baraccopoli di Lima è quello del programma per l'iscrizione anagrafica. Molti di questi ragazzi, infatti, non sono registrati e non hanno documenti, “non esistono” in alcun modo per lo Stato peruviano: che cosa significa possedere un'identità giuridica? ● In che modo padre Alberto racconta le esperienze dei bambini e delle bambine che in famiglia hanno subito violenze?
Il contesto
● In riferimento al primo documentario: chi erano i guerriglieri di “Sendero Luminoso” e cosa fu il M.R.T.A. ­ Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru?
● Il Perù e la Tanzania sono i paesi in cui sono ambientati i documentari che compongono questo film: qual'è loro storia coloniale e quale la loro attuale situazione economica?
Film adatto agli studenti dell'ultimo anno della scuola secondaria di I° grado, agli studenti della scuola secondaria di II° grado e degli istituti professionali. Volontari nel mondo 2/2
Yaaba
(nonna)
di Idrissa Ouedraogo
Sceneggiatura: Idrissa Ouédraogo
Interpreti: Fatimata Sanga, Noufou Ouedraogo, Roukietou Barry
Burkina Faso, 1989, 90'. versione originale mooré sottotitolata in italiano
VHS
“Yaaba è un film basato su certi racconti della mia infanzia e su quel genere di favole della buonanotte che ascoltiamo prima di addormentarci… sempre che siamo così fortunati da avere una nonna che ce le racconti”.
(Idrissa Ouedraogo)
La trama.
Bila è un ragazzino sveglio e intraprendente che vive con la sua famiglia in un villaggio del Burkina Faso. Sana è una donna anziana e sola che abita ai margini della comunità perché ritenuta da tutti una strega, incolpata ingiustamente dei fatti spiacevoli che accadono al villaggio. Bila, però, ancora libero dalle superstizioni e dalle paure degli adulti, si rifiuta di credere alle maldicenze sulla donna e decide, contro il volere di tutti, di frequentarla. Il ragazzo tiene spesso compagnia a Sana: le procura del cibo, ne ascolta le storie e la chiama affettuosamente Yaaba, nonna, cosa che nessuno ha mai fatto con lei e che le fa molto piacere.
Mentre la vita del villaggio scorre normalmente fra pettegolezzi, liti, amori e tradimenti, in un divertente affresco composto da diversi personaggi, capita che Nopoko, la piccola compagna di giochi di Bila, ferita dal coltello arrugginito di alcuni monelli, venga colpita dal tetano. Nopoko è molto grave e sta per morire, ma proprio in questo momento, inaspettatamente, entra in scena l'anziana donna. Sana ha infatti grande dimestichezza con i segreti delle piante e degli animali e sebbene venga lei stessa accusata della malattia di Nopoko, decide di aiutarla.
La vecchia Yaaba guarirà la bambina e sarà per questo riabilitata agli occhi di tutti, per sempre.
Idrissa Ouédraogo Nasce nel 1954 a Banfora in Burkina Faso. Diplomato all’Institut Africain des Études Cinématographiques di Ouagadougou, nel 1981 lavora presso la Direzione della Produzione Cinematografica del Burkina Faso. Dopo aver diretto il suo primo cortometraggio, Poko, ha vissuto per qualche tempo a Kiev. Nel 1985 si diploma all’Idhec di Parigi e in seguito consegue il diploma di studi cinematografici alla Sorbona. Yaaba 1/2
Con i film Tilai e Samba Traoré ha ottenuto numerosi riconoscimenti in festival internazionali. Yaaba ha vinto il premio della critica internazionale nel 1989 alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes.
Itinerari didattici e spunti per la riflessione
Sul piano cinematografico
● Che differenze di ritmo, colore, sceneggiatura e tecniche di ripresa si possono notare tra questo film e i film europei e nord americani che più facilmente vengono proposti nelle sale cinematografiche italiane o in televisione?
Rispetto alla trama
● Descrivi i personaggi principali del film. Quali tratti emergono del carattere di Bila? E da quello di Sana?
● Attraverso quali passaggi si costruisce l'amicizia fra il ragazzo, Bila, e la vecchia Sana? ● Come trascorre la vita quotidiana dei protagonisti del film? Confrontala con la vita dei bambini e delle famiglie italiani.
● Come viene affrontata la morte nel villaggio di Bila?
Pregiudizi e superstizioni
● Quali sono le superstizioni e i pregiudizi degli adulti del villaggio? ● Che fondatezza hanno queste superstizioni? ● Pregiudizi e superstizioni sono purtroppo causa di fatti negativi nel mondo. E' possibile trovare degli esempi nella storia e nell'attualità?
Il contesto
● Il Burkina Faso è il paese africano che ospita l'ambientazione di questo film: quali sono la geografia del suo territorio e al momento la sua situazione economico/politica?
● Bila vive in un piccolo villaggio ma la vita è differente nelle grandi metropoli africane? Quali conseguenze provoca il crescente inurbamento che stanno vivendo attualmente le grandi capitali dell'Africa?
Film adatto a partire dagli otto anni, non tanto per la tematica quanto per la presenza dei sottotitoli. Yaaba 2/2