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Anno L n.4 - ottobre-dicembre 2012 - Spedito nel mese di novembre 2012 - Poste Italiane s.p.a.- Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 nº 46) - art. 1, comma 2, CDM BG IL SOSTEGNO A DISTANZA UN NUOVO AMICO PER NATALE Sommario 1 EDITORIALE Il cappuccino è colui che va dove nessuno vuole andare 35 2 A Roma è stato riconfermato fra Mauro Jöhri J come Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini 38 2 50º DI FRA MARCANTONIO PIROVANO EMMECINOTIZIE Da Ministro Provinciale a Definitore Generale dell’Ordine dei cappuccini Benvenuto a fra Giuseppe al Centro Missionario di Milano Le omelie di Mons. Luigi Padovese raccolte in un volume Il nostro impegno p g di aiuto nelle zone colpite dal terremoto 2 Non avrei mai p potuto immaginare una vita più felice 3 RICORDO DI FRA ELIA BALDELLI Un frate fatto orazione 42 I missionari, speranza per il futuro 4 Lotta alla “piaga di Buruli” Sostegno alle famiglie Scuole di formazione femminile Foyer “San Francesco d’Assisi” Formazione dei seminaristi Cappuccini Il calendario 2013: dalla Costa d’Avorio arriva la speranza 6 8 10 11 12 I “piedi”del missionario frei Elia Baldelli 46 PROGETTI IN COSTA D'AVORIO 13 FRA GIANLUCA LAZZARONI Un seme di vocazione che è germogliato TRENT'ANNI IN CAMERUN Una missione ormai matura 14 17 22 Il diritto di lamentarsi… 26 Dal Camerun per il Papa 28 Un nuovo amico per Natale Oddio cosa ci faccio qui? 48 Semplicemente tieni aperto il cuore 49 Hanno fabbricato sorrisi 52 Il nostro piccolo e costante aiuto 54 Fra i poveri con la fiducia in Dio 56 Incontri formativi volontari in missione 58 SPIRITUALITÀ La Missione: dare se stessi per il Vangelo IL SOSTEGNO A DISTANZA VOLONTARI IN MISSIONE 40 31 Frei Alberto Beretta dalle sue foto “Jesus J autem, intuitus eum, dilexit eum... eum...” 60 5xmille a, nulll a, nu e non vi costa he do, ch u mod un e ere ner s en s st er so pe Editore: MISSIONI ESTERE CAPPUCCINI ONLUS P.le Cimitero Maggiore, 5 - 20151 Milano Aut. Trib. di Milano n. 6113 del 30-11-62 Direttore editoriale: Mauro Miselli Caporedattore: Alberto Cipelli Redattori: Marino Pacchioni, Agostino Valsecchi, Paoletta Bonaiuto, Matteo Circosta, Madalin Galliani, Lorenzo Mucchetti, Marina Renna, Elisabetta Viganò Direttore responsabile: Giulio Dubini Grafica: Anna Mauri Realizzazione e stampa a cura della Editrice Velar, Gorle (BG) re Missioni Este lus n Cappuccini O l te o piila Q ando com Qu ii ddit edd d i re r zione de la diichiara r stro o no n l i re ni or f i e i di cordatev rico ric ri codice fiscale 7 9732695015 Editoriale Cari fratelli, che cosa sarebbe la nostra vita senza speranza? Possiamo dire che la speranza è come il motore che ci permette di muoverci e di andare avanti. Eppure, se guardiamo alla nostra vita, vediamo che sono diversi i modi del nostro sperare. C’è chi spera di vivere meglio, di avere più denaro; c’è chi spera di avere più tempo libero; chi spera di stare bene. Tutti sperano in qualcosa. Per noi cristiani, accanto a queste giuste speranze umane, ce n’è una che è più importante di tutte: è la speranza che viene dalla nascita di Cristo. Gli uomini hanno sempre sperato in un profeta, in un salvatore che annuncia la salvezza. Noi riconosciamo che questo Salvatore ci è stato dato in Gesù. Per la fede cristiana egli non soltanto annuncia la salvezza, ma ce la offre nella sua persona. I nostri fratelli musulmani credono che Gesù sia profeta; noi crediamo che sia figlio di Dio, non nel senso carnale, ma nel senso che appartiene alla sua essenza e da Lui proviene. Eppure, sia per i musulmani che per i cristiani una cosa è chiara: se Dio ha mandato a noi Gesù, vuol dire che s’interessa di noi. E se ha questo interesse, significa che non gli siamo indifferenti, ma che anche, anzi, egli ci ama. Cosa è allora il Natale se non la celebrazione dell’amore di Dio per ogni uomo? È un amore che si è fatto carne e che ci ricorda che Dio è con noi, Dio è per noi. Egli continua ad essere l’onnipotente, ma nella nascita di Gesù ci mostra che è anche onnipotente nell’amore. Cari fratelli, la tentazione che abbiamo spesso, è quella di misurare Dio con un metro umano, rinchiuderlo nei confini del nostro pensiero. Guardiamo alla storia: ancora oggi ci sono terroristi che uccidono nel nome di Dio e altri che li combattono nel suo nome. Tutti invocano Dio e questo mostra quali implicazioni pratiche contradditorie si dicano nel riferirsi a Lui. Dove sta Dio se ciascuno usa il Suo nome per sostenere la sua idea o, addirittura, la sua ideologia? Nella legge che Mosè ha ricevuto sul Monte Sinai c’è anche un comandamento che dice “Non nominare invano il nome di Dio”. Questo significa: “non usare il mio nome per i tuoi fini; non fare di me uno strumento per ottenere quello che vuoi”. Certo, per noi cristiani la nascita di Gesù è, e rimane, un segno chiaro che Dio ama ogni uomo, anche il più piccolo ed insignificante. Questa è la verità che siamo invitati a riconoscere ed a praticare nella nostra vita. Come scriveva il mistico Yunus Emre in una sua poesia: “è necessario guardare con mille occhi chi il Signore Iddio ha colmato del Suo sguardo. Quando penso a chi da Lui è stimato, come posso disprezzarlo io?”. Viviamo dunque questa festa del Natale come un’occasione per fare pace tra noi perché questa è la volontà di Dio. Gli angeli, alla nascita di Cristo, hanno cantato “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. Che questa sia anche la nostra preghiera di questa notte (giorno): “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. Mons. Luigi Padovese Omelia per il Natale 2006 tratta da “La verità nell’amore. Omelie e scritti pastorali di Mons. Luigi Padovese” a cura di fra Paolo Martinelli, ETS 2012 1 EMMECINOTIZIE Da Ministro Provinciale a Definitore Generale dell’Ordine dei cappuccini Assistente federale della Federazione S. Chiara delle Clarisse Cappuccine della Thailandia (oltre 100 sorelle residenti in 7 monasteri). Rientra in Italia per accudire i genitori entrambi 30 agosto 2012, durante ammalati, ed è assegnato al la celebrazione a Roma convento di Cerro Maggiore dell’84° Capitolo ordinario (MI). Eletto Definitore dei Frati Minori Cappuccini, provinciale viene destinato il nostro Ministro Provinciale, allo Studentato teologico di fra Raffaele Della Torre, Milano come Maestro degli è stato eletto come Definitore studenti. Dal 2005 al 2011 (Consigliere) generale è Vicario provinciale; nel dell’Ordine. Fra Raffaele febbraio 2011 diventa Ministro è nato e cresciuto a Busto provinciale dei Cappuccini di Arsizio (VA) nel 1955, e dopo Milano. Ora, dopo poco più essere entrato nell’Ordine dei Cappuccini ha emesso la prima di un anno e mezzo, è stato chiamato a svolgere professione nel 1978 e la professione perpetua nel 1981. un servizio non più solo per i Cappuccini di Milano, ma Terminati gli studi di teologia per i frati di tutto il mondo. è stato ordinato presbitero A lui i nostri complimenti ed i nel 1982, e destinato alla migliori auguri perché continui parrocchia di S. Maria Assunta a svolgere con passione il alla Certosa (MI), in qualità di suo servizio a favore di tutto vicario parrocchiale. Nel 1983 l’Ordine cappuccino. Q con altri tre confratelli fonda la Comunità terapeutica il Molino per il recupero di giovani tossicodipendenti, situata a Noviglio (MI) di cui sarà responsabile e direttore. Dal 1988 al 1991 è Guardiano e Maestro del post-noviziato a Cremona. In seguito, per rispondere alla vocazione missionaria, parte per la Thailandia, dove rimane fino al 1999 svolgendo vari servizi: delegato del Ministro provinciale, Guardiano e Maestro di formazione, Il 2 Benvenuto a fra Giuseppe al Centro Missionario di Milano Il nostro impegno di aiuto nelle zone colpite dal terremoto A bbiamo preso contatti con il Parroco di Cavezzo, Don Giancarlo Dallari, conosciuto da tanti anni, e dopo una visita in cui ci siamo resi conto della drammatica situazione provocata dal terremoto, abbiamo fatto una promessa di aiuto. Il nostro contributo sarà unito a quello di altri – Caritas Italiana e gemellaggio con Diocesi – in quanto la spesa generale da sostenere è molto elevata – il Parroco parla di 1.000 euro al m2 più i costi per le infrastrutture per una superficie di circa 250m2 – e servirà: 1. Alla costruzione di una sala polivalente in legno perché i tempi saranno lunghi per il recupero della Chiesa: è crollato tutto il tetto e dovranno verificare anche la tenuta della struttura in generale. La Diocesi di Modena sta coordinando le direttive su come procedere. La nuova sala polivalente dovrebbe essere costruita adiacente al teatro, pure gravemente lesionato, e vi troveranno posto la Chiesa, le aule per il catechismo, per D a settembre fra Giuseppe Lecchi è entrato a far parte della grande famiglia del Centro Missionario di Milano Musocco. Missionario da circa 25 anni in Costa d’Avorio e innamorato della missione ora che è rientrato in Italia può continuare il suo lavoro a sostegno dell’Africa e delle altre missioni mettendo le sue doti di organizzazione, accoglienza e simpatia al servizio dell’animazione missionaria della Provincia lombarda. A lui i nostri più cari auguri e una preghiera perché il suo nuovo incarico missionario sia ricco di soddisfazioni e di bene. I frati del centro missionario Le omelie di Mons. Luigi Padovese raccolte in un volume A due anni dalla barbara uccisione in Turchia, esce la raccolta “La verità nell’amore. Omelie e scritti pastorali di Mons. Luigi Padovese” (Edizioni Terra Santa, 2012) con il preciso fine di mantenere viva la memoria del Vescovo cappuccino e a testimonianza della sua profonda opera di apostolato in terra musulmana. Il volume curato da fra Paolo Martinelli permette di approfondire e divulgare l’eredità spirituale e culturale di questo grande “uomo di comunione”; non solo singolare figura di teologo sapiente esperto di Padri della Chiesa e delle origini cristiane, gli incontri di gruppi giovanili legati alla Parrocchia e per le varie attività parrocchiali. 2. Alla ricostruzione della scuola materna parrocchiale dedicata a San Vincenzo de’ Paoli, gravemente lesionata e inagibile. Anche in questo caso è urgentissimo trovare una soluzione provvisoria affinché i bimbi possano continuare l’attività scolastica. Abbiamo già spedito 20.000 euro grazie alla pronta sensibilità di tante persone. Confidiamo in voi amici e benefattori affinché con il vostro aiuto possiamo continuare ad aiutare questi nostri fratelli così provati dalla terribile esperienza del terremoto. Desideriamo ringraziare chi ci ha donato 2 container che sono stati sistemati nella Parrocchia di Motta di Cavezzo per accogliere documenti e materiali parrocchiali. Abbiamo aiutato anche il Caseificio ‘La Cappelletta’ attraverso la vendita del loro parmigiano reggiano in varie nostre manifestazioni. Grazie di cuore dai Missionari Cappuccini ma anche pastore appassionato e sollecito nella cura del suo gregge, chiamato a svolgere il suo ministero nella terra che ha dato i natali a San Paolo. Con testi introduttivi di alte personalità religiose quali l’Arcivescovo di Milano Angelo Scola, il Ministro Generale dell’Odine dei Frati Minori Cappuccini Mauro Jöhri (recentemente rieletto in carica) e fra Raffaele Della Torre (da poco Consigliere generale dell’Ordine) il libro offre davvero una raccolta completa e approfondita degli scritti di Luigi Padovese; scritti che se da una parte appaiono immediati e vanno direttamente al cuore, dall’altra sono nutriti da citazioni dei Padri della Chiesa testimoniando un profondo radicamento nella grande tradizione della fede cristiana e un’intelligente apertura alle questioni che coinvolgono la Chiesa e la società contemporanee. Q 3 PROGETTI IN COSTA D’AVORIO Un viaggio nella missione africana, ma soprattutto un viaggio nei tanti progetti di evangelizzazione e promozione umana che i missionari cappuccini hanno creato e gestiscono in Costa d’Avorio. Il loro impegno costante permette a tante persone sfortunate di recuperare la fiducia e la speranza per un futuro più dignitoso ed umano. di Matteo Circosta Q uando nel 1976 i nostri Frati Cappuccini hanno iniziato la missione in Costa d’Avorio, non potevano immaginare che quel legame, nel tempo, sarebbe risultato indissolubile, qualunque cosa fosse accaduta. E in 35 anni, di eventi che hanno scosso la storia ivoriana, ce ne sono stati tanti, forse troppi. Infatti, dopo aver ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1960, la Costa d’Avorio ha vissuto vent’anni di prosperità economica, tanto da venir soprannominata “la Svizzera d’Africa”, soprattutto per la produzione di cacao e di caffè, che ha raggiunto i massimi livelli mondiali. Ma purtroppo agli inizi degli anni ’90, una profonda crisi economica ha dato origine ad una serie di sventure, culminate nel 1999 con i primi colpi di stato, che si sono protratti fino alle elezioni avvenute l’anno successivo, in un contesto di continui scontri tra l’esercito ed i civili scesi in piazza. Nel novembre 2001, per sigillare un apparente accordo di pace, si è celebrato il Forum della riconciliazione, la cui facciata è durata solo pochi mesi… e nel 2002 c’è stato un altro colpo di stato, tristemente degenerato in guerra civile, che ha spezzato il paese in due parti: il nord ed il sud. Durante l’ultimo decennio, si sono susseguiti tanti accordi di pace, tutti inesorabilmente falliti, fino ad arrivare ai giorni nostri, quando le recenti elezioni, svoltesi in un clima surreale di guerra civile sotto i bombardamenti nazionali ed internazionali, hanno sconvolto la città di Abidjan, ma hanno anche dato luce ad un nuovo mandato presidenziale che si è prefissato di portare finalmente la pace in questa terra e di far vivere in serenità questo popolo, che amiamo profondamente da più di 35 anni. Nulla, di tutto quello che è successo, ci ha fatto desistere. Nemmeno le rapine a mano armata avvenute in convento; nemmeno la salvezza arrivata provvidenzialmente perché riconosciuti come “quelli che aiutano i bambini malati” e come “quelli che fanno giocare tutti i nostri ragazzi”… anche se chi pronunciava queste frasi, mentre decideva il da farsi, ci puntava una pistola in faccia; nemmeno gli spari che hanno colpito il nostro ospedale di fianco al convento; nemmeno la fuga di notte nella foresta, tenendo per mano malati, donne e bambini, per decine di chilometri. Nulla di tutto questo ci ha fatto desistere. I missionari, Ed ora è finalmente giunto il momento di risorgere, di riprendere la normalità in tutte quelle situazioni che, pur non essendo mai state abbandonate, hanno sofferto le ansie della guerra. Attualmente in Costa d’Avorio siamo presenti a Abidjan, Alépé e Zouan-Hounien, e ricominceremo a parlare delle nostre opere missionarie: contro la “piaga di Buruli” e la malnutrizione infantile; a favore della formazione femminile e dell’accoglienza dei giovani più bisognosi; fino ad arrivare al sostegno, mai interrotto, rivolto a tutte quelle famiglie, specialmente dell’ovest, che dal 2002 hanno vissuto in prima persona il dramma della guerra. speranza per il futuro 5 PROGETTI IN COSTA D’AVORIO L a piaga di Buruli, simile alla lebbra, è una malattia endemica causata da un batterio che provoca necrosi e piaghe sempre più ampie e profonde, che iniziando dalla pelle raggiungono le ossa. La regione di Zouan-Hounien, nell’estremo ovest della Costa d’Avorio, è ritenuta dal Ministero della Salute una zona endemica per questa malattia, che nella maggior parte dei casi attacca proprio i bambini, che contraggono il tremendo morbo semplicemente giocando nell’acqua. Per far fronte a questa emergenza, abbiamo iniziato una stretta collaborazione con l’ospedale statale di Zouan-Hounien, che grazie ad un nostro intervento, ha potuto riaprire un intero padiglione e adibirlo totalmente alla cura ed all’assistenza dei malati di quest’ulcera, che vengono seguiti quotidianamente dal personale sanitario del “Programma nazionale di lotta contro la piaga di Buruli”. I responsabili dell’ospedale ci hanno anche pregato di estendere la nostra collaborazione alla fornitura dei medicinali, al trasporto dei pazienti più gravi e alla sensibilizzazione dei villaggi. Infatti, stiamo fornendo in modo continuativo gli “stock” di materiale sanitario e di farmaci, indispensabili all’ospedale statale per assicurare la lotta alla piaga di Buruli. Il valore di queste medicine è di 2.500.000 F CFA, pari a 3.800,00 euro; tale importo ci permette di evitare la “rottura dello stock”, come purtroppo si sente spesso dire nelle regioni ivoriane dove siamo presenti… ed ogni volta che un ambulatorio vive questa triste realtà, i malati vengono lasciati a loro stessi, destinati al peggioramento della loro situazione. Il nostro impegno è perché questo non accada; i medicinali vengono stoccati direttamente all’interno della nostra missione, per poi essere prelevati da un’infermiera designata ufficialmente dal medico del Distretto sanitario: Suor Blandine, che la Provvidenza ha inviato nella comunità di suore che risiede in parrocchia a Zouan-Hounien. Il vantaggio che deriva dalla presenza di questa Sorella, infermiera professionale all’interno dell’ospedale statale, è enorme! Suor Blandine non solo è ivoriana, ma è proprio originaria di questa regione ed oltre al francese, parla anche la lingua “yacouba”, che viene usata in molti villaggi. Lotta alla “piaga di Buruli” Tra i malati di questa regione, alcuni vengono curati e ricoverati direttamente all’interno dell’ospedale statale di ZouanHounien, mentre quelli che necessitano di accurate operazioni chirurgiche, vengono trasferiti nei centri specializzati di Adzopé o di Zoukougbeu, gestiti da religioseinfermiere e nei quali è presente del personale sanitario altamente specializzato, soprattutto per quanto riguarda i chirurghi che effettuano gli interventi di trapianto della pelle. Come frati cappuccini sosteniamo le spese di trasporto dei malati più gravi, sempre accompagnati da almeno un parente; è importante evidenziare che nella catena della solidarietà della quale facciamo parte, ogni soggetto offre le proprie competenze per giungere al risultato che tutti vogliamo: la guarigione dei pazienti, il ritorno del sorriso ai bimbi, che finalmente possono tornare ad una vita normale. Per completare la nostra opera nella lotta alla piaga di Buruli, stiamo anche attuando una campagna di sensibilizzazione, passando di villaggio in villaggio, percorrendo piste sterrate e sentieri nella foresta, per poter incontrare tutte le genti, anche le più isolate. Secondo lo studio ed il programma tracciato dal direttore del Distretto sanitario, bisogna percorrere ben 1.415 chilometri per raggiungere tutti i villaggi! Ma senza una prevenzione seria e scrupolosa, non riusciremo mai a sconfiggere questa pandemia; la cura del malato è necessaria e doverosa, ma la vera lotta inizia con l’istruzione e la sensibilizzazione, che prima di ogni altro accorgimento, prevengono la formazione delle piaghe, altrimenti destinate a diventare grosse ulcere che possono segnare per sempre il corpo… che spesso è il corpicino di un bimbo… con conseguenti cicatrici ed handicap invalidanti. La prevenzione è inoltre l’unico deterrente veramente efficace per interrompere l’espansione della piaga; infatti se si riconoscono in tempo i sintomi caratteristici (noduli, placche, edemi, ulcerazioni della pelle), è possibile debellare la malattia in poco tempo e con brevi cure non invasive. Per far fronte a questa nuova sfida, abbiamo voluto iniziare dando una risposta molto concreta: grazie alle donazioni dei benefattori, abbiamo raggiunto l’importo necessario per l’acquisto di due moto! Una delle quali, guidata da un infermiere, ha già iniziato a scorrazzare per le strade impervie ed infangate della regione di Zouan-Hounien; il desiderio di acquistare una seconda moto invece… anch’essa indispensabile e sostenuta dal cuore enorme di un gruppo di amici delle nostre missioni… è ancora temporaneamente bloccato a causa degli ultimi strascichi che la guerra ha lasciato… ma è nostra premura smuovere le acque al più presto e comunicare tutte le novità. 7 PROGETTI IN COSTA D’AVORIO G li scontri militari avvenuti nell’ultimo decennio, hanno avuto un impatto terribile sulla popolazione di Zouan-Hounien, che in questa regione ha sperimentato anche l’isolamento; infatti solo una pista sterrata, quasi impraticabile durante il periodo delle piogge, permetteva di accedere al resto del paese. L’isolamento geografico, unito alle tensioni derivanti dalla continua guerriglia, accresceva anche l’isolamento psicologico, e sentendosi abbandonati quasi da tutti, gli abitanti stavano maturando l’idea di lasciare le proprie terre per andare altrove, sperando in un futuro migliore; ma la fuga li avrebbe spinti solo all’interno di campi profughi stranieri, oppure ad ingrandire le periferie degradate delle grandi città… conducendo una vita di stenti, sorretti solo da una flebile speranza… che presto si sarebbe rivelata vana. Come Missionari Cappuccini non potevamo rimanere indifferenti di fronte a questa drammatica situazione, ed è proprio respirando questo clima che è maturata l’idea di dar vita a diverse attività sociali, tutte con lo scopo principale di aiutare il maggior numero possibile di famiglie! “Cooperativa Agricola Famiglia di Nazaret” (Coopafan) Attraverso la “Coopafan” forniamo sementi di riso e di mais, permettendo così alle persone più bisognose di ricominciare a vivere del proprio lavoro nei campi. Orti ed Allevamenti Gruppi di donne vengono istruite sulle tecniche botaniche, fino al raggiungimento della piena autonomia, ossia quando riusciranno a svolgere tutte le attività con i propri mezzi e le proprie conoscenze. Inoltre vengono donati degli ovini a gruppi di giovani, che a loro volta, nelle stagioni seguenti, ne doneranno a persone ancor più bisognose. “Fabbrica del Sapone” Sostegno alle famiglie Un grande contributo sociale deriva dalla saponeria, dove 60 donne sono le protagoniste della produzione e della vendita di sapone. Grazie agli introiti che vengono conseguiti durante le esperienze iniziali, le ragazze riescono ad integrare il proprio bilancio familiare, per poi dar vita a vere e proprie attività private, con le quali apportano benefici a tutta la loro famiglia, e soprattutto… riescono a raggiungere una totale autonomia: traguardo molto importante per una giovane donna ivoriana. Accompagnamento Sanitario Il supporto che offriamo alle famiglie abbraccia anche l’assistenza ai neonati malnutriti e in difficoltà, ai bimbi e agli adulti disabili, alle persone affette da malattie croniche, e quando possibile… sosteniamo varie operazioni chirurgiche: parti cesarei, appendiciti, ernie e anche interventi agli arti infermi e alle malformazioni ai piedini e alle ginocchia. Tutti i nostri sforzi, per costruire assieme agli abitanti di Zouan-Hounien un futuro sereno e fiducioso, sono stati premiati anche dall’amministrazione comunale, che ha deciso di ricominciare ad investire in tutti i principali servizi: sanità, scuola, posta, energia elettrica, acqua potabile… motivata dalla numerosa presenza di abitanti, che hanno deciso assieme a noi di non abbandonare le proprie terre. 9 PROGETTI IN COSTA D’AVORIO S empre a Zouan-Hounien, un’importante opera scolastica “Saintes Marthe et Marie”, fornisce l’istruzione a più di 80 ragazze che non sono mai potute andare a scuola, oppure che hanno dovuto abbandonarla per motivi economici, o culturali: frequente è infatti la gravidanza precoce, e spesso sono le famiglie stesse che danno la priorità alla scolarizzazione dei figli maschi. La nostra scuola si pone l’obiettivo di istruire le ragazze attraverso corsi triennali di alfabetizzazione, formazione umana e spirituale. L’obiettivo di tale progetto è quello di mettere le ragazze al riparo dai rischi, offrendo le conoscenze essenziali per poter iniziare un lavoro, che possa permetter loro una dignitosa opportunità di vita, nella coscienza dell’importanza del valore della donna. Attraversando gran parte del paese, ci lasciamo alle spalle l’estremo ovest… e dopo molte ore di distanza (il “tempo” è infatti l’unità di misura degli spostamenti)… giungiamo nella Regione delle Lagune, in modo particolare nella città di Alépé, situata a 45 chilometri dalla capitale economica Abidjan. L Anche ad Alépé abbiamo un importante centro di formazione: “La Paix”, che forma decine di ragazze tra i 13 ed i 25 anni con corsi di taglio e cucito, tintura di stoffe, uncinetto e ricamo, cucina ed attività domestiche, ma anche alfabetizzazione, formazione umana e religiosa. Al termine della scuola, le ragazze ricevono in dotazione la macchina da cucire con la quale hanno lavorato: un gesto che vuol proseguire l’accompagnamento, facilitandone l’entrata nel mondo del lavoro. Scuole di formazione femminile a città di Alépé, già in espansione come polo scolastico, dopo i recenti disordini militari ha visto incrementare ancor di più l’immigrazione di studenti, provenienti dai numerosi villaggi dell’interno della Costa d’Avorio. Agli inizi degli anni ‘80, i nostri Missionari Cappuccini che erano presenti nell’area di Alépé, incontravano molti giovani che avevano lasciato le rispettive famiglie per poter frequentare la scuola; tutti arrivavano da soli, in balia dei pericoli della città, che per loro rappresentava un mondo nuovo e completamente sconosciuto. Siccome non esistevano luoghi adeguati per accogliere e seguire tutti questi studenti, che si apprestavano a vivere gli anni più importanti della loro formazione scolastica e soprattutto umana, bisognava fare qualcosa per aiutarli: nacque così il Foyer “San Francesco d’Assisi”! Oggigiorno, il Foyer accoglie 111 giovani (di età compresa tra gli 11 e i 19 anni) delle scuole superiori ivoriane, ed è dotato di stanze-dormitorio, sale studio e una biblioteca con libri scolastici e di ricerca; questi testi sono importantissimi perché la maggior parte dei ragazzi non può permetterseli, e sarebbe quindi obbligata a seguire le lezioni senza i sussidi necessari. Per rispondere anche alle esigenze sportive, ci sono due campi da calcio, che permettono ai nostri giovani di potersi divertire in compagnia, durante i momenti liberi e di svago. La struttura svolge, al limite delle proprie possibilità, un’ammirevole opera di accoglienza: mai in passato abbiamo raggiunto il numero massimo di 111 ragazzi! Ma obbedendo all’originaria vocazione sociale, anche questa è la risposta che vogliamo dare ad una vera e propria “emergenza alloggi”, già cronica ad Alépé, ma ancor più grave ed evidente negli ultimi due anni. Nella nostra gestione del Foyer, che garantisce alloggi dignitosi e le migliori condizioni per poter studiare, è sempre presente l’intenzione di mantenerci da soli, attuando un’economia di autofinanziamento; ma le molteplici difficoltà che incontriamo ogni anno, sia di natura ordinaria che straordinaria, ci impediscono di raggiungere tale obiettivo, anche perché il contributo che riceviamo da parte delle famiglie dei giovani che accogliamo, rappresenta solo un importo simbolico, che serve più che altro a responsabilizzare i genitori nei confronti dei propri figli. In un futuro prossimo, abbiamo anche il desiderio di proporre un’offerta formativa integrativa, che possa colmare almeno in parte le lacune del sistema scolastico ivoriano. Comunque, il nostro obiettivo principale rimane quello di dare la possibilità ai giovani studenti di sviluppare in modo equilibrato la propria personalità, crescere insieme e ricreare un clima familiare, indispensabile per costruire serenamente un futuro. Foyer “San Francesco d’Assisi” Il calendario 2013: dalla Costa d’Avorio arriva la speranza PROGETTI IN COSTA D’AVORIO Il nuovo calendario realizzato dai Missionari Cappuccini è un viaggio nella missione della Costa d’Avorio, ma è prima di tutto un viaggio nella speranza. La speranza della povera gente, ma anche la speranza di tutti noi che possiamo, nonostante tutto, ancora testimoniare, lottare e credere in un futuro fatto di solidarietà e di fiducia in Dio. di Alberto Cipelli R imanendo nella Regione delle Lagune, siamo presenti anche ad Abidjan, la città più popolosa della Costa d’Avorio (5,6 milioni di abitanti); all’interno di questa nostra fraternità, come ad Alépé, affianchiamo alle opere di evangelizzazione e di promozione umana, la formazione dei seminaristi cappuccini, che con il loro entusiasmo e la loro vitalità, interpretano un cristianesimo e un francescanesimo-cappuccino nuovi, radicati nella tradizione ma con lo sguardo verso il futuro… quando la maturità cristiana di questo popolo, già profondamente spirituale, sosterrà anche le nostre realtà europee, troppo sicure dei traguardi già Sulle ali della speranza raggiunti in passato, e cristianamente intorpidite da una Lieta Notizia che purtroppo non è più sentita come quella Novità che deve sconvolgere positivamente la vita di ognuno di noi, ogni giorno. Per concludere, riconoscenti a tutti i nostri Missionari Cappuccini che svolgono la propria opera in Costa d’Avorio, vogliamo esprimere un ringraziamento particolare anche ai loro scritti, grazie ai quali è stato possibile redigere questo articolo, che vuol essere solo l’inizio di quel processo che ci permetterà di conoscere sempre meglio questa importante e bellissima missione. Q Formazione dei seminaristi Cappuccini “Voi non seminate e non mietete, e Iddio vi pasce e davvi li fiumi e le fonti per vostro bere, e davvi li monti e le valli per vostro refugio. Onde molto v’ama il vostro Creatore”. C osì san Francesco nella predica agli uccelli, parafrasando le parole del Vangelo, sottolinea il concetto di speranza che la libertà del volo sembra evocare. Chi di noi non ha mai desiderato di volare via, lontano da tutto ciò che gli sta intorno e lo fa soffrire sognando qualcosa di migliore? Il missionario ha scelto invece di offrire speranza proprio recandosi in quei luoghi dove c’è davvero bisogno di aiuto. Il suo lavoro fra le persone povere non le incoraggia a fuggire alla ricerca di qualcosa di più bello, ma le sprona perché il volo avvenga dentro il loro mondo. Le azioni principali – evangelizzazione e promozione umana – sottintendono un grande valore anche perché si realizzano in quegli stessi luoghi e nella fiducia in Dio. E la speranza è, oggi più che mai, una necessità anche per tutti noi cittadini di un mondo occidentale fortunato che attualmente vacilla, faticando a nascondere ampie sacche di crisi, sofferenza, povertà e degrado. È uno stimolo ad impegnarci, con la certezza che possiamo invece alzare di nuovo la testa. In quest’ottica le persone immortalate nel calendario da Elena Bellini durante il suo viaggio nella povera e dilaniata missione della Costa d’Avorio, possono davvero offrirci qualcosa. È un viaggio dentro la missione con scatti rubati nei quartieri poveri, fra la gente, nei luoghi dove i missionari hanno davvero fatto qualcosa per un popolo che ha tanto bisogno. Il viso di un bimbo, il sorriso rubato, un gesto... ci fanno percepire che la speranza esiste e che ancora la si può sognare. Se qualche volta sale in noi il desiderio di essere leggeri come uccelli, forse possiamo sentirci vicini a tutte queste persone che, nonostante le differenti circostanze di vita, hanno le nostre stesse aspirazioni e in fondo in fondo la medesima speranza: liberarsi dalle ansie del quotidiano per volare nel cielo con le ali spiegate che danzano nel vento. Q Calendario 2013 Cale Ca Cale a le l ndar nda dario ioo 2013 Fot Fotografi Fotografie Fotogr dii Elena lena en Be Belllllini li lin sulle ali della speranza Disponibile nel formato da parete (cm 35x24) e nel formato da scrivania (cm 15x10,5) 13 FRA GIANLUCA LAZZARONI Un seme di vocazione che è germogliato Fra Gianluca Lazzaroni 25 anni fa diceva sì alla vita fraterna, e oggi ricorda le tappe che lo hanno condotto a questa sua importantissima scelta vocazionale. Missionario in Costa d’Avorio, racconta inoltre com’è vivere in missione e il bene che può conoscere ogni giorno nonostante le guerre, grazie alla semplicità e alla gioia di chi lo circonda. Fra Gianluca… ci racconti come ha conosciuto la realtà dei missionari Cappuccini… Il primo ottobre del 1972 era una domenica di inizio autunno... una data che certo non troveremo mai in un libro di storia, ma che ha lasciato in me una traccia indelebile. Avvenne un fatto che ricordo con nitidezza: il trasloco della mia famiglia da Averara (BG), paesello natio, a Mozzo, un paese molto più grande, là dove la Valle Brembana lascia spazio alla pianura. Certo, fino a qualche decennio prima l’emigrazione aveva portato un gran numero 14 di miei compaesani molto più lontano... noi invece ci fermammo nella periferia di Bergamo, un po’ come fanno i sassi del Brembo che rotolano a valle in occasione delle piene periodiche! In realtà questo fu soltanto il primo di una lunga serie di “traslochi”, che hanno poi costellato il trascorrere dei miei anni fino ad oggi. Non è stata un’“avventura” pianificata e organizzata da un’agenzia di viaggi, ma sicuramente Qualcuno aveva ben fatto il programma. Quel primo trasferimento fu per me un piccolo shock, perché nella nuova città non conoscevo nessuno. Verso la quarta elementare però, andai in colonia sulla riviera Ricordi e riflessioni nel 25°di professione religiosa adriatica, e proprio su quelle spiagge ho incontrato due simpatici frati “pescatori” e... sono rimasto impigliato nella rete! Dopo questo primo incontro mi hanno invitato ad andare a trovarli nel seminario di Albino, dove sono appunto entrato per frequentare le medie nel settembre del 1977. Certamente un “seme di VOCAZIONE” era a questo punto stato seminato! Bisognava dargli il suo tempo perché germogliasse, crescesse, si irrobustisse. Non mi sento di dire che a 11 anni avessi una vocazione, o che sapessi già quale sarebbe stato il mio destino, ma quegli anni nel seminario durante le medie, mi avevano forse un po’ riportato a quel clima famigliare, paesano, che mi era venuto a mancare con il trasferimento in città. Sono poi andato a Varese per frequentare il liceo. Proprio lì ho vissuto un incontro casuale con fra Cornelio, venuto per fare catechesi per la Quaresima. Proprio durante uno dei suoi incontri, ha detto una frase, un’altra molla che mi ha porto a decidere di intraprendere in modo più deciso il cammino della consacrazione: “Qui tra noi ci sono dei giovani che sotto degli abiti normali celano il mistero della vocazione”. Era una provocazione, che mi ha portato a riflettere molto… non potevo fino in fondo spiegarmi il desiderio di consacrarmi, se non lanciandomi in modo più convinto in questa avventura. Alla fine del liceo ho così chiesto di poter entrare nel noviziato dei frati cappuccini, sulle rive del lago di Iseo, a Lovere. È stato un anno molto intenso, uno degli anni migliori della vita, perché si è tranquilli, si ha il tempo di riflettere, si prega e si vivono attività insieme con totale serenità. Alla fine del noviziato, nel settembre del 1986, si è compiuto per me un passo decisivo, quello della prima professione. Sono dunque passati 25 anni da allora… Nel mese di maggio 2012, sebbene con un po’ di ritardo a causa della guerra in Costa d’Avorio, ho ricordato in Italia i 25 anni dalla mia prima Professione religiosa, che ebbe luogo appunto nella Basilica di S. Maria di Lovere il 7 settembre 1986. Rendo grazie al Signore e a tutti… è stata una bella occasione questa per rendermi ancora una volta conto di quanta Grazia e quanta Misericordia siano state “riversate” con abbondanza sul mio cammino... quanto spreco! Mi verrebbe da dire se considero i limiti e la pochezza della mia risposta a tanta generosità! La prima professione è stata una tappa, un primo punto di arrivo ma anche di partenza. I successivi anni della formazione mi hanno portato prima a Cremona, poi a Milano e a Roma. L’esperienza che ricordo con più intensità è quella vissuta come incaricato dell’accoglienza alla portineria del nostro grande Convento del S. Cuore in pieno centro di Milano. Era quello un luogo dove passava moltissima gente e che permetteva l’incontro con tantissime persone bisognose ogni giorno, e molti immigrati, che hanno fatto maturare in me un desiderio e un “sogno” che vengono in realtà da lontano... la MISSIONE! Devo qui evocare ancora ricordi d’infanzia di due persone speciali che mi hanno fatto conoscere da bambino il senso della missione: padre Attilio Busi, originario di Valtorta e cugino della mamma, missionario comboniano in Mozambico, e padre Evasio Grigis missionario saveriano in Zaire, incontrato più volte ad Averara. Senza dimenticare tutti i missionari cappuccini conosciuti negli anni del seminario e della formazione tra i quali vi è anche un altro nostro confratello, fra Bartolomeo Milesi da Valtorta, missionario per moltissimi anni nel nord-est del Brasile. 15 FRA GIANLUCA LAZZARONI 1982-2012: Trent’anni di presenza in Camerun per i missionari cappuccini Questi incontri avvenuti nella mia vita sono stati posti quasi come segnali indicatori, che mi hanno condotto alle scelte successive. La prima domanda scritta per partire come missionario la consegnai il primo settembre del 1990, molti anni prima della partenza effettiva. Quando è dunque partito per la missione? Il mio “turno” è finalmente arrivato nell’agosto del 2002: destinazione COSTA D’AVORIO dove ancora mi trovo. Dieci anni dunque sono passati da allora, tre dei quali vissuti nell’altra nostra missione africana del CAMERUN. Desiderio di avventura, ricerca di emozioni forti, gusto dell’esotico... in molti pensano oggi che la missione sia soprattutto questo! E forse anche noi missionari, che non siamo più come “quelli di una volta”, prestiamo spesso il fianco a questa interpretazione. Ma, grazie a Dio, vi è soprattutto quel genuino desiderio di condividere la propria FEDE (magari povera e zoppicante) con i fratelli e le sorelle lontani, per farli partecipi di un ANNUNCIO “rivoluzionario”, quello che Gesù ha portato in questo mondo. È stata questa la molla decisiva che mi ha fatto desiderare di partire missionario: il condividere la Fede che ci è stata donata! Non mancano poi le azioni sociali e di promozione umana, in situazioni e paesi dove i bisogni sono immensi e debordanti. Sono dunque queste le due facce della missione: la testimonianza e la condivisione da un lato, e le attività sociali e di sostegno dall’altro, sempre e comunque mai dissociate. In Costa d’Avorio qual è la sua missione? È il suo compito? Sono responsabile di una struttura che accoglie più di 100 studenti delle scuole superiori in una cittadina a 50 km dalla capitale, Alépé. Laggiù le due facce della 16 missione di cui vi parlavo sono ben presenti: c’è attività di evangelizzazione, ma anche un intervento sociale, con il foyer appunto, dove aiutiamo questi ragazzi che provengono da villaggi, anche molto lontani, offrendogli alloggio e un ambiente adatto allo studio e soprattutto alla loro crescita umana. C’è inoltre un centro di educazione per ragazze e il progetto di sostegno a distanza, un aiuto fondamentale per le nostre missioni. Quali sono le sue sensazioni oggi, dopo aver vissuto 10 anni in missione? Quando si va in missione si cerca sempre di dare, ma è molto più quello che si riceve perché la semplicità delle persone che si incontrano, la loro gioia, la loro capacità di vivere e di sopportare situazioni di disagio molto grande, sono un elemento di arricchimento e di insegnamento anche per noi frati. Ci si immaginano molte cose prima di una partenza, ma è il passare del tempo che modella le esperienze dandogli una forma diversa da quella che ci si aspettava. In Africa si vedono disastri (l’ultimo decennio della Costa d’Avorio è stato molto tormentato, con periodi di vera e propria guerra come nel 2002-2004 e ancora nel 2011) ma siamo anche testimoni ogni giorno del “miracolo” di come con poco si possa a volte fare molto! E soprattutto si vede la pazienza e la resistenza delle persone, che ti aiutano a loro volta a resistere alle difficoltà e alla paura della guerra. Desidero concludere RINGRAZIANDO di cuore tutti coloro che in questi 25 anni di vita consacrata e 10 di missione mi hanno accompagnato, sostenuto e aiutato. Q Una missione ormai matura Il resoconto della visita alla missione del Camerun da parte del Padre Provinciale, accompagnato da fra Marino Pacchioni e fra Angelo Borghino, in occasione dei trent’anni di presenza missionaria in un Paese dove il seme gettato dai frati ha portato oggi grandi frutti. di fra Angelo Borghino 1982-2012. Trent’anni non costituiscono un periodo eccessivamente lungo, se confrontato con il corso della storia umana. Ma, come nell’esperienza di ogni uomo i primi decenni sono decisivi per delineare il volto di un’esistenza e il cammino ulteriore fatto di scelte e di impegno costruttivo (è forse un caso che Gesù di Nazareth abbia iniziato la sua missione all’incirca intorno ai trent’anni?), così anche per i frati Cappuccini del Camerun i primi trent’anni di vita hanno costituito quel fecondo tempo di semina e di iniziale crescita che si sta affacciando TRENT’ANNI IN CAMERUN ormai, in modo consapevole e con una certa ‘giovanile’ baldanza, al tempo della prima maturità. Da quando nella primavera del 1982 il primo frate (della terra di Lombardia), fra Umberto Paris, è giunto in terra camerunense per dare inizio ad una presenza cappuccina nella zona anglofona, di acqua ne è passata sotto i ponti (e non si tratta solo di una metafora, viste le continue piogge che pressoché giornalmente hanno accompagnato il viaggio di cui si dà qui resoconto). Il seme iniziale, posto nel nordovest del paese africano a circa 1700 metri di altezza nella località di Shisong, nei pressi di Kumbo, è diventato ormai albero che allunga le sue radici fin quasi alle sponde dell’Atlantico, a Buea, a 450 km di distanza. Cinque case, con un numero di 33 frati professi perpetui, cui vanno aggiunti i frati in formazione iniziale: 15 studenti di teologia e filosofia, 9 novizi, senza dimenticare i 6 attuali postulanti, più una decina di giovani che inizieranno il cammino formativo a settembre. Un numero apprezzabile (se ha un senso dare peso ai numeri), che suscita una qualche ‘santa gelosia’ qui da noi in Europa. Otto sono attualmente i missionari (6 italiani e 2 eritrei), tutti gli altri camerunensi. Il seme ha dato i suoi primi frutti, e non solo a livello di frati, ma 18 anche di opere e attività: case di formazione, parrocchie, cura pastorale di comunità religiose, negli ospedali e nelle carceri, attività caritative e sociali, formazione spirituale, etc. La visita. Nel contesto di questa ricorrenza trentennale si è svolta, dal 17 luglio al 3 agosto, l’annuale visita del Ministro provinciale dei Cappuccini di Lombardia, fra Raffaele Della Torre, alla Custodia di san Francesco in Camerun, nata appunto dalla Provincia cappuccina lombarda. Lo hanno accompagnato fra Marino Pacchioni, del Segretariato delle missioni, e fra Angelo Borghino, definitore provinciale. La visita si è snodata tra un convento e l’altro, avendo come scopo prioritario l’incontro con tutte le fraternità, specialmente da parte del Ministro provinciale che ha personalmente incontrato tutti i frati professi, per concludersi poi con una Assemblea generale che ha visto radunata la quasi totalità dei frati della Custodia. Non è mancata, durante l’itinerario, l’opportunità di incontrare anche i vescovi delle diocesi nelle quali operano i nostri frati. Abbiamo ricevuto da parte loro una significativa testimonianza del lavoro svolto dai frati, oltre a suggerimenti circa nuove piste di presenza e di attività. Buea. Prima tappa del nostro itinerario, dopo lo scalo e il pernottamento in una Douala fortunatamente poco afosa e umida, è stata la fraternità che si trova a Buea, cittadina situata a 870 m. di altezza circa, alle pendici del monte Camerun, un vulcano la cui cima supera di poco i 4.000 metri e per nulla ‘addormentato’ – lo testimonia la pietra lavica nella baia di Limbe scesa dal monte pochi anni orsono. La fraternità di Buea si dedica interamente alla pastorale nella parrocchia di S. Antonio di Padova con tre frati – tra cui il parroco fra Tobias, il primo cappuccino camerunense, sempre cordiale e sorridente – in un contesto cittadino che offre buone possibilità di lavoro pastorale e di testimonianza del carisma francescano. Una presenza recente – l’ultima aperta da circa 2 anni – ma che già si sta avviando ad un ulteriore sviluppo, con l’acquisto di un terreno nei sobborghi della città per la costruzione di una nuova casa di formazione nei prossimi anni. Il terreno promette bene con la sua flora lussureggiante e con due rivi d’acqua che lo attraversano, meno la strada per raggiungerlo (ne abbiamo fatto noi le spese!). Bafoussam. Lasciata Buea – non senza aver mangiato sulla riva del mare pesce fritto, con il solo aiuto delle nostre mani – ci si è diretti alla volta di Bafoussam, città tra le più densamente popolate del Camerun, unica nostra presenza in zona francofona. Un certo contrasto con Buea lo si nota subito, e non solo per la diversità di condizione delle strade cittadine. Infatti, la piccola parrocchia affidata ai tre frati che qui operano, è situata in una zona povera, con la chiesa di legno e lamiere (quanto però è tenuta dignitosamente!); ma san Francesco non ne sarebbe forse ‘orgoglioso’? e lo è anche fra Pino, parroco e missionario di lungo corso in Costa d’Avorio, Benin e ora in Camerun; tanto più che la parrocchia è animata dalla vivacità dei suoi cristiani e benedetta dal numero alto di giovani e adulti catecumeni che si preparano al battesimo. Shisong. Da Bafoussam si sale a Shisong, il ‘cuore’ della presenza cappuccina in Camerun e sede centrale della Custodia, nonché del custode, fra Angelo Pagano. Da questa zona sono sorte le prime vocazioni e continua a provenire buona parte delle attuali, benché ormai il raggio di provenienza si sia notevolmente ampliato. 19 TRENT’ANNI IN CAMERUN Quello che troviamo qui è la ricchezza di una presenza, in una molteplicità di impegni portata avanti dagli otto frati residenti. La variegata attività parrocchiale assorbe parte delle energie, in un’area popolata e fortemente religiosa (non capita spesso in Italia di vedere decine di bambini e ragazzi che alle 6.30 di mattino partecipano alla messa feriale), cui si aggiunge la cura spirituale dell’ospedale S. Elizabeth, delle suore francescane terziarie, di cui fa parte da circa tre anni il Cardiac Center, vero fiore all’occhiello della sanità dell’Africa subsahariana per quanto riguarda i malati di cuore (come i lettori di Missionari Cappuccini hanno avuto modo di venire a conoscenza). A Shisong ci si dedica pure all’aspetto formativo, fattore importante soprattutto per una realtà in forte crescita, come ci testimonia fra Francis, responsabile del postulato, prima tappa per chi intraprende il cammino per diventare frate cappuccino. Porre radici profonde e ben ‘concimate’ è decisivo per lo sviluppo ulteriore. Un onere grande, dunque, per chi vi è preposto. La stessa preoccupazione educativa ha portato i frati ad assumersi la responsabilità diretta di una nuova scuola a Mbotong, in cima ad una collina che sovrasta Shisong, che ospiterà circa 500 studenti delle scuole secondarie. Investire nell’educazione è segno di lungimiranza! (occorrerà peraltro investire anche sulla strada per arrivare in cima alla collina, se si vuole evitare l’esperienza successa mentre vi scendevamo sotto una pioggia torrenziale, nel tentativo di governare l’automobile che scivolava da tutte le parti). Se la scuola è importante in vista del futuro, non da meno è il lavoro per l’oggi. Anche su questo i nostri frati non sono rimasti inerti, coinvolgendosi nella guida di una cooperativa, la Comunità dell’Arca, che tra forno per il pane, laboratorio per vestiti e ricamo, punto vendita, offre lavoro a un cospicuo numero di persone. Come a dire: la fede ‘è’, se opera! 20 Tra passato e futuro. Sop. Lasciamo Shisong per Sop, a mezz’ora circa di distanza, strade permettendo (la copertura con asfalto è promessa, ma realizzata per ora solo a tratti). Qui incontriamo soprattutto la realtà del noviziato, che per un anno intero vede coinvolti non solo i novizi cappuccini del Camerun, ma anche quelli della Costa d’Avorio, del Benin e, da quest’anno, anche quelli del Burkina Faso, all’interno di una positiva collaborazione che da più anni è portata avanti, e che continua a Bambui e poi nel Benin per lo studio della filosofia. Fra Felice, attuale maestro dei novizi, nonché Superiore, quest’anno ha accompagnato alla professione ben sedici novizi; senza scomporsi più di tanto, da buon bergamasco di montagna affronta ogni giorno con il suo proverbiale: “there is no problem”. Accanto al convento opera la parrocchia, che vede impegnati due frati camerunensi a tempo pieno. per poi risalire e riscendere da un passo montagnoso. Bambui è una casa di formazione per i teologi (che frequentano i corsi presso il seminario interdiocesano della zona anglofona), come pure per l’anno di postnoviziato, in attesa di trovare una sistemazione alternativa. Unica eccezione tra tutte le presenze conventuali, qui i frati non hanno una parrocchia o una chiesa propria, ma si mettono a disposizione del clero diocesano per l’aiuto nella pastorale. Significativo, invece, è l’apostolato in carcere da parte di fra Gioacchino e degli studenti che con lui collaborano, un’opera a dir poco encomiabile, se si considera quello che è e implica il sistema carcerario in queste zone; ma anche qui un segno di speranza e di umanità è possibile. Di altro tenore, ma sempre espressione della stessa carità e passione per l’uomo, è il centro Emmaus per i disabili mentali, operante da circa tre anni. È a partire dalla ricchezza di quanto incontrato e visto – e di cui queste note non rendono certo debitamente conto – che abbiamo vissuto nei giorni dal 31 luglio al 2 agosto nel convento di Bambui l’Assemblea generale annuale alla presenza di quasi tutti i frati professi perpetui della Custodia camerunense. L’occasione dei 30 anni di presenza ha dato l’opportunità di fare una verifica a tutto campo di questi anni, ma soprattutto di interrogarsi sul futuro, sulle scelte da operare in ragione dell’incremento del numero dei frati, su quale tipo di testimonianza cristiana e francescana può essere più feconda e capace di rispondere alle attese della gente, come pure della Chiesa locale. Il tutto in un clima fraterno, caratterizzato da un dialogo franco e sincero. Per chi, come noi, viene dal vecchio continente europeo, secolarizzato e in forte crisi di identità cristiana, a volte stanco e sfiduciato, tentato di battere in ritirata e di salvare le proprie posizioni (lo dico in riferimento anche al nostro essere frati), confrontarsi con la vivacità e l’esuberanza di questa giovane realtà non può che fare bene e ridare fiato alla speranza. E come un buon padre gode di un figlio che inizia a camminare da sé, assumendosi le proprie responsabilità, così pure noi; senza nascondersi quel margine di rischio che, solo se assunto, permette di fare il salto della maturità. Q Bambui. Ultima meta del nostro itinerario è il convento di Bambui, nelle vicinanze della città di Bamenda, che raggiungiamo scendendo da Sop, attraversando un’ampia zona pianeggiante (un tempo la bocca di una grande vulcano) 21 TRENT’ANNI IN CAMERUN Fra Peter Tar Fonyuy, ex parroco di Sop in Camerun La Missione: dare se stessi per il Vangelo Fra Peter, giovane frate camerunense, per due anni è stato Parroco nella missione di Sop e ora si trova in una casa di formazione. Un’occasione per parlare del suo popolo, della sua vocazione e del valore forte della missionarietà. Quando è nata la tua vocazione? È stata un’ispirazione improvvisa, oppure frutto di graduale discernimento? Credo che per me sia stato qualcosa di graduale, perché ho scoperto la chiamata alla vita consacrata quando ero alla scuola elementare, e ho cercato di nutrirla crescendo. Come ha reagito la tua famiglia alla tua scelta di vita? Come sta vivendo la tua vita attuale? All’inizio non è stato facile perché i miei genitori erano pagani, sebbene tutti i figli fossero stati battezzati nella Chiesa Cattolica. Un’altra ragione per cui erano preoccupati era questa: essi non potevano credere che una simile vocazione potesse nascere nella propria famiglia; ebbero delle obiezioni, ma con alcune spiegazioni circa la vita religiosa, in un periodo di quasi due anni, accettarono e furono contenti. Quando entrai come postulante, un giorno mia madre mi mandò a chiamare poiché volle iniziare il catechismo per diventare cristiana, e così in seguito mio padre. Oggi mio padre è deceduto, mentre mia madre è un membro attivo della locale Associazione Donne Cattoliche - CWA. A Sop sei stato Parroco per due anni: qual è il ricordo più forte che conservi? Come ti immaginavi la vita missionaria e quali aspettative attendevi dalla missione? Credo di ricordare come prima cosa che mi sentivo immeritevole del compito, ma confidando in Dio ho iniziato a camminare di lena. La mia prima Messa nella nuova Parrocchia di Sop, il 26 agosto del 2009, è stata nella celebrazione di un funerale, il che era come dare un sunto di quello che ero chiamato a fare a Sop: salvare anime. Nei due anni trascorsi qui ho sempre cercato di ricordare a me stesso e ai cristiani della mia missione di far crescere la propria anima. Come è stato il primo contatto in questa nuova veste con il tuo popolo? Cosa ti ha più colpito? Le persone che ho incontrato come parroco erano più o meno le stesse persone che conoscevo prima di diventare frate, tutto ciò che posso dire è che mi hanno accettato quale loro pastore: collaborarono con me in molti ambiti, il che mi rese felice. Credo che la prima impressione sia stata come aiutare un cristiano a seguire un nuovo modo di essere Chiesa – vale a dire, cristiani convinti, convertiti ed impegnati. 22 23 TRENT’ANNI IN CAMERUN In Missione e nella vita di fraternità, cosa ritieni che sia più facile, e che cosa più difficile rispetto ad un genere di vita differente? è la gioia di portare il Vangelo alle genti, essendo uno di loro, lavorando con loro e guidandoli. In una parola: che cos’è la missione? Non posso dire che esista uno stato di vita che sia così facile, o così difficile: tutto dipende da colui che è chiamato a tale stato. Un religioso deve essere felice di essere un religioso, e lo stesso vale per un sacerdote diocesano e per un fedele laico. Dare se stessi per la causa del Vangelo. Nella tua Vita, hai scelto di essere un Missionario: lo rifaresti? Perché? Sì, lo farei ancora, e ancora come frate itinerante, seguendo le orme di San Francesco. Hai mai avuto ripensamenti sulla tua scelta? Che cosa ti ha persuaso a mantenerla? Sì. Nella vita uno sente sempre la necessità di valutare se le scelte di tutti i giorni siano sempre in linea con la vita che è chiamato a vivere, sicché io rivaluto ogni giorno la mia chiamata ad essere un frate cappuccino. Non ho mai rinnegato la mia vocazione ad essere un missionario, anzitutto nel luogo dove mi trovo e poi nel vasto mondo che è il campo di Dio. Ti sei mai sentito sconfitto, impotente di cambiare il corso degli eventi della povertà e della sofferenza? Cosa ti ha convinto ad andare avanti? Il primo incidente come parroco si è verificato quando alcuni cristiani preferirono andare al mercato, la domenica, anziché ottemperare all’obbligo domenicale di partecipare alla Messa. Quando dissi ai cristiani che il mercato in sé non è cattivo, e che tuttavia essi avrebbero dovuto cambiare il proprio atteggiamento nei riguardi del mercato, e alcuni di loro dissero che volevo chiudere il mercato e cominciarono a borbottare il mio nome ovunque, mi sentii sconfitto perché coloro che avrebbero dovuto supportarmi mi avevano abbandonato; tuttavia, non ho mai rallentato i miei sforzi 24 In certi contesti, viene facile l’identificazione tra i Missionari e l’opulenza. Come riesci a conciliare questo con il Carisma Francescano? per far loro presente quello che erano chiamati a fare, e non quello che volevano sentirsi dire. Altre situazioni di disagio si verificano quando incappo in famiglie disperate e orfani: quando vedo come si trovano in stato di necessità per alcuni bisogni fondamentali della vita, e io non dispongo di mezzi per aiutarli, mi sento sempre triste, ma cerco di fare del mio meglio per aiutarli spiritualmente, o con il minimo di supporto finanziario di cui posso disporre. In ogni caso, non posso rinunciare, perché è quello che sono chiamato a fare. Quali sono le maggiori soddisfazioni e delusioni ricevute in missione? Qual è la cosa più importante che hai imparato in missione? Provo la maggiore soddisfazione quando amministro i Sacramenti, in particolare il Battesimo, l’Eucaristia e il Matrimonio. Per quel che riguarda le delusioni, non ne ho! La lezione più importante che ho appreso L’unione fa la forza: quando mettiamo assieme le nostre risorse, la gente ci vede ricchi, ma in effetti non siamo ricchi individualmente, bensì come comunità in grado di soddisfare i bisogni primari della vita, e che nulla possiede per sé ma condivide con chi è nel bisogno. Quali sono le richieste e le necessità più forti della gente? Le necessità più forti consistono nelle richieste di preghiere, in quelle di regolarizzarne la situazione familiare, l’assistenza continua in termini di catechesi e di consiglio. Quali sono le principali prospettive future delle opere sociali e dei progetti missionari e quelle del contesto politico economico della tua terra? Ora il mio incarico è in una casa di formazione, ma per quanto riguarda il mio incarico precedente, ci sono, praticamente, progetti in ogni missione: sale di ritrovo per il villaggio, chiese la cui costruzione è incompleta, scuole elementari che necessitano di adeguamento, etc. Ci sono anche persone povere ed orfani che necessitano di supporto materiale per la frequenza della scuola elementare o per l’avvio ad una professione. La situazione politica in Camerun non è particolarmente buona: i politici fanno in modo di rendere le persone nemiche le une delle altre anziché aiutarle a crescere insieme. Quali sono stati i momenti più significativi dell’incontro con i frati cappuccini? Credo che la ricorrenza del 25° della Missione ci abbia segnato in modo particolare quale Custodia di San Francesco in Camerun, dandoci modo di rivisitare la nostra presenza e di darci obiettivi per il futuro. Quali sono i rapporti con le altre confessioni religiose, sia cristiane che non? Come si è sviluppata la situazione interreligiosa e cosa ci si aspetta dal futuro? Abbiamo buone relazioni sia con le altre religioni cristiane che con quelle non cristiane, come i musulmani e le religioni tradizionali: ciò è evidente nelle nostre opere di carità, che sono aperte a tutti, così come negli incontri con i capi tradizionali. Dopo i missionari italiani, la Provvidenza ci ha donato numerose vocazioni locali, come la tua: quale arricchimento e quali cambiamenti comportano? Credo che la novità dei frati locali può apportare ricchezza circa gli aspetti culturali perché, quando si è parte di una cultura, allora la si conosce molto bene, si può predicare calando il Vangelo nella vita reale, e ciò costituisce un apporto prezioso per l’opera missionaria. Q 25 TRENT’ANNI IN CAMERUN Il diritto Il compito di fra Gioacchino Catanzaro, in qualità di cappellano, è quello di ascoltare e portare conforto ai detenuti di sei carceri camerunesi. A Bafoussam sono soprattutto i prigionieri anziani che cercano compassione dal frate, coloro che, per l’età avanzata e per le disastrose condizioni delle celle, soffrono più di chiunque altro. Grazie ai benefattori italiani i frati hanno potuto rendere migliore la struttura delle prigioni e hanno organizzato persino una “festa dell’anziano”. di lamentarsi… Lettera dalle carceri del Camerun di fra Gioacchino Catanzaro “I vecchi e le vecchie si allieteranno perché muterò il loro lutto in gioia, li consolerò per i loro dolori”. (Ger.33,13) C arissimi amici benefattori! Avete mai pensato alle persone della terza età in prigione? Certamente chi ha questa età, come me, sa che l’anzianità è realtà amara, e capisce cosa vuol dire quando classicamente “ce n’è una ogni mattina” e il risveglio è come ritrovarsi in cocenti catene. Quel lamentone e brontolone del profeta Geremia – finalmente – ha detto qualcosa di giusto. Che cioè tutti noi abbiamo il diritto di lamentarci, specialmente coloro che sono 26 in età avanzata, dove l’insulto del tempo si fa pesantemente sentire. Perché ci sono persone attempate private della libertà, in carcere? Si dice che la legge è uguale per tutti, e non guarda in faccia minori, giovani, adulti, donne e “avanzati”. Questa è sì la legge, ma non si vede tutto quello che sta dietro: istanze, rinvii, ingiustizie, coinvolgimenti, sentenze e condanne ottenute a forza di corruzione pecuniaria. È penoso trovarsi davanti a un Papà (così si chiamano da noi in Camerun gli anziani) in catene, letteralmente dietro a sbarre, spranghe, lucchetti con buio e umido, ma soprattutto detenuto in catene psicologiche. E che dire quando l’anziano detenuto si trova in una cella angusta, sovraffollata – parlo di un perimetro di 8 x 3 metri – con sessanta detenuti all’interno, senza toilette (evviva i gloriosi vasi e pitali da notte dei nostri bisnonni! Qui sono in auge)? Questi anziani sono costretti a consumare il misero pasto, sempre lo stesso tutto l’anno, nel proprio letto – si fa per dire – o per terra; condividere i servizi, consistenti in un canale cementato, maleodorante, mettendosi in fila con coloro che hanno a malapena un terzo della loro età ed essere guardati, osservati e magari derisi e burlati. Ditemi se non hanno il diritto di lamentarsi (Padre! È giusto che mostriamo le nostre vergogne ai nostri figli?)! Lamentarsi con chi? Certamente con le persone che sanno compatire! Con voi cari benefattori verso i quali siamo più che riconoscenti! Con tutti i nostri lettori e con tutti gli uomini di buona volontà. Siete voi che ascoltate i nostri gemiti e le nostre lamentele. Ecco perché io, in qualità di cappellano – vostro inviato – visito con entusiasmo le prigioni, e preparo il cuore e le orecchie, armandomi di pazienza per ascoltare, e qualche volta piangere insieme ai detenuti. Molte volte non posso intervenire, assolutamente devo lasciare le cose così dolorosamente come stanno, ma cerco di dare un gran sollievo sia al singolo, sia al gruppo che si lamenta. Recita un salmo: Giunga a te il gemito del prigioniero. Ebbene! Vi diciamo che proprio il lamento flebile e angoscioso è giunto a voi! E spero continuerete ad aiutarci! Con le vostre generose donazioni abbiamo potuto migliorare le condizioni dei detenuti della terza età. Dentro lo spazio delle carceri abbiamo potuto costruire una toilette munita di doccia e acqua corrente, pavimentato il suolo con mattonelle di ceramica, abbiamo ricostruito i letti a castello in legno, fissato mensole nel 27 TRENT’ANNI IN CAMERUN muro per poter deporre effetti personali, rifatto il sistema elettrico, posizionato lavandini dotati di specchio per illudere e deludere l’età irreversibilmente galoppante, abbiamo comprato un televisore medio per dimenticare le angosce (se si può). Abbiamo inoltre rifatto il tetto dal quale la pioggia equatoriale entrava a dirotto. Molte sono le lamentele dei detenuti confidate al cappellano. Al primo posto… la fame! Quanto è sviscerante vedere due o più vecchietti seguirvi fino al dipartimento dei minori, perché hanno visto che portate un sacco di pane da donare ai più piccoli. Furtivamente si intrufolano nello stretto ambiente dei minori, rischiando e sfidando sanzioni, e siedono sul ruvido pavimento chiedendo pietà per un pezzo di pane. Ottenutolo lo sbocconcellano in men che non si dica, con avidità. Altre lamentele sono legate alla mancanza di medicinali, alla non assistenza medica. Si lamentano della mancanza del sostegno familiare… dell’abbandono da parte delle autorità e delle proprie famiglie. Non trovano pace per la lentezza dei processi giudiziari, per i soprusi subiti in carcere e per il rigetto sociale dopo la scarcerazione. Con questa lettera voglio dirvi che, dopo aver fatto alcuni interventi nell’angusta cella della terza età, abbiamo deciso di dar vita alla “festa dell’anziano”, organizzata in agosto, per far danzare gli anziani e le anziane! E che danze! Che abbracci! Il tutto coronato da rappresentazioni teatrali di ogni genere! Poesie scritte o sentite in giovane età, rimembrate e recitate con enfasi e quasi fanciullesca innocenza. Canti da tenore e da soprano. Nessuno badava alle dissonanze… i versi, i trilli erano tutti cordiali e commuoventi. Anche voi benefattori rallegratevi e, aiutandoci, continuate a festeggiare con noi la giornata dell’anziano in prigione! Q 28 Milano: Family Days 2012 Dal Camerun In occasione del VII Congresso Mondiale della Famiglia una famiglia del Camerun dell’Ordine Francescano Secolare, ha avuto la possibilità di partecipare a questo importante appuntamento che è stato spunto di riflessioni profonde e occasione per conoscere l’Italia. per il Papa a cura di Alberto Cipelli “N el periodo tra febbraio e maggio la nostra fraternità ha ricevuto una lettera – racconta Serophine – nella quale si diceva che una famiglia della Fraternità sarebbe stata invitata a partecipare al VII Congresso internazionale della Famiglia con il Papa Benedetto XVI, in programma a Milano”. La famiglia selezionata è proprio quella di Serophine Fonlon, ministra della Fraternità dell’Ordine Francescano Secolare di Shisong che, insieme al marito Martin e ai tre figli, Glory (membro della Gifra di Shisong) Christian e Louis, è stata ospite a Milano dal 27 maggio al 6 giugno; il Consiglio Regionale, in virtù del gemellaggio esistente con le fraternità OFS del Camerun fin dal 2000, si è fatto carico infatti di invitare una famiglia dell’OFS di quel paese a partecipare al Congresso. “Con mia grandissima sorpresa e incredulità – continua Serophine – è stata scelta la mia famiglia. La prima domanda che ho rivolto a Dio è stata “Chi sono io per ricevere un così grande dono”? Ma a parte tutto sono molto felice ed ho apprezzato lo sforzo di tutte le persone per il loro sostegno e le loro preghiere. Quando mi era stato chiesto di pregare perché questo avvenisse, non ero in grado di pregare ed ho potuto soltanto dire a Dio che fosse fatta la sua volontà”. Dopo aver ricevuto la lettera, a febbraio è iniziata la preparazione, ma la preparazione vera e propria è iniziata in maggio e il processo per ottenere il Visto è stata una prova molto difficile dato che ci è stato chiesto di andare e venire dall’ambasciata italiana diverse volte durante le quali ho dovuto imparare una cosa, e cioè essere paziente in ogni circostanza. “Il 25 maggio con grande gioia la Fraternità di Shisong ha deciso di celebrare la Santa Messa a casa nostra pregando per noi e questo mostra lo spirito di unità che esiste nella nostra In alto: da sin Serophine, Louis, Christian, Glory e Martin in piazza Duomo a Milano. In basso: l’incontro del Papa con le famiglie a Bresso. IL SOSTEGNO A DISTANZA TRENT’ANNI IN CAMERUN fraternità e l’amore che unisce fratelli e sorelle l’un l’altro. Quando Gesù ha visitato la nostra casa mi sono sentita radiosa. All’aeroporto di Milano abbiamo avuto un affettuoso benvenuto da Attilio e Rosa con cui, per tutto il periodo della nostra permanenza, abbiamo condiviso il loro appartamento che è molto confortevole. Benché stanchi per il viaggio, dopo esserci rinfrescati ed aver condiviso la cena siamo stati a Messa. Nei giorni successivi ci hanno portato a visitare un lago e lì ho visto una famiglia di cigni: il padre era davanti, i pulcini nel mezzo e la madre chiudeva la fila. Una famiglia protetta. Questo mi ha fatto riflettere se nella mia famiglia io sono felice come lo erano loro. La sera abbiamo avuto una cena offerta dalla parrocchia. È stata una festa molto bella ed io sono stata realmente molto grata per la carità. Il 30 maggio è finalmente iniziato il Congresso dedicato alla famiglia. Il pellegrinaggio a Milano mi ha influenzato in molti modi e ha contribuito positivamente alla mia religiosità e alla mia vita sociale. Tutto ciò mi ha fatto riflettere di più sul mio Creatore attraverso Gesù Cristo, nostro salvatore e re. Dalle relazioni ho capito la ragione per cui S. Francesco ha lavorato duramente e persino in punto di morte: cominciamo a fare qualche cosa perché fino ad ora non abbiamo fatto nulla. Io devo iniziare e con la grazia di Dio a essere un discepolo per gli altri in qualsiasi posto mi trovi, specialmente nella mia famiglia. Il caldo spirito di accoglienza dei cristiani di Milano e specialmente dei membri OFS e dei religiosi mi ha meravigliato. Ringrazio moltissimo Dio per questo e prego perché Egli possa benedirli. Anche la città di Milano mi ha molto impressionato: le fontane, le strade, il Castello Sforzesco e il Duomo. L’avevo vista soltanto in televisione o in internet e non avrei mai 30 UN NUOVO AMICO PER NATALE “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno dei miei fratelli più piccoli l’avete fatta a me” Serophine e Martin con il Card. Tettamanzi. Serophine con Remo diPinto, Ministro Nazionale OFS. pensato di poterla osservare dal vivo. Il Camerun è profondamente diverso! Grazie a questo viaggio ho imparato molto circa le radici di molti usi delle donne di un tempo e della storia di molte cose che contribuiranno a fortificare la mia fede. Il viaggio mi ha anche permesso di gettare un’occhiata sulle culture politiche, sociali e religiose dell’Italia e dell’Europa. Ho potuto anche apprendere e confrontare le differenze tra Italia e Camerun e questo è di grande rilevanza per la mia fede. Mi ha fatto molto piacere vedere uomini e donne molto anziani in salute e contenti. Coppie di anziani andare a spasso insieme. Ho avuto a che fare con molte persone nel viaggio: alcune sono molto accoglienti, altre molto aggressive, ma questa è la vita e dobbiamo accettare tutti come sono: alcuni bianchi persino discriminano i neri; la distanza tra Africa e Italia è notevole. In generale sono molto felice per aver potuto partecipare a questo Congresso; posso solo cantare il Magnificat e chiedermi chi io sia per essere in questa magnifica condizione. Ringrazio tutte le persone, il Consiglio Regionale OFS, le fraternità e i frati cappuccini che ci hanno permesso di vivere questa esperienza meravigliosa”. Q UN NUOVO AMICO PER che i soliti regali Sediritieni Natale siano spesso un po’ inutili e vadano a finire in io, un angolo nascosto dell’armadio, perché non pensare a qualcosa di profondamente diverso? Un gesto di solidarietà, per esempio, l’aiuto concreto a un progetto che ha come protagonista un bambino di un altro continente – Africa, Asia, America Latina – figura fragile e maggiormente bisognosa di assistenza. Il sostegno a distanza è una scelta meravigliosa che grazie ad un piccolo contributo economico (meno di un caffè al giorno!) permette ad un bambino che vive in condizioni di povertà estrema di poter andare a scuola, ricevere alimenti, vestiario, cure mediche ed essere accompagnato da un adulto nel suo percorso educativo. Ciò che lo rende davvero speciale è che non si tratta semplicemente di un sostegno personalizzato al bambino, ma arriva a coinvolgere anche la sua famiglia e la sua comunità di appartenenza, non sostituendosi alle responsabilità proprie di ciascuno, ma accompagnandoli verso una propria autonomia diventando un elemento attivo di cambiamento per la società in cui vivono. Il sostegno a distanza si presenta infatti come un intervento che vuole concretizzarsi sul posto, affinché le nuove generazioni possano avere l’opportunità di cambiare la p propria condizione senza fu fuggirne; offrendo loro dei m mezzi e delle occasioni per cresc c crescere significa renderle capaci di vincere la povertà, rispettando la propria cultura, tradizioni e la dignità di esseri umani. All’aiuto economico si affianca sempre il diretto intervento dei Missionari che, con gestione sapiente e oculata cercano di coordinare gli interventi di assistenza e farli funzionare nel modo migliore possibile. Un piccolo gesto, dunque, che può mbia mb i re la ia la vita ta cambiare tante te persone per erso sone ne e di tante nza nz a però però ò cadere cader ad der ere e senza lla ll a dipendenza dipe dipe di pend nden nd enza en za nella ll’a ll ’aiu ’a iuto iu to fornendo for orne nend ne ndo nd o dell’aiuto ognu og nuno nu no di di a ognuno ro,, invece, ro inve in vece ve ce,, ce loro, pos ossi sibi si bili bi l tà li la possibilità sen enti tirs ti rsii rs di sentirsi comp co mpag mp agna ag nato na to accompagnato atui at uita ui tame ta ment me n e da nt gratuitamente ami mico co che che un amico vici vi c no ci no,, gli è vicino, che ch e se anche stan st ante an te!! te distante! Il sostegno a distanza non è uno strumento a senso unico, ma si fonda su un rapporto basato sulla reciprocità. Come il sostenitore fornisce i mezzi a una comunità in stato di bisogno, così il beneficiario si impegna a comprovare l’aiuto ricevuto e i progressi avvenuti NATALE È un gesto che TI COINVOLGE Ti porta a riflettere sulla vita, sul tuo stile di vita e sull’uso che fai di tutto quello che ti circonda È un gesto che LASCIA UN SEGNO È un gesto di Perché oltre a chi riceve c’è sempre una gioia per chi dona SOLIDARIETA'À È un gesto di In un mondo che punta sull’apparire sperimenta la gioia di scelte che es spr prim mon o o la p artte migliore ar mig igli lio ore e di di te te esprimono parte stes esso es so o: e es ssse ere re vvicino iccino in no a cchi hii è ne n el stesso: essere nel bi isog sogno bisogno È un gesto di CONDIVISIONE D S In u un n mo m mondo nd do ch che e pa parla a dii glob bal a iz izza zazi zion one è un m od do pe perr globalizzazione modo aiuta are un are n bambino bam a bi b no o aiutare a crescere crres esce cere re n e suo el uo ccontesto onte on test sto o ffa ami ami mili liar li ar ar nel familiare favo fa vore rendo l’educazione, l’l’ed e uccaz ed azio one n , la salute sallutte favorendo l’alimen ntaziion one e e l’alimentazione SPERANZA Un futuro migliore per quel bambino, la sua famiglia e anche per te che, attraverso questi piccoli gesti, sperimenti che un mondo migliore è possibile e sta crescendo È soprattutto un gesto che dà la possibilità di stupirsi della felicità di sentirsi profondamente amici, perché davvero si possa dire: “La tua amicizia è fra i regali più preziosi che io abbia mai ricevuto e donato per Natale” UN NUOVO AMICO PER Il sostegno a distanza con i Missionari Cappuccini Al 31 dicembre 2011 sono ben 3193 i bambini del progetto sostegno a distanza dei Missionari Cappuccini suddivisi in numerosi Paesi: Brasile, Costa d’Avorio, Eritrea, Thailandia e Kenia. Missioni Estere Cappuccini Onlus aderisce alle linee guida dell’Agenzia per il Terzo Settore del 25 ottobre 2010 che rappresentano un quadro di riferimento di principi e regole per le organizzazioni che operano nell’ambito del sostegno a distanza: “Il sostegno a distanza è una forma di cooperazione internazionale e di solidarietà umana finalizzata allo sviluppo della persona e specialmente di bambini e di giovani in condizioni di rischio, povertà ed emarginazione, attraverso la promozione di una relazione effettiva tra i protagonisti del rapporto di solidarietà e la valorizzazione, secondo il principio di sussidiarietà, del contesto sociale e culturale del beneficiario”. Gli impegni assegnati alle organizzazioni con tale documento non sono vincolanti, ma rappresentano un importante passo avanti rispetto ai precedenti codici di autodisciplina garantendo a chi si avvicina al sostegno a distanza maggiore trasparenza, correttezza, efficienza e serietà. Le linee guida tutelano i tre p principali protagonisti del sostegno distanza il bambino, il a distanza: sostenito e l’operato sostenitore dell’orga dell’organizzazione no I Corriere della profit. Il Sera, p pubblicando l’elenco delle Onlus che puntano alla chiarezza, indica 33 Associazioni l Lombardia fra per la le quali Missioni E Estere Cappuccini Onlus. NATALE Durata Proponiamo 5 anni. Può accadere che il bambino cambi villaggio o città e non sia più possibile seguirlo: sarà nostra premura avvertirvi affinché siate liberi di scegliere se continuare con un altro bambino o interrompere il programma. Al termine dei 5 anni vengono valutati insieme gli obiettivi raggiunti Quota Proponiamo 312 euro all’anno ovvero 26 euro al mese; tratteniamo una piccola quota per le spese di gestione. Comunicazioni I bambini aiutati sono scelti e conosciuti personalmente dai Missionari che, attraverso Missioni Estere Cappuccini Onlus, inviano ai sostenitori, almeno una volta all’anno, foto, notizie aggiornate e compilano le schede del bambino. Il missionario gestisce le donazioni ricevute, segue i progressi dei bambini e mantiene i contatti con Missioni Estere Cappuccini Onlus che coordina le attività ed invia al missionario i fondi destinati al progetto. MISSIONI ESTERE CAPPUCCINI ONLUS Sostegno a Distanza P.le Cimitero Maggiore, 5 – 20151 Milano Tel. 02.38000272 – Fax: 02.334930444 [email protected] Conto corrente postale n. 37382769 MISSIONI ESTERE CAPPUCCINI ONLUS P.le Cimitero Maggiore, 5 – 20151 Milano Bonifico bancario Banca di Legnano agenzia di Viale Certosa IBAN: IT 66 L 03204 01601 000000062554 MISSIONI ESTERE CAPPUCCINI ONLUS P.le Cimitero Maggiore, 5 – 20151 Milano Assegno bancario intestato a MISSIONI ESTERE CAPPUCCINI ONLUS Le donazioni a “Missioni Estere Cappuccini Onlus” godono delle agevolazioni fiscali. Al fine della detrazione fiscale non è possibile effettuare versamenti in contanti. FRA MAURO JÖHRI, MINISTRO GENERALE A tu per tu con fra Mauro Jöhri, Ministro Generale dei frati cappuccini dal 2006 Il cappuccino è colui che va nessuno vuole andare dove Fra Mauro Miselli, Segretario delle missioni cappuccine della Lombardia, intervista il Ministro Generale, recentemente rieletto, che offre un panorama dell’attuale situazione dell’Ordine cappuccino. Mai come oggi ai frati giovani è richiesta missionarietà e voglia di spendersi totalmente per Dio e per gli uomini. a cura di fra Mauro Miselli FRA MAURO JÖHRI, MINISTRO GENERALE Padre Mauro, puoi dirci chi è un frate cappuccino oggi? Un frate oggi è una persona che cerca di rispondere, spero ancora, a una chiamata. Il giovane che bussa alla nostra porta per diventare frate è un giovane che cerca una vita di preghiera, una relazione con Dio che forse ha intuito ma non ha ancora approfondito; è qualcuno che cerca una vita fraterna, qualcuno che desidera stare accanto ai poveri. La nostra capacità di frati adulti deve essere quella di accogliere questi desideri e di aiutare a realizzarli, poi la risposta di ciascuno sarà personale. Nel cuore della vocazione dei frati cappuccini c’è la missionarietà… oggi come è vissuta? È vissuta ancora molto bene, perché ci sono delle presenze stupende e meravigliose… penso a chi sta in Africa o in Turchia. Sono da poco tornato da un viaggio in Siria dove ci sono alcuni dei nostri frati, pochi ma ci sono, che vivono praticamente al fronte. Quando ho chiesto loro se non fosse il caso di ritirarsi, dato che la situazione si sta facendo tragica, mi hanno risposto: “Neanche per sogno, noi vogliamo stare vicino alla nostra gente, non vogliamo che rimanga senza pastore”. Poi ci sono anche le sfide: il giovane che vive magari in quei paesi dove la fede è arrivata 100 anni fa o meno, non ha la stessa volontà di partire, di impegnarsi, ma il cappuccino è colui che va dove nessuno vuole andare, che non ha paura delle difficoltà. Per cui possiamo dire che all’interno della nostra fraternità cappuccina è ancora forte il desiderio di essere missionario? Grazie al cielo incontro ancora fratelli che mi dicono: “Ministro, mandami dove vuoi, sono disponibile!”. La dimensione della missionarietà è fondamentale nella nostra vita. La disponibilità a partire diventa anche 36 Il Ministro Generale fra Mauro Jöhri a “Missionari Cappuccini in festa” 2012 una scoperta di te stesso, perché tu vedi che sei capace di farlo, vedi che il Signore ti ha messo nel cuore una capacità di amare, che diventa capacità di solidarietà che da un senso alla tua vita. Nel 2009 hai scritto una lettera a tutto l’Ordine “Nel cuore dell’Ordine la missione”… tra noi frati c’è ancora il desiderio di andare dove nessuno vuole andare, per una prima evangelizzazione? Diciamo che non è una cosa ovvia, ma esige di essere alimentata, esige una profonda esperienza propria di Gesù Cristo, un’esperienza di Fede per scoprire tutto il valore della fede e la bellezza di poterla portare a chi non la conosce. C’è quindi tutto un lavoro da fare a monte, che è la formazione, che è la coerenza di noi adulti nei confronti dei nostri giovani, che vedendoci impegnati scoprono di avere un tesoro da portare avanti. Per questo dico che non è cosa ovvia e che va alimentata. L’evangelizzazione è ciò che ha fatto forte il nostro ordine. Porto un esempio che mi ha colpito tantissimo: due anni fa, di quattro province spagnole ne abbiamo creata una sola. Per l’occasione, ripensando alla storia dei frati spagnoli abbiamo visto che agli inizi del 1800 i frati sono stati soppressi… e che hanno fatto? Sono venuti in Italia ma non si sono fermati, sono andati in Mesopotamia e per farsi accogliere laggiù, in zone musulmane, hanno imparato la medicina! Il cappuccino che fa il medico per farsi accogliere… è questa una capacità di invenzione, di farsi vicino alla persona per rendersi utile. Nei viaggi che hai vissuto per incontrare le nostre realtà, hai trovato nuove forme di missionarietà e di evangelizzazione? Ho trovato la fedeltà dei nostri frati… penso in particolare alla zona del centro Africa dove, nonostante ci siano continuamente momenti di rivolte, i frati sono rimasti fedeli alla gente. Non si tratta solo di andare dove nessuno vuole andare, ma soprattutto di rimanere. Hanno salvato la vita a un sacco di persone. Un luogo dove le truppe hanno distrutto un villaggio di 30.000 persone nel giro di pochi minuti, è stato abbandonato da tutti, ma i frati sono rimasti, e solo grazie alla nostra presenza la gente è ritornata e ha ricostruito. Questi sono gesti di solidarietà, sapendo di mettere in pericolo la propria vita, ma con la consapevolezza del perché lo si fa e per chi lo si fa. Nella tua lettera si parla anche di un nuovo slancio missionario riguardante l’Europa, che ha abbandonato un po’ la fede, che si è dimenticata un po’ di Gesù Cristo. In questo contesto come si muovono i frati cappuccini e quali esperienze possono portare avanti? Alcune esperienze che cominciano a prendere corpo sono soprattutto di accoglienza, garantendo dei luoghi dove si cura la liturgia, la catechesi. Si dà così alle persone la possibilità di riscoprirsi nel silenzio, attraverso questo trovare la presenza di Dio, cercando dei linguaggi anche semplici per far vivere momenti di fraternità. Vedo poi altre esperienze di frati che desiderano vivere una vita molto più semplice… con meno macchine, meno aggeggi e disposti anche a partire perché più esigenti dal punto di vista evangelico. L’anno scorso mi è capitato di essere a Cracovia… con 150 frati siamo andati a due a due nella città e così, con delicatezza, parlavamo con la gente, avvicinandoci con il saio e con la purezza e la serenità del nostro essere. Non dobbiamo pensare la nuova evangelizzazione dell’Europa come un recuperare ciò che abbiamo perso! Deve essere nuova, dobbiamo accettare la bellissima parola del Signore in Isaia: “Io faccio delle cose nuove, non vi siete ancora accorti”. Bisogna dunque mettere fuori le antenne perché la tendenza nostra è di voler ripetere quello che è già stato. Ora ci è richiesto di andare tra la gente con una posizione di pieno servizio e disponibilità. Nella tua lettera usi un’espressione molto accattivante ma che è fondamentale. Parli di relazioni fraterne, di relazioni redente, di fraternità trasformate dall’incontro con Cristo. Questo credo che sia un suggerimento che deve attraversare ogni metodologia che noi possiamo scegliere… Mi è piaciuta la riflessione di un filosofo francese che diceva: “La rivoluzione francese aveva proposto la libertà, l’uguaglianza e la 37 FRA MAURO JÖHRI, MINISTRO GENERALE fraternità. Le prime due sono state in gran parte realizzate in Europa, ma la fraternità per nulla”. Quindi in questo senso noi abbiamo qualcosa da dare anche se ci impegna, perché sappiamo che alle volte le differenze tra di noi sono tante, ma forte deve essere la volontà di superarle, la forza di dire che la relazione è più importante delle cose e delle contrapposizioni. Generalmente lo scopriamo quando muore qualcuno: la perdita dell’altro è la cosa peggiore che ci può capitare perché interrompe una relazione. Se io sono capace di una relazione, da questo si apriranno reti nuove di relazione, per cui le persone si sentono a loro agio e ti chiedono: “dov’è la sorgente di questa tua vitalità?”. San Francesco desiderava andare in mezzo ai Saraceni. Si parla molto di dialogo interreligioso: può essere valida anche oggi la pista di incontrare altre culture? Penso sia valida più che mai. Ci sono stati diversi vescovi venuti a bussare alla porta della curia generalizia, provenienti soprattutto da ambiti dove la stragrande maggioranza della popolazione è musulmana, che chiedono la nostra presenza di frati per Alcune immagini di Fra Mauro Jöhri durante il Capitolo Generale 2012 nel quale è stato rieletto Ministro Generale. www.capitulum2012.info garantire la continuità di altre presenze. Non ci chiedono di andare a fare proseliti, ma di essere testimoni di fede, con totale umanità, umiltà e capacità di ascolto, proprio come il lievito della pasta, che permette dei tempi lunghi di cambiamento. Anche nella società di oggi, se noi aggrediamo la gente, probabilmente non raggiungeremo un gran che. Il rischio è dare risposte a delle domande che non sono ancora sorte… dobbiamo quindi far in modo che le persone si pongano dei dubbi e potremo farlo solo con un atteggiamento fraterno. L’animazione missionaria può essere ancora, come nel passato, un valido mezzo di proposta vocazionale? Certamente, anche se con uno spostamento di accento. Io vedo nelle nostre missioni molte opere realizzate, e mi chiedo se le persone del luogo sarebbero effettivamente in grado di portare avanti queste strutture. Abbiamo abbinato molto la missione all’aiuto allo sviluppo. Credo però che sia giunto il momento di dare la massima importanza all’evangelizzazione. Io ti porto il vangelo. Il vangelo è liberante… insegna che il tuo prossimo è colui che sta nel bisogno, indipendentemente dall’etnia e dal colore della sua pelle. Questa è l’universalità del vangelo! Se noi sappiamo portare questi valori trasformeremo delle società, e saranno loro capaci di un genere nuovo di incontro. In alcuni momenti abbiamo creduto più nelle opere che in questo lavoro paziente, di trasmissione del Vangelo. In questi anni hai visitato tutte le circoscrizioni dell’Ordine. C’è qualche figura dei nostri missionari che ha A Roma è stato riconfermato fra Mauro Jöhri co me Ministro Generale Gambaro, della Prov. di Conferma che in 106 dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini Genova (4), Hugo Mejía paesi del mondo ci sono I l 27 agosto scorso, presso il Collegio internazionale S. Lorenzo da Brindisi, il Capitolo generale dei Frati Minori Cappuccini, con 147 voti su 169, ha scelto il suo Ministro Generale riconfermando fra Mauro Jöhri alla guida dell’Ordine per il sessennio a venire. Fra Mauro, eletto per la prima volta Ministro generale nel 2006, si appresta a governare la grande famiglia dei Cappuccini per altri sei anni con slancio e determinazione. L’esito della votazione ha rispecchiato in toto Il Ministro Generale con i definitori. A destra l’abside della Chiesa del Collegio San Lorenzo da Brindisi dove si è svolto il Capitolo, opera del gesuita Marko Ivan Rupnik. le proiezioni di voto emerse dal sondaggio in cui erano emerse le seguenti preferenze: Mauro Jöhri, infatti, è risultato il fratello che ha ricevuto più voti (136), a seguire John Celichowski, della Prov. di Detroit (24), Rocco Timpano, non capitolare, della Prov. di Calabria (15), Ephrem Bucher, della Prov. Svizzera (8), Raffaele Della Torre, della Prov. Lombarda (4), Giampiero Morales, della Prov. del Perù (3), Carlos Novoa De Agustini, della Prov. Rio de La Plata (3). Fra Raffaele Della Torre è stato in seguito scelto come uno dei nove Definitori generali con 109 voti. Al 31 dicembre 2011 è stata pubblicata una statistica dell’ordine dei frati cappuccini. 10.364 frati: 1321 in Africa, 1720 in America Latina, 662 frati in America settentrionale, in Asia e Oceania 2283, in Europa 4378 frati. Q vissuto in maniera eroica che vale la pena essere ricordata o che ti ha colpito particolarmente? Sicuramente il carissimo amico Luigi Padovese. Lui era consapevole che gli sarebbe potuto succedere qualcosa in Turchia, ma non si è mai tirato indietro. Ha portato la sua presenza, ha giocato tutte le sue relazioni per migliorare la chiesa locale. È una figura meravigliosa. Lui ha fatto molto, non per sé, ma per la gente. La missionarietà non è solo partire per chissà quale paese, è anche la capacità di capire che nella mia società ci sono dei bisogni urgenti ai quali nessuno fa fronte. Per concludere: un tuo auspicio, per tutto l’ordine, sulla missionarietà… Il mio desiderio è di avere dei frati che credano profondamente che Dio ha messo dentro di loro dei doni bellissimi e che questi doni li accompagnano. Vedo che si ha molta paura di lasciare la propria terra, dove si è bravi nell’espletare i propri servizi. Bisogna avere più fiducia in se stessi: quello che sappiamo fare qui, lo sappiamo sicuramente fare in un altro luogo. Cambiano sicuramente le modalità, l’ambiente, ma c’è bisogno di portare questa nostra capacità di essere fratelli anche laggiù. Questo mi auguro… dei frati che non hanno paura del cambiamento! Q 39 50º DI FRA MARCANTONIO PIROVANO Non avrei mai potuto immaginare una vita più felice Cinquant’anni di ordinazione sacerdotale di fra Marcantonio Pirovano Fra Marcantonio già da bambino voleva essere un missionario. Cinquant’anni fa divenne sacerdote e da ben 28 anni vive in Costa d’Avorio. Della sua meravigliosa vita non può che ringraziare Dio, e la gente che ha incontrato nel suo cammino. L di Elisabetta Viganò a mia vocazione nasce all’interno di una famiglia molto cristiana. Sono nato in Val Seriana nel 1938 e con me c’erano tre fratelli, quattro sorelle e, dato che gli zii erano morti, quattro cugini. Quando ero ancora piccolino ricordo che mio papà preparò il presepe in occasione del Natale, e mise i tre re magi. Tra loro ce n’era uno nero e io gli chiesi: “Ma papà perché quello è nero? È bruciato?”. E lui mi rispose: “Ma va! Lui arriva dall’Africa, un posto molto lontano, dove la gente non conosce ancora Gesù! I missionari vanno laggiù proprio per farglielo conoscere!”. “Papà… voglio andare anch’io in Africa!”. Avevo solo cinque anni e già risposi così! Fin dalla Prima Comunione l’ispirazione dentro di me era molto chiara. Poi… in quinta elementare ho deciso definitivamente di voler diventare frate cappuccino, per il carisma missionario. C’era un convento a 5 chilometri dal mio paese e ho detto a mia mamma con fare deciso: “o mi lasci andare o scappo”. Mia mamma non voleva saperne ma mio padre la convinse. Ricevetti l’ordinazione sacerdotale il 16 giugno del 1962, esattamente 50 anni fa! 40 Fra Marcantonio con malati di ulcera di Burulì e attualmente ad Alépé. Per quattro anni sono stato a Varese, e per cinque sono stato assistente dei ragazzi nel seminario di Albino. Poi sono stato trasferito in una parrocchia della periferia di Roma, dove sono rimasto per 12 anni… era quello un contesto difficile, peggio dell’Africa, per via delle lotte tra zingari. Io andavo a trovarli, a chiacchierare con loro, cercando di far sì che i loro figli andassero a scuola. Nel frattempo continuavo a chiedere di poter partire perché nel cuore serbavo sempre il desiderio di essere missionario fuori dall’Italia. All’età di 45 anni sono finalmente stato chiamato per la missione. La mia destinazione è stata subito la Costa d’Avorio, a Zouan-Hounien. Dopo qualche tempo si è presentato il problema dell’”Ulcera di Buruli”, una malattia cronica, necrotizzante, tipica del luogo, causata da un batterio che si insidia nella pelle. Per poterla curare aprimmo a Zouan-Hounien nel 1997 un ospedale per la cura di questa grave malattia che colpisce soprattutto i bambini. Nel 2002 scoppiò però la guerra civile: nel novembre fummo attaccati dai ribelli, e fino a Pasqua del 2003 rimanemmo praticamente prigionieri senza poter uscire di casa. A ottobre, prima che iniziassero gli attacchi, l’ambasciatore ci aveva effettivamente mandato degli elicotteri per soccorrerci. Noi però firmammo la rinuncia a questo soccorso, perché volevamo stare accanto ai nostri bambini malati. Non potevamo andarcene. In Italia per mesi non hanno saputo se eravamo vivi o morti, fino a quando, durante la Quaresima, è arrivata la Croce Rossa internazionale e ci ha dato la possibilità di telefonare. Durante quel periodo la gente del posto arrivava a casa nostra con sacchetti di riso dicendo: “fino ad ora ci avete aiutati voi, ora vi aiutiamo noi”. È stata un’esperienza molto forte. Più o meno alla domenica delle Palme, sono arrivate però dal sud le forze del governo per cacciare i ribelli. Non che gli interessasse di noi, volevano solo recuperare quella zona poiché era ricca di miniere d’oro. A quel punto noi ci trovammo tra due fuochi. Abbiamo passato un’intera notte sotto le bombe. Allora io sono partito per cercare i francesi, affinché venissero a prendere i bambini per portarli via. Mentre io non c’ero i ribelli ripresero però il potere, così il governo, in risposta, ha mandato degli elicotteri a bombardare. Hanno bombardato soprattutto la missione e il convento ma, nonostante questo, in quella circostanza accadde un fatto inspiegabile: ci furono un sacco di feriti, ma neanche un graffio ai bambini e ai frati della missione. Io intanto non sapevo nulla di tutto ciò, fino alla mattina in cui, con i francesi, dovevo salire a prendere i bambini. Ci dissero che non era possibile passare poiché avevano bombardato. Seppi poco più tardi che i frati e i bambini erano riusciti a scappare per andare nella capitale. Nel frattempo avevano incontrato i focolarini che li avevano soccorsi, e i ribelli stessi che avevano poi organizzato delle corriere per Abidjan. Lì abbiamo riallestito l’ospedale. Purtroppo però ora il centro è stato chiuso. Il nostro chirurgo ci ha voltato le spalle, raccontando al governo ivoriano molte bugie. Da allora siamo stati obbligati a chiudere, a malincuore, questo Centro Medico. Sono stato quindi trasferito al convento di Alépé dove sono attualmente vicario parrocchiale, vice-maestro dei postulanti, e vice-superiore del convento. Sono tanti vice! Ormai sono 28 anni che vivo in Costa d’Avorio... un paese dove la guerra ha praticamente distrutto tutto, ma che ora vuole rialzarsi. Di questi 50 anni di ordinazione sacerdotale devo ringraziare il Signore perché ho vissuto con tanta, tanta grazia e amore della gente. Ho avuto una vita talmente felice che non avrei potuto nemmeno immaginarla! Q 41 RICORDO DI FRA ELIA BALDELLI All’età di 92 anni frei Elia Baldelli è morto nella sua missione in Brasile Un frate fatto orazione A parlarci di lui con accorato affetto è frei Aquilino che ha condiviso diversi anni e gli è stato vicino nella malattia fino al giorno della morte. Lo ricorda come missionario dal 1946 che ha dedicato la vita al popolo del Brasile, come confratello di fede profonda, umile, silenzioso, devoto alla Vergine e che ha lasciato molti diari e un vuoto nelle molte persone che lo hanno amato. di frei Aquilino Apassiti O ggi 13 giugno 2012 festa di Sant’Antonio di Padova, abbiamo celebrato il “sétimo dia da morte” del nostro frei Elia, con grande concorso di popolo. Chi pensava che il Signore chiamasse in Paradiso frei Elia, proprio durante la novena di Sant’Antonio... Ogni giorno si celebrano cinque S. Messe con grande concorso di popolo. Frei Elia, aveva celebrato l’ultima sua messa, domenica 3 giugno, come al solito. Lunedì alle 14,30 comincerà il suo calvario che completerà la sua lunga giornata terrena. A dicembre scorso aveva compiuto 92 anni. Era stanco, debole, ma né io, né i confratelli che convivevano con noi sospettavamo prossima la sua fine. La sua refezione era sempre sobria e monotona, ma regolare. Assumeva con fedeltà le medicine prescritte, dormiva abbastanza bene, i dolori sempre lo accompagnavano, era sereno, anche se a volte sembrava preoccupato di qualcosa che pure lui non sapeva spiegare. Sarebbero stati tre anni a novembre che l´accompagnavo e servivo con vero amore: era un ammalato dolce, sereno, affabile, un ammalato ideale, un frate fatto orazione, sempre con la sua corona in movimento di 42 giorno e di notte...La sua voce si era fatta flebile e stanca, e da giorni facevo fatica a comprendere i suoi bisogni, a volte gli facevo ripetere le sue necessità... Frei Elia amava il silenzio, il suo raccoglimento era continuo, la sua stanzetta non doveva essere né troppo illuminata né con troppa aria corrente. Chi lo visitava, subito percepiva il suo stile e si adeguava, sempre disponibile alle confessioni, in Belém non mancano persone bisognose nello spirito. La sua vita la trascorse quasi tutta accanto a chi soffre, aveva una sensibilità tutta particolare, aveva formato un gruppo di persone che l´accompagnavano nel ministero degli infermi... ora continuano la visita periodica agli ammalati nelle case e negli ospedali, come ministri dell’Eucarestia. Ogni domenica mattina vanno a celebrare la S.Messa all’ospedale della città. Frei Elia era felice di sapere che altri stavano assumendo e continuando la sua missione. Quando poi rientravano e si fermavano qualche tempo nella sua stanza, chiedeva come era la partecipazione, se c’erano gli animatori... i cantori. Frei Elia da tempo non partecipava più agli atti comuni della comunità, preghiera, refettorio, riunioni capitolari, non ce la faceva più. Prima era sempre il primo in tutto, non di meno voleva sempre che lo tenessero informato. Quando veniva a sapere che qualche frate studente di teologia, lasciava la sua vocazione e se ne andava si faceva muto e un velo di tristezza scendeva sul suo volto e pregava, perché il Signore l´accompagnasse e continuasse la strada del bene. La sua giornata scorreva tra stanza, cappella, e lunghe camminate. Non leggeva più, né scriveva più come un tempo, perché le sue mani e il suo occhio (da tempo ne aveva perso uno) non collaboravano, non ce la faceva più. Ogni giorno era fedele alla recita dell’“Ufficio Divino” e con che devozione e puntualità lo recitava; dopo la preghiera aveva le sue devozioni particolari, era fedelissimo ogni giorno. Bisognava vederlo alla celebrazione della S. Messa, quanta fede, quanta devozione, quanto impegno. Aveva un libretto in cui segnava ogni giorno le SS. Messe celebrate. Domenica 3 giugno, festa della SS.Trinità, celebrava la sua ultima Messa con 43 RICORDO DI FRA ELIA BALDELLI l’inseparabile Frei Angelo Olginati. Nei tempi vuoti, recitava Rosari e Rosari. Gli leggevo notizie della Provincia, e quanto riguardava la chiesa, il Papa: era attento e interessato. Frei Elia a 92 anni possedeva tutte le sue facoltà mentali, ricordava tutti i frati, il nome dei suoi ex ammalati che da tempo non visitava più, chiedeva della loro salute, della famiglia. Non lasciava di chiedere preghiere, dava la sua benedizione e assicurava un ricordo nella preghiera. Era una persona che coltivava l’amicizia e la sua sofferenza era di non poter più essere lui a visitare, ma essere visitato. Quando le forze glielo permettevano, lo portavo in chiesa, dove esiste un ossario dei nostri antichi frati che ci hanno preceduti, soprattutto non mancava l’incontro il giorno dell’anniversario della morte. Lui li conosceva quasi tutti, sostava pregando profondamente ricordando il frate, le sue qualità e questo dopo la visita al SS.Sacramento. Si fermava a lungo davanti alla tomba del nostro servo di Dio Frei Daniele da Samarate e pregava e pregava e sempre mi faceva leggere la sua meravigliosa preghiera di fede e di rassegnazione alla volontà di Dio... e poi commentava... come fu lunga e dolorosa la sua agonia, 12 lunghi anni, trascorsi nel lebbrosario di Tucuntuba (Belém) lontano dal suo convento e dai confratelli, che tanto stimava e amava. Frei Elia era di un’umiltà straordinaria, pensate; io ero ultimo del convento e l’obbedienza mi aveva messo al suo 44 servizio... eppure mi obbediva come un bambino, un giorno non voleva mangiare, io, per ricattarlo, gli dissi: se non pulisci il piatto che ti ho portato non ti dò più nessuna medicina... pensate al mio ritorno mi mostra il piatto vuoto, come ordinato. Aveva fiducia senza limiti nei medici che con tanto amore e dedizione l’accompagnavano, Dr. Josè Maria, Dr. Agostino, i loro consigli erano per lui veri precetti, amava la vita, dono del Signore, non aveva paura della morte... sempre con il suo volto sereno, anche se era difficile vedere un sorriso, era sempre pronto a ricevere qualunque sentenza e adeguarsi alla volontà di Dio. Alla vigilia della sua morte, alla richiesta del medico di essere trasferito in ospedale per accertamenti, visto il peggioramento della sua salute, per esami e controlli vari, con un fil di voce chiede di lasciarlo nel suo letto, non se la sentiva più di obbedire... Frei Elia voleva incontrare sorella morte nel suo letto. Voleva spesso che si mettesse il dvd, appena regalato, del cantico di San Francesco. Beati quelli che morranno in pace che la morte seconda non farà male. Il giorno precedente la sua morte accompagnava più con il cuore che con le labbra il Rosario registrato da Papa Giovanni Paolo II: era commovente vederlo tentare il segno della croce per ricevere la benedizione che alla fine di ogni Rosario il Papa impartiva. Frei Elia mi voleva un bene straordinario, aveva una grande paura che l’abbandonassi; a volte con sofferenza mi faceva partecipe del suo dolore; si chiedeva come mai non aveva deciso prima di ritornare in Italia per non darmi tanto lavoro, quante preoccupazioni ti dò, e tu vai in Italia? Quando vai al Prata? Dove sei stato? Stai bene? Hai mangiato? Vai a riposare, sarai stanco... erano domande che lo tormentavano non poco. A volte penso che non sono stato sempre attento e senza forse, gli causai dolore. Aveva una gran paura che mi ammalassi. Era un frate di fede profonda, di certezze sicure; non mi nascondeva niente, era diventato un vero bambino del Vangelo, e grazie a Dio, gli fui vicino fino all’ultimo stringendo la sua mano stanca, fin quando la febbre (41 gradi) lo stava bruciando, quell’ultima sua notte terrena. Frei Elia era un’anima eletta, mi par di vederlo con frei Angelo Olginati che chiedeva di confessarsi da lui, poi era lui che chiedeva di confessarsi da frei Angelo e dopo la riconciliazione pregavano e stavano in silenzio con il loro Signore. Accompagnava con tanta umiltà le preghiere che suggerivo ad andare in chiesa, al ringraziamento dopo la S.Messa, quando cominciava la giornata, quando andava a letto, quanti segni di croce! Era devotissimo della Madonna del Carmine. Sono sue le parole sotto la statua della Madonna del Carmine qui nel chiostro del convento di Belém “REGINA DECOR CARMELI”. Quando era giovane, a Cologno Monzese era catechista, animatore della parrocchia, già portava il suo scapolare messo dal suo santo Parroco Don Cirillo Pizio, che non lo lascerà mai; mi confidava che lo ha accompagnato in guerra, in prigionia, lungo tutta la sua vita da frate cappuccino. Quando gli chiedevo come e dove aveva trovato le forze per vivere e perseverare nella vocazione per tanti anni, provata da tante peripezie, la attribuiva a Lei, alla Mamma del cielo, N.S. del Carmelo, e al Beato Innocenzo da Berzo. Spero che qualcuno presto prenda in mano carta e penna e sfogli i suoi tanti diari, quaderni, dove scriveva appunti, tappe di lavoro, incontri con malati, tante esperienze vive: sono certo che troveranno una vera miniera di pensieri spirituali che faranno tanto bene a molti. Oggi soprattutto che tutti abbiamo bisogno di testimoni autentici, veri, santi dentro e fuori. Frei Elia si fermò dalla sua attività apostolica causa la malattia, i dolori alla colonna vertebrale, problemi ai reni. La sua grande avventura missionaria era cominciata nel maggio del 1946, in Brasile, la sua meta, e qui ha dato tutto per il Signore e per i suoi tanto amati ammalati. Belém e Imperatriz (Maranhão) si sono disputati la sua presenza non una volta sola, ma per decenni. La sua celletta era un andar e venire di suore, sacerdoti e fedeli, anime che chiedevano confessione dei peccati, conforto, luce, perdono. Frei Elia era sempre disponibile, e la sua benedizione non mancava mai. Quante persone mi chiedevano di visitarlo, era solito chiedere preghiere per compiere la volontà di Dio, assicurando poi benedizione e un ricordo particolare. Quando ho annunciato a Frei Angelo Olginati che Frei Elia ci aveva lasciati, mi disse “Un nuovo santo oggi è entrato in Cielo”... e io lo penso tra gli Angeli e i suoi confratelli che tanto ha amato e assieme ai quali ha lavorato e sudato nella vigna del Signore. Quante anime accompagnate nel dolore, in tanti ospedali, in tante case private, a confortare, a confessare, a dare l´Olio Santo per l’ultima battaglia della vita. In questi giorni successivi alla sua scomparsa si è creato in me un grande vuoto nel cuore, lo penso giorno e notte, mi sento un vero privilegiato ad averlo accompagnato così tanto. Sono sicuro che ora non ha più bisogno delle mie attenzioni, dei miei servizi, ma sono io che ho bisogno delle sue, ora che è al sicuro nel Regno del suo Signore, che tanto sperava di incontrare e al Quale tanto si dedicò, perché altri lo incontrassero nella loro vita. Dal cielo mi e ci protegga, avvocato sicuro e potente, visto che fu sempre un vero e autentico Servo fedele del suo Signore. Q 45 RICORDO DI FRA ELIA BALDELLI I “piedi”del missionario Struggente e commosso è il ricordo di Frei Elia, messo dal Padre dei Cieli sulle strade degli uomini: quelli poveri, quelli ammalati immobili in un letto o su una carrozzella... camminando leggero e povero, cristoforo e cireneo, samaritano buono e silenzioso, portando sempre a tutti GESÙ Eucaristico: quello Crocifisso. di frei Apollonio Troesi 46 frei F Elia Baldelli rei Elia è morto. È volato via nel giorno santo del “Corpus Domini”. Ha smesso di camminare su queste nostre strade. Sono in molti a piangerlo, moltissimi adesso lo attenderanno invano e io qui voglio ricordare con struggente nostalgia quei suoi “passi” per portare GESÙ a Gesù Ammalato e Povero. Ricordare è poco – anche se è solo quello che posso fare – ma vorrei tanto “sentirli” questi Passi per dare ad essi consistenza e valutarne il senso completo. “Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio”(Isaia 52,7): Frei Elia recava addirittura Gesù. Da qui il Titolo che ho scelto. Non vi sembri strano, carissimi, è che così posso vedere Frei Elia in movimento; posso vederlo camminare con gioia e venerazione, tanta devozione perché non andava solo, andava con Gesù! Ah, quanto erano belli i piedi di Frei Elia! Ma proseguiamo con ordine e vediamo se riusciamo a “confondere” i passi. Domandiamoci attenti e curiosi: “Era Frei Elia o Gesù in Persona che camminava?” È un quesito che mi porto dentro da tempo, di tanto in tanto si fa urgente ed esige risposta. Oh, quanto mi piace rispondere adesso: “Certo, certo, era Gesù! Quei “passi” erano di Gesù!” Diventa così tutto più autentico perché è semplicemente meraviglioso! La vita di Frei Elia spesa giorno dopo giorno andando con quella sua “maleta” (borsa-borsetta), “Tabernacolo ambulante” perché ci metteva con cura e attenzione la Santa Eucaristia, ricalca, per così dire, l’andare di Gesù di modo che gli Avvenimenti narrati dagli Evangelisti si “attualizzano” in questo fraticello schivo, umile, silenzioso. Sto riempiendo questo mio ricordo di oh e di ah: accettateli! Non saprei come esprimere diversamente quello che sto provando mentre scrivo! Troppi anni l’ho visto uscire e ritornare in convento, varie volte l’ho incontrato per strada, io comodamente in macchina e lui a piedi, difendendosi dal sole cocente con quella sua famosa “maleta” tenuta in alto per proteggere la testa dal forte calore e non accettava affatto l’invito di salire in macchina: voleva continuare così. Forse pregava, senz’altro raccomandava a Gesù che ancora caricava, quelli che avevano visitato “assieme”. La commozione che mi nasce dentro nel ripensare e “rivedere” quei suoi quotidiani passi, mi porta automaticamente sulle strade della Palestina e “vedo” – “vediamoLo” assieme! – GESÙ che ad un certo punto della Sua Vita, decide di iniziare quel Suo lungo viaggio verso Gerusalemme! Deve andare! Andrà a piedi, giorno dopo giorno e là, arrivato, accetterà serenamente di essere ucciso per la salvezza di tutti. Ascoltate bene: in questo Racconto di Giovanni – 9,51ss – c’è un particolare che merita di essere conosciuto in questo nostro contesto. Eccolo: il latino della “Volgata” che rende alla lettera il greco dell’Originale, proclama che Gesù “indurisce la Sua faccia” (stringe i denti) per iniziare questo Suo cammino decisivo, ma i Samaritani, nemici dei Giudei, non accettano che passi sul loro territorio perché “la sua faccia era di uno deciso ad andare a Gerusalemme” (gliela si leggeva in volto la decisione). Nessuna traduzione della Bibbia in italiano si preoccupa di utilizzare queste stupende “metafore”, se la cavano con qualche avverbio in più. Ora, quanto diventano preziose in questo mio tentativo di rendere omaggio alla memoria di Frei Elia. Il Volto di Gesù – ho detto – tradiva la volontà di andare, era fin troppo lampante! Questa stessa volontà la si leggeva, meglio ancora, la si toccava con mano: ogni giorno, piovesse a dirotto o tirasse vento o l’asfalto su cui camminare fosse addirittura bollente, ogni giorno voleva andare, andava con Gesù verso Gesù. Il camminare di Gesù verso la Città Santa occupa la parte centrale del Vangelo di Luca, si protrae per 10 capitoli... Comincia con quella risoluzione – 9,51 – e termina in pianto: “Videns Jesus civitatem, flevit super illlam” (Quando fu vicino, alla vista della città pianse su di essa) – 19,41 – Sono 420 i Versetti che danno vita a questi “passi” del Signore e Luca si preoccupa di tanto in tanto di ricordare al lettore che Gesù è in cammino. Ci sono almeno sette “riprese” per questo motivo. Carissimi, potrò io mai dimenticare questo andare e venire di Frei Elia? Dimenticare questi suoi “passi” modesti, insistenti, continui per anni e anni? Ho scritto nel corso di questo mio ricordo: – Ah, quanto erano belli i piedi di Frei Elia! Adesso che sono arrivato alla fine, ma è solo la Prima Puntata perché avrei ancora tanto da dire… Q 47 VOLONTARI IN MISSIONE Oddio cosa Volontarie in Brasile ci faccio qui? L’esperienza di due giovani volontarie che hanno deciso di dedicare un periodo nella missione di Anil in Brasile. Fra i piccoli bambini della scuola hanno trovato gioia ed affetto ed hanno capito il senso vero della loro esperienza. È di Lucia Iannaccone la sera di venerdì 5 agosto, la sera della partenza, della tanto attesa partenza, preceduta da un’infinità di telefonate ed sms: “Cosa metti in valigia?” “Ma lo portiamo il costume da bagno?” “Le medicine le hai prese tutte?” 48 “Oh mamma, mancano pochissimi giorni!!!” …3, 2, 1: ciao a tutti, ci sentiamo, ci vediamo tra un mese. Due aerei, lo scalo a São Paulo, un totale di quasi 12 ore di viaggio e, finalmente, l’arrivo. All’aeroporto ci vengono a prendere Manuel e Andrea, che ormai sono a São Luis da un po’ e parlano quasi più il portoghese che l’italiano… chissà se io almeno due parole riuscirò a impararle! Arriviamo in convento, ci sistemiamo, è subito sera e siamo già invitati alla festa delle suore cappuccine di Villa Litoranea che dopo la Messa ci invitano a cena. Domenica mattina, Messa nella “chiesa azzurra” di Anil e poi il primo incontro con la “vida na praia” brasiliana: oceano, spiaggia immensa e acqua di cocco… Quindi lunedì: comincia l’asilo, il cuore della nostra missione. Al mattino il nostro compito consiste nell’aiutare le maestre a fare lezione, quando i bambini sono nelle rispettive classi; a mezzogiorno dobbiamo far fare la doccia ai bimbi, cambiarli e farli pranzare; nel pomeriggio giochiamo tutti insieme. Alla Creche (asilo) “Divino Mestre” ci sono bambini dai due ai cinque anni, provenienti dalle famiglie più povere della città: i più piccoli giocano, dei più grandi alcuni hanno già frequentato lo scorso anno e sanno già scrivere e far di conto, altri non hanno nemmeno molta voglia di stare seduti sulla sedia ad ascoltare quello che dice la maestra… inutile negarlo, all’inizio Semplicemente tieni aperto il cuore di Roberta Pisoni Q uando ripenso alla mia partenza, la mia mente torna ad aprile quando il Brasile mi ha scelto. È la mia prima esperienza in missione, non ho una meta in mente e Thomas e Lucia seduti vicino a me mi suggeriscono di aggregarmi a loro; ad Anil c’è un asilo, non sono richieste doti particolari: mi sembra un ottimo compromesso, la scelta “meno impegnativa”. Del Brasile ad Anil mi ricordo tutti i momenti vissuti, la ricerca sull’atlante della città di São Luis per mostrare ai miei genitori dove andavo, gli amici e i colleghi increduli: dove vai? nel Maranhao? E poi sono arrivata, Anil - Igreja Azul è stata la mia casa per 3 settimane, la nostra casa perché vivere la missione significa anche condividerla ed io ho avuto la fortuna di condividerla con dei compagni fantastici: Thomas, Anna, Lucia e Manuel che ci ha fatto da apripista. Il primo ricordo all’arrivo è l’odore acre e il caldo e vedere la faccia amica VOLONTARI IN MISSIONE non è facile ambientarmi, capire qual è il mio posto, la solita fase dell’“Oddio cosa ci faccio qui?” …ma poi tutto comincia a scorrere e in un attimo il nostro mese vola, facendo lezione con i bambini impariamo l’alfabeto, i numeri e le favole e il mio portoghese migliora anche grazie a loro… dopo i primi giorni impariamo quasi tutti i nomi ed entrando nelle classi al mattino e nella mensa, dove si fa merenda, al pomeriggio, veniamo accolti da decine di “Tia” e “Tio” (maestra-zia e maestrozio): mi fai la barca di carta? Mi fai un disegno? Mi dai un palloncino? Le bambine si innamorano del mio burro cacao e dei nostri capelli lunghi, i maschi invece delle macchine fotografiche, in più inventano un gioco divertentissimo in cui loro fanno le scimmie e noi… gli alberi! La sera torniamo a casa sempre stanchi morti, prepariamo la cena e commentiamo le nostre giornate guardando le fotografie… quelle fatte da noi e quelle fatte da loro, ovviamente. Le settimane passano, tra di noi impariamo a di Manuel che ci aspettava. Nonostante le informazioni ricevute la realtà è ben diversa. Mi sono resa conto che ho sempre viaggiato da turista: in ogni posto dove andavo cercavo di conoscere la gente ma lo facevo in modo superficiale. Lì ci dovevo vivere, camminare sulle stesse strade sporcandomi i piedi, mangiare alla stessa tavola; mi ci sono conoscerci un po’ di più, in modo diverso dal solito, e ci sosteniamo a vicenda quando il contatto con una realtà nuova si rivela difficile e triste, perché abituarsi a vedere la ricchezza e la povertà così vicine come sono a São Luis a volte è proprio difficile e triste… per fortuna nei weekend del Brasile possiamo vedere anche le bellezze naturali, le meraviglie del parco dei Lençois Maranhenses e il villaggio di Raposa, voluti giorni per capire cosa fare, dove mettermi. E poi lunedì siamo andati alla creche; lì ci aspettavano un centinaio di bambini dai 3 ai 6 anni, ci hanno mostrato le aule e presentato le maestre poi ognuno di noi si è recato in un’aula. La mia porta si è aperta nella classe dei piccoli, bambini di 3-4 anni che mi guardavano incuriositi, non sapevo una parola di portoghese la maestra per aiutarmi ha fatto l’appello. Alcuni si sono avvicinati per chiedermi il nome, era strano: ero seduta su una seggiola blu dall’altra parte della terra e mi sono chiesta cosa ci facevo lì. Con loro ho disegnato, ho giocato a girotondo, ho cantato a squarciagola “Fra Martino” e ho scoperto che è paesaggi che riempiono il cuore quasi quanto i sorrisi dei nostri bambini. In una città di cui, nonostante tutto, ho spesso nostalgia, un mese che mi ha fatto crescere e per il quale sento di dovere degli enormi “GRAZIE”: ai frati che, qui in Italia come nelle terre di missione, ci guidano e ci danno con l’esempio di San Francesco la più bella testimonianza dell’amore di Dio; a quelli che dall’Italia ci sono stati vicini con internazionale, ho raccontato favole, ho pensato ai giochi che facevo da piccola come suggerito da mia madre, ho riscoperto l’importanza della famiglia, la grande fortuna che abbiamo e che molto spesso diamo per scontata. Ero partita credendo di vedere bimbi denutriti o senza vestiti e ho visto che la povertà più grande è non avere nessuno le preghiere o coi pensieri semplicemente; ai volontari Giovanna, Andrea e Manuel che, per tanto o per poco, hanno fatto parte del “mio Brasile”. Ai “miei” bambini, a cui penso ogni giorno e che ogni giorno mi mancano. Ma soprattutto, il grazie più grande ad Anna, Thomas e Roberta miei compagni di missione, che per quel mese sono stati la mia famiglia. Q che ti ama, non sapere chi è tuo padre, aspettare ore all’asilo sperando che qualcuno venga a riprenderti. Mi sono dovuta mettere in gioco, tante volte mi sono sentita inadeguata. Prima di partire un’amica che mi ha preceduto in quest’esperienza mi ha scritto: “tieni il cuore aperto e il resto ti verrà dato come dono”. Ho ricevuto vagonate di amore, molti “grazie” e altrettanti abbracci, molte volte mi sono sentita in imbarazzo perché stavo ricevendo molto più di quello che davo. Quante volte l’ho sentito ripetere dai volontari prima di partire…. ma viverlo fa un altro effetto. Mi basta guardare le foto dei miei bimbi, il sorriso rubato a Isabella (la mia bimba preferita) o pensare alle sere passate a chiacchierare coi ragazzi per ritrovarmi il sorriso sulle labbra e gli occhi lucidi. Chi ringraziare per tutto questo? Voi frati del centro missionario che mi avete offerto questa opportunità, i miei parenti e i miei amici che mi hanno sostenuto, Frei Pinto, Gilson e Gildo che ci hanno accolto in convento ad Anil, Fatima che ci faceva trovare sempre un pasto caldo, i bambini della creche (asilo) che mi hanno rubato il cuore, le maestre e Fidelia, i ragazzi della “Paroquia” con cui abbiamo condiviso l’esperienza missionaria, Aurelio che ci ha fatto da traduttore… e quanti sono e quanti ne ho saltati; ma fondamentale è LUI, il Signore, che ho sempre sentito vicino. Q VOLONTARI IN MISSIONE Due volontarie nel Pantanal in Brasile Hanno fabbricato sorrisi L’esperienza missionaria di Paola ed Angela raccontata dall’entusiasmo di frei Apollonio che ha condiviso con loro momenti intensi e di lavoro soprattutto per la realizzazione di un ambulatorio medico in una delle zone più povere del Brasile. di frei Apollonio Troesi P roprio così: sorrisi a non finire. È vera, è bellissima e coinvolgente la “storia” che sono in obbligo di narrare. Eccola, venite con me: Vi porto in Brasile, più propriamente al Nord e esattamente nella superaffollata periferia di Belém do Pará, la Capitale dello Stato. Lì ai tempi che sono durati dal 1815 al 1935 – qualcosa come 120 anni – era “alloggiato” alla mal-e-peggio il Lebbrosario di Stato. Tutti i colpiti da questa terribile malattia dovevano abitare lì: enorme spazio occupato da una palude estesa in una foresta intatta per via della “paura” e attraversato da un fiumiciattolo chiamato “Tucunduba” che dava il nome – nome lugubre – al “Lazzaretto dos doentes”. Nell’aprile del 1914 entra come “morador” (abitante fisso perché lebbroso) un personaggio conosciutissimo 52 in tutta Belém, stimato soprattutto dal Vescovo e dal Governatore dello Stato: è un frate, sacerdote cappuccino, giovane di 38 anni. Entra come ammalato – fuori non può rimanere – ma si trasforma per impeto divino in Cappellano e riesce a dare in poco tempo un volto più umano a tutti quei poveracci abbandonati e temuti. Muore consunto dalla lebbra 10 anni dopo, nel maggio del 1924, compianto da tutti, amici e nemici. Il Lebbrosario vive lungo il Tucunduba ancora una decina di anni e poi, crescendo la città, è trasferito a più di 100 km da Belém. Il terreno “maledetto” rimane deserto (ho incontrato persone che negli anni 1950-1960 erano state calorosamente sconsigliate di andare ad abitare nei paraggi – neanche tanto vicini – del Lebbrosario). La paura ha sempre fatto 90... ma con un’eccezione. Non ricordo quando è incominciata l’INVASIONE che tra l’altro non è ancora terminata. A poco a poco, prima alla chetichella i più coraggiosi o più disperati, poi in numero sempre maggiore sono arrivati dai paesi limitrofi i POVERI attirati dal miraggio della città e – contagio o non contagio, paura o non paura – si sono insediati su quel terreno, costruendo un abbozzo di case o capanne palafittate per via della palude e delle alte maree del “riacho” (fiumicello). Un’”orda di barbari” – passi l’espressione negativa – abbattendo alberi per fare case e passarelle e inquinando l’acqua fino allora limpida del Tucunduba e di altre sorgenti. Ma tant’è: la povertà, peggio, la miseria e di questa dobbiamo parlare, è sempre stata nera nerissima! Da allora il luogo ha assunto vari nomi. Lo chiamano a tutt’oggi: Pantanal – Riacho doce – Marinho – Terra firme. Così l’abbiamo trovato noi, frati, quando ce l’hanno indicato e ci siamo subito insediati alla bell-e-meglio per onorare la memoria di Frei Daniele Rossini da Samarate, il frate citato sopra. Così l’hanno trovato Paola e Angela: la prima dottoressa pediatra e la seconda infermiera dello stesso ramo. Eccoci arrivati alla “FABBRICA del SORRISO” che continuerà. Più che necessaria era questa nostra lunga premessa per far comprendere tutto il peso e il valore di quanto sono riuscite a fare queste Due Meravigliose Missionarie del Buon Dio! È bastato loro poco più di un mese per rendersi conto della situazione e incominciare a dirsi e a ripetersi – Dài, qui dobbiamo fare qualcosa per tutta ‘sta povera gente. Hanno incominciato davvero in tutti i sensi – siate benedette e ringraziate, carissime Paola e Angela! – hanno incominciato piene di entusiasmo, solidali con tutta questa nostra povera gente. Lascio volentieri la parola a loro: vale decisamente di più: “Le iniziative promosse sono state tante…. la realizzazione e la vendita di un calendario, una mostra fotografica, bomboniere di Battesimi e Comunioni, un coro di bambini, alcuni spettacoli teatrali, pesche di beneficenza e piccoli mercatini di beneficienza nel contesto di fiere di paese, ma soprattutto tante tantissime donazioni frutto del sacrificio di persone vicine e lontane che hanno creduto in noi e nel nostro progetto, non vogliamo dilungarci descrivendole tutte, ma sono state tutte registrate nella nostra memoria e nel nostro cuore”. L’inaugurazione dell’Ambulatorio è avvenuta con tutta la gioia possibile e immaginabile il 15 maggio scorso: che festa, che festa! Che gioia nel cuore di Paola e Angela e Gina di Mediaset: trio santissimo, benefico, soddisfatto. “È stata una bellissima esperienza – concludono le Due – inizialmente sembrava solo un sogno, ma ora che è diventata una realtà visibile tangibile, vogliamo ringraziare tutti coloro che ci hanno sostenuto e che ci sono stati affianco durante questi due anni credendo in noi e nella possibilità di realizzazione del progetto. Tutti quelli che ci hanno aiutati, dal più piccolo al più grande, sono i veri eroi di questa storia e a loro va la nostra gratitudine, ma soprattutto tutti coloro che trarranno beneficio da questa iniziativa. A tutti coloro che ci hanno aiutato è stato dedicato il centro di salute, non potendo scrivere tutti i loro nomi, abbiamo deciso di intitolarlo… ITALIANOS AMIGOS DO PANTANAL”. “Grazie di cuore a tutti”, solo le ultime loro parole e noi frati con i poveri che numerosi già affluiscono al nuovo Ambulatorio ringraziamo “do fundo do nosso coração” loro Due, la Paola con Angela e anche con Gina che ultimamente si è unita a loro per completare l’opera. Dio Vi benedica, Vi ricompensi e Vi mantenga sempre questo ardore infuocato e intelligente per continuare a fare del bene con la stessissima intensità... “A Deus louvado” Dio sia lodato. Q 53 VOLONTARI IN MISSIONE A Barra do Corda in Brasile Il nostro piccolo e costante aiuto Giuliano ha vissuto più volte l’esperienza missionaria in particolare con le suore cappuccine. Nel suo ultimo viaggio a Barra Do Corda e São Luis ancora una volta ha sperimentato con mano i tanti problemi che affliggono la missione brasiliana. C di Giuliano Moroni ome consuetudine da diversi anni, accompagnato da Fulvio, ritorniamo nello Stato del Maranhao, nel nord-est del Brasile, dove siamo impegnati nel volontariato, per aiutare le missioni delle Suore Cappuccine di Madre Rubatto. Suor Fausta Milesi ha impegnato quasi tutta la sua vita religiosa e missionaria in questa zona. In questo nuovo viaggio siamo rimasti per 33 lunghi giorni in Barra do Corda, una piccola cittadina al confine con la foresta Amazzonica. La missione è situata in una conca caldissima e invasa da nuvole di zanzare e mosquitos, con temperature umide sempre vicine ai 40 gradi. Di ritorno a São Luis (capitale dello Stato) si è lavorato nella casa Regionale delle Suore fino al nostro rientro in Italia. Nei pressi della casa Regionale, ad una distanza di circa 12 km sorge il berçário, (asilo nido) ove il 12 gennaio 2011 c’è stata un’alluvione che ha messo a soqquadro i pavimenti e reso pericolanti i muri. Ora si stanno preparando i progetti (si spera molto rapidamente) per la ricostruzione. Nel periodo di permanenza a São Luis, abbiamo fatto diversi sopralluoghi arrivando alla conclusione che sarebbe un “suicidio” ricostruire il “berçário” nello stesso posto, in quanto la valletta con l’acqua passa addirittura sotto i pavimenti. Vi sono quindi elevate possibilità che in futuro possa verificarsi un disastro simile, vista l’abbondanza delle piogge in alcuni periodi dell’anno. Quindi si sta pensando di adattare l’attuale casa delle suore, con diverse modifiche, ad uso “berçário”, e nel terreno confinante, già di proprietà, costruire una nuova casetta per loro. Infatti questa zona non è soggetta a rischio di allagamento. Durante la nostra permanenza abbiamo avuto la possibilità di visitare diverse famiglie, i cui figli frequentavano il berçário danneggiato. È apparso evidente come queste famiglie, e i piccoli in particolare, patiscano la fame: i genitori non hanno lavoro o sono occupati solo saltuariamente. Quindi è urgente ricostruire questa struttura in modo che questi poveri piccoli ricevano assistenza e nutrimento. Speriamo che per fine anno si riesca ad ultimare la struttura. Se poi la salute ci accompagnerà ancora, ritorneremo ad aiutare, per fare le finiture. “Suor Fausta ci aiuterà anche in questo nuovo progetto in quanto lei a questi bambini teneva molto”. Ringrazio di cuore anche da parte delle suore che lavorano in questa missione. Q VOLONTARI IN MISSIONE Brasile: volontari a Macapà e Belem Fra i poveri Per Mino e Gianni l’esperienza missionaria è stata l’incontro con i poveri che frequentano le mense gestite dai frati, gli ospedali ed il lebbrosario. Un’esperienza toccante ed intensa che ha lasciato segni di speranza nella testimonianza dell’amore del Signore. di fra Mino Baretti N el mese di agosto dello scorso anno io e Gianni siamo partiti come volontari per 20 giorni nel nord-est del Brasile in due stati diversi: quello dell’Amapà con capitale Macapà e quello del Parà con capitale Belem. A Macapà i frati cappuccini hanno un convento di noviziato nella periferia della città. Il servizio ai poveri è concretizzato con la Casa del Pane che ogni giorno offre 150-200 pasti e con il Poliambulatorio medico che nel nome di frei con la fiducia in Dio Daniele da Samarate assiste giornalmente circa 250 persone. Io e Gianni la mattina eravamo impegnati nella preparazione dei vassoi e nella distribuzione dei pasti ai poveri, mentre nel pomeriggio andavamo con l’assistente sociale nei quartieri periferici della città per conoscere i bisognosi che richiedevano l’assistenza sanitaria presso il nostro centro medico. In questi quartieri ho toccato con mano la povertà: case più simili a baracche di legno e lamiera costruite su palafitte e soggette all’alta marea e all’esondazione del fiume. Nell’unica stanza arredata con 2 o 3 amache vivono 5-6 persone in condizioni igieniche precarie. Il resto della giornata lo passavamo in convento aiutando i frati nelle faccende quotidiane e condividendo con loro la preghiera. Dopo dieci giorni siamo volati a Belem accompagnati da Fra Apollonio che in questa città, capitale dello stato del Parà, coordina un asilo con 250 bambini di famiglie povere. I frati cappuccini hanno da anni a Belem una parrocchia molto viva e attiva sia pastoralmente sia spiritualmente. Accanto alla parrocchia ci sono diverse attività caritative come la mensa dei poveri, l’ambulatorio medico e la scuola di prima alfabetizzazione che è l’opera caritativa più grande nella città. Ogni giorno ci siamo resi disponibili per la pulizia dei locali e per la distribuzione dei pasti (300 circa) nella mensa dei poveri. A Belem c’erano altri volontari del Centro Missionario di Milano: Manuel, Ludovica, Marta e Chiara e con loro ci siamo incontrati alcune volte. In un’occasione fra Aquilino, responsabile dell’infermeria dei frati di Belem, ci ha portati a visitare il Lebbrosario del Prata a 150 Km dalla città che ospita una trentina di malati di lebbra assistiti dal governo. Qui visse e morì da lebbroso Frei Daniele da Samarate, nostro missionario cappuccino. Un suo monumento posto al lato della piccola chiesa tiene vivo il suo ricordo. Due cose fondamentali mi ha lasciato questa esperienza in Brasile: il volto dei bambini e della gente semplice sempre sorridente e piena di fiducia in Dio e la certezza che donare un poco del nostro tempo per gli altri arricchisce noi e dà testimonianza dell’amore del Signore. Q 57 VOLONTARI IN MISSIONE Incontri formativi volontari in missione “Il modo di essere missionari, la testimonianza di vita evangelica, l’amore ai poveri, la povertà vissuta, compiono continui miracoli di beneficenza. E finché ci saranno tali uomini, il mondo non dovrà perdere la speranza di salvarsi” (B. Papa Giovanni XXIII). Forte di tale certezza e consapevole dell’importanza di una formazione, il Centro Missionario dei frati cappuccini di Milano anche per il nuovo anno propone un ciclo di incontri per coloro che vogliono prepararsi a fare un’esperienza di volontariato estivo nelle missioni di Brasile, Guatemala, Etiopia, Camerun, Costa d’Avorio, Kenia e Thailandia. Si tratta di un percorso di discernimento e formazione dedicato a tutti coloro che stanno pensando di trascorrere un periodo estivo di volontariato nelle missioni, che avrebbero intenzione di farlo, o che semplicemente sono interessati ad una formazione di base sui temi della missionarietà. Le testimonianze dei volontari che hanno già vissuto un’esperienza in missione, aiuteranno a capire meglio cosa significa vivere un periodo in luoghi di missione, accanto ai missionari e ad altri amici che condividono il desiderio di rendersi utili ai fratelli più poveri in una realtà molto diversa dalla nostra. 58 Il corso si svolge in diverse tappe: Un primo incontro servirà per conoscere la variegata realtà in cui i missionari cappuccini lombardi operano, le attività che svolgono e le necessità alle quali noi potremo rispondere con il nostro operato e la nostra professionalità. L’attività missionaria si esprime infatti in una diversità di servizi e opere a favore di poveri, ammalati, parrocchie, bambini... cui ciascuno di noi può rispondere secondo le sue capacità. In un secondo incontro cercheremo di conoscere ed approfondire le motivazioni del nostro desiderio; il lavoro di gruppo aiuterà a scoprire che è il Signore stesso che in diversi modi ci smuove dal nostro torpore per indicarci nuovi sentieri di amore gratuito verso i fratelli meno fortunati, e a purificare le nostre aspettative per non rischiare cocenti delusioni nel momento dell’incontro concreto con la realtà missionaria. Saremo poi aiutati direttamente da frati missionari a riconoscere le aspettative che essi ripongono nei volontari. È necessario conoscere in questo percorso gli usi, i costumi la lingua e la cultura delle persone con cui condivideremo un periodo della nostra vita. L’atteggiamento che ci verrà proposto è quello dell’ascolto, dell’accoglienza, della disponibilità a collaborare accettando le indicazioni di coloro che si trovano in missione da molto tempo. Concluderemo il percorso formativo con un incontro di sintesi che ci farà scoprire la fede in Cristo come forza che dilata i nostri orizzonti e ci apre ad una fraternità che non conosce confini. Anche quest’anno, quindi, l’augurio di un buon cammino missionario. Q I frati del Centro missionario 8UhY]bWcbhf]ZcfaUh]j]Jc`cbhUf]]ba]gg]cbY&$%' sabato 12 gennaio 2013 ore 16,00 INTRODUZIONE: un cammino di scoperta delle missioni da compiere insieme. Presentazione del corso. sabato 23 febbraio 2013 ore 16,00 VIVERE L’ESPERIENZA DA INVIATI: la fede in Cristo come forza per andare verso l’altro. Testimonianza e contributo dei volontari in CAMERUN. sabato 26 gennaio 2013 ore 16,00 VERIFICA DELLE MOTIVAZIONI E DEL VOLONTARIO: per guardare nel mio cuore con verità. Testimonianza e contributo dei volontari in ETIOPIA. Sabato 2 marzo 2013 ore 15,30 SANTA MESSA PER GRUPPI MISSIONARI E AMICI DELLE MISSIONI: segue la testimonianza dei volontari in COSTA D’AVORIO, KENIA e THAILANDIA. sabato 9 febbraio 2013 ore 16,00 INCONTRO CON I MISSIONARI E CON LE ALTRE CULTURE: per scoprire cosa si attende da noi chi ci accoglie. Testimonianza e contributo dei volontari in BRASILE. sabato 16 marzo 2013 ore 16,00 FORMAZIONE DEI GRUPPI DI PARTENZA: un’esperienza di disponibilità da condividere con altri. Consigli pratici per il viaggio. domenica 14 aprile 2013 tutto il giorno RITIRO CONCLUSIVO. Sabato 8 giugno 2013 ore 18,00 Festa dei missionari cappuccini. CONSEGNA DEL TAU con invio missionario. I corsi sono gratuiti e aperti a tutti e non obbligano alla partenza. Iscrizioni al primo incontro. Per info chiedere di fra Agostino Valsecchi o fra Marino Pacchioni. I corsi si tengono presso il Centro Missionario Piazzale Cimitero Maggiore 5 - Milano tel. 02.30.88.042 SPIRITUALITÀ Alberto Beretta dalle sue foto “Jesus autem, intuitus eum, dilexit eum...” Frei Frei Apollonio ci dona un’ultima riflessione su frei Alberto Beretta e così si congeda, per il 2012, il nostro fedele scrittore frate cappuccino che ha compiuto 80 anni nel giugno scorso ed ha dedicato la maggior parte della sua vita ai poveri, ai lebbrosi ed ai bambini del Brasile. A lui tutti i nostri auguri perché possa compiere ancora per molti anni il suo fedele mandato missionario con la freschezza, l’entusiasmo, la fede e l’amore che da sempre lo caratterizzano. Che Dio lo protegga. di frei Apollonio Troesi E ccomi a Voi per l’ultima volta! La crisi imperversante travolge anche i Servi-di-Dio: invece di 10 numeri della Rivista, solo quattro, ma sufficienti per almeno intuire che grande stoffa di Santo si nascondeva e adesso risplende in questo nostro carissimo FREI ALBERTO, vissuto 85 anni con Dio a completo servizio dei fratelli! Siamo alla sintesi: dobbiamo lasciarci e io mi accomiato, contemplando con Voi la foto che hanno scelto per annunciare la sua morte. Qui la chiamano: “santinholembrança” (immagine-ricordo). Letteralmente suona: piccolo santo, santo in miniatura stampato e distribuito per 60 ricordare. Interessante e significativo questo chiamare “santinho” l’immagine-ricordo di un Defunto. Significativo e verissimo per Frei Alberto! Cosí vero che ho pensato d’istinto in quel latino – stupendo – che ancora una volta Vi ho servito! Ora Ve lo ambiento perché anche Voi lo gustiate! L’Evangelista Marco con maggior freschezza e profondità di Matteo e di Luca che pure ricordano il fatto, narra che mentre Gesù usciva per mettersi in viaggio, un tale Gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio, Gli chiese cosa doveva fare per salvarsi... Gesù risponde: “Osserva i comandamenti” e ne cita alcuni. Quello risponde: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza...”. ALLORA GESÙ, FISSATOLO, LO AMÒ” (Marco 10,17-22). Ecco la traduzione di quel latino bellissimo, ma quanto povera e banale! Non hanno colpa i traduttori: è che la nostra lingua è molta povera. In quell’INTUITUS c’è qualche cosa di più di quel “fissatolo”, c’è tutto l’affetto che Gesù mette in quello sguardo, la sua gioia, la sua contentezza, la predilezione... ecco, proprio questa che tra l’altro carica e impreziosisce quel generico “lo amò”. Il verbo usato in latino e soprattutto nell’originale, in greco, è ben più completo e profondo: contiene e riflette l’Amore di un Dio, il massimo dell’AMORE! Badate bene: queste mie precisazioni non sono eruditi appunti filologici: non è il luogo. Servono per proclamare l’intensità di quello sguardo che produce amore e notate un particolare: Gesù sapeva benissimo che quel tale, neanche un minuto dopo, se ne sarebbe andato triste e contristato – un “flop” autentico – eppure... QUI, nella foto che ho scelto per l’”addio”, vediamo un frate che il 10 agosto del 2001 è corso incontro a Gesù. Corso e erano vent’anni che si trascinava sulle gambe, bisognoso di aiuto! Corso, per gettarsi nelle braccia di Gesù. Ah, quell’amplesso con le due braccia: la sinistra e anche la destra, inerte da tempo... Ah, quell’abbraccio sognato e sospirato. Non gli ha domandato niente. Gli ha detto solo, parlando speditamente: “Gesù, Maestro Buono, sono arrivato anch’io, eccomi. Grazie!” Qui sta tutta la forza contenuta mirabilmente in Quelle Parole latine e quel “Dilexit eum”? Lasciatemi esclamare ancora: Ah, quanto se l’è meritato Alberto nostro: attivo e insonne prima come Gesù durante la Vita pubblica e crocefisso dopo con Lui e come Lui per quasi vent’anni. Quel “tale” con il fiatone per aver corso e forse ancora in ginocchio, al sentirsi proporre una vita di donazione e di altruismo, accompagnandosi con Gesù, si rialza rattristato e, afflitto, si allontana grondon grondoni. Gesù non manca di sottolineare, “volgendo lo sguardo attorno”(v.23), la sua delusione. Forse segue con lo sguardo amareggiato quello che se ne va lentamente, ma qui nel nostro caso il “Vieni e seguimi” che è stato accettato pienamente, gioiosamente dal nostro Frate, diventa per sempre: “Vieni, benedetto del Padre mio, vieni, accompagnami che ti mostro il posto che ha preparato per te fin dalla fondazione del mondo...” (cf Giovanni 14,2-3 e Matteo 25,34). È così che il “giusto” Alberto – sorridente – se n’è andato alla vita eterna! (cf Matteo 25,46). Carissimi avete notato che ho introdotto e sottolineato l’elemento che, a mio modo di vedere, caratterizza la fotografia da me scelta per parlarvi ancora una volta di Frei Alberto Beretta? Osservatela bene anche voi, fissate con amore e curiosità quel volto sereno che ci guarda e ci... sorride! Proprio così: ci sorride! È soddisfatto l’uomo! È contento! Ma non è paralizzato?, inceppato nella parola, incapace di scrivere? Certo! Sono anni e anni, ma sorride... Quanto bene hanno fatto quelli che hanno scelto fra le tantissime, questa fotografia per annunciare a tutti il “dies natalis” (il giorno natalizio, della morte) di Frei Alberto. Sorride a tutti, naturalmente, ma io sento che è al Signore Gesù che sta sorridendo e Gli parla con quel sorriso 61 SPIRITUALITÀ pacato: – Missione compiuta! Mi hai consegnato due talenti: la mia professione di medico a servizio dei poveri, e il mio stare con Te sulla croce per farTi compagnia: eccoteli! Ecco qui, fruttificato, quello che è Tuo. E il sorriso si carica di tanta riconoscenza perché ha appena ascoltato la risposta di Gesù: “Bene, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo Signore... Prendi parte alla mia gioia” (cf Matteo 25,22 ss). Carissimi, vi lascio con questo sorriso di Frei Alberto. A me dice tantissimo, anche perché mi ricorda quello di Frei Daniele, appoggiato all’altare dei suoi 25 anni di sacerdozio celebrati nella cappellina della sua casa di lebbroso, dato che ormai non cammina più, gli occhi sono quasi spenti e le mani, inservibili... Eppure sorride, meglio – la lebbra gli ha deturpato anche la faccia! – tenta, ma si vede che il suo volto riconoscente è luminoso. I DUE si sentono già a “Casa”, immersi per sempre in quella Realtà che è solo bellezza e gioia, tranquillità e pace. Ringraziano, perciò, ma senza parole. Parla l’eloquenza vivace e sorridente dei loro volti. Ascoltiamola! I Due, ringraziano e sorridono eppure “sono passati attraverso la grande tribolazione” (Apocalisse, 7,11), hanno sofferto una grave, gravissima menomazione fisica e psichica: non saprei dire Chi più e Chi meno. Carissimi, facciamo una bella cosa qui in chiusura: un proverbio proclama da secoli “Non c’è due senza tre”. Costruiamo allora per la nostra edificazione un TRIO di santi sorridenti proprio perché diventati altrettanti Cirenei gioiosi sulla strada insanguinata del Calvario. Un TERZETTO risplendente adesso di luce propria per aver accettato fino alle estreme conseguenze il “Vieni e seguimi” del brano scelto. Ascoltate: in questi giorni mi è capitato di leggere la 62 deposizione di un frate chiamato a testimoniare nel Processo diocesano sulla santità di P. Innocenzo da Berzo, adesso Beato di Santa Madre Chiesa. Ecco le sue parole: “Due volte ho visto con i miei occhi il volto di P. Innocenzo circonfuso di una luce superna: una volta quando fu gettato a terra, anzi giù per le scale per l’ira di P. Eusebio” (l’altra volta pure splendida e intensa non la cito, dato che esula nel nostro discorso). Proprio così: buttato giù dalla scala che dal coretto mette in sacrestia! Il Teste parla di “ira”. Altri, più concilianti, parlano, sì, di “persecuzione” da parte di questo padre, tra l’altro superiore e confessore del Beato, ma non era per “rabbia”. Egli si sentiva incaricato – una specie di missione – di provare la virtù del Frate suo suddito, voleva capire se era o non era un ipocrita con quella sua vita così devota. Sia come sia, a noi interessa quel volto circonfuso di luce superna, volto sorridente, aggiungo io. Si rialza forse con il corpo un po’ ammaccato, ma con il volto luminoso: parola del Testimone presente, forza della “luce superna”. Si rialza, si riassetta e... ringrazia il superiore rimasto in alto a guardare. Ora se l’Eusebio era in alto (corrucciato o meno: non ci interessa proprio), l’Innocenzo dal basso ha alzato gli occhi verso l’Alto e chi potrebbe dubitare che ha guardato riconoscente e contento molto più in Alto, ben oltre il confratello? A noi imitarli questi TRE sorridenti e felici! Arrivederci il prossimo anno; a rileggerci: ci accompagnerà un altro Servo-di-Dio, un Altro, sempre di “Casa nostra!” “Queira Deus”, lo voglia il Signore! Io lo voglio con tutto il cuore. Q Incontri mensili di preghiera per le missioni 2012-2013 martedì 2 ottobre 2012 martedì 6 novembre 2012 martedì 4 dicembre 2012 martedì 8 gennaio 2013 martedì 5 febbraio 2013 martedì 5 marzo 2013 martedì 9 aprile 2013 martedì 7 maggio 2013 martedì 1 ottobre 2013 martedì 5 novembre 2013 martedì 3 dicembre 2013 ore 21,00 Chiesa SS. Crocifisso Centro Missionario Frati Minori Cappuccini Piazzale Cimitero Maggiore 5 Milano MISSIONI ESTERE CAPPUCCINE P.le Cimitero Maggiore, 5 20151 MILANO Tel. 02/3088042 - Fax 02/334930444 www.missioni.org - [email protected] Per offrire il tuo contributo puoi scegliere le seguenti modalità SEGRETARIATO MISSIONI ESTERE Posta Conto Corrente Postale n. 757203 intestato a Segretariato Missioni Cappuccine P.le Cimitero Maggiore, 5 - 20151 Milano Bonifico bancario Provincia di Lombardia dei Frati Minori Cappuccini P.le Cimitero Maggiore, 5 - 20151 Milano Banca Intesa San Paolo IBAN IT 32 V 03069 09400 100000104212 Assegno bancario intestato a Provincia di Lombardia Frati Minori Cappuccini Segretariato Missioni Estere MISSIONI ESTERE CAPPUCCINI ONLUS (per avere la detrazione fiscale) Posta Conto Corrente postale n. 37382769 intestato a MISSIONI ESTERE CAPPUCCINI ONLUS P.le Cimitero Maggiore, 5 – 20151 Milano Bonifico bancario MISSIONI ESTERE CAPPUCCINI ONLUS P.le Cimitero Maggiore, 5 – 20151 Milano Banca di Legnano Agenzia 090 viale Certosa 269/271 - 20151 Milano IBAN IT 66 L 03204 01601 000000062554 Ai fini della detrazione fiscale non sono ammessi versamenti in contante. Se effettui il versamento per la prima volta, invia il tuo indirizzo via fax al n. 02.33.49.30.444 o via e-mail: [email protected] Garanzia di tutela dei dati personali D.Lgs. n. 196/2003 I dati personali forniti dagli interessati sono trattati direttamente per l’invio della rivista e delle informazioni sulle iniziative delle Missioni Estere Cappuccine. Non sono comunicati o ceduti a terzi. Responsabile del trattamento dati è p. Mauro Miselli, direttore editoriale. In caso di mancato recapito si prega di restituire, presso l’ufficio postale di Gorle, al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa