ministero presbiterale e rinnovamento della iniziazione cristiana

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ministero presbiterale e rinnovamento della iniziazione cristiana
COMMISSIONE REGIONALE TRIVENETA PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI CONVEGNO CATECHISTICO REGIONALE 2012 «Come pietre vive» (1 Pt 2,5) Rinnovare l’Iniziazione cristiana nelle Chiese del Nord‐Est. Passi compiuti, prospettive intuite GIORNATA DI STUDIO CON DIRETTORI UCD E PARROCI Iniziazione cristiana e vita della comunità Zelarino Centro Pastorale Diocesano “Card. Urbani” Martedì 28 febbraio 2012 MINISTERO PRESBITERALE E RINNOVAMENTO DELLA INIZIAZIONE CRISTIANA don Giuseppe Laiti Tre battute potrebbero sintetizzare, un poco provocatoriamente, la nostra situazione di presbiteri (e della comunità cristiane), rispetto alla pratica corrente di IC: abbiamo bisogno di tempo, poiché servono cambiamenti rilevanti e implicativi che non si possono sbrigare alla svelta. È però tempo di porvi mano risolutamente, poiché la situazione non sopporta ritardi. Il non farlo ci esporrebbe al rischio di non avere più il tempo, l’urgenza della situazione si trasformerebbe in una opportunità perduta. Raccolgo schematicamente in quattro punti le osservazioni che mi sembrano emergere dalle esperienze proposte e dal dialogo che esse hanno suscitato in gruppo come indicatori di cammino per i presbiteri. 1. IC e pastorale della comunità cristiana Di fatto le esperienze di rinnovamento della IC in corso toccano progressivamente l’intera mappa della azione pastorale. Vengono infatti coinvolte via via a/ le modalità dell’annuncio cristiano, i modi di dire la fede (nuova evangelizzazione, secondo annuncio, sulla base della costatazione che la fede non può semplicemente essere presupposta: prospettiva missionaria della pastorale, cfr. RM 33), b/ la liturgia domenicale chiamata a risultare spazio di accoglienza da parte della comunità cristiana, luogo di esperienza spirituale significativa, capace di rivestire carattere di “esemplarità” (i cristiani sono “quelli 1 della domenica”, cfr. VMPMC 8: giorno del Signore, giorno della chiesa, giorno dell’uomo), c/ l’assetto della catechesi, chiamata ad ascoltare la vita per riconoscervi le soglie del vangelo e a farsi mistagogia della celebrazione come custode dei significati dell’esistenza secondo la grazia, d/ il modo di porsi della comunità cristiana nel territorio, finalizzato a offrire la “differenza cristiana”, lo stile cristiano del quotidiano, come proposta di vita buona (tema dello stile di vita e dell’annuncio negli ambiti della vita d’oggi, cfr. convegno ecclesiale di Verona, ripresa in EVBV)1, e/ la configurazione ministeriale della comunità cristiana, non più assorbibile nello schema parroco‐laici che danno una mano (l’espressione è di VMPMC 12), ma chiamata a disegnarsi secondo la varietà dei carismi/ministeri che lo Spirito sa suscitare per rispondere alle urgenze e prendersi cura delle competenze chieste dall’annuncio e dalla cura dell’intera vita della comunità credente. Vale la pena ricordare che il soggetto ecclesiale più sollecitato a mettersi in rinnovamento/conversione/trasformazione è la comunità parrocchiale, perché è il terreno immediato dell’azione pastorale, in quanto tradizionalmente legata ad un determinato habitat umano, vicina alla vita quotidiana della gente. La rete delle parrocchie è il volto concreto nel quale si esprime una chiesa locale per la grande parte di nostri fratelli e sorelle (cfr. VMPMC 10). Un testo autorevole del magistero pastorale CEI si incarica di ratificare la fondatezza di questa pressione del rinnovamento dell’IC sull’intera mappa pastorale: «L'iniziazione cristiana non è una delle tante attività della comunità cristiana, ma l'attività che qualifica l'esprimersi proprio della chiesa nel suo essere inviata a generare alla fede e a realizzare se stessa come madre» (CEI, EVBV 40)2. 1
I rilievi dell’Osservatorio religioso del Triveneto (presentati nel convegno di Zelarino il 18.II:2012 e ora consultabili in Regno Attualità 4/2012, a cura di Alessandro Castegnaro), sollecitano almeno due attenzioni: la proposta della fede passa oggi attraverso la prossimità (le buone relazioni, l’attenzione alle povertà), più ancora chiede di saper intercettare la ricerca di spiritualità, anche latente, di dialogare correttamente con l’esperienza del contrasto fede‐non fede, fede‐dubbio, che segna oggi tante persone. Se sotto il primo aspetto le comunità cristiane sembrano disporre di buone capacità, si trovano più spiazzate sul secondo fronte, che chiede dunque grande attenzione: attraverso quali vie rendere plausibile la fede come scelta personale, in grado di elaborare le esperienze comuni in modo coerente e significativo (non acquiescente con l’ambiente, ma nemmeno semplicemente in contrasto/rifiuto). 2
Già VMPMC n. 9 chiedeva di concentrare l’azione della parrocchia sul battesimo come modo concreto di “affermare il primato dell’essere sul fare, la radice rispetto ai frutti, il dato permanente dell’esistenza cristiana rispetto ai fatti storici mutevoli della vita umana” 2 Coerentemente il n. 54 dello stesso documento segnala l'IC come il primo ambito della progettazione pastorale che chiede revisione/rinnovamento. In vista di ciò vengono richiamati i punti di valore dell'IC e i compiti che essa sollecita. Punti di valore sono la forza formatrice del sacramenti, l'interazione tra annuncio, celebrazione e carità, la sollecitazione di alleanze educative (la ragione sottintesa è che l'IC porta con sé una proposta di vita precisa) 3. Da qui il testo ricava una proposta di lavoro per le comunità cristiane, scandendo una serie di contenuti come luoghi della primaria corresponsabilità ecclesiale: ƒ
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le forme del primo annuncio, gli itinerari di preparazione al battesimo, e la conseguente mistagogia per i fanciulli, i ragazzi e i giovani, il coinvolgimento della famiglia, la centralità del giorno del Signore e dell'eucaristia, l'attenzione alla persone disabili, la catechesi degli adulti quale impegno di formazione permanente» (EVBV n. 54a), criteri adatti e aggiornamento degli strumenti catechistici. In particolare è sollecitata la premura per: ƒ
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nuove figure ministeriali quali accompagnatori dei genitori che chiedono per i figli il battesimo o i sacramenti dell’IC, catechisti per il catecumenato dei giovani e degli adulti, formatori degli educatori e dei docenti, evangelizzatori di strada, nel mondo della devianza, del carcere e delle varie forme di povertà. Diventa dunque chiaro che il rinnovamento della IC porta con sé, a catena, una serie di altre revisioni, fino a toccare l’intera mappa del dispositivo pastorale. 2. Figura della pastorale e esercizio del ministero presbiterale Se è tutta la prassi pastorale in corso che viene rimessa in movimento, è chiaro che a titolo peculiare vi è coinvolto anzitutto il ministero di presidenza, il ministero presbiterale, chiamato a garantirne la correttezza e la coerenza, la qualità di diakonia del vangelo oggi. Anche questo è già ben recepito nel magistero pastorale CEI, VMPMC, n. 12 3
Significativamente in nota il testo richiama tutti gli interventi precedenti della CEI in materia di IC, in particolare le tre note pastorali specifiche, 1997, 1999, 2003. È agevole riconoscere in questo rapido riassunto i principali guadagni delle esperienze di IC in corso nelle comunità cristiane in Italia: priorità di attenzione agli adulti e alle famiglie, messa a punto di percorsi che integrino la proposta catechistica con la familiarizzazione alla vita di preghiera e carità della comunità, risalto dato al giorno del Signore come appuntamento generativo per la comunità cristiana, soggetto primario della IC. Il testo non fa cenno alla questione dell'ordine dei sacramenti della IC, che qualche diocesi ha ripristinato secondo la sequenza battesimo, confermazione, eucaristia (per questo si veda anche la richiesta di Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis 17: «l'eucaristia porta a pienezza l'IC e si pone come centro e fine di tutta la vita sacramentale». 3 «È richiesto anche un ripensamento dell’esercizio del ministero presbiterale e di quello di parroco. Se è finita l’epoca della parrocchia autonoma, è finito anche il tempo del parroco che pensa il suo ministero in modo isolato […]. I sacerdoti dovranno sempre più vedersi all’interno di un PRESBITERIO e dentro una SINFONIA DI MINISTERI e di iniziative: nella parrocchia, nella diocesi e nelle sue articolazioni. Il parroco sarà sempre meno l’uomo del fare e dell’intervento diretto e più l’uomo della comunione; e perciò avrà cura di promuovere vocazioni, ministeri e carismi. La sua passione sarà far passare i carismi dalla collaborazione alla corresponsabilità, da figure che danno una mano a presenze che pensano insieme e camminano dentro un COMUNE PROGETTO PASTORALE. Il suo specifico ministero di guida della comunità parrocchiale va esercitato tessendo la trama delle missioni e dei servizi: non è possibile essere parrocchia missionaria da soli». Il testo merita almeno tre rilievi: ƒ
Il contesto di questa affermazione è il volto “missionario” della parrocchia: la comunità cristiana come “responsabile” del Vangelo in un territorio (habitat umano). È la presa d’atto d’un mutamento notevole: dalla pratica coincidenza di comunità cristiana e parrocchia a parrocchia come spazio della missione della comunità cristiana. ƒ
La duplice ragione/direzione del mutamento sollecitato ai presbiteri: da un lato in quanto membri del presbiterio sono richiamati alla centralità della chiesa locale presieduta dal vescovo. In quanto tali sono responsabili del cammino comune della chiesa a servizio del vangelo in un determinato territorio. D’altro lato in quanto presidente di una determinata comunità cristiana sono animatori e garanti dell’armonia della varia ministerialità che lo Spirito suscita in essa per la testimonianza, la celebrazione, la carità. ƒ
Uno strumento viene segnalato: si tratta del progetto pastorale comune, come veicolo della corresponsabilità che assicura la coerenza della varietà delle iniziative e delle azioni, appunto perché espressive dell’unico servizio del vangelo rispetto a un medesimo territorio. 3. Concentrazione attorno priorità Se non si vuole disperdere troppo l’attenzione rispetto alla trasformazione sollecitata ai presbiteri, è bene individuare delle priorità in funzione di cardine attorno a cui tutto il testo ruota. Almeno due si impongono: quella dell’essere insieme cristiani e quella della missione. L’urgenza per tutti i battezzati oggi, previa ad ogni differenza ecclesiale, è quella di misurarsi anzitutto su ciò che è fondamento e responsabilità comune: è chiesto un ricentramento sul Vangelo, sulle condizioni di cui avere cura per rendere percorribile il 4 cammino verso la fede e nella fede. La condizione di “minoranza” della comunità cristiana chiede di collocarsi tutti nella prospettiva della missione, di riflettere su come la comunità cristiana possa essere in atto, ossia attraverso il suo modo di vivere e di esprimersi, sacramento di salvezza, possa mostrare il volto della vita buona promossa del vangelo. 4. Una nuova figura del ministero presbiterale Si tratta di mettersi in cammino4, sotto il registro della formazione permanente verso un nuovo modo di porsi rispetto all’esercizio del ministero presbiterale, veicolato sotto la sigla della corresponsabilità per il Vangelo. Siamo in un cammino che chiede pazienza come perseveranza nella direzione, nell’orientamento (la pazienza della semina e della coltivazione…), pena la sofferenza improduttiva della incoerenza dell’agire pastorale. La corresponsabilità è chiamata a declinarsi nella duplice pratica del discernimento e della progettazione pastorale. Il primo è finalizzata ad individuare le vie e le modalità dell’annuncio oggi, nel quadro delle cultura e delle sensibilità in atto; la seconda a delineare la mappa della ministerialità che lo Spirito suscita. Circa il discernimento e la progettazione richiamo appena indicazioni insistite del magistero pastorale CEI, con una premessa sulla corresponsabilità che ne è prevedibilmente presupposto e nodo cruciale. A/ La corresponsabilità Una premessa ovvia, ma per niente scontata chiederebbe qualche meditazione sulla realtà della corresponsabilità nella chiesa, almeno al triplice livello delle convinzioni, delle attitudini e degli strumenti. Essa può toccare utilmente, oltre al triplice livello accennato, la radice antropologica della corresponsabilità, il fondamento evangelico che le conferisce il timbro della diakonia. Qui si comprende bene che non si tratta semplicemente di una 4
Il tema del ridisegno della figura del presbitero nella chiesa italiana ha già una sua storia nel recente passato. La CEI, nell’ambito del progetto culturale ha promosso un seminario dal titolo: “ridisegnare la figura del prete” (Roma 17‐18 giugno 2005). Sono state recensite quattro diverse figure di prete: a) l’uomo della presenza, colui che nei momenti salienti dell’esistenza (nascita, matrimonio, morte, c’è, come custode di una riserva di significato, b) il prete leader, protagonista, grande organizzatore (a rischio di una pastorale di accumulo), c) il prete uomo della comunità, tessitore delle relazioni e della comunicazione (con la fatica di trovare le parole adatte per dire il messaggio), d) il prete uomo di Dio, uomo dello spirito e della preghiera. L’assemblea generale della CEI del maggio 2006 ha dedicato ampio spazio al tema “La vita e il ministero del presbitero per una comunità missionaria in un mondo che cambia: nodi problematici e prospettive”. La rivista Presbyteri titola in n 5/2006: Urge ridisegnare la figura del prete. La Rivista del Clero Italiano riserva spazio notevole al tema. 5 strategia, ma anzitutto di una profonda conversione spirituale; si tratta della forma ecclesiae per il servizio del Vangelo oggi. Un rapido abbozzo potrebbe dare il seguente quadro: Radice antropologica della corresponsabilità È importante che la corresponsabilità risulti come elemento qualificante la vita adulta, sul percorso che porta dall’influsso inevitabile che ciascuno esercita per il solo fatto di esserci, alla sua coscientizzazione e assunzione responsabile con riferimento a un quadro di valori che ispira la propria vita. È il percorso che conduce dai rapporti alle relazioni, alla ministerialità come modalità della relazione adulta. È il gusto di essere reciprocamente presenze utili. Piani della corresponsabilità ▪
il piano delle convinzioni (che non coincide con quello delle idee). È in gioco una visione della chiesa come comune partecipazione del modo d’essere umano di Gesù, il Figlio di Dio tra noi, grazie al suo Spirito. Questa comune partecipazione, che l’eucaristia domenicale celebra, genera la varietà dei doni e dei compiti per il servizio del Regno e della sua giustizia. ▪
il piano degli atteggiamenti/attitudini. Almeno tre sono spesso decisivi: a/ l’attitudine a pensare l’insieme e nell’insieme la propria parte, b/ l’esercizio del dialogo, della buona comunicazione (che procede non per antitesi ma per interazione‐integrazione), c/ la prospettiva della gradualità, del percorso secondo tappe coerenti e concretamente possibili. ▪
il piano degli strumenti. È il piano delle strutture operative che consentono a convinzioni e atteggiamenti di tradursi in percorsi semplici che determinano la pratica della vita. Le parole d’ordine diventano progetto (che mostra l’insieme e apre gli spazi per i contributi di ciascuno) e rete (ove la fecondità è fonda non sulla quantità ma sulla coerenza delle iniziative, sul fatto che risultano leggibili come momenti di un cammino comune). Compito della formazione è coltivare i tre piani e la loro “tenuta”. Essa avviene come esercizio, laboratorio. Luogo critico della corresponsabilità è il percorso che porta alla decisione. Si tratta della pratica del discernimento come ascolto della Parola e delle situazioni, della individuazione di obiettivi, tappe, risorse disponibili, impegno di formazione per le competenze necessarie. È il percorso che consente la decisione condivisa e l’articolazione dei compiti, sempre in progress, fino alla verifica e alla riprogettazione. Il modo di procedere rivela la natura del soggetto, le sue motivazioni, e lo edifica al tempo stesso. Questo modo di procedere può divenire imput fecondo per i modelli di organizzazione della società a cui apparteniamo. B/ Il discernimento come esercizio della corresponsabilità Sul discernimento comunitario come metodo pastorale si era già ben espresso il convegno ecclesiale di Palermo (Con il dono della Carità dentro la storia, n. 21): «Come espressione dinamica della comunione ecclesiale e metodo di formazione spirituale, di lettura della storia e di progettazione pastorale, a Palermo è stato fortemente 6 raccomandato il “discernimento comunitario”. Perché esso sia autentico, deve comprendere i seguenti elementi: ƒ
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docilità allo Spirito e umile ricerca della volontà di Dio; ascolto fedele della Parola; interpretazione dei segni dei tempi alla luce del Vangelo; valorizzazione dei carismi nel dialogo fraterno; creatività spirituale, missionaria, culturale e sociale; obbedienza ai Pastori, cui spetta disciplinare la ricerca e dare l’approvazione definitiva. Così inteso, il discernimento comunitario diventa una scuola di vita cristiana, una via per sviluppare l’amore reciproco, la corresponsabilità, l ’inserimento nel mondo a cominciare dal proprio territorio. Edifica la Chiesa come comunità di fratelli e di sorelle, di pari dignità, ma con doni e compiti diversi, plasmandone una figura, che senza deviare in impropri democraticismi e sociologismi, risulta credibile nella odierna società democratica. Si tratta di una prassi da diffondere a livello di gruppi, comunità educative, famiglie religiose, parrocchie, zone pastorali, diocesi e anche a più largo raggio. I responsabili delle comunità cristiane ne approfondiscano il senso e le modalità per poterla promuovere come autorevoli guide spirituali e pastorali, saggi educatori e comunicatori». Sul tema e sulla sua urgenza ritornano i Lineamenta in vista del prossimo sinodo dei vescovi, La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana (ottobre 2012): il discernimento è passaggio obbligato e metodo permanente in vista dell’annuncio e del servizio alla vita nella fede oggi. C/ La progettazione pastorale Sul progetto pastorale come strumento di corresponsabilità insiste la Lettera ai sacerdoti italiani da parte della CEI (2006): «Perché il presbiterio sia effettivamente tale è necessario che tutti i suoi membri s’impegnino in modo solidale nello stesso progetto pastorale […]. Ma questo richiede che i preti condividano un’ampia serie di giudizi sulla realtà […]; questo a sua volta richiede che le idee delle persone si confrontino, si comprendano, si arricchiscano a vicenda […]. Tutto questo richiede che i membri del presbiterio condividano la visione del campo nel quale operano (la società, la chiesa) […]. Insomma: solo attraverso un cammino lungo, paziente, costante, di studio, di confronto, di attenzione potremo raggiungere l’armonia sufficiente a trasformare il presbiterio in una vera comunità di intenti»5. 5
Attorno al progetto pastorale diocesano dà indicazioni approfondite la CEI, La formazione permanente dei presbiteri nelle nostre chiese particolari, Roma 2000, nn. 16‐19, part. 19. Il progetto pastorale non è riducibile a pragmatica ripartizione di compiti, né ancor meno, alla pretesa di prestabilire i percorsi della grazia nella vita delle persone. Esso è piuttosto esercizio della “carità pastorale”, dell’amore adulto che intende servire la edificazione della chiesa, elaborando l’azione in risposta al molteplice ascolto proprio del ministero (ascolto della Parola, della vita delle persone, dei carismi e ministeri che lo Spirito suscita). 7 Discernere, progettare, mettere a punto modalità comunicative sono le attitudini richieste alla comunità cristiana per attuare la corresponsabilità del Vangelo. La lettera CEI sulla formazione permanente dei presbiteri nelle nostre chiese particolari (Roma 2000) recita: «I presbiteri si riconcilino con il progettare. Dentro una cultura della complessità la proposta pastorale non può non essere articolata e complessa per risultare aderente e incisiva. Si tratta in fondo di passare dalla parrocchia come soggetto omogeneo per la cura animarum a una parrocchia come soggetto articolato per la missione […] Tale parrocchia non può esimersi dal promuovere collaborazioni con altre parrocchie per mettere in atto la missione in direzioni diverse sul territorio…» Conclusione Ho un poco indugiato sui primi tre punti non solo perché contengono le ragioni che chiedono il ridisegno della figura del ministero presbiterale, ma soprattutto perché assumere ciò che essi contengono è la strada maestra per vivere di fatto questo ridisegno e indicarlo alle nuove generazioni di presbiteri nelle chiese che sono tra noi. In altre parole è l’assunzione operativa della prospettiva missionaria (sottesa al rinnovamento dell’IC, alla sua ispirazione catecumenale), del mutamento della prassi pastorale che essa sollecita, delle priorità che chiede, a produrre di fatto come percorso di vita il ridisegno del ministero presbiterale nella linea della corresponsabilità praticata come discernimento e progettazione. La formazione permanente ha qui un contenuto centrale non eludibile perché possiamo divenire presbiteri coerenti con la forma ecclesiae che serve oggi l’annuncio del Vangelo e la vita nella fede. Per attenersi al motivo‐guida di Aquileia 2, si tratta di una obbedienza allo Spirito, dell’ascolto di ciò che lo Spirito va dicendo alle chiese attraverso le sollecitazioni che una prassi battesimale che cerca la coerenza con i suoi obiettivi e i suoi significati va portando all’esprimersi pastorale delle nostre chiese. 8