Reciproco riconoscimento nei Paesi UE delle misure cautelari non

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Reciproco riconoscimento nei Paesi UE delle misure cautelari non
Processo penale e giustizia n. 6 | 2016
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ROBERTO PUGLISI
Dottore di ricerca in procedura penale – Università degli studi di Roma “Tor Vergata”
Reciproco riconoscimento nei Paesi UE
delle misure cautelari non custodiali
Mutual recognition to decisions on supervision measures
Il d.lgs. n. 36/2016 dà attuazione alla decisione quadro 2009/829/GAI, relativa all’applicazione (tra gli Stati membri
dell’Unione europea) del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure cautelari non detentive.
È un ulteriore tassello nella costruzione del sistema giudiziario penale europeo finalizzato, questa volta, a un migliore bilanciamento tra efficacia dell’accertamento penale e presunzione d’innocenza e libertà dell’imputato.
The d.lgs. 36 of 2016 gives effect to the Framework Decision 2009/829 /JHA on the application (in the EU Member States) of the principle of mutual recognition to decisions on supervision measures. It’s a further step in the
construction of the European criminal justice system aimed, this time, to a better balance between criminal trial
effectiveness and accused freedom and presumption of innocence.
GLI OBIETTIVI COMUNITARI
Se il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie (art. 82 TFUE) costituisce un punto
cardine nella cooperazione giudiziaria all’interno dell’Unione Europea, l’estensione dello stesso alle misure
cautelari non detentive rappresenta una tappa fondamentale nell’evoluzione del diritto comunitario 1. Infatti, anziché limitare l’interesse all’esito dell’accertamento giudiziale, la prospettiva si allarga includendo
anche (e soprattutto) gli effetti del processo in itinere, alla luce dell’ovvia considerazione che è il processo
stesso (e non solo il suo esito) a incidere su posizioni giuridiche soggettive. Dopo l’ordine di protezione europeo 2 – disciplinato dal d.lgs. n. 15/2015 (Direttiva 2011/99/EU) e intervenuto per accompagnare le vittime di reato nei loro spostamenti intracomunitari garantendo loro la protezione cautelare riconosciuta nel
Paese dell’accertamento giudiziario – il legislatore interno persegue, altresì, gli obiettivi della decisione
quadro 2009/829/GAI e relativi al bilanciamento tra opposti interessi da realizzarsi in sede cautelare 3.
Con il ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia di cautele personali non detentive,
quindi, è possibile coniugare la protezione dei cittadini con il diritto alla libertà e la presunzione di in1
Una consacrazione, in tal senso, è scaturita dalle Conclusioni della Presidenza del Consiglio di Tampere del 15-16 ottobre
1999; al paragrafo 36, è stabilito che il «principio del reciproco riconoscimento dovrebbe altresì applicarsi alle ordinanze preliminari». Su questo impulso, il programma adottato dal Consiglio europeo all’Aja il 4 e 5 novembre 2004 elenca 10 priorità
dell’Unione dirette a rafforzare lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ribadendo che «il ravvicinamento della legislazione e la
creazione di norme minime di procedura penale sono talvolta indispensabili per rafforzare la fiducia reciproca fra gli Stati
membri». Quindi, è la Commissione a considerare, nella Comunicazione COM(2009) 263 def, il reciproco riconoscimento la “la
chiave di volta della cooperazione giudiziaria”. V. G. De Amicis, I decreti legislativi di attuazione della normativa europea sul riconoscimento reciproco delle decisioni penali, in Cass. pen., 2016, n. 5, suppl., p. 19 ss.
2
V. P. Bronzo, La tutela “cautelare” della vittima di reato, in Dir. pen. proc., 2015, p. 1083; F. Ruggeri, Ordine di protezione europeo
e legislazione italiana di attuazione: un’analisi e qualche perplessità, in questa rivista, 2015, n. 5, p. 99.
3
La decisione quadro 2009/829/GAI fa parte di un pacchetto di provvedimenti europei in materia di reciproco riconoscimento delle decisioni penali; le altre decisioni quadro sono la 2008/909/GAI (in materia di riconoscimento delle sentenze penali
che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale ai fini della loro esecuzione nell’UE) e la 2008/947/GAI
(sulla sospensione condizionale e sulle sanzioni sostitutive).
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nocenza dell’imputato. È da tale convinzione che muove la decisione quadro 2009/829/GAI che si prefigge di assicurare la sorveglianza, da parte dello Stato di residenza, dei soggetti sottoposti a procedimento penale nell’ambito di un altro Stato. Il profilo d’interesse è il superamento dell’alternativa secca
tra detenzione cautelare e circolazione senza controllo, con la possibilità di tutelare più efficacemente la
presunzione di innocenza mediante un più ampio ricorso a misure alternative alla detenzione. Dunque,
l’attenzione è rivolta esclusivamente alle “supervision measures”, vale a dire quelle misure cautelari non
custodiali che mirano a garantire una sorveglianza dell’interessato attraverso l’imposizione di obblighi
e prescrizioni 4. In tale prospettiva, la decisione quadro 2009/829/GAI pone il problema dell’uniformità
di trattamento nell’ambito dell’UE al fine di scongiurare una diversa modulazione della libertà di un
soggetto sottoposto a procedimento penale solo all’evenienza di trovarsi o risiedere in un Paese piuttosto che in un altro (considerando n. 5).
L’intervento sembra, dunque, assumere una funzione complementare al MAE, nel cui ambito viene, invece, in interesse il riconoscimento interno di un provvedimento restrittivo (definitivo o cautelare) 5. Segni di contiguità con il MAE vengono, del resto, espressi in più punti della decisione quadro
2009/829/GAI, a cominciare dalla possibilità – indicata nel considerando n. 12 – di ricorrere al MAE
per garantire «il regolare corso della giustizia e, in particolare, la comparizione dell’interessato in
giudizio»; eventualità, poi, ribadita nel successivo considerando n. 13 e, nell’art. 15, par. 1, lett. h), ai
fini del rifiuto di riconoscimento 6. È di rilievo, a tale proposito, la prevista inoperatività della condizione applicativa del MAE contenuta nell’art. 2, par. 1, della decisione quadro 2002/584/GAI (parametri edittali minimi necessari per l’emissione di un MAE recepiti dall’art. 7, comma 3, legge n.
69/2005) – salvo diversa dichiarazione proveniente dal singolo Stato membro in sede di attuazione.
Ciò significa che il mandato d’arresto europeo per il mancato rientro dell’interessato nello Stato emittente la misura cautelare non custodiale non osserva, secondo la decisione quadro in esame, tale condizione prevista in via ordinaria per il MAE (principio ribadito nell’art. 21 della decisione quadro
2009/829/GAI).
In caso di incompatibilità tra le misure di sorveglianza e la legislazione dello Stato di esecuzione, è
prevista una possibilità di adattamento, da parte di quest’ultimo, ai tipi di misure cautelari presenti nel
proprio ordinamento giuridico; ovviamente, non può essere applicata una misura “più severa” di quella originariamente disposta (art. 13, decisione quadro 2009/829/GAI). Del resto, viene ribadita l’applicabilità (scontata) della legislazione dello Stato di esecuzione per l’osservazione delle misure di sorveglianza.
Se, dunque, lo Stato di esecuzione è competente per la sorveglianza, lo Stato di emissione rimane
competente in materia di proroga, modifica, riesame e revoca della misura cautelare, nonché per
l’emissione di un mandato di arresto.
ATTUAZIONE INTERNA
Su tali presupposti, il d.lgs. n. 36/2016, dà attuazione alle indicazioni comunitarie, affrontando (come
di consueto) il problema nella duplice prospettiva di richiedere all’estero ovvero ricevere una domanda
4
A tale proposito, vanno registrate le incertezze del legislatore delegato nel definire “misure cautelari” (e basta) la categoria
interessata dal provvedimento. Se, opportunamente, non si è accolta l’osservazione della Commissione Giustizia del Senato di
modificare il riferimento alle “misure alternative” con quello alle “misure cautelari coercitive e interdittive”, sarebbe bastato
l’utilizzo del concetto di “misura cautelare non custodiale” per tenere fuori gli arresti domiciliari e la custodia cautelare in carcere e, allo stesso tempo, evitare l’impiego di categorie troppo generiche quale quella di “misura cautelare”. Il rischio è, altrimenti, non riuscire immediatamente ad afferrare indicazioni come quella contenuta nel considerando n.13 della decisione quadro, in cui si precisa che «le misure cautelari dovrebbero di norma applicarsi ai reati meno gravi».
5
In generale, sul tema del MAE, v. M. Bargis-E. Selvaggi (a cura di), Mandato d’arresto europeo. Dall’estradizione alle procedure
di consegna, Torino, 2005; G. De Amicis-G. Iuzzolino, Guida al mandato d’arresto europeo, Milano, 2008; Della Monica, Il mandato
d’arresto europeo, in L. Kalb (a cura di), Esecuzione e rapporti con autorità giurisdizionali straniere, in G. Spangher (diretto da), Trattato di procedura penale, VI, Torino, 2009, p. 407 ss.; G. Pansini-A. Scalfati (a cura di), Il mandato d’arresto europeo, Napoli, 2005; E.
Zanetti, Il mandato d’arresto europeo e la giurisprudenza italiana, Milano, 2009.
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Il d.lgs. n. 36/2016 sul punto non dice nulla, non occupandosi direttamente né della procedura passiva di consegna, né
(tranne un laconico riferimento nell’art. 8, comma 3) di quella attiva; è difficile, dunque, fare previsioni in caso di richiesta di
consegna passiva mediante MAE per mancato volontario rientro dell’interessato nello Stato di emissione.
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di riconoscimento della misura cautelare alternativa alla detenzione 7.
Gli organi competenti sono individuati nel Ministero della Giustizia e nell’autorità giudiziaria (art.
3). Si prevede un dialogo con l’autorità politica sia per la trasmissione, sia per la ricezione delle decisioni sulle misure cautelari; è preannunciata, altresì, la possibilità di interlocuzione diretta tra autorità
giudiziarie, con obbligo di informazione immediata al Ministero della giustizia. Quindi, nel caso di trasmissione all’estero della decisione sulle misure cautelari non custodiali (art. 7), sembra che il Ministero
della giustizia diventi anello necessario della catena di trasmissione solo nel caso in cui occorra provvedere alla traduzione del certificato da inviare secondo il modello allegato al d.lgs. n. 36/2016; altrimenti, se vi provvede l’autorità giudiziaria (pubblico ministero), è sufficiente che questa tenga informato il
Ministero della giustizia. Nel caso di richiesta dall’estero, invece, la competenza per la ricezione è fissata (art. 12) direttamente in capo alla corte di appello nel cui distretto la persona interessata dovrebbe
trasferirsi.
L’art. 4 delimita, invece, il catalogo delle misure cautelari alternative alla detenzione: obbligo di comunicare ogni cambiamento di residenza al fine di garantire la propria reperibilità; divieto di frequentazione di determinati luoghi o persone; obbligo di permanenza in un determinato luogo; restrizioni al
diritto di trasferimento all’estero; obbligo di presentazione; divieto di esercizio di determinate attività.
Riguardo a tale elencazione, le uniche perplessità sono destate dall’esatta definizione dell’“obbligo di
rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite”; in particolare, l’interrogativo cade
sulla possibilità o meno di includervi anche gli arresti domiciliari. Se spunti di carattere letterale sembrano non frapporre ostacoli, ragioni sistematiche suggeriscono di escludere tale evenienza, in forza
della disomogeneità di tale misura cautelare rispetto agli obblighi e alle prescrizioni che costituiscono,
appunto, le misure cautelari non detentive.
TRASMISSIONE ALL’ESTERO
Nel caso di applicazione, da parte dell’autorità interna, di una misura cautelare alternativa alla detenzione, al soggetto residente legalmente e abitualmente in altro Stato membro è riconosciuta la possibilità di farvi rientro per dare esecuzione alla misura alternativa stessa. Al requisito della residenza legale
va unita l’esistenza di un’effettiva situazione di fatto; nella decisione quadro ispiratrice, invece, si fa riferimento alla residenza abituale. Qualora l’interessato manifesti tale volontà, il pubblico ministero dispone la trasmissione della decisione sulle misure cautelari all’autorità competente dello Stato membro
(dopo avere verificato il consenso di questo al trasferimento). È prevista, altresì, la facoltà di spostamento in altro Stato ove il soggetto non abbia la residenza abituale e legale, ma in questo caso è necessario il
consenso dell’autorità competente. Oltre al provvedimento applicativo della misura cautelare non detentiva, è previsto, come anticipato, l’invio di un certificato (redatto secondo un modello allegato al decreto) in cui si dà atto del consenso dell’interessato e, ove necessario, dell’autorità ricevente (art. 6).
Fino a quando l’esecuzione all’estero non abbia avuto inizio, il pubblico ministero può ritirare il certificato nel caso in cui l’autorità estera comunichi termini di durata massima della misura superiori a
quelli previsti dalla legge italiana ovvero quando riceva la comunicazione che l’autorità estera abbia
deciso di adattare la misura alla legislazione interna (art. 7). Non è chiara la tempistica di tale meccanismo di blocco della procedura, non essendo precisato entro quali spazi temporali può pervenire la comunicazione dall’estero che potrebbe fare cambiare idea al pubblico ministero e, soprattutto, nella misura in cui l’inizio dell’esecuzione all’estero sembra innescare un processo irreversibile. In realtà, anche
qui, le ambiguità sembrano derivare dalle incertezze linguistiche nel recepimento interno della decisione quadro 2009/829/GAI; infatti, può ragionevolmente ritenersi che le suddette comunicazioni da parte dello Stato estero di ricezione siano prodromiche all’esecuzione della misura; una conferma proviene
dal termine di dieci giorni dalla decisione (dello Stato estero di esecuzione) entro il quale il pubblico
ministero deve trasmettere la comunicazione del ritiro del certificato (art. 7, comma 4). Ad ogni modo,
il potere di modifica della decisione sulla misura cautelare (art. 8, comma 3) conferma la permanenza
della competenza dell’autorità italiana a decidere sull’applicazione della misura.
L’avvenuto riconoscimento da parte dell’autorità estera solleva l’autorità italiana dalla sorveglianza
7
V. F. Iovino, Il procedimento cautelare, in L. Kalb (a cura di), “Spazio europeo di giustizia” e procedimento penale italiano, Torino,
2012, p. 417 ss.
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degli obblighi e delle prescrizioni impartite (art. 8); la riassunzione degli stessi può avvenire in caso di
cessazione della competenza dell’autorità estera se: l’interessato si trasferisce in altro Stato; vi è incompatibilità con le modifiche eventualmente intervenute ad opera dell’autorità italiana; è scaduto il termine massimo previsto dalla legislazione dello Stato estero.
TRASMISSIONE DALL’ESTERO
Il riconoscimento interno della decisione sulle misure cautelari diverse dalla detenzione spetta, come
detto, alla corte di appello. Le condizioni per il riconoscimento (art. 10, comma 1) sono: la doppia punibilità del fatto dal quale scaturiscono le misure cautelari alternative alla detenzione, a meno che non si
ricada nelle ipotesi previste dall’art. 11 contenente deroghe alla doppia punibilità; la volontà del soggetto di eseguirla nello Stato; la compatibilità applicativa tra legislazione italiana ed estera. È previsto un
potere di adeguamento da parte della corte di appello (con divieto di reformatio in peius) qualora la natura o la durata degli obblighi e delle prescrizioni impartite siano incompatibili con la legislazione italiana; di tali interventi se ne dà comunicazione all’autorità estera richiedente (art. 10, comma 2).
Qualora il certificato trasmesso dall’autorità estera fosse incompleto o difforme rispetto alla decisione sulle misure cautelari o comunque insufficiente ai fini del riconoscimento, la corte di appello può richiedere la trasmissione di un nuovo certificato (art. 12). La corte decide entro 10 giorni senza formalità
e trasmette il provvedimento al procuratore generale presso la corte di appello per l’esecuzione. Contro
il provvedimento di riconoscimento si può ricorrere per cassazione. La decisione definitiva è trasmessa
dal Ministero della giustizia all’autorità estera competente.
Il riconoscimento può essere rifiutato, previa consultazione dell’autorità estera richiedente, se mancano le condizioni per il riconoscimento previste dall’art. 10, comma 1 (v. supra), se il certificato è incompleto o manifestamente non corrispondente alla decisione di cui si chiede il riconoscimento, se ricorre la violazione del ne bis in idem; il rigetto non è preceduto dalla consultazione in caso di mancata
doppia punibilità (a meno che non si ricada in materia di tasse e imposte), di prescrizione del reato presupposto, di immunità o di mancanza di imputabilità.
Una volta effettuato il riconoscimento, competente per l’esecuzione della misura è il procuratore generale presso la corte di appello e la disciplina applicabile è quella italiana, rimanendo ferma, invece, la
competenza dell’autorità estera per eventuali modifiche o revoche della decisione applicativa della misura riconosciuta (art. 14, comma 3).
L’art. 15 prevede le ipotesi di cessazione della competenza dell’autorità italiana per l’esecuzione della misura riconosciuta. Oltre che in caso di trasferimento all’estero dell’interessato (lett. a) e b)), la sorveglianza viene meno qualora, in caso di modifiche medio tempore intervenute da parte dell’autorità
estera, sopravvenga l’incompatibilità della misura con la legislazione italiana (lett. c)), se scadono i termini massimi fissati dalla normativa italiana e in caso di inerzia dell’autorità estera dinanzi all’inosservanza agli obblighi o alle prescrizioni prontamente comunicata dall’autorità italiana.
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