di Ematologia Oncologica

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di Ematologia Oncologica
ISSN 2038-2839
Editor in chief
Giorgio Lambertenghi Deliliers
Anno 9
Numero 1
2012
Seminari
di Ematologia
Oncologica
NEL PROSSIMO NUMERO
IMMUNOTERAPIA
Razionale biologico •
Agenti Immunomodulanti •
Anticorpi monoclonali •
Vaccinoterapia •
Il paziente “unfit”
EDIZIONI
COD. CST-HEMA0006
INTERNAZIONALI srl
Edizioni Medico Scientifiche - Pavia
Il paziente “unfit”
Inquadramento clinico-biologico
5
SARA MARTINELLI, GIAN MATTEO RIGOLIN,
ANTONIO CUNEO
Vol. 9 - n. 1 - 2012
Editor in Chief
Giorgio Lambertenghi Deliliers
Fondazione IRCCS Ca’ Granda
Ospedale Maggiore Policlinico di Milano
Editorial Board
Sergio Amadori
Leucemia linfatica cronica
23
ENRICA MORRA, ELEONORA VISMARA
Università degli Studi Tor Vergata, Roma
Mario Boccadoro
Università degli Studi, Torino
Alberto Bosi
Università degli Studi, Firenze
Federico Caligaris Cappio
Università Vita e Salute, Istituto San Raffaele, Milano
Linfomi non Hodgkin
43
FRANCESCO DI RAIMONDO
Antonio Cuneo
Università degli Studi, Ferrara
Marco Gobbi
Università degli Studi, Genova
Fabrizio Pane
Università degli Studi, Pisa
Mario Petrini
Università degli Studi, Napoli
Trapianto di cellule staminali
emopoietiche
ROBERTO RAIMONDI, CARLO BORGHERO,
FRANCESCA ELICE, FRANCESCO RODEGHIERO
Giovanni Pizzolo
Università degli Studi, Verona
67
Giorgina Specchia
Università degli Studi, Bari
Direttore Responsabile
Paolo E. Zoncada
Registrazione Trib. di Milano n. 532
del 6 settembre 2007
Edizioni Internazionali srl
Divisione EDIMES
Edizioni Medico-Scientifiche - Pavia
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Seminari
2
Periodicità
Quadrimestrale
Scopi
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di Ematologia
Oncologica
Periodico di aggiornamento
sulla clinica e terapia
delle emopatie neoplastiche
Bibliografia
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il sito “International Committee of Medical Journal Editors Uniform
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Sample References”.
Es. 1 - Articolo standard
1. Bianchi AG, Rossi EV. Immunologic effect of donor lymphocytes in bone marrow transplantation. N Engl J Med. 2004; 232:
284-7.
Es. 2 - Articolo con più di 6 autori (dopo il 6° autore et al.)
1. Bianchi AG, Rossi EV, Rose ME, Huerbin MB, Melick J, Marion
DW, et al. Immunologic effect of donor lymphocytes in bone marrow transplantation. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7.
Es. 3 - Letter
1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes
[Letter]. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7.
Es. 4 - Capitoli di libri
1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes. In: Caplan RS, Vigna AB, editors. Immunology. Milano:
MacGraw-Hill; 2002; p. 93-113.
Es. 5 - Abstract congressi (non più di 6 autori)
1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes
in bone marrow transplantation [Abstract]. Haematologica.
2002; 19: (Suppl. 1): S178.
Ringraziamenti
Riguarda persone e/o gruppi che, pur non avendo dignità di AA.,
meritano comunque di essere citati per il loro apporto alla realizzazione dell’articolo.
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3
Editoriale
GIORGIO LAMBERTENGHI DELILIERS
Fondazione IRCCS Ca’ Granda,
Ospedale Maggiore Policlinico di Milano
Nelle più moderne classificazioni delle condizioni neoplastiche è sempre più utilizzato il termine
unfit per identificare quei pazienti non idonei a
ricevere un determinato trattamento sia per le
alterazioni di organi e di apparati legati al processo fisiologico dell’invecchiamento, sia per la presenza di comorbidità indipendenti dall’età. La vulnerabilità di questi soggetti ha suggerito strategie terapeutiche molto più prudenti rispetto al
passato, orientate a ridurre l’aggressività della
chemioterapia standard e, soprattutto, ad utilizzare strumenti per la definizione dello stato di fragilità. Seminari di Ematologia Oncologica ha scelto come esempio alcune emopatie neoplastiche
dove la valutazione comprensiva dei parametri
funzionali, clinici e biologici nel caso di pazienti
anziani e/o affetti da copatologie, è oggi fortemente raccomandata nella fase diagnostica,
come premessa indispensabile alla scelta del
trattamento. La scarsa rappresentatività dei
pazienti unfit all’interno di studi clinici dedicati alla
leucemia linfatica cronica, ha recentemente
indotto a utilizzare i protocolli di monoterapia o
chemioimmunoterapia ormai standardizzati con
l’ottica di mantenerne l’efficacia, ma nello stesso tempo di ridurne la tossicità, soprattutto a
livello midollare. Particolare interesse stanno
suscitando i nuovi farmaci immunomodulanti,
che agiscono sui meccanismi patogenetici e sulle
alterazioni molecolari specifiche della malattia.
Analogamente accade nei linfomi non Hodgkin la
cui incidenza, aumentando con l’età, pone problemi di scelte terapeutiche compatibili con la
condizione di fragilità dei pazienti. Mentre nei linfomi a bassa malignità l’atteggiamento watch and
wait è nella maggior parte dei casi il più indicato, viceversa in quelli a maggiore aggressività clinica, considerato il fallimento delle esperienze
palliative, un approccio polichemio-immunoterapico è oggi proponibile, se combinato ad una
profilassi antinfettiva e ad una adeguata terapia
di supporto. La necessità di disporre di strumenti predittivi è ancora più sentita quando si deve
prospettare al paziente l’opzione trapiantologica
con cellule staminali emopoietiche, gravata tuttora da una significativa mortalità e morbilità, che
aumentano progressivamente con l’età. Dal
momento che un singolo parametro di funzionalità d’organo non è di per sé discriminante, sono
oggi disponibili sistemi di scoring che permettono di trarre una valutazione globale e affidabile
dello stato funzionale del paziente e delle varie
comorbilità, e quindi in ultima analisi di stratificare il rischio del trapianto.
5
Inquadramento
clinico-biologico
SARA MARTINELLI, GIAN MATTEO RIGOLIN, ANTONIO CUNEO
Sezione di Ematologia, Dipartimento di Scienze Biomediche e Terapie Avanzate,
Università di Ferrara
n INTRODUZIONE
Nelle ultime tre decadi il mondo occidentale ha
assistito all’emergere di due fenomeni strettamente correlati: l’espansione della popolazione anziana, in particolare delle persone oltre gli 85 anni di
età, ed il miglioramento dell’aspettativa di vita di
pazienti affetti da disabilità e malattie croniche (1).
Nella pratica clinica, in particolare in ambito oncologico, si incontrano pertanto con crescente frequenza pazienti anziani o molto anziani e/o affetti da una o più comorbilità significative. La scelta
del trattamento in questa categoria di pazienti deve
soppesare attentamente i rischi e le complicanze
legati alla malattia ed alla terapia e valutarne i
potenziali benefici, non solo in termini di sopravvivenza ma anche di qualità della vita.
È nata in questo contesto la definizione di
paziente unfit, che identifica la persona non idonea a ricevere un trattamento antineoplastico
secondo i protocolli ed i dosaggi riconosciuti
come “standard of care” per la malattia specifica (2, 3). L’eterogeneità delle condizioni che possono concorrere a determinare questo status è
particolarmente spiccata nell’anziano, in cui alle
Parole chiave: paziente unfit, comorbilità, anziano, chemioterapia, tossicità.
Indirizzo per la corrispondenza
Sara Martinelli
Sezione di Ematologia
Azienda Ospedaliero-Universitaria S. Anna
Corso della Giovecca, 203 - Ferrara
E-mail: [email protected]
Sara Martinelli
comorbilità si associano variabilmente le modificazioni parafisiologiche legate all’età. Si preferisce quindi differenziare, nell’ambito della popolazione geriatrica unfit, il paziente vulnerabile, candidato ad una riduzione dei dosaggi o alla scelta di farmaci alternativi pur mantenendo un intento di efficacia antineoplastica, ed il paziente fragile (frail), candidato essenzialmente ad interventi palliativi (2, 3). Al momento attuale non esistono linee guida riconosciute per la gestione oncologica dei pazienti unfit, poichè esclusi, in quanto tali, dalla grande maggioranza dei trials clinici
ad oggi condotti. La scelta terapeutica si fonda
quindi essenzialmente sull’esperienza clinica del
curante e sulla soggettiva rimodulazione dei protocolli approvati sperimentalmente per il paziente fit (2-4). L’attenzione a queste problematiche
è tuttavia sempre maggiore, con il progressivo
avvio di studi clinici disegnati ad hoc e la standardizzazione degli strumenti di definizione e classificazione della crescente popolazione di pazienti unfit (2).
n VALUTAZIONE DEL FITNESS STATUS
Un primo grande limite nell’approccio al paziente unfit è rappresentato dalla mancanza di una
definizione univoca che lo identifichi, sia nella pratica clinica sia nei pochi trials disegnati appositamente (2, 3). Vengono di seguito descritti gli strumenti variamente utilizzati per la valutazione del
fitness status del paziente oncologico, con particolare attenzione al delicato inquadramento globale del paziente anziano.
6
Seminari di Ematologia Oncologica
Valutazione del performance status
La valutazione del performance status (PS) è lo
strumento tradizionalmente usato dagli oncologi
per stabilire l’impatto generale della malattia sul
paziente. Fornisce un’informazione di immediata applicabilità nella stratificazione prognostica,
nella scelta terapeutica e nel monitoraggio del
paziente ed è diffusamente utilizzata come criterio di arruolamento/esclusione nei trials clinici (5).
Due scale vengono principalmente utilizzate a
questo scopo (Tabella 1):
- Karnofsky performance status score (6).
- Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG)
performance status score (7).
Entrambe le scale rappresentano validi strumenti di valutazione del paziente adulto, essendo la
scala di Karnofsky più dettagliata e quindi pro-
Punteggio
gnosticamente più discriminante, a fronte di una
maggiore semplicità ed applicabilità della scala
ECOG (5). La sensibilità di valutazione del paziente geriatrico con questi strumenti appare però
scarsa: l’80% dei pazienti oncologici anziani risulta infatti avere un buon performance status (ECOG
0-1) nonostante la frequente associazione di
comorbilità e deficit funzionali che non devono
essere sottostimati nella pianificazione del trattamento (5).
Valutazione dello stato funzionale
Lo stato funzionale esprime la capacità di un
paziente di eseguire specifiche attività, essenziali per il mantenimento dell’autonomia nella vita
quotidiana (5). Si tratta di un parametro descrittivo di particolare sensibilità per l’inquadramen-
Livello di capacità funzionale
Definizione
Karnofsky Performance Scale
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
Normale, non sintomi o segni di malattia.
In grado di svolgere le normali attività,
sintomi o segni lievi di malattia.
Svolge le normali attività con un certo sforzo,
alcuni segni o sintomi di malattia.
(A) In grado di svolgere le normali attività e di
lavorare. Non necessita di attenzioni speciali.
Si occupa di se stesso ma non è in grado di
svolgere le normali attività nè un lavoro attivo.
Richiede occasionale assistenza ma è in grado
di occuparsi della maggior parte delle sue
necessità.
Richiede una considerevole assistenza e
frequenti cure mediche.
(B) Inabile al lavoro, in grado di vivere al domicilio e
di occuparsi delle sue necessità personali. Richiede
un variabile grado di assistenza.
Disabile, richiede una speciale assistenza.
Severamente disabile, indicata l’ospedalizzazione.
Condizioni gravi, necessaria l’ospedalizzazione
per attivi interventi di supporto.
Paziente terminale.
Paziente deceduto.
(C) Incapace di occuparsi di sè stesso,
richiede un’assistenza professionale
e può andare incontro a rapido decadimento
delle condizioni generali.
ECOG Performance Scale
0
1
2
3
4
Pienamente attivo, nessuna limitazione nelle normali attività.
Restrizioni nell’attività fisica strenua ma svolge le normali attività ed è in grado di compiere lavori leggeri.
Si occupa di sè stesso ma non è in grado di svolgere alcuna attività lavorativa. È in piedi per >50%
delle ore di veglia.
In grado di occuparsi di sè stesso solo parzialmente; confinato a letto o in poltrona per >50% delle ore
di veglia.
Completamente disabile; non è in grado di occuparsi di sè stesso; totalmente confinato a letto
o in poltrona.
TABELLA 1 - Karnofsky ed ECOG performance scales (6, 7).
Inquadramento clinico-biologico
to del paziente geriatrico, nel quale spesso la perdita di capacità funzionale rappresenta il primo o
l’unico segno di malattia o di esacerbazione di una
condizione cronica (5).
Gli strumenti più utilizzati per la valutazione dello stato funzionale sono i questionari ADL
(Activities of Daily Living) e IADL (Instrumental
Activities of Daily Living), che analizzano rispettivamente l’autonomia del paziente nelle attività
basali minime del vivere quotidiano e nelle attività strumentali caratterizzanti la vita di relazione
(Tabella 2) (5). Le formulazioni più comuni sono
rappresentate dalla scala di Katz per le ADL e di
Lawton-Brody per le IADL (8, 9). Esistono tuttavia strumenti alternativi, talvolta privilegiati in specifici ambiti di applicazione (ad es. l’indice di
Barthel, particolarmente utilizzato nel settore riabilitativo) (5).
Valutazione delle comorbilità
Un’attenta valutazione delle comorbilità che
caratterizzano il paziente oncologico, in particolare geriatrico, è essenziale nella definizione del
rapporto rischio-beneficio di ogni scelta terapeutica. È stato dimostrato che il carico di comorbilità non si correla significativamente con lo stato
funzionale e deve essere quindi valutato indipendentemente (10). A differenza del performance status e dello stato funzionale, la comorbilità è un
parametro multidimensionale che può essere
standardizzato utilizzando sistemi a punteggio che
valutino più variabili e riassumano poi il significato in un indice. Seppure auspicabile, non vi è al
Katz ADL scale
Lawton-Brody IADL scale
Igiene personale
Vestirsi e svestirsi
Recarsi in bagno
Spostamenti funzionali
(es. dal letto alla
poltrona)
Continenza
Alimentazione
Utilizzo del telefono
Fare spese
Preparazione dei pasti
Gestione della casa
Lavaggio di indumenti
Utilizzo dei mezzi
di trasporto
Gestione dei propri
medicinali
Gestione delle finanze
TABELLA 2 - Parametri valutati nelle scale ADL e IADL (8, 9).
momento un unico indice di comorbilità universalmente condiviso ed utilizzato nella pratica clinica e negli studi sperimentali; numerosi strumenti sono disponibili e validi, pur riflettendo alcune
differenze nell’approccio al problema (11). Tra gli
indici di comorbilità maggiormente diffusi e validati ricordiamo in particolare (Tabella 3):
- Charlson comorbidity index (Charlson) (12): probabilmente il più utilizzato fino ad oggi per la sua
semplicità di applicazione. È predittivo del rischio
di mortalità a medio-lungo termine ed è stato validato anche nel paziente oncologico geriatrico in
cui si correla, tra l’altro, con la sopravvivenza libera da malattia (11). Tra le potenziali limitazioni
all’applicazione in ambito oncologico vi è il fatto
che questo indice non considera alcune comorbilità potenzialmente rilevanti nella scelta del trattamento antineoplastico (disordini non neoplastici dell’emopoiesi, polineuropatie, insufficienza
renale moderata) (11).
- Cumulative Illness Rating Scale (CIRS) (13): raccoglie in maniera sistematica le comorbilità del
paziente, classificandole in base al sistema/apparato affetto e graduandone la severità secondo
una scala da 0 a 4 (11). Se sono presenti due condizioni morbose per una stessa categoria, viene
inserita nel conteggio quella con severità maggiore (11). È stato formulato un adattamento specifico per la popolazione oncologica geriatrica
(CIRS- Geriatric, CIRS-G), che viene oggi diffusamente utilizzato anche per i pazienti oncologici adulti (11). Lo score CIRS si correla con la
mortalità, con il tasso e la durata di ospedalizzazione e, nell’anziano oncologico, anche con la
sopravvivenza libera da malattia (11). La compilazione è più impegnativa rispetto al Charlson ma
la discriminazione prognostica in termini di mortalità risulta più fine. Il limite di questo strumento può essere rappresentato dall’effetto confondente dell’inclusione di patologie poco rilevanti
nella determinazione dell’outcome del paziente
neoplastico (11).
L’applicazione sistematica di questi indici in studi prospettici consentirà di definirne con maggiore precisione il significato predittivo, specialmente per variabili diverse dalla mortalità quali la tossicità da chemioterapia o il rischio di declino funzionale, così da poter scegliere o disegnare lo strumento migliore per stimare l’impatto della comor-
7
8
Seminari di Ematologia Oncologica
bilità in base all’endpoint specifico (14). Citando
a questo proposito un esempio di interesse ematologico, è stato recentemente proposto un indice di comorbilità specifico per pazienti con mielodisplasia (MDS-comorbidity index, MDS-CI)
con significato predittivo in termini di sopravvivenza globale, di mortalità non legata a trasformazione leucemica e di probabilità di risposta alla
terapia con agenti ipometilanti (15-17).
Valutazione geriatrica comprensiva
Il paziente oncologico anziano mostra una significativa prevalenza di problematiche geriatriche:
circa il 20% di questi pazienti ha un ECOG PS
≥2, una pari percentuale presenta limitazioni nelle ADL, più di metà è dipendente nelle IADL, oltre
CHARLSON INDEX
Condizione patologica
CIRS-G
Punteggio
Infarto miocardico
Scompenso cardiaco
Vasculopatia periferica
Patologia cerebrovascolare
Demenza
1
1
1
1
1
Patologia polmonare cronica
1
Connettivopatia
Ulcera peptica
1
1
Malattia epatica di grado lieve
1
Diabete
Emiplegia
Malattia renale di grado moderato/severo
1
2
2
Diabete con danno d’organo avanzato
2
Tumore solido
Leucemia
Linfoma
Malattia epatica di grado moderato/severo
Tumore solido metastatico
AIDS
Classi di comorbilità
Bassa
Media
Elevata
Molto elevata
2
2
2
3
6
6
TABELLA 3 - Charlson index e CIRS-G (12, 13).
il 90% è affetto da almeno una comorbilità, nel
20-40% dei pazienti si associa un quadro depressivo, nel 25-35% un declino cognitivo, il 30-50%
è a rischio di malnutrizione o francamente denutrito, infine, il rischio di interazioni farmacologiche
è elevato, essendo stata calcolata una media di
sei diversi principi attivi parallelamente assunti (18).
La valutazione globale del fitness status nel
paziente oncologico geriatrico non può quindi
essere riassunta da un unico parametro ma richiede un’analisi multidimensionale di tutti gli aspetti sopracitati: questo tipo di valutazione viene definita Valutazione Geriatrica Comprensiva - VGC
(Comprehensive Geriatric Assessment - CGA).
Non vi è al momento una formulazione standardizzata di VGC, sebbene vi sia ampio consenso
0 punti
1-2 punti
3-4 punti
>= 5 punti
Apparato/sistema coinvolto
Punteggio
Cardiaco
Vascolare
Ematopoietico
Respiratorio
Occhio, orecchio, naso, gola, laringe
Tratto GI alto
Tratto GI basso
Fegato
Rene
Genitourinario
Muscolo-scheletrico e tegumentario
Neurologico
Endocrino-metabolico e mammella
Malattia psichiatrica
N° tot di apparati/sistemi coinvolti
Punteggio complessivo
Assegnazione del grado di severità
Nessun problema
Patologia lieve o pregressa
Patologia moderata che richiede terapia
Patologia severa o non controllabile con la terapia
Patologia molto severa o insufficienza d’organo
terminale
-
0
1
2
3
4
Inquadramento clinico-biologico
Sindromi geriatriche
Delirio
(scatenato da farmaci o patologie organiche che
normalmente non coinvolgono il SNC.
ad es. infezioni delle vie urinarie o respiratorie)
Demenza
(tale da limitare l’individuo nelle ADL)
Depressione
(tale da limitare le interazioni sociali e associarsi a
disturbi del sonno e dell’alimentazione)
Incontinenza
(tale da limitare la vita sociale)
Cadute
(almeno 3 in un mese o tali che la paura di cadere limiti le normali attività)
Vertigini
Fratture spontanee
Perdita di peso nonostante adeguata nutrizione
Maltrattamento e abbandono
TABELLA 4 - Le principali sindromi geriatriche (20).
sulle problematiche che devono essere valutate
(14, 18, 19):
- Performance status: Karnofsky o ECOG scale.
- Stato funzionale: ADL e IADL.
- Comorbilità: Charlson index o CIRS-G.
- Stato cognitivo: Folstein Mini Mental State
(MMS).
- Stato psicologico: Geriatric Depression Scale
(GDS).
- Stato nutrizionale: Mini Nutritional Assessment
(MNA).
- Livello di supporto sociale: condizioni di vita,
assetto familiare, disponibilità ed adeguatezza
di un caregiver.
- Polifarmacoterapia e rischio di interazioni farmacologiche.
- Sindromi geriatriche (Tabella 4).
La valutazione geriatrica multidimensionale fornisce informazioni predittive di morbilità e mortalità nei pazienti oncologici anziani. L’applicazione
sistematica in studi prospettici, eventualmente
facilitata da formulazioni semplificate con significato di screening, consentirà di validarne l’impatto su altri endpoints, quali la tolleranza al trattamento a breve e lungo termine, la perdita di
capacità funzionale o altre variabili di particolare
interesse nella popolazione geriatrica (14).
n LA BIOLOGIA DEL TUMORE
NEL PAZIENTE UNFIT
La crescente attenzione al fitness status nel
paziente oncologico ha portato all’osservazione
che la presenza di comorbilità influisce sull’outcome, non solo in termini di maggior rischio di
complicanze e di ridotta tolleranza al trattamento, ma anche per un effetto diretto sul comportamento biologico della neoplasia (14, 21).
Incidenza di patologie neoplastiche
nel paziente con comorbilità
Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato una correlazione positiva tra alcune patologie
internistiche e l’incidenza di diverse forme neoplastiche, secondo meccanismi patogenetici che
non si limitano alla condivisione degli stessi fattori di rischio ma che coinvolgono modificazioni
indotte a vari livelli dalla patologia di base e che
si rivelano favorenti lo sviluppo tumorale (Tabella
5). Questa associazione è stata studiata particolarmente per tre aree di interesse internistico (23):
- Diabete e sindrome metabolica: l’insulinoresistenza sembra contribuire all’aumentato rischio
neoplastico in quanto responsabile di iperinsulinemia, aumentata espressione di fattori di crescita (in particolare IGF-1) ed attivazione di pathways
antiapoptotici (in particolare NFkB) (23). Numerosi
studi riportano un’aumentata mortalità legata a
patologie neoplastiche nel paziente obeso (23).
Tra i meccanismi imputati vi è un aumento dei livelli di leptina e IGF-1, che possono agire come fattori di crescita, e di IL-6, con possibile effetto sinergico (23).
- Patologie infiammatorie, autoimmuni e immunodeficienze: lo stimolo proliferativo rappresentato
dalla flogosi cronica e la deregolazione del sistema immunitario con conseguente ridotta efficienza della sorveglianza immune costituiscono un
substrato favorente lo sviluppo di neoplasie, in
particolare ematologiche, ma non solo (21, 23).
Da non sottovalutare, inoltre, è il rischio potenzialmente associato all’immunosoppressione
iatrogena nelle prime due classi di disordini (23).
- Invecchiamento: numerose osservazioni giustificano dal punto di vista biologico l’associazione tra l’età avanzata e l’incidenza di neoplasie,
tra queste la prolungata esposizione ad agenti
9
10
Seminari di Ematologia Oncologica
Patologia di base
Neoplasie ad aumentata incidenza
Neoplasie a ridotta incidenza
Diabete
Pancreas, fegato, colon-retto, seno,
vescica e linfomi non Hodgkin (LNH)
Esofago, colon-retto, prostata e mieloma
Seno, tiroide, cute e melanoma
Non note
Seno
LNH
Cervello
Polmone, prostata, linfoma di Hodgkin (LH)
Malattie allergiche
Malattia di Parkinson
Malattia di Alzheimer
Schizofrenia
Anoressia nervosa
Sclerosi multipla
Vescica, seno, pancreas, LH e LNH
Polmone, colon-retto, vescica e prostata
Tutti i tipi di neoplasia
Polmone, colon-retto, prostata
Seno
Polmone
TABELLA 5 - Aumentata e ridotta incidenza di neoplasie in pazienti con altre comorbilità (22).
cancerogeni e la crescente instabilità del DNA con
aumentato rischio mutazionale, dovuta alla ridotta efficienza dei meccanismi di riparazione,
all’accorciamento dei telomeri ed alla maggior
suscettibilità allo stress ossidativo (24). Inoltre,
anche in assenza di comorbilità, l’invecchiamento si associa ad un aumento dei marcatori di flogosi (IL-6, VES, PCR) (23) e può essere nel complesso considerato una condizione infiammatoria cronica (21). Altri fattori legati all’età che possono influenzare la crescita neoplastica sono l’immunosenescenza (con particolare rilievo alla
senescenza dei linfociti T CD8), la senescenza
endocrina, con l’associata tendenza all’insulinoresistenza, e la senescenza proliferativa delle cellule stromali, caratterizzata da una anomala
espressione di fattori di crescita e di enzimi quali le metalloproteinasi, potenzialmente favorenti
il processo metastatico (21, 25).
Di particolare e recente interesse è anche la situazione paradossale di comorbilità inversa, che si
esprime in una ridotta incidenza di neoplasie
rispetto all’atteso in una popolazione portatrice
di una particolare comorbilità (22) (Tabella 5). Il
dato interessante emerso da studi epidemiologici e clinici è la peculiare associazione di questo fenomeno con patologie neurologiche o neuropsichiatriche, con i conseguenti interrogativi sul
complesso ruolo che il sistema nervoso centrale può esercitare nella tumorigenesi e progressione neoplastica (22).
Prognosi della patologia neoplastica
nel paziente con comorbilità
La presenza di comorbilità può influenzare secondo diversi meccanismi il comportamento biolo-
gico della malattia neoplastica e quindi la prognosi del paziente:
- Indirettamente: è stato evidenziato come
pazienti con compromissione dello stato funzionale ed elevato carico di comorbilità, in particolare diabete e patologie alcol- o tabacco-relate,
vengano sottoposti con minor regolarità ad
indagini di screening e ricevano quindi diagnosi
di neoplasia in stadio più avanzato (26). Altre
osservazioni mostrano invece un vantaggio in termini di diagnosi precoce per i pazienti unfit, in
virtù della maggior frequenza con cui si sottopongono a visita medica (26). D’altra parte, anche nei
pazienti che ricevono una diagnosi tardiva, la
maggiore mortalità registrata sembra dipendere
non tanto dal ritardo diagnostico quanto dalla presenza stessa di comorbilità (26). L’applicazione
di una valutazione multidimensionale in questa
categoria di pazienti, in base alla quale formulare o meno la raccomandazione allo screening
antineoplastico, consentirebbe di evitare l’underscreening in pazienti che potrebbero beneficiarne, così come l’over-screening in pazienti già troppo compromessi (26).
- Direttamente: è stato osservato come pazienti con comorbilità, a parità di tipo di neoplasia,
di stadio e di trattamento, mostrino una minore
sopravvivenza libera da malattia ed una maggiore mortalità malattia-specifica rispetto ai pazienti senza altre patologie concomitanti, lasciando
intravvedere una possibile interazione biologica
diretta tra patologia di base e progressione neoplastica (23). I meccanismi coinvolti sono poco
noti e forse in parte sovrapponibili a quelli che
giustificano la maggior incidenza di alcune neoplasie in questa categoria di pazienti. In ambito
Inquadramento clinico-biologico
ematologico, è paradigmatico il setting della leucemia acuta mieloide (LAM), in cui si registra una
maggiore incidenza di caratteristiche citogenetiche sfavorevoli e di pregressa sindrome mielodisplastica nel paziente anziano rispetto al giovane (24). Non solo, uno studio condotto in
pazienti anziani con LAM, giudicati idonei ad
essere sottoposti a chemioterapia di induzione
a regime standard, ha mostrato come la presenza di comorbilità (CCI, Charlson comorbidity
index >1) fosse un fattore predittivo indipendente di ridotto ottenimento di remissione completa (27). Analogamente, in pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B, un elevato CCI si è dimostrato associato in maniera indipendente all’overall response rate, oltre che alla sopravvivenza
globale (28). La ricerca in questo ambito potrebbe portare, in virtù di una maggiore comprensione dei complessi meccanismi eziopatogenetici
che regolano l’interazione tra comorbilità e neoplasia, all’individuazione di nuovi target terapeutici (23).
n LA CHEMIOTERAPIA
NEL PAZIENTE UNFIT
L’esclusione sistematica dei pazienti unfit dalla
maggior parte dei trials clinici ad oggi condotti
giustifica la mancanza di chiare linee guida sulla gestione oncologica di questa categoria di
pazienti. Molti sono gli interrogativi aperti: se esista una soglia che definisca quali casi siano candidabili ad un trattamento chemioterapico, quali ad una riduzione di dose, quali al solo intervento palliativo, quale sia lo strumento migliore per
definire tale soglia e secondo quale criterio operare la modulazione dei dosaggi. Numerosi stu-
Momenti
farmacocinetici
Tipo di alterazione
Meccanismo dell’alterazione
Condizioni a rischio
Assorbimento
Ridotto
Paziente anziano
Malattia peptica
Polifarmacoterapia
Distribuzione
Ridotto Vd di
farmaci idrosolubili
Atrofia della mucosa gastrica,
ridotta secrezione gastrica,
ridotto flusso ematico splancnico,
utilizzo cronico di inibitori di pompa
protonica
Ridotto contenuto di acqua
corporea e/o ridotta concentrazione
di proteine plasmatiche e/o ridotta
concentrazione di emoglobina
Aumentato contenuto di acqua corporea
Aumentato Vd di
farmaci idrosolubili
Metabolismo
Escrezione
Aumentato Vd di
farmaci liposolubili
Aumento del grasso corporeo
Ridotta attività del
citocromo P450
Ridotta funzionalità epatica primitiva
e/o inibizione iatrogena
Potenziata attività
del citocromo P450
Induzione enzimatica iatrogena
Ridotta eliminazione
renale
Ridotta velocità di filtrazione
glomerulare, ridotto flusso ematico
renale, interazioni farmacologiche
(Vd = volume di distribuzione)
TABELLA 6 - Alterazioni farmacocinetiche nel paziente unfit (24, 34).
Paziente anziano
Insufficienza epatica
Malnutrizione/disidratazione
Anemia
Scompenso cardiaco
Ascite, versamento pleurico
Gravidanza
Obesità
Paziente anziano
Epatopatia pre-esistente
Metastasi epatiche
Polifarmacoterapia
Polifarmacoterapia
Paziente anziano
Insufficienza renale cronica
Rene da mieloma
Disidratazione
Polifarmacoterapia
11
12
Seminari di Ematologia Oncologica
di, prevalentemente retrospettivi, hanno dimostrato un vantaggio, in termini di sopravvivenza, in
pazienti unfit che siano stati sottoposti a trattamenti con intento curativo (29-31), a fronte invece di una tendenza a sottotrattare questi pazienti con effetto negativo sulla prognosi (31, 32).
D’altra parte, alcuni autori denunciano il rischio
di sottostimare il costo sintomatico di un trattamento intensivo in un paziente con queste caratteristiche, in cui patologie pre-esistenti possono
essere esacerbate e l’incidenza di nuove complicanze è maggiore, e viceversa di sovrastimare gli effettivi benefici in termini di durata e qualità della vita (33).
Alterazioni farmacocinetiche
nel paziente unfit
I parametri farmacocinetici possono essere variamente modificati dalla presenza di comorbilità ed
in particolare dall’avanzare dell’età, ed influenzano a loro volta l’efficacia terapeutica e la tossicità dei trattamenti antineoplastici (Tabella 6).
Polifarmacoterapia ed interazioni
farmacologiche
I pazienti oncologici anziani e/o unfit sono particolarmente a rischio di interazioni farmacologiche.
In aggiunta al trattamento chemioterapico, questi pazienti spesso utilizzano farmaci per il controllo dei sintomi legati alla malattia o degli effetti collaterali del trattamento, oltre alla terapia cronica assunta per comorbilità frequentemente
associate o a scopo di profilassi primaria o secondaria. Da non sottostimare, inoltre, è la frequente assunzione di farmaci da banco che non richiedono prescrizione medica (over the counter- OTC
drugs) e di medicine complementari e alternative (complementary and alternative medicines CAMs), quali integratori vitaminici, erbe officinali o rimedi omeopatici (35). La recente tendenza
all’utilizzo di terapie antineoplastiche per via orale (es. metotressato, ciclofosfamide, capecitabina, tamoxifene, inibitori delle tirosinchinasi) comporta senz’altro un vantaggio in termini di tossicità e semplicità di gestione del paziente unfit,
aumentando tuttavia la possibilità di interferenza
con terapie concomitanti (35).
Le interazioni farmacologiche contribuiscono per
il 20-30% agli effetti collaterali del trattamento nel
paziente oncologico, con un 70% dei casi che
richiede un intervento clinico ed un 1-2% dei casi
che risulta potenzialmente fatale (35, 36). Le manifestazioni cliniche possono dipendere da una
potenziata tossicità della terapia antineoplastica
come dalla ridotta efficacia o aumentata attività
di uno dei farmaci assunti per altro scopo. È molto importante, inoltre, che venga considerata la
possibile riduzione di efficacia antineoplastica del
trattamento a causa della concomitante somministrazione di altre terapie (35).
Le interazioni farmacologiche possono avvenire
secondo due meccanismi:
- Interazioni farmacocinetiche: in cui risulta alterato l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo o l’escrezione di un farmaco per effetto di
un altro. Nella maggior parte di questi casi si tratta di alterazioni del metabolismo epatico di agenti chemioterapici e non, derivanti da una induzione/inibizione degli enzimi del citocromo P450 (37).
- Interazioni farmacodinamiche: si verificano
quando due agenti terapeutici agiscono sullo stesso target. L’effetto dell’interazione può essere
additivo, sinergico o antagonista, con possibili
conseguenze sull’efficacia o tossicità dei farmaci coinvolti (37).
Uno studio di prevalenza condotto recentemente su quasi 300 pazienti in trattamento antineoplastico ha dimostrato la presenza di almeno una
potenziale interazione farmacologica (potential
drug interaction - PDI) in oltre il 50% dei pazienti, trattandosi in un terzo dei casi di interazioni
maggiori, cioè con conseguenze cliniche potenzialmente gravi (37). Tra queste gli autori segnalano in particolare l’allungamento dell’intervallo QT,
favorito dal sinergismo tra farmaci di uso comune in ambito oncologico (es. doxorubicina,
ondansetron, chinolonici), ed il rischio di caduta
conseguente alla associazione di terapie con effetto depressivo sul sistema nervoso centrale (37).
Dallo stesso lavoro è emerso inoltre come l’80%
dei pazienti faccia uso di farmaci OTC, responsabili di PDI nel 10% dei casi (37). Questo dato
è particolarmente allarmante poichè si tratta di farmaci che spesso sfuggono al controllo dell’equipe medica che ha in cura il paziente.
Alcune tra le principali interazioni farmacologiche
che possono verificarsi nell’ambito dell’ematologia oncologica sono sintetizzate in Tabella 7.
Inquadramento clinico-biologico
Interazione
Potenziale effetto clinico
Raccomandazioni
Etoposide/Gemcitabina + Warfarin
Aumentato effetto anticoagulante
Mercaptopurina (MP)/
Ciclofosfamide (CTX)
+ Allopurinolo
Metotressato (MTX)
+ FANS/Trimetoprimsulfometossazolo
Vincristina (VCR) + Itraconazolo
Imatinib + Erba di S. Giovanni
Aumentata concentrazione
di MP/CTX e potenziata tossicità
Monitoraggio INR e aggiustamento
dosaggio warfarin
Ridurre dosi MP/CTX
Doxorubicina + Ondansetron/
Amiodarone/Levofloxacina
Aumentata tossicità MTX
Evitare l’associazione
Potenziata neurotossicità di VCR
Ridotta concentrazione ed efficacia
di imatinib
Potenziale allungamento QT
Evitare l’associazione
Evitare l’associazione
Evitare l’associazione
TABELLA 7 - Potenziali interazioni farmacologiche in ematologia oncologica (35, 37).
Il primo provvedimento nell’approccio al paziente in polifarmacoterapia è la raccolta di una precisa anamnesi farmacologica, che includa anche
i farmaci assunti senza prescrizione medica ed i
rimedi complementari o alternativi. In secondo luogo, assume fondamentale importanza la valutazione dell’appropriatezza di una prescrizione farmacologica, così da poter sospendere farmaci
non necessari o dannosi e potenzialmente interferenti con terapie antineoplastiche: esistono strumenti per la valutazione di questo parametro quali i criteri di Beer (38) e l’indice di appropriatezza
terapeutica (medication appropriateness index)
(39). Terapie che potevano risultare appropriate
al momento della prescrizione possono perdere
di significato, in termini di beneficio a lungo termine, nel paziente con malattia neoplastica, con
particolare riferimento alla farmacoprofilassi primaria e secondaria di eventi cardiovascolari (35).
Numerose risorse, anche informatizzate, sono infine rapidamente accessibili per verificare le possibili interazioni tra i diversi principi attivi, il significato clinico delle stesse e la forza dell’evidenza
scientifica al riguardo, così che il clinico possa
ponderare per il singolo paziente i rischi ed i benefici legati alla prosecuzione di una data terapia o
viceversa alla sua interruzione (35).
Ridotta riserva funzionale e chemiotossicità
La variabile compromissione della riserva funzionale di ogni individuo e l’eventuale coesistenza
di condizioni morbose influenzano in modo signi-
ficativo il manifestarsi di tossicità legate al trattamento chemioterapico.
- Mielotossicità: rappresenta uno dei più significativi effetti collaterali della chemioterapia sistemica e si associa ad una considerevole morbilità e mortalità. Non di rado impone una riduzione
dei dosaggi ed un ritardo nella somministrazione
del trattamento antineoplastico, con possibili effetti negativi sulla prognosi (40). La riserva emopoietica del paziente unfit può essere compromessa per diverse ragioni e comportare quindi una
maggiore vulnerabilità allo stress indotto dalla chemioterapia:
a) la flogosi cronica e l’insufficienza renale cronica si associano a mielosoppressione, ed in
particolare ad anemia, per la presenza di citochine infiammatorie o di sostanze tossiche non
adeguatamente eliminate che alterano i delicati equilibri del microambiente midollare, nonchè per la ridotta produzione di fattori di crescita emopoietici quali l’eritropoietina;
b) la presenza di gastropatia o epatopatia può
determinare una carenza di vitamina B12 e/o
folati;
c) lo stato di malnutrizione o la presenza di perdite ematiche croniche possono associarsi ad
una condizione ferrocarenziale;
d) la stessa neoplasia, fino al quadro estremo della cachessia neoplastica, può associarsi a mielosoppressione secondo tutti i meccanismi già
citati, con l’aggiunta della possibile occupazione midollare primitiva o metastatica;
13
14
Seminari di Ematologia Oncologica
e) infine, il paziente oncologico unfit è nella maggior parte dei casi un paziente anziano, la cui
riserva emopoietica risulta ridotta, anche in
assenza di comorbilità, secondo una genesi
multifattoriale che include il lento ma progressivo esaurimento della capacità di rigenerazione delle cellule staminali, la ridotta produzione di fattori di crescita emopoietici e l’alterata fisiologia del microambiente midollare (41).
Un recente studio prospettico ha validato un
modello predittivo del rischio di neutropenia febbrile grave in pazienti affetti da tumori solidi o linfomi in trattamento chemioterapico (40).
I fattori di rischio per questo tipo di complicanze
sono legati a:
a) il tipo di neoplasia;
b) il regime chemioterapico, i dosaggi e la tempistica di somministrazione (con un’incidenza
di complicanze nettamente maggiore dopo il
primo ciclo);
c) le caratteristiche del paziente (età avanzata ma
anche comorbilità, in particolare alterata funzionalità epatica e renale) (40).
Condizioni morbose coesistenti possono inoltre
rappresentare di per sé un background favorente le complicanze infettive, particolarmente in neutropenia: basti pensare al paziente con broncopneumopatia cronica ostruttiva o un quadro di malnutrizione. Le linee guida prodotte dall’American
Society of Clinical Oncology (ASCO) e dal
National Comprehensive Cancer Network (NCCN)
supportano l’utilizzo profilattico di fattori di crescita granulocitari nel paziente in trattamento chemioterapico quando il rischio di neutropenia febbrile sia stimato pari o superiore al 20%, seppure senza univoca definizione dello strumento da
utilizzare per formulare questa stima (42, 43).
L’utilizzo di agenti stimolanti l’eritropoiesi (ESAs)
nel paziente oncologico trova invece una indicazione solo terapeutica, in caso di anemia sintomatica, con Hb <10 g/dl, conseguente al trattamento chemioterapico di una neoplasia non ematologica (44). Le più recenti linee guida NCCN non
danno indicazione all’utilizzo di ESAs in pazienti
in cui il trattamento antineoplastico abbia un intento curativo (45), mentre le indicazioni dell’American
Society of Hematology/American Society of
Clinical Oncology (ASH/ASCO) non pongono questa distinzione (44). Infine, le linee guida svilup-
pate dal NCCN appositamente per il paziente
anziano danno indicazione ad attenersi alle stesse raccomandazioni fornite per l’adulto nella
gestione della mielosoppressione associata al trattamento antineoplastico (46).
- Cardiotossicità: in ambito ematologico, il problema di maggior interesse è rappresentato dalla cardiomiopatia indotta da antracicline. Fattori
di rischio indipendenti per lo sviluppo del danno
miocardico sono, oltre alla dose totale di farmaco somministrata, l’età avanzata, una pre-esistente patologia miocardica ed una eventuale pregressa radioterapia a livello toracico (47, 48). Il paziente unfit ha quindi maggiori probabilità di sviluppare questa complicanza. Il profilo di cardiotossicità di questa classe di farmaci può essere
migliorato modulando:
a) la formulazione, con la disponibilità di preparazioni liposomiali, quali in particolare la doxorubicina liposomiale peghilata, che si sono
mostrate efficaci e con minori effetti collaterali non solo in termini di cardiopatia ma anche
di mielosoppressione, nausea e vomito;
b) la modalità di somministrazione, essendo
l’infusione continua di doxorubicina meno cardiotossica, a prezzo però di una maggior incidenza di mucosite;
c) l’utilizzo preventivo di antidoti quali la digossina, che previene l’uptake del farmaco da parte delle cellule miocardiche, o il dexrazoxane,
che chela il ferro miocardico prevenendone l’interazione con la doxorubicina e la formazione di radicali liberi responsabili della cardiomiopatia (34).
La profilassi con dexrazoxane, seppure efficace,
è risultata associata ad un aumentato rischio di
mucosite e di mielosoppressione (49), nonchè ad
una ridotta risposta alla doxorubicina nel carcinoma mammario (50). Le attuali indicazioni alla
cardioprofilassi con questo farmaco sono pertanto state ristrette a dosaggi cumulativi di doxorubicina superiori ad un dato cut-off e solo a partire dal secondo ciclo di terapia (34).
- Nefrotossicità: gli agenti chemioterapici possono provocare danno renale o alterazioni idroelettrolitiche agendo a livello glomerulare, tubulare,
interstiziale o del microcircolo, con quadri clinici
che possono variare da un incremento asintomatico della creatinina sierica fino all’insufficienza
Inquadramento clinico-biologico
renale acuta con necessità di trattamento dialitico (51). Il rene rappresenta inoltre una delle principali vie di eliminazione di numerosi farmaci antineoplastici e dei loro metaboliti, che possono
quindi permanere nell’organismo più a lungo in
caso di compromessa funzionalità renale, con
conseguente aumento della tossicità sistemica
(51). Alcuni fattori di rischio, tipicamente presenti nel paziente unfit, possono incrementare il
potenziale nefrotossico del trattamento chemioterapico (51):
a) una riduzione del volume intravascolare, dovuta a perdite o a sequestro di liquidi (edema,
versamento pleurico o ascitico);
b) un utilizzo concomitante di farmaci nefrotossici per altra indicazione (ad es. antibiotici aminoglicosidici, farmaci anti-infiammatori non steroidei) o di mezzi di contrasto iodati;
c) una nefropatia pre-esistente, primitiva o secondaria;
d) una uropatia ostruttiva o nefropatia associata
alla neoplasia stessa (paradigmatico il caso del
rene da mieloma).
Tra i chemioterapici di interesse ematologico, il
metotressato (MTX) ha il maggiore potenziale
nefrotossico: quando utilizzato ad alte dosi (1-15
g/m2) per via endovenosa può precipitare nei tubuli renali producendo un danno tubulare fino al quadro di necrosi tubulare acuta. Il rischio è particolarmente elevato in pazienti con deplezione di
volume o ridotto pH urinario (51). Un’adeguata
idratazione con alcalinizzazione delle urine e monitoraggio della diuresi riduce la probabilità che questo avvenga. La somministrazione di MTX può
associarsi anche ad una transitoria riduzione della velocità di filtrazione glomerulare, dovuta ad una
vasocostrizione dell’arteriola afferente, completamente reversibile entro 6-8 ore dal termine della
terapia (51).
- Epatotossicità: numerosi agenti chemioterapici
sono soggetti a captazione, metabolismo ed
escrezione epatica, pertanto una alterata funzionalità del fegato può risultare in una esacerbazione degli effetti tossici sistemici del trattamento
antineoplastico; inoltre, alcuni di questi agenti
sono in grado di esercitare un effetto epatotossico diretto o di aggravare una pre-esistente epatopatia, specialmente in corso di epatite virale cronica HBV- o HCV-relata (52, 53). Il quadro clinico di una epatotossicità indotta da chemioterapia può variare da anomalie di laboratorio asintomatiche ad un quadro di epatite acuta, fino all’in-
Effetto tossico epatico
Agente chemioterapico
Frequenza
Severità
Aumento di transaminasi,
fosfatasi alcalina
e bilirubina
Asparaginasi, azatioprina,
mercaptopurina, carmustina,
citarabina, doxorubicina,
gemcitabina, imatinib,
interferon, melphalan,
metotressato
Comune
Lieve ed in genere reversibile
Inibizione della
protido-sintesi
Asparaginasi
Comune
Lieve ed in genere reversibile
Colestasi intraepatica
ed epatite colestatica
Azatioprina, mercaptopurina,
citarabina
Busulfano, gemcitabina
Comune
Lieve ed in genere reversibile
Rara
Potenzialmente severa
Malattia veno-occlusiva
Busulfano, ciclofosfamide,
etoposide, melfalan
(tutti ad alte dosi)
10-25% dei pazienti
sottoposti a trapianto
di midollo osseo
Severa e potenzialmente
fatale
Insufficienza epatica
fulminante
Dacarbazina, imatinib
Rara
Potenzialmente fatale
Steatosi
Asparaginasi
Comune
Lieve ed in genere reversibile
Fibrosi e cirrosi
Clorambucile
Molto rara
Potenzialmente severa
TABELLA 8 - Potenziale epatotossicità di farmaci utilizzati in ematologia oncologica (54).
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16
Seminari di Ematologia Oncologica
sufficienza epatica (53). Il danno epatotossico è
in alcuni casi reversibile, mentre in altri progredisce ad un quadro di fibrosi e cirrosi nonostante
la sospensione del farmaco (53). La potenziale tossicità epatica di farmaci di interesse ematologico è riassunta in Tabella 8. Una pre-esistente epatopatia (un’epatite virale o autoimmune, carenze
nutrizionali, metastasi epatobiliari) aumenta la
suscettibilità al danno chemioindotto e deve essere tenuta in debita considerazione nella scelta del
tipo e del dosaggio del trattamento antineoplastico e nella eventuale adozione di misure profilattiche. L’infezione cronica da HBV ed HCV è tra
le più comuni comorbilità che possono essere
esacerbate dalla terapia oncologica; in particolare, è stata segnalata un’aumentata incidenza di
riattivazione di epatite HBV-relata in pazienti sottoposti a trattamento chemioterapico sistemico,
con importante significato predittivo e prognostico del dosaggio quantitativo del DNA virale prima dell’inizio della terapia. Numerosi studi hanno dimostrato che l’utilizzo profilattico di lamivudina può ridurre sia l’incidenza che la severità delle riattivazioni ed è perciò entrato ormai nella pratica clinica (53). La riattivazione di epatite HCVrelata in corso di chemioterapia è stata osservata solo sporadicamente, più frequentemente si è
assistito invece ad un aumento asintomatico dei
livelli di transaminasi (53). Non essendo disponibile alcun presidio di farmacoprofilassi per il virus
C, ci si attiene in questa evenienza ad uno stretto monitoraggio clinico-laboratoristico.
- Neurotossicità: la neuropatia periferica è una
comune complicanza della terapia con alcaloidi
della vinca, inibitori della topoisomerasi II, taxani e derivati del platino (34). Condizioni croniche
quali diabete, deficit di vitamina B12, polivasculopatia su base aterosclerotica o pre-esistente
neuropatia, eventualmente tumore-relata (associata a paraproteinemia o paraneoplastica), possono aumentare il rischio di neurotossicità periferica (34). Il decorso clinico di queste forme è caratterizzato da un variabile grado di reversibilità nel
tempo ed assume particolare rilevanza nel paziente anziano perchè può determinare un significativo declino funzionale. Non esistono misure profilattiche nè interventi terapeutici di sicura efficacia, pertanto è importante valutare i fattori di
rischio ed evitare l’associazione di agenti con
potenziale neurotossico (34). La neurotossicità
centrale può dipendere dall’accumulo di metalli
pesanti e loro metaboliti nel sistema nervoso centrale (derivati del platino) o da un effetto neurotossico centrale diretto del farmaco (metotressato, citarabina, fluorouracile) e può manifestarsi con
una sindrome cerebellare o encefalopatica acuta o con quadri di leucoencefalopatia cronica (55).
L’età avanzata e soprattutto una compromessa
funzionalità renale favoriscono gli effetti tossici a
carico del SNC (34). Di particolare interesse ematologico è la neurotossicità associata all’utilizzo
dei nuovi farmaci per la terapia del mieloma: gli
agenti immunomodulanti, talidomide e lenalidomide, e l’inibitore del proteasoma, bortezomib.
L’impiego di talidomide in prima linea si associa
in circa la metà dei casi allo sviluppo di neuropatia periferica simmetrica distale, tipicamente sensitiva ma anche combinata sensitivo-motoria,
dovuta a danno assonale (56). L’effetto dannoso
è dose dipendente, è solo parzialmente reversibile e può comportare una riduzione dei dosaggi o l’interruzione del trattamento in una percentuale di pazienti che raggiunge il 60% (56). La stipsi, particolarmente nell’anziano, la bradicardia e
l’impotenza possono essere effetti indesiderati della terapia a carico del sistema nervoso autonomo (56). Non risulta risparmiato il sistema nervoso centrale, a carico del quale il più comune effetto indesiderato è rappresentato dalla sonnolenza, che in genere tuttavia si riduce dopo le prime
settimane di terapia (56). La neurotossicità associata alla terapia con lenalidomide si è dimostrata invece nettamente infrequente, sia a livello periferico che centrale (56). Per quanto riguarda bortezomib, la neurotossicità periferica rappresenta
una delle più significative forme di tossicità non
ematologica e si manifesta, con vario grado di
intensità, nel 60-75% dei pazienti trattati con lo
schema standard di somministrazione bisettimanale (56). Si tratta tipicamente di una neuropatia
sensitiva distale molto dolorosa e limitante, in particolare per il paziente anziano, dovuta verosimilmente ad un danno diretto a carico dei gangli sensitivi delle radici dorsali (56). L’interruzione del trattamento o la riduzione del dosaggio (con il passaggio ad esempio alla somministrazione monosettimanale) si associa a restitutio ad integrum nella maggioranza dei casi (56). L’incidenza e la seve-
Inquadramento clinico-biologico
rità della neuropatia periferica associata a questi
nuovi farmaci risultano maggiori in caso di preesistente neuropatia di qualunque natura o in
pazienti già pesantemente pretrattati (56).
Strumenti predittivi di tossicità
del trattamento
Alla luce delle considerazioni fatte, appare chiara la potenziale utilità clinica di un modello predittivo di suscettibilità alla tossicità da chemioterapia, che possa aiutare il curante nella scelta terapeutica mirata al paziente unfit.
Due studi prospettici multicentrici sono stati recentemente condotti allo scopo di disegnare e validare score predittivi di chemiotossicità per il
paziente oncologico anziano:
1. il modello proposto da Hurria e collaboratori
nasce da uno studio prospettico eseguito su 500
pazienti di età uguale o superiore a 65 anni e si
è dimostrato predittivo dello sviluppo di tossicità di grado 3-5 secondo i criteri NCI-CTCAE
(National Cancer Institute- Common Terminology
Criteria for Adverse Events) (57). Utilizza parametri sociodemografici, dati di laboratorio, variabili specifiche della valutazione geriatrica multidimensionale e dati relativi al tipo di neoplasia e
di trattamento. Sulla base di questi parametri viene generato uno score che assegna ogni paziente ad una di tre classi di rischio: basso (rischio
del 30% di sviluppare tossicità di grado 3-5);
intermedio (52%); elevato (83%) (57). I limiti principali di questo studio sono rappresentati dal fatto che non attribuisce un peso diverso ai diversi regimi chemioterapici ma assegna un significato predittivo solo alla polichemioterapia, rispetto alla monoterapia, e all’assunzione di dosaggi
standard piuttosto che ridotti (57). Inoltre, nonostante il modello sia stato sottoposto a validazione interna, manca di una validazione esterna
in una coorte indipendente (57).
2. il CRASH-Score (Chemotherapy Risk
Assessment Scale for High-age patients) nasce
invece da uno studio prospettico eseguito su oltre
500 pazienti di età uguale o superiore a 70 anni
e si propone come strumento predittivo di chemiotossicità severa, definita come tossicità ematologica di grado 4 e non-ematologica di grado
3/4, secondo i criteri NCI-CTCAE (58). Anche in
questo caso, i parametri utilizzati per la costru-
Punteggio
0
1
2
Score ematologicoa
Pressione diastolica <=72
IADL
26-29
LDH
<=0.74XULN
Chemotox
>72
10-25
>0.74XULN
0-0.44
0.45-0.57
ECOG PS
0
1-2
MMS
30
>0.57
Score non
ematologicoa
MNA
28-30
Chemotox
0-0.44
3-4
<30
<28
0.45-0.57
>0.57
Abbreviazioni: Chemotox, tossicità dei regimi chemioterapici calcolata secondo l’indice MAX2; MMS, Mini Mental Status; MNA, Mini
Nutritional Assessment; ULN, upper limit of normal. aPer lo score
combinato si sommano i punti dello score ematologico e non ematologico, contando il parametro Chemotox una sola volta.
TABELLA 9 - CRASH-score (58).
zione del modello comprendevano variabili cliniche relative a diversi aspetti (età, sesso, BMI,
pressione diastolica, CIRS-G, polifarmacoterapia),
laboratoristiche, geriatriche (tutte le componenti della valutazione geriatrica multidimensionale)
e tumore-specifiche, con l’aggiunta però, rispetto allo studio precedente, di un rischio specifico
di tossicità attribuito ai diversi regimi chemioterapici utilizzando l’indice MAX2 (58). L’indice
MAX2 (the maximum 2 toxicities) è stato calcolato in maniera retrospettiva a partire dai dati di
trials clinici pubblicati ed esprime il rischio
medio, per paziente, di tossicità severa associata ad un dato regime chemioterapico (58-60). Si
ottiene dalla media tra la più elevata incidenza
di tossicità ematologica di grado 4 e non ematologica di grado 3/4 riportata nei trials clinici per
uno specifico regime di terapia. L’indice è stato
validato ed è riproducibile per diversi tipi di neoplasia ed in diversi studi clinici (58-60). Il CRASHscore si compone di due scale: la prima predittiva di tossicità ematologica, la seconda di tossicità non ematologica. È affidabile sia la predittività di ognuna delle due scale considerate singolarmente, sia il dato di rischio globale ottenuto dalla combinazione dei due scores (Tabella 9)
(58). I pazienti vengono così stratificati in 4 clas-
17
18
Seminari di Ematologia Oncologica
si di rischio: bassa, medio-bassa, medio-alta, alta.
Degno di nota è il fatto che la quota di rischio
della classe più bassa permane non indifferente, a sottolineare la necessità di un attento monitoraggio per qualunque paziente anziano in trattamento chemioterapico. Il modello è stato validato sia internamente che in una coorte esterna indipendente ed è stato proposto per la validazione anche nel paziente di età <70 anni (58).
Seppure oggetto di dibattito ormai da alcuni anni,
non è ad oggi stato raggiunto un consenso sulla definizione clinica di fragilità (frailty) del paziente anziano e sui criteri che permettano di identificare a priori il paziente frail, non candidabile quindi ad un trattamento antineoplastico per il rischio
troppo elevato di tossicità (61-63). Da un punto
di vista descrittivo, la condizione di frailty è uno
stato non specifico di vulnerabilità che riflette una
ridotta riserva funzionale multisistemica ed una
conseguente limitata capacità di risposta a stimoli stressogeni e a perturbazioni anche minime dell’omeostasi dell’individuo (63). I fattori che contribuiscono a generare questa condizione non
sono necessariamente rappresentati da patologie concomitanti, le modificazioni fisiologiche, psicologiche, cognitive e sociali che accompagnano l’invecchiamento possono esser sufficienti a
rendere un anziano frail (63). Le numerose definizioni operative di frailty utilizzate negli anni dai
diversi autori ed i loro punti di contatto e divergenza sono l’oggetto di una recente ed interessante revisione sistematica della letteratura operata da Sternberg et al. (61).
Spostando l’attenzione sul paziente ematologico,
è ormai diffusamente utilizzato in questo ambito
uno strumento disegnato e validato appositamente per la stima del rischio trapiantologico nei
pazienti in cui troverebbe indicazione il trapianto
allogenico (64). Si tratta di un indice specifico di
comorbilità
pre-trapiantologica
(HCT-CI,
Hematopoietic Cell Transplantation-Comorbidity
Index), con significato predittivo in termini di mortalità non legata a progressione di malattia (nonrelapse mortality) e di sopravvivenza globale posttrapianto (64).
La crescente attenzione alla definizione di un regime chemioterapico personalizzato, sulla base del
rischio individuale di tossicità, apre interessanti
prospettive al nuovo promettente settore di ricer-
ca rappresentato dalla farmacogenomica. La possibilità di predire il rischio di effetti indesiderati legati ad un particolare farmaco in base alla presenza di specifici polimorfismi genici nel genoma di
un individuo, è divenuta oggetto di intensa ricerca. In ambito ematologico, fino ad ora, questo tipo
di studi si è incentrato sulla possibile rilevanza di
polimorfismi genici coinvolti nella farmacocinetica e farmacodinamica del metotressato, a possibile spiegazione della variabilità della risposta al
farmaco e del suo profilo di tossicità (65-68). Sono
state studiate in particolare due comuni varianti,
non mutuamente esclusive, della sequenza genica che codifica l’enzima 5,10-Metilentetraidrofolatoreduttasi (MTHFR), la C667T (Ala222Val) e la
A1298C (Glu429Ala) (65-68). La presenza di questi polimorfismi si associa ad una ridotta attività
enzimatica con conseguente alterata distribuzione dei folati intracellulari e possibile interferenza
con l’attività farmacologica del MTX, avente
anch’esso come target il metabolismo intracellulare dei folati (67, 68). Dai numerosi studi condotti ad oggi al riguardo non sono tuttavia emersi dati
conclusivi, verosimilmente per le differenze nel
disegno degli studi e nelle caratteristiche dei campioni, ma anche per la difficoltà nel controllare
variabili ambientali confondenti quali il diverso
apporto di folati con la dieta (68). Dai dati attualmente disponibili, l’associazione più significativa
sembra esistere tra la variante C667T ed un’aumentata tossicità, ematologica e non, della terapia con MTX (65, 67, 68). La profilassi con acido
folinico dopo terapia con MTX ad alte dosi (il
rescue folinico, entrato ormai nella normale pratica clinica emato-oncologica) sembra tuttavia
annullare l’effetto sfavorevole del suddetto polimorfismo (66). Nessuna correlazione è stata univocamente dimostrata tra il polimorfismo A1298C
ed un profilo di aumentata tossicità, né tra alcuno dei due polimorfismi ed una diversa efficacia
della terapia con MTX (68).
Infine, ricordiamo in Tabella 10 alcune peculiari
categorie di pazienti che tendono ad essere trascurate nel novero dei pazienti tradizionalmente considerati unfit e che trovano ancora minor
rappresentazione negli studi clinici, per le quali tuttavia la scelta terapeutica in ambito oncologico pone questioni altrettanto, se non più
complesse.
Inquadramento clinico-biologico
Problematiche particolari
Riferimenti
bibliografici
Gravidanza
• Controindicate le indagini di imaging che utilizzano radiazioni ionizzanti.
• Generalmente controindicato ogni trattamento chemioterapico nel I trimestre
per la potenziale teratogenicità e tossicità fetale; possibile la chemioterapia
nel II e III trimestre seppure con le opportune cautele.
• Alterazioni farmacocinetiche che possono ridurre la concentrazione plasmatica
e quindi l’efficacia dei chemioterapici: aumentato volume plasmatico, terzo spazio
rappresentato dal liquido amniotico, alterato metabolismo epatico per effetto
delle modificazioni ormonali, aumentata escrezione renale per aumentata GFR.
• Possibile in genere il trattamento chirurgico; da valutare per ogni singolo caso
le indicazioni e controindicazioni alla radioterapia.
69, 70
Infezione da HIV
• Elevato rischio di interazioni farmacologiche tra HAART e trattamento
chemioterapico per il comune metabolismo epatico da parte del citocromo P450.
• Possibile potenziamento reciproco della tossicità di HAART e chemioterapia
per effetto sinergico: in particolare mielotossicità, epatotossicità, allungamento
del QT, neurotossicità periferica.
71
Obesità
• Aumentato rischio di sviluppare neoplasie.
• Ritardo diagnostico per ridotta adesione ai programmi di screening ed ostacolo
alle metodiche di imaging.
• Frequenti comorbilità, in particolare cardiovascolari e diabete.
• Difficoltà chirurgiche e radioterapiche.
• Frequente sottodosaggio della chemioterapia perchè calcolato sul peso ideale
e non sul peso reale.
• Alterazioni farmacocinetiche, in particolare aumentato volume di distribuzione
dei farmaci liposolubili.
Malattia mentale
• Maggior esposizione a fattori di rischio per neoplasia quali fumo, alcool e nulliparità
per la donna.
• Ridotta adesione a programmi di screening.
• Frequente presenza di comorbilità, in particolare cardiovascolari, respiratorie,
obesità o malnutrizione.
• Scarsa compliance al trattamento, in particolare radioterapico.
• Elevato rischio di interazioni farmacologiche tra terapia psichiatrica ed antineoplastica
e possibile tossicità sinergica (spt mielotossicità ed allungamento QT).
72, 73
74
TABELLA 10 - Particolari categorie di pazienti unfit.
n CONCLUSIONI
L’attuale gestione del paziente oncologico unfit
manca di linee guida condivise e di una base
solida nella letteratura scientifica. La sfida, già
avviata, per un futuro che vedrà in costante incremento questa categoria di pazienti è rappresentata dall’ideazione e dall’avvio di studi sperimentali ad hoc che permettano la validazione e standardizzazione degli strumenti di definizione e
classificazione del fitness status, degli score predittivi di tossicità del trattamento e di protocolli chemioterapici quanto più possibile individua-
lizzabili in base alle caratteristiche del singolo
paziente.
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Leucemia
linfatica cronica
ENRICA MORRA, ELEONORA VISMARA
Divisione di Ematologia, Ospedale Niguarda Cà Granda, Milano
n INTRODUZIONE
La leucemia linfatica cronica (LLC) è un disordine linfoproliferativo cronico che rientra tra le neoplasie a cellule B mature della classificazione
WHO (1) (Figura 1) e rappresenta la forma di leucemia più comune nell’emisfero occidentale (2).
Può essere considerata una patologia dell’anziano: i dati nordamericani SEER aggiornati al quinquennio 2003-2007 indicano un’incidenza di circa 4,2 casi per 100.000 abitanti che aumenta progressivamente fino a raggiungere i 22,3 casi per
100.000 abitanti quando si considera la fascia
della popolazione di età superiore ai 65 anni. L’età
media alla diagnosi è pari a 72 anni e circa il 75%
delle LLC è diagnosticato in pazienti ultrasessantacinquenni (3). Anche in Europa l’epidemiologia
è pressoché sovrapponibile (4). Possiamo concludere che prendere in carico un paziente affetto da LLC significa nella maggior parte dei casi
curare un paziente anziano. A questo proposito
è importante sottolineare che il processo fisiologico dell’invecchiamento si accompagna ad un
proporzionale incremento della presenza di
Parole chiave: leucemia linfatica cronica, fitness status, valutazione multidimensionale, trattamento.
Indirizzo per la corrispondenza
Dr.ssa Enrica Morra
Ospedale Niguarda Cà Granda
Piazza Ospedale Maggiore, 3 - 20162 Milano
E-mail: [email protected]
Enrica Morra
comorbilità: l’incidenza di copatologie è infatti
minima nei pazienti di età inferiore ai 55 anni e
aumenta esponenzialmente con l’incrementare
dell’età (incidenza di comorbilità pari al 3,6% nei
pazienti di età compresa tra 65 e 74 anni con un
picco intorno al 4,2% nei pazienti di età superiore ai 75 anni) (5, 6).
Poste queste premesse, è facile capire come la
strategia terapeutica da adottare nel paziente con
LLC deve tener conto non solo delle caratteristiche clinico-biologiche della patologia oncoematologica ma anche del soggetto in esame, considerando non solo il puro dato anagrafico ma
soprattutto il suo stato di fitness (7, 8).
La valutazione del fitness status ci permette di
suddividere i pazienti in tre sottogruppi: fit, unfit
e frail. Questa stratificazione risulta essere lo strumento migliore per valutare e gestire nella maniera più corretta il paziente con LLC nella sua complessità (9).
n INQUADRAMENTO DEL PAZIENTE
SECONDO IL FITNESS STATUS
L’approccio clinico più corretto di fronte a un
paziente affetto da LLC si deve basare su una
valutazione del paziente nel suo insieme, ponderando il suo stato di salute e la sua fragilità a prescindere da quello che è il reale dato anagrafico
(10). Ad oggi, i criteri su cui si basa la definizione della fitness del paziente non sono stati definiti con certezza e le scelte terapeutiche nella pra-
24
Seminari di Ematologia Oncologica
PREVALENZA DELLA LEUCEMIA LINFATICA CRONICA
NELLA POPOLAZIONE ITALIANA
FIGURA 1 - Epidemiologia della
LLC in Italia.
58.751.711 abitanti (18,7% età ≥65 anni)
2.243.953 persone con tumore
20.384 persone affette la leucemia linfatica cronica
Nord Est
38/100.000
Nord Ovest
46/100.000
Centro
30/100.000
Sud
29/100.000
tica clinica sono per lo più lasciate a valutazioni
individuali, basate sull’esperienza personale.
Già il concetto stesso di fitness è molto complicato da definire poiché abbraccia lo stato funzionale, emozionale e sociale dell’essere umano. Esiste
un accordo pressoché universale sul fatto che esso
non si basa solo sulla valutazione dello stato fisico, ma valuta in senso lato la capacità del soggetto di rispondere in maniera adeguata alle situazioni di stress. Per definizione, l’invecchiamento porta a un disequilibrio omeostatico/omeodinamico
che rende il soggetto meno resiliente (capacità di
recupero) e, di conseguenza, più fragile (11).
I diversi gruppi di esperti che si occupano di LLC
stanno valutando quale sia l’approccio migliore
da standardizzare per la valutazione dei criteri di
definizione della fitness, al fine di effettuare una
valutazione multidimensionale del paziente che sia
corretta e oggettivabile.
L’invecchiamento della popolazione, che si registra soprattutto nei paesi occidentali, causa un
incremento dell’incidenza e della prevalenza delle patologie neoplastiche (12). Con un’età mediana alla diagnosi intorno ai 70 anni, la LLC può
essere considerata in una buona parte dei casi
come una patologia dell’anziano (13). Dal punto
di vista clinico, la determinazione meglio validata dell’età fisiologica si può ottenere con la
Valutazione Geriatrica Multidimensionale (VGM),
denominata anche Comprehensive Geriatric
Assessment (CGA). Questa scala di valutazione
multidisciplinare del paziente, mutuata dall’esperienza clinica geriatrica, ha come scopo quello di
pianificare correttamente l’assistenza al paziente anziano, integrando le informazioni che lo
riguardano su aspetti quali disabilità, comorbilità, stato cognitivo e psicologico, ruolo sociale,
condizioni economiche, ambiente di riferimento
e politerapia farmacologica (14, 15). L’uso della
VGM nell’ambito delle patologie neoplastiche è
altamente raccomandato e trova indicazione nel
riconoscimento e nella gestione del soggetto
oncologico con problematiche correlate all’età o
unfit (16). Infatti, l’applicazione della VGM ai
pazienti oncologici anziani si è dimostrata in grado di predire non solo una stima dell’aspettativa
di vita e dell’eventuale sviluppo di tossicità
secondarie alla terapia, ma si è dimostrata efficace anche nell’identificare le condizioni di copatologia o comorbilità in pazienti con un apparente buon performance status (17, 18). Infine, il suo
utilizzo consente di avere un parametro di valutazione oggettivo del paziente anziano e con
comorbilità. Ulteriori studi sono però necessari per
sviluppare e validare un surrogato della VGM da
utilizzare in maniera specifica nell’ambito dell’oncologia geriatrica, che sia in grado di fornire una
valutazione oggettiva e confrontabile in tutti i sog-
Leucemia linfatica cronica
getti anziani con neoplasia (19). Il gruppo di
Extermann (20) ha dimostrato inoltre l’esistenza
di una correlazione tra la dipendenza per una o
più ADL (Activity of Daily Living), il grado più avanzato di comorbilità, e le complicazioni della chemioterapia.
Come già sottolineato, un ruolo importante nella
valutazione multidimensionale del paziente viene
giocato dalle copatologie che il soggetto presenta. In clinica, la comorbilità è definita come l’esistenza di ogni entità patologica addizionale
durante il decorso clinico di una patologia (21).
La prevalenza di multimorbilità, intesa come
copresenza di due o più patologie, è risultata piuttosto variabile ma risulta essere correlata in qualche modo all’età del paziente (22, 23). L’incidenza
di comorbilità nei pazienti oncologici incrementa
infatti con l’avanzare dell’età: il numero mediano
di comorbilità si assesta a 2,9 per pazienti di età
inferiore a 65 anni e sale fino a 4,2 nei pazienti di
età superiore a 75 anni (5, 24) (Figura 2). Quali siano le comorbilità con incidenza maggiore nel subset specifico del paziente con LLC non è noto ma
sappiamo che in ambito oncologico più di un terzo dei soggetti studiati presentano copatologie
quali ipertensione arteriosa, cardiopatie e patologie gastrointestinali (25).
Il valore prognostico negativo dato dalla presenza di comorbilità è noto per molte patologie oncologiche, pur non essendo ancora del tutto conosciute le complesse interazioni esistenti tra la patologia di base, il trattamento della stessa e la presenza di comorbilità (26).
Poste queste premesse, è quindi facile capire
come sia necessario disporre di misure precise
della frequenza e della severità della comorbilità
che devono essere valutate nella pratica clinica
mediante l’uso di scale e indici appositamente
disegnati.
La gravità delle comorbilità spesso non si riflette nel solo performance status del paziente e sono
pertanto necessarie scale funzionali più specifiche; la determinazione meglio validata delle
comorbilità nei pazienti affetti da patologia neoplastica si può ottenere mediante tre scale di valutazione differenti:
A) la versione Sorror dell’indice di Charlson (CCI)
considera 19 comorbilità raggruppate in 4 classi, ognuna con un proprio peso specifico. Con
5
4
3
2
1
0
0-64
65-74
≥75
FIGURA 2 - Incidenza di copatologie nella popolazione affetta
da LLC suddivisa per fasce d’età.
questa scala è possibile valutare quale sia il rischio
di mortalità del paziente in presenza di una data
comorbilità versus quello in sua assenza, generando così un indice età/comorbilità (27, 28);
B) la Cumulative Illness Rating Scale (CIRS) classifica le comorbilità in base all’apparato o all’organo coinvolto, valutando poi il peso della severità clinica e funzionale di ciascuna patologia (punteggio da 1 a 4). Questo strumento è solitamente preferito all’interno dei trial clinici per la facile
applicabilità su ampia scala (i punteggi sono ricavabili direttamente dalla cartella clinica e dall’anamnesi del paziente). Dalla sua applicazione
è possibile ottenere due indici: l’indice di comorbilità, che risulta dalla media dei punteggi delle
prime 13 categorie (escludendo la categoria patologie psichiatriche/comportamentali) e l‘indice di
severità, che rappresenta il numero delle categorie nelle quali si ottiene un punteggio superiore o
uguale a 3 (escludendo la categoria patologie psichiatriche/comportamentali) (29, 30);
C) l’indice delle patologie coesistenti (ICED) che
prende in considerazione la presenza di patologie fisiche e lo stato funzionale che ne consegue
(14 gruppi di patologie complessive), definendo
così un grado complessivo di disabilità (31, 32).
Considerato che il reale impatto delle comorbilità sulla tolleranza alla terapia e sulla qualità di vita
è difficilmente desumibile da studi retrospettivi, è
importante che gli strumenti validati per la loro
valutazione entrino a fare parte di studi clinici prospettici.
25
26
Seminari di Ematologia Oncologica
Utilizzando questi score di valutazione specifici è
quindi possibile distinguere nell’ambito dei pazienti con LLC tre diversi sottogruppi (16, 33):
1) pazienti fit o pazienti go-go in cui le comorbilità sono di lieve entità o del tutto assenti.
L’obiettivo terapeutico è quello di ottenere una
remissione completa anche molecolare di
malattia al fine di avere una sopravvivenza il
più vicino possibile a quella dei soggetti sani
di pari età. Questi pazienti possono quindi
essere candidati a trattamenti intensivi di chemio-immunoterapia finalizzati al miglioramento della progression free survival (PFS) e dell’overall survival (OS);
2) pazienti unfit o pazienti slow-go che presentano comorbilità multiple, ridotto performance status e funzioni d’organo. Questi pazienti andrebbero arruolati in studi clinici appositamente disegnati; qualora non fossero disponibili, devono essere sottoposti ad una attenta valutazione clinica per la scelta dell’approccio terapeutico più adatto, considerato l’alto
rischio di complicanze potenzialmente correlate alla tossicità del trattamento stesso. La
terapia deve essere di tipo contenitivo, finalizzata alla risoluzione dei sintomi legati alla
malattia e possibilmente ad un miglioramento della PFS;
3) pazienti frail o pazienti no-go che presentano
comorbilità gravi e ridotta aspettativa di vita,
candidati alla sola terapia palliativa volta al controllo dei sintomi.
n FATTORI PROGNOSTICI
La LLC è una patologia con un decorso clinico
estremamente variabile: in alcuni casi l’andamento è indolente, con sopravvivenze fino a oltre 20
anni; in altri casi il comportamento è francamente più aggressivo, con aspettativa di vita inferiore a 3 anni (34). Nel corso degli anni sono stati
identificati e validati una serie di parametri clinici e biologici che permettono una valutazione prognostica del paziente affetto da LLC più precisa
e individualizzata (35). Al contrario, una valutazione prognostica risulta difficile per quanto riguarda il subset specifico dei pazienti unfit, essendovi ad oggi solo pochi studi che valutino l’appli-
cabilità dei fattori prognostici clinici e biologici in
questa fetta di popolazione (36).
La stadiazione clinica secondo Rai o Binet, utilizzata come surrogato della massa tumorale, è
stata considerata per anni tra i più importanti fattori prognostici e permette di suddividere i
pazienti in categorie a diversa prognosi sulla
base di semplici elementi clinico-ematologici (37,
38). Nonostante sia stata proposta oltre trent’anni or sono, essa conferma la sua importanza
anche a fronte delle acquisizioni biologiche più
recenti.
Accanto allo stadio sono stati proposti altri fattori prognostici di tipo clinico e laboratoristico che
correlano con una ridotta sopravvivenza e una più
rapida progressione di malattia.
Uno studio del gruppo dell’MD Anderson Cancer
Center (MDACC) ha sviluppato un nomogramma
per valutare differenti fattori prognostici e il loro
peso specifico sulla valutazione della sopravvivenza in un campione di 1674 pazienti naive affetti
da LLC. I due fattori che hanno dimostrato il potere predittivo maggiore sono stati i livelli sierici di
beta2microglobulina (B2M) e l’età. Più nello specifico, analizzando il sottogruppo dei pazienti
anziani (441 pazienti di età superiore ai 65 anni,
età mediana 71 anni), i fattori prognostici più
importanti si sono dimostrati essere l’età stessa,
la B2M e il performance status (39).
Le casistiche pubblicate in letteratura dimostrano come la presenza di comorbilità abbia un
impatto prognosticamente sfavorevole sull’aspettativa di vita del paziente affetto da patologie
oncologiche. Pur non essendo del tutto conosciuti i meccanismi per cui questo si determina, è noto
che esiste innanzitutto un effetto sfavorevole indipendente, in quanto le comorbilità aggiungono un
rischio di mortalità a quello dato dalla patologia
primitiva (26, 40). In secondo luogo la presenza
di comorbilità spesso condiziona la scelta terapeutica, essendo responsabile di un undertreatment del paziente che più frequentemente mostra
una ridotta tolleranza ai trattamenti e sviluppa di
un maggior numero di complicanze severe (41).
L’invecchiamento è associato ad alterazioni delle condizioni fisiologiche che possono modificare la farmacologia e la farmacocinetica antitumorale (42). Con il passare degli anni si assiste alla
comparsa di alterazioni significative della distri-
Leucemia linfatica cronica
buzione del grasso corporeo e dell’acqua, nonché al più o meno accentuato peggioramento della funzionalità epatica e renale, tali da interferire
con l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l’eliminazione dei farmaci. Uno dei sistemi che più frequentemente peggiora la sua funzionalità con gli anni è l’emuntorio renale, con una
clearance della creatinina che decrementa circa
dell’1% per ogni anno a partire dai 40 anni (43).
Le variazioni farmacocinetiche portano spesso a
una necessità di rimodulare il dosaggio di alcuni
farmaci (44, 45). Un’analisi condotta dal Cancer
and Leukemia Group B, CALGB (studio 9011) su
oltre 190 pazienti trattati con fludarabina in
monoterapia (età mediana 64 anni) ha dimostrato come non sia l’età quanto la funzionalità renale (clearance della creatinina <80 ml/min) ad essere predittiva di maggiore tossicità legata al trattamento (46).
Nell’ambito degli studi del gruppo tedesco CLL4
e CLL5 è stato dimostrato che i pazienti che presentano comorbilità multiple (≥2) o di grave entità (Indice di Charlson ≥2) hanno una sopravvivenza inferiore rispetto ai soggetti che ricevono lo
stesso tipo di trattamento ma che non presentano copatologie (sopravvivenza a 5 anni: 75% vs
53%, p<0,001). Questo studio ha inoltre dimostrato come la comorbilità abbia un suo valore prognostico indipendente dall’età anagrafica nel predire la sopravvivenza del soggetto (47).
Come già detto, la comorbilità si rivela essere
spesso un fattore di esclusione dagli studi clinici che producono le indicazioni evidence based
sulla terapia della LLC (48).
Il gruppo della Mayo Clinic ha pubblicato i dati di
un’analisi retrospettiva riguardante la frequenza e
la tipologia delle comorbilità in oltre trecento
pazienti all’esordio della LLC. L’età mediana della popolazione in studio è di 68 anni. Il numero
mediano di comorbilità che ciascun paziente presenta è risultato essere pari a 2, con riscontro di
una copatologia maggiore nel 46% degli individui. In analisi univariata l’essere portatore di una
o più copatologie maggiori è risultato correlato con
una sopravvivenza ridotta, dato poi non confermato in analisi multivariata e negli stadi più precoci della patologia (pazienti in stadio A Binet).
Inoltre ben il 26% dei pazienti è stato giudicato
non arruolabile all’interno di studi clinici al
momento della decisione terapeutica, condizionando così una sopravvivenza minore pur in presenza di malattie con caratteristiche di aggressività sovrapponibili (time to first treatment similare) (25).
I recenti progressi cui abbiamo assistito nella
comprensione dell’eziopatogenesi della LLC,
hanno messo in luce come la prognosi della
malattia sia influenzata dalle sue caratteristiche
biologiche (49).
Alcune alterazioni citogenetiche evidenziabili
con l’utilizzo della tecnica FISH, le mutazioni che
interessano i geni che codificano per le catene
pesanti delle immunoglobuline (IgVH) e l’espressione degli antigeni CD38 e ZAP70 sembrano
essere responsabili della forte diversità del comportamento clinico della LLC. Per quanto riguarda il subset del paziente unfit è importante che
il clinico si chieda innanzitutto se le opzioni terapeutiche cui il paziente è candidato siano realmente così ampie da giustificare anche la determinazione dei fattori prognostici più costosi.
Insieme alla delezione 17p, la mutazione del gene
TP53 è l’alterazione genetica che si associa alla
prognosi più sfavorevole.
Per un corretto indirizzo terapeutico è quindi
importante valutare la loro presenza anche nel
paziente unfit, poiché queste alterazioni molecolari non rispondono alla terapia tradizionale con
agenti alchilanti e analoghi delle purine e i
pazienti devono essere indirizzati verso uno
schema terapeutico comprendente alemtuzumab,
steroidi o ofatumumab (50, 51).
Per quanto riguarda l’impatto prognostico delle altre
alterazioni FISH, uno studio condotto in epoca prerituximab, ha mostrato come la presenza della delezione del braccio lungo del cromosoma 11 abbia
un impatto negativo meno spiccato in termini di
sopravvivenza nel gruppo dei pazienti anziani (età
≥55 anni, OS 94 vs 111 mesi, p=0,82) (39).
n APPROCCIO TERAPEUTICO
SECONDO IL “FITNESS
STATUS” DEI PAZIENTI
Circa un terzo dei pazienti affetti da LLC presentano una malattia in fase di attiva progressione e
richiede pertanto un trattamento. I criteri decisio-
27
28
Seminari di Ematologia Oncologica
nali da seguire per iniziare un trattamento sono i
medesimi in tutti i pazienti (52); nell’ambito del
paziente unfit è necessario valutare con molta
attenzione il paziente nella sua complessità, considerando la presenza di comorbilità e il fitness
status, essendo questi parametri fondamentali per
la scelta terapeutica (53). Infatti, soprattutto in questi pazienti, la diminuzione dell’aspettativa di vita
e l’aumentata suscettibilità alle complicanze della terapia rendono il bilancio rischio-beneficio problematico in molti casi.
Per un corretto staging della patologia, nella maggior parte di questi pazienti, è sufficiente effettuare l’esame obiettivo, eventualmente corredato da
una valutazione radiografica del torace e da
un’ecografia dell’addome. Per coloro che sono
stati arruolati invece nei protocolli clinici è spesso consigliata l’esecuzione della TC, che deve
essere attentamente valutata considerando anche
la sua potenziale tossicità nel breve termine (ad
esempio il rischio di peggioramento di una insufficienza renale nota dopo infusione di mezzo di
contrasto organo-iodato) (52).
La LLC è stata considerata per anni come una
patologia cronica e trattata con un intento puramente contenitivo. Grazie alle recenti scoperte nella comprensione dell’eziopatogenesi e dei meccanismi biologici che ne influenzano il decorso,
siamo oggi testimoni di successi terapeutici che
hanno come ambizioso obiettivo la cura della
patologia.
La chemio-immunoterapia di associazione con fludarabina, ciclofosfamide e rituximab (schema
FCR) rappresenta ad oggi il gold standard del trattamento della LLC. Tale combinazione ha ottenuto non solo una maggiore percentuale di risposte di qualità superiore [in prima linea: overall
response rate, (ORR) 90%; complete response,
(CR) 44%] ma si è anche dimostrata capace di
prolungare la PFS e soprattutto la sopravvivenza globale (OS) dei pazienti trattati (a tre anni: PFS
65%, OS 87%). I pazienti arruolati negli studi che
hanno dimostrato la superiorità di FCR sono però
poco rappresentativi della reale epidemiologia della LLC. L’età media dei pazienti arruolati nello studio CLL8 è infatti di 61 anni (verso un’età mediana alla diagnosi della patologia di 72 anni) e inoltre si tratta di pazienti con un buon fitness status
(criteri di inclusione nello studio: CIRS <6 e una
80
60
40
20
0
0-64
65-74
≥75
FIGURA 3 - Epidemiologia della LLC e arruolamento dei pazienti all’interno degli studi clinici del GCLLSG (CLL1, CLL4, CLL5)
nelle differenti fasce d’età.
clearance della creatinina >70 ml/min). Se andiamo invece a valutare nello specifico i risultati ottenuti nel gruppo dei pazienti di età superiore ai 65
anni, vediamo come in questi pazienti FCR ottenga comunque ottime percentuali di risposta
(ORR 93%, CR 43%) ma questo non si traduca
in un parallelo incremento della sopravvivenza (a
tre anni: OS, FCR vs FC: 88% vs 78%, p=0,103).
Autore, anno
Trattamento
Età mediana
Johnson, 1996
CAP/F
62/63
Leporrier, 2001
CAP/CHOP/F
65/64/63
Rai, 2001
CLB/F
62/64
Knauf, 2009
CLB/B
64/64
Hillmen, 2007
CLB/CAM
60/59
Catovsky, 2007
CLB/F/FC
65/64/65
Eichhorst, 2006
F/FC
59/57
Flinn, 2007
F/FC
61/61
Robak, 2010
FCR/FC
62/63
Robak, 2010
FC/CC
59/58
Hallek, 2010
FC/FCR
61/61
Fischer, 2011
BR
66,5
F = fludarabina; C = ciclofosfamide; R = rituximab; B = bendamustina;
CC = cladribina; CLB = clorambucile; CAP = ciclofosfamide+doxorubicina+prednisone; CHOP = ciclofosfamide + doxorubicina + prednisone + vincristina; CAM = alemtuzumab.
TABELLA 1 - Età mediana dei pazienti affetti da LLC arruolati
all’interno degli studi clinici.
Leucemia linfatica cronica
Questo può essere spiegato verosimilmente dalla maggiore tossicità che grava questo sottogruppo (tossicità ematologica di grado III-IV pari al 53
vs 45% in assenza di un incremento statisticamente significativo delle infezioni maggiori) (54).
Il CLL8 non è un caso isolato, gran parte dei risultati pubblicati in letteratura sul trattamento della
LLC infatti derivano da trials clinici che escludono la possibilità di arruolamento per i pazienti più
anziani o che presentano patologie concomitanti (Figura 3). Non mancano prove concrete a sostegno di questa considerazione: da una recente
meta-analisi è emerso come su oltre 50.000 studi clinici, pubblicati dal 1990 al 2002, solo circa
un centinaio includono pazienti di età superiore
agli 80 anni (55) (Tabella 1).
Questa scarsa rappresentatività dei pazienti unfit
all’interno degli studi clinici porta a una reale difficoltà di estrapolazione alla pratica clinica dei risultati pubblicati. Nei prossimi anni sarà necessario
disegnare nuovi studi appositamente pensati grazie ai quali sia possibile individuare il miglior trattamento da offrire a questo specifico subset di
pazienti.
n TERAPIA DI PRIMA LINEA
Chemioterapia
I farmaci alchilanti (clorambucile, ciclofosfamide)
hanno rappresentato per decenni lo standard terapeutico della LLC. I vantaggi legati al loro utilizzo sono il profilo di tossicità favorevole nell’immediato (ma rischio di mielodisplasia e leucemia
acuta dopo un loro uso protratto nel tempo), il basso costo economico e la comodità gestionale del
trattamento. Nonostante il loro largo impiego, non
è stata accettata una comune posologia ed
un’unica schedula terapeutica, ma sono stati usati schemi di somministrazione che prevedono dosi
variabili con un’efficacia che si è dimostrata maggiore ai dosaggi più elevati (effetto dose-risposta),
seppur con percentuali di risposta piuttosto basse (56).
È stata l’introduzione degli analoghi delle purine
all’inizio degli anni ’90, in particolare della fludarabina, ad aver rivoluzionato lo scenario terapeutico della LLC. La successiva osservazione dell’esistenza di un effetto sinergico in vitro tra gli analoghi delle purine e gli agenti alchilanti ha portato alla conduzione di diversi studi per testarne in
vivo l’efficacia (57).
La monoterapia con agenti alchilanti e fludarabina è stata studiata in due importanti studi clinici
che hanno tra la popolazione target anche
pazienti anziani (Tabella 2). Il gruppo tedesco per
lo studio della LLC (GCLLSG) ha disegnato e condotto il primo trial clinico che ha come obiettivo
specifico l’anziano. Il CLL5 è uno studio randomizzato di fase III che confronta la monoterapia
con clorambucile e fludarabina in prima linea nel
subset dei pazienti anziani (età pari o superiore
ai 65 anni) con buone condizioni generali (ECOG
0-2). Circa due terzi dei pazienti arruolati presenta almeno una copatologia e questo si è associato a una OS e PFS ridotte all’analisi multivariata. L’arruolamento totale è stato di 193 pazienti con un’età mediana di 70 anni. Il trattamento
Autore,
anno
Trattamento
Pz.
Età
(n) mediana
Catovsky,
2007 (59)
Clb 10 mg/mq g 1-7. Max 12 c.
F 25 mg/mq ev g 1-5/F 40 mg/mq00 po g 1-5. 6 c.
F 25 mg/mq + C 250 mg/mq ev g1-3/F24 mg/mq
+ C150 mg/mq po g 1-5. 6 c.
387
194
65
64
196
65
Eichhorst,
2009 (58)
Clb 0,4 → 0,8 mg/kg g 1,15 per 12 mesi tot.
F 25 mg/mq ev g 1-5 ogni 28 g. 6 cicli
100
93
70
71
Knauf,
2009 (68)
B 100 mg/mq g 1,2 ogni 28 g. 6 c.
Clb 0,8 mg/kg ogni g 1,15 ogni 28 g. 6 c.
162
157
63
66
Status al ORR (%) CR (%)
trattamento
PFS
OS
72
80
7
15
94
38
36%
54%
1ª linea
51
72
0
7
19 m
18 m
64 m
46 m
1ª linea
68
31
31
2
21,6 m
8,3 m
-
1ª linea
5a: 10% 5a: 59%
10%
52%
F = fludarabina; C = ciclofosfamide; B = bendamustina; Clb = clorambucile: g = giorno; c = ciclo; m = mese; a = anno; pz = pazienti; ORR = overall response
rate; CR = complete response; PFS = progression free survival; OS = overall survival.
TABELLA 2 - Schemi chemioterapici sperimentati nel paziente anziano/unfit affetto da LLC.
29
30
Seminari di Ematologia Oncologica
con fludarabina è stato ben tollerato anche nel
subset del paziente anziano, confermando che il
suo utilizzo è sicuro nei soggetti con buon performance status a prescindere dal dato anagrafico. I risultati hanno dimostrato come, nonostante i pazienti trattati con l’analogo delle purine in
monoterapia rispondono meglio al trattamento
(ORR 72 vs 51%, CR 7 vs 0%), questo non solo
non si traduca poi in una aumentata PFS (mediana 19 vs 18 mesi) ma anzi sia accompagnato da
un trend di maggiore sopravvivenza nei pazienti
trattati con il solo alchilante (46 mesi nel gruppo
fludarabina vs 64 mesi nel gruppo clorambucile,
differenza non statisticamente significativa). Lo
spettro di tossicità ematologica ed infettiva è risultato pressoché sovrapponibile in entrambi i bracci (neutropenia grado III-IV: 12% in entrambi; infezioni nel gruppo fludarabina vs clorambucile: 8%
vs 4%) (58).
La monoterapia con fludarabina è stata valutata
anche nell’ampio studio inglese LRF-CLL4.
L’arruolamento totale è stato di 777 pazienti, di
cui circa il 30% rappresentato da soggetti di età
uguale o superiore a 70 anni. I tre bracci di randomizzazione confrontano l’efficacia e la tossicità dell’associazione fludarabina e ciclofosfamide
(FC) vs fludarabina in monoterapia vs clorambu-
Autore,
anno
Trattamento
cile in monoterapia. I risultati mostrano che la
combinazione FC è superiore alle altre in termini
di ORR, CR e PFS anche nel subset dei pazienti anziani, seppur questo non si traduca in un allungamento della sopravvivenza statisticamente
significativo. Se confrontiamo la monoterapia con
fludarabina versus clorambucile si vede come fludarabina ottenga una maggiore efficacia in termini di risposta ma OS e PFS sovrapponibili (PFS:
23 vs 20 mesi; OS a 5 anni: 52 vs 59%). Questo
può essere spiegato dal fatto che i pazienti trattati con FC e fludarabina in monoterapia mostrano un incremento della mielotossicità e dell’ospedalizzazione per trattamento delle complicanze
infettive rispetto al braccio che riceve solo clorambucile. È però importante considerare come
i pazienti anziani inclusi nello studio abbiano un
ottimo performance status e un basso numero di
comorbilità e risulta quindi difficile estrapolare da
questi risultati un’evidenza da applicare più
estensivamente a questo subset. In questo studio è stato valutato anche l’impatto della terapia
sulla qualità di vita del paziente: la compliance alla
terapia non è risultata differente negli anziani
rispetto al gruppo dei pazienti più giovani (59).
Da questi risultati si evince come la fludarabina
a dosaggio standard non migliori l’outcome tera-
Pz. Età
Status al
(n) mediana trattamento
ORR CR
(%)
(%)
Neutropenia
gr III-IV (%)
Diatesi infettiva
Robertson, F 30 mg/mq ev g1-3.
1994 (62) Cicli ogni 28 g.
80
66
pretrattati
41
10
18
Polmonite (19 episodi)
FUO (13 episodi)
Bocchia,
F 15 mg/mq ev g1-4;
1999 (101) C 250 mg/mq g1-4;
E 60 mg/mq ev g1.
5 cicli ogni 21-28 g.
30
68
20 1ª linea
81
10 pretrattati
36
43
FUO (26%)
Marotta,
2000 (90)
F 15 mg/mq ev g1-4;
C 200 mg/mq g 1-4.
5 cicli ogni 28 g.
20
75
pretrattati
85
15
20
Infezione dndd
(1 episodio)
Forconi,
2008 (63)
F 25 mg/mq po g1-4; 14
C 120 mg/mq po g1-4.
4 cicli ogni 28 g.
71
1ª linea
100
62
21
-
Forconi,
2008 (63)
F 25 mg/mq po g1-4; 12
C 120 mg/mq po g1_4.
4 cicli ogni 28 g.
71
pretrattati
84
25
25
Polmonite
(1 episodio)
F= fludarabina; C= ciclofosfamide; E= epirubina; g=giorno; c=ciclo; m= mese; pz= pazienti; ORR= overall response rate; CR= complete response.
TABELLA 3 - Schemi chemioterapici con fludarabina e ciclofosfamide a basse dosi sperimentati nel paziente anziano/unfit affetto da
LLC.
Leucemia linfatica cronica
peutico a lungo termine dei pazienti unfit e che
quindi il clorambucile, pur ottenendo percentuali di risposta poco soddisfacenti, può ancora essere considerato una valida terapia a cui candidare questi pazienti.
L’ostacolo principale all’utilizzo di fludarabina in
monoterapia o in combinazione con gli agenti
alchilanti nel subset del paziente unfit è la mielosoppressione indotta dal farmaco, che si riflette
anche sull’incremento della tossicità infettiva (60).
Questa considerazione ha portato al disegno di
schemi di trattamento con utilizzo dell’analogo
purinico a dosi ridotte per cercare di modularne
la tossicità midollare.
Diversi studi hanno quindi indagato l’utilizzo di fludarabina in monoterapia o in associazione a ciclofosfamide a dosaggio ridotto (61, 62) (Tabella 3).
Lo studio del gruppo di Forconi (63) ha valutato
la combinazione FC orale a basse dosi in 26
pazienti anziani con età mediana di 71 anni (54%
della popolazione in prima linea). I risultati ottenuti sono stati promettenti sia in termini di risposta (ORR 100%, CR 64%) che in termini di
sopravvivenza libera da malattia (Event Free
Survival, EFS 71% con follow up mediano 23,5
mesi). D’altro canto la tossicità dello schema si
è dimostrata essere modesta: sviluppo di neutropenia di grado III-IV nel 21% dei pazienti e assenza di infezioni maggiori (63).
La pentostatina, farmaco appartenente alla famiglia degli analoghi delle purine, non ha ottenuto
risultati incoraggianti nell’ambito della LLC quando utilizzata in monoterapia. Due studi hanno però
mostrato (64, 65) come sia meglio tollerata e meno
immunosoppressiva rispetto a fludarabina. In uno
studio di fase I/II condotto su 55 pazienti (36 in
prima linea), è stata valutata l’associazione di clorambucile, prednisone e dosi scalari di pentostatina (la dose scelta per la fase II dello studio è stata di 2 mg/mq). A fronte di una buona efficacia
(ORR 87%, CR 44%, durata mediana della risposta 33 mesi) lo studio ha dovuto pagare però un
prezzo importante in termini di tossicità (tossicità infettiva grado III-IV 31%) (66).
La bendamustina, farmaco citotossico con somiglianze strutturali con gli agenti alchilanti e antimetaboliti sviluppata negli anni ’60, è stata
recentemente riscoperta e approvata per il trattamento della LLC sulla base degli ottimi risulta-
ti ottenuti con il suo utilizzo nell’ambito dei linfomi. Il primo studio di fase I/II, condotto in un piccolo gruppo di pazienti con LLC recidivata/refrattaria ha mostrato buoni risultati (ORR 53%, CR
13%, durata mediana della risposta 43 mesi) e
un profilo di tossicità gestibile (leucopenia grado
III-IV 50%, infezioni grado III-IV 44%) (67). Su queste basi il GCLLSG ha arruolato in uno studio multicentrico, randomizzato tra clorambucile e bendamustina, 319 pazienti naive con età mediana
di 64 anni (25% dei quali con età compresa tra i
70 e i 75 anni, limite massimo consentito).
Bendamustina ha dimostrato la sua superiorità
rispetto al clorambucile sia in termini di risposta
sia in termini di Progression Free Survival (ORR
68 vs 31%, CR 31 vs 2%, PFS 22 vs 8 mesi). Non
è stata dimostrata alcuna differenza in termini di
sopravvivenza, ma l’OS dei pazienti responsivi
(maggiori risposte ottenute nel braccio di trattamento con bendamustina) è significativamente
maggiore di quella dei non responsivi. La tossicità si è dimostrata essere modesta: neutropenia
di grado III-IV pari al 23% nel braccio di bendamustina vs 11%, con infezioni maggiori grado IIIIV nell’8% vs 3% (68). In questo studio è stata
valutata anche la qualità di vita dei pazienti trattati, che si è rivelata pressoché sovrapponibile nei
due bracci di trattamento (69).
Chemioimmunoterapia
Studi di farmacocinetica e farmacodinamica
hanno dimostrato l’esistenza di un effetto sinergico dell’associazione chemio-immunoterapica,
basato sul differente meccanismo d’azione dei farmaci utilizzati, che ovvìa al problema dello sviluppo della cross-resistenza; dal punto di vista clinico questa sinergia viene rafforzata dal differente spettro di tossicità dei farmaci coinvolti (70).
Negli ultimi anni, anche nell’ambito del paziente
unfit, sono stati disegnati studi che prendono in
esame tale associazione (Tabella 4).
Essendo oggi FCR considerato come il gold standard del trattamento della LLC nel paziente fit, il
gruppo della Ferrajoli (60) ha condotto uno studio monocentrico in pazienti anziani (criterio di
inclusione età superiore ai 70 anni) che confronta la combinazione chemioterapica FC con FCR.
L’arruolamento è stato di 125 pazienti (di cui la
metà in linee di trattamento successive alla pri-
31
32
Seminari di Ematologia Oncologica
ma). I risultati ottenuti sono stati gravati dallo sviluppo di una tossicità elevata: mielotossicità di
grado III-IV rispettivamente nel 65-82% dei casi,
infezioni maggiori nell’11-48%. La maggior parte dei pazienti hanno inoltre interrotto precocemente il trattamento (mediana di cicli FCR somministrati pari a 3).
È attualmente in corso in Australia uno studio multicentrico per testare l’applicabilità di FCR a dosi
ridotte in pazienti di età superiore o uguale ai 65
anni (randomizzazione tra 3 bracci di trattamento: FR e FCR a due dosaggi differenti, tutti più bassi rispetto allo standard). Il reclutamento fino ad
ora è stato di 65 pazienti di età mediana pari a
72 anni e i primi risultati confermano le buone percentuali di risposta e la tollerabilità di questo schema (71).
Con l’obiettivo di mantenere la grande efficacia
della combinazione FCR, ma diminuirne gli
effetti collaterali e renderla di conseguenza
applicabile anche nel subset dei pazienti meno
fit, è stato pensato uno schema terapeutico con
dosi ridotte di fludarabina e ciclofosfamide (F,C)
e potenziamento dell’immunoterapia (R). Lo
schema FCR lite prevede una riduzione nei
dosaggi della chemioterapia e un incremento del-
Autore,
anno
Trattamento
Pz.
(n)
Età
mediana
Status
al trattamento
Foon,
2009 (72)
F 20 mg/mq ev g1-3;
C 150 mg/mq ev g1-3;
R 375 mg/mq d0c1, 500 mg/mq d14c1, d1,14 c2-6.
Cicli ogni 28 g.
Mantenimento con R ogni 3 m.
50
58
1ª linea
100
77
Durata mediana
risposta 22,3 m
Mulligan,
2010 (71)
F 24 mg/mq po g1-5 + R 375 mg/mq c1,
500 mg/mq c2-6 vs
F 24 mg/mq po + C 150 mg/mq po g1-3
+ R schedula come sopra vs F 24 mg/mq po
+ C 150 mg/mq po g1-5 + R schedula come sopra.
Cicli ogni 28 g.
65
72
1ª linea
93
39
-
Smolej,
2010 (75)
F 12 mg/mq ev o 20mg/mq po g1-3;
C 150 mg/mq ev o po g 1-3;
R 375 mg/mq d0c1, 500 mg/mq c2-6.
Cicli ogni 28 g.
74
70
50% 1ª linea
50% pretrattati
70
35
-
Fischer,
2009 (74)
B 90 mg/mq g1-2; R 375 mg/mq c1,
500 mg/mq c2-6. Cicli ogni 28 g.
117
64
1ª linea
90,9
32,7
PFS NR a 18 m
Fischer,
2011 (95)
B 70 mg/mq g1-2; R 375 mg/mq c1,
500 mg/mq c2-6. Cicli ogni 28 g.
78
66,5
Pretrattati
59
9
EFS 14,7 m
Kay,
2007 (75)
P 2 mg/mq g1; C 600 mg/mq g1; R 100 mg g1,
375 mg/mq g3,5 c1, 375 mg/md g1 c2-6.
Cicli ogni 21 g.
65
63
1ª linea
91
41
-
Kay,
2010 (77)
P 4 mg/mq g1; R 100 mg g1, 375 mg/mq g 3,5 c1,
375 mg/md g1 c2-6. Cicli ogni 21 g.
33
65
1ª linea
76
27
TFS 16 m
Foà,
2010 (79)
Clb 8 mg/mq g1-7; R 375 mg/mq c3,
500 mg/mq c3-8. Cicli ogni 28 g.
Random mantenimento R vs osservazione.
97
70,5
(valutabili 54)
1ª linea
81,4
16,7
Hillmen,
2010 (78)
Clb 10 mg/mq g1-7; R 375 mg/mq c1,
500 mg/mq c2-6. Cicli ogni 28 g.
Se pz in risposta, ulteriori 6 cicli Clb
1ª linea
82
9
100
70
ORR (%) CR (%)
-
PFS 23,5 m
F = fludarabina; C = ciclofosfamide; R = rituximab; P = pento statina; Clb = clorambulice; g = giorno; c = ciclo; m = mese; pz = pazienti; ORR = overall response rate; CR = complete response; PFS = progression free survival; NR = non raggiunta; EFS = event free survival; TFS = treatmen free suvival.
TABELLA 4 - Schemi chemio-immunoterapici contenenti rituximab sperimentati nel paziente anziano/unfit affetto da LLC.
Leucemia linfatica cronica
la dose di rituximab e un mantenimento immunoterapico trimestrale della durata di due anni per
i pazienti che ottengono almeno una risposta parziale. I risultati sono davvero notevoli con ORR
e CR rispettivamente del 100 e 79%, durata
mediana della risposta di 22,3 mesi e una tossicità pressoché trascurabile (neutropenia grado IIIIV nel 12% dei cicli). Tuttavia l’età media della
popolazione arruolata in questo studio è di soli
58 anni (range 36-85, solo 14,5% della popolazione con età superiore ai 70 anni) e i pazienti
arruolati non presentano comorbilità significative. È importante sottolineare che circa la metà
dei pazienti che non hanno terminato la terapia
a causa dello sviluppo di una neutropenia severa fanno parte del gruppo di età superiore ai 70
anni (72). Questa combinazione è stata sperimentata anche dal gruppo ceco che ha testato l’FCR
Lite (studio Q-lite) in pazienti unfit: l’arruolamento è stato di 74 pazienti (la metà in prima linea,
i restanti in linee di trattamento successive) con
età mediana di 70 anni e una CIRS mediana di
4. La tossicità si è estrinsecata soprattutto a livello della filiera granulocitaria (neutropenia 51%,
anemia/piastrinopenia circa 10%) e i risultati sono
stati promettenti (ORR 70%, CR 35%), pur essendo necessario un follow-up più prolungato per
verificarne l’impatto sulla sopravvivenza (73). Altri
tentativi sono stati fatti combinando il rituximab
con altri agenti chemioterapici (bendamustina,
pentostatina, clorambucile).
Considerati i buoni risultati ottenuti con bendamustina in monoterapia, a fronte di una modesta
tossicità, il GCLLSG ha valutato l’associazione di
bendamustina e rituximab: 117 pazienti sono stati arruolati in questo studio di fase II, di cui il 26%
con un’età superiore ai 70 anni. Non abbiamo a
disposizione i risultati nel subset specifico del
paziente anziano, ma sappiamo che la percentuale di risposte complessive è stata pari al 90,9%
(CR 32,7%) con un profilo di tossicità modesto:
neutropenia e piastrinopenia grado III-IV registrate circa nel 6% dei pazienti, con sviluppo di infezioni nel 5% dei cicli somministrati (74).
Su questa base è stato disegnato ed è attualmente in corso lo studio CLL10, per confrontare la chemioimmunoterapia FCR con BR.
Anche la pentostatina è stata studiata in combinazione con l’immunoterapia: uno studio mono-
centrico ha valutato la combinazione PCR in prima linea su un totale di 64 pazienti. Le caratteristiche della popolazione arruolata nello studio
sono le seguenti: il 28% ha un’età superiore a 70
anni mentre ben il 39% presenta una funzione
renale alterata (clearance della creatinina inferiore a 70 ml/min). Nell’ambito di questi due subset
specifici di pazienti il trattamento si è dimostrato ugualmente efficace (ORR 91%, CR 41%, PFS
32,6 mesi) senza mostrare un incremento delle
tossicità maggiori. A causa dello sviluppo di tossicità ematologica (neutropenia e piastrinopenia
grado III-IV rispettivamente nel 41 e 21% dei casi)
circa il 20% di questi pazienti più fragili ha interrotto precocemente il trattamento e il 39% ha
dovuto ridurre l’intensità (con necessità di dilazionare maggiormente nel tempo i cicli nei pazienti
anziani e di ridurre la dose complessiva somministrata in quelli con funzione renale alterata) (75).
È stato tentato anche un confronto retrospettivo
tra PCR e FCR in prima linea ma i risultati sono
difficilmente comparabili in quanto i pazienti arruolati nel regime PCR presentano caratteristiche biologiche e cliniche più sfavorevoli (stadio Binet ed
età avanzati). Possiamo comunque concludere
che, pur ottenendo una minore percentuale di
risposte, lo schema PCR si è dimostrato efficace e meglio tollerato nel subset dei pazienti anziani (tossicità ed efficacia della combinazione PCR
sovrapponibili per i diversi gruppi di età versus una
tossicità maggiore e risposte complessive minori dell’FCR nel gruppo dei pazienti di età superiore a 70 anni) (60, 76). Ulteriori studi sono però
necessari per valutare se la pentostatina possa
essere un valido sostituto di fludarabina nel trattamento dei pazienti unfit.
Nel tentativo di ridurre la tossicità midollare è stato pubblicato un recente studio che valuta l’associazione di pentostatina (dosaggio incrementato a 4 mg/mq) con la sola immunoterapia con
rituximab in 33 pazienti naive con età media pari
a 65 anni (27% con età superiore ai 70 anni).
Questa associazione si è dimostrata meno efficace rispetto a PCR in termini di risposte complessive e durata delle stesse (ORR 76%, CR
27%, Treatment Free Survival, TFS mediano 16
mesi) ma con profilo di tossicità molto favorevole. La mielosoppressione è stata infatti trascurabile e solo il 18% dei pazienti ha dovuto subire
33
34
Seminari di Ematologia Oncologica
un ritardo nella somministrazione dello schema
terapeutico (77).
L’associazione tra il clorambucile e l’immunoterapia con anticorpo monoclonale rituximab è stata studiata in due importanti studi che si sono
posti come obiettivo di valutare l’effetto sinergico di tale combinazione e la sua tollerabilità nei
pazienti unfit. Lo studio di fase II condotto dal
gruppo inglese ha arruolato 100 pazienti affetti da
LLC naive (età mediana 70 anni, range 43-86) che
hanno ricevuto una schedula di trattamento che
prevede clorambucile e rituximab per 6 cicli complessivi ogni 4 settimane con possibilità di ulteriori 6 cicli di clorambucile in monoterapia per i
pazienti in risposta dopo il sesto. Questi risultati
sono stati confrontati con i dati storici ottenuti con
clorambucile in monoterapia nel trial CLL4 e hanno mostrato che la combinazione chemioimmunoterapica è non solo più efficace (ORR 80%, con
un incremento del 14% rispetto a un subset paragonabile trattato con clorambucile nel CLL4, CR
12 vs 6%, PFS 23,9 mesi) ma anche meglio tollerata (78).
Nel nostro Paese è attivo l’arruolamento per lo studio ML21445 che valuta la medesima combinazione in pazienti affetti da LLC con età superiore a 65 anni o superiore a 60 anni, ma non candidabili a terapia con fludarabina. La schedula di
trattamento prevede clorambucile in monoterapia nei primi due cicli e successivamente in associazione con rituximab per un totale di 8 cicli mensili, seguiti da una randomizzazione per i pazienti in risposta tra osservazione e mantenimento
bimestrale con immunoterapia per 24 mesi totali. All’ultimo congresso dell’ASH (American Society
of Haematology) è stata presentata l’analisi ad
interim dei dati sui primi 54 pazienti arruolati (età
mediana 70,5 anni, 54% di età superiore ai 70
anni): la risposta complessiva è stata dell’81,4%
(CR 16,7%). La tossicità si è rivelata ben gestibile con incidenza di neutropenia grado III-IV pari
al 16,7% in assenza di complicanze infettive maggiori (79).
Il GCLLSG ha recentemente promosso il primo
studio appositamente disegnato per i pazienti unfit
(criterio di inclusione CIRS >6 o clearance della
creatinina <70 ml/min) che prevede l’arruolamento di 780 pazienti in prima linea di terapia. Questo
studio multicentrico randomizzato si propone di
confrontare il clorambucile in associazione con
GA101, un nuovo anticorpo glicoingegnerizzato
antiCD20, versus clorambucile in monoterapia o
in associazione con rituximab.
Immunoterapia
L’immunoterapia può essere una valida opzione
nei pazienti unfit per la sua efficacia e la sua buona tollerabilità (81). Sulla scorta dei risultati favorevoli ottenuti nei pazienti con linfoma follicolare,
è stato avviato nell’ambito della LLC uno studio
monocentrico di prima linea con popolazione target i pazienti anziani (età superiore ai 70 anni) che
ha investigato l’immunoterapia con rituximab in
associazione con fattore di crescita (93 pazienti
arruolati, 32 in prima linea). La schedula di trattamento prevede rituximab settimanale a 375
mg/mq per 4 settimane e GM-CSF 250 mcg s.c.
per 3 volte la settimana per 8 settimane complessive; un secondo ciclo viene erogato nei pazienti in risposta dopo il primo (80). Il razionale di questa combinazione si spiega con la dimostrazione in vitro di un’aumentata espressione dell’antigene di superficie CD20 sulle cellule leucemiche
stimolate con GM-CSF (81). La risposta complessiva ottenuta è del 72% con due pazienti che hanno ottenuto una risposta completa. Sotto il profilo della tossicità questo schema di terapia si è
dimostrato essere ben tollerato (80).
Il gruppo di Castro (82) ha esplorato in prima linea
l’associazione di rituximab (375 mg/mq, somministrato secondo una schedula settimanale per
4 settimane, per 3 mesi complessivi) con alte dosi
di metilprednisolone (1 g/mq per i primi tre giorni del ciclo per 3 cicli). I 28 pazienti arruolati hanno un’età mediana di 65 anni (7 dei quali maggiore di 70 anni). Lo schema ha dimostrato una
buona efficacia (ORR 96% nel subset dei pazienti anziani, OS complessiva 96% a 3 anni) con mielotossicità pressochè trascurabile e infezioni di
grado III-IV nel 14% dei pazienti. Pur essendo ben
tollerato, questo schema paga l’impiego della
terapia steroidea ad alte dosi che fa sì che molti pazienti vengano automaticamente esclusi dall’arruolamento per presenza di copatologie
(patologie dell’apparato gastroenterico, diabete,
ipertensione arteriosa, diatesi infettiva maggiore
pregressa).
Risultati promettenti sono attesi anche dai due
Leucemia linfatica cronica
nuovi anticorpi monoclonali antiCD20, ofatumumab e GA101.
L’ofatumumab è un anticorpo monoclonale completamente umanizzato che riconosce un epitopo dell’antigene CD20 differente da quello riconosciuto da rituximab. Rispetto a quest’ultimo è
in grado di indurre maggiormente la citotossicità cellulare anticorpo mediata (ADCC) anche nelle cellule di LLC, in cui l’espressione di CD20 è
modesta (83). Il GA101 è invece un anticorpo
monoclonale umanizzato completamente glicoingegnerizzato che presenta non solo una
importante ADCC ma ha anche la capacità di
indurre direttamente l’apoptosi cellulare (84).
Questi nuovi anticorpi monoclonali sono attualmente in fase di studio in diversi protocolli clinici di cui si attendono i risultati definitivi.
Nuove molecole
L’impiego di nuovi farmaci, indirizzati verso alterazioni molecolari specifiche della patologia in esame, rappresenta una delle sfide più avvincenti nel
campo dell’oncoematologia.
La lenalidomide, un agente immunomodulante
analogo della talidomide con proprietà immunomodulanti, antiproliferative e antiangiogenetiche,
ha dimostrato la sua attività terapeutica in molte
neoplasie ematologiche tra cui le malattie linfoproliferative (85).
In un recente studio di fase II, il gruppo della
Ferrajoli (86) ha valutato l’utilizzo di lenalidomide
nel subset del paziente anziano in prima linea.
L’arruolamento è stato di 43 pazienti (età mediana 72 anni) che ricevono lenalidomide partendo
da basse dosi (5 mg/die) con possibilità di incrementare il dosaggio dopo 8 settimane (dose
mediana somministrata 10 mg/die). La risposta
complessiva ottenuta è del 54%. Neutropenia e/o
piastrinopenia severe si sono verificate nel 26%
dei pazienti e gli episodi infettivi maggiori sono
stati in totale due (una caso di febbre dndd e una
polmonite). Il graduale incremento del dosaggio
ha inoltre permesso di evitare episodi di sindrome da lisi tumorale.
Naturalmente è necessario valutare con attenzione quale possa essere il ruolo di questo farmaco
in monoterapia o in combinazione nel subset dei
pazienti anziani. Nel nostro Paese è attualmente in
corso uno studio randomizzato di fase III per valu-
tare l’efficacia di una monoterapia con lenalidomide versus clorambucile in prima linea; è inoltre in
corso uno studio randomizzato che valuta il ruolo
di lenalidomide nel mantenimento della risposta
terapeutica. Anche altri farmaci, quali ad esempio
il flavopiridolo, gli inibitori di bcl-2 e delle tirosin chinasi, sembrano avere profili di efficacia e tossicità molto promettenti anche nel paziente con comorbilità e potrebbero essere delle valide opzioni terapeutiche nel prossimo futuro.
n TRATTAMENTO DELLA RECIDIVA
Nonostante i progressi ottenuti nella terapia di prima linea, la LLC resta una patologia cronica caratterizzata da plurime progressioni di malattia
durante il suo naturale decorso.
La scelta delle linee di terapia successive deve
basarsi innanzitutto sulla tipologia di trattamento precedentemente impiegato e sul tipo di risposta che esso ha ottenuto: se la progressione di
malattia avviene entro 12 mesi da un trattamento monochemioterapico o entro 24 mesi dall’utilizzo di una combinazione chemio-immunoterapica vi è infatti l’indicazione a reimpiegare la terapia utilizzata in prima linea (87).
Se già per il trattamento dei pazienti in prima linea
la raccomandazione delle linee guida internazionali è quella di arruolare il paziente unfit nell’ambito di studi appositamente disegnati, questo suggerimento appare ancora più forte nelle linee di
terapia successive (52).
La fludarabina a dosaggio ridotto è stata valutata in monoterapia con risposte soddisfacenti e tossicità limitata (88).
Per cercare di limitare la tossicità dell’associazione FC, registrata nei pazienti unfit già in prima linea
di terapia, alcuni studi italiani hanno studiato questa combinazione chemioterapica a dosaggio
ridotto (Tabella 3). Nel primo studio 28 pazienti
anziani con età mediana di 73,5 anni (range 6185) sono stati trattati con 4 cicli mensili di terapia. Le percentuali di risposta complessive sono
dell’ordine dell’89% a fronte di una moderata tossicità (neutropenia grado III-IV 28%, una morte per
sepsi) (89). Risultati pressoché sovrapponibili si
sono ottenuti dalla combinazione FC con una
schedula di trattamento solo poco differente. I
35
36
Seminari di Ematologia Oncologica
pazienti arruolati sono 20 con età mediana di 75
anni (range 61-87); le risposte complessive ottenute sono pari all’85%. Lo schema si è dimostrato anche in questo caso ben tollerato (neutropenia grado III-IV pari al 20%, una sola tossicità infettiva di grado IV) (90).
Questo tipo di schema terapeutico appare dunque essere una valida alternativa per il paziente
unfit con malattia in recidiva anche se siamo ancora in attesa di uno studio randomizzato che ne
stabilisca esattamente l’efficacia e l’applicabilità
in questi pazienti.
Il gruppo israeliano (91) ha condotto uno studio
di fase II che confronta tre schedule contenenti
fludarabina (monoterapia, combinazione FC o FC
associato a mitoxantrone) come terapia di salvataggio. La popolazione arruolata è composta da
82 pazienti di cui 32 anziani (età mediana 70 anni):
il tasso di risposte è stato minore tra i pazienti più
anziani (ORR 59 vs 80%, CR 0 vs 20%) e in questo sottogruppo è stata osservata un’importante tossicità con alto tasso di neutropenia febbrile (69%) complicata da episodi infettivi maggiori (tasso di ospedalizzazione pari al 63%). Soltanto
il 30% dei pazienti è riuscito a portare a termine
il trattamento.
Il GCLLSG (92) ha pubblicato i risultati di uno studio di fase I/II che prevede il trattamento con bendamustina (dose massima tollerata 70 mg/mq
giorni 1-2, cicli ripetuti ogni 4 settimane) di una
coorte di 16 pazienti con LLC ricaduta/refrattaria
(età mediana 67 anni).
La percentuale delle risposte complessive è stata del 56 % (CR pari al 13%) con durata mediana della risposta di 43 mesi. Considerati i buoni risultati ottenuti a fronte di una modesta tossicità, il passo successivo è stato quello di valutare la bendamustina in combinazione con il rituximab in una popolazione di 78 pazienti, di cui
il 28% refrattari a fludarabina. Circa il 40% della popolazione in studio aveva un’età superiore
ai 70 anni, ma non era noto quali fossero le loro
comorbilità. La combinazione chemio-immunoterapica è stata in grado di ottenere discrete percentuali di risposta (ORR 59%, variabile da
45,5% nei pazienti refrattari al 60,5% nelle recidive di malattia), con una Event-Free Survival di
14,7 mesi dopo un follow up mediano di 24 mesi.
La tossicità ematologica è stata moderata (neu-
tropenia grado III-IV 23,1%, piastrinopenia grado III-IV 28,2%) e l’incidenza di infezioni gravi è
stata pari al 12,8% (93). I risultati sono stati
sovrapponibili anche nel gruppo dei pazienti
anziani: l’associazione di bendamustina e rituximab appare essere quindi promettente anche
per il trattamento delle recidive di malattia nei
pazienti unfit.
n TRATTAMENTO DELLA MALATTIA
REFRATTARIA
Sebbene siano stati compiuti importanti progressi nel trattamento della LLC, vi è ancora una percentuale di pazienti che non risponde o progredisce durante i primi sei mesi dopo la prima linea
di terapia, i cosiddetti refrattari. Questi pazienti
hanno una prognosi estremamente sfavorevole e
decidere il loro percorso terapeutico è una delle
sfide più ardue anche nei pazienti giovani senza
comorbilità (94). Tutto ciò diventa ancora più complesso nel subset del paziente unfit.
L’alemtuzumab, un anticorpo monoclonale diretto contro l’antigene di membrana CD52, è utilizzato nel trattamento dei pazienti refrattari a fludarabina con l’ottenimento di percentuali di
risposta discrete (ORR circa 30-40%), ma di breve durata (mediamente inferiore ai 12 mesi) (95).
Non sono disponibili ad oggi studi che valutino
la sua tollerabilità in pazienti anziani o con
comorbilità ma è noto che l’azione linfocitolitica svolta dal farmaco è in grado di indurre una
profonda linfocitopenia che espone il paziente
a un importante rischio di infezioni opportunistiche (96). Nel subset dei pazienti unfit è quindi
fondamentale un’attenta scelta di chi candidare all’immunoterapia con alemtuzumab, al fine
di limitarne l’utilizzo nei pazienti con malattia ad
alto rischio.
In considerazione dei buoni risultati ottenuti in prima linea nel paziente anziano/unfit, diversi studi
hanno valutato l’associazione di rituximab con la
terapia steroidea ad alte dosi. Il gruppo di Castro
(98) ha condotto uno studio su 14 pazienti con
LLC refrattaria trattati con alte dosi di metilprednisolone e rituximab per 3 cicli (metilprednisolone 1 g/mq giorni 1-5 e rituximab 375 mg/mq settimanalmente). L’efficacia è stata buona (ORR
Leucemia linfatica cronica
93%, CR 36%, Time-To-Progression mediano: 15
mesi) senza riscontrare tossicità gravi (97). La
medesima combinazione con schedula leggermente differente (metilprednisolone 1 g/mq giorni 1-5 e rituximab 375 mg/mq settimanalmente,
per 4 cicli) è stata studiata in 14 pazienti in linea
avanzata di terapia e con malattia bulky. Circa la
metà dei pazienti hanno un’età superiore a 65
anni. Nonostante la buona percentuale di risposte ottenute, il trattamento si è dimostrato poco
efficace per la loro breve durata (PFS mediana:
7 mesi) e per l’importante tossicità infettiva (il 43%
dei pazienti ha sviluppato infezioni opportunistiche durante il trattamento). Anche il gruppo della Mayo Clinic (99) ha valutato questa schedula
di trattamento in 37 pazienti, confermando le
risposta ottenuta (ORR pari al 78%, PFS di 12
mesi) e sottolineandone ancora una volta la tossicità infettiva.
I pazienti refrattari sia a fludarabina sia a alemtuzumab o quelli refrattari a fludarabina portatori di
masse bulky (in cui alemtuzumab non è pertanto efficace) sono particolarmente difficili da trat-
tare. In questa popolazione così sfavorevole l’immunoterapia con ofatumumab ha ottenuto risultati significativi. Il trial che ha portato alla sua
approvazione è stato condotto in 138 pazienti (59
refrattari a fludarabina-alemtuzumab e 79 refrattari alla sola fludarabina ma con masse bulky). La
schedula impiegata è stata la seguente: ofatumumab somministrato settimanalmente per 8 infusioni totali (la prima 300 mg e le seguenti 2000
mg) seguite da 4 somministrazioni mensili di mantenimento a dose piena. Le percentuali di risposta sono rispettivamente del 47 e 58%, con tempo medio alla progressione di 5,9 e 5,7 mesi. Le
reazioni infusionali sono tutte di lieve entità (grado I-II) e di frequenza sovrapponibile a quelle registrate con rituximab (100). Le tossicità di grado
III-IV più frequenti sono state le infezioni (24%) e
la neutropenia (12%).
n CONCLUSIONI
Con una età mediana di insorgenza di oltre 70
PAZIENTE AFFETTO DA LLC IN PROGRESSIONE
VALUTAZIONE DEL
FITNESS STATUS
CGA
CIRS
PAZIENTE UNFIT
“SLOW-GO”
PAZIENTE FRAIL
“NO-GO”
TRATTAMENTO
INTENSIVO
TRATTAMENTO
CONTENITIVO
TRATTAMENTO
PALLIATIVO
PFS, OS
GUARIGIONE?
ORR
CONTROLLO
SINTOMATOLOGIA
PAZIENTE FIT
“GO-GO”
FIGURA 4 - Algoritmo decisionale di trattamento per il paziente anziano/unfit affetto da LLC.
QUALITÀ DELLA
VITA
37
38
Seminari di Ematologia Oncologica
anni, la LLC è considerata una patologia dell’età
avanzata. Nonostante questo forte dato epidemiologico i notevoli progressi fatti nell’armamentario farmacologico di questa patologia hanno
avuto come protagonisti i pazienti più giovani e
con un buon performance status. Il subset del
pazienti unfit è stato relativamente trascurato e
questo ha fatto sì che ad oggi non vi siano delle linee guida specifiche da seguire, lasciando il
trattamento di una larga parte di pazienti alla decisione del singolo clinico. Nuovi strumenti sono
oggi a nostra disposizione per permetterci di
caratterizzare meglio questi pazienti non basandoci soltanto sull’età anagrafica (scala CIRS, indice ICED e CCI).
È importante sottolineare come il percorso terapeutico da intraprendere davanti ad un paziente con comorbilità affetto da leucemia linfatica
cronica deve essere attentamente valutato non
solo sulla base di quelle che sono le caratteristiche della malattia ematologica, ma anche sulle
caratteristiche del paziente in esame (Figura 4).
Le pubblicazioni presenti in letteratura riguardanti il paziente unfit sono relativamente scarse e
riguardano casistiche limitate, poiché la gran parte di questi soggetti viene esclusa dai protocolli di studio. Sono quindi pochi i dati estrapolati
dagli studi che ci permettono di avere i risultati
circa l’efficacia e le tossicità principali degli schemi terapeutici testati in questa sottopopolazione e ci aiutano nelle scelte terapeutiche che il clinico si trova a compiere nella sua quotidianità.
Negli ultimi anni il paziente unfit ha finalmente iniziato a suscitare l’interesse dei grandi gruppi cooperativi di studio e sono in atto alcuni trials randomizzati che probabilmente nei prossimi anni ci
daranno risposte definitive su quale sia il gold
standard terapeutico da proporre a questi pazienti. I dati oggi a nostra disposizione sembrano suggerire che le combinazioni chemioimmunoterapiche a cui candidare questi pazienti siano lo schema FCR a dosaggio ridotto e la combinazione di
bendamustina o clorambucile con rituximab.
Nonostante l’inserimento del paziente unfit all’interno di un trial sia senza ombra di dubbio un percorso impegnativo sia per il paziente sia per il clinico che lo ha in cura, questa è l’unica strada percorribile per una scelta terapeutica futura basata sull’evidenza.
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43
Linfomi
non Hodgkin
FRANCESCO DI RAIMONDO
Divisione di Ematologia, A.O.U. Policlinico, OVE, Ospedale Ferrarotto,
Università di Catania
n INTRODUZIONE
Negli studi di popolazione che prendono in considerazione i linfomi non Hodgkin (LNH), le percentuali di sopravvivenza sono generalmente più
basse rispetto a quelle riportate negli studi clinici e la ragione di questo è prevalentemente legata al fatto che i primi includono anche i pazienti
più anziani o i cosiddetti unfit che usualmente non
vengono inseriti negli studi clinici.
I pazienti esclusi dagli studi clinici costituiscono
però una quota non trascurabile dei pazienti che
afferiscono ai centri di ematologia e per i quali
spesso non ci sono linee guida ben precise, rappresentando quindi un problema nel quale il giudizio clinico personale può avere una larga preponderanza. Infatti, sebbene i LNH possano presentarsi a qualunque età, tutti gli studi epidemiologici indicano che la loro incidenza aumenta con
l’età.
Nei giovani l’incidenza dei LNH è di circa 2 casi
ogni 100.000 abitanti, e poi sale progressivamente fino ad arrivare a 112 casi/100.000 nei soggetti ultraottantenni (1). Attualmente quindi l’età
Parole chiave: LNH, unfit, chemioterapia.
Indirizzo per la corrispondenza
Francesco Di Raimondo
Divisione di Ematologia
A.O.U. Policlinico, OVE
Ospedale Ferrarotto, Università di Catania
Via Citelli 6, 95124 Catania
E-mail: [email protected]
Francesco Di Raimondo
mediana dei pazienti affetti da LNH è di 67 anni
ma poiché la categoria degli anziani rappresenta il gruppo demografico con le maggiori prospettive di crescita (si stima un aumento del 57% degli
ultraottantenni entro il 2030) (2), è lecito aspettarsi che nel prossimo futuro la gran parte dei pazienti affetti da LNH siano anziani o molto anziani e
per molti di questi pazienti si pone il problema di
capire se l’approccio diagnostico e terapeutico
deve essere uguale o meno a quello dei pazienti più giovani.
n DEFINIZIONE DI UNFIT
Certamente la definizione del paziente unfit non
si basa solo sull’età ma è documentato che col
procedere dell’età aumenta il rischio di comorbilità che rende i pazienti meno candidati a terapie
convenzionali e comunque, al di sopra di una certa età, che in molti studi è fissata oltre gli 80 anni,
il paziente viene considerato unfit pur in assenza di significative comorbilità.
Questo valore soglia non è però da tutti condiviso e certamente si sposta sempre più in alto man
mano che migliorano le condizioni socio-economiche e lo stato di validità dei pazienti anziani.
Così, per esempio, il National Comprehensive
Cancer Network divide i pazienti anziani in tre
categorie:
1) anziani young, di età compresa fra 65 e 75 anni;
2) anziani old, di età compresa fra fra 75 e 85 anni;
3) anziani oldest, oltre gli 85 anni (3).
Del resto, non solo il rischio di comorbilità aumen-
44
Seminari di Ematologia Oncologica
FIGURA 1 - Fattori che concorrono
alla valutazione del Fitness status.
ta con l’età ma è anche stato dimostrato che nei
LNH l’età e le comorbilità sono fattori prognostici indipendenti (4). Entrambi infatti limitano le possibilità terapeutiche. Uno studio (5) condotto su
una casistica di pazienti affetti da diverse neoplasie, ma nella quale quasi il 50% era rappresentato da pazienti affetti da neoplasie ematologiche, per lo più LNH, ha dimostrato che l’età,
le comorbilità e lo stato funzionale erano tutti fattori indipendenti nel predire la sopravvivenza. In
uno studio di popolazione condotto in Olanda (6)
in pazienti con LNH è stato documentato che la
proporzione di pazienti affetti da comorbilità era
quasi raddoppiata nei pazienti di età >60 anni
rispetto ai pazienti più giovani e questo rapporto veniva rilevato sia nei pazienti con linfoma indolente che in quelli affetti da linfoma aggressivo.
Il 70-80% dei pazienti anziani aveva almeno una
comorbilità e nel 40-50% si trattava di comorbilità ad alto impatto clinico.
Le malattie cardiovascolari (22%) e l’ipertensione (20%) erano le maggiori comorbilità, seguite
da altre neoplasie (13%) e diabete mellito (11%).
Lo stesso studio ha dimostrato che i pazienti con
LNH aggressivo e comorbilità avevano una probabilità di ricevere una chemioterapia che era solo
del 40% rispetto ai pazienti senza comorbilità.
Anche la riduzione del dosaggio dei chemioterapici era più frequente nei pazienti più anziani
e in quelli con comorbilità. Il risultato finale è che
i pazienti con comorbilità importanti hanno una
probabilità di decesso che è il doppio rispetto ai
pazienti senza comorbilità.
In una casistica di 205 pazienti molto anziani (7),
con età mediana di 83 anni, affetti da LNH, almeno 1 comorbilità era presente nell’87% dei
pazienti. In 102 pazienti è stata documentata una
malattia cardiovascolare (aritmia, ipertensione,
insufficienza cardiaca, angina e valvulopatie). Nel
9% dei casi era presente una malattia polmonare cronica (bronchite cronica ostruttiva, asma, ipertensione polmonare e pregressa embolia polmonare) e una storia di malattia renale era presente
nel 19% dei casi.
Applicando l’indice di Charlson (8), basato sul
numero e la gravità delle comorbilità, il 13,7% dei
pazienti aveva uno score 0, il 36,6% score 1-2,
il 33,7% score 3-4 e il 15,1% score >4. In un’altra recente serie di 303 pazienti di età >80 anni,
il 26% presentava ≥1 comorbilità e il 30% era considerato unfit (9).
Anche se non in tutti i casi l’aumento dell’età si
accompagna a comorbilità crescenti, tuttavia
mantenere il criterio dell’età come parametro fondamentale di definizione di unfit, è giustificato da
tutta una serie di considerazioni legate alla fisiologia dell’invecchiamento.
Non solo la ridotta funzionalità epatica e renale
possono ridurre la clearance dei farmaci antiblastici ma le modifiche del contenuto di grasso, di
Linfomi non Hodgkin
acqua e di proteine corporei, possono modificare la farmacocinetica di diverse molecole antiblastiche. L’età avanzata si accompagna inoltre ad
una minore riserva funzionale dei vari organi che
quindi non sono in grado di far fronte a delle situazioni di stress come possono essere i trattamenti chemioterapici.
I pazienti anziani pertanto vanno più frequentemente incontro a mielotossicità, cardiotossicità,
insufficienza renale, neurotossicità, tossicità polmonare, e mucosite che possono mettere a rischio
la vita di questi pazienti, se trattati con terapie
aggressive. Inoltre, i numerosi farmaci assunti dagli
anziani per altre patologie possono aumentare il
rischio di interazioni farmacologiche e di reazioni avverse (Figura 1).
1)
a)
a)
b)
n VALUTAZIONI GERIATRICHE
Certamente però l’età non può e non deve essere considerata l’unico criterio per definire un
paziente unfit e certamente l’età cronologica spesso non correla in maniera diretta con lo stato funzionale di organi ed apparati e non è in grado di
predire in maniera accurata l’aspettativa di vita o
il rischio di complicanze da terapia.
Per questo motivo sono presenti in letteratura tutta una serie di scale e valutazioni sia geriatriche
che di comorbilità che sono state inizialmente
applicate ai pazienti con tumori solidi (10-12) e di
recente stanno trovando sempre maggiore applicazione anche nelle neoplasie ematologiche e in
particolare nei linfomi (Tabelle 1, 2, 3, 4).
LAVARSI - Spugnature, vasca o doccia
L’anziano non riceve aiuto (entra ed esce dalla vasca da solo, se la vasca è il mezzo usato abitualmente per lavarsi)
Riceve aiuto nel lavarsi solo una parte del corpo (come la schiena o le gambe)
Riceve aiuto nel lavarsi per più di una parte del corpo (altrimenti non si lava)
2) VESTIRSI - Prende i vestiti dall’armadio e dai cassetti, biancheria, vestiario e accessori, adoperando le chiusure (comprese le bretelle se le usa)
a) Prende i vestiti e si veste completamente senza aiuto
a) Prende i vestiti e si veste senza aiuto, eccetto che per legare le scarpe
b) Riceve aiuto nel prendere vestiti e nell’indossarli, altrimenti rimane parzialmente o completamente svestito
3) USO DEI SERVIZI - Va alla toilette per urinare e per evacuare; si pulisce; si riveste
a) Va ai servizi, si pulisce e si sistema gli abiti senza assistenza (sia pure utilizzando presidi di sostegno come il bastone,
il girello o la sedia a rotelle, e usando la padella od il vaso od il pappagallo, per la notte, o la comoda, vuotandoli
al mattino)
b) Riceve aiuto per andare ai servizi o per pulirsi o per sistemarsi gli abiti dopo aver urinato o evacuato o nell’uso della
padella (di notte)
b) Non si reca ai servizi per i processi di eliminazione di feci e urine
4) TRASFERIMENTO
a) Entra ed esce dal letto, come pure dalla poltrona, senza aiuto (sia pure utilizzando presidi di sostegno come il bastone od il girello)
b) Entra ed esce dal letto, come pure dalla poltrona, con un aiuto
b) Non esce dal letto
5)
a)
b)
b)
CONTINENZA
Ha completo autocontrollo sui movimenti per urinare e per evacuare
Ha occasionalmente degli incidenti
Una supervisione lo aiuta a mantenere il controllo sull’urinare o sull’evacuare; oppure utilizza il catetere o è incontinente
6)
a)
a)
b)
ALIMENTARSI
Si alimenta da solo e senza aiuto
Si alimenta da solo, ma richiede aiuto per tagliare la carne o per spalmare alimenti sul pane
Riceve assistenza nell’alimentarsi o si è alimentato, in parte o completamente, con l’utilizzo di sonde o per via endovenosa.
TABELLA 1 - Indice di dipendenza nelle attività della vita quotidiana (scala ADL) (105).
45
46
Seminari di Ematologia Oncologica
A)
1.
2.
3.
4.
0.
CAPACITÀ DI USARE IL TELEFONO
Usa il telefono di propria iniziativa (alza la cornetta, compone il numero.....)
Compone solo alcuni numeri ben conosciuti
Risponde al telefono ma non è capace di comporre i numeri
Non è in grado di usare il telefono
Rifiuto - non applicabile
B)
1.
2.
3.
4.
0.
FARE ACQUISTI
Fa tutte le proprie spese senza aiuto
Fa piccoli acquisti senza aiuto
Ha bisogno di essere accompagnato ogni volta che deve acquistare qualcosa
Non è in grado di fare acquisti
Rifiuto - non applicabile
C)
1.
2.
3.
4.
0.
PREPARAZIONE DEL CIBO
Organizza, prepara e serve i pasti in modo adeguato e senza aiuto
Prepara pasti adeguati se gli vengono forniti gli ingredienti
Scalda e serve pasti preparati oppure prepara cibi, ma non mantiene una dieta adeguata
I pasti gli devono essere preparati e serviti
Rifiuto - non applicabile
D)
1.
2.
3.
CAPACITÀ DI ACCUDIRE LA CASA
Sbriga le faccende domestiche da solo o con assistenza occasionale per i lavori pesanti
Esegue autonomamente i lavori domestici non pesanti (rifà il letto, lava i piatti.....)
Esegue autonomamente i lavori domestici non pesanti ma non è in grado di mantenere un adeguato livello di pulizia della casa
4. Necessita di aiuto per tutti i lavori domestici
5. Non partecipa a nessuna azione di governo della casa
0. Rifiuto - non applicabile
E)
1
2.
3.
0.
AUTONOMIA NEL LAVAGGIO DELLA BIANCHERIA
Lava personalmente tutta la sua biancheria
Lava solo i piccoli capi di biancheria (calzini, fazzoletti)
Tutta la biancheria deve essere lavata e stirata da altri
Rifiuto - non applicabile
F)
1.
2.
3.
4.
5.
0.
MEZZI DI TRASPORTO
Si sposta da solo utilizzando i mezzi pubblici o guidando la propria auto
Per spostarsi usa il taxi, ma non i mezzi pubblici
Usa i mezzi pubblici se assistito o accompagnato da qualcuno
Può spostarsi soltanto in taxi o in auto con l’assistenza di qualcuno
Non si sposta con alcun tipo di mezzo di trasporto
Rifiuto - non applicabile
G)
1.
2.
3.
0.
RESPONSABILITÀ NELL’USO DEI MEDICINALI
Assume i medicinali prescritti nelle dosi giuste e negli orari corretti
Assume i medicinali solo se preparati in anticipo in dosi separate
Non è in grado di assumere correttamente le terapie da solo
Rifiuto - non applicabile
H) CAPACITÀ DI GESTIRE LE PROPRIE FINANZE
1. Gestisce le proprie finanze in modo autonomo (scrive assegni, paga le tasse, va in banca, raccoglie e tiene nota delle entrate, riscuote la pensione)
2. È in grado di fare piccoli acquisti ma necessita di aiuto per le operazioni più complesse (operazioni bancarie, acquisti maggiori....)
3. Non è in grado di maneggiare denaro
0. Rifiuto - non applicabile
TABELLA 2 - Indice di dipendenza nelle attività strumentali della vita quotidiana (scala IADL) (106).
Linfomi non Hodgkin
Comorbilità
Punti
Infarto del miocardio
1
Cardiopatia
1
Malattie vascolari
1
Malattie cerebrovascolari
1
Demenza
1
Malattie polmonari croniche
1
Malattie del tessuto connettivo
1
Ulcera
1
Lievi malattie del fegato
1
Diabete ( senza complicazioni)
1
Diabete con danneggiamento degli organi
2
Ictus
2
Moderate o gravi malattie renali
2
Secondo tumore non metastatico
2
Leucemia
2
Linfoma, MM
2
Moderate o gravi malattie del fegato
3
Secondo tumore metastatico
6
AIDS
6
TABELLA 4 - Charlson Comorbidity Index.
Una delle maggiori limitazioni all’applicazione di
queste scale è che esse richiedono tempo per raccogliere tutte le informazioni necessarie e diventano così poco praticabili soprattutto in tempi di
contrazione di personale medico e paramedico.
Tuttavia di recente sono stati sviluppati metodi
esemplificati o questionari consegnati allo stesso paziente (13, 14) che possono facilitare una
maggiore diffusione di questi approcci multidimensionali.
Un recente studio (15) condotto su 143 pazienti
affetti da LNH, con una età mediana di 63 anni
(range 18-88), ha dimostrato che tutti i parametri di valutazione geriatrica (l’età, il Karnofsky score, le valutazioni ADL e IADL e le comorbilità) erano significativamente associati alla sopravvivenza globale. Tuttavia questo studio soffre di diverse limitazioni in quanto è stato condotto solo su
pazienti ricoverati, non distingue fra i diversi tipi
di LNH e non considera i parametri prognostici
clinici come l’International Prognostic Index (IPI)
o il Follicular Lymphoma International Prognostic
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
Patologie cardiache (solo cuore)
Ipertensione (si valuta la severità, gli organi
coinvolti sono considerati separatamente)
Patologie vascolari
(sangue vasi midollo, milza, sistema linfatico)
Patologie respiratorie
(polmoni, bronchi, trachea sotto la laringe)
Occhi/O.R.L.
(occhio, orecchio, naso, gola, laringe)
Apparato gastroenterico superiore
(esofago, stomaco, duodeno, vie biliari
epato-pancreatiche; escluso diabete)
Apparato gastroenterico inferiore
(intestino, ernie)
Patologie epatiche
Patologie renali (solo rene)
Altre patologie genito-urinarie
(ureteri, vescica, uretra, prostata e genitali)
Sistema muscolo-scheletrico-cute
Patologie sistema nervoso
(s.n.c. e periferico, esclusa demenza)
Patologie endocrino-metaboliche
(include diabete, sepsi, stati tossici)
Patologie psichiatriche e comportamentali
(include demenza, depressione, ansia,
agitazione, psicosi)
TABELLA 3 - Indice di comorbilità (CIRS). Menomazione:
1 = assente: nessuna compromissione; 2 = lieve:
compromissione che non interferisce con la normale
attività; 3 = moderata: compromissione che interferisce con
la normale attività, trattamento necessario, prognosi
buona; 4 = grave: compromissione che produce disabilità,
trattamento indilazionabile, la prognosi può non essere
buona; 5 = molto grave: compromissione a rischio di non
sopravvivenza, trattamento urgente, prognosi grave.
Index (FLIPI). Più convincente lo studio di Tucci
et al. (16) i quali hanno dimostrato che una valutazione geriatrica completa è più efficace del semplice giudizio clinico nel discriminare quei pazienti anziani che si giovano di una terapia simile a
quella dei pazienti più giovani. In questo studio,
condotto su pazienti di età >65 anni affetti da LNH
a grandi cellule, sono stati definiti fit quei pazienti che presentavano tutte le seguenti caratteristiche:
1) età <80 anni;
2) ADL score 6;
3) <3 comorbilità di grado 3 secondo la scala
CIRS-G;
4) nessuna sindrome geriatrica.
47
48
Seminari di Ematologia Oncologica
Gli autori riferiscono che una tale valutazione non
ha richiesto più di 15 minuti per paziente e che,
a posteriori, si è rivelata più efficace nel selezionare i pazienti da sottoporre a chemioterapia
aggressiva. Essa infatti ha identificato come
pazienti fit solo il 50% della casistica mentre
secondo il giudizio clinico circa il 75% dei
pazienti era giudicato abile a ricevere una terapia aggressiva. I pazienti giudicati fit secondo questa valutazione geriatrica hanno avuto percentuali di risposta (92%), sopravvivenza libera da progressione (PFS) (73%) e sopravvivenza globale
(OS) a due anni (77%) del tutto sovrapponibile a
quella dei pazienti più giovani mentre i pazienti giudicati unfit hanno avuto percentuali di risposte
(52%), PFS (21%) e OS (23%) a due anni di gran
lunga inferiori a prescindere dal trattamento ricevuto. In questa casistica pertanto i pazienti unfit
hanno dimostrato una prognosi più sfavorevole
anche se trattati con terapia aggressiva e senza
che venisse dimostrata una differenza tra gli unfit
trattati con chemioterapia aggressiva e quelli trattati con terapia palliativa in termini di caratteristiche geriatriche o correlate al linfoma.
n LNH NEI PAZIENTI ANZIANI
E UNFIT: SONO DIFFERENTI?
Questo ultimo studio solleva il dubbio che i
pazienti unfit, definiti così perché troppo anziani
o per via delle comorbilità abbiano, per qualche
ragione, una malattia più aggressiva rispetto ai giovani. In realtà diversi dati in letteratura orientano
verso una maggiore aggressività della malattia linfomatosa negli anziani anche se non sono mai state prodotte dimostrazioni convincenti di questo
assunto. In generale, la letteratura internazionale è concorde nell’assegnare all’età un ruolo prognostico negativo, ma in molti casi il peggiore
andamento di questi pazienti è stato associato alle
comorbilità, alla maggiore tossicità della chemioterapia e alla somministrazione di dosaggi ridotti di farmaci (17).
Nella pratica clinica, poiché i pazienti unfit hanno un aumentato rischio di morte, i medici sono
più inclini a prescrivere terapie a dosi ridotte di
farmaci antiblastici in questi pazienti, strategia
questa che aumenta le probabilità di sviluppo di
resistenze e, in ultima analisi, di fallimento della
terapia (18). Pertanto non è chiaro se i linfomi dell’anziano siano biologicamente diversi da quelli del
giovane.
Uno studio (19) che ha valutato 1283 casi di LNH
inseriti nell’ambito del Non-Hodgkin’s Lymphoma
Classification Project (e pertanto in qualche
modo selezionati) suddivisi in diverse classi di età,
ha dimostrato che negli anziani erano più frequenti i linfomi a piccoli linfociti e i linfoplasmocitoidi
oltre che un basso performance status e una maggiore incidenza di infiltrazione midollare. Questo
studio ha inoltre evidenziato come la percentuale di risposta completa al trattamento sia in funzione dell’età (68% nel gruppo dei più giovani [<35
anni] vs 45% nel gruppo dei più anziani [>70 anni])
ed anche la sopravvivenza libera da malattia e la
sopravvivenza globale si riducevano con l’età. In
questo studio l’8% dei pazienti di età >70 anni
era deceduto in RC per altra patologia vs il 5%
di tutti gli altri gruppi di pazienti, confermando la
cattiva prognosi dei linfomi degli anziani soprattutto a causa delle comorbilità.
Un altro studio condotto in Olanda (20) su una
popolazione di una regione geografica definita
dove tutti i casi di linfoma erano stati registrati per
un periodo di circa 10 anni, ha valutato le caratteristiche, il trattamento e l’esito di pazienti di età
≥70 anni, comparandoli con quelli di età <70 anni.
Questo studio ha dimostrato che non c’era differenza fra i due gruppi di pazienti per quanto
riguarda la distribuzione delle localizzazioni, lo stadio, il carico di malattia e i valori di LDH mentre
chiaramente c’era una differenza nell’indice di
Karnofski. Inoltre lo studio ha rilevato una differenza nel grado istologico secondo la Working
Formulation (ma non secondo la REAL classification) e relativa ad una minore incidenza di linfomi ad alto grado di malignità nei pazienti anziani
ed anche ad una maggiore incidenza del sesso
femminile (anche se questo potrebbe essere semplicemente legato alla maggiore percentuale di
donne nella popolazione anziana in generale). Lo
stesso studio ha inoltre documentato come nei
pazienti anziani ci fosse una più elevata incidenza di pazienti per i quali la stadiazione non è stata condotta in maniera completa e nel 74% dei
casi questo era dovuto alla omissione della biopsia osteomidollare. Il 19% dei pazienti anziani non
Linfomi non Hodgkin
era stato trattato (contro l’8% dei pazienti più giovani) e i pazienti anziani avevano ricevuto meno
schemi di terapia contenenti antracicline rispetto ai pazienti più giovani (26% vs 63%).
Nel complesso, i pazienti anziani avevano una
minore percentuale di remissione completa (38%
vs 59%) e di sopravvivenza a 5 anni (22% vs 53%)
inoltre questo studio ha anche documentato che
non c’era differenza nella sopravvivenza libera da
malattia una volta ottenuta la remissione completa. In realtà sembra che la peggiore prognosi dei
linfomi nei pazienti anziani sia confinata al sottogruppo dei linfomi aggressivi. Uno studio retrospettivo condotto solo su pazienti di età superiore a 80 anni (21) ha confermato che l’incidenza
dei linfomi aggressivi aumenta con l’età. Dividendo
i pazienti in due fasce di età (≤84 e ≥85 anni), gli
Autori hanno registrato che nella fascia più
anziana solo l’8% dei pazienti aveva un linfoma
indolente mentre il 92% presentava un LNH
aggressivo. Inoltre, i pazienti più anziani presentavano più frequentemente un aumento della LDH
(67% vs 42%, p=0,028) e un IPI score ≥3 (63%
vs 44%, p=0,094) mentre il performance status
era uguale fra i due gruppi. È stato anche documentato che nei pazienti anziani sono più frequenti le varianti immunoblastiche, che sono associate a peggiore prognosi, mentre c’è una minore
incidenza sia di linfomi anaplastici che, soprattutto, di linfomi del mediastino, queste ultime due
patologie a prognosi decisamente più favorevole (22). Inoltre, gli studi che hanno esaminato il profilo di espressione genica dei LNH a grandi cellule hanno chiaramente dimostrato che esistono
almeno due sottotipi di linfomi a grandi cellule con
profilo genico differente nonostante essi appaiano identici ad una valutazione al microscopio.
Questi sottotipi sono stati definiti germinal center B-cell (GCB) type e activated B-cell (ABC) type
ed è stato documentato sia che il GCB type insorge ad una età mediana che è di 8 anni inferiore
rispetto all’ABC type, sia che la sopravvivenza dei
pazienti con il sottotipo ABC e trattati con CHOP
è circa la metà di quella dei pazienti con il sottotipo GCB (23).
Infine, i LNH aggressivi associati a EBV sono tipici dell’età anziana e sono associati a cattiva prognosi, anche se nel mondo occidentale rappresentano una percentuale sicuramente minoritaria
(24). In accordo con questo dato, uno studio (25)
condotto su 453 pazienti di età >69 anni affetti
da linfomi aggressivi e randomizzati a ricevere un
trattamento contenente o meno antraciclina,
conclude che i pazienti anziani hanno una peggiore prognosi anche quando trattati con terapie
adeguate nonostante in questo studio i pazienti
con comorbilità significative venissero esclusi. Gli
Autori concludono che i pazienti anziani hanno
una malattia più aggressiva come testimoniato dal
fatto che il 54% dei pazienti avevano 2 o 3 dei
fattori prognostici negativi identificati dall’IPI.
Inoltre i pazienti anziani hanno una minore percentuale di risposta al trattamento, una più elevata percentuale di progressione, PFS e OS più
brevi. Tuttavia in questo studio non è presente
alcun paragone diretto con casistiche di pazienti più giovani.
n TOSSICITÀ DELLA CHEMIOTERAPIA
NEI PAZIENTI UNFIT
Mielotossicità
I pazienti anziani e unfit sono ad aumentato rischio
di mielotossicità e l’incidenza di neutropenia febbrile in pazienti di età >70 anni e trattati con schemi contenenti antracicline, è compresa fra il 10 e
40% (26).
Particolarmente a rischio è il primo ciclo di terapia, dove viene registrata la più elevata incidenza di infezioni e decessi (27).
In un studio retrospettivo, Morrison et al. (28) hanno dimostrato che, dopo terapia con CHOP, i
pazienti di età >65 anni avevano una più alta incidenza di ospedalizzazione per neutropenia febbrile, nonostante ricevessero dosi più basse di
chemioterapici e un minor numero di cicli di terapia. Gomez et al. (29) hanno rilevato che l’incidenza di neutropenia febbrile e di decessi durante il
primo ciclo di terapia, era molto più frequente nei
pazienti di età >70 anni rispetto a quelli di età compresa fra i 61e 69.
Da considerare inoltre che l’aggiunta del rituximab
alla chemioterapia ha come conseguenza un lieve aumentato rischio di mielotossicità, sebbene
finora non sia stata documentata una maggiore
incidenza di complicanze infettive (30). Studi randomizzati hanno dimostrato che il G-CSF som-
49
50
Seminari di Ematologia Oncologica
ministrato in profilassi nei pazienti anziani, è in grado di ridurre l’incidenza di neutropenia febbrile ed
infezioni, anche se non incide sulla sopravvivenza globale (31).
Sulla base di questi studi, sia le linee guida
dell’ASCO (American Society of Clinical Oncology)
(32) che dell’EORTC (European Organization for
Research and Treatment of Cancer) (33) raccomandano che nei pazienti di età >65 anni, trattati con chemioterapia per linfomi aggressivi, venga instaurata una profilassi della neutropenia febbrile con G-CSF.
Peraltro, l’uso dei fattori di crescita potrebbe aiutare a mantenere una adeguata relative dose intensity (RDI) che si è dimostrato un parametro critico per la risposta al trattamento.
È stato infatti dimostrato che una RDI >90% si
associava ad un aumento della sopravvivenza
(5.38 anni vs 2,24 anni, p = 0,002) in pazienti affetti da linfoma aggressivo e trattati con CHOP (34).
Un recente studio osservazionale (35) denominato INC-EU (Impact of Neutropenia in
Chemotherapy - European Study Group), condotto in diversi Paesi europei, ha confermato che
l’incidenza di neutropenia indotta da chemioterapia (prevalentemente R-CHOP) aumenta con
l’età e, soprattutto nei pazienti più anziani,
aumenta il rischio di morte in corso di neutropenia febbrile.
Tuttavia questo studio rileva che le raccomandazioni dell’ASCO e EORTC vengono spesso disattese in quanto nella coorte di pazienti di età superiore a 60 anni, soltanto il 28% dei pazienti ha ricevuto una profilassi primaria con G-CSF, non differentemente dai pazienti più giovani. In questo
studio i pazienti più anziani avevano una maggiore incidenza di ritardi nella somministrazione della chemioterapia ed avevano una maggiore probabilità di ricevere una terapia subottimale (relative dose intensity <85%) per lo più per neutropenia o complicanze infettive.
L’anemia, già spesso presente nei pazienti affetti da linfoma, è comunque esacerbata dalla chemioterapia. I sintomi dell’anemia, quali l’astenia,
la cefalea, la dispnea, la tachicardia, l’irritabilità,
possono essere particolarmente avvertiti nei
pazienti affetti da comorbilità e nei pazienti
anziani e possono peggiorare la qualità di vita. È
anche noto che l’anemia ha una valenza progno-
stica negativa nei pazienti cardiopatici e broncopatici.
Per questi pazienti è pertanto necessario correggere l’anemizzazione e questo risultato si può ottenere sia attraverso trasfusioni di emazie, sia attraverso la somministrazione di farmaci stimolanti
l’eritropoiesi quali eritropoietina o darbepoietina.
Le linee guida raccomandano di iniziare il trattamento nei pazienti affetti da anemia secondaria
a chemioterapia per valori di Hb <10 g/dl.
Tuttavia, nei pazienti con limitata riserva cardiopolmonare o malattia coronarica, l’inizio della terapia con eritropoietina può essere preso in considerazione anche per valori superiori, sempre però
al di sotto di 12 g/dl. In questi casi occorre tuttavia tenere i pazienti sotto stretto monitoraggio
ed evitare che i valori di Hb superino di molto i
12 g/dl in quanto, almeno in altre patologie neoplastiche, un uso non controllato dei farmaci stimolanti l’eritropoiesi si è associato ad un aumentato rischio di eventi tromboembolici e di mortalità (36).
Cardiotossicità
Le antracicline sono incluse praticamente in tutti gli schemi efficaci per il trattamento dei LNH
aggressivi e studi recenti indicano la loro utilità
anche nei linfomi indolenti (37). Tuttavia, questa
classe di farmaci è gravata da una cardiotossicità sia a breve che a lungo termine e il rischio di
insufficienza cardiaca congestizia aumenta sia con
l’aumentare della dose che con l’età (38-41).
Hershman et al. (40) hanno analizzato 6.388
pazienti di età superiore a 65 anni, affetti da LNH,
dei quali il 42% aveva ricevuto chemioterapia contenente doxorubicina. Dopo aggiustamento per
precedenti fattori di rischio e malattie cardiache,
gli autori hanno confermato che l’impiego di adriamicina si associava ad un aumentato rischio di
sviluppare insufficienza cardiaca congestizia
(CHF) e che l’età ≥85 anni e uno score di comorbilità ≥2 erano fortemente associati con il susseguente rischio di sviluppare CHF. In particolare gli
autori hanno rilevato una forte interazione fra ipertensione e rischio di CHF indotta da antracicline.
La consapevolezza che gli schemi contenenti
antracicline siano più efficaci anche nei pazienti
anziani (42), ha spinto molti Autori a cercare di trovare soluzioni alternative che permettessero di
Linfomi non Hodgkin
mantenere l’efficacia del trattamento pur riducendo la cardiotossicità. In passato si è cercato di
mitigare questo effetto collaterale con la contemporanea somministrazione di dexrazoxane, un
chelante del ferro con attività cardioprotettiva (43),
che però non solo non ha dimostrato in maniera
convincente di poter ridurre l’incidenza di cardiopatie ma ha anche sollevato il sospetto di una
possibile interferenza con l’efficacia antitumorale delle antracicline (44). Altri studi hanno impiegato antracicline differenti dalla doxorubicina (o
adriamicina) che hanno una minore cardiotossicità come l’epirubicina o la idarubicina, oppure un
analogo strutturale delle antracicline quale il mitoxantrone. In una nostra precedente esperienza
(45), abbiamo sottoposto pazienti anziani affetti
da linfoma aggressivo ad una terapia alternante
CEOP/CNOP allo scopo di ridurre la dose totale
del singolo farmaco cardiotossico e di sfruttare
la non completa cross resistenza fra i due farmaci. Inoltre questi due farmaci hanno un profilo di
tossicità differente e quindi il loro uso alternato
permette una maggiore diluizione degli effetti collaterali specifici. Con questo schema alternante
CEOP/CNOP abbiamo trattato 41 pazienti di età
>60 anni affetti da LNH aggressivo ed abbiamo
ottenuto risultati sovrapponibili a quelli ottenuti con
altre antracicline ma con un ottimo profilo di tossicità. In generale però, quando gli schemi contenenti altre antracicline sono stati confrontati in
studi randomizzati, essi si sono dimostrati inferiori rispetto al classico CHOP in termini di efficacia (46). Più di recente Morra et al. (47) hanno
elaborato uno schema tutto orale con idarubicina, etoposide e prednimustina nel tentativo di rendere ambulatoriale e di facile somministrazione la
terapia dei linfomi aggressivi nei pazienti anziani
>70 anni. Tuttavia questo regime, se da un lato
ha dimostrato di essere ben tollerato e privo di
tossicità cardiologica, dall’altro ha dovuto registrare una limitata efficacia in quanto su 19 pazienti, solo 8 hanno ottenuto la RC che peraltro è stata di breve durata in quanto 5 pazienti sono ricaduti dopo una mediana di 7 mesi.
Un altro approccio inteso a limitare la cardiotossicità delle antracicline è quello di somministrare la doxorubicina in infusione continua allo scopo di ridurre il picco plasmatico. Questa strategia ha portato allo sviluppo del regime R-EPOCH
la cui efficacia è attualmente confrontata con quella di R-CHOP (48). Un’altra opzione è quella dei
bloccanti del recettore per l’angiotensina II. Uno
studio (49) ha confermato il ruolo della angiotensina II nella cardiotossicità indotta dalle antracicline ed ha dimostrato che un bloccante del recettore dell’angiotensina II, come il valsartan, è in grado di attenuare la cardiotossicità acuta nei
pazienti affetti da LNH e trattati con schemi contenenti antracicline. In questo studio 40 pazienti
affetti da LNH e trattati con CHOP, venivano randomizzati a ricevere o meno 80 mg/die di valsartan. Gli Autori hanno dimostrato che la chemioterapia induceva un transitorio aumento del diametro del ventricolo sinistro, dell’intervallo QTc,
della dispersione del QTc (un parametro elettrocardiografico che valuta il danno cardiaco subclinico) e del dosaggio sierico del peptide natriuretico cerebrale e atriale (marcatori sensibili di cardiotossicità acuta). Tutti questi parametri ritornavano nella norma entro una settimana dopo la
somministrazione di CHOP e il valsartan era in grado di prevenire in maniera significativa tutti questi cambiamenti ad eccezione dell’elevazione del
peptide natriuretico atriale. Più di recente l’attenzione si è rivolta verso formulazioni di adriamicina incapsulata in liposomi (v. infra).
L’aggiunta del rituximab agli schemi di polichemioterapia ha ulteriormente messo in rilievo il problema della cardiotossicità nei pazienti anziani.
Nello studio che ha consacrato l’efficacia del rituximab nei pazienti anziani affetti da LNH aggressivo, le complicanze cardiache coinvolgenti il sistema di conduzione, come aritmie sopraventricolari e tachicardia, hanno avuto una incidenza del
5.9% nei pazienti trattati con R-CHOP vs l’1% nei
pazienti trattati con sola chemioterapia (50), È stato descritto un episodio di blocco atrioventricolare completo in una donna anziana trattata con
rituximab in monoterapia (51) e un episodio di
tachicardia ventricolare durante l’infusione di rituximab in un paziente affetto da linfoma mantellare (52). Foran (53) ha riportato che il 7% dei
pazienti affetti da linfoma indolente e trattati con
rituximab come agente singolo, ha sviluppato
diverse forme di aritmia. Un recente studio (54)
che ha comparato lo schema CHOP con o senza rituximab in pazienti molto anziani (età >80 anni)
ha evidenziato che i pazienti trattati con R-CHOP
51
52
Seminari di Ematologia Oncologica
avevano una maggiore incidenza di ricovero per
angina rispetto a quelli trattati con CHOP (1,3%
vs 0,4%, p=0,04). Tuttavia queste osservazioni
non sono state confermate da altri studi. Kilickap
et al. (55) in 28 pazienti trattati con CHOP e 33
pazienti trattati con R-CHOP, hanno studiato i
parametri sistolici e diastolici attraverso l’ecocardiografia bi-dimensionale e l’eco-Doppler ed
hanno dimostrato in questi pazienti una significativa riduzione della funzione diastolica dopo il trattamento, ma senza una differenza significativa fra
i due gruppi.
n APPROCCIO AL PAZIENTE UNFIT
CON LNH AGGRESSIVO (Tabella 5)
L’approccio diagnostico e soprattutto terapeutico nei pazienti unfit affetti da linfomi aggressivi è
oggetto di dibattito in letteratura ma è certamente da condividere un atteggiamento che miri a non
lasciare nulla di intentato nella gestione di questi
pazienti. È necessario pertanto, quando possibile, eseguire una biopsia di un linfonodo intero o
una biopsia incisionale di un organo coinvolto,
scoraggiando l’uso dell’agoaspirato con ago
sottile ed è utile, quando il laboratorio lo consente, eseguire tutte quelle metodiche di immunistochimica e biologia molecolare che vengono normalmente effettuate nei pazienti fit. Anche la stadiazione deve essere completa e per ogni paziente dovrebbe essere definito l’IPI score (22). Una
valutazione geriatrica completa, come detto in precedenza, sebbene time-consuming, potrebbe
essere di estremo ausilio nell’identificare i pazienti che possono essere sottoposti o meno a terapia aggressiva. Ma il dato più importante, proveniente dall’esperienza del DSHNHL (German
High Grade Non Hodgkin Lymphoma Study
Group) è che, proprio perché i linfomi aggressivi
sono in grado di invadere diversi organi, possono essere essi stessi causa di disfunzione d’organo ed è pertanto opportuno applicare queste
valutazioni in maniera dinamica. Pfreundschuh (22)
propone di rivalutare i pazienti affetti da linfomi
aggressivi e con disfunzione d’organo dopo un
breve trattamento ed escludere questi pazienti da
un trattamento standard solo se le disfunzioni
d’organo e il basso performance status persistono dopo almeno 7 giorni di trattamento definito
prefase.
Oltre alla idratazione e terapia di supporto, la prefase prevede 7 giorni di prednisone associato o
meno a 1 mg di vincristina e questo approccio
ha ridotto in maniera significativa i decessi
rispetto ai precedenti trials ed ha permesso un
netto miglioramento del performance status dei
pazienti, permettendo a molti di essi di passare
dalla definizione di unfit a quella di fit tale da poter
essere trattati secondo la terapia standard (RCHOP). Pfreundschuh (22) consiglia inoltre, nonostante la somministrazione di pegfilgrastim al giorno +4, dopo il primo R-CHOP, di seguire i pazienti anziani con un emocromo bisettimanale per
Raccomandazioni
Azioni
Valutazione del fitness status
PS, scale di comorbilità, scale geriatriche, scale di validità.
Valutazione funzionale dei reni, fegato e cuore
Clearance creatinina, test di funzionalità renale, ecocardiogramma
Valutazione della polifarmacia
Controllare le possibili interazioni fra farmaci
Eliminare la compromissione generale dovuta
al linfoma
Eseguire una “prefase” con steroidi prima di iniziare la chemio vera
e propria
Aggiustamento della dose
Seguire il paziente con frequenti visite ed emocromi.
Ridurre il dosaggio dei chemioterapici
Terapia di supporto
intorno a 12 g/dl,
Idratazione, G-CSF fin dal primo ciclo, EPO per mantenere Hb
profilassi antibatterica, virale e fungina
Complicanze
Trattare con tempestività la mucosite, la neutropenia febbrile,
la disidratazione
TABELLA 5 - Raccomandazioni per la gestione di pazienti unfit affetti da linfoma aggressivo e candidati ad una terapia con intento
di ottenere una remissione completa.
Linfomi non Hodgkin
valutare in maniera accurata la tossicità ematologica, che non è prevedibile in questi pazienti. È
poi necessaria una profilassi antinfettiva con levofloxacina 500 mg/die e amphotericina B sospensione orale dal giorno +7 fino a >500 neutrofili e,
di recente, la profilassi per citomegalovirus (acyclovir) e pneumocystis (cotrimossazolo) sono
diventati il nuovo standard per tutti i pazienti anziani trattati con R-CHOP. Per i pazienti che rimangono unfit anche dopo la prefase e che abbiano
un’età molto avanzata (>85 anni) viene invece indicata una terapia con rituximab al quale, in caso
di risposta si può aggiungere bendamustina o vinblastina. Uno studio (56) che ha valutato le cause di morte precoce (entro 4 mesi dalla diagnosi) nei pazienti affetti da LNH, ha confermato che
il rischio di morte precoce interviene soprattutto
nei pazienti anziani affetti da LNH aggressivo, che
il decesso avviene soprattutto per sepsi, perforazione intestinale o progressione di malattia, e
che il rischio potrebbe essere ridotto con una
attenta sorveglianza del paziente, un adattamento delle dosi alle caratteristiche del paziente, una
buona terapia di supporto e probabilmente l’uso
della prefase.
Una recente review sull’approccio terapeutico dei
pazienti unfit affetti da LNH aggressivo (57), conferma che per tutti i pazienti che possono tollerarlo, a prescindere dall’età, il trattamento con
antracicline è necessario. Tuttavia, esiste una
significativa proporzione di pazienti anziani, che
può arrivare anche al 40%, che non sono eleggibili per un trattamento tipo R-CHOP. Questi
pazienti costituiscono una popolazione eterogenea in quanto la non eleggibilità può dipendere
da diversi fattori quali performance status (PS),
bassa clearance della creatinina, cardiopatie o
altre comorbilità. In questi pazienti, gli autori suggeriscono un approccio in tre steps:
1) definire i pazienti unfit attraverso strumenti che
valutano lo stato generale fisiologico come per
esempio il Mini Nutritional Assessment (MNA);
2) attraverso una valutazione geriatrica e le scale di comorbilità, dividere i pazienti unfit in vulnerable (che possono essere trattati con trattamenti standard ma a dosi ridotte) e frail (che
possono giovarsi di trattamenti personalizzati);
3) determinare la strategia terapeutica.
n OPZIONI TERAPEUTICHE
In passato, a causa della tossicità ematologica e
della cardiotossicità, si è cercato di sviluppare regimi alternativi privi di antracicline o contenenti analoghi delle antracicline meno cardiotossici (45, 46,
58, 59) che però si sono dimostrati alla fine meno
efficaci del CHOP. In uno studio (57) di fase II
dell’EORTC, 27 pazienti definiti unfit sono stati trattati secondo lo schema COP (ciclofosfamide, vincristina, prednisone) non contenente antraciclina
e, come atteso, i risultati sono stati modesti con
solo il 18% di RC e una sopravvivenza mediana
di 10 mesi. Tuttavia, nonostante le precauzioni,
sono stati registrati 4 casi di tossicità severa, con
3 decessi correlati alla terapia e pertanto lo studio è stato chiuso prematuramente. Analoghi risultati sono stati ottenuti in uno studio condotto in
30 pazienti anziani frail definiti come tali per età
≥80 anni o età ≥70 anni e almeno 3 comorbilità
di grado 3 e una di grado 4 (60).
I pazienti sono stati trattati con uno schema contenente vinorelbina e prednisone che, se da un
lato è stato ben tollerato, dall’altro ha prodotto
risultati deludenti con solo il 10% di RC e una
sopravvivenza mediana di soli 10 mesi.
Al contrario, in una casistica di 32 pazienti con
una simile definizione di frailty, impiegando un
approccio differenziato per caratteristiche di
comorbilità (epirubicina invece di doxorubicina per
i pazienti con moderata cardiopatia e esclusione
della antraciclina per i pazienti con cardiopatia
severa), Tirelli et al. (61) hanno ottenuto la remissione completa (RC) nel 68% dei pazienti con il
78% dei pazienti sopravviventi dopo un follow up
di 20 mesi e con una tossicità accettabile (10%
grado 4), senza decessi correlati alla terapia. In
realtà il successo di questo studio è anche legato ad una costante terapia di supporto con G-CSF
e all’impiego del rituximab in circa la metà dei
pazienti. Questa esperienza è in linea con quello che è l’orientamento attuale di considerare
anche nei pazienti unfit, la utilità di controllare la
malattia linfomatosa con un approccio R-CHOPlike modificato in base alle comorbilità. Un’analisi
del Surveillance, Epidemiology and End Results
(SEER)-Medicare linked database condotta negli
Stati Uniti su 2.326 pazienti anziani affetti da LNH
a grandi cellule, ha dimostrato che dal 1991 al
53
54
Seminari di Ematologia Oncologica
1999 la proporzione di pazienti che avevano ricevuto terapie contenenti antracicline era passata
da <20% a >50%, dimostrando così come la
comunità scientifica si fosse convinta della
necessità di scegliere un trattamento aggressivo
per molti anche se non per tutti i pazienti appartenenti a questa categoria (42).
Una più recente valutazione dei dati SEER condotta su 7.559 casi di soggetti anziani con una
età mediana di 77 anni e affetti da LNH diffuso a
grandi cellule, diagnosticati fra il 1992 e il 2002,
ha fatto rilevare come la percentuale di soggetti
trattati con antracicline non fosse significativamente aumentata rispetto alla passata rilevazione
(58%) ma ci fosse un progressivo incremento dell’impiego del rituximab che si è associato ad un
analogo miglioramento della sopravvivenza.
Dividendo i pazienti in due coorti (1992-1998 e
1999-2002) la sopravvivenza mediana è passata
da 15 a 21 mesi (p<0,0001) e fra i pazienti trattati con antracicline la sopravvivenza a 3 anni è
passata dal 48% al 58% (p<0,0001) (62).
Ambedue gli studi però confermano che esiste
una percentuale non trascurabile (intorno al
35%) e costante nel tempo, di pazienti che non
ricevono alcuna terapia e questa quota sale fino
al 63% nei pazienti di età >85 anni (62), indicando che ancora molti medici sono esitanti nel prescrivere terapie con intento curativo in pazienti
anziani e confermando ancora una volta che spesso i dati ricavati dagli studi clinici o dai Centri di
riferimento non corrispondono a quelli ricavati
dagli studi di popolazione dove la applicazione
nella pratica clinica delle conoscenze della letteratura più recente ha sempre una certa latenza e
viene influenzata da variabili diverse non sempre
ben controllabili.
Un altro recente studio (63) ha valutato in maniera retrospettiva il trattamento di 387 pazienti anziani (>75 anni) affetti da LNH diffuso a grandi cellule e registrati presso il Regional Dutch Cancer
Registry. L’età media di questi pazienti era di 81
anni e solo il 26% di essi è stato trattato con 6
cicli di terapia CHOP-like. Peraltro questa percentuale era in funzione dell’età, salendo al 36% nei
pazienti di età compresa fra 75 e 79 anni e scendendo al 4% nei pazienti di età superiore a 85
anni. Questo studio ha anche confermato che i
pazienti trattati con almeno 6 cicli di terapia
CHOP-like avevano una buona probabilità di
remissione completa (67%) ma anche una elevata probabilità di recidiva (38%), a conferma del
carattere aggressivo dei linfomi a grandi cellule
che insorgono nell’anziano.
Comunque in questi pazienti la sopravvivenza a
5 anni era del 38% mentre la sopravvivenza scendeva progressivamente nei pazienti che avevano
ricevuto meno di 6 cicli di terapia (22%) o in quelli che avevano ricevuto una terapia meno aggressiva (12%) o addirittura nessuna chemioterapia
(4%).
Lo studio ha anche riaffermato la fragilità del
paziente anziano in quanto il 67% dei pazienti trattati con terapia CHOP-like ma anche il 40% dei
pazienti trattati con una chemioterapia più blanda, ha sofferto di una tossicità ematologica di grado 3-4.
Nel 2007 l’IIL (Intergruppo Italiano Linfomi) ha pubblicato i risultati di uno studio prospettico (64) nel
quale è stato comparato un regime CHOP-like,
denominato mini-CEOP (con l’epirubicina al
posto della doxorubicina e la vinblastina al posto
della vincristina) con uno schema MACOP-B like,
denominato P-VEBEC, caratterizzato dalla somministrazione settimanale di farmaci attivi contro
i linfomi ma a dosaggio più basso.
Questo studio è stato condotto in pazienti affetti da linfoma aggressivo, di età >65 anni senza
importanti comorbilità ma circa il 30% di questi
pazienti presentava un PS fra 2 e 4. Lo studio non
ha dimostrato significative differenze fra i due
bracci di trattamento ma ha confermato la fattibilità di schemi contenenti antracicline anche nei
pazienti anziani e soprattutto ha dimostrato che
i pazienti che avevano ottenuto una risposta, registravano un netto miglioramento nella qualità di
vita, inclusi la riduzione del dolore, il miglioramento dell’appetito, del sonno, della costipazione e
dello stato emozionale, dimostrando che i benefici della terapia superano di gran lunga gli aspetti negativi degli effetti collaterali indotti dai chemioterapici anche nei pazienti anziani.
Quale terapia per i pazienti ultraottantenni?
( Tabella 6)
L’approccio basato sull’impiego di chemioterapia
a basse dosi allo scopo di ridurre la tossicità, si
è rivelato abbastanza fallimentare nei pazienti
Linfomi non Hodgkin
anziani affetti da linfoma aggressivo, con basse
percentuali di risposte complete e breve sopravvivenza (60). L’introduzione della immunoterapia,
già oltre un decennio addietro, ha avuto un importante impatto sulla gestione dei pazienti affetti da
LNH e la combinazione di rituximab e chemioterapia (R-CHOP) è diventata lo standard di riferimento. Curiosamente, uno dei primi studi che ha
consacrato l’efficacia dell’R-CHOP, è stato condotto proprio sui pazienti anziani (50) e studi susseguenti hanno confermato l’efficacia e la buona tollerabilità dello schema R-CHOP nei pazienti anziani (30, 65). Attualmente pertanto lo schema R-CHOP rappresenta la terapia di prima scelta per i pazienti anziani fit di età compresa fra 60
e 80 anni. Sulla base di questi risultati, e del principio more is better, alcune istituzioni hanno esteso questo concetto anche ai pazienti ultraottantenni e negli ultimi anni è comparsa in letteratura qualche pubblicazione riferita esclusivamente
ai pazienti di età superiore a 80 anni (7, 66, 67).
Inoltre, un recente studio (54) che ha comparato
retrospettivamente oltre 600 pazienti trattati con
CHOP o R-CHOP, conferma che anche nei
pazienti di età >80 anni, l’aggiunta del rituximab
migliora la sopravvivenza a 3 anni (47% vs 30%,
p=0,07) e a 5 anni (32% vs 25%, p=0,07). Si tratta però di valutazioni retrospettive di casistiche
che, anche se non selezionate per criteri di fitness,
certamente includono molti pazienti unfit anche
se bisogna considerare che, trattandosi di centri
Tipo di studio
di riferimento, questa categoria di pazienti potrebbe essere poco rappresentata. In generale
comunque questi studi dimostrano come ci sia
stata negli ultimi anni una crescente consapevolezza che, come nei pazienti giovani, anche nei
pazienti anziani, il trattamento dovrebbe essere
scelto non sulla base dell’età ma sulla base del
tipo di LNH e dei fattori prognostici e che, una
volta raggiunta la RC, la durata di questa non è
dissimile da quella dei pazienti più giovani.
L’obiettivo del trattamento dovrebbe essere pertanto quello di somministrare una terapia che, evitando effetti collaterali gravi, possa mirare ad ottenere una duratura RC. In accordo con questa filosofia è stato di recente pubblicato l’unico significativo studio prospettico di trattamento con un
regime attenuato di R-CHOP in pazienti affetti da
LNH diffuso a grandi cellule e di età >80 anni (68).
Questo studio, che rappresenta una vera speranza per i pazienti molto anziani (66), ha documentato, in una casistica di 150 pazienti, anche se
selezionati per assenza di comorbilità importanti, che lo schema R-miniCHOP (rituximab 375
mg/m2, Ciclofosfamide 400 mg/m2, doxorubicina
25 mg/m2, vincristina 1 mg al giorno 1 e prednisone 40 mg/m2 giorni 1-5) dà una buona percentuale globale di risposte (73%) e di RC (62%) ed
una prolungata sopravvivenza (59% a due anni).
Questo regime è stato ben tollerato ed ha permesso nella maggior parte dei casi la somministrazione dei dosaggi previsti (relative dose inten-
Italiano (64)
Bairey (21)
Thieblemont (7)
Errante (70)
Peyrade (68)
Weidmann (71)
Retrospettivo
Retrospettivo
Retrospettivo
Prospettico
Prospettico
Prospettico
N° di paz.
19
78
102
25
149
14
Età mediana
83
83
83
82
83
85
Terapia R-CHOP like
100%
59%
47%
MVP-BV
100%
BR
OR
79%
87%
68%
73%
69%
RC
62%
50%
36%
52%
62%
54%
Neutropenia febbrile
6%
NR
14%
12%
7%
10%
Follow up
23 m
33 m
-
17 m
20 m
54 m
76% (2ys)
20 m
1,2 y
25 m
29 m
7,7 m
OS
OR = risposa globale, RC = remissione completa, OS = sopravvivenza globale
MVP-BV = Mitoxantrone, VP-16, Prednisone, Bleomicina, Vincristina BR = bendamustina + rituximab.
TABELLA 6 - Studi riguardanti pazienti di età >80 anni affetti da LNH aggressivi.
55
56
Seminari di Ematologia Oncologica
sity 97% sia per la doxorubicina che per la ciclofosfamide), con un basso numero di decessi attribuibili alla terapia (12/150) e un basso numero di
giorni passati in ospedale. Poiché la somministrazione profilattica di G-CSF non era obbligatoria
ma lasciata alla discrezione del medico, come prevedibile, la tossicità ematologica è stato l’evento avverso più frequente che si è manifestato
soprattutto al primo ciclo di terapia, supportando ulteriormente il suggerimento del gruppo tedesco di seguire in maniera particolarmente ravvicinata i pazienti anziani durante il primo ciclo di
terapia con l’aggiunta del G-CSF e della profilassi antinfettiva (22). Questo studio ha inoltre indicato che un basso valore di albumina nel siero è
l’unico parametro che in analisi multivariata mantiene una valenza prognostica negativa. Questo
parametro pertanto potrebbe essere un buon indicatore della capacità dei pazienti molto anziani di
tollerare un trattamento relativamente intensivo.
Un altro schema di chemioterapia di combinazione contenente mitoxantrone, VP-16, prednisone,
vincristina, bleomicina, è stato impiegato con successo (risposte globali 68% e RC 52%) in uno studio italiano su 25 pazienti affetti da LNH aggressivo e con età mediana di 82 anni. Tuttavia, anche
se in generale, la terapia è stata ben tollerata, 4
pazienti sono deceduti durante la chemioterapia,
2 di loro per documentata batteriemia (70).
N° pazienti
Età
Myocet
RDI
OR
RC
Eventi cardiaci
Neutropenia 3-4
Neutropenia febbrile
G-CSF
Follow up
DFS
OS
Rigacci (78) Visani (79)
211
20
70
73
50
50
83%
90%
90%
76%
65%
5%
10%
NR
26%
10%
5%
No
Si
19 m
24 m
78%
83%
76%
90%
Heintel (80)
202
74
50
80%
75%
0
82%
NR
Si (54%)
14 m
75%
Meglio tollerata sembra invece la associazione di
bendamustina e rituximab (71). Questa combinazione è stata testata in 14 pazienti affetti da linfoma aggressivo e con una età mediana di 85
anni. Tutti i pazienti erano stati giudicati non eleggibili ad un trattamento con R-CHOP. La risposta globale è stata del 69% e la RC del 54%. La
maggiore tossicità è stata la neutropenia (23%
grado 3-4) e nel 10% di tutti i cicli è stata registrata un’infezione ma nessun paziente è deceduto per cause correlate alla terapia
Quale terapia per i pazienti con
controindicazioni alla doxorubicina?
(Tabella 7)
Allo scopo di migliorare l’indice terapeutico della doxorubicina, sono state sviluppate due formulazioni liposomiali, una peghilata (Caelix) ed una
non peghilata (Myocet). Inizialmente sono stati
prodotti degli studi nei quali la doxorubicina veniva sostituita dal Caelix nello schema CHOP (7274) ma, nonostante i buoni risultati preliminari nei
pazienti anziani, la particolare diffusione di questo farmaco alla cute, provoca di frequente un
effetto collaterale denominato disestesia palmoplantare che rende difficile l’impiego di questo farmaco a dosaggi elevati.
La doxorubicina liposomiale non peghilata
(Myocet) rispetto a quella convenzionale si carat-
Luminari (81)
72
72
50
85%
71%
57%
21%
54%
18%
Si (47%)
33 m
69%
72%
Gimeno (82)
35
76
30
86%
69%
14%
54%
34%
Si
24 m
58%
70%
Dell’Olio (83) Corazzelli (84)
80
41
70
73
50
50/2 wk
88%
96%
73%
79%
68%
0
17%
22%
19%
NR
NR
Si
Si
31 m
27 m
77%
72%
77%
67%
OR = risposa globale, RC = remissione completa, OS = sopravvivenza globale
MVP-BV = Mitoxantrone, VP-16, Prednisone, Bleomicina, Vincristina BR = bendamustina + rituximab.
TABELLA 7 - Studi che hanno impiegato la doxorubicina liposomiale non peghilata in schemi di polichemioterapia in pazienti affetti
da LNH a grandi cellule.
Linfomi non Hodgkin
terizza per una maggiore AUC e una migliore
distribuzione a fegato, milza e linfonodi. Gli studi preclinici hanno dimostrato che il Myocet alle
stesse dosi della doxorubicina, mantiene l’efficacia antitumorale, ma presenta una più bassa tossicità cardiaca e gastroenterica. Queste caratteristiche rendono questo farmaco il candidato ideale per sostituire la doxorubicina nel trattamento
dei pazienti unfit (75). Dopo le prime incoraggianti esperienze nei pazienti HIV+ affetti da LNH
aggressivo (76) e nel trattamento di prima linea
di pazienti affetti da LNH aggressivo (77), sono
comparse in letteratura diverse esperienze che ne
hanno testato l’efficacia e la tollerabilità nei pazienti anziani e unfit. Rigacci et al. (78) hanno trattato con R-COMP (Myocet 50 mg/m 2) 21 pazienti
con una percentuale di RC del 76% e solo in un
paziente è stata registrata una tossicità cardiaca.
In un analogo studio, Visani et al. (79) hanno impiegato lo schema R-COMP per il trattamento di 15
pazienti alla diagnosi e 5 in recidiva, tutti affetti
da LNH diffuso a grandi cellule.
L’età mediana era 73 anni, tutti i pazienti avevano 1 o più comorbilità e il 45% di essi presentavano un WHO performance status ≥2; 90% dei
pazienti hanno mostrato una risposta al trattamento con il 65% di RC e solo in 2 pazienti si è registrata una insufficienza cardiaca con una riduzione del 20% della frazione di eiezione ventricolare. Heintel et al (80) hanno trattato 20 pazienti (5
pretrattati) affetti da LNH B-diffuso a grandi cellule con età mediana di 74 anni e tutti affetti da
patologie cardiache.
In questo studio la percentuale di risposta è stata sovrapponibile a quella degli altri studi (RC 75%)
ma la tossicità ematologica è stata di gran lunga
maggiore, con l’82% di pazienti che hanno presentato una leucopenia/neutropenia di grado 34 nonostante il 54% dei pazienti avesse ricevuto una profilassi primaria o secondaria con G-CSF.
Al contrario, la tossicità cardiaca è stata nulla.
Luminari et al. (81) hanno trattato 72 pazienti con
età mediana di 72 anni e 38 di questi avevano una
storia di patologie cardiovascolari. Utilizzando criteri di valutazione molto restrittivi, la percentuale
di risposte è risultata minore rispetto agli altri studi (risposta globale 71%, RC 57%) ma probabilmente questi dati sono sottostimati e se si considerano soltanto i pazienti che abbiano ricevu-
to almeno due cicli di R-COMP, la percentuale di
risposte risulta nettamente aumentata (82%). Allo
stesso modo, sebbene il 21% dei pazienti abbia
mostrato una qualche tossicità cardiaca, solo nel
4% dei casi si è trattato di una tossicità di grado 3-4. In un altro studio (82) 35 pazienti con età
mediana di 76 anni e una o più severa comorbilità sono stati trattati secondo lo schema R-COMP
ma con Myocet a dosaggio di 30 mg/m2.
Nonostante il dosaggio più basso, si sono registrate percentuali di risposta completa (69%) e di
tossicità cardiaca (5/35) analoghe allo studio precedente e in questo studio gli autori hanno anche
dimostrato che elevati livelli di NT-ProBNP (N-terminal brain natriuretic peptide) hanno un significato prognostico negativo.
Dell’Olio et al (83) in una casistica a prognosi lievemente più favorevole (età 70 anni, assenza di
comorbilità nel 30% dei pazienti), impiegando lo
schema R-COMP (Myocet 50 mg/m2) hanno registrato una elevata percentuale di RC (79%) in
assenza di eventi cardiaci. Infine, Corazzelli et al.
(84) sulla scia dei risultati dello schema R-CHOP14 nei pazienti anziani fit hanno valutato l’impatto di dosi più ravvicinate (ogni 2 settimane) (RCOMP-14) in pazienti anziani (età mediana 73
anni) con cardiopatie definite a moderato impatto (quali un pregresso infarto del miocardio o una
malattia valvolare) o ad alto impatto (malattia coronarica, fibrillazione atriale, disturbi del ritmo, cardiopatia ipertensiva). Anche questo schema
compatto si è dimostrato fattibile, con una RDI
del 90% e ha indotto una buona percentuale di
RC (68%), con eventi cardiaci soltanto nel 17%
dei pazienti. Tutti questi studi hanno un follow up
ancora limitato, compreso fra 13 e 31 mesi ma
una sopravvivenza globale (dal 67% al 90%) del
tutto incoraggiante per questa categoria di
pazienti. Questi risultati fanno prevedere che la
doxorubicina liposomiale, sostituendo quella
convenzionale nel trattamento dei pazienti unfit,
possa permettere di mantenere una adeguata
intensità di chemioterapia in pazienti che mostrano peraltro una malattia più aggressiva. In questo senso la possibile capacità della antraciclina
liposomiale di superare alcuni meccanismi di chemioresistenza legati alla multi drug resistance
(MDR-1) (76), pone una ulteriore indicazione al suo
uso nei pazienti anziani e unfit.
57
58
Seminari di Ematologia Oncologica
n APPROCCIO AL PAZIENTE UNFIT
CON LNH INDOLENTE
Il prototipo dei LNH indolenti è il linfoma follicolare che rappresenta circa il 25% di tutti i LNH.
Tipicamente colpisce i pazienti anziani con una
età mediana di insorgenza di 65 anni. Si tratta di
una patologia generalmente considerata indolente, sensibile al trattamento ma con elevata tendenza alla recidiva e quindi non guaribile con una
mediana di aspettativa di vita di circa 10 anni.
Anche per i linfomi follicolari, l’avvento del rituximab ha rappresentato un significativo miglioramento in termini non solo di risposta ma anche
di durata della stessa suggerendo che la combinazione di chemio e immunoterapia potrebbe
effettivamente modificare la storia naturale di queste neoplasie. Certamente però nei pazienti
affetti da linfomi indolenti, il problema della terapia aggressiva si pone in termini di molto minoritari. Spesso infatti questi linfomi sono asintomatici e nei pazienti anziani o unfit la raccomandazione è quella di un atteggiamento watch and wait
in quanto è stato dimostrato che la probabilità per
questi pazienti di non necessitare di alcun trattamento a 10 anni è fino al 40% per i pazienti di
età >70 anni (85). Al contrario, per i pazienti affetti dalle forme più aggressive, l’atteggiamento
dovrebbe essere simile a quello adottato nei linfomi a grandi cellule. In uno studio canadese in
pazienti affetti da LNH follicolare di grado 3 (patologia di confine fra i linfomi indolenti e quelli
aggressivi) gli autori hanno dimostrato che i
pazienti anziani avevano la stessa probabilità di
risposta e di mantenimento della risposta rispetto ai pazienti più giovani quando trattati con schemi contenenti antracicline ma la sopravvivenza
globale era significativamente peggiore nei pazienti anziani a causa delle condizioni di comorbilità
e di aumentata tossicità a seguito del trattamento (86). In effetti, anche se molti centri ritengono
che schemi non contenenti antracicline, come per
esempio il CVP, siano adeguati al trattamento dei
linfomi follicolari, gli studi più recenti indicano che
un trattamento contenente antracicline rappresenta il golden standard per i pazienti sintomatici affetti da linfoma follicolare, almeno nei soggetti giovani (37). In questo senso sembrano interessanti i risultati ottenuti dall’Intergruppo Italiano
Linfomi (87) in pazienti di età compresa fra 60 e
75 anni e affetti da LNH follicolare. In questi
pazienti una breve chemioimmunoterapia secondo lo schema R-FND (rituximab, fludarabina,
novantrone, desametasone) seguita da un consolidamento con 4 dosi di rituximab e poi da un
mantenimento che prevede una randomizzazione con e senza rituximab, era in grado di indurre una elevata percentuale di RC (69%) e di risposte globali (86%) con una remissione molecolare nel 75% dei casi, anche se la PFS a due anni
è stata del 73%, indicando che questi pazienti
mantengono un certo rischio di ricaduta precoce. I pazienti di età >70 anni e quelli con 2 o più
comorbilità hanno avuto gli stessi risultati degli altri
pazienti in termini di efficacia ma con una tossicità ematologica (25% di neutropenia severa) che
pone la necessità di una vigorosa terapia di supporto qualora si volesse estendere questo schema a pazienti molto anziani.
Fra i nuovi farmaci per il trattamento dei linfomi
indolenti è certamente da annoverare la bendamustina. Questo composto, che racchiude insieme le proprietà di un analogo delle purine e di un
agente alchilante, ha dimostrato peraltro una buona sinergia con il rituximab (88). Sulla base di questi presupposti, sono stati eseguiti dapprima studi di fase II di combinazione bendamustina e rituximab (BR) (89) e poi uno studio randomizzato di
fase III di confronto fra BR e R-CHOP in pazienti affetti da LNH follicolare e altri linfomi indolenti (90). In questo studio la percentuale di risposta
è stata simile nei due bracci ma la durata dell’efficacia del trattamento è stata a vantaggio del
braccio BR (PFS mediana 39 mesi nel braccio RCHOP e non ancora raggiunta nel braccio BR),
indicando la combinazione bendamustina e rituximab come una valida alternativa allo schema
R-CHOP in pazienti unfit in particolare anziani o
con comorbilità soprattutto cardiache.
Un altro promettente approccio nei pazienti unfit
è quello della radioimmunoterapia (RIT) che prevede l’impiego di un anticorpo monoclonale coniugato con un radioisotopo, in particolare in Europa
l’ittrio (90Y-ibritumomab). Sono stati condotti studi di fase II in pazienti con LNH indolenti recidivanti con risposte nell’ordine del 70% (91) e una
valutazione su 211 pazienti provenienti da 4 trials
clinici ha dimostrato che la RIT induce risultati
Linfomi non Hodgkin
simili fra pazienti giovani e anziani in termini sia
di efficacia che di tollerabilità (92). Uno studio di
fase III ha comparato il 90Y-ibritumomab con il
rituximab in pazienti con LNH indolente recidivato ed ha dimostrato che la RIT induce una maggiore percentuale di risposte globali (80% vs 56%,
p=0.002) e di RC (30% vs 16%, p=0,04) anche
se il tempo alla progressione non era differente
nei due bracci di trattamento (93). Tuttavia bisogna considerare che la RIT induce mielosoppressione e per tale motivo in genere sono stati inclusi in questi studi per lo più pazienti fit mentre sono
stati esclusi tutti i pazienti che presentavano >25%
di infiltrazione midollare da linfoma, una cellularità midollare <15%, piastrine <100.000/mm3, neutrofili <1.500/mm3. Nonostante queste limitazioni, per la sua efficacia e il basso profilo di tossicità, la RIT rimane una importante opzione terapeutica per i pazienti unfit.
n APPROCCIO AL PAZIENTE UNFIT
CON LNH MANTELLARE
La prognosi del linfoma mantellare è notevolmente migliorata negli ultimi anni grazie alla inclusione negli schemi terapeutici delle alte dosi di citosina arabinoside e del trapianto di cellule staminali (94). È chiaro però che questi approcci non
sono praticabili nei pazienti anziani o unfit.
Tuttavia, gli studi che hanno valutato e monitorato la malattia minima residua con metodiche di
biologia molecolare, hanno chiaramente dimostrato che l’ottenimento di una remissione molecolare completa può consentire una prolungata
sopravvivenza libera da malattia indipendentemente dall’età (95). Sarebbe pertanto importante raggiungere una buona remissione non solo per
i pazienti giovani ma anche per gli anziani e unfit
e per tale motivo negli ultimi anni anche per i
pazienti anziani affetti da linfoma mantellare si è
registrato da parte degli ematologi un approccio
più intensivo rispetto all’atteggiamento più conservativo di qualche anno addietro (96). Questa
evoluzione è stata favorita ancora una volta dall’efficacia della combinazione del rituximab con
la chemioterapia. Così, per i pazienti anziani fit la
terapia di scelta è diventato lo schema R-CHOP
o R-CVP o schemi contenenti fludarabina per quei
pazienti con comorbilità cardiache (97).
L’European Mantle Cell Lymphoma Network (98)
ha appena concluso uno studio di fase III che ha
messo a confronto lo schema R-CHOP con lo
schema R-FC in 550 pazienti anziani (età mediana 70 anni) affetti da LNH mantellare.
Al momento, sui 395 pazienti valutabili, è emersa chiaramente la superiorità dello schema RCHOP. Infatti, sebbene la percentuale di RC sia
uguale nei due schemi (38% per R-CHOP e 34%
per R-FC), si nota una superiorità nello schema
intermedio di R-CHOP, in termini di percentuale
di risposte globali (87% vs 78%), percentuale di
progressione di malattia (5% vs 15%), percentuale di decessi per linfoma durante l’induzione (3%
vs 12%) o in prima remissione (3% vs 9%) e
sopravvivenza mediana (64 vs 38 mesi). Lo schema R-CHOP è stato anche meglio tollerato in particolare per quanto riguarda la piastrinopenia grado 3-4 (16% vs 41%). Lo studio inoltre prevedeva che i pazienti rispondenti venissero randomizzati a ricevere una terapia di mantenimento con
rituximab o interferone e i risultati dello studio hanno evidenziato che il mantenimento con rituximab
si è dimostrato più efficace, garantendo una più
lunga durata di remissione (51 vs 24 mesi,
p=0,012).
Nei pazienti unfit l’approccio favorito è quello di
una più blanda chemioimmunoterapia e in questo ambito la combinazione di clorambucil e rituximab si è dimostrata attiva e ben tollerata (99).
L’impiego del rituximab, invece, in monoterapia
si è rivelato in grado di indurre una bassa percentuale di risposte globali (27%) e di RC (3%) senza peraltro assenza di tossicità, in quanto il 13%
dei pazienti ha presentato tossicità di grado 3-4
e un paziente è deceduto per pneumocistosi. In
questo studio i pazienti venivano anche randomizzati a ricevere o meno una terapia di mantenimento con rituximab ma, contrariamente allo
studio precedentemente citato, in questo caso la
terapia di mantenimento non era in grado di indurre un significativo vantaggio ed era anche responsabile di tossicità di grado 3-4 dal 9% al 13% dei
casi (100). Per il trattamento dei LNH mantellari
ci sono poi tutta una serie di nuovi farmaci particolarmente promettenti quali la già citata bendamustina impiegata in associazione al rituximab
o ad altri chemioterapici (101), il bortezomib (102),
59
60
Seminari di Ematologia Oncologica
la lenalidomide (103) e il temsirolimus (104). Tutti
questi farmaci sono stati impiegati finora in pazienti recidivati dove hanno dimostrato di essere efficaci e ben tollerati, ponendosi come candidati
ideali per il trattamento dei pazienti unfit.
ADL
IADL
CIRS
ETÀ
n CONCLUSIONI E RIASSUNTO
Gli innegabili progressi nel trattamento dei linfomi nei pazienti fit stanno cominciando a proiettare una luce anche nella gestione del paziente
unfit che per la verità appare ancora dominata da
un approccio empirico e privo di studi controllati. Al vecchio e pur sempre valido principio del primum non nocere si è adesso affiancata la consapevolezza che un approccio palliativo è quasi
sempre fallimentare mentre un atteggiamento più
simile a quello adottato nei pazienti fit sembra
essere più efficace nei casi nei quali questo è possibile. Certamente la modulazione del trattamento sulla base dello stato di validità è indispensabile, come anche appaiono molto utili le valutazioni geriatriche e delle comorbilità.
Bisogna però uscire dall’empirismo e inserire
quanti più pazienti possibili in trials clinici disegnati apposta per i pazienti unfit.
In questo senso numerosi gruppi cooperativi sono
alla ricerca di strumenti che possano dare una
misura precisa dello stato di validità e che possano essere adottati da tutte le ematologie o
oncologie anche quelle più periferiche e sempre
di più viene invocata la necessità di collaborazione con altre figure specialistiche, in particolare i
geriatri. Anche la Fondazione Italiana Linfomi (FIL)
ha istituito una commissione che ha lo scopo di
occuparsi dei pazienti anziani e unfit e che sta proponendo una serie di protocolli sperimentali sia
per i linfomi indolenti che per quelli aggressivi.
Questa commissione, nell’ambito dei pazienti
anziani, ha identificato tre gruppi di pazienti distinti in base all’età, alle scale di validità e alle comorbilità. I pazienti vengono definiti unfit o frail sulla
base di un criterio cronologico (età ≥80 anni)
oppure clinico-funzionale (basato su ADL, IADL
e CIRS) (Tabella 8).
Certamente i progressi maggiori ce li aspettiamo
da una sempre più profonda conoscenza della
biologia della malattia. La constatazione che tal-
FIT
6
8
UNFIT
5
7-6
FRAIL
≤4
≤5
0 score 3-4
<5 score 2
-
0 score 3-4
5-8 score 2
≥80 fit
1 score 3-4
>8 score 2
≥80 unfit
TABELLA 8 - Definizione del “Fitness Status” dei pazienti anziani
secondo la FIL (Fondazione Italiana Linfomi).
volta la malattia è più aggressiva nel paziente unfit
non ha ancora una convincente spiegazione biologica ma le nuove metodiche di sequenziamento del genoma e le valutazioni di nuovi parametri biologici (ad esempio il ruolo dei sRNA, il ruolo dello stroma nello sviluppo della malattia)
potranno permettere nel futuro di comprendere
meglio alcuni aspetti biologici e potranno spiegare alcuni aspetti clinici che al momento ci sfuggono. Migliori conoscenze biologiche ci permetteranno di eseguire terapie più mirate e di disegnare combinazioni di terapie meno tossiche.
Inoltre, nel prossimo futuro possiamo contare sui
nuovi farmaci, in particolare i farmaci biologici (per
esempio lenalidomide e bortezomib, inibitori delle chinasi, ecc.) e i nuovi anticorpi monoclonali che
in studi preliminari, condotti su pazienti ricaduti
o refrattari, hanno dimostrato buona efficacia e
limitata tossicità e pertanto sembrano particolarmente adatti per essere testati sui pazienti unfit.
Peculiarità dei pazienti anziani e unfit
affetti da LNH
L’incidenza dei linfomi aumenta con l’età e pertanto nella pratica clinica molti linfomi rientrano
nella categoria unfit. Questo rende ragione del fatto che gli studi di popolazione danno risultati peggiori rispetto agli studi clinici.
Età, comorbilità e stato funzionale hanno valore
prognostico indipendente ma all’incrementare dell’età, aumentano le comorbilità e peggiora lo stato funzionale. La fisiopatologia dell’invecchiamento gioca un ruolo fondamentale nel determinismo
dello stato di validità. I linfomi aggressivi degli
anziani hanno caratteristiche cliniche e biologiche
di maggiore malignità. La diagnosi e la stadiazione dovrebbero essere simili a quelle dei pazienti fit.
La valutazione geriatrica sempre più dovrebbe
Linfomi non Hodgkin
essere presa in considerazione per una migliore
definizione dei pazienti e per la programmazione
terapeutica. Nei linfomi aggressivi una riduzione
del performance status può essere legata alla
malattia e un trattamento di prefase è indicato in
molti pazienti. Nei pazienti unfit si osserva un incremento degli effetti collaterali della chemioterapia,
in particolare mielosoppressione (e conseguente
infezione) e cardiotossicità. I meccanismi di clearance e metabolizzazione dei farmaci possono
essere alterati. I numerosi farmaci assunti da questi pazienti possono incrementare le reazioni
avverse e le interazioni farmacologiche.
I medici sono ancora riluttanti a trattare questi
pazienti con terapie aggressive. Tuttavia, le esperienze di terapie palliative sono risultate fallimentari. Un approccio polichemioterapico con dosaggi adattati (ad esempio R-miniCHOP nei linfomi
aggressivi) sembra costituire una vera speranza
per i pazienti anziani e unfit. È necessaria però una
adeguata profilassi infettiva e una pronta terapia
di supporto. Una volta ottenuta la RC, la durata
della stessa è spesso sovrapponibile a quella dei
pazienti fit. Fra i farmaci candidati a diventare lo
standard del trattamento nei pazienti unfit: il rituximab e gli altri anticorpi monoclonali, le antracicline liposomiali, i nuovi farmaci biologici.
Nei LNH indolenti, l’atteggiamento watch and wait
è certamente da incoraggiare quando possibile.
Nei LNH mantellari l’ottenimento di una remissione molecolare completa può consentire una prolungata sopravvivenza libera da malattia indipendentemente dall’età. Da qui l’utilità di terapie con
l’intento di ottenere una risposta completa anche
nei pazienti unfit.
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65
67
Trapianto di cellule
staminali emopoietiche
ROBERTO RAIMONDI, CARLO BORGHERO, FRANCESCA ELICE,
FRANCESCO RODEGHIERO
Roberto Raimondi
Centro Trapianto di Midollo Osseo, U.O. Ematologia,
Dipartimento di Terapie Cellulari ed Ematologia,
Ospedale San Bortolo, Vicenza
n INTRODUZIONE
L’outcome del trapianto di cellule staminali emopoietiche dipende da molteplici fattori che si possono raggruppare in tre principali categorie: fattori legati alla malattia di base (ad esempio i marcatori di rischio biologici o clinici, lo stadio e la
fase, lo stato di remissione, la chemiosensibilità),
fattori legati alla procedura (ad esempio la fonte
delle cellule staminali, il tipo di donatore, l’intensità del condizionamento) e fattori legati al
paziente, che tratteremo specificamente in questo articolo.
La decisione se avviare o meno un paziente al trapianto deve tener conto di tutte queste componenti e rappresentare la loro sintesi in un bilancio rischio/beneficio favorevole o sfavorevole.
Limitandoci in questa sede alla categoria dei fattori legati al paziente è comunque evidente come
sia importante valutare se un paziente è in grado di sopportare il trapianto, visto che tale prati-
ca terapeutica è tuttora gravata da una significativa mortalità e morbilità. I parametri generalmente usati per tale valutazione pretrapianto sono l’età,
il performance status, i test di funzionalità d’organo (cuore, polmoni, fegato, reni), il peso corporeo, le comorbilità e lo stato psico-sociale.
Questi parametri ed i loro valori limite tradizionalmente usati per definire l’idoneità al trapianto sono
schematizzati nella Tabella 1.
Ma quali basi hanno questi limiti e quale è la loro
utilità nella pratica clinica quotidiana, soprattutto
nell’ottica del rischio di mortalità legata al trapianto (TRM)?
Questo articolo si propone di analizzare tali aspetti evidenziando in quale misura essi possano servire a definire un paziente unfit per il trapianto.
Ove possibile verranno anche indicati alcuni eventuali provvedimenti che possono servire ad attenuare l’effetto negativo dei fattori di rischio.
n ETÀ
Parole chiave: trapianto di cellule staminali emopoietiche, età, comorbilità, rischio, valutazione pretrapianto.
Indirizzo per la corrispondenza
Dott. Roberto Raimondi
Centro trapianto di midollo osseo
U.O. Ematologia
Dipartimento di Terapie Cellulari ed Ematologia
Ospedale San Bortolo
Viale Rodolfi, 37 - 36100 Vicenza
E-mail: [email protected]
L’età è sicuramente un fattore determinante per
l’outcome del trapianto. Il rischio di TRM aumenta progressivamente con l’età e nell’EBMT risk
score (5) sono attribuiti i punteggi di 0, 1, 2 rispettivamente alle età inferiore a 20 anni, tra 20 e 40
anni, superiore a 40 anni. Ugualmente, anche se
con criteri e pesi diversi, il rischio età è compreso nello score di rischio PAM (Pretransplantation
Assessment of Mortality) (6) (Tabella 2).
Storicamente sono stati posti limiti intorno ai 50-
68
Seminari di Ematologia Oncologica
Thomas’ (1)
Hamadani (2)
The BMT Data Book (3)
auto
allo
auto
allo
auto
allo
Età
≤75 a.
≤60 a.
≤75 a.
≤55-75 a.
≤70 a.
PSK
FE
FEV1
DLCO
Creatinina, mg/dL
Cl. Cr., ml/min
Bilirubina, mg/dL
AST-ALT
≥70%
≥45%
≥60%
≥60%
≤1,5
≥70%
≥45%
≥60%
≥60%
≤1,5
≥70%
≥45%
≥60%
≥50%
≤1,5
≥70%
≥45%
≥60%
≥50%
≤1,5
≤55 a. se MA
≤70 a. se RIC
≥70%
≥40%
≤2
≤2 x v.n.
≤2
≤2 x v.n.
≤2
≤2 x v.n.
≤2
≤2 x v.n.
Peso corporeo
≤2,8
≤3
NMDP (4)
≥70%
≥50%
≥60%
≥50%
≤1,5
>60
≤2
≤2 x v.n.
95-145%
95-145%
del peso ideale del peso ideale
Legenda: PSK: Performance Status Karnofsky, FE: frazione di eiezione ventricolare, FEV1: volume espiratorio forzato in un secondo, DLCO: capacità di diffusione del monossido di carbonio, Cl.Cr.: clearance della creatinina, MA: condizionamento mieloablativo, RIC: condizionamento ad intensità ridotta/non mieloablativo, NMDP: National Marrow Donor Program.
TABELLA 1 - Alcuni criteri di eleggibilità ideali.
EBMT
Variabile
Età
Stadio della malattia
PAM
Score
<20 anni
0
20-40 anni
1
>40 anni
2
precoce
intermedio
avanzato
HLA id. sibling
0
1
2
0
altro
1
<12 mesi
0
>12 mesi
1
tutte le altre
donatore F e
ricevente M
0
Tipo di donatore
Intervallo dalla
diagnosi al trapianto
Combinazione sesso
donatore/ricevente
Variabile
Età
Rischio della malattia
Tipo di donatore
Condizionamento
1
FEV1
DLCO
ALT
Creatinina
<20 anni
20-30 anni
30-40 anni
40-50 anni
50-60 anni
>60 anni
basso
intermedio
alto
related, matched
unrelated
related, mismatched
non mieloablativo
non TBI
TBI ≤12 Gy
TBI >12 Gy
>80%
70-80%
<70%
>80%
70-80%
<70%
≤49 U/L
>49 U/L
≤1,2 mg/dL
>1,2 mg/dL
Legenda: FEV1: volume espiratorio forzato in un secondo, DLCO: capacità di diffusione del monossido di carbonio.
TABELLA 2 - Confronto fra gli score di rischio EBMT (5) e PAM (6).
Score
1
1
1
1
3
5
1
8
12
1
3
4
1
4
8
9
1
3
6
1
1
4
1
2
1
8
Trapianto di cellule staminali emopoietiche
55 anni per il trapianto allogenico standard considerando sostanzialmente che oltre tali età i rischi
di tossicità fossero eccessivi, particolarmente per
l’aumentata incidenza di Graft versus Host
Disease (GVHD) e di TRM.
Un recente report dell’esperienza di Seattle su trapianti con condizionamento mieloablativo eseguiti in pazienti di età compresa tra 60 e 68 anni ha
evidenziato una TRM a 100 giorni del 27% e a 3
anni del 43%.
Riferimento
Ai fini della nostra valutazione dell’impatto dell’età
è interessante l’osservazione degli Autori che una
simile TRM è stata riscontrata in un’analoga popolazione di 14 pazienti, sempre di età superiore a
60 anni, sottoposti a trapianto singenico, dove
quindi non c’era la componente GVHD ad
influenzare l’outcome (7).
Nella Tabella 3 sono riportati alcuni recenti lavori sull’influenza dell’età nei riguardi dell’outcome
del trapianto.
N. paz.
Patologie
Kusmierz-Glaz 1997 (8)
500
varie
Tipo di trapianto Conclusioni
auto
L’età è il maggiore fattore predittivo per TRM
Siegel 1999 (9)
98
MM
auto
L’età ≥65 anni non peggiora significativamente l’outcome
Badros 2001 (10)
70
MM
auto
L’età ≥70 anni aumenta la TRM
Reece 2003 (11)
110
MM
auto
L’età ≥60 anni non peggiora significativamente l’outcome
Lenhoff 2006 (12)
414
MM
auto
L’età ≥60 anni peggiora l’outcome
Jantunen 2006 (13)
101
MM
auto
L’età ≥65 anni non peggiora significativamente l’outcome
O’Shea 2006 (14)
211
MM
auto
L’età ≥60 anni non peggiora significativamente l’outcome
Wallen 2005 (7)
52
varie
allo MA
Il trapianto con condizionamento MA è fattibile in pazienti
di età ≥60 anni selezionati
Alyea 2005 (15)
152
varie
allo MA e RIC
L’età ≥50 anni non peggiora significativamente l’outcome
Corradini 2005 (16)
150
varie
allo RIC
L’età ≥55 anni di per sé non è un fattore di rischio
Shimoni 2005 (17)
36
varie
allo RIC
L’outcome dei trapianti con paziente anziano è simile a quello
con paziente giovane
Spyridonidis 2005 (18)
34
AML, MDS
allo RIC
Il trapianto è fattibile in età >60 anni, anche con malattia attiva
Wong 2005 (19)
135
AML, MDS
allo MA e RIC
Kroger 2006 (20)
26
AML, MDS
allo
Il trapianto con condizionamento a ridotta tossicità è fattibile
fino a 70 anni
Kumar 2008 (21)
33
MM
auto
L’età ≥70 anni non peggiora significativamente l’outcome
Lim 2010 (22)
1333
AML, MDS
allo, MA e RIC
L’età ≥50 anni non peggiora significativamente l’outcome
McClune 2010 (23)
1080
AML e MDS
allo RIC
L’età anche ≥65 anni non peggiora significativamente l’outcome
Deschler 2010 (24)
160
varie
allo RIC
L’età ≥60 anni non peggiora significativamente l’outcome
Koreth 2010 (25)
158
varie
allo RIC
L’età ≥60 anni non peggiora significativamente l’outcome
Gyurkocza 2010 (26)
274
AML
allo RIC
Alatrash 2011 (27)
79
AML, MDS
allo ridotta
Krauter 2011 (28)
102
AML
allo, MA e RIC
Chevallier 2012 (29)
600
varie
allo RIC
Il trapianto è fattibile anche fino a 75 anni
L’età ≥60 anni non peggiora significativamente l’outcome
Età ≥55 anni di per sé non è una ragione di esclusione
tossicità dal condizionamento mieloablativo
L’età ≥60 anni non peggiora significativamente l’outcome
TRM e OS non si differenziano in pazienti con età 60-65 anni
o >65 ani; l’età di per sé non è un fattore avverso
per la sopravvivenza
Legenda: MM: mieloma multiplo, AML: leucemia mieloide acuta, MDS: mielodisplasia, MA: condizionamento mieloablativo, RIC: condizionamento ad intensità ridotta/non mieloablativo, TRM: mortalità legata al trapianto, OS: sopravvivenza globale.
TABELLA 3 - Influenza dell’età sull’outcome del trapianto.
69
70
Seminari di Ematologia Oncologica
La letteratura che riporta studi specificamente
orientati a valutare l’influenza dell’età è molto eterogenea e comunque non evidenzia una significativa differenza di outcome tra trapianti fatti ad
esempio sotto o sopra i 40 anni oppure sotto o
sopra i 50 anni. Pur se la maggior parte degli studi mostra un trend verso una maggiore TRM in
pazienti oltre i 45-50 anni, nessuno studio è riuscito a identifidare un cut-off di età anagrafica oltre
il quale i rischi del trapianto siano proibitivi (30).
Questo in sostanza perché l’età non sempre rappresenta di per sé un fattore di rischio indipendente, ma deve essere considerata nel contesto
di altri fattori e soprattutto perché è necessario
riconoscere la maggiore importanza dell’età biologica, peraltro tuttora di difficile determinazione,
rispetto all’età anagrafica.
Alcuni Autori sostengono che in assenza di severe compromissioni d’organo l’età da sola non
dovrebbe essere considerata una controindicazione al trapianto (31).
D’altro canto il picco di incidenza delle patologie
oncoematologiche è tra i 60 ed i 70 anni dove
quindi si situa il maggior numero di pazienti che
avrebbero bisogno di un trapianto.
Recenti modifiche della pratica trapiantologica
come l’uso delle cellule staminali del sangue periferico, l’introduzione dei condizionamenti ad
intensità ridotta (RIC) e l’uso di più efficaci terapie di supporto hanno ridotto la tossicità del trapianto ed esteso il limite superiore di età. A riprova di questo vi sono i dati riportati dal National
Marrow Donor Program (NMDP) che evidenziano come nei 4 anni dal 1999 al 2002 i trapianti in
pazienti di età superiore ai 50 anni siano stati 1000,
mentre nel solo anno 2010 i trapianti nella stessa fascia di età siano stati 2100, rappresentando il 41% di tutti i trapianti eseguiti, con inoltre
480 trapianti eseguiti in pazienti di età superiore
ai 64 anni (4). Alcuni provvedimenti che possono
aiutare a ridurre i rischi legati all’età sono un’accurata valutazione di eventuali comorbilità e l’uso
di condizionamenti ad intensità ridotta.
Nell’interpretare i risultati degli studi sui condizionamenti ad intensità ridotta è necessario ricordare che non sono molti quelli prospettici e randomizzati che abbiano confrontato i due tipi di
condizionamento, standard e RIC, e che tuttora
c’è un’ampia variabilità nei criteri usati per
avviare un paziente al condizionamento RIC; inoltre spesso i pazienti oltre i 60 anni riportati in letteratura sono comunque pazienti selezionati. C’è
poi un’ampia variabilità delle definizioni dei condizionamenti RIC e/o non-mieloablativi (32, 33)
e si sta inoltre facendo strada anche il concetto
di condizionamento a ridotta tossicità invece che
a ridotta intensità.
Comunque, se la TRM in generale è più bassa
dopo un trapianto con RIC, il rischio di ricaduta
può essere invece maggiore e per cercare di
ovviare a quest’ultimo problema alcuni hanno provato ad usare un condizionamento mieloablativo
anche in pazienti fino a 70 anni d’età, ponendo
particolare attenzione alla terapia di supporto (34).
n PERFORMANCE STATUS
Il paziente candidato al trapianto dovrebbe essere in buone condizioni generali. Tali condizioni vengono generalmente valutate attraverso il performance status score (PS), usando lo score di
Karnofsky (KPS) o quello ECOG. Nella Tabella 4
sono rappresentati i due score. Per affrontare un
trapianto il paziente dovrebbe avere un KPS
≥70%. Nella Tabella 5 sono sintetizzati alcuni lavori che hanno valutato l’influenza del PS sull’outcome del trapianto. Comunque non esiste un cutoff del PS definito e riconosciuto che faccia escludere dal trapianto un paziente altrimenti idoneo.
A questo proposito bisogna anche considerare
che la valutazione del PS è in parte soggettiva (2),
che negli stessi studi clinici sono molto pochi i
pazienti trapiantati con KPS <70% e quindi valutabili a questo scopo, e che tale parametro può
risentire, come misurazione dello stato di forma
generale, dei problemi causati dalla stessa malattia di base che si vuole curare.
Il principale provvedimento da adottare in pazienti che comunque vadano al trapianto anche con
un PS non ottimale è l’uso di un condizionamento ad intensità ridotta o non mieloablativo.
n CUORE
Oltre ovviamente alla storia clinica e all’elettrocardiogramma (ECG), il parametro tradizionalmente
Trapianto di cellule staminali emopoietiche
Performance Status
ECOG
Karnofsky
Non sintomi, pienamente attivo,
0
Sintomatico, ma non sta a letto,
capace di lavori leggeri
1
Sta a letto per meno del 50% della giornata,
incapace di lavorare,
capace di avere cura di sé
2
Sta a letto più del 50% della giornata,
ma non è costretto sempre a letto
3
Completamente costretto a letto
4
Deceduto
5
100%
Capace di fare una normale attività, non evidenza di
malattia capace di lavorare
90%
Capace di fare una normale attività, minimi segni o
sintomi di malattia
80%
Fa una normale attività con sforzo, alcuni segni o sintomi
di malattia
70%
Incapace di una normale attività o di lavorare, capace
di avere cura di sé
60%
Richiede occasionale assistenza, capace di far fronte
alle principali necessità
50%
Richiede una considerevole assistenza da parte di
altri e richiede cure mediche
40%
Disabile, richiede particolari cure e assistenza
30%
Gravemente disabile, indicata l’ospedalizzazione,
non in pericolo di vita
20%
Gravemente malato, indicata l’ospedalizzazione,
necessario un supporto attivo
10%
In fase terminale
0%
Deceduto
TABELLA 4 - Confronto sistemi ECOG e Karnofsky per il PS.
Riferimento
N. paz.
Patologie
Tipo di trapianto
Conclusioni
Anderson 1993 (35)
127
HL
Allo
Goldberg 1998 (36)
383
varie
auto e allo
PS correla con EFS
van Besien 1998 (37)
113
NHL
Allo
Weisdorf 2002 (38)
712
ALL
auto e allo
Sayer 2003 (39)
113
AML
Allo
PS predittivo per EFS
Gomez-Nunez 2004 (40)
145
varie
Allo
PS predittivo per TRM
Wong 2005 (19)
135
AML e MDS
Allo
PS predittivo per OS
Peccatori 2005 (41)
70
Ca renale
Allo
PS associato alla OS
Artz 2006 (42)
105
varie
Allo
PS associato alla scala di comorbilità
Kaplan-Feinstein è predittivo di TRM
PS correla con aumento della TRM a 100 giorni
PS predittivo per OS
PS correla con TRM e OS
Sorror 2008 (43)
341
varie
Allo
PS parametro prognostico indipendente per TRM
Guilfoyle 2009 (44)
TRM
187
varie
Allo
PS parametro prognostico indipendente per
e OS
Deschler 2010 (24)
160
varie
Allo
PS predittivo per OS
Terwey 2010 (45)
151
ALL
Allo
PS non parametro prognostico indipendente
per TRM
Legenda: HL: linfoma di Hodgkin, NHL: linfomi non-Hodgkin, ALL: leucemia linfoblastica acuta, AML: leucemia mieloide acuta, MDS: mielodisplasia, PS: performance status, EFS: sopravvivenza libera da eventi, TRM: mortalità legata al trapianto, OS: sopravvivenza complessiva.
TABELLA 5 - Influenza del PS sull’outcome del trapianto.
71
72
Seminari di Ematologia Oncologica
usato per valutare in fase pretrapianto la funzionalità cardiaca è la frazione di eiezione ventricolare sinistra (FE), misurata attraverso l’ecocardiogramma o la ventricolografia con radionuclide più
comunemente nota come MUltiple Gated
Acquisition Scan (MUGA).
Nella Tabella 6 sono riportati alcuni studi che hanno indagato il valore predittivo della FE pretrapianto nei confronti della TRM o della patologia cardiaca post-trapianto.
Si può notare come siano nettamente prevalenti gli studi che non riportano un significato predittivo della FE <50% sulla TRM e sulle complicanze cardiache gravi post-trapianto.
Riferimento
Uno studio recente di Qazilbash et al. (58) riporta un simile risultato anche in pazienti, selezionati, con una FE <45%. Eterogenee sono anche
le conclusioni in letteratura sull’influenza negativa che avrebbe la dose di antracicline ricevuta prima del trapianto. Al posto della FE alcuni
Autori hanno suggerito l’importanza dell’intervallo QT(c) (59) e della dispersione del QT(c),
cioè della differenza tra l’intervallo QT(c) più lungo e quello più corto nelle 12 derivazioni (60,
61), anche se questo non è stato confermato
nel lavoro di Sakata-Y et al. (56). Comunque l’incidenza di complicanze cardiache dopo trapianto è relativamente bassa (62). Un recente lavo-
N. paz.
Patologie
Tipo di trapianto
Conclusioni
Bearman 1990 (46)
126
varie
allo
La FE <50% non è predittiva di TRM precoce anche se c’è
una tendenza a maggiore incidenza di tossicità cardiaca post
trapianto. La dose di antracicline pretrapianto non è predittiva di grave tossicità cardiaca
Hertenstein 1994 (47)
170
varie
auto e allo
La FE <50% non è predittiva di TRM precoce né di grave
tossicità cardiaca
Jain 1996 (48)
191
NHL
auto
La FE <50% e il test da sforzo non sono predittivi di TRM
precoce
Goldberg 1998 (49)
383
varie
auto e allo
La FE <49% è al limite della significatività per TRM
Zangari 1999 (50)
163
varie
auto e allo
La FE <50% non è predittiva di complicanze cardiache.
La riserva cardiaca misurata come differenza tra FE durante
lo sforzo ed FE a riposo è significativa per complicanze
cardiache e mortalità globale precoce
Lehmann 2000 (51)
148
varie
auto e allo
La FE <50% non è predittiva di TRM precoce né di complicanze cardiache
Brockstein 2000 (52)
138
NHL e ca.
auto
mammario
La FE <50% è predittiva di tossicità cardiaca post-trapianto
Fujimaki 2001 (53)
80
varie
auto e allo
La FE <55% è predittiva di tossicità cardiacapost-trapianto
Murdych 2001 (54)
628
varie
auto e allo
La FE <50% non è predittiva di tossicità cardiaca
post-trapianto
Tang 2004 (55)
308
HL e NHL
auto
Sakata-Yanagimoto
2004 (56)
164
varie
auto e allo
La FE <55% non è predittiva di tossicità cardiaca
post-trapianto; più significativa è la dose di antracicline
(>400 mg/m2) ricevuta prima del trapianto e se le antracicline
sono state usate nei 2 mesi prima del trapianto
Armenian 2008 (57)
226
varie
auto e allo
Una precedente dose di antracicline >250 mg/m2 è associata a insufficienza cardiaca tardiva
Qazilbash 2009 (58)
56
varie
allo
La FE <45% non è predittiva di TRM precoce né di tossicità
cardiaca post trapianto in pazienti selezionati senza
altri fattori di rischio
La FE <50% non è predittiva di TRM precoce
Legenda: FE: frazione di eiezione ventricolare sinistra, HL: linfoma di Hodgkin; NHL: linfomi non-Hodgkin, TRM: mortalità legata al trapianto.
TABELLA 6 - Influenza della funzionalità cardiaca pretrapianto sull’outcome del trapianto.
Trapianto di cellule staminali emopoietiche
ro (63) ha evidenziato la fattibilità del trapianto
anche in pazienti con preesistente malattia coronarica (infarto, ischemia, pregresso intervento di
bypass coronarico) ma con una FE normale, con
nessun aumento di incidenza di TRM rispetto
al gruppo di controllo. Gli Autori concludono che
ai pazienti con malattia coronarica non dovrebbe essere negato a priori il trapianto. È opportuno comunque inserire le valutazioni strumentali cardiache nel contesto di altri fattori che
aumentano il rischio di complicanze cardiovascolari come ad esempio una precedente terapia con antracicline, in particolare se la dose
cumulativa è stata superiore a 400 mg/m2, una
precedente radioterapia toracica, una storia trasfusionale che abbia condotto ad un significativo sovraccarico di ferro, la presenza di amiloidosi, patologie di base come la sclerosi sistemica e la talassemia (62). Alcuni provvedimenti che possono aiutare a ridurre i rischi legati ad
una ridotta funzionalità cardiaca pretrapianto
sono un monitoraggio clinico e strumentale con
ECG ed ecocardiogramma con misurazione della FE, il monitoraggio del Brain Natriuretic
Peptide (BNP) (64-66) il cui aumento può essere predittivo di insufficienza cardiaca, la gestione delle comorbilità che possono aumentare il
rischio cardiovascolare (diabete, ipertensione
arteriosa, malattia polmonare cronica, insufficienza renale, malattie tiroidee, dislipidemia,
inattività fisica, aumentato indice di massa corporea, fumo) (57, 62). Se possibile bisognerebbe evitare l’uso di farmaci cardiotossici nel condizionamento. Alcuni Autori suggeriscono l’uso
di farmaci cardioprotettivi come gli ACE-inibitori in pazienti che presentino una funzionalità
cardiaca non ottimale, ma l’esperienza è limitata perché in un caso (67) è riferita a soli sei
pazienti ed in un altro caso (68) è riferita solo
ad una popolazione pediatrica.
n POLMONI
La valutazione della funzionalità polmonare pretrapianto è effettuata generalmente attraverso la
spirometria, in particolare considerando il volume
espiratorio forzato in un secondo (FEV1) e la capacità vitale forzata (FVC), ed attraverso la misura-
zione della capacità di diffusione del monossido
di carbonio (DLCO). Nella Tabella 7 sono riportati alcuni studi sul valore predittivo di tali test e,
come si può vedere, i risultati sono contrastanti.
Dai dati della letteratura sembra non esserci un
valore soglia di DLCO che controindichi in assoluto il trapianto; pazienti con DLCO <60%, ed
alcuni anche con DLCO <40% (80) sono stati trapiantati con successo. Parimon et al. (77) hanno
proposto uno score di funzionalità respiratoria pretrapianto in base ai valori di FEV1 e DLCO. A valori di FEV1 e DLCO maggiori dell’80%, tra 80 e
70%, tra 70 e 60% e minori del 60% sono stati
assegnati rispettivamente i punteggi di 1, 2, 3, 4.
La somma dei punteggi di FEV1 e DLCO ha permesso di identificare quattro categorie di pazienti ed associare a queste altrettante categorie di
rischio (Tabella 8). Il considerare insieme FEV1 e
DLCO sembrerebbe aumentare la loro capacità
discriminatoria sulla predittività del rischio di insufficienza respiratoria e di mortalità post-trapianto.
È importante ricordare peraltro che i test di funzionalità respiratoria risentono di un’ampia variabilità tecnica dovuta all’eterogeneità della strumentazione usata, al non costante uso dei fattori di
correzione (ad esempio il valore dell’emoglobina
per la DLCO) e alle diverse formule usate per i
valori di riferimento (83).
La maggior parte degli Autori concorda sul fatto
che pazienti con test di funzionalità respiratoria
alterati pretrapianto non dovrebbero essere esclusi dal trapianto. L’utilità di tali test risiede soprattutto nel permettere di identificare i pazienti a maggior rischio di complicanze post-trapianto e nel
fornire i valori basali di riferimento per i successivi controlli nel follow-up (84).
Per cercare di attenuare i rischi legati ad una ridotta funzionalità respiratoria si può usare un condizionamento ad intensità ridotta, rinunciare alla
TBI o ridurne la dose erogata ai polmoni a meno
di 9 Gy (85) e non usare, se possibile, farmaci tossici per i polmoni (alcuni a titolo esemplificativo
sono: BCNU, bleomicina, busulfano, ciclofosfamide, Ara-C ad alte dosi, fludarabina, methotrexate, rituximab, Inibitori delle tirosin kinasi, G-CSF,
deferoxamina).
Infine è necessario raccomandare al paziente di
non fumare in quanto nei forti fumatori la TRM
aumenta significativamente (86).
73
74
Seminari di Ematologia Oncologica
Riferimento
N. paz. Patologie Tipo di trapianto Conclusioni
Crawford 1992
(69)
1297
varie
auto e allo
Una DLCO <80% correla con aumentato rischio di TRM a 100 giorni.
Aumento del gradiente P(A-a)O2 >20 mHg correla con aumento mortalità
Ghalie 1992 (70)
163
varie
auto e allo
Solo una FEV1 <70% è associata a complicanze polmonari, ma non ad
aumentata mortalità
Horak 1992 (71)
69
varie
allo
Una FEV1 ridotta aumenta il rischio di polmonite interstiziale da CMV
Carlson 1994 (72)
102
varie
auto
Test anormali, in particolare TLC <80% predicono aumentato rischio di
complicanze polmonari, al limite della significatività
Jain 1996 (48)
191
NHL
auto
Solo una severa riduzione della DLCO è predittiva di insufficienza
respiratoria, altri test compresa la FEV1 non sono predittivi di insufficienza
respiratoria e di mortalità correlata
Goldberg 1998 (49)
383
varie
auto e allo
Una FEV1 <78% e una DLCO <52% correlano con aumentato rischio di
TRM a 100 giorni
Matute-Bello 1998 (73) 307
varie
auto e allo
Una DLCO <65-70% è predittiva per sviluppo di VOD epatica
Ho 2001 (74)
339
varie
auto e allo
Una FEV1 <80%, ma non la DLCO, aumenta il rischio di complicanze
polmonari gravi e di mortalità
Chien 2004 (75)
915
varie
allo
Il rapporto FEV1/FVC <0.8 è associato ad aumentato rischio di patologia
polmonare ostruttiva
Patriarca 2004 (76)
50
varie
allo
I test pretrapianto non sono predittivi di complicanze tardive dopo trapianto
Parimon 2005 (77)
2852
varie
allo
Una FEV1 <70% è associata a precoce insufficienza respiratoria; DLCO, FVC
e TLC <80% sono associate a precoce insufficienza respiratoria e, se <70%,
ad aumento della mortalità
Savani 2006 (78)
69
varie
allo
Una FEV1 e una DLCO <80% sono associate a ridotta funzionalità polmonare tardiva dopo trapianto
Kaya et al 2009 (79)
110
varie
allo
Una FEV1 e una FVC ridotte sono associate ad aumentato rischio di insufficienza respiratoria, ma non di TRM (età pediatrica)
Chien 2009 (80)
221
varie
auto e allo
Una DLCO <60%, ed anche in pochi casi DLCO <40%, non correla da sola
con aumentato rischio di insufficienza respiratoria e di TRM
Ramirez-Sarmiento
2010 (81)
2545
varie
allo
Una TLC <80% aumenta il rischio di insufficienza respiratoria precoce
e di TRM
Ginsberg 2010 (82)
273
varie
allo
Alterazioni di FEV1 e DLCO, combinate in uno score, sono altamente
predittive per la sopravvivenza (in età pediatrica)
Legenda: NHL: linfomi non-Hodgkin, FEV1: volume espiratorio forzato in un secondo, FVC: capacità vitale forzata, DLCO: capacità di diffusione del monossido di carbonio, TLC: total lung capacity, TRM: mortalità legata al trapianto.
TABELLA 7 - Influenza della funzionalità polmonare pretrapianto sull’outcome del trapianto.
Categoria
Descrizione
Somma degli score*
di FEV1 e DLCO
HR per insufficienza
respiratoria precoce
HR
per mortalità
I
Normale
2
riferimento
riferimento
II
Lievemente ridotta
3-4
1.4
1.2
III
Moderatamente ridotta
5-6
2.2
2.2
IV
Gravemente ridotta
7-8
3.1
2.7
*FEV1 e DLCO >80% = score 1, FEV1 e DLCO 70-80% = score 2, FEV1 e DLCO 60-70% = score 3, FEV1 e DLCO <60% = score 4. Legenda: FEV1: volume espiratorio forzato in un secondo, DLCO: capacità di diffusione del monossido di carbonio, HR: hazard risk.
TABELLA 8 - Categorie di rischio in base alla funzionalità polmonare (77).
Trapianto di cellule staminali emopoietiche
n FEGATO
Transaminasi e bilirubina aumentate pretrapianto espongono a maggior rischio di tossicità epatica, malattia veno-occlusiva/sindrome da ostruzione sinusoidale epatica (VOD/SOS) e TRM. Nella
Tabella 9 sono elencati alcuni studi in proposito.
Comunque, anche se non riportati negli studi, ci
sono altri parametri indicativi di funzionalità epatica come ad esempio l’albumina, la colinesterasi ed il tempo di protrombina che possono essere utili per una più completa valutazione.
Un altro aspetto da considerare nella valutazione di potenziali problemi epatici post-trapianto è
la positività per i virus dell’epatite B (HBV) e dell’epatite C (HCV). Tali positività non rappresentano controindicazioni assolute al trapianto, ma portano ad un aumentato rischio di riattivazione virale (con possibile epatite fulminante), di VOD, di
cirrosi epatica, ed inoltre ad un aumento della
TRM e ad una diminuzione della sopravvivenza.
Riferimento
In particolare nei pazienti con alterati indici di funzionalità epatica pretrapianto, è importante controllare la ferritinemia e la presenza di segni di
accumulo epatico di ferro tramite la risonanza
magnetica nucleare perché questo può rappresentare un rischio aggiuntivo per lo sviluppo della VOD e può essere associato ad aumentata TRM
e ridotta sopravvivenza, sia che si usi un condizionamento mieloablativo (96) o un condizionamento non mieloablativo (97).
La presenza di cirrosi epatica è invece considerata una controindicazione al trapianto, anche con
condizionamento a ridotta intensità, per l’elevato rischio di insufficienza epatica fatale.
Ugualmente una malattia epatica cronica appena compensata è considerata una controindicazione al trapianto anche con condizionamento non
mieloablativo (98).
Il rischio di VOD/SOS aumenta se nei tre mesi precedenti il trapianto, il paziente ha ricevuto terapia con imatinib o gemtuzumab, soprattutto se
N. paz.
Patologie
Tipo di trapianto
Conclusioni
Locasciulli 1989
(87)
186
varie
allo
Aumento di GPT correla con aumentato rischio di epatite cronica
Chen 1992 (88)
22
varie
allo
Transaminasi aumentate correlano con aumentato rischio
di disfunzione epatica
McDonald 1993
(89)
335
vedi
allo e auto
Transaminasi aumentate correlano con aumentato rischio
di disfunzione epatica e di VOD di 3-6 volte
Rozman 1996 (90)
1717
varie
allo
Transaminasi aumentate correlano con aumentato rischio
di disfunzione epatica e di VOD
Locasciulli 1997 (91)
111
varie
allo
Alterazione dei test di funzionalità epatica pretrapianto
non correlano con aumentato rischio di disfunzione
epatica e di VOD (età pediatrica)
Kami 1997 (92)
137
varie
auto e allo
Diminuzione della pseudocolinesterasi correla con
aumentato rischio di VOD
Goldberg 1998
(49)
383
varie
auto e allo
AST >51, ALT >45, bilirubina >1,1 sono correlati ad
aumento della TRM a 100 giorni
Kim 2000 (93)
130
varie
auto e allo
Alterazione dei test di funzionalità epatica pretrapianto
non correlano con aumentato rischio di disfunzione
epatica e di VOD
Litzow 2002 (94)
111
varie
auto e allo
Nessun parametro pretrapianto è predittivo di rischio
di VOD
Ozdogan 2003
(95)
61
varie
auto e allo
Transaminasi aumentate correlano con aumentato
rischio di disfunzione epatica
Legenda: VOD: malattia veno-occlusiva epatica, TRM: mortalità legata al trapianto.
TABELLA 9 - Influenza della funzionalità epatica pretrapianto sull’outcome del trapianto.
75
76
Seminari di Ematologia Oncologica
nel condizionamento vengono usati farmaci epatotossici (99). Alcuni provvedimenti che possono
aiutare a ridurre i rischi legati ad una ridotta funzionalità epatica sono l’esecuzione di uno stretto follow-up biochimico ed infettivologico in caso
di sierologia positiva per virus epatitici, la profilassi con lamivudina in caso di pazienti portatori di HBV, l’uso nei pazienti HCV positivi di interferone e ribavirina, con le dovute limitazioni per
la tossicità di tale trattamento, l’utilizzo dell’acido ursodesossicolico (100), l’impiego di un condizionamento ad intensità ridotta cercando
comunque di evitare o di ridurre i chemioterapici epatotossici (ad esempio ciclofosfamide, busulfano, BCNU, VP-16, melphalan, thiotepa, gemtuzumab) e la TBI. Durante il condizionamento è
inoltre dannoso l’uso concomitante di itraconazolo, sirolimus e noretisterone (99).
L’inversione della tradizionale sequenza di somministrazione di busulfano e ciclofosfamide nello
schema di condizionamento Bu-Cy sembra essere favorevole, con una riduzione della tossicità epatica, della VOD e della TRM nel gruppo al quale
viene somministrata prima la Ciclofosfamide e poi
il busulfano (101). In generale bisogna poi porre
attenzione all’uso di farmaci epatotossici nel periodo post-trapianto. In caso di sovraccarico di ferro è utile valutare l’opportunità di instaurare un programma di ferro chelazione, farmacologica o con
salassi. È necessario raccomandare al paziente
l’astensione dall’assunzione di alcol. In caso di
segni di disfunzione epatica di incerta eziologia si
sarebbe dimostrato efficace un precoce trattamento con steroidi ad alte dosi (metilprednisolone 500
mg/m2 ogni 12 ore per 6 dosi) come inibitore della produzione di citochine (102). Il monitoraggio del
BNP potrebbe essere utile nella diagnosi precoce della VOD; infatti un suo aumento nella fase preattecchimento è stato descritto essere significativamente associato allo sviluppo della VOD, indipendentemente da altri fattori, ed un suo picco al
giorno + 7 sarebbe correlato ad un’elevata TRM
entro i primi 100 giorni dal trapianto (103).
n RENI
I parametri comunemente usati per valutare la funzionalità renale pretrapianto sono la creatininemia
e la clearance della creatinina. Un’adeguata funzionalità renale pretrapianto (creatinina <1,5
mg/dl e clearance della creatinina >60 ml/min) è
considerata mandatoria (1) con l’eccezione più frequente fornita dai pazienti con mieloma multiplo
sottoposti a trapianto autologo.
In caso di insufficienza renale c’è il rischio di sotto o sovradosaggio dei chemioterapici del condizionamento con conseguente aumentato rischio
di graft failure, di relapse, di tossicità multiorgano e di TRM. Anche gli altri numerosi farmaci usati nel trapianto come gli inibitori della calcineurina (particolarmente nefrotossica è l’associazione
di sirolimus ed inibitori della calcineurina), il methotrexate e gli antiinfettivi sono nefrotossici e possono far precipitare una già ridotta funzionalità
renale con esito in una insufficienza renale acuta. Un’insufficienza renale acuta post-trapianto che
richieda la dialisi è gravata da una mortalità che
può raggiungere l’80-100% dei casi. Inoltre
un’insufficienza renale aggrava un’eventuale VOD
epatica o una microangiopatia che dovessero
insorgere dopo trapianto.
Tra i farmaci più frequentemente usati nel condizionamento la ciclofosfamide, il melphalan e la fludarabina necessitano di una riduzione di dose,
mentre il busulfano risente poco di una sua eventuale ridotta clearance in caso di insufficienza
renale e necessita solo di una minima riduzione
di dose (104). Il thiotepa è metabolizzato nel fegato e la sua clearance non è influenzata dalla funzionalità renale.
Nel caso della ciclofosfamide alcuni Autori propongono di sottoporre il paziente a dialisi 14 ore
dopo ciascuna somministrazione per rimuoverne
i metaboliti tossici (105).
Il dosaggio della creatinina sierica comunque
risente di una significativa variabilità dei valori normali di riferimento tra i vari laboratori. Inoltre l’affidabilità della creatininemia è parziale perché la
sua determinazione dipende dalla massa muscolare; un paziente con scarsa massa muscolare può
avere un’apparente normale creatininemia anche
se in realtà ha già una scarsa funzionalità renale.
Nella valutazione della funzionalità renale sarebbe quindi necessario basarsi non sulla sola creatininemia, ma determinare anche la clearance della creatinina/velocità di filtrazione glomerulare
(ClCr/VFG). Tra l’altro nelle fasi iniziali dell’insuf-
Trapianto di cellule staminali emopoietiche
ficienza renale, a piccoli aumenti della creatinina
sierica corrispondono più importanti diminuzioni
del filtrato glomerulare.
Però la misurazione diretta della ClCr può risentire di un errore pre-analitico dovuto alla non sempre attendibile raccolta delle urine delle 24 ore da
parte del paziente. Si ricorre più spesso a formule per il calcolo del filtrato glomerulare, con varie
correzioni per il peso (reale o ideale) e la superficie corporea e sempre tenendo conto della massa muscolare. Uno studio (106) ha confrontato la
misurazione diretta della ClCr ed i vari metodi di
calcolo della velocità di filtrazione glomerulare usati nella valutazione prima del trapianto di midollo. Le sei formule correntemente usate forniscono valori superiori, o più raramente inferiori, in varia
proporzione, rispetto alla reale ClCr, ma danno
comunque stime ragionevoli e possono sostituire la ClCr misurata. Nello stesso studio è stato
evidenziato però che né la creatininemia, né la
ClCr misurata né la VFG calcolata erano preditRiferimento
N. paz. Patologie Tipo di trapianto
tive di tossicità renale post-trapianto. Nella
Tabella 10 sono riportati alcuni studi che hanno
indagato il valore dei test di funzionalità renale pretrapianto.
A parte i casi di mieloma, sono stati descritti alcuni casi di trapianto allogenico effettuato con successo in pazienti in dialisi. Due casi in pazienti con
leucemia che hanno ricevuto un condizionamento mieloablativo (TBI-Cy) (116, 117), due casi in
pazienti con anemia di Fanconi che hanno ricevuto un condizionamento ad intensità ridotta (118,
119) e due casi in pazienti con anemia aplastica
severa (120, 121).
Nei pazienti avviati al trapianto che presentino
un’alterata funzionalità renale è opportuno valutare quale ne sia la causa per vedere se questa
possa essere reversibile o meno.
Alcuni provvedimenti che possono aiutare a ridurre i rischi legati ad una ridotta funzionalità renale sono la riduzione della dose di melphalan a 140
mg/m 2 e di altri farmaci del condizionamento, la
Conclusioni
Zager 1989 (107)
272
varie
allo
Gruss 1995 (108)
257
varie
auto e allo
Una creatinina aumentata aumenta il rischio di dialisi
post-trapianto e di TRM
Una creatinina >0,7 mg/dL aumenta il rischio di TRM
Goldberg 1998 (49)
383
varie
auto e allo
Una creatinina >1,1 mg/dL aumenta il rischio di TRM
a 100 giorni
Badros 2001 (109)
81
MM
auto
Il trapianto è fattibile anche in caso di insufficienza
renale e dialisi in paziente con MM
Casserly 2003 (110)
15
amiliodosi
auto
Il trapianto è fattibile anche in caso di insufficienza
renale in paziente con amiloidosi
Hahn 2003 (111)
97
varie
allo
Una ridotta funzionalità renale pretrapianto aumenta
il rischio di complicanze renali post-trapianto e di ricorso
alla dialisi
Lee 2004 (112)
59
MM
auto
Il trapianto è fattibile anche in paziente con MM in dialisi;
l’insufficienza renale può essere reversibile come pure
la dipendenza dalla dialisi
Kersting 2007 (113)
266
varie
allo
Una ridotta VFG correla con rischio di malattia renale
cronica post-trapianto
Kersting 2008 (114)
13
varie
allo RIC
Un trapianto può essere fatto anche in pazienti con lieve
insufficienza renale, con condizionamento non mieloablativo
de Souza 2009 (115)
141 AML e MDS
allo RIC
Una moderata riduzione della VFG non aumenta il rischio
di TRM
Legenda: MM: mieloma multiplo, AML: leucemia mieloide acuta, MDS: mielodisplasia, RIC: condizionamento ad intensità ridotta/non mieloablativo, VFG: velocità di filtrazione glomerilare, TRM: mortalità legata al trapianto.
TABELLA 10 - Influenza della funzionalità renale pretrapianto sull’outcome del trapianto.
77
78
Seminari di Ematologia Oncologica
sostituzione se possibile degli inibitori della calcineurina con il micofenolato mofetile, l’aggiustamento delle dosi dei farmaci nefrotossici, se non
possono essere evitati, con particolare attenzione al loro uso contemporaneo.
Dati sperimentali supporterebbero l’effetto protettivo degli ACE-inibitori, ma le esperienze cliniche
sono solo aneddotiche (123). Allo stesso livello
aneddotico è l’osservazione del ruolo protettivo
che avrebbe la cilastatina nei confronti della nefrotossicità da ciclosporina (124).
È ovviamente necessario un monitoraggio stretto della cretininemia e della VFG per evidenziare
un’iniziale tendenza all’insufficienza renale ed intervenire ad esempio con modifiche della terapia farmacologica perché un’insufficienza renale di
grado avanzato è associata ad elevata mortalità.
L’uso di un condizionamento non mieloablativo
è consigliato (114).
Un recente articolo (122) mette però in guardia circa il rischio di aumentata TRM e diminuita sopravvivenza legato alla aumentata concentrazione di
fludarabina in pazienti con ridotta funzionalità renale sottoposti a trapianto con condizionamento
ridotto.
Riferimento
N. paz.
In questo studio una riduzione della dose di fludarabina del 20-25% non è stata sufficiente ad
impedire una tossicità elevata e gli Autori suggeriscono che in pazienti che presentino anche una
moderata riduzione della funzionalità renale (ClCr
<70 ml/min) e che debbano essere sottoposti al
trapianto con un condizionamento contenente fludarabina, la dose di questa non superi i 25-30
mg/m2.
Ci sono state infine anche esperienze estreme:
sette pazienti con mieloma multiplo ed insufficienza renale grave sono stati trattati con doppio trapianto, di midollo osseo e di rene, dallo stesso
donatore familiare con buoni risultati e lunghe
sopravvivenze (125).
n PESO CORPOREO
L’obesità può alterare la farmacocinetica di molti farmaci. L’influenza del peso corporeo sull’outcome del trapianto di midollo è stata analizzata
da vari studi clinici, alcuni dei quali sono riportati nella Tabella 11. In generale, più che al peso in
assoluto, si fa riferimento al peso ideale corretto
Patologie Tipo di trapianto Conclusioni
Deeg 1995 (126)
2238
varie
auto e allo
È il sottopeso e non il sovrappeso a correlare con aumento della TRM precoce
Fleming 1997 (127)
322
varie
allo
L’obesità peggiora l’outcome
Dickson 1999 (128)
473
varie
auto
Sia il sottopeso che il sovrappeso correlano con aumento
TRM
Tarella 2000 (129)
121
NHL
auto
Il sovrappeso è associato ad aumento della mortalità
Meloni 2001 (130)
54
AML
auto
Il sovrappeso correla con aumento della TRM
Navarro 2006 (131)
4681
HL e NHL
auto
È il sottopeso e non il sovrappeso a correlare con aumento della TRM precoce e della mortalità complessiva
Fuji 2009 (132)
3827
varie
allo
L’obesità correla con aumentato rischio di infezioni e GVHD
Navarro 2010 (133)
4215
AML
auto e allo
Il sovrappeso correla con aumento della mortalità in trapianto allogenico da familiare
Nikolousis 2010 (134)
331
varie
allo
L’obesità non influenza la sopravvivenza, ma aumenta il
rischio di infezioni
Barker 2011 (135)
1281
SAA
allo
L’obesità influenza negativamente la sopravvivenza in
bambini trapiantati per SAA
Legenda: NHL: linfomi non-Hodgkin, HL: linfoma di Hodgkin, AML: leucemia mieloide acuta, SAA: anemia aplastica severa, TRM: mortalità legata al trapianto, GVHD: graft versus host disease.
TABELLA 11 - Influenza del peso corporeo sull’outcome del trapianto.
Trapianto di cellule staminali emopoietiche
e all’indice di massa corporea (BMI) calcolato
secondo la formula: indice di massa corporea =
peso (kg)/altezza (m)2.
Si definisce in genere normale un soggetto con
BMI tra 18 e 25, sottopeso chi ha un BMI inferiore a 18, sovrappeso chi ha un BMI tra 25 e 30,
ed obeso chi ha un BMI superiore a 30. Come si
evince dalla Tabella 11 le indicazioni degli studi
sono contrastanti. Per alcuni il sovrappeso o l’obesità sono fattori di rischio mentre per altri lo è il
sottopeso, ma bisogna anche considerare l’eterogeneità delle definizioni di obesità.
Comunque nei pazienti con peso superiore al normale è necessario calcolare le dosi dei chemioterapici sul peso ideale corretto.
n STATO PSICO-SOCIALE
La valutazione dello stato psico-sociale del
paziente è importante per determinarne sia la
capacità di fornire un adeguato consenso al trapianto e sia la capacità di seguire le indicazioni
di tipo farmacologico e comportamentale che gli
vengono date. Inoltre la valutazione dello stato psico-sociale serve a comprendere l’affidabilità del
paziente stesso e del suo supporto familiare nei
confronti della gestione durante il follow-up post
dimissione.
L’impatto della non osservanza delle prescrizioni sulla riuscita dei trapianti di organo solido è
dimostrato in modo significativo (136). Ad esempio il rigetto di un trapianto renale può salire
anche al 57% nei pazienti che non osservano
le prescrizioni, rispetto al 2% di quelli che le
osservano. Ugualmente la sopravvivenza dopo
trapianto cardiaco è nettamente diversa se il
paziente rispetta o meno l’indicazione a non
fumare. Il trapianto di midollo si differenzia sotto molti aspetti dal trapianto di organi solidi, ma
il problema generale della non osservanza delle prescrizioni deve sicuramente essere preso in
considerazione.
Non vi sono su questo argomento studi specifici riguardanti il trapianto di midollo, ma nella popolazione dei trapiantati di organo solido la non
osservanza delle prescrizioni è descritta nel 2050% dei casi. Questa può essere intenzionale, ma
più spesso è involontaria e non sempre viene portata alla luce; se non specificamente indagata può
rimanere ignorata dal medico curante.
Per molti centri che praticano trapianti di organi
solidi la consapevolezza che il paziente sarà inadempiente verso alcune prescrizioni ritenute
importanti rappresenta una controindicazione
assoluta al trapianto (136).
Secondo una revisione degli studi sull’influenza
dei fattori psico-sociali nel trapianto di midollo
(137) non ci sarebbe un significativo impatto di
questi sulla sopravvivenza.
Secondo altri Autori invece (138-140) lo stato
ansioso o quello depressivo sarebbero fattori indipendenti per l’aumento della TRM. Le dipendenze incontrollabili da droghe, fumo ed alcol sono
un criterio di esclusione dal trapianto (1). Per la
valutazione dello stato psico-sociale ci si avvale
Subscala
Parametro
Supporto sociale
Stabilità della famiglia o del sistema di supporto
Disponibilità della famiglia o del sistema di supporto
da 1 a 5
da 1 a 5
Salute psicologica
Psicopatologia, personalità stabile
Rischio di psicopatologia
da 1 a 5
da 1 a 5
Stile di vita
Stile di vita sano, capacità di affrontare i cambiamenti nello stile di vita
Uso di droghe o alcol
Aderenza alle prescrizioni mediche
da 1 a 5
da 1 a 5
da 1 a 5
Comprensione del trapianto
e del follow-up
Rilevante conoscenza e recettività all’educazione
da 1 a 5
Rating finale della qualità del candidato
Score: 1 = alto, 5 = basso rischio. Rating finale: 0 = scarsa, 4 = eccellente qualità.
TABELLA 12 - Scala PACT e subscale.
Score
da 0 a 4
79
80
Seminari di Ematologia Oncologica
in genere di scale parametriche, di cui esistono
vari tipi. La più affidabile e flessibile nell’ambito
del trapianto di midollo sembra la scala PACT. La
scala PACT (Psychosocial Assessment of
Candidates for Transplantation), ideata per i trapianti di organi solidi, è formata da 8 subscale
(Tabella 12).
Uno studio (141) ha valutato l’influenza della scala PACT ed in particolare delle sue subscale sull’outcome del trapianto di midollo. Le subscale
più significative, anche più del punteggio finale
complessivo del sistema PACT, sono risultate
quelle che riguardano un supporto stabile, familiare o non familiare, la compliance del paziente, l’uso di alcol o droghe. Sembra anche che i
parametri psico-sociali siano associati ai tempi
di attecchimento, alla durata del ricovero ed alla
sopravvivenza, ma non si conoscono le ragioni
che potrebbero essere alla base di queste associazioni. Comunque resta ancora aperta la questione su quale sia il livello di rischio psico-sociale oltre il quale il trapianto è controindicato e
dovrebbe essere negato al paziente (141). In caso
di problemi o di dubbi sono comunque opportuni un’attenta valutazione multidisciplinare pretrapianto ed un supporto psicologico e sociale
post-trapianto. Inoltre è utile avere sempre presente la possibilità che il paziente non osservi le
prescrizioni date, anche involontariamente, ed
adottare strumenti per ridurre questo rischio
come ad esempio la chiara spiegazione del razionale di alcuni provvedimenti, soprattutto quelli a
carattere preventivo, l’uso di domande specifiche, la semplificazione delle prescrizioni, il coinvolgimento dei familiari (136).
n COMORBILITÀ
Un singolo parametro di funzionalità d’organo non
è di per sé discriminante per l’elegibilità al trapianto (142); può, anche se non sempre, predire una
specifica tossicità, ma non è sufficientemente predittivo dell’outcome generale.
Per questo sarebbe molto utile disporre di un
sistema di scoring che possa raggruppare i vari
parametri significativi, soppesarli e permettere di
trarre una valutazione globale ed affidabile dello
stato funzionale del paziente associando a que-
sto una stratificazione del rischio del trapianto. A
maggior ragione tale sistema è necessario in caso
di coesistenza di più comorbilità. Tra i vari sistemi di scoring usati per i pazienti oncologici, due
sono stati applicati anche al trapianto di midollo
osseo: il Charlson Comorbidity Index (CCI) e la
scala di Kaplan-Feinstein (K-F).
Il primo è stato applicato al trapianto di midollo
allogenico da Diaconescu et al. (143) e da Sorror
et al. (144). In entrambi gli studi, rispettivamente
in trapianti da donatori familiari ed in trapianti da
donatori non familiari, con condizionamento mieloablativo e non mieloablativo, è stata dimostrata una correlazione tra un alto score CCI ed una
maggiore tossicità e TRM.
Artz et al. (42) hanno messo a confronto gli score CCI e K-F ed il Karnofsky Performance Status
(KPS) ed hanno evidenziato che l’associazione tra
la scala K-F ed il KPS era predittiva per la TRM.
Wildes et al. (145) hanno testato lo score CCI nel
trapianto autologo in pazienti con linfoma non
Hodgkin evidenziando una correlazione significativa con TRM e sopravvivenza.
Ma alla fine il sistema CCI, il più usato, ha mostrato notevoli limiti perché non è comunque in grado di discriminare la maggior parte dei pazienti
ematologici (solo il 12-35% aveva uno score CCI
>1 nella valutazione pretrapianto) e perché non cattura condizioni specifiche per il trapianto di midollo. Il CCI è stato quindi modificato ed adattato al
trapianto di midollo da Sorror et al. (146), con il
risultato di un nuovo sistema di scoring a maggior sensibilità e predittività, in particolare sulla TRM
a due anni. Questi Autori hanno rimodellato alcune delle comorbilità rappresentate nel CCI e ne
hanno aggiunte di nuove, più pertinenti al trapianto di midollo. Hanno poi studiato retrospettivamente 1055 pazienti sottoposti a trapianto con condizionamento mieloablativo o non mieloablativo.
Due terzi dei pazienti, cioè 708, sono andati a costituire il gruppo di training che è servito ad assegnare i pesi alle singole comorbilità in base agli
hazard risk, ed un terzo dei pazienti, cioè 347, ha
costituito il gruppo di validazione. È stato alla fine
costruito il nuovo sistema di scoring HCT-CI
(Hematopoietic Cell Transplantation-Specific
Comorbidity Index) presentato nella Tabella 13.
Punteggi di 0, 1-2 e ≥3 dello score HCT-CI hanno mostrato una correlazione lineare con la TRM
Trapianto di cellule staminali emopoietiche
Comorbilità
Definizioni (una delle seguenti condizioni)
Aritmia
Fibrillazione atriale, flutter, sindrome del seno, aritmie ventricolari
Score
1
Cardiaca
Malattia coronarica (una o più stenosi richiedente trattamento medico,
stent o by-pass) insufficienza cardiaca congestizia, infarto miocardio,
FE ≤50%
1
Malattia cerebrovascolare
Attacchi ischemici transitori, accidente cerebrovascolare
1
Diabete
Richiedente trattamento con insulina o ipoglicemizzanti orali
1
Malattia valvolare cardiaca
Tutte eccetto prolasso mitralico
3
Epatica lieve
Epatite cronica, bilirubina aumentata fino a 1.5 volte il valore normale,
AST/ALT aumentate fino a 2.5 volte il valore normale
1
Epatica moderata/severa
Cirrosi, bilirubina >1.5 volte il valore nornale, AST/ALT
>2.5 volte il valore normale
3
Infezione
Che richieda trattamento antimicrobico prima, durante
e dopo l’inizio del condizionamento
1
Malattia infiammatoria intestinale
Malattia di Crohn, colite ulcerosa
1
Obesità
Indice di massa corporea ≥ 35 in adulti* (≥95 percentile in bambini)
1
Ulcera peptica
Confermata da endoscopia e che richieda trattamento
2
Disturbo psichiatrico
Richiedente trattamento o consulenza psichiatrica
1
Polmonare moderata
DLCO e/o FEV1 tra 66 e 80%, (dispnea con attività leggera)
2
Polmonare severa
DLCO e/o FEV1 ≤65%, (dispnea a riposo, necessità di ossigenoterapia)
3
Renale moderata/severa
Creatinina > 2 mg/dL, dialisi, pregresso trapianto renale
2
Reumatologica
LES, AR, polimiosite, connettivopatia mista, polimialgia reumatica
2
Pregresso tumore solido
Trattato in precedenza, escluse neoplasie cutanee non-melanoma
3
Altra
*Indice di massa corporea = peso (kg) / altezza (m)2.
Legenda: FE: frazione di eiezione ventricolare sinistra, FEV1: volume espiratorio forzato in un secondo, DLCO: capacità di diffusione del monossido di carbonio, LES: Lupus eritematoso sistemico, AR: artrite reumatoide.
TABELLA 13 - Sistema di scoring HCT-CI (146).
(rispettivamente 14%, 21%, 41%) e con la sopravvivenza (rispettivamente 71%, 60%, 34%).
Il sistema HCT-CI ha il vantaggio di essere semplice nella sua applicazione. Numerosi studi, sintetizzati nella Tabella 14, hanno cercato di verificare l’efficacia predittiva dell’HCT-CI, da solo o in associazione ad altri parametri. Come si può vedere in tale
tabella c’è una discreta eterogeneità sia nella numerosità della casistica che nelle patologie analizzate. Inoltre tutti gli studi sono retrospettivi, spesso
sono monocentrici o rappresentano la casistica di
pochi centri, ed in alcuni casi si riferiscono a trapianti eseguiti anche 10 o 15 anni fa. Lo stesso
Sorror (181) auspica la validazione del suo sistema
in uno studio prospettico e multicentrico.
Alcuni Autori (168, 166) hanno elaborato modifiche allo score HCT-CI originale. Il sistema di Barba
et al. (168) classifica diversamente i gruppi a
rischio, in particolare definendo a basso, intermedio ed alto rischio rispettivamente i pazienti con
score HCT-CI inferiore o uguale a 3, pari a 4 o 5,
e maggiore di 5. Il sistema di DeFor et al. (166)
ha l’inconveniente di non essere semplice da usare, richiede infatti un calcolo di funzione con software su foglio elettronico.
I sistemi di valutazione delle comorbilità devono
essere visti non solo come predittivi dell’outcome, ma anche come utili indicatori per un più mirato follow-up e più mirate misure preventive. Inoltre
potrebbero essere utili per verificare un eventua-
81
82
Seminari di Ematologia Oncologica
Riferimento
N. paz.
Patologie
Tipo di trapianto
Conclusioni
Kerbauy 2005 (147)
43
CMML
allo MA e RIC
Baron 2006 (148)
147
varie
allo RIC
Lo score HCT-CI non ha significativa predittività; lieve
rischio di aumento della TRM se HCT-CI >1
Sorror 2007 JCO
(149)
577
AML e MDS
allo MA e RIC
Lo score HCT-CI correla con la TRM, in associazione a
gruppo di rischio malattia
Sorror 2007 (150)
244
AML
allo MA e RIC
Lo score HCT-CI correla con la TRM (esperienza Seattle
e MD Anderson)
Kerbauy 2007 (151)
104
MF, PV, TE
allo MA e RIC
Uno score HCT-CI ≥3 correla con la mortalità
Martino 2008 (152)
75
AML e MDS
allo MA e RIC
Uno score HCT-CI ≥3 correla con la TRM
Boehm 2008 (153)
45
AML e MDS
allo MA e RIC
Uno score HCT-CI >0 correla con l’OS
Majhail 2008 (154)
373
varie
allo MA e RIC
Lo score HCT-CI non è predittivo
Xhaard 2008 (155)
286
varie
allo MA e RIC
Lo score HCT-CI non è predittivo (ma è stato usato uno
score parziale)
Sorror 2008 (156)
220
NHL e LLC
allo MA e RIC
Uno score HCT-CI ≥1 correla con la TRM
Sorror 2008 (157)
82
LLC
allo RIC
Lo score HCT-CI correla con la TRM, in associazione
al numero dei linfonodi
Sorror 2008 (158)
341
varie
allo RIC
Lo score HCT-CI correla con la TRM; in associazione
al KPS si possono creare 4 gruppo di rischio
Labontè 2008 (159)
126
MM
auto
Uno score HCT-CI >0 è predittivo di tossicità
Hosing 2008 (160)
99
NHL
auto
Uno score HCT-CI >2 è predittivo di grave tossicità, ètà
≥65 anni
Mohty 2009 (161)
345
AML
allo RIC
Uno score HCT-CI ≥3 correla con l’OS
Uno score HCT-CI ≥3 correla con la TRM
Guilfoyle 2009 (44)
187
varie
allo MA e RIC
Farina 2009 (162)
203
NHL, HL, MM
allo RIC
Lo score HCT-CI correla con la TRM e l’OS soprattutto
se ≥3 per NHL e HL; non significativo per MM
Uno score HCT-CI non predice né la TRM né l’OS
Pollack 2009 (163)
63
NHL
allo RIC
Uno score HCT-CI >3 correla con la TRM a 100 giorni e
ad un anno
Lim 2010 (164)
128
AML e MDS
allo RIC
Uno Score HCT-CI >3 correla con la TRM
Lee 2010 (165)
68
AML e MDS
allo MA e RIC
Uno score HCT-CI ≥1 correla con la TRM
DeFor 2010 (166)
444
varie
allo MA e RIC
Lo score HCT-CI non è predittivo
Kataoka 2010 (167)
187
varie
allo MA e RIC
Uno score HCT-CI ≥3 correla con la TRM entro il primo
anno, poi no; soprattutto in patologie ad alto rischio
Terwey 2010 (45)
151
LLA
allo MA e RIC
Lo score HCT-CI non è predittivo per la TRM
Barba 2010 (168)
194
varie
allo RIC
Lo score HCT-CI non è predittivo per la TRM
Pavlù 2010 (169)
244
LMC
allo MA
Uno score HCT-CI ≥1 correla con la TRM a 100 giorni
Gyurkocza 2010 (170) 274
AML
allo RIC
Lo score HCT-CI non è predittivo
Patel 2011 (171)
50
LA
allo MA
Lo score HCT-CI non è predittivo per la TRM
Warlick 2011 (172)
123
varie
allo RIC
Uno score HCT-CI >3 correla con la TRM a un anno
Eissa 2011 (173)
85
CMML
allo MA e RIC
Castagna 2011 (174)
63
varie
allo RIC
Lo score HCT-CI correla con la TRM
Lo score HCT-CI non è predittivo per la TRM e l’OS (età
>60 anni)
Trapianto di cellule staminali emopoietiche
Riferimento
N. paz.
Patologie
Tipo di trapianto
Kourashy 2011 (175)
207
varie
allo MA
Wood 2011 (176)
56
varie
allo
McCormack 2011 (177) 60
Smith 2011 (178)
252
AML
varie
allo RIC
allo MA e RIC
Bokhari 2011 (179)
121
varie
allo RIC
Kagoya 2011 (180)
207
varie
allo MA e RIC
Conclusioni
Uno score HCT-CI ≥1 correla con la TRM
Uno score HCT-CI >3 correla solo con l’OS.
(adolescenti e giovani)
Uno score HCT-CI >3 correla con la TRM
Uno score HCT-CI ≥3 correla con la TRM e l’OS
(età pediatrica)
Lo score HCT-CI non è predittivo da solo per la TRM e l’OS;
utile in associazione ad età e stato della malattia
Uno score HCT-CI aumentato è un fattore di rischio indipendente per insufficienza renale acuta entro 100 giorni
Legenda: CMML: leucemia mielomonocitica cronica, AML: leucemia mieloide acuta, MDS: mielodisplasia, MF: mielofibrosi, PV: policitemia vera, TE: trombocitemia essenziale, NHL: linfomi non-Hodgkin, LLC: leucemia linfatica cronica, HL: linfoma di Hodgkin, MM:mieloma multiplo, LLA: leucemia linfoblastica acuta, LA: leucemia acuta, TRM: mortalità legata al trapianto, OS: sopravvivenza complessiva, KPS: Karnofsky Performance Status, MA: condizionamento mieloablativo, RIC: condizionamento ad intensità ridotta/non mieloablativo.
TABELLA 14 - Sistema di scoring HCT-CI (146).
le legame tra una specifica comorbilità ed una particolare causa di TRM.
Alcuni Autori (182) suggeriscono di combinare un
sistema di scoring delle comorbilità con un sistema di valutazione dello stato funzionale, come ad
esempio l’ADL (Activity Daily Living) usato prevalentemente in ambito geriatrico, ma questo non
ha trovato fino ad ora applicabilità nella popolazione da sottoporre a trapianto di midollo osseo.
Vi sono poi altri sistemi che cercano di valutare
il rischio del trapianto, in particolare lo score EBMT
(5) e lo score PAM (6) (Tabella 2).
Riguardo ai fattori legati al paziente, di cui ci occupiamo qui, il primo incorpora solo l’età, mentre
lo score PAM incorpora anche la funzionalità polmonare, la creatinina e l’ALT.
I sistemi di predizione del rischio pretrapianto hanno lo scopo di aiutare nella decisione, ma
anch’essi ovviamente non hanno un valore assoluto. Sono, e dovranno essere, soggetti a rivalutazioni, aggiornamenti e miglioramenti per adattarsi sia alla continua evoluzione della pratica trapiantologica sia ai nuovi progressi che potranno
far introdurre nuovi marcatori biologici.
n CONCLUSIONI
Sulla necessità di disporre di strumenti predittivi
del rischio trapiantologico non vi sono dubbi, a
maggior ragione ora che la disponibilità di un
ampio range di condizionamenti e di un’allargata base di donatori (familiari, unrelated, aploidentici, cordone ombelicale) rende possibile offrire il
trapianto alla maggior parte dei pazienti.
Si sente sempre di più l’esigenza di sistemi che
aiutino a decidere se trapiantare o meno un
paziente e ad individualizzare, ritagliare sul singolo paziente, il tipo di trapianto più adatto e le
misure di profilassi e di follow-up più idonee per
ridurre la morbilità e la mortalità legate alla procedura.
Il presente articolo ha analizzato i fattori pretrapianto relativi al paziente e per molti di questi si
è visto che non esiste un cut-off assoluto unanimemente riconosciuto oltre il quale il trapianto
debba essere negato. È bene ricordare comunque che alterazioni di questi fattori aumentano
proporzionalmente il rischio di mortalità e morbilità e devono quindi essere inseriti nel contesto
degli altri fattori di rischio, relativi alla malattia e
al tipo di procedura trapiantologica, per prospettare al paziente un rapporto rischio/beneficio il più
realistico possibile.
Il continuo affinamento della pratica trapiantologica sta progressivamente portando ad una
riduzione della TRM rispetto al passato (100) e l’affinamento della valutazione dei fattori legati al
paziente contribuirà certamente a questo progresso facendo passare la procedura trapiantologica
83
84
Seminari di Ematologia Oncologica
da una fase in cui una categoria di pazienti era
unfit per il trapianto di midollo ad una fase in cui
un singolo paziente sarà fit per un particolare individualizzato trapianto.
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