Ballata in bianco e nero per un animale glorioso. Quasi estinto con

Transcript

Ballata in bianco e nero per un animale glorioso. Quasi estinto con
ANNO XX NUMERO 44 - PAG X
IL FOGLIO QUOTIDIANO
SABATO 21 FEBBRAIO 2015
di Alessandra Iadicicco
l tuono rullava sulla prateria. E poi
ci fu silenzio”. “Le Grandi Pianure
erano un oceano ondeggiante di groppe ispide e scure. Poi venne il deserto”.
Due frasi stringate che dicono tutta una
storia. Potrebbero essere i distici di
un’epopea, i versi di una cosmogonia, i
frammenti di un mito fondativo. Invece
sono due lapidarie didascalie che accompagnano il poema per immagini
composto da una coppia di coniugi avventurieri – i fotografi tedeschi Heidi e
Hans-Jürgen Koch – e dedicato all’animale simbolo delle grandi spianate dell’America del nord, il bisonte, il bufalo.
Poema narrativo: una ballata. “Buffalo
Ballad” è appunto il titolo della rassegna di scatti in bianco e nero raccolti
nel corso di tre anni di viaggio attraverso il Midwest degli Stati Uniti – nel
Nord e Sud Dakota, in Wyoming, Colorado, Montana: nel cuore di quella che
fu e non da molto è tornata a essere la
terra dei bisonti –, pubblicati dalle edi-
I bufali di Heidi e Hans-Jürgen Koch
conservano una memoria straziante di
questa vicenda che è il loro passato. O
forse irradiano un presagio di quello
che sarebbe stato il loro destino. Lo leggi nei grandi occhi bovini, ritratti in
conturbanti primi piani, in cui si riflettono infinite distese d’erba. Nella curva mesta dei loro profili. Nelle barbe
antiche. Nella cartografia delle macchie spelate sul loro mantello. Nell’impassibile possanza dei loro corpaccioni
vigorosi che da sempre sprigionano la
stessa calma e la stessa forza. Immobili, scultorei nei loro 4 metri di lunghezza e 900 chili di peso, quasi minerali, si
direbbe fossili (ma viventi), i bufali della ballata sono animali fuori dal tempo.
Le foto sono state scattate tra il 2010 e
il 2013. Ma potrebbero risalire agli anni Trenta dell’Ottocento in cui nacque
Sitting Bull, agli anni Settanta delle corse contro i treni, agli Ottanta delle fughe
tra i recinti di filo spinato, o al primo
Novecento del naufragio fortunoso a
Yellowstone. Anche al XVI secolo dell’età d’oro precedente l’arrivo dell’uo-
Tutto si consumò in pochi anni.
Ostacolavano la nuova ferrovia
transcontinentale, danneggiavano
i treni. Furono massacrati
Nel 1987 Ted Turner compra
il suo primo ranch in Montana
per allevarli. Oggi ne possiede
oltre cinquantamila
I
zioni viennesi Lammerhuber in un volume di proporzioni monumentali (208
pagine, 110 fotografie, 99 euro) appena
insignito del “Deutscher Fotobuchpreis
Gold 2015”, il premio tedesco per il miglior libro fotografico dell’anno, e presto esibiti in una mostra al museo di storia naturale di Vienna che si terrà tra
aprile e ottobre prossimi.
Andranno al Naturhistorisches Museum eppure non sono affatto – si vede
al primo sguardo – foto naturalistiche o
documentarie. “Le nostre non sono
nemmeno fotografie romantiche o nostalgiche”, preme sottolineare alla coppia dei loro autori. Sono immagini epiche, dacché il soggetto che rappresentano, il loro protagonista assoluto, ha incontestabilmente la facies di un eroe. E’
– o fu – il gigante, il titano, il sovrano
della prateria. Il re delle infinite distese dei Great Plains. Il più grande proprietario terriero del Nordamerica.
Questo, naturalmente, prima di essere
espropriato dei suoi possedimenti e del
suo habitat. Prima che il mito venisse a
incrociarsi e a scontrarsi con la storia.
La storia è quella nota della conquista e della colonizzazione, dell’industrializzazione e del progresso. Lo scontro che produsse fu durissimo, spietato.
I bisonti ne uscirono sconfitti, (quasi)
del tutto annientati. Nel raccontarla,
stringatamente, tappa dopo tappa, Heidi e Hans rinunciano completamente ai
toni della rivendicazione (ecologista o,
Dio ci scampi, animalista) e della protesta. Scelgono invece il ritmo malinconico della ballata, gli accenti vibranti
della leggenda.
Tutto si consumò in pochi anni, nel
giro di un paio di decadi. Era il 1862
quando Abraham Lincoln approvò la
costruzione di una ferrovia transcontinentale che attraversasse l’America da
costa a costa. Era il 1867 quando Buffalo Bill offrì un’enorme fornitura di carne di bisonte per nutrire gli operai della Kansas Pacific Railway. A lavori finiti, i bufali si piazzavano come ostacoli
sulle rotaie, spaccavano le locomotive,
danneggiavano nelle frequenti collisioni i nuovi “cavalli a vapore”. Per toglierli di mezzo le compagnie ferroviarie si inventarono la “caccia dal treno”,
passatempo avventuroso e sportivo che
incentivò un popolare massacro. Intanto, mentre si completava la linea che
tagliò in due il continente e divise la
popolazione dei bufali in una mandria
settentrionale e una meridionale, nel
1870 in Germania fu introdotto un moderno metodo di concia industriale, capace di trasformare rapidamente una
quantità notevole di capi abbattuti in
pelle di alta qualità. L’America poteva
offrire una fonte (in)esauribile di mate-
“Buffalo Ballad” è il titolo del libro fotografico di Heidi e Hans-Jürgen Koch. Le immagini sono state scattate dalla coppia tedesca nel corso di tre anni di viaggio nel Midwest degli Stati Uniti
BUFFALO BIS
Ballata in bianco e nero per un animale glorioso. Quasi estinto
con la conquista del West, ora è tornato nelle praterie americane
ria prima per le cinghie di trasmissione dei motori e per gli stivali dei soldati dell’esercito. Neanche a dirlo, non ci
volle molto perché le scorte andassero
esaurite. Le mandrie del sud furono
completamente razziate in quattro anni: nel 1874 non era rimasta nemmeno
Prima le mandrie del sud, poi
quelle del nord decimate per
alimentare il mercato mondiale
di pelle e di carne
una bestia. Nel 1880 iniziò la strage delle mandrie del nord, decimate per alimentare il mercato mondiale di pelle
e di carne. I gourmet apprezzavano in
particolare la lingua del bisonte, esportata come una prelibatezza. Un capo
abbattuto veniva pagato al fornitore
1,25 dollari, una lingua 25 cents. Ma anche i teschi e le ossa rimasti sui terre-
ni della caccia dal treno vennero venduti e trasformati in fertilizzanti. In appena tre anni tutte le prede furono eliminate. Nel 1885 il mercato delle pelli
era già fallito. Nel 1887 il museo di storia naturale di New York, alla ricerca
di un bisonte da esporre imbalsamato
nelle sue sale, non riuscì a trovare
nemmeno un esemplare vivo. Si disse
che i pochi sopravvissuti fossero scappati in Canada. In realtà gli ultimi più
forti (o più furbi) animali scampati all’eccidio si erano nascosti nella remota Pelican Valley nel parco nazionale
dello Yellowstone, fondato nel 1872, dove furono stanati solo nel 1902. Erano
appena ventitré. Forse era troppo tardi per mobilitarsi a salvarli. E tuttavia
non riesce affatto patetico, e anzi dà ancora un brivido di emozione il gesto del
presidente Theodore Roosevelt, appassionato naturalista e pensatore visionario che, all’indomani di quella scoperta, inviò addirittura la cavalleria a di-
fendere gli ultimi esemplari dell’animale simbolo dell’anima americana rimasti sulla faccia della terra.
La destituzione dei re della prateria
fu accompagnata e poi seguita dalla
sparizione dello sfondo socio-culturale
e poi della cornice ambientale in cui
per secoli erano vissuti. Le tribù degli
indiani, per i quali il bisonte rappresentava tutto – il giorno e la notte, il cibo, la veste e la casa, il fulcro di un sistema di credenze e di valori, il centro
di un mondo spirituale – erano ormai
state costrette a riparare nelle riserve
per far posto a coloni e cowboy. La
sconfitta che i guerrieri Lakota, Sioux,
Arapaho e Cheyenne avevano inflitto
all’esercito Usa a Little Bighorn, dove
cadde il generale George Armstrong
Custer, era stata vendicata con la strage di Wounded Knee in cui fu ucciso e
mutilato il mitico capo indiano Sitting
Bull, Toro Seduto (ma il suo nome tradotto alla lettera dal sioux era Bisonte
Seduto). In breve con i suoi sovrani
sparì anche la prateria. Trivellata dai
sistemi di irrigazione inventati per pescare acqua a grandi profondità, irretita nelle maglie di filo spinato – “devil’s
rope”, la corda del diavolo, lo chiamavano gli indiani –, trasformata in terre-
Ne sopravvissero 23 esemplari,
nascosti a Yellowstone, stanati
solo nel 1902. Un animale che
per gli indiani rappresentava tutto
no agricolo da pascolo che era, e forzosamente coltivata, fu letteralmente polverizzata e dispersa al vento: nella forma delle tempeste di sabbia, i “dust
bowls”, che negli anni Trenta, i cosiddetti “dirty thirties”, oscurarono il cielo fino a New York e Chicago e soffiarono il terriccio eroso dei Great Plains
nell’oceano Atlantico.
Un’altra immagine dal libro dei coniugi Koch, appena insignito del Deutscher Fotobuchpreis Gold 2015. Da aprile gli scatti saranno in mostra al Museo di storia naturale di Vienna
mo bianco, quando i bisonti percorrevano indisturbati il continente americano
dal Canada al Messico, dalle Montagne
Rocciose al Mississippi in oltre trenta
milioni di esemplari. Oppure all’altro
ieri. Il bianco e nero, l’effetto dagherrotipo, l’inquadratura inattuale delle foto
di Heidi e Hans vogliono cogliere e mostrare soprattutto questo. Il bufalo è
una creatura arcaica, originaria, un animale totemico, araldico. Un simbolo.
“Se il mondo non ospitasse di questi esseri intensamente simbolici non sarebbe un bel posto dove vivere” osservano
i fotografi autori.
Il mondo poi, ai bufali, trovò il modo
di fare ancora posto. Le armate a cavallo di Roosevelt, un pioniere della tutela ambientale, ebbero soprattutto il
merito di rivendicare la potenza emblematica dell’animale connaturato al
paesaggio d’America tanto da rappresentarne l’anima, e di sensibilizzare gli
americani al rischio della loro scomparsa. Ma accanto al pathos affettivo e
al valore rappresentativo altri fattori e
più concreti interessi entrarono in gioco a vantaggio dei bisonti. Negli anni
immediatamente precedenti l’estinzione qualcuno aveva iniziato a catturarli
per allevarli, come il rancher James
“Scotty” Philip che, grazie alla sua
mandria in Sud Dakota acquisita nel
1899, si fece la fama di “the man who saved the buffalo”. Per paradosso la stessa mentalità orientata al guadagno che
li distrusse contribuì in qualche modo
a salvarli. Decisivo, più tardi, fu il progetto dei coniugi Frank e Deborah Popper che, all’indomani della desertificazione dei Great Plains e del grande esodo da Texas, Kansas, Oklahoma e Colorado dei contadini impoveriti, iniziarono a pensare che solo il ritorno dei bufali avrebbe riportato linfa alle inaridite praterie. Era il 1987, il piano dei
“Buffalo Commons” si sviluppò con alterne fortune per qualche tempo, osteggiato soprattutto dai coltivatori contrari ad accogliere i bufali selvaggi sui loro terreni. Significativo però è che, nello stesso anno Ted Turner, l’imprenditore miliardario fondatore della Cnn,
comprò il suo primo ranch nel Montana
per allevarli. Da allora ha sviluppato il
più grande allevamento privato del
mondo, collegato alla catena di ristoranti “Ted’s Montana Grill” e, sui suoi
ottomila chilometri quadrati di terreno, oggi possiede oltre cinquantamila
bisonti. Aggiungendosi generosamente
ai neanche cinquemila esemplari che
vivono allo stato brado nel parco di Yellowstone (a fine 2014 se ne contavano
circa 4.600), i bufali di Ted sono una
buona garanzia della prosecuzione della specie. Se questa non è America…