LUCIAN FREUD DETECTIVE DI CORPI

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LUCIAN FREUD DETECTIVE DI CORPI
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IL NOSTRO SABATO
SABATO
23 LUGLIO
2011
MARCO DI CAPUA
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na volta - raccontava Angus Cook - il
suo cane Pluto,
quando era cucciolo, voleva mangiare
una salsiccia ancora
calda. Lui disse: «Non si rende conto
che fra un minuto si sarà raffreddata». Dopo una pausa aggiunse:
«Neanch’ io, del resto». Lui era Lucian Freud, il più grande pittore realista del secondo ’900, consapevole,
come il suo cane, solo di ciò che aveva davanti a sé. Non dietro, sopra, o
addirittura altrove, capite? Ma proprio lì davanti. Pluto è morto da un
pezzo, e l’altro ieri è toccato al suo
celebre padrone. Aveva 88 anni, era
ricchissimo, i suoi quadri battevano
record nelle quotazioni delle aste internazionali. Ora entrano definitivamente nella storia, le si studierà sui
manuali, mentre un paio di salsicce
si potranno raffreddare con tutta
calma senza che nessuno se le mangi.
Il XX secolo batte sull’opera di
Freud come sulla superficie di un
tamburo. Ne cadenza il ritmo ed
emette un suono cupo, leggendario.
Lucian nasce a Berlino nel 1922, fugge in Gran Bretagna nel ’33, diventa
cittadino britannico nel 1939, allestisce la sua prima mostra sotto le
bombe, a Londra, nel 1944. Se è vero che ogni secolo produce due artisti britannici di genio, abbiamo avuto Turner e Constable nell’800,
Freud e Bacon nel ‘900. I conti tornano. A chi per caso se lo sia chiesto
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Culture
LUCIAN
FREUD
DETECTIVE
DI CORPI
È morto il grande pittore realista
del secondo ‘900. Nipote del padre
della psicoanalisi, aveva 88 anni
rispondiamo di sì: Sigmund Freud
qui c’entra, era il nonno di Lucian, e
forse anche per questo, chissà, l’artista ha avuto occhio per l’essere misterioso, occulto, che come un’ombra ci
segue. Solo che lo ha fatto a modo
suo, perché per lui quest’essere non si
nascondeva nella mente, né tantomeno nel cuore, ma nel corpo. Anzi era il
corpo. Accidenti, Lucian Freud è stato forse il più maledettamente arrogante, spietato e appassionato investigatore di corpi che la pittura contemporanea abbia conosciuto. Dici «io» o
«tu» a una persona, e d’istinto la fissi
In alto Lucian Freud nel suo studio di Londra. Qui sopra una sua opera: «Benefits Supervisor Sleeping»
In mostra
i quadri
del boss
Le centosette tele della collezione sequestrata all'imprenditore reggino Gioacchino
Campolo, soprannominato il «re dei videopoker», attualmente in carcere, saranno esposte
in una mostra organizzata dall' amministrazione provinciale di Reggio Calabria. Tra le opere in mostra tele di Mattia Preti, Picasso, De Chirico, Dalì, Guttuso, Ligabue, Sironi, Migneco .
negli occhi. Va così, per noi. Per
Freud no. Lui la afferrava e, convinto
che se lo meritasse o che sotto sotto lo
chiedesse proprio, le dava una stupefacente ripassata con lo sguardo. Senza desiderio, ovviamente, perché non
c’è mai desiderio o gioia nei suoi quadri, e anche quando la scena allude a
qualcosa di sessuale ti sembra di arrivare dopo, quando tutto è bello che
finito, ed è come se l’amore o qualsiasi altra azione che valga la pena vivesse in una sua condizione postuma.
Ma insomma: lui guardava le persone
dappertutto: capelli, gambe, piedi,
tette, pance, falli, braccia, torcendo
colli e arti come un medico meticoloso e perfino un po’ preoccupato che
cerchi lividi, tracce di botte, o di malattie. Ciò che non senza orgoglio
chiamiamo Io, lui lo vedeva disseminato, sparso su tutto il corpo, su quella pelle che sapeva dipingere da dio
come il più prezioso e complesso dei
tessuti, e non c’era così vena blu dove
quell’identità non scorresse e dicesse
lamentosamente la sua, né tumefazione della carne, la carne umana così
com’è quando ha rinunciato a piacere, che non si potesse percepire con la
forza d’urto di una rivelazione. «Dopo aver visto per strada uno stomaco
dilaniato da un incidente - confessò
un giorno - non riuscivo più a guardare uno stomaco nello stesso modo:
c’era un aspetto della sua bellezza di
cui non mi ero reso conto prima». Lo
stomaco. Ma dimmi tu. Oltre che lì, ci
ha guardati dritto in faccia, Freud. Primi piani da brivido, zoomate senza
mai mollare la presa. E lo sapete cosa
succedeva? Che, stremati, i volti ri-
tratti emanavano, come se si trattasse
del rilascio di un profumo stordente,
una malinconia sconfinata, una tristezza insondabile. Forse è per questo che Freud diceva: il volto è un
evento fondamentale.
All’inizio dei ’40 c’è stata tutta una
fase in cui Freud ha dipinto piatto. Stilizzava, incastonava. Si vedeva che
era attratto dalla figura umana, e che,
almeno come capitò a Robert Musil in
viaggio per desertiche isole selvagge,
avrebbe trovato assolutamente demente un mondo e un’opera d’arte dove l’uomo fosse stato assente. Però,
appunto, quelle sue prime figure mancavano il corpo, il suo peso, il suo odore perfino, e la sua irredimibile fisicità. Allora, per tutti i ’50 acuì lo sguardo e affilò le proprie armi scovando
rughe, piccoli nei e couperose su volti
di gente attonita e sgualcita. A quel
punto, a quel grado di tensione lenticolare, il corpo gli si presentò come
un’inesauribile raccolta di dettagli. Alla fine cominciò a fare sul serio: il particolare, l’essenza di una faccia, di
una spalla erano ormai tutte nel gesto, nel colpo, nel giro della pennellata. La pittura diventò «un’intensificazione della realtà», come disse lui stesso. L’accendeva. Fu allora che fioccarono i grandi capolavori, compresi
certi formidabili autoritratti, così
commoventi nella loro fierezza, così
vanamente eroici.
In fondo ci ha stesi. Lo dico letteralmente. Ci ha sdraiati. Ci ha messi su
un divano o un lettino, doveva essere
un vizio di famiglia. Il protocollo per
l’analisi, che fosse psicologica o pittorica, era quello lì. A proposito: molto
spesso Lucian ha dipinto gente con gli
occhi chiusi, ha dipinto il dormire, un
sonno però senza sogni. E il fatto che
XX SECOLO
Balla,Birolli, Casorati, Rossi, Boccioni, Martini, Savinio, Morandi,
Manzù, Schifano e Vedova. Sono i capolavori in mostra da oggi a Belluno presso Palazzo Crepadona.
adesso anche lui te lo immagini in
quella costrizione ti fa pensare alla
sua pittura come a un lungo allenamento a morire. Se ha cercato la verità dei suoi personaggi lo ha fatto con
compassione, anzi per compassione.
Non c’è mai distacco nel suo modo di
indicarci la malagrazia, la vecchiezza, la maestosa e fragile nudità degli
esseri che gli sono capitati a tiro, e che
lui con un misto di arroganza e di tenerezza ha gettato in una stanza. Magari, della vita, quello non era tutto lo
specchio, ma è già tantissimo che ne
fosse l’assoluto backstage.●
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Teatro la Pergola
salvataggio a due
e parte la stagione
In controtendenza coi tagli Comune di Firenze e banca
cittadina si sono impegnati a versare fondi per cinque anni
VALENTINA GRAZZINI
FIRENZE
no su tre ce l’ha fatta: è il
Teatro della Pergola di Firenze, che al contrario del
Valle di Roma (occupato
ad oltranza dagli artisti) e al Duse di
Bologna ormai chiuso, è ufficialmente e definitivamente salvo. La
buona sorte della sala rimasta senza
futuro dopo la dismissione dell’Ente
Teatrale Italiano inflitta nel 2010
dall’allora ministro Sandro Bondi è
dovuta all’amministrazione comunale di Firenze unitamente all’Ente
Cassa di Risparmio del capoluogo:
sono loro i soggetti che si sono impegnati a versare 2 milioni e mezzo (rispettivamente 1 milione e mezzo Palazzo Vecchio e il restante milione la
fondazione bancaria) per cinque anni. La formula giuridica prescelta è
quella della fondazione, che come
tale è aperta all’ingresso di nuovi soci (nomine e definitivo assetto saranno comunicati entro settembre). Intanto l’immobile del teatro è già passato al Comune, a cui lo Stato lo ha
ceduto a costo zero, Comune che a
sua volta lo affiderà nella gestione
alla fondazione. «Un investimento
per il futuro», così lo definisce il sindaco Matteo Renzi, anche visto
nell’ottica di un ripensamento del
centro storico che passa attraverso
la pedonalizzazione di una vasta
area e la futura riapertura del Teatro Niccolini. Quest’ultimo, storica
sala anch’essa centralissima, è attualmente di proprietà dell’editore
fiorentino Polistampa, e versa in
una situazione di stallo in attesa di
un progetto artistico. Il progetto, forse, si avvicina.
Se la notizia riscalda il cuore ormai avvezzo al gelo della cultura italiana, ancor prima tirano un respiro
di sollievo i lavoratori del teatro (oltre 30 assunti, più una quindicina di
precari, tutti ancora dipendenti del
Ministero per i beni e le attività culturali): la fondazione garantirà lavoro ad una parte dei contrattualizzati
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La Pergola con il sipario storico
a tempo indeterminato (i restanti
saranno destinati ad altre sedi ministeriali fiorentine), mentre per i
precari sarà chiesto un diritto di
prelazione verso i posti stagionali
da ricoprire. E non finisce qui: il
regista romano Maurizio Scaparro
- che dietro le quinte dell’operazione ha ricoperto un ruolo decisivo ha ipotizzato che dalla formazione
dei giovani, in primo piano tra le
future attività della nuova Pergola,
potrebbe arrivare una spinta verso
la creazione di nuovi posti di lavoro e di professionalità. In controtendenza, una volta ancora.
Nella sua scommessa il Teatro
della Pergola aggiunge una voce:
produzione. Come illustra il suo direttore Marco Giorgetti, questa sarà una delle prerogative del nuovo
teatro. L’Eti, ricordiamolo, era al
contrario un ente di promozione e
diffusione. La stagione c’è, partirà
ad ottobre a andrà avanti fino ad
aprile: restano da stabilire le date
e le formule di abbonamento. Ci
sono Cecchi, Lavia, Guerritore, Anna Maria Guarnieri, Glauco Mauri
e pure il La MaMa di New York.
Scusate se è poco.●