tesina sui materiali ceramici avanzati_finale

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tesina sui materiali ceramici avanzati_finale
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
FACOLTÀ DI INGEGNERIA
Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica L.S. N.O. 2003
Daniele Calvagno
Davide Cassisi
TESINA SUI MATERIALI CERAMICI AVANZATI
Docente : Prof. Giuseppe Siracusa
Anno Accademico 2006/2007
1. Introduzione
I materiali ceramici sono materiali inorganici e non metallici. La gran parte di essi sono composti
tra elementi metallici e non metallici (ossidi, nitruri, carburi) per i quali i legami interatomici sono
ionici, covalenti ed intermedi.
Fino a quasi 40 anni fa con “ceramici” si intendeva tutti quei prodotti (laterizi, terracotta, terraglia,
porcellana, etc.) che venivano ottenuti dalla cottura di argille naturali, mescolate, allo stato di
polveri, con altri prodotti naturali quali quarzo e calcare ed impastate con acqua allo scopo di
ottenere la plasticità necessaria per la loro formatura. Tramite la cottura veniva a realizzarsi un
sistema complesso, eterogeneo, formato, in genere, da costituenti cristallini immersi in una matrice
vetrosa.
Negli ultimi decenni col progredire delle conoscenze sui legami tra proprietà e struttura di tali
materiali, è nata una nuova generazione di materiali ceramici, detti “avanzati”.
Allo stato attuale non esiste una definizione ufficiale per questi ultimi e, per tale motivo, organismi
internazionali si stanno muovendo per dare una definizione in cui non dovrebbero essere compresi i
vetri ed i materiali sotto forma di cristallo singolo. Pertanto, si può riassumere così la definizione:
“si intendono ceramici avanzati quei prodotti inorganici, non metallici, policristallini, provvisti di
rilevanti prestazioni strutturali e/o funzionali”.
Per prestazioni “strutturali” si intende la capacità del ceramico di resistere alle sollecitazioni
meccaniche ed all’usura, in condizioni di temperatura e pressione molto elevate; mentre vengono
considerate “funzionali” le eventuali proprietà elettriche, elettroniche, ottiche e magnetiche che essi
possono presentare in particolari condizioni ambientali.
Le prestazioni dei materiali ceramici possono essere valutate come “tradizionali” o “avanzate” a
seconda della purezza della materia prima e dell’accuratezza del processo produttivo.
Nel corso degli anni, grazie alle evoluzioni nel campo del controllo dell’intero processo produttivo
si è assistito ad un crescente miglioramento della microstruttura e, di conseguenza, delle prestazioni
cui ha corrisposto una continua espansione degli impieghi di tali materiali.
Mentre le ceramiche tradizionali sono composte principalmente da argilla, quelle avanzate sono
essenzialmente composti puri o quasi puri formati, soprattutto, da ossidi, carburi o nitruri; si va
dalla grafite ai cermets (composti ceramo-metallici) ed ai compositi rinforzati con fibre ceramiche.
Nella categoria dei ceramici tradizionali rientrano anche materiali amorfi come i vetri e materiali a
struttura eterogenea quali i calcestruzzi poiché essi possiedono molte delle caratteristiche tipiche di
tutti i materiali ceramici. D’altra parte, oggi si è resa possibile una produzione di ceramici senza fasi
vetrose e a porosità praticamente nulla a dispetto del 10-15% di porosità per i ceramici tradizionali.
Si possono, inoltre, realizzare oggetti allo stato di vetri e poi trasformarli in ceramici mediante
trattamento termico di “devetrificazione controllata”, la quale non è altro che un processo di
nucleazione eterogenea catalizzata dall’aggiunta nel vetro di opportune sostanze (tipiche sono gli
ossidi di titanio o di zirconio); i materiali così ottenuti sono detti “vetroceramici”.
Innumerevoli sono i campi di impiego dei ceramici: dalle memorie per i calcolatori (ferriti), ai
materiali abrasivi (allumina, carburo di silicio), da quelli per utensili (cermets), a quelli adottati per
la costruzione di palette di turbine (nitruro di silicio), da quelli ad altissima refrattarietà (carburi,
azoturi e ossidi), ai nuovissimi supeconduttori ceramici, dai materiali adottati come dielettrici e
isolatori alle alte frequenze (titanato di bario), ai materiali resistenti allo shock termico
(vetroceramica a dilatazione nulla), dai materiali piezoelettrici usati in oscillatori elettronici
(quarzo), ai bio-materiali (allumina e vetri bio-attivi) alle fibre ottiche ed ai dispositivi per
l’elettronica.
Le proprietà fisiche e meccaniche dei ceramici derivano dalla natura dei legami atomici e dal tipo di
struttura cristallina.
1.1 Strutture cristalline ceramiche semplici
A titolo d’esempio, si possono considerare alcune semplici strutture cristalline dei materiali
ceramici avanzati. Nella seguente tabella sono elencati alcuni composti con struttura cristallina
relativamente semplice e con i rispettivi punti di fusione.
COMPOSTO CERAMICO
Carburo di afnio
Carburo di titanio
Carburo di tungsteno
Ossido di magnesio
Biossido di zirconio
Carburo di silicio
Carburo di boro
Ossido di alluminio
Nitruro di silicio
Biossido di silicio
Biossido di titanio
FORMULA
HfC
TiC
WC
MgO
ZrO2
SiC
B4C3
Al2O3
Si3N4
SiO2
TiO2
PUNTO DI FUSIONE (°C)
4150
3120
2850
2798
2750
2500
2450
2050
1900
1715
1605
Nei composti ceramici elencati il legame atomico è un insieme dei tipi ionico e covalente. Valori
approssimati delle percentuali di carattere ionico e covalente nei legami tra gli atomi in tali
composti possono essere ottenuti valutando le differenze di elettronegatività fra i diversi tipi di
atomi, presenti in questi composti, ed applicando l’equazione di Pauling per la determinazione della
percentuale di carattere ionico quando il legame si rivela di tipo “misto”.
La tabella seguente mostra che la percentuale di carattere ionico-covalente varia molto nei composti
ceramici semplici. L’entità del legame ionico o covalente tra gli atomi di tali composti si rivela
importante perché determina in un certo modo il tipo di struttura cristallina che si formerà nel
composto ceramico.
COMPOSTO
CERAMICO
ATOMI DI
LEGAME
DIFFERENZA DI
ELETTRONEGATIVITA’
% di
CARATTERE
IONICO
% di
CARATTERE
COVALENTE
Biossido di
zirconio, ZrO2
Ossido di
magnesio, MgO
Ossido di
alluminio, Al2O3
Biossido di
silicio, SiO2
Nitruro di silicio,
Si3N4
Carburo di silicio,
SiC
Zr-O
2.3
73
27
Mg-O
2.2
69
31
Al-O
2.0
63
37
Si-O
1.7
51
49
Si-N
1.3
34.5
65.5
Si-C
0.7
11
89
L’assenza di elettroni liberi rende i ceramici cattivi conduttori del calore e dell’elettricità, per cui
trovano importanti applicazioni come isolanti elettrici e termici e, quando il gap energetico tra
banda di valenza e banda di conduzione è piccolo, come semiconduttori.
Essendo i loro legami altamente stabili, come si è visto prima, i ceramici presentano punti di fusione
molto alti e grande stabilità chimica.
Ne conseguono ben note applicazioni nel campo dei materiali refrattari (forni, crogioli, contenitori).
Le strutture cristalline dei ceramici sono molte e varie ed, a volte, assai complesse: si passa da
materiali semplici come l’ossido di magnesio a struttura cubica, a materiali a struttura lineare come
l’amianto (silicato idrato di magnesio) o a struttura planare come la grafite, etc.
Nei ceramici covalenti i legami fra gli atomi sono altamente direzionali; ciò comporta dislocazioni
strette e, quindi, alta resistenza al loro moto. In effetti, lo sforzo per muovere le dislocazioni è
prossimo a quello di rottura per cui un materiale di questo tipo giunge a rottura in campo elastico,
con un comportamento lineare ed assenza totale di plasticità.
Invece, nei ceramici ionici, i legami non sono direzionali e, pertanto, si hanno dislocazioni larghe e
si dovrebbe avere bassa resistenza al loro passaggio. In effetti , ciò vale solo per i monocristalli: il
flusso plastico è notevole e le curve sforzo-deformazione sono simili a quelle presentate dai metalli.
Nei policristalli, metallici o ceramici che siano, in generale, se si vuole evitare la formazione di
microvuoti e conseguenti cricche ai giunti dei grani, occorre che grani adiacenti cambino di forma
contemporaneamente nello stesso modo.
Mentre i metalli offrono molti sistemi di scorrimento, le ceramiche ioniche ne hanno pochi: ciò
comporta la formazione di cricche ai giunti dei grani con conseguente fragilità del materiale. In
definitiva, anche in questo caso, le ceramiche ioniche si comportano elasticamente fino a frattura.
Nei ceramici, in generale, la loro bassa resistenza che si registra alla trazione è legata alla presenza
di micro-cricche superficiali introdotte, tramite i processi di formatura e lavorazione, o per
abrasione o per corrosione: in sostanza, la frattura finale si ha non in corrispondenza al valore di
tensione teorico ma a quello capace di propagare le cricche.
1.2 Un esempio di strutture cristalline ceramiche: le disposizioni
semplici nei solidi ceramici di tipo ionico
Nei solidi ceramici ionici la disposizione degli ioni è determinata essenzialmente da due fattori:
la dimensione relativa degli ioni nel solido ionico (si ipotizza che gli ioni siano assimilabili a
sfere rigide di raggio ben definito);
la necessità del bilanciamento fra le cariche elettrostatiche al fine di mantenere la neutralità
elettrica nei solidi ionici.
Quando si forma il legame ionico tra gli atomi allo stato solido, le energie degli atomi diminuiscono
a causa della formazione degli ioni e del legame tra loro per formare un solido ionico. Questo tipo
di solidi ha la tendenza ad assumere una disposizione degli ioni il più compatta possibile per ridurre
al minimo l’energia globale del solido. I limiti all’ottenimento di una struttura densa sono costituiti
dalle dimensioni relative degli ioni e dalla necessità di garantire al solido lo stato di neutralità di
carica.
Limitazioni dimensionali al compattamento degli ioni in un solido ionico
I solidi ceramici ionici, come tutti i solidi di tipo ionico, presentano nella propria struttura reticolare
ioni di cariche opposte, cioè cationi (+) ed anioni (-). Nel legame ionico alcuni atomi perdono i loro
elettroni più esterni per divenire cationi ed altri invece ne acquistano per trasformarsi in anioni.
Da un punto di vista dimensionale, i cationi sono sempre più piccoli degli anioni. Il numero di
anioni che circonda un catione centrale viene detto numero di coordinazione (CN) e corrisponde in
sostanza al numero di atomi adiacenti che “avvolgono” un catione centrale. Per avere una struttura
stabile, il maggior numero di anioni deve circondare il catione centrale. Tuttavia, gli anioni devono
entrare in contatto col catione suddetto e devono far sì che si mantenga la neutralità di carica.
La figura 1 mostra le possibili configurazioni stabili per la coordinazione degli anioni attorno ad un
catione centrale in un solido ionico.
Figura 1
Se gli anioni non toccano il catione, la struttura diviene instabile poiché il catione sarebbe “libero”
di sbattere contro la sua gabbia anionica, cioè di muoversi all’interno di questa gabbia in qualsiasi
direzione.
Il rapporto del raggio del catione centrale con quello degli anioni circostanti viene detto rapporto tra
raggi ionici ed è indicato così: rcat . / rani. . Quando gli anioni si toccano l’uno con l’altro ed entrano
anche in contatto con il catione centrale, il rapporto suddetto viene detto di minimo.
I possibili casi di rapporti fra i raggi ionici in solidi di tale tipo con numeri di coordinazione di
3 − 4 − 6 − 8 sono elencati nella prossima figura 2 in cui compaiono anche le coordinazioni.
Figura 2
1.2.1 Alcune strutture cristalline tipiche di solidi ionici
Il Cloruro di Cesio ( CsCl )
La formula chimica del cloruro di cesio è CsCl e poiché tale struttura è formata principalmente da
+
−
legami ionici, si ha che il numero di ioni Cs e di ioni Cl è uguale. Dato che il raggio atomico
+
−
dello ione Cs è di 0,170 nm e quello dello ione Cl vale 0,181 nm , risulta subito evidente che,
essendo il rapporto fra i raggi catio-anionici pari a 0,94, la configurazione di stabilità del composto
è fornita per una coordinazione cubica a corpo centrato con CN pari ad 8, come si può vedere dalla
figura 3.
Figura 3
Quindi, otto ioni cloruro circondano un catione centrale di cesio nel punto di coordinate spaziali
(1/ 2,1/ 2,1/ 2 ) all’interno della cella elementare (nel modello Bravais) di CsCl .
Questa struttura non è di grande importanza per i materiali ceramici ma evidenzia come elevati
rapporti fra raggi ionici conducano a numeri di coordinazione più alti nelle strutture cristalline
ioniche.
Il Fluoruro di Calcio ( CaF2 )
2+
La struttura del fluoruro di calcio o fluorite è di tipo cubica a facce centrate con gli ioni Ca che
−
occupano i vertici esterni del cubo ed i centri di ogni faccia mentre gli ioni F si trovano nelle otto
posizioni interstiziali di tipo ottaedrico. Quindi, in ogni cella elementare vi sono quattro ioni
Ca 2+ ed otto ioni F− come è possibile notare dalla figura 4.
Figura 4
L’allumina o corindone ( Al 2O3 )
2−
Nella struttura dell’allumina gli ioni ossigeno O si trovano nelle posizioni reticolari che
competono ad una cella elementare avente forma di un parallelepipedo compatto a base esagonale,
come mostrato dalla figura 5.
Figura 5
2. Processi di realizzazione dei ceramici avanzati
Molti prodotti ceramici tradizionali e tecnici sono fabbricati compattando polveri o particelle in
forme che vengono poi scaldate a temperature sufficientemente elevate da legare insieme le
particelle. La sequenza base nella lavorazione dei ceramici tramite agglomerazione di particelle
consiste in:
1. preparazione del materiale;
2. processo di formatura;
3. trattamento termico con essiccamento e cottura (sinterizzazione).
2.1 Preparazione dei materiali
La produzione di componenti ceramici richiede l’uso di polveri di elevata purezza e granulometria
uniforme. Essi si possono ottenere da materie prime naturali attraverso una serie di trattamenti
chimici di purificazione oppure tramite la sintesi di prodotti chimici più semplici.
Una polvere ideale dovrebbe avere composizione chimica e purezza rigorosamente controllate,
taglia delle particelle micronica o sub-micronica, assenza di agglomerati, distribuzione stretta e
centrata attorno al valore medio con morfologia sferica.
E’ da sottolineare che la qualità della polvere ceramica rappresenta un fattore critico della
produzione dei neoceramici.
La maggior parte dei prodotti ceramici vengono realizzati mediante la consolidazione di particelle.
Le materie prime per questi prodotti variano a seconda delle proprietà richieste per il prodotto
ceramico finale. Le particelle e gli altri ingredienti, quali i leganti ed i lubrificanti, possono essere
miscelati a umido (spesso, per comuni mattoni e tubature fognarie, si adotta l’acqua) od a secco.
Di seguito si riportano brevi cenni sui metodi di produzione delle polveri ceramiche.
Produzione per reazione allo stato solido: le materie prime vengono miscelate e trattate ad
alta temperatura. Durante il processo si formano le nuove fasi per reazione allo stato solido
durante il quale il trasporto di materia avviene per diffusione. Il prodotto viene macinato e
non è raro che la cottura e la macinazione vengano ripetute più volte al fine di assicurare la
reazione completa ed omogenea. Tra le sostanze prodotte con questo metodo ritroviamo:
polveri di spinello cubico, titanato di bario e carburo di silicio. Una variante del sistema
descritto può essere quello della fusione delle polveri reagenti. In tal caso, esse vengono
esposte ad un arco elettrico ad alta intensità tale da raggiungere anche i 6000 °C. A seguito
del raffreddamento si formano nuove fasi cristalline che vengono trattate con un metodo
molto simile al precedente. Tale tecnologia è applicata ai refrattari elettro-fusi con cui si
possono ottenere ossidi e loro combinazioni come allumina, mullite e carburi.
Produzione per decomposizione termica: è possibile produrre ossidi ceramici trattando la
materia a temperature uguali o di poco superiori a quella di decomposizione termica dei
rispettivi carbonati, nitrati, acetati, etc. sulla base di tale schema: A( s ) = B( s ) + C ( g ) , in
cui A , B e C rappresentano composti allo stato solido e gassoso. Così si riesce produrre
allumina, titanato di bario e carburo di silicio, tanto per fare alcuni esempi piuttosto comuni.
Nel caso di ossidi misti si rende necessario, dopo la decomposizione, che vi sia la possibilità
di una reazione allo stato solido, comandata sempre dalla diffusione.
Produzione in fase di vapore: con tale tecnica si riesce spesso a realizzare polveri
ceramiche di dimensioni nanometriche ed a forma prevalentemente sferica. Le difficoltà che
qui si riscontrano sono legate alla produzione di polveri che, costituite da più componenti
chimici, debbano godere di una composizione ben definita e precisa. Inoltre, qui, data la
grande quantità di gas che accompagnano la formazione delle polveri, si registrano
importanti problemi di separazione e di filtraggio. I reagenti possono essere gas, liquidi o
solidi che, comunque si presentino, vanno portati allo stato di vapore. Le temperature di
reazione arrivano a volte a sfiorare i 1300 °C. Va sottolineato che tale tecnica, spesso, viene
suddivisa in tre gruppi: reazioni gas-gas, reazioni gas-solido e reazioni per decomposizione
in fase di vapore. In tal modo, si giunge a produzioni di livello industriale che riguardano
principalmente allumina e ossido di magnesio.
Metodi in soluzione: di solito, tali metodi garantiscono una semplicità di preparazione delle
polveri anche per quelle applicazioni in cui sono richiesti parecchi componenti chimici
differenti. Scopo primario è quello di realizzare allo stato solido l’omogeneità raggiunta al
livello atomico o molecolare al momento della soluzione. Quindi, passo molto delicato è
quello della concentrazione e della rimozione del solvente. Si può effettuare la seguente
classificazione di massima:
1.
2.
3.
4.
5.
metodo di precipitazione-filtrazione;
metodo di evaporazione del solvente (“spray-drying”);
metodo di congelamento (“freeze-drying”);
metodo di sintesi idrotermale;
metodo “sol-gel”.
1. Precipitazione-filtrazione: si tratta della tecnica chimica più comune e si basa sulla
preparazione di una soluzione che contiene i cationi voluti cha vanno miscelati con un
appropriato agente precipitante. Il precipitato viene filtrato, lavato, essiccato e poi
calcinato se ciò si rende necessario.
2. Evaporazione (“spray-drying”): questo è il modo più semplice che, tramite creazione
di gocce piccolissime di soluzione ed evaporazione rapida del solvente, riesce a
mantenere l’omogeneità dimensionale della polvere che così viene a prodursi. Questo
processo si realizza grazie ad un apparecchio nebulizzatore, detto “atomizzatore”.
In sostanza, le soluzioni saline vengono fatte fluire attraverso un ugello che le suddivide
in goccioline di diametro compreso fra i 190 ed i 100 µ m . Poi, queste vengono
rapidamente essiccate da una controcorrente d’aria calda di temperatura compresa tra i
250 ed i 400 °C.
I parametri critici di tale processo sono costituiti dalla viscosità e dalla portata di
alimentazione all’ugello, dalle caratteristiche dell’atomizzatore e dalla temperatura dei
gas caldi.
Scopo fondamentale della nebulizzazione suddetta è quello di dare luogo ad un semilavorato formato da agglomerati quasi sferici dotati di elevata fluidità. E’ importante
che, durante tale processo, non si giunga ad annullare del tutto il contenuto d’acqua
presente nella miscela poiché, così facendo, si ridurrebbe la possibilità di formatura della
massa di polvere ottenuta. Di solito, si opera in modo che, alla fine del processo, si passi
da un iniziale e più alto contenuto d’acqua (circa 33-37% in peso) ad un contenuto molto
più basso che si attesta sul 3-6% in peso.
Ecco qui di seguito un’immagine (figura 6) che ritrae, schematizzati, quattro diverse
tipologie di atomizzatore:
Figura 6
Ecco, nell’immagine di figura 7, come si presenta l’ambiente di dimensioni
microscopiche relativa ad una piccolissima regione di una massa di polveri di alta
allumina.
Figura 7
3. Congelamento (“freeze-drying”): questa tecnica consente la creazione di polveri
molto fini, pure e reattive nella forma di granuli di geometria sferica; essa consiste in tre
fasi: una atomizzazione della soluzione in piccole gocce, un rapido congelamento delle
stesse ed, infine, un processo di essiccamento sotto vuoto per sublimazione del solvente.
In tal modo, si riesce ad ottenere una polvere ad alta omogeneità e di composizione
anche molto complessa, come accade per le polveri da adottare per i superconduttori
ceramici ad alta temperatura critica.
4. Sintesi idrotermale: questo processo permette la sintesi diretta di ossidi, anche
complessi, ed un controllo pressoché diretto dell’omogeneità delle polveri prodotte. La
sintesi suddetta consiste in un trattamento a temperatura e pressione abbastanza elevate,
(di solito, si attestano valori sui 400 °C e sui 100 MPa) dei vari reagenti, costituiti da
sali, ossidi, idrossidi. La nucleazione e la crescita di una nuova fase, in tali condizioni
ambientali, determinano la formazione di polveri di ossidi di dimensioni sub-microniche.
5. Processo “sol-gel”: questa tecnica dà la possibilità di ottenere polveri di elevata
purezza ed omogeneità. Si tratta di un procedimento che realizza ossidi ceramici a
partire da una sospensione colloidale di particelle solide in un liquido, detta “sol”.
Questa massa di particelle viene sottoposta ad idrolisi e polimerizzazione e trasformata
in un “gel” il quale è poi a sua volta essiccato e trattato termicamente. Il prodotto finale è
proprio un ossido ceramico.
La versatilità della tecnica “sol-gel” consente di preparare, oltre alle classiche polveri
per la costituzione di ceramici innovativi, anche fibre, strati spessi o sottili da impiegare
in materiali compositi di ultimissima generazione.
2.2 Processi di formatura
Nel processo produttivo che si prefigge la realizzazione di ceramici avanzati e non solo, la
formatura rappresenta lo stadio durante il quale una certa quantità di polvere, già pronta, viene a
subire tentativi di manipolazione o di modellazione secondo forme abbastanza vicine a quelle che si
ritrovano nella fase finale della catena produttiva del pezzo ceramico, cioè dopo la fase di
sinterizzazione.
Le diverse tipologie esistenti di processi di formatura dipendono da molti fattori concorrenti:
le prestazioni richieste per il prodotto finale;
la microstruttura del pezzo;
il numero di pezzi da realizzare e quindi il costo specifico;
costi aggiuntivi quali quelli di finitura.
In generale, i metodi di formatura si suddividono in:
•
•
•
•
pressatura;
formatura plastica;
colatura;
deposizione su nastro.
Dato che tali polveri non presentano, in sostanza, plasticità, queste, affinché la formatura si svolga
correttamente, devono essere unite ad uno o più additivi in modo da garantire un certo grado di
manipolazione della materia ottenuta. C’è anche da sottolineare che, a volte, si opta per un metodo
di formatura più costoso e complesso pur di evitare l’uso di additivi che, inseriti nella matrice
ceramica, potrebbero tramutarsi in una crescita incontrollata di difetti tali da costituire potenziali
danni al prodotto finito.
2.2.1 Formatura tramite pressatura di polveri
La pressatura di una polvere ceramica può realizzarsi in modi diversi:
1. pressatura uniassiale a freddo o a caldo;
2. pressatura isostatica a freddo (CIP - Cool Isostatic Pressing) o a caldo (HIP- Hot Isostatic
Pressing);
3. pressatura a secco od a umido.
1. Pressatura uniassiale a freddo ed a caldo
La pressatura monoassiale a freddo può essere definita come la compattazione e la contemporanea
formatura di una polvere contenente una piccola percentuale di legante organico o di acqua (%2)
alla pressione di qualche decina di MPa. Sulla base del tipo di pressa adottata (meccanica o
idraulica) o della forma e delle dimensioni del pezzo, la velocità di produzione può variare di molto:
da un pezzo a qualche centinaio di pezzi al minuto. L’attività di pressatura è di solito ripartita in tre
momenti:
fase di riempimento;
fase di compattazione;
fase di estrazione.
In genere, dopo la pressatura, il pezzo presenta una distribuzione non omogenea della propria
densità. Difetti comuni della uniassiale a freddo sono la laminazione e la formazione di fratture
interne e localizzate, che possono portare alla rottura spontanea del pezzo dopo l’estrazione, e
l’adesione della polvere alle pareti dello stampo. Mentre i primi due inconvenienti sono da associare
alla disuniformità dimensionale dei grani di polvere, l’ultimo problema è legato alla precisione della
costruzione dello stampo ed alla sua rigidità.
La pressatura uniassiale a caldo consente di realizzare la densificazione con l’applicazione
simultanea di pressione e calore. I vantaggi di tale procedura di formatura consistono nel fatto che
con essa si possono realizzare una microstruttura a grani inferiori al micron. Presenta, comunque,
anche degli svantaggi che risiedono nella scarsa versatilità d’uso (si può adottare solo per forme
semplici) ed in alti costi specifici.
L’apparecchiatura è costituita da una coppia di punzoni e da una matrice montati dentro un forno
sistemato in una pressa. Gli stampi, per impedire che possano interagire con le polveri ceramiche,
sono spesso realizzati in grafite ricoperta con un sottile strato di nitruro o carburo di silicio.
2. Pressatura isostatica a freddo ed a caldo
La tecnica di pressatura isostatica a freddo consente di comprimere la polvere secondo ogni
direzione ed offre molti vantaggi rispetto alla pressatura uniassiale a freddo: limitate distorsioni del
pezzo durante la fase successiva di sinterizzazione, scarso impiego di leganti o additivi, accresciute
possibilità di raggiungere densità più elevate e di stampare oggetti di grandi dimensioni.
Qui, la polvere viene versata in un contenitore ermetico a pareti flessibili (di solito in gomma), detto
“borsa”, che si trova all’interno di una camera in cui viene fatto confluire il liquido ad alta pressione
(25-250 MPa) che costringe la polvere compattata ad assumere la forma del contenitore flessibile.
A volte, in alternativa alla polvere ceramica, si usa introdurre nella “borsa” un pezzo crudo ottenuto
preventivamente tramite pressatura uniassiale. Così, in genere, si raggiungono migliori risultati in
termini di compattezza del pezzo ma anche inevitabili difetti di finitura superficiale e ritmi
produttivi non molto elevati.
Tipico esempio di prodotto realizzato tramite questo tipo di pressatura è rappresentato dal corpo
isolante delle candele per motori endotermici. La figura 8 mostra una sezione trasversale di un
isolante di una candela in uno stampo per la pressatura isostatica. Dopo la pressatura, il componente
(in genere, allumina) viene cotto per raggiungere le proprietà e la microstruttura richieste.
Figura 8
Le parti ceramiche così prodotte comprendono anche i refrattari, i mattoni ed i laterizi, gli utensili in
carburo, i crogioli e persino alcune tipologie di cuscinetti.
La figura 9, invece, mostra gli stadi di fabbricazione del corpo isolante di una candela tramite
pressatura isostatica a freddo.
Figura 9
La pressatura isostatica a caldo è, invece, un processo attraverso il quale la polvere viene sottoposta
allo stesso tempo ad un calore e ad una pressione isostatica ottenuta grazie ad un gas inerte (argon o
azoto) tra i 70 ed i 300 MPa. In tale modo, si creano polveri che sono praticamente esenti da
porosità e, quindi, a temperature inferiori a quelle di sinterizzazione libera, si presentano molto
vicini al prodotto finito. Così, si riesce a ridurre alcuni costi di lavorazione come la finitura.
3. Pressatura a secco ed a umido
Il metodo di pressatura a secco viene usato in genere per prodotti refrattari strutturali (materiali ad
alta resistenza al calore) ed i componenti ceramici elettronici. Esso può essere definito come la
compattazione monoassiale e formatura simultanea di una polvere con piccole quantità di acqua e/o
legante organico, in uno stampo. La figura 10 mostra una serie di operazioni per la pressatura a
secco di polveri ceramiche per ottenere una forma semplice. Tale procedura di pressatura è
largamente utilizzata poiché consente di ottenere in modo rapido una grande varietà di forme con
uniformità e tolleranze molto ristrette.
Figura 10
La pressatura a umido consiste nella pressatura di una sospensione con simultanea rimozione del
liquido. Una caratteristica del processo è la possibilità di ottenere un prodotto compatto crudo, di
densità omogenea, se la sospensione iniziale della polvere nel liquido (di solito, argilla ed acqua),
che è detto “barbottina”, resta costante durante il procedimento. Così facendo, si riesce ad avere una
polvere in cui non risultano presenti apprezzabili variazioni di densità granulometrica.
V’è da dire che tale processo comporta qualche problema in termini di durata del ciclo cui segue
un’essiccazione la quale a sua volta determina delle situazioni di rischio per il pezzo poiché, in
assenza di un adeguato legante, la sua integrità può essere messa a serio rischio dato il notevole
shock termico ed il suo conseguente pericoloso indebolimento (aumento di fragilità).
2.2.2 Formatura del materiale plastico
Per adottare tale tecnica diviene indispensabile inserire nelle polveri ceramiche quantità
relativamente abbondanti di leganti in modo da accrescere il grado di plasticità dell’impasto.
Quest’inserimento di leganti può essere realizzato in due modi:
1. inserzione per estrusione ;
2. inserzione per iniezione.
1. Processo per estrusione (Pasting Process)
Tale tecnica si presta molto bene ad essere utilizzata per la realizzazione di prodotti a sezione
trasversale semplice o caratterizzati da uno sviluppo marcato in una direzione (come avviene per le
tubazioni, ad esempio quelle fognarie o per supporti alveolari delle marmitte catalitiche) o per
prodotti costituiti da semplici forme cave (laterizi forati). Questo metodo è anche molto usato per la
produzione di mattoni refrattari, laterizi forati e ceramiche tecnologiche ed isolanti elettrici.
Il mezzo più usato in tale processo è la macchina con estrusore a vite sotto vuoto in cui il materiale
ceramico miscelato con un plasticizzante (argilla ed acqua) viene forzato lungo una matrice di un
acciaio o di una lega dura per mezzo di una vite a motore, come riportato dalla figura 11.
A volte, per ceramici speciali, si adottano sistemi a pistone per realizzare l’estrusione ad alte
pressioni in modo da avere tolleranze ristrette.
Figura 11
Nel caso del procedimento per estrusione si deve analizzare la questione relativa alla presenza
massiccia degli additivi plasticizzanti nell’impasto pronto ad essere estruso. Infatti,
l’allontanamento di tali sostanze e la loro combustione possono causare problemi durante il ciclo
termico di sinterizzazione del pezzo. L’eliminazione del legante rappresenta un passo molto
delicato che, in sede di produzione, va affrontato con molta cautela.
Il legante deve evaporare o bruciare in condizioni controllate affinché si eviti che la temperatura, in
certe regioni locali del pezzo, possa aumentare provocando densificazioni differenziate ed un
eccessivo aumento di porosità che non si può eliminare durante la cottura.
Indipendentemente da ciò, con il processo ad estrusione non è possibile eliminare i difetti della
disomogeneità e della laminazione che possono derivare da andamenti della pressione di filiera non
perfettamente continui o da difetti strutturali dello stantuffo premente.
2. Processo per iniezione (Injection Moulding Process)
Questa tecnica è adottata per la realizzazione di prodotti di forme complesse grazie all’elevata
fluidità della massa durante il riempimento dello stampo. Come nel caso del processo per
estrusione, anche qui la polvere ceramica viene addizionata di un legante polimerico e di additivi
speciali in modo da garantire all’impasto le condizioni di plasticità idonee all’immissione nello
stampo ed essere forzata da un pistone.
Qui, i parametri da tenere sotto controllo sono: il quantitativo di materiale immesso in camera di
compressione, la temperatura della camera, la pressione e la velocità del pistone ed i tempi di
apertura e chiusura dello stampo.
Rispetto ai classici sistemi di pressatura, tale tecnica presenta il difetto di cicli di produzione più
lunghi, maggiori costi dello stampo, della macchina ed, in generale, costi di manutenzione più
impegnativi.
2.2.3 Formatura per colaggio e deposizione
Anche questa tecnica adotta additivi e leganti da miscelare nell’impasto ceramico per conferire ad
esso le giuste caratteristiche di plasticità: anzi, qui, la massa che ne deriva deve risultare molto più
fluida di quella che si ottiene dai processi di formatura plastica.
In tale caso, le modalità con cui si espleta questo tipo di formatura sono, essenzialmente, tre:
1. formatura per colaggio;
2. formatura per deposizione su nastro continuo (Tape Casting);
3. formatura per deposizione a spruzzo.
In tutti e tre i casi, il processo di formatura si presenta piuttosto semplice, non richiede particolari
attrezzature (neppure molto costose) e poi consente soprattutto di concretizzare forme complesse
anche di notevoli dimensioni.
Le tecniche di deposizione possono usare polveri sotto forma di sospensioni più o meno fluide
oppure allo stato secco.
1. Colaggio (Casting)
In questo caso, le forme dei ceramici avanzati (ma ciò vale anche per quelli tradizionali) vengono
colate in un unico processo di colaggio. I passaggi principali del colaggio sono i seguenti:
preparazione della barbottina;
versamento della barbottina in uno stampo poroso (di solito, gesso di Parigi) che
consente alla porzione liquida della barbottina di essere parzialmente assorbita
dallo stampo. Mentre il liquido viene rimosso dalla barbottina, si forma sulla
superficie dello stampo uno strato di materiale semi-indurito;
3. quando si è formato uno spessore sufficiente sulla parete, il processo di colata si
interrompe e la barbottina in eccesso viene rimossa dalla cavità. Questa tecnica
viene definita “colata per drenaggio” (vedi figura 12(a). In alternativa a questa, vi
è un’altra tecnica, detta “colata solida” (vedi figura 12(b)) che consiste nel creare
una forma solida lasciando continuare la colata fino a che l’intera cavità dello
stampo viene riempita.
1.
2.
Figura 12 (a-b)
Vi sono altre tecniche di colata della barbottina, come quella in pressione (Pressure Slip Casting) o
quella sotto vuoto, nelle quali la barbottina viene modellata sotto pressione o sotto vuoto.
2. Deposizione su nastro continuo (Tape Casting)
Si tratta di un processo che consente di produrre film spessi o lamine ceramiche a partire da una
sospensione della polvere in un fluido costituito da solvente, legante, plastificante e disperdente. La
sospensione viene poi depositata su di un supporto (teflon, vetro, etc.), essiccata, tagliata e
sottoposta a sinterizzazione.
La sospensione è sistemata entro un contenitore e versata sul supporto costituito da un nastro
continuo di plastica che scorre al di sotto. Una coppia di coltelli, regolabili in altezza rispetto al
piano del nastro trasportatore, determina lo spessore. Durante lo scorrimento il solvente evapora
dall’impasto che acquista una plasticità tale da permetterne l’avvolgimento e la successiva
lavorazione che comprende, di solito, punzonature e tagli in modo da ricavare pezzi che poi
andranno ai cicli di cottura e sinterizzazione.
3. Deposizione a spruzzo
Tale procedimento viene spesso impiegato quando si vuole rivestire un oggetto, in genere metallico.
Il sistema è basato su tecniche mediante le quali una polvere ceramica viene fusa tramite fiamma o
arco elettrico e poi proiettata come uno spruzzo mirato sulla superficie dell’oggetto.
2.3 Processi di essiccamento
Indipendentemente dal preciso tipo di formatura intrapreso per la realizzazione di uno o più pezzi,
bisogna sottolineare che a monte del processo di sinterizzazione vi è sempre il passaggio relativo
all’essiccamento ed all’eliminazione dei leganti.
Lo scopo principale dell’essiccamento dei ceramici è quello di rimuovere il legante (spesso, si tratta
di acqua) dall’impasto ceramico prima della cottura a più alta temperatura. In genere,
l’essiccamento viene eseguito sotto i 100 °C e può durare anche fino a 24 ore per un pezzo di
materiale ceramico di grosse dimensioni.
La massa dei leganti organici può essere rimossa dai prodotti mediante riscaldamento nell’intervallo
dei 200-300 °C, nonostante alcuni residui idrocarburici possano richiedere un riscaldamento a
temperature più elevate.
2.4 Processi di sinterizzazione
Per “sinterizzazione” si intende il processo di densificazione di un compatto di polveri il quale
comprende la rimozione della porosità tra le particelle di partenza, la coalescenza e la formazione di
legami forti fra particelle adiacenti.
Questo processo rappresenta il nucleo centrale della produzione di ceramici avanzati e tradizionali e
viene adottato, per oggetti piccoli e complessi, anche in campo metallurgico.
Ragionando in termini strettamente tecnici, la sinterizzazione è un “processo mediante il quale
piccole particelle di un materiale vengono consolidate attraverso fenomeni di diffusione allo stato
solido”. Pertanto, quando si parla di densificazione, si intende dire che la sinterizzazione porta alla
trasformazione di un prodotto poroso compatto in uno più denso e coerente.
Nella visione microscopica dell’impaccamento delle poveri, valutate come sferette rigide del
medesimo diametro, si sa che deve restare un volume vuoto pari a quasi il 26% del volume totale.
Appare ovvio dire che tale volume vuoto può essere ridotto se nella polvere si inseriscono particelle
non sferiche e di dimensioni differenti ma capaci di riempire gli spazi interstiziali che si formano
nel contatto fra le sferette principali.
La sinterizzazione ha il merito di ridurre tali spazi vuoti secondo modi e meccanismi che si possono
raggruppare in tre tipi diversi:
1. Sinterizzazione viscosa (vetrificazione);
2. Sinterizzazione con fase liquida;
3. Sinterizzazione allo stato solido.
2.4.1 Sinterizzazione viscosa
In tale caso, la composizione chimica del sistema e la temperatura usata durante il processo
producono una quantità di fase liquida, diversa dalle fasi reagenti, sufficiente ad eliminare la fase
gassosa inizialmente presente tra le particelle. Basta che il 20% del volume iniziale sia trasformato
in una fase liquida per riempire la quasi totalità delle porosità iniziali. In tal modo il rafforzamento
delle polveri può avvenire tramite la formazione e lo scorrimento viscoso del liquido sotto le forze
di capillarità durante il trattamento termico e poi, alla fine, la “vetrificazione” durante la fase di
raffreddamento (vedi figura 13) E’ proprio qui che la fase vetrosa, solidificando, forma una matrice
vetrosa che lega, più di prima, le particelle non fuse fra loro del solido ceramico che si sta
sinterizzando.
Figura 13
Questo processo, molto adottato per la produzione di allumina e vari titanati, è sostanzialmente lo
stesso che si impiega per la produzione di ceramici tradizionali come porcellana e grès; da qui
deriva l’altra definizione di sinterizzazione, meno corretta ma comunque molto usata, di processo di
“vetrificazione” o di “greificazione”.
La gran parte dei modelli che cercano di descrivere la vetrificazione è stata proposta spesso sulla
base di presupposti geometrici semplici, come accade anche con uno dei modelli più usati, cioè
quello di Frenkel.
Il modello proposto dal chimico russo prevede di immaginare due sfere a contatto, costituite da
materiale viscoso e dotato di una tensione superficiale costante durante tutto il fenomeno isotermo.
Sulla base di tale modello, la sinterizzazione, ovvero la variazione relativa di volume, è funzione
della durata del trattamento termico e dipende dalla tensione superficiale γ , dalla viscosità η e dal
raggio delle sfere r0 secondo la seguente formula:
∆V 9η t
=
⋅
.
V0 4γ r0
A tale formula, sostanzialmente, corrispondono andamenti rispettivamente crescenti e decrescenti
nel tempo della variazione di densità e della porosità come evidenziati dalla figura 14.
Figura 14
Tale modello si è rivelato aderente alla realtà solo nel caso di materiali effettivamente vetrosi, fluidi
del tipi newtoniani, e limitatamente alla prima fase di sinterizzazione dato che in alcuni casi,
durante la fase di raffreddamento, il liquido può dare luogo ad una fase cristallina e non
propriamente vetrosa. Inoltre, il modello di Frenkel è ancora utile solo per i materiali “vetrosi”
anche per il fatto che, a quello stato di materia, l’ipotesi per cui le particelle possono essere viste
come sferette risulta abbastanza realistica.
2.4.2 Sinterizzazione con fase liquida
Come nel caso precedente, anche qui si forma una fase liquida ma in quantità minore e non
sufficiente a rimuovere totalmente la fase gassosa presente; così, per avere una densificazione
completa, il sistema deve subire una variazione nelle dimensioni e nella forma dei grani, come
rappresentato in figura 15.
Figura 15
Il sistema è utilizzato per quei materiali (come nitruro di silicio e ossido di magnesio) nei quali la
sinterizzazione al solo stato solido o non è raggiungibile oppure è troppo impegnativa sul piano
tecnologico (ad esempio, si potrebbero richiedere temperature troppo elevate).
Affinché il meccanismo risulti efficace, è necessario che la fase liquida possa formarsi a
temperature relativamente basse, e possa bagnare le particelle solide (in maggioranza) formando
una sorta di film liquido continuo che viene percorso dal gas rimasto intrappolato e poi dal deflusso
di materia necessario a rimodellare i grani ed eliminare la porosità restante. Proprio quest’ultimo
problema rappresenta uno dei più delicati ed interessanti della tecnologia ceramica moderna.
Il metodo si è rivelato molto utile specie per quei solidi covalenti come carburo di silicio e nitruro di
silicio e pure vantaggioso economicamente perché permette di realizzare la sinterizzazione a
temperature contenute con evidenti benefici energetici.
Gli svantaggi di tale tecnica sono da addebitare alla permanenza (non voluta) dell’additivo della
sinterizzazione nella microstruttura, cosa che accade spesso tra i grani del materiale.
Tali residui di additivi, all’aumentare delle temperature di esercizio del pezzo finito, potrebbero
“creare” una fase fluida che favorirebbe lo scorrimento viscoso e, quindi, pericolose instabilità
dimensionali.
Al fine di evitare tale difetto si cerca sempre di valutare soluzioni capaci di eliminare la presenza
della fase liquida non appena questa ha completato il suo scopo, cioè l’ottimale compattamento
della sferette.
Tale eliminazione non costituisce un puro allontanamento fisico (ad esempio: evaporazione del
fluoruro di litio dall’ossido di magnesio) ma anche una trasformazione in una fase stabile,
cristallizzata in modo irreversibile dopo la sinterizzazione.
Complessivamente, il meccanismo di sinterizzazione con fase liquida prevede due stadi successivi:
a) ricoprimento delle particelle e loro aggregazione sotto la spinta delle forze di capillarità in
una configurazione di impaccamento più efficace;
b) dissoluzione e precipitazione del materiale (maggioritario) nel film liquido sotto la spinta dei
gradienti di potenziale termodinamico delle particelle.
2.4.3 Sinterizzazione allo stato solido
Quando le particelle di una sostanza pura e cristallina vengono compattate e riscaldate in
un’atmosfera in cui sono stabili, ad una temperatura al di sotto del loro punto di fusione, queste si
legano (ovvero sinterizzano) in modo spontaneo senza la formazione di una fase liquida.
La densificazione avviene con la variazione della dimensione e della forma delle particelle. Il
fenomeno si rende possibile grazie alla diffusione degli atomi attraverso il reticolo cristallino, la
superficie, il bordo dei grani ed, in certi casi, tramite la fase gassosa.
In sostanza, tale processo è fondamentalmente costituito da una progressiva tendenza delle
particelle di polvere ceramica ad agglomerarsi per effetto di diffusione allo stato solido a
temperature molto elevate ma inferiori al punto di fusione del composto che si vuole sinterizzare.
Un esempio può essere quello dell’isolante in allumina di una candela per motori di autoveicoli, la
quale viene sinterizzata a circa 1600 °C, ben al di sotto dei 2050 °C che rappresenta il punto di
fusione tipico dell’allumina.
Durante il processo, la diffusione atomica avviene tra le superfici di contatto delle particelle che
divengono chimicamente legate fra loro, come si può intuire dalla figura 16.
Figura 16
Man mano che il processo avanza, si formano particelle più grandi a spese di quelle più piccole,
come illustrato bene, nel caso della sinterizzazione di prodotti in ossido di magnesio, dalla figura
17.
Figura 17
La porosità dei prodotti diminuisce (ciò vale indipendentemente dal tipo specifico di processo di
sinterizzazione) quando le particelle diventano più grandi, all’aumentare del tempo di
sinterizzazione, come evidenziato dal grafico di figura 18 in cui è riportata, a due temperature
differenti (1330 °C e 1430 °C), la porosità in funzione del tempo per prodotti in ossido di magnesio
drogato con monossido di calcio.
Figura 18
Il risultato di tale tecnica, tipico per le sostanze ioniche, è un materiale denso, formato da grani più
grandi delle particelle iniziali ma contenente una certa porosità residua.
Invece, nei solidi covalenti, quanto alla densificazione, prevale l’ingrossamento delle particelle
come unica conseguenza della riduzione dell’area superficiale di contatto delle stesse, come si può
notare dalla figura 19.
Figura 19
E’ proprio tale riduzione la forza “motrice” del processo dato che ad essa corrisponde una
diminuzione dell’energia complessiva del sistema, cioè dell’energia libera di Gibbs.
Nonostante le quantità d’energia in gioco nel processo siano piuttosto piccole, c’è da sottolineare
che gli atomi devono percorrere distanze dell’ordine dei propri diametri (sempre dell’ordine dei
micron) e che i potenziali chimici possono essere rilevanti per cui, se la temperatura è
sufficientemente alta, la sinterizzazione allo stato solido può procedere molto rapidamente.
Se oltre alla sinterizzazione si assiste pure a fenomeni di variazione della composizione chimica,
allora, in questi casi, si deve parlare di “sinterizzazione in fase reattiva”.
2.4.4 Stadi di sinterizzazione
Il processo di sinterizzazione, di solito, viene ad essere suddiviso, convenzionalmente, in tre stadi
principali:
1) Stadio Iniziale relativo a quasi il 5% del ritiro del volume originario;
2) Stadio Intermedio;
3) Stadio Finale che interessa l’ultimo 10% del ritiro del volume di partenza.
Si tratta, pur sempre, di uno schema convenzionale dato che effettivamente non è per nulla facile
valutare separatamente, con confini netti e chiari, i suddetti stadi tanto è vero che, per alcuni
studiosi, non sarebbe neppure corretto parlare, ad esempio, di fasi intermedie di sinterizzazione.
1) Stadio Iniziale
Le singole particelle della massa “cruda” restano identificabili ma nei punti di contatto iniziano a
formarsi i collegamenti. In tal modo si formano i bordi di grano, cioè le nuove superfici solidosolido. Questa ipotesi ha parecchie limitazioni perché così si considera solo la crescita dei colli di
superficie e non si tiene conto né della densificazione né dei bordi di grano.
Principio ispiratore di qualsiasi modello che cerchi di spiegare cosa accade nella fase iniziale della
sinterizzazione è la diffusione delle vacanze dal colletto verso zone con raggio di curvatura più
grande oppure nel bordo di grano (detto BG). A tale meccanismo di diffusione si accompagna in
direzione opposta un flusso di atomi, come si può notare da figura 20.
Figura 20
In pratica, si può dimostrare che ogni meccanismo di diffusione che inizia o agisce lungo la
superficie, o tramite la fase vapore o il reticolo cristallino, non provoca ritiro dei volumi ma solo
crescita dello spessore del colletto ed eventualmente dei grani.
Viceversa, produce ritiro (quindi, densificazione) qualsiasi meccanismo che prende origine dalla
massa interna della particella e sfrutta le dislocazioni od il bordo di grano per diffondere verso il
colletto.
2) Stadio Intermedio
Questo stadio si esaurisce quando il sistema raggiunge quasi il 90% della sua densità teorica. A
questo punto, il materiale è formato da una serie di grani uniformi ed aventi facce in contatto
reciproco. La porosità, che si realizza, è di tipo cilindrico nei punti di giunzione di tre grani.
Il solido geometrico che funge da modello per questo stadio è un ottaedro troncato dotato di 14
facce, 36 spigoli e 24 vertici. Esso riesce a riempire al meglio lo spazio a disposizione. La porosità è
concentrata lungo gli spigoli ed è, quindi, di tipo labirintico ed interconnessa.
Se valutiamo questo modello labirintico di porosità, la variazione delle dimensioni dei grani al
variare del tempo può essere espressa dalla seguente relazione logaritmica:
P = −cost. ⋅ ln t .
Tuttavia, oltre certi valori di sinterizzazione, la dipendenza della densità non rispecchia più tale
andamento perché si modifica il tipo di porosità: da interconnessa passa a isolata o collegata al
bordo di grano fino ad essere, a volte, imprigionata all’interno della massa cristallina.
3) Stadio Finale
Lo stadio finale inizia quando nel materiale, a causa della densificazione, i pori si trovano isolati e
concentrati nei punti di contatto di quattro grani. Alcuni pori si possono trovare al bordo dei grani,
altri a seconda della rapidità con si muovono i bordi stessi possono trovarsi all’interno dei grani. In
genere, tali pori si rappresentano con geometria sferica ma modelli più accurati individuano anche
forme poliedriche.
L’analisi di questo stadio è complicata dal fatto che la variazione della densità col tempo non è
logaritmica come quella vista nel passo intermedio. Questo accade poiché la porosità si trova molto
spesso “chiusa” e la pressione dei gas intrappolati all’interno può raggiungere valori talmente alti da
iniziare a frenare od inibire del tutto la scomparsa dei pori e così il processo di densificazione.
Infatti, molte volte, una sinterizzazione eccessivamente prolungata o effettuata a temperatura troppo
elevata comporta il seguente fatto negativo: da un massimo della densità raggiunta
dell’impaccamento molecolare si passa ad un’inversione di tendenza con successiva diminuzione di
densità.
Il più delle volte non si riesce a raggiungere la densità teorica e ciò è imputabile a molti fattori tra i
quali, certamente, vi è la non omogenea distribuzione della porosità e la conseguente velocità di
sinterizzazione che tende, proprio per questo motivo, a mantenersi bassa (infatti, pori più grandi
impiegano per chiudersi molto più tempo rispetto a quelli piccoli; anzi, oltre certe dimensioni,
possono pure allargarsi).
Queste problematiche rendono i modelli di studio del passo finale della sinterizzazione molto
imprecisi al punto che le valutazioni quantitative che qui si ottengono vengono ritenute, in genere,
meno attendibili di quelle ricavabili per lo stadio iniziale.
2.4.5 Due tematiche note: la crescita dei grani in fase finale e le sue anomalie
Crescita dei grani nello stadio finale di sinterizzazione
In molti materiali policristallini, durante la sinterizzazione, si registra un movimento del bordo dei
grani tale che i grani più piccoli vengono eliminati a vantaggio di quelli più grandi.
I grani con meno di 6 lati sono delimitati da bordi di grano concavi, mentre quelli con più di 6 lati
da bordi di grano convessi.
Per ridurre l’area e l’energia superficiali, i bordi di grano tenderanno a muoversi verso il proprio
centro di curvatura e quindi:
i grani concavi tenderanno a rimpicciolirsi;
quelli convessi tenderanno, invece, a crescere.
La legge di crescita è legata alla velocità con cui si possono muovere i bordi di grano. Il movimento
è dovuto all’eccesso di pressione che a sua volta è inversamente proporzionale al raggio di
curvatura. Ne deriva che la velocità del bordo di grano è inversamente proporzionale al raggio di
curvatura ed, in pratica, al suo diametro, ovvero:
dD K
dD
=
, dove
è la velocità del bordo di grano, cioè la variazione temporale del suo diametro
dt D
dt
e K è un semplice coefficiente di inversa proporzionalità.
La formula su esposta, spesso, è presentata anche nella forma già integrata, cioè:
( D1 ) − ( D0 )
2
2
= K ⋅ t , in cui con D0 e D1 si intende rappresentare rispettivamente il diametro
iniziale ed il diametro dopo un certo tempo t .
Se si riportano in un grafico con scale logaritmiche sia il diametro che il tempo ci si aspetta una
1
retta con pendenza pari ad . In effetti, questo è il tipico grafico che si ricava per valori non troppo
2
elevati di crescita dei grani. Le deviazioni più importanti da tale comportamento sono causate da
vari fattori, tra cui si può certamente segnalare la presenza di impurezze o additivi che,
intenzionalmente inseriti nelle polveri per migliorare la plasticità dell’impasto ceramico, possono
dD
influenzare pesantemente il tasso di velocità
.
dt
Anomalie nella crescita dei grani
Il fenomeno della crescita anomala, esagerata od incontrollata, dei grani si manifesta, tramite analisi
micrografica a scansione elettronica del prodotto finito, solitamente con la presenza di zone a grani
singoli molto estesi che sono cresciuti inglobando parecchi grani di dimensioni inferiori. La causa
di tale fenomeno è interpretabile alla luce di quanto detto a proposito della curvatura dei bordi di
grano e della loro mobilità nel casi di grani di grosse dimensioni.
Esiste un accorgimento per limitare la crescita anomala dei grani, cioè la presenza di una o più fasi
che vincolano i bordi di grano.
Complessivamente, la crescita esagerata può essere scongiurata o limitata oltre che con
l’omogeneità, la purezza della polvere e della fase che vincola i bordi, anche e, soprattutto,
riducendo al minimo il tempo di esposizione del compatto di polveri alla sinterizzazione.
2.4.6 Fattori di influenza per la sinterizzazione
Per riuscire ad ottenere una buona densificazione possiamo agire su cinque variabili:
1.
2.
3.
4.
5.
temperatura;
tempo;
dimensione originaria delle particelle;
composizione chimica (qualità e quantità degli additivi presenti)
pressione.
Tali variabili determinano le condizioni del fenomeno che sono controllate dai principi della
termodinamica. Il fenomeno si presenta, come già visto, molto complesso. Tuttavia, è possibile
riassumere così, nei seguenti quattro punti, quelli “chiave” per un’ottimale comprensione del
fenomeno:
il meccanismo principale della sinterizzazione è la diffusione nel reticolo cristallino, dove i
bordi di grano agiscono come luoghi di eliminazione delle vacanze reticolari. Se si usa tale
modello, si può tentare di spiegare cosa accade effettivamente nella produzione di allumina,
fluoruro di calcio ed ossido di berillio, tanto per fare alcuni esempi.
In altri sistemi si sono registrati anche diversi tipi di meccanismi come diffusione
superficiale (ghiaccio), evaporazione/condensazione (salgemma, ossido di zinco) e
diffusione al bordo dei grani (allumina).
L’ottenimento della densità totale (o teorica) è possibile ma nella pratica ciò viene
ostacolato dalla distribuzione granulometrica iniziale e dal tipo di porosità oltre che dal suo
tasso iniziale, spesso tutt’altro che contenuto.
Se si vuole variare la velocità di sinterizzazione, si deve essere in grado di operare sul
meccanismo che agisce in modo preponderante, identificarlo e considerare le cinque
variabili, prima citate, tramite le quali è possibile, in qualche modo, controllarlo e guidarlo.
A chiarire quest’ultimo aspetto si può portare l’esempio della sinterizzazione dell’allumina. Qui, il
fenomeno è pilotato dalla diffusione di atomi dai bordi di grano verso il colletto, attraverso il
reticolo cristallino o lungo i bordi stessi. In questo caso, la velocità complessiva del processo è
determinata dalla specie atomica che diffonde più lentamente ma è anche vero che l’atomo “più
lento” potrà scegliere il percorso (migliore fra altri possibili) che gli garantirà la diffusione più
rapida.
Quindi, in pratica, la sinterizzazione è governata dalla specie atomica più lenta che diffonde usando
il percorso o meccanismo più rapido.
Fino a questo punto, si è ragionato adottando due ipotesi fondamentali, cioè che gli eventuali
gradienti di temperatura presenti nel materiale durante la cottura siano ininfluenti sul decorso della
sinterizzazione e che la forza motrice del processo sia dovuta solo alle differenti curvature presenti
nel sistema delle particelle.
Risultati sperimentali hanno evidenziato che tali ipotesi sono senz’altro parziali: infatti, vi sono
chiare indicazioni che la sinterizzazione può venire influenzata anche da gradienti locali di
temperatura oltre che dalla natura più o meno anisotropa dell’energia superficiale dei cristalli,
quella con cui si originano le loro facce.
Ciò potrebbe far pensare che il fenomeno di sinterizzazione di una miscela di polveri reali sia di per
sé imprevedibile poiché soggetto a troppe variabili che non sempre possono essere inquadrate
correttamente da un modello previsionale.
Pertanto, ai fini di una sinterizzazione effettivamente riproducibile, si può dire che il carattere
empirico dell’agire si fa sempre preponderante e che bisogna sempre tenere a mente tutte le nozioni
tecniche che riguardano il tipo di polveri miscelate (quindi, la loro applicazione), il processo di
formatura più idoneo ed il trattamento termico da riservare.
3. Proprietà dei materiali ceramici avanzati
I materiali ceramici risultano avere innumerevoli campi di impiego grazie alle pregevoli proprietà
fisiche e meccaniche, le quali derivano dalla natura dei loro legami atomici e dal tipo di struttura
cristallina. Prima di riportare, di seguito, le proprietà termiche, meccaniche ed elettromagnetiche,
possiamo innanzitutto dare uno sguardo di massima ad un aspetto molto importante dei
neoceramici, cioè la densità volumetrica ρ (g/cm3).
Si può subito notare come, fatta eccezione per i ceramici tradizionali (silice vetrosa, classico vetro e
mullite), quelli avanzati presentano valori di densità che vanno dal minimo di 2,7 g/cm3 per un
nitruro di silicio povero di additivi ad un massimo 5,75 g/cm3 per la zirconia.
Tanto per fare un esempio, è proprio la moderata densità delle varie forme di nitruro di silicio che,
nell’ambito della tecnologia moderna dei materiali, rende tale materiale molto adatto allo sviluppo
di componenti di motori avanzati che richiedono, sempre più, prestazioni di resistenza termica e
meccanica invariate, se non migliorate rispetto ai materiali adottati tradizionalmente per quei
componenti, ma, soprattutto, che concorrano alla diminuzione del peso complessivo del blocco
motore di un veicolo.
La figura successiva (figura 21) dà una piccola testimonianza di alcuni progressi compiuti per la
realizzazione di componenti di un motore come valvole, inserti di battuta e perni di pistoni in
nitruro di silicio (pezzi di color nero) e collettori di scarico in allumina (pezzo, in evidenza, di color
bianco).
Figura 21
Sempre restando nel campo delle applicazioni allo sviluppo di nuovi motori, la prossima figura 22
segnala quali potranno essere, per un motore turbodiesel, le possibili applicazioni, in un futuro
prossimo, di ceramici avanzati e compositi.
Figura 22
3.1 Proprietà termiche
Le peculiarità termiche dei ceramici sono rilevanti per le applicazioni a temperature elevate, con
salti termici oppure quando sia necessaria una prestazione da isolante termico o da refrattario.
Il coefficiente di dilatazione termica lineare (α) del materiale è strettamente legato alla natura del
legame chimico e alla struttura cristallina. L’aumento di volume in seguito all’incremento della
temperatura è manifestazione dell’aumento dell’agitazione termica degli atomi rispetto alla loro
posizione di riposo a bassa temperatura. Le distanze di equilibrio tra le particelle sono maggiori al
crescere delle vibrazioni termiche a causa della asimmetria della curva dell’energia potenziale delle
stesse.
Questa asimmetria è maggiore nei legami ionici piuttosto che in quelli covalenti, per cui nei primi il
coefficiente di dilatazione termica risulta maggiore. Per quanto attiene alla struttura cristallina, si
osserva che i composti che cristallizzano secondo strutture compatte si dilatano maggiormente
rispetto a quelle con strutture più aperte poiché queste ultime, oltre ad offrire più spazio all’interno,
possono anche modificare gli angoli delle direzioni di collegamento tra gli ioni o gli atomi.
Un esempio lampante è rappresentato dai vetri, i quali, caratterizzati da strutture aperte con angoli
variabili, presentano coefficienti di dilatazione termica tra i più bassi; in alcuni casi prossimi allo
zero (come il minerale Spodumene).
Nella tabella seguente riportiamo i coefficienti di dilatazione termica di alcuni ceramici confrontati
con quelli dei metalli e dei polimeri.
METALLI
Alluminio
Ottoni
α [mm/mK 10-6]
23,6
20,0
Rame
Acciai
Tungsteno
-
16,5
12-16
4,5
-
CERAMICI
Magnesia
Zirconia
stabilizzata
Allumina
Spinello
Mullite
Carburo di silicio
Cordierite
Vetro di silice
α [mm/mK 10-6]
13,5
10,0
POLIMERI
Polietilene
Teflon
α [mm/mK 10-6]
220-60
135-50
8,8
7,6
5,3
4,7
2,0
0,6
Polipropilene
Nylon
-
80-100
90-100
-
La dilatazione termica è strettamente collegata alla vibrazione delle particelle attraverso la forza del
legame chimico. Qualitativamente, è possibile osservare come i materiali aventi un valore basso del
coefficiente di dilatazione lineare abbiano allo stesso tempo punti di fusione molto elevati. Tuttavia,
va sottolineato che l’anisotropia delle strutture cristalline dei composti, comporta variazioni
piuttosto sensibili nelle differenti direzioni della struttura, per cui il coefficiente di dilatazione
lineare è una media dei coefficienti misurati nelle diverse direzioni cristalline.
Nel confronto con i metalli, si osservano dei coefficienti di dilatazione termica mediamente
inferiori, il che costituisce una profonda difficoltà nella progettazione ingegneristica soprattutto
quando vi sia la necessità di impiegare simultaneamente entrambi i materiali.
Un altro aspetto di notevole importanza è costituito dalla conducibilità termica intesa come la
proprietà di trasferimento di energia termica nel tempo attraverso una data sezione del materiale di
area A. I ceramici si comportano in modo molto diverso dai metalli poiché non hanno elettroni
liberi; ciò comporta una riduzione della conducibilità. Inoltre, essi sono trasparenti alla radiazione
elettromagnetica il che favorisce il trasferimento di energia a temperature elevate.
A temperatura relativamente basse (la conducibilità è prevalentemente determinata dallo
spostamento dei fononi, ossia dalla dimensione del loro cammino libero medio) si possono
raccogliere le seguenti osservazioni:
a) le fasi cristalline conducono meglio di quelle amorfe perché i fononi si muovono meglio
sulle strutture ordinate;
b) poiché l’aumento della temperatura determina una maggiore ampiezza delle oscillazioni, il
percorso dei fononi ne risulta disturbato e la conducibilità diminuisce;
c) porosità e fasi disperse influiscono sul cammino libero medio dei fononi con la forma,
l’anisotropia delle particelle disperse e la porosità, per cui un ceramico policristallino
polifase e poroso presenta una conducibilità inferiore alla sua fase prevalente, cioè la
matrice omogenea a densità teorica.
Nella tabella seguente si riporta la conduttività termica di alcuni ceramici. In generale, si nota che i
composti caratterizzati da atomi leggeri (Be, Mg, Al), strutture semplici e compatte e alta purezza,
presentano conducibilità termiche elevate. Ad esempio, la mullite ha una conducibilità inferiore allo
spinello a causa della maggiore complessità della composizione e della struttura.
CERAMICO
SiC (α)
SiC (β)
Al2O3
Si3N4
Mullite
Zirconia PSZ
Vetro Pyrex
Calcestruzzo
c [W/mK]
63-155
21-33
27,2
9-30
5,2
1,8-2,2
1,3
1,2-1,4
Temperatura
400K
1400K
400K
400K
300K
300K
400K
300K
3.2 Proprietà meccaniche
Le proprietà meccaniche sono una manifestazione della forza del legame chimico, ma sono
fortemente influenzate, in maniera negativa, dai difetti presenti nella massa di un materiale “reale”
prodotto con la tecnologia di cui si dispone. Di seguito vengono esposte sinteticamente le
caratteristiche meccaniche dei materiali ceramici:
Resistenza a frattura: E’ il parametro rappresentativo più importante ed è considerato come
l’espressione sperimentale dello sforzo teorico richiesto per separare i piani che contengono gli
atomi e formare due nuove superfici. Nella maggior parte dei ceramici sinterizzati policristallini, il
valore della resistenza a frattura è pari a due/tre ordini di grandezza inferiore a quella calcolabile
con il modello teorico della separazione dei piani cristallini e della forza dei legami che li
collegano. Ciò è dovuto alla presenza delle superfici eterogenee di contatto tra i grani e ai difetti
della struttura dei piani cristallini che si possono trovare sia sulla superficie che nella massa del
materiale.
Fragilità: E’una combinazione di caratteristiche, ciascuna misurabile individualmente, sulle quali le
condizioni ambientali possono esercitare una grande influenza. Il comportamento fragile sussiste
quando la superficie della frattura è accompagnata da una trascurabile deformazione plastica del
materiale nel suo intorno.
Tenacità: E’ definita come la capacità di un materiale di assorbire energia, spendendola nella sua
deformazione (rappresenta, in sostanza, l’area sottesa dalla curva sforzo-deformazione). La scarsa
tenacità di un materiale può portare ad una rottura di tipo fragile che si svolge in due fasi: innesco
della cricca (rottura locale) e propagazione della cricca (se il materiale è privo di tenacità la rottura
procede rapidamente e con un minimo dispendio di energia). La figura 23(a) mostra l’andamento
della resistenza meccanica per due ceramici caratterizzati rispettivamente da “alta” e “bassa”
tenacità; invece nella figura 23(b) è illustrato l’andamento della tenacità in funzione della lunghezza
del difetto in un ceramico “convenzionale” ed in uno “rinforzato”.
Figura 23 Resistenza e tenacità: (a) dei ceramici convenzionali, (b) dei ceramici compositi o rinforzati
Nel primo caso la tenacità è costante perché è una caratteristica che non si modifica durante il
progredire della frattura; diversamente accade nel secondo caso allorquando il materiale presenta
transizioni di fase lungo il cammino della frattura o nel caso in cui quest’ultima possa incontrare
materiali diversi (rinforzi) che sono distribuiti nella fase maggioritaria detta matrice.
I rinforzi ceramici compositi, si ottengono inserendo nelle matrici ceramiche rinforzi quali fibre o
particelle (vedi figura 24)
Figura 24 Schema dell’interazione della cricca: (a) con un fascio di fibre che, dopo alcune rotture, sostengono la
lesione a “ponte”; (b) con alcune particelle che ne smorzano l’energia per la deformazione plastica.
In entrambi i casi, lo scopo è quello di modificare la direzione e l’energia della cricca mediante una
loro diretta interazione con il suo apice. In altre parole la cricca deve essere rallentata, deviata nella
direzione e se possibile ramificata in cricche più piccole. Possiamo schematicamente ricordare:
1. Deviazione del fronte della cricca
2. Schermatura dell’apice della cricca.
La figura 25(a) mostra che la fase dispersa di rinforzo modifica il percorso della cricca, rendendolo
più tortuoso e lungo. In più, se le particelle disperse determinano con la loro presenza dei campi di
“stress” residuo, la cricca ne sarà influenzata, sarà cioè attratta verso le zone in tensione e
allontanata da quelle in compressione.
Figura 25 Andamento della cricca in un ceramico rinforzato con particelle: (a) deviazione e prolungamento; (b)
impatto sulle particelle e blocco del percorso
Nella figura 25(b) le particelle disperse, se sono colpite dall’apice della cricca, possono essere a
loro volta spezzate e nella frattura opporre la propria tenacità (duttilità) contribuendo alla riduzione
dell’energia residua (figura 26)
Il meccanismo di schermatura dell’apice della cricca consiste nel modificare in situ le caratteristiche
del materiale mediante una transizione di fase indotta dalla cricca stessa. La transizione può
interessare direttamente la matrice e in tal caso si parla di “meccanismo auto-tenace”.
I materiali che possono realizzare queste condizioni sono le soluzioni solide a base di zirconia
(ZrO2). Queste presentano una transizione di fase (tetragonale-monoclina) che può essere indotta
dallo sforzo applicato alla particella stessa; la transizione citata comporta un sensibile aumento del
volume molare (dal 3% al 5%) che è funzione della composizione.
Figura 26 Interazione tra le particelle di rinforzo (duttili-tenaci) e la cricca in progressione nella matrice ceramica
L’aumento del volume, se si realizza di fronte alla cricca, determina una diminuzione della tensione
al suo apice e pertanto riduce fino ad arrestare il progresso della lesione. Nella figura 27 è
schematizzato lo stato tensionale di fronte e intorno all’apice della cricca. Nella direzione frontale il
carico è tensionale, in esso si realizza la transizione (tetragonale-monoclina) che, aumentando di
volume, determina una compressione sulla superficie della zona definita “di processo” della cricca
stessa.
Figura 27 Schematizzazione della transizione di fase della ZrO2 indotta dallo sforzo conseguente schermatura
dell’apice della cricca che risulta sottoposto a una tensione diminuita dell’effetto di compressione dovuto
all’espansione della particella trasformata in fase monoclina
La compressione, essendo di segno contrario, diminuisce l’entità della tensione e, se la riduce al di
sotto del carico di rottura, la cricca può arrestare il suo cammino. In generale la cricca avanza in
modo progressivo, controllato e non catastrofico (vedi Tabella seguente).
Materiale
Malta
Calcestruzzo
Allumina
Ossido di magnesio
Carburo di silicio
Zirconia
Nitruro di silicio
Vetro Na-Ca
Porcellana Tecnica
Widia (WC-3% Co)
Widia (WC-15% Co)
PMMA-Plexiglass
Policarbonato
Tenacità Klc [MPa m1/2]
0,14-1,4
0,25-1,6
3,5-5,8
1,3-2
3,7
1,6-2,5
4,6-5,7
0,8-0,9
1,1-1,4
11,6
18,1-19,9
0,9-1,9
3,02-3,6
Durezza superficiale: Se si fa riferimento alla durezza di tipo Knoop, detta HK, effettuata tramite il
classico penetratore a forma di piramide di diamante a base rombica, sulla superficie dei
neoceramici si registrano valori dell’impronta lasciata dal penetratore (cioè, la misura della
diagonale maggiore del rombo d’impronta) che risultano molto bassi rispetto a quanto accade ai
ceramici tradizionali. Infatti, come riporta la prossima tabella in cui si raffigura un tipico
penetratore piramidale, è evidente come la durezza HK della silice vetrosa, cioè del comune vetro,
sia notevolmente più bassa di quella valutata in ceramici avanzati quali carburo di boro o di silicio.
Resistenza a flessione: Questa viene realizzata con un provino (di solito, si tratta di una lastra
sottile appoggiata in due punti e di dimensioni standardizzate) sottoposto, in mezzeria, a carichi di
flessione progressivamente crescenti (vedi la figura 28(a) a sinistra e (b) sulla destra).
Figura 28 (a-b)
Se si vuole eseguire un rapido confronto fra i valori tipici della resistenza a flessione per ceramici
avanzati e tradizionali, emerge, in genere, un quadro riassuntivo molto simile al seguente:
Dalla tabella su riportata si può notare come il nitruro di silicio presenti le migliori caratteristiche di
resistenza a flessione rispetto ai composti avanzati, anche se non sono da disdegnare affatto le
prestazioni di zirconia e carburo di silicio.
Resistenza a compressione: Questa viene determinata sottoponendo il provino (si tratta di un
blocchetto cubico; come riporta la figura 29) ad una progressiva opera di schiacciamento fino alla
rottura.
Figura 29
In genere, la resistenza di compressione si presenta, nei ceramici avanzati così come in quelli
tradizionali, molto più elevata rispetto a quella di trazione. Di solito, c’è un ordine di grandezza di
differenza nei due casi, come evidenziato dal prossimo prospetto.
Modulo elastico di Young: Per i neoceramici (ma ciò vale, in gran parte, anche per quelli
tradizionali) l’andamento della curva sforzo-deformazione che si ottiene è rappresentato da una retta
che può avere una pendenza più o meno marcata a seconda del grado di massima elasticità sotto
carico che può subire un materiale del genere (vedi la figura 30, nel confronto tra il comportamento
di un provino in silice vetrosa ed in allumina).
Figura 30
Nel caso dell’allumina (e lo stesso si potrà dire, comunque, per altri neoceramici come carburo di
silicio o nitruro di silicio), appare evidente sottolineare che, rispetto alla silice vetrosa, essendo
molto più alta la tensione massima sopportabile (in media, circa 4,5 volte), è sicuramente aumentata
la tenacità globale anche se, data la natura intrinsecamente fragile dei ceramici, anche quelli
avanzati giungono, dopo aver percorso un campo lineare di deformazioni elastiche, pressoché a
rottura immediata.
Materiale
Zirconia
Nitruro di silicio
Carburo di silicio
Allumina
Silice vetrosa
Mullite
Ossido di magnesio
Modulo di Young (GPa)
200
300
430
390
73
145
225
Dando un rapido sguardo ai valori della tabella precedente, si può concludere che i composti in
carburo di silicio ed allumina presentano, di certo, le curve con le massime pendenze.
3.3 Proprietà elettriche e magnetiche
I campi elettromagnetici interagiscono con le cariche presenti in qualsiasi materiale con
conseguenze che possono variare sensibilmente a seconda della libertà che le cariche hanno di
muoversi (mobilità) e di seguire il campo magnetico nelle sue variazioni. I ceramici sono utilizzati
come isolanti e hanno trovato una vasta applicazione nell’elettrotecnica. Con lo sviluppo e
l’impiego di alte frequenze è stato necessario ricorrere ai ceramici privi dei cationi, facilmente
polarizzabili, come i metalli alcalini presenti nelle porcellane, che ne limitano il campo di
applicazione. Se la struttura e il tipo di legame consentono alle cariche di muoversi, allora, vi può
essere una corrente lungo il gradiente del potenziale elettrico anche nei ceramici. In assenza di
mobilità si possono verificare delle polarizzazioni, cioè delle separazioni di carica anche molto
consistenti. Tali possibilità sono ampiamente sfruttate nell’ambito dell’elettronica e
dell’elettrotecnica contemporanee.
Nei ceramici i portatori di carica possono essere gli elettroni (e-), le lacune (p+), i cationi (M+) e gli
anioni (A-). Spesso più di una specie contribuisce al trasporto di carica, e un tipo o l’altro di
conduzione (ionica, elettronica, per lacune) può prevalere in ragione delle condizioni di
temperatura, pressione e atmosfera in cui opera il materiale. La variabilità della risposta elettrica in
funzione delle condizioni esterne è il principio di base dell’elettronica moderna applicata ai sensori
ed agli attuatori.
3.4 Compositi a matrice ceramica
Lo sviluppo nel settore dei materiali compositi ha interessato anche i ceramici avanzati al fine di
attenuare il loro difetto principale, rappresentato dalla fragilità. Saranno considerati compositi i
sistemi ad almeno due componenti, dei quali uno sia sotto forma di fibre o di particelle, con
rapporto lunghezza/diametro molto elevato (elementi snelli), superiore a 100, per comprendere
anche i sistemi rinforzati con fibrille “wiskers”.
3.4.1 Metodi di fabbricazione
Il metodo più utilizzato consiste nell’immettere un feltro o un tessuto di fibre (figura 31) con il
materiale che costituirà la matrice. Le tecniche saranno diverse a seconda che l’infiltrazione sia di
tipo fisico (sinterizzazione o deposizione della fase vapore) oppure di tipo chimico ( deposizione da
una fase vapore reattiva). Di seguito sono elencati degli esempi:
Matrice vetroceramica: le fibre di Nicalon, SiC, e carbonio, possono essere in forma di
tessuto e impregnate con una sospensione di vetro borosilicato, LiAl silicato. I tessuti sono
raccolti in pacchetti che vengono sinterizzati sotto pressione a caldo. Il risultato è una
matrice vetroceramica continua che avvolge le fibre del tessuto;
Matrice di SiC: ottenuto da decomposizione reattiva di CH3SiCl3 che reagisce con H2 per
dare SiC e HCl. Matrici realizzate con metodo analogo sono: B4C, TiC, BN, Si3N4, Al2O3 e
ZrO2.
Figura 31
3.4.2 Meccanismi di rinforzo
Il comportamento del composito a matrice ceramico sarà differente a seconda della natura del
legame tra la matrice e la fase di rinforzo. Si possono considerare principalmente due casi:
1. Se il legame tra le due fasi è forte e rigido, allora, il composito manifesta un comportamento
caratterizzato dalla fragilità;
2. Se il legame fibra-matrice è debole allora la curva sforzo-deformazione dimostra un
andamento complessivamente tenace.
Nel primo caso caratterizzato da una fragilità dominante, la lesione inizia sempre nella matrice e
giunge alla fibra che può o sostenere il carico oppure rompersi. La rottura della fibra può essere
duttile oppure fragile e avvenire in prossimità oppure lontano dal punto di impatto dell’apice della
cricca. Il percorso della cricca talvolta presenta un andamento a linea spezzata, non ortogonale alle
fibre, e può dare luogo a fenomeni di delaminazione che si manifestano nell’andamento a campana
come nel secondo caso.
Nel caso in cui il legame fibra-matrice sia debole, la lesione incontra la fibra e devia lungo la sua
superficie determinando uno scollamento fibra-matrice. A rottura avvenuta, segue uno sfilamento
della fibra dalla sua sede (pull-out). La rottura può essere anche molto ritardata. Il fenomeno si
manifesta con una sensibile variazione delle dimensioni del materiale sotto sforzo che simula la
curva sforzo-deformazione di un materiale di tipo plastico.
Proprietà meccaniche di compositi a matrice e fibre ceramiche.
Materiale
Carbon/Carbon
Al2O3/SiO2
Carbon/Carbon
SiC/SiC
Processo
(1)-3D
(1)
(2)-2D
(2)-2D
E(GPa)
48
28
42
240
T(GPa)
1,3
2,3
4,0
22,0
Legenda:
E=modulo di Young; T=modulo di taglio; Klc=tenacità a frattura, impatto.
(1) Impregnazione in fase liquida e pirolisi
(2) Impregnazione Chemical Vapor Deposition
2D= tessuto in 2D (3 dimensioni)
3D= tessuto in 3D (3 dimensioni)
Klc(MPa*m1/2)
10,4
6,3
6,9
20,0
4. Applicazioni pratiche dei neoceramici
4.1 Applicazioni per problemi di natura meccanica e termica
Di seguito riportiamo le applicazioni generiche dei materiali ceramici avanzati, va tuttavia
sottolineato che, essendo il settore tecnologia in continua evoluzione, molti altri impieghi sono allo
stadio di ricerca e sviluppo.
Guarnizioni a tenuta di fluido e di gas: questi componenti meccanici entrano a far parte di
motori, macchine e impianti ove sia necessario tenere separati fluidi a pressioni differenti
oppure interrompere o regolare il loro flusso. I ceramici possiedono doti di elevata durezza,
alto coefficiente di attrito e resistenza alla corrosione che hanno imposto l’utilizzo di tali
materiali in sostituzione dei sistemi basati su metalli e inserti in gomma, nylon o altre
materie plastiche. Un esempio è costituito dalla rubinetteria moderna, la quale è interamente
costituita con valvole a segmenti striscianti. I ceramici sono impiegati nella costruzione dei
sistemi a tenuta purchè la loro superficie sia portata a una rugosità sub-micronica e a una
planarità otticamente speculare esprimibile con alcune unità di “frange di interferenza”.
Materiali resistenti agli sbalzi di temperatura: L’attuale attenzione rivolta al risparmio
energetico ha imposto una maggiore utilizzazione degli scambiatori di calore per recuperare
l’energia dissipata con i fluidi e i gas di scarico. In molti casi nelle acciaierie, nelle vetrerie,
negli inceneritori di rifiuti solidi urbani, nelle centrali a carbone, i fumi di scarico hanno
caratteristiche di elevata aggressività per gli scambiatori costruiti in sole leghe metalliche. Il
materiale che è stato utilizzato con maggiore frequenza nella costruzione di scambiatori è il
SiC (in misura meno frequente il Si3N4) che presenta un’eccellente conducibilità termica
accompagnata da una buona resistenza alla corrosione, anche a temperatura elevata, e una
accettabile resistenza agli sbalzi termici. Gli scambiatori di calore rotanti, utilizzati per
l’alimentazione dell’aria preriscaldata nelle turbine, passano molte volte al secondo dalla
temperatura prossima ai 1000°C a quella ambiente. Essi sono costruiti in materiale LiAlsilicato(SiO2) (LAS) (oppure il MgAl(SiO2)6) perché caratterizzato da un coefficiente di
dilatazione termica prossima allo zero. In virtù di quest’ultima proprietà i vetroceramici
sono stati studiati per la realizzazione di ogive di missili, resistenti alla temperatura e
trasparenti ai segnali radar utilizzati per il puntamento e la navigazione. Tuttavia anche
materiali simili a base di magnesio (MAS), di cordierite, di carburo di silicio(SiC) e nitruro
di silicio (Si3N4) presentano coefficienti di dilatazione abbastanza bassi e conducibilità
termica per sopportare cicli termici molto impegnativi.
Protezioni balistiche:In questo settore possono trovare impiego i materiali dotati dalla più
elevata possibile durezza (Al2O3 e B4C) per essere inseriti in un sistema ibrido, quale un
metallo o un polimero, in modo da offrire una resistenza differenziata all’urto di un
proiettile dotato di elevata energia cinetica e alle schegge che ne possono derivare
nell’impatto. La parete ceramica viene impiegata per opporsi alla durezza del proiettile
perforante, costituito solitamente da un nucleo di carburo di tungsteno (WC-Widia), mentre
le parti polimeriche e metalliche servono per assorbire l’energia dell’urto e frenare le
schegge. Il B4C è il materiale utilizzato per la protezione individuale del pilota di elicottero,
nella costruzione del sedile e delle zone circostanti per le sua bassa densità (2,4 g/cm3) e
l’elevata durezza (35 GPa). L’allumina che, invece, risulta essere più densa e meno dura ha
trovato applicazione nella realizzazione di corazze ibride (metallo-ceramico-polimerometallo) per mezzi blindati e corazzati.
Protezioni termiche: Si hanno importantissime applicazioni nel settore degli scudi termici,
intesi come protezioni delle superfici interne di capsule o navette esposte al tremendo
impatto termico dovuto all’attrito con l’atmosfera durante il rientro dei veicoli dalle missioni
spaziali. Negli anni 1960-1970, la protezione era basata sul principio del “materiale
ablativo” che veniva asportato durante il rientro allo stato semifuso dalla superficie esposta
all’attrito. Lo spessore era calcolato in modo tale che nella fase finale del rientro vi fosse
ancora una certa quantità di protezione che, per il resto, aveva assolto il proprio compito
assorbendo il calore con la fusione e l’ablazione del materiale. Viceversa negli anni 19801990, nel caso dei veicoli per missione multiple, “shuttle”, le superfici esposte dovevano
essere riutilizzabili senza sostituzioni o riparazioni eccessive. Ciò si è ottenuto con la
realizzazione di materiali compositi, dotati di struttura fibrosa, la cui conducibilità termica
complessiva riesce a mantenere una differenza di 1400 °C della faccia esposta all’attrito e i
soli 170°C di quella a contatto con la struttura metallica della carlinga. Il sistema è costituito
di compositi carbonio-carbonio e di fibre di vetro di silice, modificata con B2O3 e trattata
superficialmente con BSi per migliorare la resistenza all’abrasione. La protezione in forma
di piastrelle è incollata alla superficie metallica mediante un elastomero. La protezione
termica viene anche realizzata per le parti metalliche a contatto con il flusso dei gas, per
esempio, come accade per le palette di una turbina. In questo caso, è necessario ancorare
stabilmente alla superficie metallica uno strato ceramico che abbia una limitata conducibilità
termica, bassa remissività ed un’elevata resistenza all’abrasione in presenza di sbalzi termici
anche molto elevati. Per queste applicazioni sono utilizzate leghe ceramiche a base di
zirconia stabilizzata perché, oltre alla refrattarietà, esse presentano coefficienti di dilatazione
lineare compatibili con le leghe metalliche sulle quali sono deposte. La tecnica di
deposizione è quella definita come “plasma spray”. Per migliorare l’aderenza dello strato
ceramico con il metallo viene impiegato uno strato tampone, costituito da una lega CoCr
AlY che è in grado di realizzare legami chimici per diffusione nel ceramico e nella base
metallica. In questo modo si realizza una sorta di materiale composito: ceramico all’esterno,
metallo ceramico intermedio e metallico all’interno della paletta. La copertura ceramica è
talora applicata anche ad altri materiali ceramici ai quali si vogliano assegnare proprietà
superficiali particolari non rinunciando alle loro proprietà di massa. Per esempio , il SiC può
essere coperto di ZrSiO4 oppure di mullite quando si voglia modificare la sua remissività
superficiale senza rinunciare alle sue proprietà meccaniche di massa.
Materiali per la comminuzione e antiabrasione: I sistemi utilizzati nella comminuzione
comportano l’utilizzo di “molitori” confezionati in forma di macina o di sferoide che, per
compressione, urto e abrasione, possano frantumare il materiale e ridurlo in polvere di
granulometria voluta. I molitori devono essere dotati di durezza e peso specifico elevati,
superiori al materiale sul quale operano. Un grande progresso nella macinazione controllata,
dal punto di vista della purezza della polvere, è stato ottenuto mediante l’adozione di
materiali sinterizzati. Molitori di porcellana ad alto tenore di allumina vengono usati per
macinare argille, silice e feldspato nella produzione della ceramica “bianca” per stoviglie e
sanitari. Nel processo produttivo di articoli di allumina sono impiegate sfere di allumina a
diverso grado di sinterizzazione, analogamente per la produzione di articoli di zirconia, di
carburo e nitruro di silicio. Così come la durezza e la densità sono utili per ottenere
un’efficace comminuzione, allo stesso modo tali proprietà sono sfruttate per la realizzazione
di barriere protettive anti-usura delle strutture metalliche di contenimento e di trasporto dei
materiali e delle loro sospensioni fluide. Le superfici interne dei molini e dei contenitori, gli
agitatori ed i tubi per il trasporto delle sospensioni di polveri ceramiche (barbottine) sono
realizzati con uno strato antiusura che può essere o di tipo continuo o costituito da tasselli di
varia forma e spessore. In questa sezione possono ritenersi appartenenti anche gli elementi
portanti dei cuscinetti, per i quali risulta indispensabili durezza, stabilità dimensionale e
resistenza all’abrasione nelle condizioni operative imposte, oltre ad una tenacità
proporzionale al fatto che il pezzo è sollecitato a fatica con frequenze spesso molto elevate,
come nei cuscinetti a rotolamento. Per i cuscinetti ove la lubrificazione non può essere
assicurata sono stati impiegati materiali ceramici, ma con scarso successo, fin quando non è
stato realizzato il Si3N4 sinterizzato sotto pressione (HIP) con il quale sono stati costruiti
cuscinetto integrali che hanno superato di 10 volte la vita di prestazione degli acciai
migliori. Il limite della vita del cuscinetto non era stato determinato dalla frattura del pezzo
bensì dalla perdita superficiale di schegge del materiale (fenomeno noto come spalling) a
dimostrazione che la tenacità di massa era più che sufficiente. Viceversa non è del tutto
controllabile il difetto micro-strutturale (grano di dimensioni abnormi, bordo dei grani
fragile o reattivo) che determina il distacco di parte del materiale sinterizzato dallo strato
superficiale. La continuità e la distribuzione microstrutturale, assieme al controllo
dell’interfase al bordo dei grani, sono e rimangono gli aspetti più importanti e difficili da
superare in via tecnologica per la produzione in serie di componenti meccanici affidabili.
Materiali abrasivi e utensili da taglio: La caratteristica principale richiesta agli abrasivi è la
durezza che deve essere superiore a qualsiasi materiale lavorato, ma in secondo luogo è
anche richiesto un certo grado di porosità, da un lato, contenuto per evitare un’eccessiva
deformabilità del pezzo durante il suo uso, ma, dall’altro, sufficiente a garantire la presenza
di canali per il flusso d’aria o del lubrificante, aventi lo scopo di limitare le massime
temperature di taglio. Utensili da taglio e mole da abrasione sono realizzati con materiali
ceramici sinterizzati a base di Al2O3, SiC, Si3N4. Tuttavia la durezza non è il solo parametro
di merito per una mola o un disco d’abrasione, infatti occorre che la sfaldatura dell’abrasivo
sia controllata dalla matrice legante per assicurare non solo il rinnovamento degli spigoli
taglienti ma anche la permanenza dell’abrasivo sulla mola. Per quanto attiene agli inserti da
taglio per la lavorazione dei metalli è noto il problema di realizzare un pezzo di forma e
dimensione che devono rimanere costanti nel tempo per assicurare la giusta tolleranza nel
pezzo lavorato. I primi utensili da taglio al tornio, fresa etc, erano di acciaio relativamente
duro (acciaio da utensili ad elevato tenore di carbonio) e furono impiegati sin dai primi anni
del 1800 con prestazioni progressivamente migliori ma pur sempre limitate. Infatti tali
utensili potevano essere utilizzati soltanto a basse velocità e limitata profondità di
asportazione truciolo, perché il surriscaldamento ne determinava la perdita della durezza e
ne causava la deformazione. Successivamente, nel 1930, con l’introduzione del primo
materiale ceramico (WC, legato al Co, Widia) la capacità operativa degli utensili fu più che
triplicata. I materiali ceramici contemporanei (Al2O3, SiC, Si3N4, TiC., TiN, ZrO2) e i loro
compositi hanno portato le velocità di taglio a valori fino a dieci volte superiori, poiché tali
materiali, oltre ad essere molto duri, non subiscono la deformazione plastica che aveva
limitato le prestazioni degli acciai per utensili. Naturalmente i ceramici soffrono per la nota
questione della fragilità ed è per questo motivo che sono stati introdotti i “compositi” ossia
miscele di ceramici diversi (ad esempio, Al2O3+SiC, Al2O3+ ZrO2) che risultano più tenaci e
spesso con una conducibilità termica più elevata per migliorare le prestazioni nel caso del
taglio discontinuo dove lo shock termico è molto forte. La capacità di taglio dell’utensile è
tutta affidata a una limitata porzione della sua massa, cioè al suo tagliente le cui
caratteristiche non devono necessariamente essere estese a tutto il resto. Per tale motivo
sono in fase di ricerca e di sviluppo utensili multistrato realizzati con tecniche più avanzate,
come la deposizione in fase di vapore in strati successivi dei vari componenti sulla massa
sinterizzata originale. Ad esempio, un composito multistrato costituito da Al2O3, TiC, TiN,
depositati in sequenza sul Widia con uno spessore di soli 10 µm, ha triplicato la durata della
prestazione dell’utensile. Un altro importante abrasivo ceramico è il nitruro di boro cubico,
noto commercialmente come “Borazon” (sviluppato dalla General Electric Co.), il quale si
presenta molto più duro del semplice Widia e, quindi, si avvicina ancora di più, per durezza,
al diamante ed al tempo stesso, rispetto a questo, gode di una maggiore stabilità termica.
4.2 Applicazioni per problemi di natura elettrica ed elettronica
Resistori ad elementi riscaldanti: In tali materiali è valida la nota relazione di Ohm tra
tensione e corrente. La resistenza di tipo ohmico, che è il reciproco della conducibilità,
raggiunge valori molto elevati, dell’ordine di 1012÷1015 Ohm-cm a temperatura ambiente, ed
è una caratteristica del materiale. Tale valore è funzione della temperatura e precisamente
decresce all’aumentare di quest’ultima;da cui si deduce che determinati materiali possono
anche condurre elettricità in maniera sensibile. Se la magnesia (MgO) è il miglior isolante
anche ad alta temperatura, altri materiali come il Kanthal (MoSi2), il carburo di silicio (SiC),
la grafite (C) e la zirconia (ZrO2) sono conduttori tanto da essere utilizzabili come elementi
riscaldanti non metallici nei moderni forni elettrici.
Termistori: La resistenza elettrica può essere funzione della temperatura con coefficienti di
correlazione che variano dal 2÷4%/K, di segno negativo (la resistenza diminuisce al crescere
della temperatura) oppure di segno positivo (effetto contrario al precedente), per cui essi
possono essere utilizzati nei circuiti elettrici sia come sensori di temperatura, con efficacia
fino a dieci volte superiore ai metalli oppure come limitatori di corrente. I materiali che
presentano tali caratteristiche sono gli spinelli come la magnetite (Fe3O4) o composti a base
MnO drogati con Li2O che induce la presenza di ioni Mn a valenza variabile.
Varistori: Alcuni ceramici sono caratterizzati da un andamento non lineare tra la tensione
applicata e la corrente risultante. Inoltre, la risposta dell’intensità della corrente rispetto alla
polarità della tensione applicata può essere simmetrica oppure asimmetrica: per tali
proprietà esiste la possibilità di realizzare elementi che possono rettificare la corrente
alternata. Ceramici a base di SiC e Cu2O sono usati come raddrizzatori variabili anche nella
protezione dei circuiti elettrici esposti alle correnti di apertura-chiusura o alle scariche
elettriche atmosferiche.
Capacitori-condensatori: La proprietà indispensabile per realizzare dei condensatori è la
costante dielettrica (k). Va ricordato che la costante dielettrica è differente nelle diverse
direzioni cristallografiche se il materiale non è isotropo (discorso valido per l’allumina).
Valori di k possono variare da 5 (porcellana) a circa 10 (allumina) per giungere a 100 per
l’ossido di titanio e superare il valore di 2000 per titanato di bario drogato con piccole
percentuali di zirconato di calcio e pentossido di niobio e raggiungere anche il punto dei
6500 se, oltre allo zirconato di calcio, si aggiungono piccole dosi di titanato di calcio e
zirconato di bario. Questi materiali hanno contribuito decisamente alla miniaturizzazione dei
componenti elettronici e, di conseguenza, delle dimensioni delle schede di circuito.
Piezoelettrici: Questo fenomeno si riscontra nei materiali che non possiedono un centro di
simmetria nella loro struttura, per cui uno sforzo meccanico può determinare uno
spostamento non simmetrico degli ioni che produce una distribuzione non simmetrica della
carica nel volume del materiale. Di conseguenza si manifesta una separazione di carica.
Quando il materiale è invece sottoposto ad un campo elettrico d’intensità adeguata, gli ioni
vengono spostati in modo asimmetrico con una deformazione meccanica diverse nelle varie
direzioni. Ne risulta che il materiale piezoelettrico può tradurre una deformazione meccanica
in una separazione di carica e viceversa. Oscillatori piezoelettrici sono realizzabili con
materiali ceramici a base di titanato di bario e zirconato di piombo. Storicamente il quarzo,
SiO2, è stato il materiale piezoelettrico più importante.
Ferroelettrici: Sono materiali piezoelettrici in grado di allineare le varie zone della loro
microstruttura (dominii) e di dare luogo ad un’amplificazione della polarizzazione perché
ogni cella è orientata come quella vicina e non vi sono opposizioni di polarità all’interno del
materiale. Tipicamente un “ferroelettrico” presenta una risposta del tipo a isteresi nel
diagramma tensione-polarizzabilità che è concettualmente simile al fenomeno del
ferromagnetismo dei metalli.
Magnetici: Alcuni ossidi ceramici presentano un momento magnetico individuale (dovuto al
tipo di ioni che li costituiscono) che non è del tutto compensato internamente: ne risulta in
momento magnetico macroscopico netto subordinato alla temperatura di Curie, come nei
metalli. Ci sono dei materiali ceramici che presentano caratteristiche per cui si possono
realizzare magneti reversibili e permanenti, con cicli di isteresi molto utili per le
applicazioni elettriche ed elettroniche. Modificando la composizione e la struttura cristallina
si possono realizzare materiali con caratteristiche specifiche come le ferriti esagonali, dette
anche ferriti dure, con le quali si realizzano magneti permanenti a base di Ba (Sr, Pb)(Fe2O3)
e Ni(Zn)O(Fe2O3), sono utilmente impiegate nella costruzione di trasformatori e induttori.
Alcuni materiali ceramici presentano cicli di isteresi “quadrati”, il che li rendono interessanti
nella costruzione di componenti per la deviazione e interruzione (switching devices) e nella
realizzazione di memorie magnetiche.
Substrato per circuiti elettrici: Diverse varietà di materiali ceramici vengono utilizzate
come substrati o placche di montaggio per circuiti e componenti elettrici. Anche se la
selezione del materiale dipende dalle specifiche prestazioni richieste, in genere sono valutate
soprattutto la resistenza e la costante dielettrica insieme alla conducibilità termica. La
porcellana e la steatite sono stati i materiali ceramici classici che si sono fatti apprezzare
anche in questo campo, mentre attualmente l’allumina sinterizzata ha assunto il ruolo
principale nella costruzione di substrati nei quali è richiesta soprattutto la stabilità
dimensionale. Spesso, con i substrati di allumina, nei punti in cui è indispensabile una
elevata dissipazione di calore, trovano impiego l’ossido di berillio (BeO) e il nitruro di
alluminio (AlN). Nel primo caso, data l’elevata tossicità del materiale, la sua utilizzazione
può avvenire soltanto con l’impiego di componenti ermetici e sigillati.
5. Alcuni esempi applicativi dei neoceramici più diffusi
5.1 Allumina(Al2O3)
L’allumina o, come si direbbe nella vecchia nomenclatura, il triossido di dialluminio (Al2O3)
rappresenta uno dei ceramici avanzati molto apprezzato sin dai primi dell’Ottocento e costituisce da
sempre una materia prima fondamentale nell’industria ceramica.
L’allumina, rispetto agli altri ceramici, offre una buona combinazione di proprietà meccaniche ed
elettriche che s’adattano ad una vasta gamma di applicazioni. Può essere prodotta con differenti
gradi di purezza e con l’aggiunta di vari additivi destinati a svilupparne o rafforzarne specifiche
proprietà. Viene realizzata usando un’ampia varietà di metodi di lavorazione ed, oltre a tutto ciò,
può legarsi ai metalli senza adoperare tecniche di metallizzazione e brasatura.
5.1.1 Cenni storici
Le prime estrazioni a carattere commerciale di allumina risalgono alla metà del XIX secolo (circa
1850-1855) ma è sul finire del secolo (1888) che con il metodo “Bayer” si concretizzano le vere
prime notevoli opportunità di guadagno nella lavorazione e nel commercio dell’alluminio metallico.
Infatti, proprio in quegli anni, Karl Bayer, padre della grande omonima azienda chimica tedesca,
realizza un processo di estrazione che riduce incredibilmente i costi di produzione dell’alluminio.
Partendo dalla bauxite che inizialmente contiene minerali come caolinite, essa deve essere
processata per poter consentire l’estrazione di allumina pura. Tramite il processo “Bayer” si
precipita l’ossido di alluminio e si ottiene la forma di allumina, termodinamicamente più stabile,
che è detta α−allumina.
Dal metodo “Bayer” si ricavano idrossidi di alluminio come boehmite e diasporo ottenuti per
disidratazione di Al(OH)3. L’idrossido di allumina viene poi trasformato in allumina grazie ad un
processo di calcinazione.
5.1.2 Tipologie di allumina in commercio
Tra le forme commerciali di allumina ne esistono attualmente sette che risultano essere le più
ricercate per le loro svariate caratteristiche che ben si prestano ai più differenti campi applicativi.
Tali forme sono, per l’esattezza:
1. Smelter grade alumina - è il nome dato all’allumina che si usa per la produzione
dell’alluminio metallico. Il trattamento termico fino ai 600°C permette l’evacuazione
dell’acqua libera e di quella chimicamente legata. Un ulteriore aumento di
temperatura permette di ottenere un’allumina attivata con un decremento dell’area
superficiale man mano che ci si avvicina ai 1000°C.
2. Calcined alumina - è l’idrossido di alluminio trattato ad una temperatura superiore ai
1100°C, utilizzato in una vasta gamma di applicazioni nel campo dei refrattari. Si
distinguono diverse tipologie di allumina calcinata in funzione del contenuto di soda
(ordinario, medio o basso).
3. Low soda alumina - in molte applicazioni elettroniche è richiesto un basso contenuto
di soda. Un’allumina di questo tipo contiene, in genere, una percentuale di soda
4.
5.
6.
7.
inferiore allo 0.1% in peso, può essere prodotta utilizzando il lavaggio in acido o
addizionando cloro.
Reactive alumina - è il nome tipicamente usato per un’allumina relativamente pura
con una dimensione del grano inferiore ad 1µm. Utilizzata dove è richiesta una buona
resistenza all’usura, alle alte temperature ed una buona finitura superficiale.
Tabular alumina - è l’α-allumina ricristallizzata o sinterizzata, così chiamata perché
costituita da grandi cristalli piani di corindone (50-500µm). E’ prodotta inserendo e
pressando l’α-allumina nelle forme che vengono successivamente portate appena al di
sotto del proprio punto di fusione (1750-1800°C) in forni ad albero.
Fused alumina – è prodotta nei forni ad arco elettrico. Il calore generato dal
passaggio dell’elettricità fonde l’allumina. L’allumina fusa ha alta densità, bassa
porosità e bassa permeabilità e, grazie a queste caratteristiche, è impiegata per la
produzione di abrasivi e refrattari.
High purity alumina - ha una purezza del 99,9%, prodotta utilizzando lavaggi
successivi partendo dagli idrossidi ottenuti nel processo Bayer con l’aggiunte di cloro
per modificare il grado di purezza. Può, altresì, essere prodotta con la purificazione
dell’alcossido di alluminio tramite distillazione e la successiva idrolisi e calcinazione.
E’ tipicamente utilizzata per laser e zaffiri per le finestre del laser.
L’allumina utilizzata nella stragrande maggioranza delle applicazioni più comuni, di cui si dirà più
avanti, è classificata come allumina pura e contiene il 99.5-99.6% di Al2O3, lo 0.06-0.12% di SiO2
(e, nelle medesime percentuali, a seconda del tipo di applicazione, anche, di MgO), lo 0.03-0.06%
di Fe2O3 ed, in genere, anche uno 0.04-0.20% di Na2O.
Il composto che così si realizza presenta di solito valori di densità volumetrica che oscillano tra un
minimo di 3650 ed un massimo di 3900 kg/m3.
Le caratteristiche fondamentali del composto ceramico in allumina sono essenzialmente:
buona stabilità termica;
scarsa tendenza all’ossidazione;
durezza eccellente (in tal senso, si parla spesso di un materiale prossimo al diamante; infatti
l’allumina presenta una durezza Vickers di 1600 MPa rispetto a quella di un acciaio rapido
che è di soli 900 MPa);
resistenza all’usura eccellente (la durata di un componente ceramico nelle applicazioni in
condizioni di usura è superiore, in media, a quella dello stesso componente, fatto in acciaio
di 10-14 volte);
resistenza alla corrosione in ambienti acidi o alcalini;
buon isolante elettrico (proprietà dielettriche eccellenti dai casi di trasmissione di corrente
continua a quelli che impegnano frequenze dell’ordine dei GHz);
buon isolante termico;
elevata area specifica (nella forma microporosa o nanoporosa, si riescono a raggiunge aree
di circa 300 m2/g);
eccellente biocompatibilità.
Invece, le caratteristiche che fanno dell’allumina un materiale poco adatto ad altre applicazioni sono
principalmente:
resistenza meccanica non elevata;
bassa resistenza agli shock termici.
5.1.3 Effetto della composizione sulle caratteristiche dell’allumina
L’allumina, utilizzata nelle applicazioni descritte, è un allumina ad elevato grado di purezza. Con
questa espressione si deve intendere una percentuale di allumina che va dal 97 al 99,7%. Adesso,
consideriamo l’effetto di due differenti composizioni sulla microstruttura e sulle proprietà del
materiale.
• CASO di 97% Al2O3 + 3% silicati: si osserva una microstruttura con pochi bordi di grano
taglienti intrappolati in una fase vetrosa a base di silicati. La fase vetrosa, nel caso di attacco
corrosivo o di esposizione prolungata a condizioni di usura, genera la totale perdita della superficie
meccanica a causa della minore durezza e stabilità chimica dell’elemento siliceo che viene eroso e
perde l’aderenza con i grani di allumina. Rispetto alle applicazioni elettroniche, la fase vetrosa
interconnessa crea un incremento della resistività volumetrica.
• CASO di 99,7% Al2O3 + 0,25% MgO: si può osservare, in questo caso, una sola fase costituita
da grani equiassici che si sono sinterizzati insieme (vedi figura 32). La superficie dei grani mostra
spigoli arrotondati dovuti all’effetto delle tensioni superficiali che si creano durante la fase di
sinterizzazione. L’assenza del legante crea un incremento di resistenza all’usura e alla corrosione
così come un miglioramento della resistenza meccanica e delle proprietà elettriche.
Figura 32
5.1.4 Campi applicativi dell’allumina
La ceramica avanzata è ampiamente utilizzata oramai per applicazioni aerospaziali, parti resistenti
all’usura, bioceramici, utensili per il taglio, l’ottica avanzata, i reattori nucleari e per altre ancora.
Di tutte le applicazioni dei materiali ceramici prima menzionate, nella tabella seguente se ne
analizzano solo alcune, in particolare quelle che utilizzano come elemento fondamentale l’allumina.
Si può pensare di suddividere in tre grossi campi applicativi la grande varietà d’uso dell’allumina,
ovvero:
1. campo di applicazioni elettriche ed elettroniche;
2. campo di applicazioni meccaniche;
3. campo di applicazioni mediche.
1. Applicazioni elettriche ed elettroniche
L’allumina per le sue ottime capacità di isolante elettrico (bassa perdita dielettrica ed alta resistività)
viene molto adottato nella produzione di dispositivi per linee ad alta tensione (vedi figura 33).
Figura 33
Inoltre, proprio per le sue doti di bassa perdita dielettrica e per la sua struttura cristallina a superficie
liscia, l’allumina è molto richiesta in quelle applicazioni attraverso le quali si rende necessario
trasferire una grande quantità di energia tramite una finestra ceramica come accade, ad esempio, per
la cupola dei radar delle torri di controllo in uso negli aeroporti.
Esistono diverse applicazioni nel campo elettronico che richiedono l’ausilio di processi di saldatura
che permettano di ottenere un legame efficiente tra il metallo e la ceramica. Il cordoncino di
saldatura deve resistere alle temperature di servizio del componente elettronico, considerando i
diversi coefficienti di espansione termica dei due materiali saldati e gli stress che ne derivano.
Analizziamo ora i vari processi di saldatura più diffusi:
The molibdenum-manganese process: durante questo processo uno strato di sospensione
finemente dispersa di molibdeno e manganese viene depositata su una superficie di
allumina. Con un successivo trattamento termico a temperatura di circa 1500°C in atmosfera
idrogeno-azoto, il managanese si ossida formando così il cordoncino di alluminio e
manganese. Il cordoncino reagisce successivamente con la fase silicea indispensabile in
questo caso poiché offre la necessaria resistenza meccanica all’interfaccia tra l’allumina e lo
strato metallico. La superficie del cordoncino è successivamente ricoperta di nickel che ne
migliora la “bagnabilità”, cioè la compatibilità chimica dei composti costituenti la saldatura.
Il processo descritto permette temperature di saldatura di circa 1000°C. Il partner metallico è
di fondamentale importanza per ciò che riguarda il diverso coefficiente di espansione
termica. A questo proposito leghe ferro-nickel o ferro-nickel-cobalto si sono dimostrate
soddisfacenti, anche se si ottiene una migliore corrispondenza alle caratteristiche richieste
all’interfaccia tramite una lega di niobio con l’1% di zirconia.
The active-metal process: in questo caso, si utilizzano leghe a base di titanio e zirconia
poste tra i componenti di metallo e ceramica. La procedura richiede il vuoto (circa 10-7bar).
In queste condizioni, il titanio e la zirconia si ossidano e reagiscono con l’allumina ma il
prodotto della reazione è estremamente fragile ed inoltre le condizioni di vuoto non si
possono garantire per lungo periodo. Il processo, a causa di questi molteplici inconvenienti,
non ha avuto molto successo.
Metal-to-ceramic in the nuclear technology: in questo caso, sono richieste temperature di
esercizio elevate che non possono essere raggiunte con i processi prima visti. Per i
convertitori termoionici, ad esempio, è richiesta una temperatura di esercizio di circa
1000°C, un’elevata resistenza alla corrosione (in particolare ai vapori di cesio). Una
sospensione di polveri di tungsteno con piccole quantità di ossido di ittrio sono applicate
sulla superficie dell’allumina con un trattamento a temperatura di 1900°C in atmosfera
idrogeno-azoto. I layers ottenuti dal processo possono essere saldati a 1500°C con leghe a
base di palladio e vanadio usando come partner una lega metallica di niobio e zirconio.
Altra grande applicazione dell’allumina (95% di Al2O3 con lo 0.3% di drogaggio con ossido di
magnesio) che riguarda l’industria automobilistica è quella che vede l’allumina massicciamente
impiegata per la creazione del corpo isolante delle candele di accensione dei motori (come già
evidenziato nel paragrafo 2.2.1).
Tra l’altro, gli “spark-plug insulators” rappresentano una delle prime fondamentali applicazioni
dell’allumina nel campo dell’elettronica.
Solo per impieghi ad elevata potenza, come avviene per auto da corsa o per propulsori di indirizzo
aeronautico, è richiesto l’utilizzo di ceramici a più alto contenuto di allumina pura.
Oltre a tutto ciò, l’allumina è usata anche per boccole, morsettiere, componenti per le candele della
torcia di caldaie, isolanti per gli elettrodi d’accensione, sonde di ionizzazione, apparecchi alimentati
a gas ed altri terminali. Anche per componenti di varie forme utilizzati all’interno dei tubi
elettronici operanti in condizioni di vuoto.
Tanto per fare un esempio, il trend di produzione dei tubi CRT per televisori o radio ha visto un
progressivo aumento di potenza, di temperatura e di frequenza che ha portato, quindi, alla
sostituzione del vetro con l’allumina ad elevato grado di purezza, la quale tollera un ulteriore
aumento della temperatura e, quindi, della potenza pur mantenendo costanti le dimensioni dei
componenti. L’incremento della temperatura non è l’unico vantaggio derivante dall’applicazione
dell’allumina. Infatti, si è riscontrata una migliore capacità di mantenere le condizioni di vuoto fino
a temperature superiori a 1200°C, basse perdite dielettriche e conducibilità termica relativamente
elevata.
Inoltre, facilità di produzione, lunga vita utile ed elevata affidabilità sono i fattori determinanti per
l’utilizzo dell’allumina ad elevato grado di purezza nel campo delle applicazioni aerospaziali dove
gli standards richiesti sono decisamente superiori a quelli per qualsiasi altra applicazione.
Per queste applicazioni si richiede, in genere, che l’allumina abbia resistenza elettrica elevata e
superficie non emissiva viste le caratteristiche operative che richiedono condizioni di vuoto (infatti,
eventuali fasi silicee o additivi di altro genere, sottoposti alle radiazioni ionizzanti, potrebbero
causare l’emissione di sostanze gassose con alterazione delle condizioni di vuoto).
L’allumina è pure usata nella costruzione delle camere di vuoto per acceleratori particellari: Il più
classico fra questi è quello costituito da un tubo circolare diviso in singole camere. Ogni camera è
costituita da 15 tubi realizzati in allumina a sezione ellittica di circa 300 mm saldati ad una flangia
di metallo. In questo caso, i requisiti richiesti all’allumina sono, essenzialmente, tre:
garantire l’ermeticità della camera;
consentire l’inattaccabilità della superficie dagli ioni irradiati ad elevata energia;
mantenere inalterate le proprietà dell’acceleratore per un lungo periodo di tempo.
Un’applicazione molto importante dell’allumina, specie se monocristallina, nel campo della
moderna illuminotecnica (vedi figura 34) è data dalle “discharge lamps” (letteralmente, lampade a
scarica) o meglio dalla sua grande capacità di emettere luce mostrando una completa trasparenza
(cosa che per quella policristallina non accade). Il tutto lo si può spiegare con la presenza dei bordi
di grano e della porosità residua che divide la luce incidente deviandola in più direzioni.
Figura 34
Una maniera per incrementare la traslucenza di un allumina policristallina consiste nel cercare di
eliminare completamente la porosità residua. L’atmosfera di sinterizzazione gioca un ruolo
importante riguardo alla possibilità di ottenere un materiale meno poroso; infatti, i gas intrappolati
all’interno del materiale durante la sinterizzazione creano pori isolati e difficili da eliminare.
Studi condotti sull’allumina hanno dimostrato che la sua solubilità è limitata in atmosfera inerte e,
quindi, per ottenere un materiale translucente si può condurre una sinterizzazione in una atmosfera
controllata di azoto o idrogeno. Anche se quest’ultima è una condizione sfavorevole per ciò che
riguarda la sproporzionata crescita dei grani dovuta all’eccessiva durata della sinterizzazione.
Per ovviare al problema si è pensato ad un meccanismo che preveda la rimozione della porosità in
uno stadio finale e non durante la sinterizzazione. Il meccanismo consiste nell’effettuare un breve
periodo di sinterizzazione in aria che permetta l’evacuazione dei leganti organici e successivamente
un trattamento sottovuoto che permette l’evacuazione della porosità residua. Il tutto con una durata
inferiore che permette di ottenere una microstruttura più fine rispetto alla sinterizzazione in
idrogeno, come riportato dalla figura 35.
Dato l’elevato coefficiente di trasmissione che supera il 96% della trasmissione totale, l’allumina,
con queste caratteristiche, ha molte applicazioni nel campo degli involucri per lampade, in
particolare per quelle a vapori di sodio.
Mentre gli involucri in vetro a temperature elevate perderebbero la propria caratteristica di
trasparenza, al contrario, l’allumina riesce a resistere fino a 1500°C senza perdere le proprie
caratteristiche.
Un’applicazione tipica di queste lampade si ha nelle illuminazioni di strade, aeroporti e campi
sportivi. Un esempio noto di sistema di illuminazione con “discharge lamps” si trova in Germania
ed è dato dall’aeroporto di Düsseldorf.
Figura 35
2. Applicazioni meccaniche
Nel campo delle applicazioni meccaniche numerosi sono i requisiti richiesti al materiale: fra questi
alcuni sono:
la resistenza all’usura;
la resistenza alle alte temperature operative;
la resistenza alla corrosione;
la stabilità dimensionale
L’allumina pura essendo un materiale ad elevata durezza ha una resistenza all’usura e all’abrasione
considerevole e può agevolmente essere applicata nelle applicazioni in cui si ha lo scorrimento di
due materiali. Considerando l’allumina ed un materiale a durezza inferiore nelle condizioni
operative tipiche di un cuscinetto, si genera un fenomeno chiamato “chemisorbimento” grazie al
quale si ottiene una buona lubrificazione dell’accoppiamento.
Mediante un modello a sfere è raffigurata la struttura dell’allumina (vedi figura 36) ed il
meccanismo con cui avviene il fenomeno. Come già anticipato nel primo capitolo, l’allumina è
caratterizzata da una struttura esagonale di layer di ossigeno impacchettati con ioni alluminio
posizionati nei siti ottaedrici per cui le molecole di vapor d’acqua o di acidi carbossilici vengono
attratte nella struttura modificandone le proprietà superficiali nei confronti dell’usura.
Figura 36
I cuscinetti e le guarnizioni meccaniche sono il tipico esempio di esposizione combinata alla
corrosione ed all’usura. Sono applicazioni di elevato valore tecnologico: spesso, la rottura di un
cuscinetto porta al fermo di un impianto per la sua sostituzione (possiamo fare riferimento ad un
cuscinetto di una tipica turbina a vapore collegata ad un turboalternatore) con i conseguenti rilevanti
danni economici per le mancate erogazioni dei servizi stipulati da contratto con i clienti (per
l’esempio prima citato, di energia elettrica). Così come accade nel caso delle guarnizioni
meccaniche impiegate per pompe ad alta pressione che trattano fluidi aggressivi: la loro rottura può
causare danni rilevanti allo svolgimento corretto di processi industriali.
Le guarnizioni in allumina pura (vedi figura 37) hanno rimpiazzato le precedenti grazie alle proprie
caratteristiche, fondamentali per riuscire a raggiungere alti livelli di competitività sul mercato dei
materiali avanzati impiegati per tali applicazioni.
L’allumina di tali guarnizioni deve garantire:
lunga vita utile del componente;
basse perdite per fughe;
assenza di manutenzione.
Le condizioni della superficie di scorrimento sono fondamentali per l’efficienza meccanica delle
guarnizioni.
La rugosità superficiale non deve superare i 2µm poiché le perdite per fughe sono proporzionali al
quadrato della rugosità. Una superficie che ha questa tipologia di caratteristiche si può ottenere con
un allumina ad elevato grado di purezza.
Per caratterizzare le condizioni superficiali si utilizza un coefficiente di “bearing area” dato dal
rapporto tra la lunghezza della guarnizione e la lunghezza del profilo rugoso in una determinata
sezione. Per ottenere questo rapporto si utilizza un indicatore che permette di ottenere il rapporto tra
l’area riflettente e l’area totale. Migliori prestazioni della guarnizione si ottengono con un “bearing
area” che si trova nel range tra 50% e 80% poiché al diminuire del coefficiente si può notare un
incremento dell’usura, mentre con un alto coefficiente si nota un aumento della temperatura.
In entrambi i casi si ha un aumento delle perdite per fughe con un danno alle superfici delle parti
che vengono a contatto.
Figura 37
Sono di fondamentale importanza anche le proprietà del materiale che deve avere buona resistenza
all’usura ed alla corrosione ed, inoltre, deve resistere agli stress termici e meccanici causati dalla
contemporanea presenza di temperatura e pressione che potrebbero causare deformazione della
guarnizione con conseguenti perdite.
Si può definire un fattore di stabilità dimensionale S = E K/α .
dove E è il modulo di Young , K la conducibilità termica, α il coefficiente di espansione termica.
È necessario, inoltre, controllare i picchi di temperature che si possono generare localmente a causa
degli stress termici e dello scorrimento delle superfici in quanto possono causare cricche che
danneggiano completamente la superficie utile.
Per ciò che riguarda gli stress termici possiamo definire un fattore di stress termico B definito
così:
B = σ (1-ν )K / Eα , dove σ è la resistenza a frattura e ν è il modulo di Poisson.
Una guarnizione meccanica consta di tre parti fondamentali (vedi figura 38):
1) una sede elemento preferibilmente costruito in allumina;
2) una rondella o anello rotante, in genere a base di carbonio, teflon, acciaio o carburi
cementati;
3) un sigillo statico a molla per i due elementi precedenti.
Figura 38
In alcuni casi particolari quando le parti (1) e (2) sono di allumina pura, la lubrificazione deve
essere garantita a causa dell’elevata sensibilità del materiale alle perdite di lubrificante che
esporrebbero l’elemento ad una pressione di contatto di circa 10MN/m2, quella che è generalmente
applicata ai cuscinetti.
Le caratteristiche di un materiale adatto a questa tipologia di applicazioni sono:
elevato modulo di elasticità;
fattore di stress termico elevato;
bassa espansione termica;
elevata conducibilità termica;
elevata resistenza;
modulo di Young di valor medio (poiché interagisce con i due fattori in maniera opposta).
Nella seguente tabella sono riportati le famiglie di materiali che, attualmente, si prestano meglio per
la realizzazione di guarnizioni meccaniche ma ciò vale anche per semplici strati superficiali di
materiale ceramico (come allumina) depositati su superfici-madre metalliche (esempio tipico,
l’irrobustimento ad usura delle sfere di un cuscinetto e delle loro piste come si può ben vedere dalle
figure 39(a-b)) tramite opportuni processi di cementazione od, in genere, di diffusione chimica.
Andando ad analizzare meglio la tabella su riportata, c’è da notare che:
•
•
•
•
i Carbon based materials sono poco rigidi, hanno bassa resistenza all’usura e sono poco
sensibili agli stress termici.
Gli Stainless steel mostrano insufficiente stabilità ed altrettanto insufficiente resistenza alla
corrosione.
I Cemented tungsten carbides soddisfano tutti i requisiti di stabilità dimensionale e
resistenza all’usura tranne quello che riguarda la resistenza alla corrosione.
Gli High alumina ceramics sono un accettabile compromesso rispetto alle proprietà
richieste. Questo tipo di componenti ceramici può operare, infatti, con acqua, fluidi
lubrificanti o corrosivi con qualsiasi tipo di prodotto chimico o farmaceutico. Sono
impiegati nella trasformazione dei prodotti alimentari, nel tessile, nel settore petrolchimico,
nelle latterie, nel trattamento delle acque (vedi la figura 39(b) che riporta lo spaccato di una
pompa centrifuga in cui albero e cuscinetti assiali sono fatti in allumina pura al 99,7%).
Figura 39 (a-b)
Utensili per il taglio di materiale ceramico sono in uso da più di 60 anni ma solo nelle ultime due
decadi essi hanno trovato più larga applicazione nel campo delle lavorazioni del ferro da getto, delle
leghe a base di titanio e nella rifinitura degli acciai speciali. La preoccupazione storica riguardo agli
utensili da taglio in materiale ceramico riguarda la loro bassa resistenza all’impatto e l’impossibilità
di poter prevedere eventuali rotture se non tramite metodi statistici.
Proprio in virtù della bassa resistenza all’impatto non ci si sarebbe mai aspettato che essi potessero
essere utilizzati oggi come attrezzi da taglio molto diffusi ma le modifiche strutturali ed i
miglioramenti delle tecniche produttive hanno portato verso una maggiore affidabilità del materiale
ceramico.
I materiali per utensili richiedono elevata resistenza all’usura, elevata resistenza meccanica ed alla
corrosione alle alte temperature ed in particolare, come già detto, notevole resistenza all’impatto o a
sollecitazioni da urto.
Prima del 1956 le tecniche di processing del materiale ceramico in grande scala non permettevano
la produzione di allumina caratterizzata da elevata purezza, elevata densità e con una microstruttura
a grani fini.
Le caratteristiche di purezza sono fondamentali per l’uso dell’allumina come “cutting tool”; infatti,
il silicato aggiunto con lo scopo di ridurre la crescita dei grani crea un decadimento delle proprietà
ad elevata temperatura ed una riduzione della resistenza all’usura. Ciò non accade nell’allumina di
elevata purezza se in essa sono aggiunte piccole quantità di:
ossido di magnesio che ha lo scopo di inibire la crescita dei grani senza deteriorarne le
proprietà;
carburo di titanio che incrementa la conducibilità termica migliorando la resistenza del
tagliente agli shock termici e la stabilità degli inserti di taglio dell’utensile;
zirconia che punta a ridurre la fragilità.
L’elevata densità così come la ridotta dimensione dei grani (1,5µm) sono di fondamentale
importanza per la resistenza all’impatto.
Nel corso del tempo, lo sviluppo dei materiali ceramici si è diretto verso un incremento delle
velocità di taglio. Con utensili d’acciaio la massima velocità raggiungibile è di circa 10 m/min.
Con l’aggiunta di una fase di carburo pari al 25% del totale si è passati ad una velocità di circa 3050 m/min.Un ulteriore incremento si ha con i riporti di “stellite”, con cui si raggiungono velocità
anche fino agli 80 m/min
I carburi cementati (costituiti da carburo di tungsteno o carburo di titanio o entrambi con una
quantità superiore al 95%) possono raggiungere velocità di taglio di circa 200 m/min
Da un confronto tra le caratteristiche dell’allumina e quelle dei carburi cementati si può vedere,
attraverso il diagramma di figura 40 (in cui si riporta l’andamento della deformazione plastica in
funzione del tempo di carico), che l’allumina ha una minore deformazione plastica nonostante il
carico permanga per più ore
Figura 40
Si nota, inoltre, sempre per l’allumina, una sua generale superiorità nei livelli tollerati di stress da
compressione rispetto agli altri materiali con cui essa è paragonata, come riporta il grafico di figura
41.
Figura 41
Per concludere, si è potuto rilevare che gli inserti in allumina permettono di raggiungere velocità di
taglio di circa 2000 m/min.
La situazione di taglio più favorevole è quella che permette di poter raggiungere velocità elevate ed
al tempo stesso alte temperature (che scaturiscono dalle velocità) senza che si realizzino gravi
inconvenienti di saldature chimiche locali (poiché relative alla regione di taglio) che avvengono, per
diffusione, fra il materiale asportato e quello del tagliente ceramico. Fenomeno questo che risulta,
infatti, molto accentuato dalle elevate temperature che si registrano proprio quando si lavora a
velocità di taglio sostenute.
L’utensile in allumina, essendo in genere piuttosto inerte, non presenta alto grado di affinità chimica
con il truciolo del pezzo lavorato e, quindi, esso permette di raggiungere temperature anche
dell’ordine dei 900-1000 °C senza segni evidenti di saldature sul pezzo lavorato.
Come si può vedere dal grafico riportato in figura 42, l’usura per gli utensili ceramici non dipende
dalla velocità di taglio (siamo, infatti, in una regione abbastanza ampia fra i 100 ed i 300 m/min in
cui il grado di usura è, oltre che basso, pressoché costante), bensì dalle vibrazioni che si generano
all’interno di un materiale quale quello ceramico che mal tollera la diffusione delle cricche.
Figura 42
Un risanamento delle cricche si genera ad una temperatura di circa 600°C ma un incremento di
velocità crea anche un ulteriore aumento dell’usura dovuto alla deformazione plastica che si genera
a quella temperatura. Sempre dal medesimo grafico, si può vedere come la curva relativa ai carburi
cementati sia “traslata” in un campo di velocità più basse rispetto a quello che coinvolge l’allumina
pura. Pertanto, è evidente che l’utilizzo dell’allumina comporta innumerevoli vantaggi tecnici ed
economici grazie all’uso di velocità tollerabili più elevate, ovvero, essenzialmente, economia di
produzione data una notevole riduzione del tempo di lavoro ed un incremento del numero di pezzi
prodotti per utensile. Tra l’altro, fatto da non trascurare, l’aumento disponibile delle velocità di
taglio offre superfici di finitura migliori.
Esempi tipici di applicazioni di successo dell’allumina quale “cutting tool” sono dati dalle
lavorazioni del disco per i dischi-freno e del tamburo per i freni a ganasce.
Dando uno sguardo al vasto campo delle applicazioni meccaniche, si riesce anche a notare come
l’allumina, seppur in maniera minore rispetto al caso d’uso da utensile da taglio, sia impiegata come
materiale abrasivo.
Come tutti gli abrasivi naturali o sintetici, anche l’allumina (che è chiaramente di tipo sintetico così
come carburo di silicio e nitruro di boro cubico) gode di proprietà quali durezza, resistenza alla
frattura, resistenza all’usura meccanica e chimica, capacità di assorbire calore attraverso la
conduttività termica e la capacità termica.
In ogni caso, è da sottolineare che il livello di tali qualità, che l’allumina possiede in questo ambito,
è molto più basso se confrontato con i cosiddetti “super-abrasivi” come diamante e nitruro di boro
cubico.
Tradizionalmente, l’allumina viene impiegata per le operazioni di rettifica di componenti ferrosi.
In questo settore applicativo, l’allumina appartiene alla famiglia degli abrasivi sfusi (di cui fanno
parte anche altri materiali come vetro, carburo di silicio e sabbia silicea) cioè di quegli abrasivi che,
in un processo umido (è presente un liquido vettore che, di solito, è acqua) o a secco (allora, si usa
solo aria), vengono trasportati da una corrente d’acqua o d’aria ad alta pressione e scaraventati sulle
superfici di lavoro, cioè su quelle che vanno sottoposte, in genere, a pallinatura, lappatura e
lucidatura.
Per concludere questa carrellata di varie ed importanti casi applicativi di un materiale ceramico
come l’allumina, resta da analizzare l’uso che si fa di tale ossido nel campo delle applicazioni
biomediche.
Sin dai primi anni settanta, l’allumina pura è utilizzata come materiale da innesto, specie per protesi
artificiali e impianti dentali, grazie alla sua eccellente compatibilità con i tessuti ed alle sue buone
proprietà meccaniche. Nel corso degli ultimi anni ha assunto un ruolo fondamentale anche nel
campo della chirurgia maxillofacciale. Possiede, però, una bassa resistenza a trazione motivo per
cui il suo uso è limitato alle condizioni di carico di sola compressione.
I materiali tipicamente utilizzati per la fabbricazione di tali impianti sono:
•
•
allumina policristallina ad alta densità e purezza;
zaffiri monocristallini accresciuti artificialmente.
Nel caso degli impianti dentali, i componenti in allumina (si veda, a tal proposito, lo spaccato di un
dente impiantato di figura 43 con annessi due esempi di denti artificiali realizzati con zaffiro
monocristallino ed allumina pura) vengono realizzati riempiendo di polvere d’allumina a grana fine
la superficie di un seme di cristallo scaldato con un arco elettrico o con fiamma di ossigeno;
lentamente il cristallo che si forma viene estratto in modo da lasciar spazio alla polvere che viene
fusa. Con questo metodo si riesce ad ottenere una crescita di cristalli di allumina con diametro
superiore agli 8-10 mm.
Figura 43
Come poc’anzi detto, l’allumina è un materiale molto richiesto per la costruzione delle “artificial
joints” (giunzioni artificiali) da applicare ai casi spinosi della ricostruzione delle articolazioni, in
genere, del ginocchio e dell’anca in pazienti che, per varie patologie (spesso, artriti reumatoidi o
osteoporosi) o possibili forti traumi, hanno perso totalmente o quasi la mobilità di tali componenti
fondamentali per un corretto uso degli arti inferiori.
I requisiti di tali protesi sono simili a quelli richiesti per i cuscinetti e le guarnizioni meccaniche.
Fondamentali per le parti soggette ad articolazione sono: la resistenza all’usura, un basso
coefficiente di frizione ed un’elevata resistenza a fatica.
C’è da dire che l’allumina è, sostanzialmente, fragile ed ha bassa resistenza a flessione rispetto ai
metalli ed ai materiali plastici (è sempre un ceramico a tutti gli effetti) ma ha delle proprietà
tribologiche (vedi figura 44) che migliorano con il tempo, e sono migliori rispetto a quelle di altri
materiali impiegati per soluzioni simili.
Figura 44
Se si confronta il funzionamento d’accoppiamento meccanico fra le coppie allumina-allumina e
metallo-UHMWPE (ultra high molecular weight polyethylene) con un carico di 5000 N ad una
frequenza di un ciclo/sec per un numero di cicli di carico pari a 107 (corrispondenti ad una vita utile
di circa 10 anni), dai grafici di figura 45 si evince come, inizialmente, entrambe la coppie mostrino
lo stesso coefficiente di frizione. Successivamente quello tra allumina-allumina decresce
approssimandosi alle condizioni della giunzione naturale mentre nella coppia metallo-UHMWPE si
mantiene costante e poi incrementa. Da questo fenomeno deriva che il coefficiente di frizione, il
consumo di volume e la rugosità superficiale delle coppie allumina-allumina decrescono con il
tempo.
Proprietà queste che derivano dalla caratteristica della superficie dell’allumina che permette di
“chemiassorbire” l’acqua e le lunghe catene di acidi carbossilici anche a bassa concentrazione
d’acqua.
In accordo con i risultati della ricerca effettuata su una giunzione artificiale allumina-allumina, si
può notare come il coefficiente di frizione dipenda dal carico in maniera lineare con un coefficiente
µ pari a 0,035± 0,005 e dalle caratteristiche del lubrificante, acqua distillata, soluzioni di Ringer o
oleose (in figura 46 è riportato questo fenomeno nel confronto fra un liquido naturale come quello
sinoviale ed una soluzione di Ringer). La deviazione dalla sfericità delle particelle della soluzione
lubrificante superiore a 18 µm incrementa notevolmente il carico specifico causando un collasso del
film lubrificante ed incrementando di conseguenza il coefficiente di frizione.
Figura 45
Figura 46
La bagnabilità del componente è un requisito fondamentale perché l’usura si trovi in un range di
valori accettabili. I componenti di allumina di BIOLOX hanno una buona bagnabilità rispetto ai
liquidi polari. Un esempio tipico è costituito dai liquidi sinoviali.
L’illustrazione seguente mostra (figura 47) l’angolo di bagnabilità esibito da vari materiali quali
metalli, polietilene ed allumina. Minore è l’angolo di bagnabilità, maggiore è l’efficienza di
lubrificazione .
Figura 47
Come si può vedere, l’allumina mostra l’angolo più piccolo, il che è indice di una migliore
lubrificazione. Inoltre, l’allumina è inerte e biocompatibile. Questa è una condizione fondamentale
per l’utilizzo in campo medico.
Ma bisogna anche dire che le qualità positive dell’allumina in fatto di migliore lubrificazione per la
protesi d’anca (accoppiamento femore-guscio d’anca) risiedono nel fatto che, essendo più efficiente
la lubrificazione, la produzione di particelle d’usura all’interfaccia stelo femorale-osso si attesta su
livelli più bassi rispetto a quelli cui si va incontro con protesi in metallo-UHMWPE.
In ogni caso, pur non azzerandosi del tutto, questa produzione di sostanze d’usura, si mantiene di
bassa intensità anche per diversi anni dall’innesto della protesi. Ciò è positivo alla luce del fatto che
la presenza, sul tessuto osseo circostante, dei corpi estranei costituiti da tali particelle non può
essere evitata e, soprattutto, non può essere evitato del tutto il processo di osteolisi naturale che si
viene a formare. Infatti, sul tessuto osseo viene ad agire il sistema immunitario il quale,
riconoscendo come corpi estranei indesiderati le particelle suddette, attacca queste stesse e l’osso
che accoglie la protesi, causando una progressiva perdita ossea e persino la mobilizzazione della
protesi.
Se fino ad una decina d’anni fa le protesi in metallo-polietilene classico avevano una durata media
di vita che non superava i 7-8 anni, adesso le moderne protesi in allumina-allumina, ancor più di
quanto accada alle coppie metallo-UHMWPE, presentano una vita media che riesce a superare,
seppure non di molto, i 10 anni di esercizio.
Come per gli altri materiali fragili, le proprietà meccaniche dell’allumina policristallina dipendono
soprattutto dal suo grado di purezza, dalla dimensione del grano e dal tasso di porosità.
Infatti, se consideriamo la resistenza a compressione dell’allumina pura, essa può essere espressa
come σ = Kd-n , in cui K ed n sono delle costanti dipendenti dalla temperatura e d è la dimensione
principale del grano (vedi l’andamento della curva di figura 48).
Figura 48
Pertanto, una buona resistenza meccanica dell’allumina la si può ottenere solo con allumina ad
elevata densità e dotata di microstruttura a grani fini. La densità è fondamentale anche per ciò che
riguarda il comportamento del materiale rispetto ai fluidi.
Le proprietà meccaniche richieste ad un componente ceramico corrispondenti agli standard
internazionali e quelle possedute da un tipico materiale per impianti sono riportate nella tabella
seguente.
I valori riportati in tabella si riferiscono a condizioni di carico statiche.
Poiché i carichi effettivi applicati sono di tipo dinamico possiamo vedere i risultati ottenuti da
un’allumina ad elevato grado di purezza sottoposta a cicli di fatica con una frequenza di 10
cicli/sec. I risultati ottenuti dopo 4 ⋅106 cicli di carico sono i seguenti:
CASO delle zone in TRAZIONE
valori delle tensioni compresi nel range 0-320 MPa;
escursione massima dello stress pari a ± 160 MPa;
valore della massima tensione di trazione: 160 MPa.
CASO delle zone in COMPRESSIONE
valori delle tensioni compresi nel range 0-1600 MPa;
escursione massima dello stress pari a ± 800 MPa;
valore della massima tensione di compressione: 800 MPa.
Applicazione tipica dell’allumina, come già anticipato prima, come biomateriale è la protesi d’anca
di cui è riportato un caso reale in figura 49 (radiografia post-operatoria che visualizza il montaggio
eseguito dell’articolazione dell’anca tramite coppia allumina-allumina).
Figura 49
Mentre, in figura 50, sono riportati, separatamente, i componenti fondamentali della protesi totale
d’anca, cioè lo stelo, la testa femorale ed il guscio emisferico attaccato al gruppo del bacino.
Figura 50
Pertanto, si può concludere che l’allumina, grazie alle sue proprietà di resistenza alla corrosione, di
ottima biocompatibilità, di buone qualità superficiali (esibisce un basso coefficiente di usura), di
ottima stabilità dimensionale, di durezza e di elevata bagnabilità, si dimostra materiale molto adatto
ad applicazioni attuali e future dell’ingegneria biomeccanica ed, in generale, biomedica.
5.2 Nitruro di silicio (Si3N4)
5.2.1 Generalità e struttura cristallina
Il nitruro di silicio è considerato il materiale ceramico più promettente per applicazioni strutturali ad
alta temperatura, infatti, ad una buona resistenza al creep e all’ossidazione unisce una bassa densità
(proprietà fondamentale per applicazioni in cui il peso costituisce un parametro critico), basso
coefficiente di espansione termica che garantisce un’ottima resistenza agli shock termici, alta
durezza e resistenza all’usura. L’unico aspetto negativo sembra essere la bassa tenacità, propria dei
materiali ceramici; va detto che questo aspetto può essere migliorato.
Per ottenere parti finite si deve prima sinterizzare la polvere di Si3N4, che verrà poi compattata negli
stampi e densificata per sinterizzazione, processo favorito da additivi aggiunti alle polveri di
partenza. Sono le proprietà delle polveri, il metodo di sinterizzazione e la presenza degli additivi a
determinare le caratteristiche termo-meccaniche del prodotto finito. La foto seguente 51 riassume il
processo; dalle polveri, materiale di partenza, si ottengono pezzi finiti di forma anche complessa.
Figura 51 Processi di realizzazione del prodotto finito
Nella figura 52 è rappresentato l’elemento fondamentale della microstruttura del nitruro di silicio;
l’atomo di silicio è circondato da quattro atomi di azoto ed il legame è prevalentemente covalente.
Questo tipo di legame è molto forte ed estremamente direzionale e determina le caratteristiche di
durezza e resistenza all’usura nonché il basso coefficiente di espansione termica. Infatti nei ceramici
covalenti le vibrazioni atomiche sono assorbite dallo spazio nella struttura, a differenza di quello
che accade nei ceramici ionici caratterizzati da un’alta densità di impacchettamento. Il nitruro di
silicio presenta due modificazioni cristalline, α e β, entrambe esagonali,che differiscono soltanto
lungo l’asse z nella sequenza di impilamento dei piani. Per la fase α i parametri reticolari sono:
a=0,775 nm; c=0,52 nm. Per la fase β invece: a=0,76 nm; c=0,29 nm (circa la metà rispetto all’altra
fase).
La fase α è instabile ed alle alte temperature si assiste alla trasformazione irreversibile α→ β. Sotto
è rappresentata la struttura β-Si3N4.
Figura 52 Micro-struttura del nitruro di silicio
Grazie all’utilizzo di pressioni elevatissime (15 GPa) e temperature intorno ai 2000°C,
recentemente è stato sintetizzato Si3N4 con struttura cristallina cubica (figura 53). Alcuni atomi di Si
presentano un numero di coordinazione pari a 6, invece di 4 della struttura β. Questa fase raggiunge
densità 4 g/cm3 e durezza di 35 GPa.
Figura 53 Nitruro di silicio a struttura cubica
5.2.2 Caratteristiche tribologiche
Per i sistemi in cui si hanno superfici interagenti in moto relativo è fondamentale lo studio delle
caratteristiche tribologiche, specialmente se operanti in severe condizioni di alta velocità ed alta
temperatura. Un tipico test di frizione ed usura di un materiale è del tipo ball-on-ring; lo schema è
rappresentato nella figura 54.
Figura 54 Illustrazione schematica del test di tipo ball-on-disk.
Due campioni di Si3N4 (una sfera ed un disco) sono stati ottenuti per HIP, e tutti e due hanno una
rugosità superficiale di 0,1 µm. Il disco può ruotare ad una velocità variabile nel range 0,2-2000
mm/s, mentre la sfera è tenuta a contatto con il disco con un carico normale. L’esperimento si è
condotto a diverse temperature,da quella ambiente fino a 1000°C per una distanza di slittamento di
1500 m. Il grafico in figura 55 riporta l’andamento del coefficiente di frizione con la temperatura
per diversi valori del carico normale. Si deduce che il carico ha maggiore influenza della
temperatura.
Figura 55 Andamento del coefficiente di frizione al variare della temperatura
In figura 56 abbiamo la variazione della velocità di usura specifica con la temperatura. Da
temperatura ambiente fino a circa 750°C c’è solo un leggero incremento che diviene vistoso per
temperature superiori. Ciò è dovuto all’instaurarsi di fenomeni di ossidazione che portano a
progressiva “denitrurazione”.
Figura 56 Velocità di usura in funzione della temperatura
Sulla zona di frizione si assiste inoltre alla formazione di una fase non cristallina in seguito al calore
generato dalla frizione delle due parti.
5.2.3 Proprietà meccaniche
Le proprietà meccaniche del nitruro di silicio, come già accennato, dipendono fortemente dalle
polveri di partenza e dal metodo di densificazione. Valori tipici sono riportati in tabella.
Il punto debole del nitruro di silicio sembra essere la tenacità i cui valori vanno da 4 a 8 MPa√m.
Dalla meccanica della frattura è noto che in seguito alla formazione di una cricca in un corpo
caricato ad esempio a trazione, il campo di sollecitazioni risulta massimo in corrispondenza
dell’apice della cricca e dipendente dal fattore KI = Yσ√a, detto fattore di intensità degli sforzi. Il
valore critico di K che causa la frattura del provino viene chiamato tenacità a frattura Kc = Yσf√a.
Questa equazione può essere utilizzata per determinare il massimo difetto ammissibile, noto il
carico applicato. Per aumentare la tenacità si possono usare fibre di rinforzo e disperdere seconde
fasi. In figura 57 tipico andamento della tenacità al variare delle dimensioni della cricca.
Figura 57 Tenacità al variare delle dimensioni della cricca
Nelle figure di seguito è evidenziata la dipendenza delle caratteristiche del nitruro di silicio dal
contenuto di silica, nel caso essa sia l’unico additivo di sinterizzazione. Alte percentuali di silica
(dal 20 % in poi) diminuiscono drasticamente la rigidezza (figura 58). Inoltre, si abbassa il massimo
stress raggiunto e diventa sempre più forte la dipendenza dallo strain-rate (figura 59).
Figura 58 Rigidezza al variare della percentuale di silica nel composto.
Figura 59 Dipendenza dello stress dallo strain rate.
5.2.4 Compositi ceramici
Per ottenere elevate proprietà meccaniche si ricorre a fibre di rinforzo. A scopo di esempio viene
trattato il caso di Si3N4 rinforzato con whiskers di SiC. Innanzitutto è necessario che matrice e
whiskers abbiano caratteristiche simili, come coefficiente di espansione termica e modulo elastico.
Il composito è ottenuto macinando polvere di Si3N4 e whiskers con palle di allumina per 24 ore. Le
forme vengono compattate a freddo a 300 MPa e poi sinterizzate per hot pressing mantenendo la
temperatura a 1750°C per 30 minuti.
Analisi condotte con microscopio elettronico a trasmissione ad alta risoluzione (HRTEM) hanno
evidenziato la presenza di fase vetrosa all’interfaccia whiskers/matrice, come mostrano le figure
60(a-b). Questo è indice di debole interazione tra whiskers e matrice circostante che porta
all’attivazione di meccanismi di tenacizzazione tramite crack deflection, pull-out e crack bridging.
La tenacità a rottura risulta notevolmente aumentata.
Figura 60 (a-b) Presenza della fase vetrosa all’interfaccia whiskers/matrice
5.2.5 Applicazioni
Il nitruro di silicio si presta a tutte quelle applicazioni strutturali che richiedono elevate prestazioni
ad alta temperatura e resistenza all’usura. E’ in genere utilizzato per anelli di tenuta,cuscinetti e
sfere,bronzine. Per l’elevata durezza, gli utensili da taglio ed inserti per lavorazioni per asportazione
di truciolo sono in nitruro di silicio. Sfruttando la resistenza all’ossidazione e la non bagnabilità da
parte dei metalli fusi viene impiegato in die casting (specie per alluminio) come sistema di
alimentazione e guaine per termocoppie. Comincia ad essere usato per sostituire parti meccaniche
nei motori a combustione interna come pistoni, valvole, sedi valvole, e rotori nei corpi di
sovralimentazione. Ma la nuova frontiera nell’impiego del nitruro di silicio è la realizzazione di
pale per turbine (sia industriali che per propulsori aeronautici), che presentano le condizioni
operative più severe.
5.2.6 Pale turbine
Da un punto di vista termodinamico, il riferimento ideale degli impianti turbomotori a gas è
costituito dal ciclo di Brayton-Joule. In esso la temperatura più alta è quella in ingresso in turbina
(TIT:Turbine Inlet Temperature) ed è limitata dalla resistenza dei materiali alla temperatura. Questo
pone un limite anche al rapporto di compressione che può essere utilizzato nel ciclo e di
conseguenza al rendimento. (η=1- 1/β(k-1)/k). E’ quindi importante aumentare il più possibile la TIT.
Le pale delle turbine sono in genere costituite da superleghe a base di nichel (molto costose). Per
avere alte TIT si sono escogitati complicati sistemi di raffreddamento delle pale (figura 11). Ma
l’aria circolante nelle pale proviene da spillamenti dal compressore che influiscono quindi
negativamente sul rendimento del ciclo essendo disponibile una minore massa d’aria per
l’espansione in turbina.
Altro metodo consiste nel ricoprire le pale in superlega con uno strato di materiale ceramico a bassa
conducibilità termica; TBC (Termal Barrier Coating) principalmente costituiti da zirconia
stabilizzata con ittria (figura 61).
Figura 61 Sistemi di raffreddamento delle pale
L’alternativa è l’uso di materiali ceramici strutturali avanzati. Il nitruro di silicio è il principale
candidato a sostituire le superleghe al nichel. Esso ha infatti una minore tendenza ad ossidarsi sopra
i 1000°C, migliore resistenza al creep, in parte dovuto al fatto che le leghe di Ni hanno punto di
fusione a 1450°C mentre il Si3N4 si dissocia (non fonde) in Si e N2 a 1900°C. Il suo coefficiente di
espansione termica è di 3,6·10-6 K-1 contro i 10·10-6 delle leghe. Alle precedenti qualità il nitruro di
silicio associa una densità di 3,2 g/cm3 mentre per le leghe al Ni la densità è di 8,5 g/cm3.
Figura 62 Pale in superlega con strato di materiale ceramico a bassa conducibilità termica TBC
Nella tabella 1 (qui di seguito) le leghe al Ni sono confrontate con alcuni ceramici avanzati. Mentre
la tabella 2 pone il confronto tra vari ceramici avanzati.
Tabella 1
Tabella 2
La turbina deve resistere ad una serie di sollecitazioni:
•
•
•
•
•
•
•
•
Temperature dei gas superiori a 1200°C per migliaia di ore
Elevati carichi termici
Elevati stress meccanici
Impatti puntuali
Carichi vibrazionali
Reazioni chimiche
Corrosione
Creep e cicli a fatica
Il nitruro di silicio sembra vincere anche il confronto con altri ceramici avanzati, specie il SiC che
possiede alte qualità. A temperature superiori ai 1000°C il Si3N4 presenta la resistenza maggiore.
Come sappiamo un carico termico ∆T induce un livello di tensione dato da σ = Eα∆T
dove:
E = modulo elastico di Young
α = coefficiente di espansione termica.
Questa relazione evidenzia come il Si3N4 resista meglio agli shock termici presentando minore
rigidità del SiC (vedi tabella 2) e quindi minori tensioni indotte a parità di ∆T. Tale risultato è
confermato in figura 67. Dalla formula inversa si può ricavare il ∆T massimo ammissibile. Di
seguito riportiamo un confronto tra Si3N4 e SiC attraverso un analisi agli elementi finiti del
comportamento di un vane per turbina. La figura 63 mostra il modello oggetto dell’analisi.
Figura 63 Modello utilizzato nell’analisi agli elementi finiti
Si sono prese in considerazione le condizioni di lavoro più gravose che si hanno nel passaggio dalla
fase idle (motore acceso ma fermo in pista) alla fase di take-off (decollo), come evidenziato nelle
figure 64 e 65. In pochi secondi le temperature dei gas e del vane vedono un netto aumento.
Figura 64 Condizioni di lavoro
Figura 65 Particolare relativo alla distribuzione della temperatura nel vane palare nelle due condizioni di lavoro
Di seguito si riportano i risultati dell’analisi agli elementi finiti. Il confronto è condotto sia in fase
di transitorio sia a regime. L’analisi termica mostra che il nitruro di silicio, a causa di una
più alta diffusività e minore conducibilità termica, presenta temperature più alte del SiC (figura
66).
Figura 66 Analisi termica in transitorio e a regime di una paletta in nitruro di silicio e in carburo di silicio.
La figura 67 riporta l’analisi tensionale; per il SiC a regime le tensioni superano i 700 MPa.
Ciò conferma quanto detto in precedenza riguardo le tensioni indotte da un carico termico.
Figura 67 Analisi tensionale in transitorio e a regime di una paletta in nitruro di silicio e in carburo di silicio
Le parti della pala più sollecitate sono la punta e la parte interna (figura 68). La punta risente di
più dello scambio convettivo con i gas caldi in quanto è una zona sottile che avendo un alto
rapporto superficie/volume presenta bassa inerzia termica ed è quindi la parte che si riscalda
più velocemente. La parte interna è caratterizzata da un basso rapporto superficie/volume e
quindi le temperature variano più lentamente rispetto al resto della pala.
Figura 68 Particolare: zone più sollecitate
In definitiva, durante l’esercizio il vane va incontro ad un campo termico complesso con
forti gradienti di temperatura. Di conseguenza tendendo ad espandersi diversamente in ogni punto,
il vane sperimenta anche delle inflessioni e curvature.
Oltre alle sollecitazioni meccaniche e termiche bisogna considerare gli effetti causati
dall’ambiente che regna in turbina:
Corrosioni localizzate dovute alla presenza di specie reattive. Ciò può aversi quando
particelle metalliche provenienti dalle parti metalliche del motore si depositano sulla
superficie della pala. L’ossidazione di tali impurità distrugge lo strato protettivo di
silica portando alla formazione di crepe.
Il vapore acqueo, reagendo con lo strato di silica, porta alla formazione della specie gassosa
Si(OH)4 che può causare eccessivi cambiamenti nelle dimensioni del componente.
Formazione di seconde fasi sulla superficie che creano stress abbastanza intensi da
creare cricche. Inoltre le altissime velocità dei gas favoriscono il distacco delle seconde
fasi.
Effetti dell’ossidazione come visto in precedenza.
Allo scopo di evidenziare come questi effetti siano importanti, si riportano i risultati di un
primo esperimento svolto in Rolls-Royce su una pala in nitruro di silicio montata su di una
turbina da 3,1 MW. Le pale in nitruro di silicio sono state ottenute per reaction bonding con
aggiunta di 10 % di additivi (figura 69). Condizioni di test:
Temperatura in ingresso 1066°C e pressione 8,9 atm;
Velocità gas in ingresso 162 m/s ; 573 m/s all’uscita;
815 h di test.
Figura 69
Alla fine del test si è rilevata una significante recessione del materiale che fa protendere verso
l’utilizzo di coating (figura 70). La freccia più grande indica la direzione del flusso dei gas.
Figura 70 Fenomeno della recessione del materiale
Comunque sono ancora molti gli aspetti da studiare e approfondire riguardo l’applicazione di vane
ceramici:
Effetti di corrosione ed ossidazione
Aspetti costruttivi. In particolare lo spessore sembra essere un parametro critico. Un vane più
spesso presenta infatti una temperatura media più bassa e gradienti termici più piccoli.
Accoppiamento tra parti metalliche e parti ceramiche
Adeguata sperimentazione
5.3 Piastrelle isolanti ceramiche per applicazioni aerospaziali
Molte persone immaginano lo spazio come vuoto, un vasto nulla. In realtà, è ricco di materia e
attività che lo rendono un ambiente sconosciuto a molti materiali, come hanno potuto sperimentare
a loro spese i costruttori di veicoli spaziali. Negli anni ottanta e fino ai primi anni novanta i
convenzionali compositi polimerici e, più in generale, i materiali plastici rinforzati, furono visti
come i probabili sostituti dei materiali metallici grazie anche al loro minore peso. Presto però, ci si
accorse che non portavano a risultati molto migliori dei loro predecessori come si era inizialmente
sperato. Tuttavia, i continui tentativi di utilizzo di questi materiali hanno portato a dei progressivi
miglioramenti ed oggi i compositi ceramici trovano applicazione in un’ampia gamma di strutture,
dai bordi d’attacco dello Shuttle ai moduli abitativi per le stazioni spaziali. In futuro più che una
rivoluzione ci sarà un’evoluzione, con i compositi che prenderanno il loro posto come parte di una
gamma di materiali specialistici ottimizzati per far fronte alle particolarissime esigenze dello spazio.
5.3.1 Lo spazio: un ambiente aggressivo
Lo spazio è oggi noto come un ambiente molto aggressivo. Durante i primi periodi del volo
spaziale, strutture o frammenti, che ritornavano sulla Terra dopo aver orbitato per lungo tempo,
mostravano innanzitutto un significativo degrado dei materiali. Queste prime impressioni vennero
poi confermate attraverso esperimenti eseguiti alla fine degli anni ottanta nei quali furono studiati e
misurati attentamente gli effetti che le insidie dello spazio avevano sui materiali che avevano
orbitato per molti anni attorno alla Terra.
Uno dei fattori di rischio a cui i materiali sono esposti nello spazio è dato dalla loro tendenza
quando sono posti sotto vuoto spinto ad emettere gas. Le molecole liberate dalla superficie del
materiale durante il degasaggio, possono creare errori di rilevazione negli strumenti particolarmente
sensibili dei satelliti, scariche elettriche e, se la nube di gas condensa, possono venire alterate le
proprietà ottiche ed elettriche del materiale. Il degasaggio, inoltre, insieme alla perdita di umidità, se
prolungato, può intaccare il materiale causando ritiri oltre ad alterarne le proprietà. Le tradizionali
matrici polimeriche sono particolarmente inclini a queste forme di degradazione.
Un’altra insidia messa in evidenza dai primi voli dello Shuttle è stata quella dell’ossigeno atomico.
In molti voli, residui di atomi di ossigeno presenti nelle orbite più basse, hanno danneggiato i
materiali polimerici e particolarmente le loro superfici esposte. Studi successivi hanno portato alla
conclusione che l’ossigeno atomico (ATOX) è corrosivo perché la sua energia d’impatto è in grado
di rompere i legami molecolari e penetrare la superficie. Una volta penetrato, combinandosi con i
legami spezzati può formare dei composti più stabili di quelli originariamente presenti. La forma di
ossigeno monoatomico trovata negli strati più esterni dell’atmosfera terrestre è particolarmente
aggressiva.
Un’ulteriore minaccia è rappresentata dalle collisioni con microparticelle, meglio note come polvere
cosmica, che possono provocare abrasioni sulle superfici. È facile immaginare l’effetto prodotto da
queste collisioni come un effetto ridotto, ma, quando le particelle si muovono a ipervelocità,
ripetute collisioni possono risultare distruttive. Particelle del peso di pochi microgrammi che
arrivano a velocità di 20 km/s possono creare sulla superficie crateri profondi oltre mezzo
millimetro e l’effetto di particelle più grandi è ancora più dirompente. Una di queste particelle fu
probabilmente la causa di una violenta oscillazione che interessò la sonda spaziale Giotto alcuni
secondi prima che raggiungesse il punto più vicino alla cometa di Halley. Le temperature, inoltre,
sono soggette ad enormi oscillazioni quando i veicoli spaziali sono illuminati o meno dalla luce
solare. Elevate temperature possono accelerare il processo di degasaggio e degradare i materiali a
livello molecolare. Temperature troppo basse possono infragilire i polimeri mentre ripetuti cicli tra
temperature estreme possono provocare fatica termica e fratture. Il degrado dei materiali plastici ad
opera delle radiazioni ultraviolette è un fenomeno ben noto e le radiazioni cosmiche possiedono
energia sufficiente a causare questo tipo di danno. Altre insidie sono l’infragilimento da idrogeno e
la fatica acustica, senza considerare che prima che lasci la Terra lo Shuttle è soggetto a tutti i
classici problemi terrestri di ossidazione, corrosione, creep, etc.
5.3.2 Fase di rientro
La fase di rientro nell’atmosfera a conclusione di un volo orbitale o interplanetario risulta
particolarmente gravosa sia per l’equipaggio che è soggetto a decelerazioni più o meno brusche a
seconda della traiettoria di rientro seguita, sia per i veicoli sottoposti ad un rilevante flusso termico
a causa della resistenza provocata dall’attraversamento degli strati atmosferici. In questa fase,
l’orbitante ha una velocità che supera Mach 5, rallentata poi dall’attrito con l’atmosfera che produce
una temperatura esterna di oltre 3000°F (1650°C).
Sono previste due modalità di rientro:
▲ rientro di tipo balistico: il rapido attraversamento degli strati atmosferici, cui è associata una
altrettanto brusca dissipazione di energia cinetica in calore, genera rilevanti flussi termici sulle
superfici esposte, per le quali il sistema di protezione consiste nell’applicazione di schermi
ablativi i quali sono in grado di proteggere le capsule solo per un breve periodo;
Figura 71 Rappresentazione delle modalità di rientro
▲
rientro di tipo portante: la traiettoria adottata risulta lunga e permette un atterraggio di tipo
convenzionale; grazie al maggior tempo di permanenza nell’atmosfera, la variazione di energia
cinetica si distribuisce in un periodo di tempo maggiore, diminuendo così il flusso di calore cui
la struttura è sottoposta. Le protezioni termiche adottabili in questo caso sono costituite da
schermi isolanti operanti in condizioni non ablative, con lo scopo di proteggere la parte interna
del velivolo e reirradiare verso l’esterno una consistente frazione del calore assorbito.
Figura 72 Traiettorie possibili per la fase di rientro
La scelta della modalità di rientro portante ha aperto la strada alla prima generazione di Reusable
Launch Vehicles (RLV), cioè di Space Shuttle. Per questi tipi di velivoli, il TPS (Thermal
Protection System) deve mantenere l’interno del veicolo isolato dal freddo siderale limitando allo
stesso tempo surriscaldamenti dovuti alla radiazione solare; inoltre, deve resistere alle vibrazioni ed
alle sollecitazioni acustiche caratteristiche della fase di lancio e deve poter resistere ai carichi
aerodinamici.
Il prevalente impiego dei materiali ceramici ha costretto al raggiungimento di un compromesso fra
la buona resistenza alle elevate temperature e le modeste proprietà resistenziali che sono spesso
causa di danneggiamenti del TPS. In considerazione di ciò si giustifica la necessità, avvenuto il
rientro a terra, di una lunga fase di ispezione e sostituzione dei componenti del sistema di
protezione che occupa gran parte del tempo dedicato alla manutenzione complessiva del velivolo.
5.3.3 Sistema di protezione termica
I primi veicoli spaziali con equipaggio umano, come Mercury, Gemini e Apollo, non erano
manovrabili ed il rientro era con traiettoria di tipo balistico: la capsula atterrava negli oceani
rallentando la corsa con l’apertura di un paracadute, mentre l’astronauta si lanciava col seggiolino
estraibile. La capsula spaziale era protetta dalla fase di rientro da uno scudo termico costruito da
resine fenoliche epossidiche in una matrice di lega di nichel avente una struttura a “pettine di
miele”.
Lo scudo termico era capace di resistere a velocità di riscaldamento molto alte, particolarmente
necessaria durante la missione Apollo sulla Luna dove, al rientro nell’atmosfera si raggiungevano
velocità di 25000 mph. In questa fase, lo scudo termico doveva funzionare come materiale ablativo,
cioè lo strato più esterno doveva "sacrificarsi" proteggendo il layer sottostante attraverso una
fusione controllata degli strati più esterni.
Nonostante i vantaggi di questa tipologia di scudi termici, il confronto con gli svantaggi era
devastante:
1. problemi legati direttamente al veicolo (una eventuale deformazione degli scudi si
ripercuoteva su tutto il veicolo);
2. essi presentavano un’alta densità (aumento ingiustificato del peso del veicolo);
3. non erano riutilizzabili.
Per gli Space Shuttle orbitanti, si doveva sviluppare un nuovo tipo di sistema di protezione termica.
Per avere una durata di 100 missioni, il nuovo veicolo spaziale richiedeva TPS leggeri e
riutilizzabili, composti interamente da nuovi materiali: i compositi ceramici.
La struttura più esterna dell'orbitante è costruita principalmente da leghe di alluminio e grafite
epossidica. Durante il rientro, i materiali che compongono tutto il TPS proteggono il guscio più
esterno dell'orbitante da temperature sopra i 180° C, in aggiunta, essi sono riutilizzabili per 100
missioni una volta revisionati ed effettuate le opportune manutenzioni. Questi materiali hanno un
range di performance di resistenza alle alte temperature che va da un minimo di 121°C, nelle zone
più fredde dell' orbita, sino a 1650°C durante il rientro; inoltre riescono a sostenere le deflessioni
dovute alle forze cui è soggetta la struttura dovute all'ambiente esterno.
Poiché il TPS è installato sulla parte esterna del veicolo, esso ne determina l’aerodinamica. La
temperatura esterna del veicolo è controllata da un isolamento interno. Esistono due tipologie di
elementi da cui è costituito il TPS, e sono:
▲ i blankets (“mantello”)
▲ i tiles (“piastrella”).
Entrambi sono tipicamente a bassa densità, bassa conducibilità termica e fatti di fibre di silice o
allumina ad altissima purezza, o da una combinazione dei due. I blankets non hanno bisogno di
isolanti per lo strain poiché hanno coefficienti di espansione termica molto simili a quelli dei
materiali che sono utilizzati per la struttura, per questo sono legati direttamente alla struttura con
tempi e costi d’installazione minori rispetto a quelli richiesti per i tiles: un blanket tipico è un
AFRSI.
I tiles differiscono dai blankets essenzialmente per il processo di rivestimento. Nei tiles, infatti, il
coating irrigidisce la struttura, rendendola più resistente ai carichi. Inoltre, i tiles hanno bisogno di
uno strato che li isoli dallo strain della struttura (SIP). Tiles tipici sono: LRSI, HRSI, FRCI.
Figura 73 Campi di temperature e relativi materiali richiesti
I materiali che soddisfano le caratteristiche richieste per i TPS sono stabili alle alte temperature e
relativamente leggeri e sono:
1. RCC: è utilizzato sulla parte dell’attacco dell’ala, sul naso e sull’area immediatamente
vicina al nose nella superficie più bassa (chine panel) e sulla parte intorno all’attacco
anteriore del serbatoio esterno all’orbitante (external tank: ET). Gli RCC proteggono le aree
dove la temperatura supera i 1260°C.
2. HRSI tiles: High-temperature Reusable Surface Insulation tiles, ossia piastrelle per
superfici isolanti alle alte temperature riutilizzabili. Sono installati sottoforma di piastrelle
(tiles) da rivestimento con una superficie di colore nero, ottenuta per coating, necessaria per
ottenere una certa emittanza. Sono utilizzati sulle aree superiori della parte anteriore della
fusoliera ed intorno alle finestre della fusoliera, su tutta la parte inferiore del veicolo, dove
l’RCC non è utilizzato, su porzioni dei sistemi di manovrazione e controllo del veicolo
(OMS/RCS), su bordi e struttura interna delle ali e dello stabilizzatore, adiacente all’RCC,
sulla parte più alta della superficie dell’ala, sulla base dello scudo termico, sull’interfaccia
con il bordo d’attacco dell’ala in RCC e la superficie superiore del body flap. Le piastrelle
in HRSI proteggono le aree dove le temperature sono attorno ai 1260°C. Ecco nella
prossima figura un’immagine di una microstruttura di un isolante termico di tipo LI900 per
le alte temperature:
Figura 74
3. FRCI: Fibrous Refractory Composite Insulation, ossia compositi di fibre refrattarie isolanti.
Sono state sviluppate, in seguito, nell'ambito del programma di protezioni termiche. I tiles
di FRCI sostituiscono alcune delle HRSI in aree selezionate dell’orbitante.
4. LRSI: Low-Temperature Reusable Surface insulation tiles, ossia piastrelle per superfici
isolanti alle basse temperature. Sono utilizzate in selezionate aree della fusoliera anteriore,
centrale e posteriore e nella zona verticale della coda, nella parte superiore dell'ala e
OMS/RCS. Questi tiles proteggono aree con temperature intorno ai 650°C, hanno un
coating superficiale di colore bianco che provvede a migliorare le caratteristiche termiche
in orbita.
5. AFRSI: Advanced Flexible Reusable Surface Insulation, ossia isolante flessibile
riutilizzabile avanzato. Questo materiale consiste in un composito con imbottitura isolante
posto tra due strati di tessuto bianco che sono cuciti insieme a formare i cosiddetti blankets
imbottiti. Le coperture di AFRSI sono state utilizzate per sostituire la maggior parte dei
LRSI tiles; esse sono facilmente producibili e conferiscono allo shuttle una vita più lunga,
riducendo i costi ed i tempi di fabbricazione ed installazione. Le coperture di AFRSI,
inoltre, hanno portato ad un’ulteriore diminuzione del peso rispetto all’utilizzo degli LRSI
tiles, proteggendo aree con temperature intorno ai 650°C.
6. FRSI: Felt Reusable Surface Insulation, ossia feltro isolante per coperture superficiali
riutilizzabile. Sono blankets di colore bianco usati nella parte superiore dei portelloni, in
porzioni dei lati della fusoliera centrale e posteriore, in porzioni della parte superiore della
superficie delle ali e del OMS/RCS. Le FRSI blankets proteggono aree dove le temperature
sono sopra i 370°C.
7. Altri materiali sono utilizzati in altre aree speciali. Questi materiali sono essenzialmente i
vetri termici per le finestre; i metalli per la parte anteriore dell’RCS; un tessuto di silica con
una combinazione di pigmenti bianchi e neri per le barriere termiche.
Ecco come, visivamente, nelle prossime due immagini (la prima (figura 75) è una vista dall’alto, la
seconda (figura 76) è sempre una vista dall’alto ma semi-sezionata per evidenziare cosa è previsto
sulla superficie inferiore dello shuttle).
Figura 75
Figura 76
5.3.4 TB (Thermal Barrier)
Le barriere termiche o Thermal Barrier sono utilizzate nell’area del closeout, tra i vari componenti
dell’orbitante ed il sistema di protezione termica (TPS), nel timone e nel sistema frenante sul nose e
sui portelli del carrello principale di sbarco, negli ingressi sottocoperta, nei portelli per lo sfiato,
portelli centrali del serbatoio esterno, nell’interfaccia dello stabilizzatore verticale con la poppa ed
in quella presente sul bordo delle ali tra zone in RCC ed in HRSI.
I vari materiali utilizzati sono fibre di ceramica bianche di borosilica dell’allumina AB312 o tessuto
di fibre di ceramica nera-pigmentata della fibra AB312 intrecciata intorno ad una molla tubolare
interna fatta di Inconel 750 legato con le fibre della silica all’interno del tubo. Per evitare un
eccessivo surriscaldamento nei gap fra i tiles dovuto ai flussi d’aria incrociati che si possono creare
a causa dei gradienti di pressione, sono aggiunti dei riempitori, o fillers, di gap fra le mattonelle per
minimizzare il surriscaldamento. I materiali di cui sono fatti i fillers consistono di fibre bianche
AB312 o di una copertura nero-pigmentata del tessuto AB312 che contiene le fibre dell'allumina.
Questi materiali sono usati intorno al bordo principale della protezione del naso, della parte
anteriore della fusoliera, del parabrezza e del portello laterale, dell’ala, dello stabilizzatore verticale,
del freno, del deflettore della fusoliera e dello schermo di calore dei motori principali dello shuttle.
Per consentire il fissaggio e la rimozione dei pannelli si usano degli inserti nella silica fusa filettata
come mostra la figura 77.
Figura 77
Dopo la missione è necessario un processo di rewaterproofing che ripristina la resistenza all’acqua
del tile. Il processo consta dell’iniezione di dimetiletoxisolano tramite una specie di pistola con un
ago alla punta, nelle lacune che si sono venute a creare sulla superficie del rivestimento.
5.3.5 Gaps e gap fillers
I gaps tra due tiles sono necessari per due ragioni principali. La prima concerne la differenza di
espansione termica tra il tile e la struttura dell’orbitante: durante le fluttuazioni, questi si espandono
e contraggono in modi differenti e i gaps riaccomodano queste differenze. La seconda ragione
riguarda il flusso di plasma che circonda l’orbitante causato dai gradienti di pressione durante il
rientro. Se i gaps sono troppo larghi, i gas caldi possono fluirvi all’interno causando un
danneggiamento dei riempitori o sostituirsi addirittura ad essi (filler bar).
Figura 78
5.3.6 Sviluppo di nuovi tiles
Negli ultimi anni è stato sviluppato un nuovo materiale chiamato AETB-8 (Alumina Enhanced
Thermal Barrier, ossia barriera termica aumentata con allumina). Si tratta di FRCI a cui sono
aggiunte piccole quantità di allumina. Questa aggiunta incrementa la stabilità termica e la
conducibilità senza un significativo aumento di peso o diminuizione della resistenza.
Contemporaneamente allo sviluppo dell’AETB-8, si sta avviando lo sviluppo di un nuovo
rivestimento, noto come Toughened Unipiece Fibrous Insulation (TUFI). I tiles rivestiti con questo
materiale presentano una più alta resistenza rispetto ad un piccolo aumento di peso.
Figura 79