QUESTIONI CONTROVERSE IN TEMA DI RECLAMO EX ART. 18 L.F.

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QUESTIONI CONTROVERSE IN TEMA DI RECLAMO EX ART. 18 L.F.
QUESTIONI CONTROVERSE IN TEMA DI RECLAMO EX ART. 18 L.F.
L’Autore trae spunto dalla decisione in commento per analizzare alcuni aspetti ancora “critici” della disciplina del
reclamo proposto dal debitore avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, dall’ammissibilità o meno dei “nova”
nel reclamo alla sentenza di fallimento, al principio del contraddittorio per poi finire alla definizione di stato “crisi”
ed “insolvenza”.
Corte di Appello di Napoli, Sez. 1, sent. n. 118/2010 del 2.7.2010, Pres. Annunziata, Rel. Forgillo
- Alfa S.p.A. c/. Fallimento della Alfa S.p.A.
LA
CORTE
(omissis)
La complessità delle questioni sollevate impone la trattazione per capitoli.
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha revocato l’ammissione al concordato preventivo
della s.p.a. Emini, in base all’art. 173 l.fall.. reputando integrata la sussistenza degli
fraudolenti anteriori o comunque successivi all’ammissione al concordato (cfr. decreto di
revoca); con separata contestuale sentenza ha, inoltre, dichiarato il fallimento della suddetta
società
sull’istanza
del
P.M.
Parte reclamante ha impugnato tanto il decreto di revoca che la sentenza di fallimento, con atti
separati, pur nella piena consapevolezza di orientamenti tendenti ad escludere l’impugnativa
autonoma quando alla revoca consegua la sentenza. Occorre, allora pronunziarsi su questa
prima questione.
I. PROPOSIZIONE DI SEPARATA IMPUGNATIVA DEL DECRETO DI REVOCA
DELLA
PROCEDURA
DI
CONCORDATO
Osserva
il
reclamante
quanto
segue.
Essendo stata, nel caso di specie, disposta la riunione dei separati reclami per evidenti ragioni
di connessione soggettiva e oggettiva e, in ogni caso, per evitare che potessero emettersi
decisioni tra loro contraddittorie, la questione teorica perde d’obiettivo interesse, non senza,
però, evidenziare come, condivisa la soluzio- ne dottrinaria indicata dalla stessa parte
reclamante, si ponga un problema di legittimazione a resistere, in questo caso correttamente
superato dagli organi della procedura. autorizzando la costituzione tanto del commissario
(unico legittimato passivo nel caso di reclamo al decreto di revoca) che del curatore (unico
legittimato passivo nel caso di reclamo alla sentenza di fallimento), sicché potrebbe. al più.
residuare questione riguardo alle spese del giudizio.
II.
E’
STATO
DICHIARATO
UN
FALLIMENTO
D’UFFICIO
a. Col secondo motivo parte reclamante contesta la regolarità del procedimento, sostenendo,
in sintesi, che sarebbe stato dichiarato il fallimento senza preventivo avvertimento al debitore
della finalizzazione (oltre alla revoca del concordato) anche alla eventuale dichiarazione di
fallimento;
b. con ulteriore deduzione parte reclamante allega la sostanziale invalidità del ricorso del P.M.
perché redatto in data 1/6/2009 (ancorché presentato a settembre dello stesso anno), quando la
società era ancora in concordato per effetto della prima ammissione, sub judice davanti alla
Corte d’appello. I due motivi possono essere esaminati e respinti con le condivisibili parole
spese
del
curatore
del
fallimento
al
riguardo:
«
1
In questi termini la deduzione che il P.M. non avrebbe supportato il proprio ricorso con
documentazione e sarebbe unicamente fondato sull’apodittica richiesta di fallimento appare
sostanzialmente irrilevante, tanto in ragione delle emergenze della procedura concordataria,
tanto in ragione degli accertamenti che il tribunale può compiere in virtù del disposto dell’art.
18,
4
comma.
l.fall.
c. Inoltre, la reclamante contesta che nessun accertamento è stato svolto in merito alla
sussistenza dell’insolvenza, solo pronunziata dal P.M. in sede di ricorso e dal tribunale nel
corpo
della
sentenza.
11 motivo è fondato: non sembra sia stato svolto uno specifico accertamento in ordine allo
stato d’insolvenza; il decreto di revoca si diffonde alquanto sulla sussistenza dei motivi per
pervenire chiudere la procedura di concordato ma non prende alcuna specifica conclusione
circa lo stato d’insolvenza (e. d’altra parte, non era quella la sede per accertarla). mentre la
sentenza si limita, genericamente, ad indicare che alla luce della documentazione allegata
alla domanda di ammissione al concordato preventivo nonché delle circostanze emerse nel
corso della medesima procedura. emerge palesemente lo stato di insolvenza della ALFA così
offrendo il destro al reclamante per affermare l’illegittimità della decisione.
Invero, il novellato art. 160 l.fall.. consentendo all’imprenditore in stato di crisi o di
insolvenza (ultimo comma) la proposizione della domanda di concordato preventivo.
evidentemente amplia la gamma delle situazioni suscettibili di ammissione. innovando il
precedente
sistema
favorevole
per
il
solo
imprenditore
insolvente.
Tuttavia, il solo imprenditore insolvente può anche fallire (art. I e 5 l.fall. in ragione di tale
differenziazione il legislatore, non a caso, ha eliminato l’automatismo tra insuccesso nel piano
concordatario e fallimento, prevedendo specificamente che il tribunale, in caso di revoca ex
art. 173 l.fall., per poter dichiarare il fallimento, deve, ricevuto l’atto d’impulso dai
legittimati, accertare i presupposti di cui agli artt. I e 5 l.fall. comma 2).
Ed analogo accertamento deve svolgere ancor prima, quando, nella fase di verifica
dell’ammissibilità, non ritenga ricorrano i presupposti di cui all’ an. 160 l.fall. (v. art. 162,2°
comma l.fall.). a dimostrazione che l’apertura della procedura di concordato non è, in caso
d’insuccesso,
l’anticamera
del
fallimento.
Tant’è che lo stesso art. 173 prevede implicitamente la revoca del concordato senza
contestuale apertura del fallimento. Ma è pur vero che l’affermato ma non motivato stato
d’insolvenza può essere superato in fase d’impugnazione, alla paridi un vizio di motivazione
della sentenza (Cass.. sez. 1, 05 dicembre 2008. i. 28838 - Cass. sez. L. 26 aprile 2002. n.
6119.
m.
554029).
Del detto problema, dunque. la Corte deve farsene carico, accertando se effettivamente la
società
fosse
anche
insolvente.
Tuttavia, alla stregua di quanto si dirà oltre, appare opportuno rinviare l’esame di questo
passo alla fine della presente motivazione.
III. NON VI E’ CONCRETA VALUTAZIONE SULLA REVOCA DEL
CONCORDATO
E
SULLA
CONGRUENZA
DEL
PIANO.
Con
ulteriore
articolato
motivo
la
ALFA
allega
sostanzialmente:
a) che il piano concordatario a suo tempo presentato era congruente anche alla luce delle
richieste
presentate
dalle
cooperative;
b)
che
non
sussistono
atti
in
frode;
c) che il bilancio presentato in fase di proposta di concordato era corretto e veridico;
d) che gli atti di alienazione posti in essere dalle cooperative non potevano considerarsi
disrnissivi
ma
semplicemente
attuativi
dello
scopo
sociale;
2
che, in sintesi, il piano proposto esitato favorevolmente da una percentuale molto alta di
creditori (66,11%) - poteva essere agevolmente portato a compimento. non essendovi, anche
all’esito della denunzia delle cooperative, nuovi rischi per l’attuazione.
A tal riguardo occorre preliminarmente ricordare come il tribunale, con articolato e complesso
provvedimento, abbia, in definitiva, ritenuto non rappresentato, all’atto della presentazione
della domanda di ammissione al concordato preventivo (ovvero negli atti precedenti le
operazioni di voto) in modo chiaro e trasparente che parte dei crediti inseriti nell’attivo erano
stati ceduti, con girate cambiarie, a propri creditori: cosi facendo apparire esistenti ed esigibili
crediti per ben € 1.793,126,00 (su un totale di € 2.381.487,11) in realtà ceduti; di contro,
includendo proprio
i giratari delle cambiali nel passivo
concordatario.
L’oggetto della fraudolenta omissione informativa deve, secondo il tribunale, riferirsi non
tanto alla circostanza secondo cui le cooperative ebbero a rilasciare titoli di credito che
avrebbero in ogni caso consentito l’esercizio della ALFA dell’azione cartolare e causale a
tutela dei propri crediti, quanto, piuttosto, alle decisive circostanze che dette cambiali erano
state negoziate mediante girate in pagamento in favore di terzi fornitori della ALFA stessa e
poi
inutilmente
portate
all’incasso
dai
terzi
legittimi
portatori.
Come meticolosamente rileva il tribunale, tanto lo stimatore clic il commissario non avevano
mai appreso dell’assenza degli effetti cambiari nel portafogli della società, pur essendo il loro
valore
ricompresso
nei
saldi
contabili.
Il tribunale ha curato di motivare, alla luce delle ricostruzioni fornite con le memorie
difensive
del
6
e
30
ottobre
2009,
che:
I) anteriormente alla espressione del voto certamente non v’era stata adeguata informativa in
mento alla cessione dei un pacchetto di effetti così consistente, tant’è che lo stesso
commissario incaricato, anche a voler giustificare le appostazioni contabili operate, esprimeva
perplessità sull’intera operazione. cosi modificando l’originario parere favorevole, in quanto,
da un lato, i creditori e lui stesso non avevano mai saputo della sostanziale indisponibilità di
un consistente monte titoli per ben 1.8 milioni, dall’altro erano stati ammessi e partecipanti al
voto creditori già soddisfatti proprio con la girata dei suddetti titoli, alterandosi anche le
operazioni di voto: in particolare, verosimilmente, non essendo noto se i suddetti giratari
erano
stati
soddisfatti
o
meno
prima
dell’esercizio
del
detto
voto.
La detta carenza informativa palesandosi ulteriormente in ragione di comportamenti equivoci
tanto delle cooperative debitrici che dei terzi giratari. le prime occultando al commissario
l’effettiva consistenza del debito sino alla denunzia del 28/9/2009. i secondi omettendo di
rappresentare il possesso dei titoli cartolari, in grado di consentire la soddisfazione diretta nei
confronti dei debitori anche al di fuori della procedura concordataria.
2) Anche alla luce di una diversa lettura della contabilità, indotta dalla note difensive della
ALFA dell’ottobre 2009. l’avvenuta cessione del credito in pagamento (cosi qualificata la
girata delle cambiali non consentirebbe, all’esito del mancato pagamento del debitore
principale, La reviviscenza dei crediti in mancanza di riconsegna del documento cartolare
incorporante il credito in applicazione dell’art. 66 della legge cambiaria, sicché sarebbe
erronea l’appostazione dell’intero credito rientra/o nella disponibilità della ALFA dovendo,
piuttosto, l’iscrizione essere subordinata alla riconsegna del titolo impregiudicato da parte del
creditore insoddisfatto; solo a tale condizione essendo la ALFA in grado di poter esigere dal
debitore l’intero debito. non potendo unilateralmente la stessa ALFA risolvere la cessione del
credito
a
suo
tempo
attuata.
Anzi, l’occultamento della verità avrebbe consentito fraudolentemente ai terzi giratari dei
titoli cambiari da un lato di essere ammessi al passivo concordatario nella qualità di creditori
chirografari sulla base dell’azione afferente il rapporto di fornitura e dall’altra di sottrarsi allo
specifico onere di riconsegna alla ALFA dei titoli “impregiudicati” girati in pagamento, in
3
violazione del disposto dell’art. 66, 3° comma, legge cambiaria, creando una corsia
preferenziale
di
soddisfacimento
In altri termini, secondo il tribunale, la ALFA avrebbe esposto un attivo (in buona parte)
inesistente, non potendo appostare crediti incorporati in titoli di credito di cui si era privata
girandoli a terzi e di cui non era rientrata in possesso dopo l’inadempimento del debitore; non
potendo. perciò. legittimamente rappresentare queste poste tra quelle celermente liquidabili al
fine
del
soddisfacimento
del
fabbisogno
concordatario.
Da un lato, dunque, avrebbe consentito ai creditori portatori dei titoli di soddisfarsi al di fuori
del concorso con gli altri creditori e dall’altra avrebbe falsamente attestato crediti oramai non
più
esistenti.
Né a tal uopo sarebbero rilevanti le rettifiche in diminuzione operate in epoca anteriore alla
presentazione
del
piano.
Tutte le ragioni sopra ricordate hanno spinto il Tribunale a ritenere sussistere un’incompleta e
falsa rappresentazione delle attività e passività in concordato, integrando “atti di frode” tali la
legittimare la revoca di cui all’art.173 l.f.. intendendo per atti di frode tutti quei
comportamenti in grado di pregiudicare la formazione di un “consenso informato”, ovvero
capaci di inficiare direttamente le aspettative di soddisfo dei creditori, essendo chiaro che la
ALFA ha intenzionalmente violato, con condotte omissive e commissive. il fondamentale
obbligo di fornire ai creditori una chiara, trasparente e fedele rappresentazione dell’attivo e
del passivo, consentendo finanche. nel corso della procedura. la “concretizzazione”, sul piano
fattuale, del rischio di pregiudizio alla massa dei creditori insito nella fraudolenta
prospettazione.
Alla luce delle suddette considerazioni non può certo dirsi che il tribunale non abbia compiuto
una valutazione analitica sui motivi della revoca. Le decine di pagine spese per motivare la
fraudolenza del piano potrebbero, al più, essere oggetto di censura nel merito non di certo per
sostenere
l’insussistenza
di
adeguata
indagine
e
motivazione.
IV. SULLA CONTESTATA INSOLVENZA DELLE COOPERATIVE DEBITRICI
Il reclamante sostiene, infine, che il Tribunale, nel provvedimento di revoca del concordato,
abbia ma] interpretato i numerosi atti di “dismissione” (recte: assegnazioni) compiute da
cooperative debitrici tra il 25.5.09 a] 8.10.09 in quanto in realtà detti atti di “dismissione”:
costituiscono il naturale scopo dell’istituto mutualistico e costituiscono lo strumento di
tealizzazione del considerevole patrimonio immobiliare” fatto attestare dallo stimatore dei
crediti.
Nonostante l’interpretazione perplessa fornita dal curatore fallimentare nella propria difesa
(cfr. pag. 37), può interpretarsi la doglianza nel senso che l’iscrizione a nuovo degli interi
importi cambiari insoluti avrebbe significato per la ALFA la possibilità di poter integralmente
esigere dai debitori i crediti a suo tempo ceduti consentendo quella realizzazione dell’attivo
prospettata nel piano concordatario. In tal modo, il reclamante vuol sostenere che l’iscrizione
a nuovo dei crediti significherebbe la possibilità di conseguire attivo nel breve periodo,
ristabilendo quella proporzione esposta nel piano concordatario che il tribunale aveva
erroneamente
ritenuto
alterata.
Sennonché il tribunale, nel provvedimento di revoca, si preoccupa di segnalare, qua]e
ulteriore motivo di revoca, quanto rappresentato dal Commissario nelle sue due ultime
relazioni (soprattutto quella del 30.1009). a comprova delle apprese obiettive difficoltà in
ordine alla riscossione dei crediti concordatari vantati nei confronti delle cooperative, ovvero:
• le contestazioni mosse dalle cooperative (dopo il 28.9.09) che si opponevano al pagamento
del loro debito, come (malamente) esposto nella contabilità concordataria, se non previa
4
restituzione dei titoli (nella disponibilità dei terzi giratari) che incartavano il predetto debito;
• la (sopravvenuta) pendenza di procedure per la dichiarazione di fallimento di 2 cooperative
debitrici;
• l’esito di accertamenti a mezzo G.d.F. con cui il Commissario ha preso atto di un “poderoso
piano di alienazione” (tra assegnazioni e vendite) (e, pertanto, di dismissione. con
conseguente gravissima e preoccupante perdita di garanzie) del patrimonio immobiliare (per
ben 79 immnobili!!!), posto in essere da altre cooperative debitrici negli ultimi mesi
precedenti
il
provvedimento
di
revoca
(maggio
ed
ottobre
2009!).
Pertanto, anche in questo caso, l’ulteriore motivo di revoca palesato dal tribunale si concreta
nella scarsa esigibilità del credito dai debitori quand’anche apparissero superabili le superiori
deduzioni in ordine alla mancanza di esigibilità per mancanza del titolo cambiario.
Orbene, anche a voler tacere dell’assenza di consenso informato dei creditori sulle dette
operazioni cambiarle, è ben evidente come, i concetti di attivo prontamente liquidabile e di
insolvenza incombente del debitore siano tra loro in sensibile distonia, al punto da
condizionare fortemente quella preliminare valutazione di fattibilità effettuata in sede
d’apertura della procedura concordataria a termini degli artt. 160 e 161 l.fall.. e d’incidere in
maniera pesante sulla fattibilità del piano rappresentato, per fatti che, a ben vedere, sono
soggettivamente imputabili alla condotta del proponente e rilevanti ai tini dell’art. 173 l,fall.
V. SUGLI ULTERIORI ACCERTAMENTI COMPIUTI DALLA CURATELA
Siccome, secondo un’interpretazione diffusa, il giudizio di reclamo è aperto ai nova, non può
non tenersi conto, ai tini di una valutazione complessiva, tanto della revoca del concordato
che della dichiarazione di fallimento, delle ulteriori deduzioni svolte dalla curatela, quivi di
seguito
riportate
nella
loro
integralità.
Non meno sorprendenti appaiono le note difensive dell’i 1/3/2010 (punto 2), nella parte in cui
il curatore fallimentare ha visto opporre dalle cooperative debitrici di ALFA querela di falso
avverso i certificati di pagamento (per circa 690 cadauno) esibiti nei ricorsi di fallimento
proposti sulla scorta della contabilità prodotta da ALFA stessa nel piano concordatario ad
ulteriore dimostrazione di ben più di qualche semplice disinvoltura nella contabilità
presentata.
Altrettanto dicasi per alcuni crediti (per €. 166.081.23 e 250.464,91) esposti come
prontamente esigibili nei confronti di alcune amministrazioni pubbliche, rivelatisi inesigibili
o. quantomeno, in contenzioso, al punto da avere giustificato la risoluzione per
inadempimento degli appalti in corso e l’escussione delle relative polizze fideiussorie,
Questi dati, nemmeno sufficientemente smentiti, introducono elementi di adeguata riflessione,
tanto in ordine alla revoca che alla dichiarazione di fallimento: sotto un primo profilo la stessa
dichiarazione di attività / passività esposta dalla società esclude che il piano concordatario
possa realizzarsi nei termini esposti, anche se dovessero realizzarsi tutti i recuperi dei crediti
cambiari oggetto di superiore trattazione. A tal proposito basta confrontare il dato esposto
all’atto dell’apertura del fallimento (attività per € 16.514.283,37 e passività per €
36.084.381,72) con quello esposto all’atto della presentazione della domanda di concordato,
per escludere ogni congruenza e proporzionalità (attività per € 15.593.505,78 e passività per €
32.992.445,37): il modesto aumento dell’attivo e svalutato dall’enorme lievitazione del
passivo In aggiunta, l’andamento di parecchi crediti esposti quali esigibili, si è rivelato, in
realtà, del previsione del tutto fallace, visto che il commissario ha indicato tantissimi crediti in
contestazione, dovendosi, anche in questo caso, svalutare ulteriormente l’attivo al valore di
presumibile realizzo, con allargamento della forbice già sfavorevole per i creditori.
5
Sotto altro profilo risulta corroborata quella valutazione sull’insolvenza che, invero, nella
sentenza era effettivamente glissata: a tal proposito è sufficiente rilevare la sussistenza di
numerosi protesti cambiari per ingentissimi importi (per complessivi € 3.500.000,00 — mai
segnalati agli organi concordatari e/o ai creditori —- al fine di fondare quello spartiacque
esistente tra lo stato di crisi e quello d’insolvenza che parte reclamante giustamente sotto il
profilo sistematico invoca per contestare la legittimità della sentenza dichiarativa.
Tuttavia, come già anticipato, siccome il difetto di motivazione della sentenza può e deve
essere corretto nel successivo grado di giudizio, alla constatazione della correttezza
sostanziale del provvedimento non s’abbina la sua riforma ma la semplice integrazione del
percorso
motivazionale.
In questi termini la sussistenza dell’insolvenza è certamente insita negli elementi addotti. dai
quali si ricava piuttosto agevolmente che la società non era certamente in grado di adempiere
con mezzi normali al pagamento delle proprie obbligazioni; che non si tratta certamente di
temporanea superabile difficoltà (ovvero di stato di crisi transeunte) in quanto è uno stato in
cui versa la società già da alcuni anni, al punto da accumulare numerosi protesti cambiari,
senza una effettiva prospettiva di risoluzione, in considerazione della già analizzata infausta
prospettiva di poter soddisfare i creditori sin anche nella modesta prospettiva concordataria,
essendovi uno sbilancio tra attivo e passivo di misura cosi ingente da escludere, secondo un
giudizio di sensata consapevolezza, che la società possa. nel breve periodo, ristabilire una
condizione
di
regolarità.
E’ appena il caso di rammentare che l’insolvenza si manifesta con inadempimenti o altri fatti
esteriori i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le
proprie obbligazioni (art. 5, comma 2. l.fall.): nel caso di specie gli inadempimenti consistono
nei protesti cambiari e nella stessa denunzia fattane dalla società al momento della
proposizione della domanda di concordato; gli altri fatti esteriori sono dati dalla scarsa
esigibilità dell’attivo, consacrata nelle considerazioni sopra svolte (ed in particolare dalla
sostanziale insolvenza dei debitori — cooperative — pluriprotestate). anche in ordine ai
crediti
verso
le
amministrazioni
pubbliche.
In definitiva la sentenza di fallimento è condivisibile ed il reclamo va respinto, assorbendo la
decisione ogni altra valutazione a proposito dell’insussistenza dei presupposti per La revoca
del
concordato
preventivo
ex
art.
173
l.fall.
La complessità della vicenda e la relativa novità di alcune delle questioni sollevate giustifica
la compensazione delle spese di procedimento, anche nei confronti del commissario
liquidatore costituito col medesimo difensore.
**************
La fattispecie
La pronunzia in esame affronta in modo analitico alcune tra le più controverse questioni in tema
di fallimento ed in particolare:
-
l’ammissibilità o meno dei nova nel reclamo alla sentenza di fallimento;
-
l’applicabilità al procedimento per la dichiarazione di fallimento dei principi che regolano
il procedimento a cognizione piena ed in particolare quando e con quali modalità il
principio del contraddittorio viene rispettato.
6
Al fine di meglio comprendere la decisione riportata, appare opportuno esporre brevemente la
vicenda all’esame della Corte di Appello di Napoli.
A seguito di istanza di ammissione al concordato preventivo avanzata dalla società ALFA, il
Tribunale di S. Maria Capua Vetere con decreto la revocava e, su istanza formulata dalla Procura
della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dichiarava, con separata
sentenza, il fallimento di questa società. Avverso la sentenza di fallimento e sul presupposto
decreto di revoca all’ammissione alla procedura di concordato preventivo, la società ALFA
depositava reclamo ex art. 18 l.f. presso la Corte di Appello di Napoli. Con decreto del Presidente
i giudizi venivano riuniti. La difesa della società ALFA eccepiva nei propri atti e verbali di causa
del secondo grado di giudizio: l’errata interpretazione degli artt. 160 e 173 l.f.; la mancata
applicazione dell’art. 15 l.f. e contestuale violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost.;
l’irragionevole motivazione del decreto di revoca all’ammissione del concordato del concordato
preventivo, esitato favorevolmente da una percentuale molto alta di creditori; l’errata lettura da
parte del tribunale della rappresentazione contabile degli effetti insoluti emessi dalle cooperative
debitrici.
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello respinge entrambi i reclami aderendo alle
motivazioni che hanno spinto al fallimento della società ALFA.
Nelle brevi considerazioni che seguiranno ci si limiterà ad analizzare, omettendo qualsiasi tipo di
giudizio sulla lettura contabile effettuata dalla Corte, le problematiche sottese alla disciplina dei
nova nel giudizio di reclamo nonché alla garanzia del diritto di difesa in applicazione del principio
del contraddittorio al procedimento per la dichiarazione di fallimento.
La nuova disciplina del reclamo ex art. 18 l.fall.
Come qualcuno ha osservato il novellato art. 18 della l. fall. ha l’obiettivo di “escludere
l’applicabilità della disciplina dell’appello dettata dal codice di rito ed assicurare l’effetto
pienamente devolutivo dell’impugnazione, com’è necessario, attesi il carattere indisponibile della
materia controversa e gli effetti della sentenza di fallimento, che incide su tutto il patrimonio e
sullo status dl fallito”1. Di contro qualcuno in dottrina ha affermato che la mera sostituzione
formale della parola “appello” con “reclamo” non è solo nominativa ma tende a differenziarli
anche nella forma e nella struttura, restando il reclamo sempre un mezzo di impugnazione che
non può certo esonerarsi dal rispetto dei principi codicistici che regolano le impugnazioni in
Così testualmente nella Relazione accompagnatoria al D.Lgs n. 169/2007. Per un esame completo della Relazione si
richiama Riforma Fallimentare. Lavori preparatori e obiettivi, a cura di M. V IETTI – F. MAROTTA – F. DI MARZIO, II ed.,
Torino, 2008.
1
7
generale2. A parere di chi scrive l’intenzione del legislatore della riforma di differenziare i mezzi di
impugnazione del reclamo e dell’appello non sono certamente di ausilio all’interprete che si trova
combattuto da numerosi dubbi avanzati dalla dottrina e anche da una parte della giurisprudenza.
Difatti, garantendo tra tutti l’apertura ai nova nel reclamo, com’era previsto per l’appello ante
riforma del 1990, viene meno uno dei principi ispiratori del legislatore delegante: la
semplificazione della disciplina fallimentare attraverso l’accelerazione delle procedure applicabili
alle controversie in materia3. Nella sentenza che qui si annota la Corte di appello aprendo il
reclamo ai nova ed alle ulteriori quanto incidenti deduzioni svolte dalla curatela, potrebbe aver
perso, a parere di chi scrive, un’ottima occasione per ricercare risposte ai molteplici dubbi
interpretativi sull’art. 18 l.fall. attraverso il dato testuale offerto dalla stessa norma e sul ricorso
per analogia ai principi generali che regolano le impugnazioni4.
Per meglio inquadrare tali argomentazioni è bene anche soffermarsi sul d. lgs. n. 5/2006 ovvero
la previgente normativa che, pur con qualche opinione discordante, riteneva applicabile
all’appello fallimentare tutti i principi che regolavano l’appello ordinario che impone il divieto di
nuove eccezioni e di nuovi mezzi di prova (art. 345 c.p.c.)5. Questo orientamento a sua volta si è
diviso in due grandi filoni interpretativi: quello più estremo che tende ad assimilare la disciplina
del reclamo ex art. 18 l.f. a quella dell’appello6 e l’altro che, pur affermando l’applicabilità al
reclamo della disciplina dell’appello, conclude per un effetto solo parzialmente devolutivo del
reclamo7.
Con il novellato d. lgs. 169/2007, che modifica il nomen di appello con reclamo, certamente il
dibattito sull’ammissione dei nova non è stato chiarito ed anzi ha seminato più dubbi ed
incertezze, costringendo molte volte l’interprete ad applicare le norme codicistiche ed in
particolare gli artt. 342 e ss. c.p.c. Difatti, non poche sono le pronunce sia di legittimità8 che di
DE SANTIS, La dichiarazione di fallimento, in Trattato di diritto fallimentare diretto da BUONOCORE e BASSI, I, Padova
2010, 369.
3 Cfr. art. 1, punto 6, lett. a, n. 1 L. 14 maggio 2005, n. 80.
4 In tal senso anche P. GENOVIVA, Il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, in Fall., IV, 2010 p. 447.
5 M. FABIANI, Commento all’art.18, in A. JORIO – M. FABIANI, Il nuovo diritto fallimentare, Bologna – Roma, 2006, vol. I,
p. 349-351.; L. GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, Torino, 2006, p. 55. Contra F. SANTANGELI, Il nuovo fallimento,
Milano, 2006, p. 84.
6 M. FABIANI, Il decreto correttivo della legge fallimentare, in Foro it., 2007, V, p. 228; S. C HIMENTI, La sentenza dichiarativa di
fallimento. I mezzi di gravame. Revoca del fallimento: effetti, in G. FAUCEGLIA – L. PANZANI, Fallimento e altre procedure
concorsuali, Milano, 2009, vol. I, p. 251 ss.
7 N. RASCIO, Note sul’impiego del reclamo (in luogo dell’appello) come mezzo per impugnare le sentenze con devoluzione automatica
piena, in Riv.dir. proc., 2008, p. 972 ss.; in tal senso anche E. FORGILLO, L’impugnazione della sentenza di fallimento, in P.
CELENTANO – E. FORGILLO, Fallimento e concordati, Milano, 2008, p. 167 ss.
8 Tra le tante Cass. 25 febbraio 2008, n. 4719, in Mass. Giur. It., 2008; Cass. sez. un., 8 febbraio 2006, n.2636 in Giust.
Civ. mass.; Cass., 18 luglio 2005, n. 15151, in Mass. Giur.it., 2005.
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merito9 che, escludendo l’inquadramento del reclamo come un mezzo impugnatorio a critica
libera ed a contenuto pieno, tendono ad applicare al reclamo, in senso generico, i principi propri
dell’appello. Da ultimo la sentenza della Cassazione nr. 22110 del 28.10.2010 che, ribadendo che
il reclamo è un mezzo di impugnazione che introduce un procedimento caratterizzato dalla
speditezza ed informalità del rito, conclude affermando che deve contenere specifiche critiche al
provvedimento impugnato10. Da una analisi di tale pronuncia ne discende chiaramente che
quando la Corte parla di specifiche critiche al provvedimento impugnato, faccia riferimento al
divieto di ius novorum ed all’obbligo che cade in capo alla parte reclamante di focalizzarsi solo sui
presumibili vizi del provvedimento di primo grado, e, quindi, che nessun elemento emerge da cui
possa desumersi una deroga ai principi imposti per l’appello.
A questo orientamento dottrinale e giurisprudenziale a cui nella sentenza in commento il relatore
non aderisce, visto che il curatore nelle note difensive del reclamo invocava eccezioni riguardanti
alcuni crediti e protesti cambiari che ben poteva proporre in primo grado, se ne oppone altro,
altrettanto incidente, che è propenso ad ampliare l’effetto devolutivo dell’impugnazione avverso
la sentenza di fallimento e, pertanto, non conviene sull’inapplicabilità al nuovo istituto della
preclusione dei nova che, come già accennato pocanzi è propria dell’appello sia nel rito ordinario
che in quello del lavoro. Tale orientamento trova le proprie basi nella consapevolezza
dell’importanza degli interessi in gioco e della necessaria incompletezza della cognizione della fase
prefallimentare e l’aspirazione a garantire la massima espansione possibile al diritto di difesa. A
tali traguardi si giungerebbe solo ampliando le facoltà difensive delle parti ed in particolare del
debitore, ormai dichiarato fallito, nella fase di gravame.
Resta inteso che alla luce delle considerazioni svolte e della giurisprudenza richiamata è necessario
un intervento delle Sezioni Unite prima e del legislatore poi volto ad una rilettura chiara ed
analitica dell’articolo 18 l.f. in comparazione con la normativa dell’appello.
Fallimento e principio del contraddittorio
L’art. 15 l.f., come oramai consolidato in giurisprudenza, evidenzia che il procedimento per la
dichiarazione di fallimento si svolge con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio. E’
chiaro quindi che questo viene classificato come procedimento a cognizione piena, sia pure da
Si ricordano in particolare Trib. Firenze 15 luglio 2002, in Fam Dir., 2003,3, p.263; Trib. Milano 25 marzo 1996, in
Corr. Giur., 1997, 2,p. 216, Trib. Torino 14 maggio 1997, in Giur. It., 1999,p. 538.
10 In tal senso cfr. Cass. n. 4719 del 2008, Cass. n. 6671 del 2006, Cass. n. 6011 del 2003, e Sez. un. n. 5521 del 1983.
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svolgersi con rito camerale, a cui vanno applicati i principi in materia di giudizi contenziosi, primo
fra tutti quello del contraddittorio11.
Tale inquadramento porta a riconoscere che nel procedimento per la dichiarazione di fallimento
non solo viene assicurato l’esercizio pieno del diritto di difesa del debitore, ma anche che il
legislatore l’ha disciplinato come un processo contenzioso a cognizione piena, il che impone
l’applicazione di tutti i principi propri di questo tipo di processo, come il principio del
contradditorio, il principio di terzietà ed imparzialità del giudice, che viene rafforzato anche con
l’aver eliminato la possibilità di dichiarare il fallimento d’ufficio, il principio dispositivo, che non
viene messo in crisi dalla previsione dei poteri ufficiosi istruttori del tribunale12.
Alla luce di tali considerazioni è chiaro che, come già richiamato più volte dalla Suprema Corte, il
rispetto di questi principi avviene in due momenti differenti: il contatto tra due dei soggetti del
processo, ossia tra l’attore-ricorrente ed il giudice, ed infine, la notificazione del ricorso e del
decreto di fissazione dell’udienza, finalizzata alla realizzazione del contraddittorio.
Tali considerazioni, nella sentenza che qui si annota non sono state applicate concretamente.
Difatti, la Corte omette di considerare che il Tribunale sammaritano è arrivato a dichiarare il
fallimento della ALFA s.p.a. sostanzialmente di propria iniziativa, interpretando diversamente da
quanto sopra accennato il combinato disposto di cui agli artt. 160 e 173 l.f..
Il sub procedimento, infatti, deve svolgersi a norma dell’art. 173 “nelle forme di cui all’art. 15 l.f.”
ossia si procederà in camera di consiglio davanti al tribunale in composizione collegiale, le parti
andranno convocate nel rispetto del termine di quindici giorni (eventualmente abbreviabile per
ragioni di urgenza) e il decreto di convocazione, sottoscritto dal Presidente o dal giudice
eventualmente delegato, dovrà esplicitamente e tassativamente contenere l’indicazione delle
finalità del procedimento che nella fattispecie erano la revoca dell’ammissione e l’eventuale
dichiarazione di fallimento, ai fini dell’accertamento dei presupposti previsti dagli artt. 1 e 5 l.f. La
difesa della società ALFA, pertanto, lamenta, con ragioni di diritto ben fondate, che la seconda
parte manca del tutto nel decreto di convocazione, come è mancata del tutto nel successivo
svolgimento del procedimento (in particolare all’udienza di discussione).
In tal senso numerose pronunce di legittimità, da ultimo Cass., 29 ottobre 2009, n. 22926 e Cass., 22 gennaio 2010,
n. 1098.
12 Sostengono la tesi secondo cui l’art. 15 l.f. sia un procedimento a cognizione piena, tra tanti illuminanti in
proposito le argomentazioni di S. DE MATTEIS, Istanza di fallimento del debitore. L’istruttoria prefallimentare, in Fallimento ed
altre procedure concorsuali, diretto da G. FAUCEGLIA e L. PANZANI, Torino, 2009,1, p. 143; poi anche F. DE SANTIS,
Istruttoria prefallimentare e diritto di difesa, in Fall., 2008,p. 328; M. VITIELLO, in Il nuovo fallimento a cura di S. AMBROSINI,
Bologna, 2008, p. 21. A tale orientamento consolidato e maggioritario in dottrina e giurisprudenza, se ne oppone
altro secondo cui il procedimento di cui all’art. 15 l.f. si colloca nel procedimento a cognizione camerale- sommaria,
in tal senso M. MONTANARI, La nuova disciplina del giudizio di aperture del fallimento: questioni aperte in tema di istruzione e
giudizio di fatto, in Fall., 2007, p. 561.
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In particolare la società ALFA, leggendo il decreto di convocazione, notificato ai suoi difensori,
rimarca che da questi si evince indiscutibilmente che il thema decidendum dell’udienza sarebbe stato
esclusivamente la sussistenza dei “presupposti per l’avvio della procedura di cui all’art. 173 l.f. al
fine di addivenire alla revoca dell’ammissione al concordato preventivo; che tale valutazione
assume evidente valore “pregiudiziale” rispetto alla decisione in ordine all’omologa del
concordato preventivo” e null’altro.
Inoltre la società ALFA nei propri atti faceva notare che la norma in questione, così come l’intera
disciplina del concordato preventivo, prevede che il Tribunale si debba limitare a bloccare la
procedura e/o a rigettare la domanda concordataria in presenza dei presupposti di cui agli artt.
162, 173 e 179 qualora l’imprenditore non fosse in situazione di insolvenza conclamata e
lasciando i creditori arbitri della gestione della crisi.
Il Tribunale, su istanza di parte o del pubblico ministero, può pervenire alla dichiarazione di
fallimento all’esito del medesimo procedimento, purchè al debitore imprenditore sia stata
previamente contestata l’insolvenza (artt. 1 e 5 l.f.; in ossequio alla sentenza della Corte Cost. n.
110 del 1972).
Lo stato di “crisi” ed “insolvenza”
E’ importante altresì soffermarsi, seppur brevemente, su un’altra questione che tocca la
pronuncia in commento: lo stato di crisi. Per meglio comprendere tale elemento, valga
considerare che l’art. 160 l.f. non prevede più, quale presupposto oggettivo del concordato
preventivo, lo stato d’insolvenza, ma lo “stato di crisi” che, sebbene non escluda la insolvenza,
non si esaurisce in essa, quanto perché gli artt. 162, 163, 173, 179 e 180 l.f. (nel testo attualmente
vigente ed applicabile ratione temporis) non prevedono più la dichiarazione di fallimento quale
conseguenza necessaria della mancata ammissione, del mancato versamento del deposito per
spese, della revoca dell’ammissione, del mancato raggiungimento della maggioranza e della
mancata omologazione del concordato preventivo, ma richiedono a tal fine un apposito
accertamento dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5 l.f..
Sul punto dottrina e giurisprudenza si sono interrogati sul significato della espressione (stato di
crisi) adottata dal legislatore, del tutto differente, ovviamente dal c.d. «stato di insolvenza»,
giungendo alla ovvia conclusione che «crisi» ed «insolvenza» non sono concetti omologhi o l’uno
sinonimo dell’altro, ma concetti profondamente diversi fra loro, descrittivi di una diversa
condizione della capacità economico-finanziaria dell’impresa. Al di là di una corretta
individuazione del concetto di crisi in senso proprio, appare evidente che questo rappresenta un
genus della difficoltà economica dell’impresa riconducibile anche a condizioni di insolvenza
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temporanea e reversibile, là dove l’«insolvenza» (ex art. 5) è il temine con il quale si rappresenta e
si descrive l’irreversibile ed irrimediabile incapacità dell’impresa ad assolvere alle proprie
obbligazioni quale effetto della perdita di credibilità dell’imprenditore rispetto al mercato.
Se però «crisi» è un termine con il quale si descrive una condizione economico-finanziaria
dell’impresa che può coincidere con la «insolvenza» ma non si esaurisce in questa, potendo
ricomprendere casi e condizioni che manifestano difficoltà economica, ma non insolvenza, è
evidente che il meccanismo previsto dall’art. 173, non può essere più visto come il ponte di
passaggio dalla procedura minore a quella maggiore per il solo verificarsi di una delle fattispecie
contemplate in quest’ultima disposizione. Infatti, al verificarsi di uno dei fatti che portano a
ritenere esistente una «immeritevolezza» (lato sensu intesa) alla prosecuzione della procedura di
concordato, proprio perché potrebbe mancare la condizione della «insolvenza» (unico ed
ineludibile presupposto perché si possa pervenire alla dichiarazione di fallimento), l’impresa non
potrebbe essere dichiarata fallita, con le modalità vincolanti dettate proprio dall’art. 173 l. fall. se
non attraverso una apposita istruttoria che accerti anche la sussistenza dell’estremo della
insolvenza.
Quindi, non risultano automatismi quanto al passaggio tra fase del concordato preventivo e
dichiarazione di fallimento, sennonché, le disposizioni che sono fatte segno di rinvio (artt. 137 e
ss.), essendo collocate dentro un contesto di già accertata ricorrenza dei presupposti per la
dichiarazione di fallimento i cui effetti sono rimasti tuttavia inibiti dal concordato fallimentare,
“non paiono idonee, senza adattamenti opportuni, alla disciplina di una vicenda in cui il venir
meno dell’effetto impeditivo-estintivo del concordato è di per sé incapace, per la natura
preventiva del concordato de quo, di determinare la (neppure virtuale) ri-aperura del fallimento, e
ciò in quanto i presupposti per la dichiarazione di fallimento sono altri da quelli già accertati per l’
ammissione al medesimo concordato preventivo (ai cui soli fini “per stato di crisi si intende anche
lo stato di insolvenza”)”13.
Da tali significative considerazioni la difesa della società ALFA, rimarcata questa scollatura tra
presupposto per l’ammissione e/o prosecuzione alla procedura di concordato preventivo e quello
per l’apertura della procedura per la dichiarazione di fallimento, evidenzia alcune conseguenze di
ordine procedimentale di non modesto rilievo che avrebbero potuto portare la Corte ad una
differente ed innovativa pronuncia.
Difatti, nella fase che precede la dichiarazione di fallimento, il diritto di difesa dell’imprenditore
insolvente, in considerazione del carattere camerale e sommario del relativo procedimento, può
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F. AULETTA, art. 6 l.f., in Commentario alla legge fallimentare, a cura di C. CAVALLINI e S. RECCHIONI, Milano, 2009.
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essere garantito non solo, ai sensi dell’art. 15 l.f., mediante l’audizione del debitore da parte del
tribunale o del giudice relatore, ma anche mediante l’attribuzione della facoltà di presentare scritti
difensivi e documenti: il procedimento è, quindi, volto all’accertamento dei presupposti per la
dichiarazione di fallimento e il “tribunale può delegare al giudice relatore l’audizione delle parti.
In tal caso, il giudice delegato provvede all’ammissione ed all’espletamento dei mezzi istruttori
richiesti dalle parti o disposti d’ufficio. Le parti possono nominare consulenti tecnici.”.
In definitiva, al debitore va assicurata la effettiva consapevolezza circa la questione oggetto del
giudizio e la necessità di assicurargli una difesa adeguata e, pertanto, deve esser stato posto nella
condizione di conoscere e di contrastare, o personalmente o con la presentazione di memorie o
con altri mezzi, le ragioni a sostegno dell’istanza di fallimento ritualmente attivata.
In conclusione, a prescindere dalla sussistenza o meno delle condizioni per la revoca
dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo, commessi anche in epoca antecedente
alla proposta di concordato, si può anche procedere alla dichiarazione di fallimento
dell’imprenditore, purché sia accertata l’irreversibilità della crisi, da verificare, nel rispetto del
diritto di difesa, nel procedimento ex art. 15 l.f. ritualmente attivato, cosa che, nel caso in esame,
non può dirsi affatto esser effettuato e, quindi, garantita alla ALFA s.p.a., la quale non essendo
stata informata della discussione sul punto non ha potuto svolgere alcuna attività difensiva..
Pertanto, in quest’ottica non è stato concesso alla società ALFA il diritto di difesa
costituzionalmente garantito all’art. 24 e quello del contraddittorio, che evidentemente come da
decreto di convocazione, si è limitato, ai profili riguardanti la revoca.
AVV. GIANLUIGI PASSARELLI
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