QUESTIONI CONTROVERSE IN TEMA DI RECLAMO EX ART. 18 L.F.
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QUESTIONI CONTROVERSE IN TEMA DI RECLAMO EX ART. 18 L.F.
QUESTIONI CONTROVERSE IN TEMA DI RECLAMO EX ART. 18 L.F. L’Autore trae spunto dalla decisione in commento per analizzare alcuni aspetti ancora “critici” della disciplina del reclamo proposto dal debitore avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, dall’ammissibilità o meno dei “nova” nel reclamo alla sentenza di fallimento, al principio del contraddittorio per poi finire alla definizione di stato “crisi” ed “insolvenza”. Corte di Appello di Napoli, Sez. 1, sent. n. 118/2010 del 2.7.2010, Pres. Annunziata, Rel. Forgillo - Alfa S.p.A. c/. Fallimento della Alfa S.p.A. LA CORTE (omissis) La complessità delle questioni sollevate impone la trattazione per capitoli. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha revocato l’ammissione al concordato preventivo della s.p.a. Emini, in base all’art. 173 l.fall.. reputando integrata la sussistenza degli fraudolenti anteriori o comunque successivi all’ammissione al concordato (cfr. decreto di revoca); con separata contestuale sentenza ha, inoltre, dichiarato il fallimento della suddetta società sull’istanza del P.M. Parte reclamante ha impugnato tanto il decreto di revoca che la sentenza di fallimento, con atti separati, pur nella piena consapevolezza di orientamenti tendenti ad escludere l’impugnativa autonoma quando alla revoca consegua la sentenza. Occorre, allora pronunziarsi su questa prima questione. I. PROPOSIZIONE DI SEPARATA IMPUGNATIVA DEL DECRETO DI REVOCA DELLA PROCEDURA DI CONCORDATO Osserva il reclamante quanto segue. Essendo stata, nel caso di specie, disposta la riunione dei separati reclami per evidenti ragioni di connessione soggettiva e oggettiva e, in ogni caso, per evitare che potessero emettersi decisioni tra loro contraddittorie, la questione teorica perde d’obiettivo interesse, non senza, però, evidenziare come, condivisa la soluzio- ne dottrinaria indicata dalla stessa parte reclamante, si ponga un problema di legittimazione a resistere, in questo caso correttamente superato dagli organi della procedura. autorizzando la costituzione tanto del commissario (unico legittimato passivo nel caso di reclamo al decreto di revoca) che del curatore (unico legittimato passivo nel caso di reclamo alla sentenza di fallimento), sicché potrebbe. al più. residuare questione riguardo alle spese del giudizio. II. E’ STATO DICHIARATO UN FALLIMENTO D’UFFICIO a. Col secondo motivo parte reclamante contesta la regolarità del procedimento, sostenendo, in sintesi, che sarebbe stato dichiarato il fallimento senza preventivo avvertimento al debitore della finalizzazione (oltre alla revoca del concordato) anche alla eventuale dichiarazione di fallimento; b. con ulteriore deduzione parte reclamante allega la sostanziale invalidità del ricorso del P.M. perché redatto in data 1/6/2009 (ancorché presentato a settembre dello stesso anno), quando la società era ancora in concordato per effetto della prima ammissione, sub judice davanti alla Corte d’appello. I due motivi possono essere esaminati e respinti con le condivisibili parole spese del curatore del fallimento al riguardo: « 1 In questi termini la deduzione che il P.M. non avrebbe supportato il proprio ricorso con documentazione e sarebbe unicamente fondato sull’apodittica richiesta di fallimento appare sostanzialmente irrilevante, tanto in ragione delle emergenze della procedura concordataria, tanto in ragione degli accertamenti che il tribunale può compiere in virtù del disposto dell’art. 18, 4 comma. l.fall. c. Inoltre, la reclamante contesta che nessun accertamento è stato svolto in merito alla sussistenza dell’insolvenza, solo pronunziata dal P.M. in sede di ricorso e dal tribunale nel corpo della sentenza. 11 motivo è fondato: non sembra sia stato svolto uno specifico accertamento in ordine allo stato d’insolvenza; il decreto di revoca si diffonde alquanto sulla sussistenza dei motivi per pervenire chiudere la procedura di concordato ma non prende alcuna specifica conclusione circa lo stato d’insolvenza (e. d’altra parte, non era quella la sede per accertarla). mentre la sentenza si limita, genericamente, ad indicare che alla luce della documentazione allegata alla domanda di ammissione al concordato preventivo nonché delle circostanze emerse nel corso della medesima procedura. emerge palesemente lo stato di insolvenza della ALFA così offrendo il destro al reclamante per affermare l’illegittimità della decisione. Invero, il novellato art. 160 l.fall.. consentendo all’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza (ultimo comma) la proposizione della domanda di concordato preventivo. evidentemente amplia la gamma delle situazioni suscettibili di ammissione. innovando il precedente sistema favorevole per il solo imprenditore insolvente. Tuttavia, il solo imprenditore insolvente può anche fallire (art. I e 5 l.fall. in ragione di tale differenziazione il legislatore, non a caso, ha eliminato l’automatismo tra insuccesso nel piano concordatario e fallimento, prevedendo specificamente che il tribunale, in caso di revoca ex art. 173 l.fall., per poter dichiarare il fallimento, deve, ricevuto l’atto d’impulso dai legittimati, accertare i presupposti di cui agli artt. I e 5 l.fall. comma 2). Ed analogo accertamento deve svolgere ancor prima, quando, nella fase di verifica dell’ammissibilità, non ritenga ricorrano i presupposti di cui all’ an. 160 l.fall. (v. art. 162,2° comma l.fall.). a dimostrazione che l’apertura della procedura di concordato non è, in caso d’insuccesso, l’anticamera del fallimento. Tant’è che lo stesso art. 173 prevede implicitamente la revoca del concordato senza contestuale apertura del fallimento. Ma è pur vero che l’affermato ma non motivato stato d’insolvenza può essere superato in fase d’impugnazione, alla paridi un vizio di motivazione della sentenza (Cass.. sez. 1, 05 dicembre 2008. i. 28838 - Cass. sez. L. 26 aprile 2002. n. 6119. m. 554029). Del detto problema, dunque. la Corte deve farsene carico, accertando se effettivamente la società fosse anche insolvente. Tuttavia, alla stregua di quanto si dirà oltre, appare opportuno rinviare l’esame di questo passo alla fine della presente motivazione. III. NON VI E’ CONCRETA VALUTAZIONE SULLA REVOCA DEL CONCORDATO E SULLA CONGRUENZA DEL PIANO. Con ulteriore articolato motivo la ALFA allega sostanzialmente: a) che il piano concordatario a suo tempo presentato era congruente anche alla luce delle richieste presentate dalle cooperative; b) che non sussistono atti in frode; c) che il bilancio presentato in fase di proposta di concordato era corretto e veridico; d) che gli atti di alienazione posti in essere dalle cooperative non potevano considerarsi disrnissivi ma semplicemente attuativi dello scopo sociale; 2 che, in sintesi, il piano proposto esitato favorevolmente da una percentuale molto alta di creditori (66,11%) - poteva essere agevolmente portato a compimento. non essendovi, anche all’esito della denunzia delle cooperative, nuovi rischi per l’attuazione. A tal riguardo occorre preliminarmente ricordare come il tribunale, con articolato e complesso provvedimento, abbia, in definitiva, ritenuto non rappresentato, all’atto della presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo (ovvero negli atti precedenti le operazioni di voto) in modo chiaro e trasparente che parte dei crediti inseriti nell’attivo erano stati ceduti, con girate cambiarie, a propri creditori: cosi facendo apparire esistenti ed esigibili crediti per ben € 1.793,126,00 (su un totale di € 2.381.487,11) in realtà ceduti; di contro, includendo proprio i giratari delle cambiali nel passivo concordatario. L’oggetto della fraudolenta omissione informativa deve, secondo il tribunale, riferirsi non tanto alla circostanza secondo cui le cooperative ebbero a rilasciare titoli di credito che avrebbero in ogni caso consentito l’esercizio della ALFA dell’azione cartolare e causale a tutela dei propri crediti, quanto, piuttosto, alle decisive circostanze che dette cambiali erano state negoziate mediante girate in pagamento in favore di terzi fornitori della ALFA stessa e poi inutilmente portate all’incasso dai terzi legittimi portatori. Come meticolosamente rileva il tribunale, tanto lo stimatore clic il commissario non avevano mai appreso dell’assenza degli effetti cambiari nel portafogli della società, pur essendo il loro valore ricompresso nei saldi contabili. Il tribunale ha curato di motivare, alla luce delle ricostruzioni fornite con le memorie difensive del 6 e 30 ottobre 2009, che: I) anteriormente alla espressione del voto certamente non v’era stata adeguata informativa in mento alla cessione dei un pacchetto di effetti così consistente, tant’è che lo stesso commissario incaricato, anche a voler giustificare le appostazioni contabili operate, esprimeva perplessità sull’intera operazione. cosi modificando l’originario parere favorevole, in quanto, da un lato, i creditori e lui stesso non avevano mai saputo della sostanziale indisponibilità di un consistente monte titoli per ben 1.8 milioni, dall’altro erano stati ammessi e partecipanti al voto creditori già soddisfatti proprio con la girata dei suddetti titoli, alterandosi anche le operazioni di voto: in particolare, verosimilmente, non essendo noto se i suddetti giratari erano stati soddisfatti o meno prima dell’esercizio del detto voto. La detta carenza informativa palesandosi ulteriormente in ragione di comportamenti equivoci tanto delle cooperative debitrici che dei terzi giratari. le prime occultando al commissario l’effettiva consistenza del debito sino alla denunzia del 28/9/2009. i secondi omettendo di rappresentare il possesso dei titoli cartolari, in grado di consentire la soddisfazione diretta nei confronti dei debitori anche al di fuori della procedura concordataria. 2) Anche alla luce di una diversa lettura della contabilità, indotta dalla note difensive della ALFA dell’ottobre 2009. l’avvenuta cessione del credito in pagamento (cosi qualificata la girata delle cambiali non consentirebbe, all’esito del mancato pagamento del debitore principale, La reviviscenza dei crediti in mancanza di riconsegna del documento cartolare incorporante il credito in applicazione dell’art. 66 della legge cambiaria, sicché sarebbe erronea l’appostazione dell’intero credito rientra/o nella disponibilità della ALFA dovendo, piuttosto, l’iscrizione essere subordinata alla riconsegna del titolo impregiudicato da parte del creditore insoddisfatto; solo a tale condizione essendo la ALFA in grado di poter esigere dal debitore l’intero debito. non potendo unilateralmente la stessa ALFA risolvere la cessione del credito a suo tempo attuata. Anzi, l’occultamento della verità avrebbe consentito fraudolentemente ai terzi giratari dei titoli cambiari da un lato di essere ammessi al passivo concordatario nella qualità di creditori chirografari sulla base dell’azione afferente il rapporto di fornitura e dall’altra di sottrarsi allo specifico onere di riconsegna alla ALFA dei titoli “impregiudicati” girati in pagamento, in 3 violazione del disposto dell’art. 66, 3° comma, legge cambiaria, creando una corsia preferenziale di soddisfacimento In altri termini, secondo il tribunale, la ALFA avrebbe esposto un attivo (in buona parte) inesistente, non potendo appostare crediti incorporati in titoli di credito di cui si era privata girandoli a terzi e di cui non era rientrata in possesso dopo l’inadempimento del debitore; non potendo. perciò. legittimamente rappresentare queste poste tra quelle celermente liquidabili al fine del soddisfacimento del fabbisogno concordatario. Da un lato, dunque, avrebbe consentito ai creditori portatori dei titoli di soddisfarsi al di fuori del concorso con gli altri creditori e dall’altra avrebbe falsamente attestato crediti oramai non più esistenti. Né a tal uopo sarebbero rilevanti le rettifiche in diminuzione operate in epoca anteriore alla presentazione del piano. Tutte le ragioni sopra ricordate hanno spinto il Tribunale a ritenere sussistere un’incompleta e falsa rappresentazione delle attività e passività in concordato, integrando “atti di frode” tali la legittimare la revoca di cui all’art.173 l.f.. intendendo per atti di frode tutti quei comportamenti in grado di pregiudicare la formazione di un “consenso informato”, ovvero capaci di inficiare direttamente le aspettative di soddisfo dei creditori, essendo chiaro che la ALFA ha intenzionalmente violato, con condotte omissive e commissive. il fondamentale obbligo di fornire ai creditori una chiara, trasparente e fedele rappresentazione dell’attivo e del passivo, consentendo finanche. nel corso della procedura. la “concretizzazione”, sul piano fattuale, del rischio di pregiudizio alla massa dei creditori insito nella fraudolenta prospettazione. Alla luce delle suddette considerazioni non può certo dirsi che il tribunale non abbia compiuto una valutazione analitica sui motivi della revoca. Le decine di pagine spese per motivare la fraudolenza del piano potrebbero, al più, essere oggetto di censura nel merito non di certo per sostenere l’insussistenza di adeguata indagine e motivazione. IV. SULLA CONTESTATA INSOLVENZA DELLE COOPERATIVE DEBITRICI Il reclamante sostiene, infine, che il Tribunale, nel provvedimento di revoca del concordato, abbia ma] interpretato i numerosi atti di “dismissione” (recte: assegnazioni) compiute da cooperative debitrici tra il 25.5.09 a] 8.10.09 in quanto in realtà detti atti di “dismissione”: costituiscono il naturale scopo dell’istituto mutualistico e costituiscono lo strumento di tealizzazione del considerevole patrimonio immobiliare” fatto attestare dallo stimatore dei crediti. Nonostante l’interpretazione perplessa fornita dal curatore fallimentare nella propria difesa (cfr. pag. 37), può interpretarsi la doglianza nel senso che l’iscrizione a nuovo degli interi importi cambiari insoluti avrebbe significato per la ALFA la possibilità di poter integralmente esigere dai debitori i crediti a suo tempo ceduti consentendo quella realizzazione dell’attivo prospettata nel piano concordatario. In tal modo, il reclamante vuol sostenere che l’iscrizione a nuovo dei crediti significherebbe la possibilità di conseguire attivo nel breve periodo, ristabilendo quella proporzione esposta nel piano concordatario che il tribunale aveva erroneamente ritenuto alterata. Sennonché il tribunale, nel provvedimento di revoca, si preoccupa di segnalare, qua]e ulteriore motivo di revoca, quanto rappresentato dal Commissario nelle sue due ultime relazioni (soprattutto quella del 30.1009). a comprova delle apprese obiettive difficoltà in ordine alla riscossione dei crediti concordatari vantati nei confronti delle cooperative, ovvero: • le contestazioni mosse dalle cooperative (dopo il 28.9.09) che si opponevano al pagamento del loro debito, come (malamente) esposto nella contabilità concordataria, se non previa 4 restituzione dei titoli (nella disponibilità dei terzi giratari) che incartavano il predetto debito; • la (sopravvenuta) pendenza di procedure per la dichiarazione di fallimento di 2 cooperative debitrici; • l’esito di accertamenti a mezzo G.d.F. con cui il Commissario ha preso atto di un “poderoso piano di alienazione” (tra assegnazioni e vendite) (e, pertanto, di dismissione. con conseguente gravissima e preoccupante perdita di garanzie) del patrimonio immobiliare (per ben 79 immnobili!!!), posto in essere da altre cooperative debitrici negli ultimi mesi precedenti il provvedimento di revoca (maggio ed ottobre 2009!). Pertanto, anche in questo caso, l’ulteriore motivo di revoca palesato dal tribunale si concreta nella scarsa esigibilità del credito dai debitori quand’anche apparissero superabili le superiori deduzioni in ordine alla mancanza di esigibilità per mancanza del titolo cambiario. Orbene, anche a voler tacere dell’assenza di consenso informato dei creditori sulle dette operazioni cambiarle, è ben evidente come, i concetti di attivo prontamente liquidabile e di insolvenza incombente del debitore siano tra loro in sensibile distonia, al punto da condizionare fortemente quella preliminare valutazione di fattibilità effettuata in sede d’apertura della procedura concordataria a termini degli artt. 160 e 161 l.fall.. e d’incidere in maniera pesante sulla fattibilità del piano rappresentato, per fatti che, a ben vedere, sono soggettivamente imputabili alla condotta del proponente e rilevanti ai tini dell’art. 173 l,fall. V. SUGLI ULTERIORI ACCERTAMENTI COMPIUTI DALLA CURATELA Siccome, secondo un’interpretazione diffusa, il giudizio di reclamo è aperto ai nova, non può non tenersi conto, ai tini di una valutazione complessiva, tanto della revoca del concordato che della dichiarazione di fallimento, delle ulteriori deduzioni svolte dalla curatela, quivi di seguito riportate nella loro integralità. Non meno sorprendenti appaiono le note difensive dell’i 1/3/2010 (punto 2), nella parte in cui il curatore fallimentare ha visto opporre dalle cooperative debitrici di ALFA querela di falso avverso i certificati di pagamento (per circa 690 cadauno) esibiti nei ricorsi di fallimento proposti sulla scorta della contabilità prodotta da ALFA stessa nel piano concordatario ad ulteriore dimostrazione di ben più di qualche semplice disinvoltura nella contabilità presentata. Altrettanto dicasi per alcuni crediti (per €. 166.081.23 e 250.464,91) esposti come prontamente esigibili nei confronti di alcune amministrazioni pubbliche, rivelatisi inesigibili o. quantomeno, in contenzioso, al punto da avere giustificato la risoluzione per inadempimento degli appalti in corso e l’escussione delle relative polizze fideiussorie, Questi dati, nemmeno sufficientemente smentiti, introducono elementi di adeguata riflessione, tanto in ordine alla revoca che alla dichiarazione di fallimento: sotto un primo profilo la stessa dichiarazione di attività / passività esposta dalla società esclude che il piano concordatario possa realizzarsi nei termini esposti, anche se dovessero realizzarsi tutti i recuperi dei crediti cambiari oggetto di superiore trattazione. A tal proposito basta confrontare il dato esposto all’atto dell’apertura del fallimento (attività per € 16.514.283,37 e passività per € 36.084.381,72) con quello esposto all’atto della presentazione della domanda di concordato, per escludere ogni congruenza e proporzionalità (attività per € 15.593.505,78 e passività per € 32.992.445,37): il modesto aumento dell’attivo e svalutato dall’enorme lievitazione del passivo In aggiunta, l’andamento di parecchi crediti esposti quali esigibili, si è rivelato, in realtà, del previsione del tutto fallace, visto che il commissario ha indicato tantissimi crediti in contestazione, dovendosi, anche in questo caso, svalutare ulteriormente l’attivo al valore di presumibile realizzo, con allargamento della forbice già sfavorevole per i creditori. 5 Sotto altro profilo risulta corroborata quella valutazione sull’insolvenza che, invero, nella sentenza era effettivamente glissata: a tal proposito è sufficiente rilevare la sussistenza di numerosi protesti cambiari per ingentissimi importi (per complessivi € 3.500.000,00 — mai segnalati agli organi concordatari e/o ai creditori —- al fine di fondare quello spartiacque esistente tra lo stato di crisi e quello d’insolvenza che parte reclamante giustamente sotto il profilo sistematico invoca per contestare la legittimità della sentenza dichiarativa. Tuttavia, come già anticipato, siccome il difetto di motivazione della sentenza può e deve essere corretto nel successivo grado di giudizio, alla constatazione della correttezza sostanziale del provvedimento non s’abbina la sua riforma ma la semplice integrazione del percorso motivazionale. In questi termini la sussistenza dell’insolvenza è certamente insita negli elementi addotti. dai quali si ricava piuttosto agevolmente che la società non era certamente in grado di adempiere con mezzi normali al pagamento delle proprie obbligazioni; che non si tratta certamente di temporanea superabile difficoltà (ovvero di stato di crisi transeunte) in quanto è uno stato in cui versa la società già da alcuni anni, al punto da accumulare numerosi protesti cambiari, senza una effettiva prospettiva di risoluzione, in considerazione della già analizzata infausta prospettiva di poter soddisfare i creditori sin anche nella modesta prospettiva concordataria, essendovi uno sbilancio tra attivo e passivo di misura cosi ingente da escludere, secondo un giudizio di sensata consapevolezza, che la società possa. nel breve periodo, ristabilire una condizione di regolarità. E’ appena il caso di rammentare che l’insolvenza si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (art. 5, comma 2. l.fall.): nel caso di specie gli inadempimenti consistono nei protesti cambiari e nella stessa denunzia fattane dalla società al momento della proposizione della domanda di concordato; gli altri fatti esteriori sono dati dalla scarsa esigibilità dell’attivo, consacrata nelle considerazioni sopra svolte (ed in particolare dalla sostanziale insolvenza dei debitori — cooperative — pluriprotestate). anche in ordine ai crediti verso le amministrazioni pubbliche. In definitiva la sentenza di fallimento è condivisibile ed il reclamo va respinto, assorbendo la decisione ogni altra valutazione a proposito dell’insussistenza dei presupposti per La revoca del concordato preventivo ex art. 173 l.fall. La complessità della vicenda e la relativa novità di alcune delle questioni sollevate giustifica la compensazione delle spese di procedimento, anche nei confronti del commissario liquidatore costituito col medesimo difensore. ************** La fattispecie La pronunzia in esame affronta in modo analitico alcune tra le più controverse questioni in tema di fallimento ed in particolare: - l’ammissibilità o meno dei nova nel reclamo alla sentenza di fallimento; - l’applicabilità al procedimento per la dichiarazione di fallimento dei principi che regolano il procedimento a cognizione piena ed in particolare quando e con quali modalità il principio del contraddittorio viene rispettato. 6 Al fine di meglio comprendere la decisione riportata, appare opportuno esporre brevemente la vicenda all’esame della Corte di Appello di Napoli. A seguito di istanza di ammissione al concordato preventivo avanzata dalla società ALFA, il Tribunale di S. Maria Capua Vetere con decreto la revocava e, su istanza formulata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dichiarava, con separata sentenza, il fallimento di questa società. Avverso la sentenza di fallimento e sul presupposto decreto di revoca all’ammissione alla procedura di concordato preventivo, la società ALFA depositava reclamo ex art. 18 l.f. presso la Corte di Appello di Napoli. Con decreto del Presidente i giudizi venivano riuniti. La difesa della società ALFA eccepiva nei propri atti e verbali di causa del secondo grado di giudizio: l’errata interpretazione degli artt. 160 e 173 l.f.; la mancata applicazione dell’art. 15 l.f. e contestuale violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost.; l’irragionevole motivazione del decreto di revoca all’ammissione del concordato del concordato preventivo, esitato favorevolmente da una percentuale molto alta di creditori; l’errata lettura da parte del tribunale della rappresentazione contabile degli effetti insoluti emessi dalle cooperative debitrici. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello respinge entrambi i reclami aderendo alle motivazioni che hanno spinto al fallimento della società ALFA. Nelle brevi considerazioni che seguiranno ci si limiterà ad analizzare, omettendo qualsiasi tipo di giudizio sulla lettura contabile effettuata dalla Corte, le problematiche sottese alla disciplina dei nova nel giudizio di reclamo nonché alla garanzia del diritto di difesa in applicazione del principio del contraddittorio al procedimento per la dichiarazione di fallimento. La nuova disciplina del reclamo ex art. 18 l.fall. Come qualcuno ha osservato il novellato art. 18 della l. fall. ha l’obiettivo di “escludere l’applicabilità della disciplina dell’appello dettata dal codice di rito ed assicurare l’effetto pienamente devolutivo dell’impugnazione, com’è necessario, attesi il carattere indisponibile della materia controversa e gli effetti della sentenza di fallimento, che incide su tutto il patrimonio e sullo status dl fallito”1. Di contro qualcuno in dottrina ha affermato che la mera sostituzione formale della parola “appello” con “reclamo” non è solo nominativa ma tende a differenziarli anche nella forma e nella struttura, restando il reclamo sempre un mezzo di impugnazione che non può certo esonerarsi dal rispetto dei principi codicistici che regolano le impugnazioni in Così testualmente nella Relazione accompagnatoria al D.Lgs n. 169/2007. Per un esame completo della Relazione si richiama Riforma Fallimentare. Lavori preparatori e obiettivi, a cura di M. V IETTI – F. MAROTTA – F. DI MARZIO, II ed., Torino, 2008. 1 7 generale2. A parere di chi scrive l’intenzione del legislatore della riforma di differenziare i mezzi di impugnazione del reclamo e dell’appello non sono certamente di ausilio all’interprete che si trova combattuto da numerosi dubbi avanzati dalla dottrina e anche da una parte della giurisprudenza. Difatti, garantendo tra tutti l’apertura ai nova nel reclamo, com’era previsto per l’appello ante riforma del 1990, viene meno uno dei principi ispiratori del legislatore delegante: la semplificazione della disciplina fallimentare attraverso l’accelerazione delle procedure applicabili alle controversie in materia3. Nella sentenza che qui si annota la Corte di appello aprendo il reclamo ai nova ed alle ulteriori quanto incidenti deduzioni svolte dalla curatela, potrebbe aver perso, a parere di chi scrive, un’ottima occasione per ricercare risposte ai molteplici dubbi interpretativi sull’art. 18 l.fall. attraverso il dato testuale offerto dalla stessa norma e sul ricorso per analogia ai principi generali che regolano le impugnazioni4. Per meglio inquadrare tali argomentazioni è bene anche soffermarsi sul d. lgs. n. 5/2006 ovvero la previgente normativa che, pur con qualche opinione discordante, riteneva applicabile all’appello fallimentare tutti i principi che regolavano l’appello ordinario che impone il divieto di nuove eccezioni e di nuovi mezzi di prova (art. 345 c.p.c.)5. Questo orientamento a sua volta si è diviso in due grandi filoni interpretativi: quello più estremo che tende ad assimilare la disciplina del reclamo ex art. 18 l.f. a quella dell’appello6 e l’altro che, pur affermando l’applicabilità al reclamo della disciplina dell’appello, conclude per un effetto solo parzialmente devolutivo del reclamo7. Con il novellato d. lgs. 169/2007, che modifica il nomen di appello con reclamo, certamente il dibattito sull’ammissione dei nova non è stato chiarito ed anzi ha seminato più dubbi ed incertezze, costringendo molte volte l’interprete ad applicare le norme codicistiche ed in particolare gli artt. 342 e ss. c.p.c. Difatti, non poche sono le pronunce sia di legittimità8 che di DE SANTIS, La dichiarazione di fallimento, in Trattato di diritto fallimentare diretto da BUONOCORE e BASSI, I, Padova 2010, 369. 3 Cfr. art. 1, punto 6, lett. a, n. 1 L. 14 maggio 2005, n. 80. 4 In tal senso anche P. GENOVIVA, Il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, in Fall., IV, 2010 p. 447. 5 M. FABIANI, Commento all’art.18, in A. JORIO – M. FABIANI, Il nuovo diritto fallimentare, Bologna – Roma, 2006, vol. I, p. 349-351.; L. GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, Torino, 2006, p. 55. Contra F. SANTANGELI, Il nuovo fallimento, Milano, 2006, p. 84. 6 M. FABIANI, Il decreto correttivo della legge fallimentare, in Foro it., 2007, V, p. 228; S. C HIMENTI, La sentenza dichiarativa di fallimento. I mezzi di gravame. Revoca del fallimento: effetti, in G. FAUCEGLIA – L. PANZANI, Fallimento e altre procedure concorsuali, Milano, 2009, vol. I, p. 251 ss. 7 N. RASCIO, Note sul’impiego del reclamo (in luogo dell’appello) come mezzo per impugnare le sentenze con devoluzione automatica piena, in Riv.dir. proc., 2008, p. 972 ss.; in tal senso anche E. FORGILLO, L’impugnazione della sentenza di fallimento, in P. CELENTANO – E. FORGILLO, Fallimento e concordati, Milano, 2008, p. 167 ss. 8 Tra le tante Cass. 25 febbraio 2008, n. 4719, in Mass. Giur. It., 2008; Cass. sez. un., 8 febbraio 2006, n.2636 in Giust. Civ. mass.; Cass., 18 luglio 2005, n. 15151, in Mass. Giur.it., 2005. 2 8 merito9 che, escludendo l’inquadramento del reclamo come un mezzo impugnatorio a critica libera ed a contenuto pieno, tendono ad applicare al reclamo, in senso generico, i principi propri dell’appello. Da ultimo la sentenza della Cassazione nr. 22110 del 28.10.2010 che, ribadendo che il reclamo è un mezzo di impugnazione che introduce un procedimento caratterizzato dalla speditezza ed informalità del rito, conclude affermando che deve contenere specifiche critiche al provvedimento impugnato10. Da una analisi di tale pronuncia ne discende chiaramente che quando la Corte parla di specifiche critiche al provvedimento impugnato, faccia riferimento al divieto di ius novorum ed all’obbligo che cade in capo alla parte reclamante di focalizzarsi solo sui presumibili vizi del provvedimento di primo grado, e, quindi, che nessun elemento emerge da cui possa desumersi una deroga ai principi imposti per l’appello. A questo orientamento dottrinale e giurisprudenziale a cui nella sentenza in commento il relatore non aderisce, visto che il curatore nelle note difensive del reclamo invocava eccezioni riguardanti alcuni crediti e protesti cambiari che ben poteva proporre in primo grado, se ne oppone altro, altrettanto incidente, che è propenso ad ampliare l’effetto devolutivo dell’impugnazione avverso la sentenza di fallimento e, pertanto, non conviene sull’inapplicabilità al nuovo istituto della preclusione dei nova che, come già accennato pocanzi è propria dell’appello sia nel rito ordinario che in quello del lavoro. Tale orientamento trova le proprie basi nella consapevolezza dell’importanza degli interessi in gioco e della necessaria incompletezza della cognizione della fase prefallimentare e l’aspirazione a garantire la massima espansione possibile al diritto di difesa. A tali traguardi si giungerebbe solo ampliando le facoltà difensive delle parti ed in particolare del debitore, ormai dichiarato fallito, nella fase di gravame. Resta inteso che alla luce delle considerazioni svolte e della giurisprudenza richiamata è necessario un intervento delle Sezioni Unite prima e del legislatore poi volto ad una rilettura chiara ed analitica dell’articolo 18 l.f. in comparazione con la normativa dell’appello. Fallimento e principio del contraddittorio L’art. 15 l.f., come oramai consolidato in giurisprudenza, evidenzia che il procedimento per la dichiarazione di fallimento si svolge con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio. E’ chiaro quindi che questo viene classificato come procedimento a cognizione piena, sia pure da Si ricordano in particolare Trib. Firenze 15 luglio 2002, in Fam Dir., 2003,3, p.263; Trib. Milano 25 marzo 1996, in Corr. Giur., 1997, 2,p. 216, Trib. Torino 14 maggio 1997, in Giur. It., 1999,p. 538. 10 In tal senso cfr. Cass. n. 4719 del 2008, Cass. n. 6671 del 2006, Cass. n. 6011 del 2003, e Sez. un. n. 5521 del 1983. 9 9 svolgersi con rito camerale, a cui vanno applicati i principi in materia di giudizi contenziosi, primo fra tutti quello del contraddittorio11. Tale inquadramento porta a riconoscere che nel procedimento per la dichiarazione di fallimento non solo viene assicurato l’esercizio pieno del diritto di difesa del debitore, ma anche che il legislatore l’ha disciplinato come un processo contenzioso a cognizione piena, il che impone l’applicazione di tutti i principi propri di questo tipo di processo, come il principio del contradditorio, il principio di terzietà ed imparzialità del giudice, che viene rafforzato anche con l’aver eliminato la possibilità di dichiarare il fallimento d’ufficio, il principio dispositivo, che non viene messo in crisi dalla previsione dei poteri ufficiosi istruttori del tribunale12. Alla luce di tali considerazioni è chiaro che, come già richiamato più volte dalla Suprema Corte, il rispetto di questi principi avviene in due momenti differenti: il contatto tra due dei soggetti del processo, ossia tra l’attore-ricorrente ed il giudice, ed infine, la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, finalizzata alla realizzazione del contraddittorio. Tali considerazioni, nella sentenza che qui si annota non sono state applicate concretamente. Difatti, la Corte omette di considerare che il Tribunale sammaritano è arrivato a dichiarare il fallimento della ALFA s.p.a. sostanzialmente di propria iniziativa, interpretando diversamente da quanto sopra accennato il combinato disposto di cui agli artt. 160 e 173 l.f.. Il sub procedimento, infatti, deve svolgersi a norma dell’art. 173 “nelle forme di cui all’art. 15 l.f.” ossia si procederà in camera di consiglio davanti al tribunale in composizione collegiale, le parti andranno convocate nel rispetto del termine di quindici giorni (eventualmente abbreviabile per ragioni di urgenza) e il decreto di convocazione, sottoscritto dal Presidente o dal giudice eventualmente delegato, dovrà esplicitamente e tassativamente contenere l’indicazione delle finalità del procedimento che nella fattispecie erano la revoca dell’ammissione e l’eventuale dichiarazione di fallimento, ai fini dell’accertamento dei presupposti previsti dagli artt. 1 e 5 l.f. La difesa della società ALFA, pertanto, lamenta, con ragioni di diritto ben fondate, che la seconda parte manca del tutto nel decreto di convocazione, come è mancata del tutto nel successivo svolgimento del procedimento (in particolare all’udienza di discussione). In tal senso numerose pronunce di legittimità, da ultimo Cass., 29 ottobre 2009, n. 22926 e Cass., 22 gennaio 2010, n. 1098. 12 Sostengono la tesi secondo cui l’art. 15 l.f. sia un procedimento a cognizione piena, tra tanti illuminanti in proposito le argomentazioni di S. DE MATTEIS, Istanza di fallimento del debitore. L’istruttoria prefallimentare, in Fallimento ed altre procedure concorsuali, diretto da G. FAUCEGLIA e L. PANZANI, Torino, 2009,1, p. 143; poi anche F. DE SANTIS, Istruttoria prefallimentare e diritto di difesa, in Fall., 2008,p. 328; M. VITIELLO, in Il nuovo fallimento a cura di S. AMBROSINI, Bologna, 2008, p. 21. A tale orientamento consolidato e maggioritario in dottrina e giurisprudenza, se ne oppone altro secondo cui il procedimento di cui all’art. 15 l.f. si colloca nel procedimento a cognizione camerale- sommaria, in tal senso M. MONTANARI, La nuova disciplina del giudizio di aperture del fallimento: questioni aperte in tema di istruzione e giudizio di fatto, in Fall., 2007, p. 561. 11 10 In particolare la società ALFA, leggendo il decreto di convocazione, notificato ai suoi difensori, rimarca che da questi si evince indiscutibilmente che il thema decidendum dell’udienza sarebbe stato esclusivamente la sussistenza dei “presupposti per l’avvio della procedura di cui all’art. 173 l.f. al fine di addivenire alla revoca dell’ammissione al concordato preventivo; che tale valutazione assume evidente valore “pregiudiziale” rispetto alla decisione in ordine all’omologa del concordato preventivo” e null’altro. Inoltre la società ALFA nei propri atti faceva notare che la norma in questione, così come l’intera disciplina del concordato preventivo, prevede che il Tribunale si debba limitare a bloccare la procedura e/o a rigettare la domanda concordataria in presenza dei presupposti di cui agli artt. 162, 173 e 179 qualora l’imprenditore non fosse in situazione di insolvenza conclamata e lasciando i creditori arbitri della gestione della crisi. Il Tribunale, su istanza di parte o del pubblico ministero, può pervenire alla dichiarazione di fallimento all’esito del medesimo procedimento, purchè al debitore imprenditore sia stata previamente contestata l’insolvenza (artt. 1 e 5 l.f.; in ossequio alla sentenza della Corte Cost. n. 110 del 1972). Lo stato di “crisi” ed “insolvenza” E’ importante altresì soffermarsi, seppur brevemente, su un’altra questione che tocca la pronuncia in commento: lo stato di crisi. Per meglio comprendere tale elemento, valga considerare che l’art. 160 l.f. non prevede più, quale presupposto oggettivo del concordato preventivo, lo stato d’insolvenza, ma lo “stato di crisi” che, sebbene non escluda la insolvenza, non si esaurisce in essa, quanto perché gli artt. 162, 163, 173, 179 e 180 l.f. (nel testo attualmente vigente ed applicabile ratione temporis) non prevedono più la dichiarazione di fallimento quale conseguenza necessaria della mancata ammissione, del mancato versamento del deposito per spese, della revoca dell’ammissione, del mancato raggiungimento della maggioranza e della mancata omologazione del concordato preventivo, ma richiedono a tal fine un apposito accertamento dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5 l.f.. Sul punto dottrina e giurisprudenza si sono interrogati sul significato della espressione (stato di crisi) adottata dal legislatore, del tutto differente, ovviamente dal c.d. «stato di insolvenza», giungendo alla ovvia conclusione che «crisi» ed «insolvenza» non sono concetti omologhi o l’uno sinonimo dell’altro, ma concetti profondamente diversi fra loro, descrittivi di una diversa condizione della capacità economico-finanziaria dell’impresa. Al di là di una corretta individuazione del concetto di crisi in senso proprio, appare evidente che questo rappresenta un genus della difficoltà economica dell’impresa riconducibile anche a condizioni di insolvenza 11 temporanea e reversibile, là dove l’«insolvenza» (ex art. 5) è il temine con il quale si rappresenta e si descrive l’irreversibile ed irrimediabile incapacità dell’impresa ad assolvere alle proprie obbligazioni quale effetto della perdita di credibilità dell’imprenditore rispetto al mercato. Se però «crisi» è un termine con il quale si descrive una condizione economico-finanziaria dell’impresa che può coincidere con la «insolvenza» ma non si esaurisce in questa, potendo ricomprendere casi e condizioni che manifestano difficoltà economica, ma non insolvenza, è evidente che il meccanismo previsto dall’art. 173, non può essere più visto come il ponte di passaggio dalla procedura minore a quella maggiore per il solo verificarsi di una delle fattispecie contemplate in quest’ultima disposizione. Infatti, al verificarsi di uno dei fatti che portano a ritenere esistente una «immeritevolezza» (lato sensu intesa) alla prosecuzione della procedura di concordato, proprio perché potrebbe mancare la condizione della «insolvenza» (unico ed ineludibile presupposto perché si possa pervenire alla dichiarazione di fallimento), l’impresa non potrebbe essere dichiarata fallita, con le modalità vincolanti dettate proprio dall’art. 173 l. fall. se non attraverso una apposita istruttoria che accerti anche la sussistenza dell’estremo della insolvenza. Quindi, non risultano automatismi quanto al passaggio tra fase del concordato preventivo e dichiarazione di fallimento, sennonché, le disposizioni che sono fatte segno di rinvio (artt. 137 e ss.), essendo collocate dentro un contesto di già accertata ricorrenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento i cui effetti sono rimasti tuttavia inibiti dal concordato fallimentare, “non paiono idonee, senza adattamenti opportuni, alla disciplina di una vicenda in cui il venir meno dell’effetto impeditivo-estintivo del concordato è di per sé incapace, per la natura preventiva del concordato de quo, di determinare la (neppure virtuale) ri-aperura del fallimento, e ciò in quanto i presupposti per la dichiarazione di fallimento sono altri da quelli già accertati per l’ ammissione al medesimo concordato preventivo (ai cui soli fini “per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”)”13. Da tali significative considerazioni la difesa della società ALFA, rimarcata questa scollatura tra presupposto per l’ammissione e/o prosecuzione alla procedura di concordato preventivo e quello per l’apertura della procedura per la dichiarazione di fallimento, evidenzia alcune conseguenze di ordine procedimentale di non modesto rilievo che avrebbero potuto portare la Corte ad una differente ed innovativa pronuncia. Difatti, nella fase che precede la dichiarazione di fallimento, il diritto di difesa dell’imprenditore insolvente, in considerazione del carattere camerale e sommario del relativo procedimento, può 13 F. AULETTA, art. 6 l.f., in Commentario alla legge fallimentare, a cura di C. CAVALLINI e S. RECCHIONI, Milano, 2009. 12 essere garantito non solo, ai sensi dell’art. 15 l.f., mediante l’audizione del debitore da parte del tribunale o del giudice relatore, ma anche mediante l’attribuzione della facoltà di presentare scritti difensivi e documenti: il procedimento è, quindi, volto all’accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento e il “tribunale può delegare al giudice relatore l’audizione delle parti. In tal caso, il giudice delegato provvede all’ammissione ed all’espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio. Le parti possono nominare consulenti tecnici.”. In definitiva, al debitore va assicurata la effettiva consapevolezza circa la questione oggetto del giudizio e la necessità di assicurargli una difesa adeguata e, pertanto, deve esser stato posto nella condizione di conoscere e di contrastare, o personalmente o con la presentazione di memorie o con altri mezzi, le ragioni a sostegno dell’istanza di fallimento ritualmente attivata. In conclusione, a prescindere dalla sussistenza o meno delle condizioni per la revoca dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo, commessi anche in epoca antecedente alla proposta di concordato, si può anche procedere alla dichiarazione di fallimento dell’imprenditore, purché sia accertata l’irreversibilità della crisi, da verificare, nel rispetto del diritto di difesa, nel procedimento ex art. 15 l.f. ritualmente attivato, cosa che, nel caso in esame, non può dirsi affatto esser effettuato e, quindi, garantita alla ALFA s.p.a., la quale non essendo stata informata della discussione sul punto non ha potuto svolgere alcuna attività difensiva.. Pertanto, in quest’ottica non è stato concesso alla società ALFA il diritto di difesa costituzionalmente garantito all’art. 24 e quello del contraddittorio, che evidentemente come da decreto di convocazione, si è limitato, ai profili riguardanti la revoca. AVV. GIANLUIGI PASSARELLI 13