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RIVOLUZIONE COMUNISTA
Supplemento murale al giornale di partito
I ministri del lavoro dell’U.E.
alzano la settimana lavorativa a 60 ore,
spostando la storia all’indietro di un secolo
La vera «insicurezza», che non lascia via di scampo in questa società, è soltanto quella che accompagna i lavoratori 24 ore su 24. Nei luoghi di lavoro scorrerà più sangue operaio di prima e le «stragi di Mineo» impallidiranno senza una ferma azione quotidiana di difesa operaia.
Sollevarsi contro le bande di schiavizzatori! Battersi per la riduzione della settimana lavorativa a 33 ore e per l’aumento del salario di 300 euro mensili! Respingere gli straordinari! Prevenire stragi e omicidi bianchi con l’ispezione
operaia! Formare in ogni fabbrica cantiere luogo di lavoro e ove possibile i «comitati ispettivi operai» col compito
di bloccare l’attività in caso di pericolo o nocività e fino alla rimozione della fonte di rischio!
Il nostro saluto a pugno chiuso ai feretri, il nostro incessante incitamento all’organizzazione di partito per combattere
e rovesciare il potere padronale.
Nella notte tra il 9 e il 10 giugno i 27
ministri del lavoro dell’Unione Europea
hanno preso in materia di orario di lavoro una decisione che si può qualificare
storica. Hanno modificato la direttiva N.
104/1993, che fissava il limite massimo
settimanale in 48 ore; e lo hanno alzato
a 60 ore, estendendolo fino a 65 ore per
i lavori di guardia e in reperibilità. La
nuova direttiva ha, inoltre, distinto il
tempo attivo dal tempo inattivo; stabilendo che ai fini dell’orario effettivo si
deve tener conto solo del primo. In cambio di questa compressione la direttiva
ha equiparato, su retribuzione congedo
e maternità, gli interinali ai dipendenti a
tempo indeterminato. Questa nuova direttiva, che sposta le lancette della storia a prima del 1917 quando l’Oil (l’organizzazione internazionale del lavoro)
fissò l’orario di lavoro a 8 ore giornaliere, riflette la linea inglese. Ed è passata
con l’appoggio decisivo di Germania
Francia Italia. Solo Spagna Belgio Grecia Ungheria Cipro hanno dato voto
contrario. Questa direttiva schiavistica,
che passa ora al parlamento europeo
per l’approvazione finale, è l’indice inconfondibile della smisurata voracità di
energie operaie da parte dei vari padronati europei. L’indice della loro trasformazione in bande di razziatori del lavoro e di schiavizzatori.
La razzia padronale della forza-lavoro ha trasformato e trasforma i luoghi di
lavoro in macelli operai, in scene di stragi orribili. Il sovralavoro, i modi tecnici di
lavorare, la mancanza di formazione, la
crescente pericolosità degli ambienti di
lavoro, l’organizzazione negriera delle
imprese, questi ed altri elementi tutti
connessi alla razzia del lavoro, sono le
cause particolari delle stragi e degli
omicidi bianchi che insanguinano quotidianamente i luoghi di lavoro. Il bollettino di questi ultimi giorni è terrificante.
Mercoledì 11 sono periti 10 lavoratori.
Sei solo a Mineo in provincia di Catania;
di cui due di Ragusa (Salvatore Smecca
e Salvatore Tumino di 51 e di 47 anni)
dipendenti della impresa di spurgo Carfì
Srl di Pozzallo; quattro di Mineo (Natale
Giovanni Sofia di 37 anni, Salvatore Pulici di 37 anni, Giuseppe Zaccaria di 47
anni, Giuseppe Palermo di 57 anni) dipendenti del Comune; tutti rimasti asfissiati nella vasca dell’impianto comunale
di depurazione. I corpi sono stati ritrovati l’uno sopra l’altro in segno di un estremo tentativo di soccorso reciproco. Tumino e Smecca si sono calati nella vasca per ripulire con getti d’acqua il filtro
di depurazione e gli altri quattro sono
andati in loro aiuto inconsci del pericolo.
Venerdì 13 stramazzano al suolo numerosi operai. Quattro restano stecchiti:
Il nuovo modello di contrattazione
uno strumento di legalizzazione del sottosalario, della flessibilizzazione, del dispotismo padronale, dell’individualizzazione del contratto di lavoro, dell’umiliazione dei lavoratori.
Sollevarsi contro il nuovo attacco Confindustria - Confederazioni
Sindacali. (I)
Il 10 giugno si sono riuniti a Roma in via
Veneto presso la sede della Confindustria i
vertici dell’associazione padronale e i tre segretari di Cgil Cisl Uil per dare avvio alla trattativa sulla riforma della contrattazione e
sulle nuove relazioni industriali. La Confindustria ha messo sul tavolo le sue richieste,
che riassumiamo nei seguenti quattro punti:
1°) le relazioni industriali debbono fondarsi
sulla collaborazione e assicurare la competitività del sistema produttivo; 2°) le parti debbono fare rispettare gli accordi siglati e considerare lo sciopero come l’extrema ratio;
3°) la contrattazione deve assicurare la flessibilità del lavoro e valorizzare le tipologie
contrattuali atipiche al fine di assecondare le
esigenze produttive, legando le erogazioni
alla produttività e alla redditività dell’impresa; 4°) la contrattazione si deve articolare in
due livelli, uno centrale e uno aziendale-territoriale, ridefinendo la tempistica dei rinnovi
e fissando, sul piano centrale, i trattamenti
minimi e, su quello territoriale, le erogazioni
dei premi legati ai risultati. Più articolato, ma
ispirato alla stessa ottica - del collaborazionismo della competitività e della schiavizzazione della forza-lavoro - è il progetto di revisione del modello contrattuale approntato e
proposto dalle tre Confederazioni. Vale la
pena, per chiarezza e conoscenza, dedicare
un po’ di spazio al parto confederale.
La criminalizzazione
del conflitto capitale-lavoro
Va detto innanzitutto che la gestazione
del «progetto di riforma» ha avuto un travaglio laborioso in quanto ha dovuto, per prima
cosa, superare le divergenze inter-confederali; e, per seconda cosa, in particolare in
seno alla Cgil. Il 12 febbraio le tre centrali
abbozzano le «linee di riforma della contrattazione» e delineano il nuovo modello di
contratto in questi aspetti: 1°) il contratto non
rivendica aumenti salariali, cerca di difendere il salario (decresciuto e decrescente) dagli aumenti; 2°) l’adeguamento alla variazione del costo della vita viene ancorato alla
cosiddetta «inflazione realisticamente prevedibile», in concreto a una parte della variazione; 3°) la possibilità di incrementi salariali viene rimessa alla contrattazione di secondo livello (aziendale-territoriale) ma subordinatamente al maggior sfruttamento resa
e situazione di mercato; 4°) i possibili aumenti non vengono messi a carico delle imprese bensì detratti dalla fiscalità (detassazione di straordinari e premi); 5°) triennalità
dei rinnovi; 6°) ulteriori flessibilizzazioni im(segue dietro)
Fausto Serci di 55 anni a Nuraminis in
provincia di Cagliari, Domenico Cagnina di 44 anni a Termini Imerese, due
giovanissimi egiziani di 27 e 28 anni in
un cantiere vicino a Settimo Milanese
travolti con altri operai rimasti feriti dal
crollo di un ponteggio. Nei luoghi di lavoro, luoghi di massima insicurezza, si
muore quindi nei modi più orribili e inimmaginabili.
Questo stillicidio, che genera tante
angosce e dolore nelle famiglie operaie
e tra gli immigrati, non deve portare a
stati d’animo di frustrazione o alla disperazione individuale, deve spingere ad ar-
ginarlo e a cancellarlo. Esso è il frutto
marcio dell’organizzazione capitalistica
del lavoro e va affrontato e combattuto
con l’organizzazione idonea operaia. E
l’organizzazione idonea operaia rimane
tuttora quella dei comitati ispettivi. Non
ci sono norme antinfortunistiche, né sanzioni o penalità, che possano arginare
questo stillicidio, per non parlare delle
ecatombe di immigrati; l’unica protezione possibile sta nel controllo operaio
della pericolosità e nocività dell’ambiente di lavoro e nella rimozione preventiva
dei rischi. Dunque nella formazione dei
comitati ispettivi operai.
La protesta dei pescatori europei
contro il caro-gasolio l’inizio di una
sollevazione più vasta contro
l’aumento dei carburanti
Esigere l’abbattimento dell’«accise» dal prezzo del petrolio per tutti i lavoratori, dipendenti e autonomi.
Dall’inizio di giugno la protesta di categoria contro l’aumento del prezzo dei
carburanti si è accesa e diffusa in vari
paesi d’Europa. Sono in agitazione pescatori, taxisti, camionisti. Le due categorie in stato di prolungata agitazione
sul terreno europeo sono i pescatori e
gli autotrasportatori.
I pescatori protestano da due settimane bloccando diversi porti in Francia
Spagna Portogallo Italia. Chiedono: a) la
riduzione del prezzo della nafta passata
da 0,40 a 0,80 euro; b) la revisione del
fondo europeo per la pesca (Fep). Il 4
giugno un folto corteo di pescatori, aperto da quelli francesi, manifesta a Bruxelles. Dall’Italia partecipano, provenienti
dalla Sicilia Taranto Marche e Venezia,
circa 1.200 dei 40.000 pescatori. I pescatori baschi e catalani vengono bloccati prima di raggiungere la capitale comunitaria. Nella capitale si verificano duri scontri tra manifestanti e polizia. Dopo
la manifestazione di Bruxelles i pescatori
ritornano ai porti di partenza, ove proseguono la protesta in attesa che martedì
17 giugno Francia Grecia Italia Spagna
Portogallo prendano decisioni di sostegno al settore. Per quanto riguarda specificamente i pescatori italiani, molti dei
quali accusano il dimezzamento degli introiti settimanali da 300 a 150 euro, va
aggiunto che la Federpesca ha chiesto di
estendere al settore pesca la cassa integrazione, di concedere l’Iva agevolata e
la fiscalizzazione dei costi di manutenzione; e che il ministro Zaia ha promesso
ammortizzatori sociali ed Iva agevolata.
Il 9, mentre è in corso la protesta dei
pescatori, entrano in agitazione i 90.000
autotrasportatori spagnoli. I camionisti
bloccano la città catalana di La Jonquera al confine francese. Chiedono che il
governo fissi per legge un prezzo mini-
mo per le loro prestazioni. La struttura
dell’autotrasporto spagnolo è costituita
da minuscole imprese simili a quelle italiane. I camionisti lamentano di non
avere i soldi per comprare la benzina ed
avvertono che se si fermano loro si
bloccherà l’intero paese. Alla protesta si
uniscono i camionisti francesi e portoghesi. In Italia entra in agitazione il Movitir (Movimento trasportatori italiani riuniti) che indice tre giorni di protesta, da
sabato 14 a lunedì 16 con concentrazione a Brindisi in occasione della visita
papale; e chiede interventi sul caro carburanti e sulle spese autostradali. Il 10
due camionisti vengono travolti, l’uno a
Granada l’altro nei pressi di Lisbona, da
altri camionisti contrari alla protesta,
mentre picchettano i mercati per impedirne gli accessi. Il 12, giorno in cui
chiudiamo la cronaca, la protesta si inasprisce. Resta bloccato il confine tra
Spagna e Francia. Le forze dell’ordine
intervengono pesantemente in Catalogna e all’aeroporto di Lisbona rimasto
paralizzato. Nei supermercati comincia
a scarseggiare la merce. Seat Peugeot
Mercedes sospendono la produzione.
L’impennata del prezzo del petrolio
infuoca anche l’Europa. E le proteste un
tempo fisiologiche si tramutano ora in rivolte sconvolgenti.
SEDI DI PARTITO – Milano: P.za Morselli 3
aperta tutti i giorni dalle ore 21 – Busto Arsizio:
via Stoppani 15 (quartiere Sant’Anna) c/o il «Circolo di Iniziativa Proletaria Giancarlo Landonio»,
aperta il lunedì martedì venerdì dalle ore 21.
Sito internet: digilander.libero.it/rivoluzionecom
e-mail: [email protected]
Supplemento a La Rivoluzione Comunista –
Redazione e stampa: Piazza Morselli 3 - 20154
Milano – Direttore responsabile: Lanza
Supplemento del 16 giugno 2008
RIVOLUZIONE COMUNISTA
Il movimento operaio e il sindacalismo di classe
dal dopoguerra ai giorni nostri
La rivoluzione proletaria è l’unica prospettiva dei salariati (XXIV)
Col Supplemento 1/6/2007 abbiamo iniziato la pubblicazione del vasto materiale elaborato dalla nostra organizzazione nella sua ultraquarantennale azione in campo operaio. La prima sezione è stata dedicata alle «Tesi Statuti Appelli del I Congresso dell’Internazionale dei Sindacati Rossi» del 3-10 luglio 1921. La Seconda Sezione si è occupata dell’impianto della linea operaia di Rivoluzione Comunista e della natura e pratica del sindacalismo confederale; comprendendo il periodo che va dal dopoguerra al 1967. La Terza Sezione tratta del triennio operaio
che investe tutta l’Europa a partire dal 1968 e che ha inizio col «Maggio francese».
SEZIONE TERZA
IL TRIENNIO OPERAIO
1968-1971
IN FRANCIA
È SOLO L’INIZIO.
LA LOTTA CONTINUA
Tratto da Lotte Operaie n. 3-4
luglio-agosto 1968
Ritornando al lavoro il 18 giugno, dopo 33
giorni consecutivi di sciopero, gli operai della
Renault-Flins sono rientrati in fabbrica con
bandiere rosse e cartelli al grido: «È soltanto
l’inizio, la lotta continua» e «C.G.T. tradimento». L’esito della votazione sulla
continuazione o meno dello sciopero era stato
il più contrastato fra quelli espressi dalle altre
aziende di cui si compone la Renault. La
percentuale degli operai favorevoli alla ripresa
del lavoro è stata infatti: a Le Mans del 79%; a
Billancourt del 78%; a Choisy-Le-Roi del 70%;
a Flins del 58%. Solo a Sandouville la ripresa è
stata approvata per alzata di mano.
Col ritorno al lavoro degli operai della Renault lo stesso fronte di lotta dei metalmeccanici si restringe ulteriormente. Restano in agitazione le altre due importanti industrie automobilistiche (Citroen, Peugeot) e una numerosa schiera di industrie metallurgiche, che
occupano in tutto circa 300.000 dipendenti. A
tutt’oggi (21 giugno) sono sempre in lotta i
portuali di Marsiglia e gli operai dei cantieri
navali di Saint Nazaire. Si tratta ormai di pochi centri di resistenza sindacale.
Il movimento di rivolta, iniziato il 13 maggio
con la discesa per le strade di Parigi di un milione di manifestanti fra lavoratori, e studenti,
dopo violente esplosioni e sussulti ripiega su se
stesso, battuto, ma non disperso. La mobilitazione in massa del proletariato, che per imponenza ed ampiezza non trova precedenti nella
storia del movimento operaio di questo paese
(in suo confronto il grandioso sciopero del
1936 resta un avvenimento minore) tranne
che nella Comune di Parigi; questa mobilitazione in massa, ripetiamo, avvenuta senza la
presenza e senza la direzione di un idoneo
partito rivoluzionario non ha potuto dunque
travolgere il regime gollista ed affondare il
capitalismo. Li ha soltanto scossi profondamente; li ha fatti traballare tremendamente,
riempiendo di paura la borghesia francese,
europea e mondiale; preavvertendo l’uragano
che si scatenerà in Europa.
Generalizzandosi e radicalizzandosi, la lotta
ha messo in luce ancora una volta, benché in
maniera incompiuta causa la natura spontanea del movimento, le forme principali del
processo rivoluzionario: l’iniziale indecisione
dei gruppi dominanti di fronte alle masse in
agitazione, il superamento provvisorio di
fronte al pericolo comune delle loro divisioni
interne, il successivo passaggio alla reazione
furibonda; il ruolo insostituibile nella salvezza dell’ordine borghese dei partiti sedicenti
operai (P.S.U., P.C.F.); l’immenso potenziale di
forza delle masse in movimento, l’abnegazione e la resistenza tenace degli strati più combattivi della classe operaia (esempio: i metallurgici); l’impiego dei metodi di repressione
statale più brutali (uso di gas tossici, torture)
accompagnato dall’azione terroristica dei
«comitati di difesa della Repubblica» (1);
l’impossibilità da parte del proletariato di battere la classe dominante senza un partito rivoluzionario che diriga la lotta armata ed organizzi l’insurrezione; la repressione dei gruppi
e delle organizzazioni rivoluzionarie nel caso
di sconfitta. Gli avvenimenti di un mese e
mezzo hanno così accumulato una massa tale di materiali e di esperienze da valere un intero periodo storico. È logico che su questi avvenimenti si versino oggi, da ogni parte, fiumi
di inchiostro. E, più che logico, è necessario
che i comunisti rivoluzionari vi riflettano attentamente per trarne insegnamenti utili alle
lotte immediate e future.
«Una volta ancora quel che accade in
Francia è esemplare» pare abbia detto De
Gaulle. La battuta non è solo un motto di spirito. Il moto di maggio-giugno del proletariato francese apre il processo rivoluzionario in
Europa. Potrà mai l’oligarchia finanziaria tedesca, quella italiana, belga, ecc., impedire lo
scoppio della tempesta che si prepara? Oggi
l’occhio pensoso rivolto a Parigi da tutti i centri del capitalismo è un interrogativo atroce
sul destino di questo modo di produzione, sulla sorte della società del profitto. Chi guarda,
senza la superficialità interessata, nel moto
operaio francese, nelle barricate parigine non
trova una ventata di follia anarchica, ma la
rivolta, benché ancora informe, delle masse
sfruttate contro l’oppressione capitalistica.
Non vede in essa il frutto degli «errori» del
gollismo, il quale ha costituito per dieci anni
il portabandiera riconosciuto dei trusts
monopolistici europei nella loro sorda lotta
contro i rivali statunitensi e giapponesi, ma
l’incontenibile sollevamento delle masse lavoratrici costrette a vivere in condizioni di aggravato disagio in conseguenza del crescente
processo di monopolizzazione della economia. In ciò l’Italia vale la Francia. La Francia
la Germania, ecc.. Lo «spettro del comunismo» si aggira dunque nuovamente sul vecchio continente: la levata improvvisa del proletariato francese è il canto del gallo della rivoluzione europea.
La lotta continua! È la consegna degli operai
più combattivi. La lotta continuerà, non vi
può essere alcun dubbio. La ripresa del lavoro
nella maggior parte delle fabbriche non è altro che una tregua provvisoria, una fase di assestamento in vista di una ripresa futura in
grande. Le conseguenze economiche del lungo periodo di agitazione non saranno facilmente digeribili dal capitalismo francese, che
incontrerà sugli aumenti salariali ottenuti
dalla classe operaia una causa ulteriore di
inasprimento delle proprie contraddizioni.
Naturalmente la lotta non potrà continuare
nella forma dello sciopero generalizzato, ma
in forme nuove e attraverso un serio ripensamento sull’organizzazione del partito rivoluzionario e sui mezzi pratici per combattere i
partiti opportunisti.
Il P.C.F. esce dagli avvenimenti con il suo vero
volto: quello di campione controrivoluzionario. Senza la sua opera di contenimento (2) e
di pacificazione il regime gollista non avrebbe
potuto resistere: sarebbe stato travolto fin dall’inizio del movimento, il 13 maggio (3). Ma
anche i gruppi estremisti e le organizzazioni
rivoluzionarie ne escono ridimensionati.
Spontaneisti, situazionisti, anarco-sindacalisti, col loro rifiuto della politica e della lotta di
partito; coll’appello sconsiderato all’autodeterminazione dell’individuo, hanno rivelato
l’estrema impotenza della propria azione, scoperto il fondo piccolo-borghese della loro agitazione. I raggruppamenti politici trotzkisti,
che sono stati molto attivi, hanno dimostrato
da parte loro, ancora una volta, la deficienza
costituzionale della loro tattica frontista ed
entrista. Il fronte con l’U.N.E.F. (Unione Nazionale Studenti Francesi) è stato un vero pateracchio, in ragione del carattere riformistico
di questa associazione. L’unione operai-studenti può invece essere e deve diventare un
fronte di lotta rivoluzionaria, ma solo se ingloba gli studenti autenticamente comunisti.
L’entrismo nei partiti social-comunisti, da
vecchio miraggio, è diventato un suicidio politico. Come gridare al loro tradimento più
che un’ingenuità è oggi un bluff. Il P.C.F. ed i
partiti confratelli da svariati decenni sono
partiti nazionalisti. Essi vanno perciò combattuti, non solo sul piano ideologico, ma anche
e soprattutto sul terreno politico.
Ci vorranno ancora, probabilmente, altre rivolte ed altri tentativi insurrezionali, perché il
marxismo rivoluzionario si imponga sulle
suggestioni operaiste e sui tentennamenti dei
marxisti a metà. Tuttavia gli avvenimenti
francesi hanno dato un formidabile impulso
al processo di riaccostamento delle diverse
tendenze operaie al marxismo rivoluzionario.
Il principio della necessità che la lotta di classe diventi lotta di partito e miri alla conquista
del potere è ora oggetto di riflessione da parte
degli stessi gruppi spontanei formatisi solo di
recente; e degli stessi gruppi operaisti
tradizionalmente ostili all’organizzazione di
partito e alla direzione partitica delle lette. Essi hanno dato inoltre un duro colpo a tutti
quei pretesi marxisti ortodossi (4), i quali im-
piegano le più belle energie nelle discussioni
teoriche, sulla necessità del partito, non si accorgono in pratica di quanto passa sotto i loro
propri occhi stessi, e sostituiscono i loro doveri
pratici con sciocche elucubrazioni intellettuali o con gratuiti insulti verso coloro i quali
hanno dato prova di coraggio e di altruismo.
La lotta continua. Non solo, ma continua ad
un livello superiore. Il movimento reale ha risvegliato infatti alla coscienza politica di classe una parte maggiore del proletariato.
NOTE
(1) I «Comitati di difesa della Repubblica» si sono
costituiti il 30 maggio. A capo di essi è stato posto l’ex
ministro degli interni Roger Frey molto competente in
materia di repressione. Sono composti da tutti i nostalgici del colonialismo francese, membri dell’O.A.S., fascisti, ecc.
(2) Seguy segretario della C.G.T. ha definito «folclore»
la decisione degli operai e degli studenti rivoluzionari
di porre all’ordine del giorno la questione del potere.
Ma gli operai hanno risposto che «folclore» erano gli
accordi di «rue Grenelle»; approvati dalla centrale il
27 maggio per fare cessare l’occupazione delle fabbriche.
(3) Dato il carattere convulsivo dell’attuale periodo storico il P.C.F., come pure gli altri partiti sedicenti comunisti, non potrà più sfuggire agli effetti corrosivi che il
ruolo di boia esercita sulla propria organizzazione interna. Sicché la forma della futura esistenza di questo
partito dovrà sempre più avvicinarsi, fino a quando non
verrà soppresso dalla rivoluzione, a quella di un organismo in perenne crisi interna.
(4) Come i Programmisti francesi, rimasti completamente passivi; e che nel tentativo di trovare negli avvenimenti la conferma delle loro idee politiche, recitano
per giunta un rosario di banalità. Essi trovano infatti:
1º) che il capitalismo non è invincibile; 2º) che il proletariato esiste ed agisce; 3°) che esso dove ricercare il suo
partito di classe. Così mentre De Gaulle lancia il suo
progetto di un sistema sociale non capitalista e non comunista, basato sull’assurda quanto rancida idea della
«partecipazione», questi rivoluzionari non plus ultra
vengono a salmodiare con aria solenne che il capitalismo non è invincibile!
Il nuovo modello di contrattazione
presarie (appalti, cessioni rami di azienda,
esternalizzazioni, leasing, ecc.). Il 10 marzo
la Uil, che vuole procedere in fretta, dichiara
chiuso il confronto tecnico interconfederale
e lascia il tavolo del confronto in quanto la
Cgil temporeggia nel varo della piattaforma
unitaria. Il 18 aprile il segretario della FlaiCgil (federazione dei lavoratori agricoli e
delle industrie alimentari) Chiriaco, prendendo lo spunto dalla provocazione di Montezemolo «Basta coi sindacati sono una casta»,
lamenta che la riforma degli straordinari non
va bene in quanto ne restano fuori i lavoratori dell’agricoltura dell’edilizia del commercio
e in definitiva può vedere in busta paga
qualche cosa (40 euro al mese circa) solo
chi, lavorando full-time, supera le 250 ore di
lavoro l’anno. Nonostante le divergenze interne in Cgil il 7 maggio le segreterie confederali sfornano il testo unitario della nuova
contrattazione.
Le linee di «riforma
della contrattazione»
Il testo si divide in un preambolo e in tre
temi: contratto nazionale, secondo livello,
democrazia e rappresentanza. Nel preambolo viene enunciato il concetto che il miglioramento del reddito è legato e dipende dalla
crescita del paese e dalla competitività e
produttività delle imprese; e precisato che il
miglioramento del reddito è perseguito in
due modi, in modo generale con un sistema
di prezzi e tariffe anti-inflattivi ed un fisco
equo; in modo specifico con un sistema contrattuale articolato in due livelli. Su queste
premesse il documento, archiviando l’accordo 23/7/1993, fisionomizza in questi punti il
nuovo modello di contrattazione.
1°) Il CCNL viene definito «centro regolatore dei sistemi contrattuali a livello settoriale».
2°) Va realizzata l’unificazione del settore pubblico e del settore privato.
3°) Vanno accorpati, altresì, i 400 e passa contratti collettivi per aree omogenee e
per settori.
4°) La sede della semplificazione-accorpamento è il CNEL.
5°) Il CCNL viene triennalizzato con inizio del rinnovo 6 mesi prima della scadenza.
6°) La dinamica salariale non è oggetto
di contrattazione dipende dalla «inflazione
realisticamente prevedibile».
7°) Il secondo livello di contrattazione va
basato ed esteso sui criteri di decontribuzione e detassazione, previsti dall’accordo del
23/7/2007, e concretizzato attraverso una
molteplicità di forme: regionale, provinciale,
settoriale, di filiera, di comparto, di distretto,
di sito.
8°) La contrattazione di secondo livello o
decentrata, chiamata accrescitiva, ha il compito di «redistribuire la produttività» e va imperniata su aumenti salariali connessi alla
produttività redditività qualità efficienza efficacia.
9°) Nella contrattazione decentrata è
prevista l’introduzione di una «quota economica minima» onde includere i dipendenti
delle piccole aziende.
10°) Il testo è rimesso all’approvazione
dei lavoratori.
Per quanto riguarda la rappresentanza e
la rappresentatività delle organizzazioni sindacali è detto che queste verranno certificate dal CNEL in base ai dati numerici rilevati
dall’INPS e ai consensi espressi nella elezione delle RSU. Per quanto concerne infine
la democrazia sindacale è scritto che questa
troverà espressione con le piattaforme proposte dalle segreterie e approvate dai direttivi e successivamente con la consultazione
di lavoratori e pensionati; mentre sui rinnovi
contrattuali le federazioni di categoria si uniformeranno alle centrali.
(Continua)