Il listino azionario è in vendita - Nonsolobanca
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NOTIZIARIO Il listino azionario è in vendita Economia-Finanza ALESSANDRO BOLOGNESI I l risparmiatore attento, o che gestisca direttamente il suo portafoglio titoli, oppure che segua, attraverso le gestioni l’andamento della Borsa, difficilmente riesce ad avere un quadro esatto del valore del suo possesso azionario in un determinato momento. Se un comparto sale, favorito dai sintomi di ripresa che si vanno manifestando in un settore produttivo, resta incerto un altro settore, ove il risparmiatore ha investito buona parte dei suoi risparmi; e pertanto l’investimento azionario è rappresentato dagli indici di Borsa, che riassumono i valori di gran parte dei titoli presenti nel listino azionario o meglio dai cosiddetti Etf-Excange trade fund, che riassumono in sé le caratteristiche proprie di un fondo o di una azione, consentendo così di contenere i rischi delle oscillazioni di mercato. Per meglio conoscere questo strumento di investimento, va sottolineato come altri ancora sono i vantaggi di chi utilizza gli Etf; come ad esempio le commissioni, che possono raggiungere la metà rispetto alle normali spese per acquisto di titoli, oppure di altri contratti che riguardano l’acquisto diretto di azioni ed obbligazioni. Ma la caratteristica preminente di questo strumento finanziario è quella di realizzare l’identica performance dell’indice di Borsa: l’Etf consente di ottenere un rendimento pari a quello del benchmark di riferimento, in virtù di una “gestione totalmente passiva” perché riflette, al suo interno, l’esatta composizione ed i pesi relativi dell’in- dice, al quale si riferisce. Da tenere presente soltanto l’espressione del prezzo, qualora la valuta di riferimento dell’indice sia diversa da quella di negoziazione (che per i nostri Etf resta sempre l’euro), e pertanto solo in questo caso, occorre tenere presente l’eventualità di una svalutazione, od apprezzamento, dell’Etf, rispetto all’euro. Tra gli altri vantaggi nell’investimento in Etf, rispetto all’acquisto diretto di azioni, vi è pure quello di una riduzione del costo rispetto ad un portafoglio titoli diversificato, perché non è prevista alcuna commissione extra, ma solo una commissione totale annua (Ter) ridotta rispetto alle normali spese bancarie per acquisto di titoli, ed applicata automaticamente con riferimento al periodo di detenzione. Nulla cambia invece rispetto ai proventi, o benefici, che provengono dall’investimento: i dividendi che l’Etf incassa, a fronte delle azioni possedute nel proprio portafoglio, possono venire distribuiti periodicamente all’investitore, oppure capitalizzati stabilmente nel patrimonio dell’Etf, e sempre a disposizione dell’investitore. Resta poi da considerare il rischio di possibili insolvenze cui va soggetto The share-list is for sale The only real indicator that can sound out our stock investment are the Stock Market indexes, which show the value of the majority of the listed securities, or better the ETF (Exchange Trade Fund). This investment instrument summarizes the characteristics of a fund or of a stock, and allows keeping the oscillations of the market under control. A further advantage is that of a reduced cost compared to a diversified stock portfolio. un investimento diretto in titoli azionari, ciò che non può accadere per gli Etf, in quanto hanno un patrimonio separato da quello della Società emittente, e pertanto non sono esposti a situazioni critiche che invece sono sempre possibili per altre forme societarie. L’unica penalizzazione potrebbe derivare dal rischio che le azioni, le obbligazioni e gli altri strumenti che compongono il loro patrimonio, possano perdere valore. Vi è poi da considerare l’aspetto fiscale, che risulta essere chiaro e semplice: la ritenuta fiscale a titolo di impresa del 12,5% è applicata sui redditi derivanti dall’Etf in possesso, e viene operata automaticamente dall’intermediario. Perciò nessun provento deve essere riportato nella propria dichiarazione dei redditi. Il risultato ottenuto da questo strumento finanziario è evidente: dalla loro prima apparizione gli Etf quotati hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli, come appare del resto dai listini pubblicati dai maggiori quotidiani, a conferma del loro gradimento ottenuto presso i risparmiatori, e che attualmente sfiorano le 400 voci. Per quanto riguarda l’attività, gli scambi si sono consolidati negli ultimi anni. Di fronte ad un volume di 46.594 milioni realizzati nel 2008, lo scorso anno si sono registrati affari in ulteriore crescita ad oltre 54 miliardi. Una conferma del crescente interesse degli scambi in Etf è venuta di recente da parte di istituti stranieri che hanno instaurato flussi di domanda ed offerta sul mercato italiano. A sostegno di una operatività non più casuale e che si accentra su un numero sempre più vasto di titoli. ECONOMIA-FINANZA 41 Indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari GIUSEPPE MUSSARI Presidente dell’ABI Introduzione Nell’area dell’euro il peso dell’intermediazione creditizia nella gestione delle passività delle imprese è preponderante rispetto all’esperienza dei Paesi anglosassoni. Se da un lato ciò, come imprese bancarie, ci rende fieri e ci carica di responsabilità, dall’altro indica un percorso che soprattutto in Italia possiamo e dobbiamo ancora compiere verso uno sviluppo armonico dell’insieme del mercato finanziario e di alcuni suoi segmenti in particolare, segmenti su cui peraltro le stesse banche svolgono spesso un ruolo rilevante (ad esempio quotazione delle imprese). Nella presente audizione cercheremo di fornire qualche valutazione delle ragioni sottostanti ad un certo sottodimensionamento del mercato azionario e suggeriremo qualche possibile opzione per superare gli elementi di criticità e favorire un maggiore ricorso da parte delle imprese a tale ca- Fact-finding investigation on the markets of financial tool In Italy, banks are the main players in the field of financial intermediation: from savings in fields with positive financial balances such as the family, on to those with a negative balance such as businesses. This virtuous mechanism today, however, shows several critical elements: the share market is of modest size indeed; businesses are not able to quote on the markets easily, also due to significant operating costs; there are very few domestic institutional investors; and there are deficiencies in the approval procedures of the offer profiles and admission to negotiation. The limited size of Italian businesses is a significant factor, which impacts research, technological innovation, export and productivity. 42 ECONOMIA-FINANZA nale di finanziamento. L’intervento è sostanzialmente strutturato in tre parti: nella prima forniremo qualche dato macro di inquadramento; nella seconda ci concentreremo su vari aspetti del listing del mercato azionario (criticità, servizi, intermediari specializzati, competenze), nella terza trarremo qualche breve conclusione. valore prossimo al 50% per i prestiti. A partire da questi dati non deve dunque sorprendere che nel confronto europeo le dimensioni del mercato azionario italiano si collochino nella fascia bassa della classifica come incidenza della capitalizzazione di Borsa sul prodotto interno lordo: con una incidenza di poco superiore al 27%, la Borsa italiana denuncia un divario di quasi 40 punti rispetto alla media europea e di oltre 100 punti percentuali rispetto all’esperienza media di Uk e Usa. In valori assoluti, a fine 2010 la capitalizzazione complessiva delle società quotate sui mercati gestiti da Borsa Italiana si è attestata a circa 430 miliardi di euro (di cui oltre il 20% rappresentata da banche), contro i circa 4.400 miliardi di euro di capitalizzazione delle società quotate sul London Stock Exchange. Che tale ristrettezza del mercato azionario italiano non sia un effetto solo di una sfavorevole congiuntura delle quotazioni è evidente se si considera il numero delle società quotate nelle principali piazze europee. 1. Quadro macro: modalità di finanziamento delle imprese e limiti del mercato azionario italiano Nella media dell’Eurozona, la percentuale degli strumenti di finanziamento diretto sui mercati (obbligazioni e azioni quotate) sul complesso delle risorse finanziarie utilizzate dalle imprese è pari a meno della metà di quanto si registra per i prestiti, mentre le due fonti di finanziamento tendono ad equivalersi nell’esperienza britannica. All’interno di questa caratterizzazione dell’Unione, estrema risulta la situazione italiana in cui la somma di obbligazioni e azioni quotate supera appena il 12% delle passività totali, contro un Struttura del passivo delle imprese non finanziarie (in % del totale; dati al 2008) Italia Obbligazioni Prestiti 2,5 49,4 Crediti di cui a breve Azioni quotate commerciali 22,1 9,7 Altro (*) 1,7 36,6 Germania 3,4 37,0 9,9 17,6 3,4 38,4 Francia 30,9 53,8 11,8 10,0 19,1 10,3 4,6 3,1 36,2 Spagna 9,2 1,0 Euro Area 3,3 37,1 11,9 12,9 3,2 43,5 11,4 37,3 22,3 25,5 3,1 22,7 UK (**) (*) fondi di quiescenza ed altro (comprese azioni non quotate) Fonte: Eurostat 31,8 (**) dati non consolidati Capitalizzazione di Borsa in quota del prodotto interno lordo (dati ad agosto 2010) 250,00 200,00 150,00 Unione europea (EU 27) = 64,7 100,00 50,00 Slovacchia Romania Bulgaria Slovenia Ungheria Repubblica Ceca Grecia Italia Irlanda Austria Cipro Germania Polonia Malta Turchia Norvegia Francia Giappone Spagna Stati Uniti Regno Unito Lussemburgo Svizzera 0,00 Fonte: Eurostat In questo caso si può notare come non solo il numero di imprese quotate in Borsa risulti decisamente basso (296 imprese contro le 783 della Borsa tedesca e le oltre 600 della Borsa francese e per non parlare delle quasi 3.000 della Borsa inglese), ma anche come nel quadriennio 2006-2009 il numero delle imprese quotate sia diminuito di 15 unità. Accanto al numero contenuto di imprese quotate, è importante evidenziare che il divario più rilevante rispetto ad altri listini europei si concentra nel numero di società di minori dimensioni quotate, che nel nostro Paese erano, a fine 2008, appena 39. 2. Trend di quotazione sui principali mercati azionari negli ultimi anni La quotazione sui mercati azionari è un’attività caratterizzata da elevata ciclicità perché influenzata, tra l’altro, da una serie di variabili esterne alle imprese, quali ad esempio l’andamento del ciclo economico e la situazione dei mercati finanziari. Se si considera il triennio prima dell’inizio della crisi finanziaria (20052007), si rileva ad esempio che le società neoquotate su Borsa Italiana sono state in media oltre 20 all’anno, rispetto al totale di 17 operazioni di quotazione (IPO - Initial Public Offers) dell’ultimo triennio (2008-2010) attraversato dalla crisi finanziaria. paragonabile all’analoga fase di crisi dei listini azionari, dovuta alla cosiddetta bolla dei titoli hi-tech (2000). La crisi finanziaria ha dunque giocato negli anni più recenti un ruolo negativo nello sviluppo del listino italiano (così come in quello degli altri Anche recenti studi internazionali1 hanno messo in luce che in Europa negli ultimi 10 anni (1999-2009) c’è stato un andamento ciclico di quotazioni di nuove imprese sul mercato, con un generalizzato calo del numero medio di operazioni di IPO nell’ultimo biennio Numero delle imprese quotate End 2006 End 2007 End 2008 End 2009 Var. % 2009 vs 2006 290 283 292 288 -1 BME Spanish Exchanges 3.378 3.537 3.576 3.472 3 Borsa Italiana 311 307 300 296 -5 Budapest SE 41 41 43 46 12 Cyprus SE 141 124 119 115 -18 Deutsche Börse 760 832 783 3 Exchange Athens Exchange Irish SE 70 73 68 64 -9 Istanbul SE 316 319 317 315 0 100 87 84 76 -24 3.256 3.307 3.096 2.792 -14 260 14 261 16 262 19 267 20 3 43 MICEX 193 207 233 234 21 Nasdaq OMX Nordic Exchange 791 851 824 797 1 1.210 229 1.155 248 1.238 259 1.160 238 -4 4 Ljubljana SE London SE Luxembourg SE Malta SE NYSE Euronext (Europe) Oslo Børs SIX Swiss Exchange 348 341 323 339 -3 Warsaw SE 265 375 458 486 83 Wiener Börse 113 119 118 115 2 Fonte: World Federation of Exchanges members ECONOMIA-FINANZA 43 Paesi), interrompendo un trend positivo di accesso delle imprese al mercato dei capitali, avviato successivamente alla crisi di inizio decennio. 3. Le principali criticità del listing nel mercato azionario italiano Il mercato azionario italiano presenta da sempre limiti strutturali e culturali che impediscono di raggiungere livelli dimensionali paragonabili a quelli dei maggiori listini europei. a) Difficoltà culturali delle imprese a quotarsi sui mercati Per un’impresa, il processo di quotazione rappresenta un momento strategico, ma allo stesso tempo critico: richiede un cambio di mentalità soprattutto da parte degli azionisti, che devono accettare l’effetto diluitivo sul capitale della propria azienda, il confronto con altri azionisti e stakeholders, la diffusione di informazioni (contabili, finanziarie, di business) al mercato, su base continuativa. Lo sforzo richiesto per effettuare questo cambio culturale è tanto più elevato quanto minori sono le dimensioni dell’impresa che vuole accedere al mercato. Nel nostro Paese oltre il 90% delle imprese sono caratterizzate da ridotte dimensioni (meno di 50 dipendenti). A ciò si aggiunge una forte concentrazione della proprietà a livello familiare ed un elevato livello di indebitamento, anche a causa della ridotta dotazione di mezzi propri.2 L’incidenza dello stock di debiti bancari rispetto al patrimonio raggiunge valori superiori al 100% (104,2%) per le imprese manifatturiere italiane con fatturato inferiore ai 10 milioni di euro. In Germania, Francia e Spagna tale incidenza è in media del 48%. La concentrazione della proprietà a livello familiare, le resistenze di tipo culturale legate prevalentemente al timore di perdere il controllo della società determinano una scarsa propensione all’apertura del capitale. Il carattere familiare delle imprese italiane non dovrebbe rappresentare peraltro, di per sé, un ostacolo alla quotazione, considerato che le imprese controllate da una famiglia hanno dimostrato negli anni scorsi di essere apprezzate dalla Borsa3 e che la variazione degli assetti proprietari dopo la 44 ECONOMIA-FINANZA quotazione non porta, nella maggior parte dei casi, a perdere il controllo dell’impresa.4 È importante pertanto, far crescere il mercato italiano dei capitali, mettendo in campo iniziative che favoriscano un’inversione di tendenza dal punto di vista culturale ed una crescita complessiva della dimensione del sistema imprenditoriale italiano. Un primo passo potrebbe essere quello di introdurre misure volte a correggere alcune distorsioni nelle scelte di finanziamento delle imprese motivate dall’esistenza di un favore fiscale per le forme di indebitamento rispetto al capitale proprio: in tal senso, potrebbero essere previste, ad esempio, forme di agevolazione fiscale degli utili destinati alla patrimonializzazione che consentano alle imprese di ottenere risparmi di imposta, parametrati alla quota di utile netto non distribuito. Resta peraltro di fondamentale importanza superare la tradizionale resistenza ad aprirsi al mercato attraverso la quotazione. In tale ottica, nel gennaio 2010, ABI e Borsa Italiana hanno siglato un accordo nell’ambito del quale sono state avviate specifiche iniziative (tra cui la previsione di una linea di credito dedicata ad imprese neoquotate per finanziare i programmi di crescita). b) Elevati oneri di quotazione e permanenza sul listino Un altro elemento che costituisce tradizionale ostacolo al ricorso alla quotazione è rappresentato dai costi diretti ed indiretti che le imprese sostengono per realizzarla. Tali costi dipendono, fra l’altro, dalla complessità aziendale e dall’importanza del mercato di quotazione (diversa a seconda che si tratti del Mercato Telematico Azionario [MTA] o dell’Alternative Investment Market [AIM] Italia, ecc.). In via approssimativa, secondo Borsa Italiana, è possibile stimare che in Italia per emittenti che ricorrono all’MTA i costi complessivi di quotazione ammontano a circa 800/900 mila euro, tra il 2% e il 5% dell’ammontare raccolto in sede di IPO. Tali costi si aggirano invece attorno a 200-300 mila euro nel caso di quotazione sul listino delle piccole e medie imprese (l’AIM Italia), corrispondente mediamente al 5-6% dell’ammontare raccolto in sede di IPO. Va sottolineato che alcuni di questi costi (come ad esempio la pubblicità obbligatoria sui quotidiani dei fattori di rischio presenti nei prospetti di offerta) non gravano sulle società che si quotano all’estero, non essendo previsti dalla normativa europea: se ne potrebbe valutare dunque la loro eliminazione. Naturalmente, il problema dei costi di quotazione è particolarmente sentito dalle imprese medio-piccole. L’esperienza degli anni scorsi in Italia ha fornito evidenti prove di ciò e della conseguente scarsa attrazione dei mercati regolamentati5 per le PMI.6 Di qui l’avvio nel 2008 del Mercato Alternativo del Capitale (MAC) e nel 2009 dell’AIM Italia per facilitare la quotazione delle PMI grazie a costi di quotazione complessivi inferiori a quelli previsti per un mercato regolamentato nonché a procedure di ammissione semplificate e più rapide ed a requisiti di informativa per gli emittenti più snelli. Il tema della semplificazione delle procedure di quotazione delle PMI è stato di recente oggetto di una iniziativa di carattere normativo a livello europeo, promossa dal Governo francese e da esperti della materia, finalizzata ad individuare alcune ipotesi di semplificazione della disciplina concernente le piccole e medie imprese a vari livelli.7 In tale iniziativa di snellimento, che l’ABI condivide, potrebbe rientrare anche l’eliminazione o la riduzione di alcuni adempimenti critici tipici della disciplina italiana, quali gli obblighi di comunicazione al mercato al raggiungimento da parte degli investitori della soglia minima del 2%, che nel caso di IPO di imprese di piccole dimensioni, determinano rilevanti criticità. Non va dimenticato inoltre che gli oneri connessi alla quotazione non esauriscono quelli che un’impresa quotata deve affrontare per permanere nel listino. Lo status di emittente quotato nei mercati regolamentati comporta, infatti, l’applicazione di un plesso di norme, per buona parte di derivazione comunitaria, la cui compliance è particolarmente onerosa. Si fa riferimento, tra gli altri, agli obblighi di trasparenza e segnalazione al mercato, agli obblighi 140% 128% % capitalizzazione detenuta da investitori domestici ed esteri* su capitalizzazione totale 120% % capitalizzazione detenuta da investitori istituzionali domestici ed esteri* /PIL 100% 81% 80% 76% 65% 65% 60% 42% 40% 28% 20% 7% 0% USA Unione europea (27) Italia UK (*) banche incluse tra gli investitori istituzionali; i dati sulla capitalizzazione si riferiscono al main market al 31/8/2010; i dati sulla percentuale di capitalizzazione detenuta da investitori istituzionali si basano su elaborazioni ABI su dati di Borsa Italiana (dati 2008 per Italia e dati 2005 per altri Paesi; nel 2005 i dati italiani erano pari a 37% e 10%, al 2008 risultano pari a 28% e 7%); i dati del PIL si riferiscono al 31/12/2009. di segnalazione alla Consob, nonché alla predisposizione dell’informativa finanziaria periodica. c) Carenza di investitori istituzionali In Italia il ruolo degli investitori istituzionali domestici sul mercato azionario è molto contenuto. Dal grafico riportato sopra emerge che la quota di capitalizzazione di Borsa detenuta da investitori istituzionali (banche incluse) rispetto alla capitalizzazione totale del mercato è pari al 28%. Il confronto con la realtà europea ed internazionale mostra che negli Usa e nell’Unione europea tale rapporto è pari al 65% mentre nel Regno Unito raggiunge l’81%. Il grafico mostra che anche rispetto al Pil, la capitalizzazione detenuta dagli investitori istituzionali è più bassa in Italia rispetto alle altre piazze finanziarie ed all’Europa nel suo complesso. In tale scenario si riscontra in particolare una specifica carenza di fondi specializzati in imprese a ridotta capitalizzazione. Al momento, infatti, solo otto fondi di diritto italiano sono dedicati in prevalenza alle small cap (investendo peraltro significative quote del patrimonio in imprese di dimensioni medio-grandi negoziate sull’MTA). Dall’analisi dell’asset allocation di detti fondi emerge infatti che la capitalizza- zione di mercato media dei primi cinque titoli in cui gli stessi investono è sempre superiore al miliardo di euro. La carenza di investitori small cap, determina difficoltà di collocamento di titoli in sede di mercato primario nonché ridotti scambi sul mercato secondario (con conseguente riflesso sul corso dei prezzi dei titoli stessi) e costituisce anche un disincentivo per le stesse imprese a quotarsi. Occorrono quindi strumenti che incentivino nel nostro Paese lo sviluppo di tali investitori istituzionali e aiutino a colmare il divario attualmente esistente sul nostro mercato rispetto ad altre piazze finanziarie europee. Una strada perseguibile, ad esempio, è quella di introdurre agevolazioni di carattere fiscale per le persone fisiche e le imprese che sottoscrivono quote di veicoli specializzati nell’investimento in società small cap quotate su mercati non regolamentati quali l’AIM Italia e il MAC. Su tale strumento, peraltro già previsto in altri Paesi europei, l’ABI ha sviluppato una proposta concreta, che intende portare nelle sedi competenti, anche con la condivisione degli altri stakeholder. Lo sviluppo di fondi di investimento specializzati in PMI potrebbe anche essere attuato utilizzando strumenti esistenti, quale ad esempio il Fondo Italiano di Investimento (FII), che potendo anche investire indirettamente nelle imprese tramite altri fondi (agendo come fondo di fondi), potrebbe creare un effetto leva con benefici sull’attività e lo sviluppo dei fondi specializzati in imprese small cap. Nell’ottica di favorire lo sviluppo di investitori istituzionali emerge poi l’esigenza di rimediare agli attuali squilibri nella tassazione dei fondi comuni, in particolare tra fondi di diritto italiano (tassati per maturazione) e quelli di diritto estero (tassati per cassa), nonché alle conseguenti incertezze normative sulla classificazione dei rendimenti da essi generati (redditi di capitale o redditi diversi). A tal proposito, potrebbe fra l’altro essere valutata l’opportunità di una sostituzione del regime di tassazione per maturazione dei fondi di diritto italiano con il regime della tassazione per cassa secondo uno schema analogo a quello attualmente seguito per i fondi esteri armonizzati UE, nonché di apposite norme di diritto transitorio per la sistemazione dei risparmi d’imposta accumulati dai fondi, trasformandoli in tempi brevi in nuova liquidità da investire, a vantaggio della performance del fondo. 4. L’offerta dei servizi di listing da parte delle società mercato in Italia Il processo di modernizzazione dei mercati italiani prende avvio con la legge n. 1/1991, che da un lato scioglie i Comitati direttivi delle sedi della Borsa e costituisce il Consiglio di Borsa, dall’altro impone la concentrazione degli scambi in Borsa. Il passo successivo viene compiuto con l’emanazione nel 1998 del Testo Unico della Finanza (TUF) che sancisce la privatizzazione del mercato, con la trasformazione di un soggetto pubblico, il Consiglio di Borsa, in un soggetto privato. Nasce così la Borsa Italiana, società per azioni a carattere imprenditoriale, partecipata dai principali operatori del mercato, cui scopo è l’organizzazione, la gestione e lo sviluppo dei mercati italiani. Non si può non riconoscere alla Borsa Italiana di aver svolto negli ultimi dieci anni un compito importante, gestendo il delicato passaggio da un modello basato su mercati di natura ECONOMIA-FINANZA 45 pubblica ad un modello, più moderno ed in linea con le principali esperienze estere, di mercati gestiti da soggetti imprenditoriali. In questo compito, un ruolo importante è stato certamente svolto dall’obbligo della concentrazione degli scambi sul mercato regolamentato, che ha garantito uno sviluppo ordinato e solido del mercato azionario, prevenendo una frammentazione della liquidità degli scambi e delle informazioni. Tale principio ha tuttavia evitato che la Borsa Italiana fosse esposta alla competizione di altri mercati, configurando, almeno nei fatti, una situazione di esclusività nella offerta di servizi di listing. Anche le esperienze di mercati regolamentati alternativi a Borsa Italiana hanno riguardato principalmente il mondo dei mercati non azionari (titoli di Stato e obbligazioni). Tale situazione, tuttavia, è in fase di cambiamento, da quando è stata introdotta in Europa la Direttiva sui Mercati di Strumenti Finanziari (Mifid) che ha rappresentato per l’Italia un’ulteriore ed importante rivoluzione in tema di mercati finanziari. La Mifid ha infatti messo al bando definitivamente la possibilità per gli Stati membri di prorogare l’obbligo della concentrazione degli scambi. Questo sta determinando in Europa un passaggio, seppur graduale, degli scambi dei titoli quotati sul mercato azionario italiano su mercati alternativi. Si tratta soprattutto di un mero e prevedibile fenomeno di migrazione del trading e non del listing. Per quanto riguarda poi l’offerta di mercati per le PMI, occorre ricordare, oltre all’avvio del mercato AIM Italia sulla base dell’esperienza inglese dell’AIM UK, la recente acquisizione da parte di Borsa Italiana della società di promozione del Mercato Alternativo del Capitale (ProMAC). Sul tema va altresì segnalata la recente costituzione di un Advisory Board dedicato ai mercati delle piccole e medie imprese – promosso da Borsa Italiana a cui partecipano tutte le categorie di soggetti coinvolti nel mercato – con l’obiettivo di ristrutturare i mercati italiani delle PMI e favorire l’offerta di quotazione dedicata a tali imprese nel contesto italiano, attraverso specifiche iniziative e strategie di sviluppo dei suddetti mercati, che prevedono 46 ECONOMIA-FINANZA anche una revisione del ruolo dei diversi attori coinvolti. In definitiva, sembra potersi valutare positivamente l’operato di Borsa Italiana negli anni precedenti (dall’ampliamento dei listini e la diversificazione dei segmenti alla telematizzazione degli scambi, al passaggio a meccanismi più efficienti di regolamento delle transazioni, alla privatizzazione del mercato). 5. Gli intermediari specializzati nel listing azionario Nel processo di quotazione di azioni intervengono diversi intermediari con specifiche funzioni. In Italia c’è un numero ristretto di operatori specializzati nel listing azionario (al momento circa 20 intermediari finanziari, inclusi quelli esteri): a questi vanno poi aggiunte alcune società di consulenza e revisione che offrono servizi di corporate finance. Tale carenza può essere attribuita, fra l’altro: – ad una ridotta domanda di quotazione da parte delle imprese, per i motivi già ricordati in precedenza; – al fatto che i servizi relativi alla quotazione sono servizi ad alta specializzazione con una forte componente di consulenza/assistenza, per cui, anche in considerazione della scarsa domanda di cui sopra, non tutti gli intermediari sono in grado di svolgere tale attività; – al fatto che gli stessi intermediari, nell’ambito del processo di quotazione di un’impresa, possono ricoprire più ruoli (sponsor, specialist, responsabile del collocamento, ecc.). Nelle operazioni di IPO effettuate negli ultimi anni emerge infatti, tra l’altro, una stretta coincidenza tra gli incarichi di sponsor e responsabile del collocamento. Ciò costituisce un limite alla nascita di nuovi operatori. Tra i vari ruoli svolti dagli intermediari nel processo di quotazione sul mercato, le attività dello sponsor e del responsabile del collocamento sono quelle che recano le maggiori criticità in quanto soggetti ad una specifica disciplina normativa, che attribuisce loro compiti e responsabilità. Lo sponsor, in particolare, collabora con l’emittente nella procedura di ammissione a quotazione degli strumenti finanziari ai fini di un ordinato svolgimento della stessa. Esso è tenuto a rilasciare una serie di attestazioni/ dichiarazioni relative, fra l’altro, alla presenza di un adeguato sistema di controllo di gestione. Si tratta di un incarico che richiede competenze diverse rispetto a quelle degli intermediari che effettuano collocamenti, la cui attività si focalizza su valutazioni del business plan e su valutazioni di carattere economico/finanziario e patrimoniale dell’emittente. Ciò ha quindi un impatto sull’attività degli intermediari in termini di maggiori responsabilità e, di conseguenza, in termini di maggiori costi di due diligence legale che si ripercuotono sugli emittenti. In tale prospettiva, è auspicabile un intervento sulla regolamentazione dell’attività dello sponsor nell’ottica di circoscrivere le sue funzioni alle attività su cui lo stesso ha una competenza specifica e, dunque, le relative responsabilità. L’attività del responsabile del collocamento dell’offerta pubblica assume rilievo nei rapporti con la Consob in quanto tale intermediario, in base al regolamento Emittenti, è tenuto a rilasciare, fra l’altro, una dichiarazione in cui attesta, al pari degli altri sottoscrittori del prospetto e per le parti di propria competenza, che il prospetto stesso «è conforme agli schemi applicabili e che, avendo essi adottato tutta la ragionevole diligenza a tale scopo, le informazioni in esso contenute sono, per quanto a loro conoscenza, conformi ai fatti e non presentano omissioni tali da alterarne il senso». Su tale intermediario grava altresì, ai sensi dell’art. 94, comma nono, del TUF, una presunzione di responsabilità per le informazioni false o le omissioni idonee ad influenzare le decisioni di un investitore ragionevole. Detta previsione non è peraltro in linea con la direttiva n. 2003/71/CE in tema di prospetti – che non prevede né la figura del responsabile del collocamento né alcuna presunzione legale di responsabilità a carico di un solo intermediario per informazioni false o per omissioni nel prospetto – né con le prassi degli altri Paesi europei, in base alle quali gli intermediari che effettuano la due diligence dei prospetti rilasciano generalmente attestazioni solo nella forma di negative assurance (dichiarando, ad esempio, che dalle veri- 6. La ripartizione delle competenze in tema di ammissione a quotazione tra Consob e Borsa Italiana Con la privatizzazione dei mercati, attuata con il Testo Unico della Finanza, le competenze in tema di ammissione a quotazione (cosiddetto listing) tra la Consob e la società di gestione del mercato (la Borsa Italiana) sono state ripartite: la Consob approva il prospetto di offerta dei titoli, mentre Borsa Italiana delibera l’ammissione a quotazione dell’emittente, subordinatamente all’approvazione da parte della Consob del prospetto di offerta e di una attenta attività di analisi e valutazione dell’impresa quotanda. La scelta operata da Borsa Italiana, responsabile dell’attività di ammissione a quotazione, è stata quella di subordinare l’ammissione a quotazione a concrete verifiche di merito (due diligence) e non solo all’esistenza di requisiti formali dell’emittente.8 Ad avviso dell’ABI, la suddivisione dei ruoli tra Borsa Italiana e Consob non ha mostrato in questi anni particolari criticità. La criticità principale nel processo di ammissione a quotazione riguarda invece i tempi lunghi di approvazione dei prospetti da parte di quest’ultima. La direttiva europea n. 2003/71/EC prevede che le Autorità di vigilanza approvino i prospetti entro dieci giorni lavorativi dalla presentazione della documentazione completa all’Autorità. Il termine è esteso a venti giorni ove l’emittente, come nel caso delle IPO, non abbia già strumenti finan- ziari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati e non abbia offerto strumenti finanziari al pubblico in precedenza. Tale tempistica, peraltro, viene frequentemente disattesa, anche a causa della ponderosità della documentazione di offerta da approvare. Un’analisi pubblicata nel 2008 dal Centre for Strategy & Evaluation Services per conto della Commissione europea ha evidenziato ad esempio che in Europa, in 31 IPO effettuate nel periodo gennaiogiugno 2007 il tempo medio di approvazione è stato di cinque settimane circa. Lo studio evidenzia poi il caso eccezionale dell’Italia in cui i prospetti sono divenuti sempre più ponderosi e costosi con una significativa dilatazione dei tempi medi di approvazione che variano tra i 60 ed i 90 giorni. Tale circostanza ha creato uno svantaggio competitivo, nel processo di ammissione a quotazione, per il mercato italiano rispetto ai mercati di quotazione degli altri Stati UE, che si ripercuote negativamente sulla competitività delle imprese italiane rispetto a quelle europee. Va tuttavia segnalato che nel 2009, nell’ambito delle modifiche al Regolamento Emittenti Consob volte a completare il recepimento della direttiva in tema di prospetti, è stato fra l’altro previsto un limite temporale massimo per la procedura di approvazione dei prospetti.9 Resta ancora aperto il tema del ruolo svolto dalla Consob nell’iter di approvazione dei prospetti, che negli ultimi anni ha rappresentato una delle cause della sua lunga tempistica. Le attività poste in essere dalla Consob continuano infatti ad essere più pervasive rispetto alle verifiche di completezza, coerenza e comprensibilità delle informazioni contenute nel prospetto previste dalla direttiva comunitaria. Sarebbe opportuno, nell’ottica di snellire il processo di quotazione delle imprese, individuare criteri e modalità che consentano di circoscrivere e garantire maggiori certezze in merito ai tempi di approvazione dei prospetti nel rispetto di elevati standard qualitativi di protezione degli investitori. Sarebbe altresì utile che i tempi medi di approvazione, che rappresentano un’informazione importante per gli operatori, fossero resi noti da parte della Consob, ad esempio nella propria relazione annuale. 7. Fotolia fiche svolte non sono emersi elementi significativi da far ritenere che nel prospetto siano contenute informazioni false od omissioni). Anche in tali casi si è in presenza di una elevata responsabilità per l’intermediario rispetto a quanto si riscontra a livello europeo, responsabilità che si traduce in un aumento dei costi di due diligence legale per l’intermediario stesso e, di conseguenza, per l’emittente. Conclusioni Nel nostro Paese la funzione di intermediazione finanziaria (raccolta del risparmio dai settori con saldo finanziario positivo – tipicamente le famiglie – e trasferimento ai settori con saldo negativo – tipicamente le imprese) viene esercitata prevalentemente dalle banche, mentre è relativamente scarso il ricorso diretto al mercato da parte delle imprese sia attraverso strumenti obbligazionari sia azionari. Modesto è in particolare il ruolo della Borsa nel finanziamento delle imprese. L’industria bancaria, nel sottolineare con orgoglio il ruolo decisivo che essa svolge, e che ha consentito di attutire gli effetti della crisi finanziaria prima ed economica poi (anche grazie ad un ricco insieme ECONOMIA-FINANZA 47 di iniziative specifiche a favore di famiglie e imprese) evidenzia l’esigenza che il sistema finanziario italiano superi alcune criticità che lo connotano ormai da molto tempo, tal che mercato creditizio e mercato finanziario in senso stretto possano assicurare assieme maggiori possibilità di sviluppo delle imprese e dell’economia. In estrema sintesi, il mercato finanziario italiano presenta oggi le seguenti caratteristiche, in relazione alle quali sono necessarie azioni di policy volte al superamento di alcune fragilità: – Dimensioni modeste del mercato azionario italiano: tale mercato è caratterizzato da dimensioni modeste se rapportato ai principali Paesi europei (296 società quotate alla fine del 2009 contro, ad esempio, le quasi 3.000 del London Stock Exchange), anche in considerazione del rilevante ruolo del canale bancario nelle passività delle imprese (la somma di obbligazioni e azioni quotate supera appena il 12% delle passività totali delle imprese, contro un valore prossimo al 50% per i prestiti). La quotazione resta comunque un’opzione rilevante per la crescita delle imprese, valorizzata anche dalle banche che, nel processo di listing, svolgono ruoli importanti. – Difficoltà strutturali e culturali delle imprese a quotarsi sui mercati, tenuto conto fra l’altro, dei limiti dimensionali, della concentrazione della proprietà a livello familiare e delle resistenze di tipo culturale nei confronti dell’apertura del capitale a terzi: far crescere il mercato italiano dei capitali e mettere in campo iniziative che favoriscano un’inversione di tendenza dal punto di vista culturale ed una crescita complessiva della dimensione del sistema imprenditoriale italiano. Al riguardo, un primo passo potrebbe essere quello di ridurre alcune distorsioni nelle scelte di finanziamento delle imprese motivate dall’esistenza di un favore fiscale per le forme di indebitamento rispetto al capitale proprio. – Elevati costi per la quotazione: favorire lo sviluppo dei mercati dedicati alle PMI per consentire alle imprese di minori dimensioni la quotazione a costi inferiori e con procedure più snelle facendo tra l’altro ricorso ad iniziative di semplificazione del quadro normativo e procedurale. 48 ECONOMIA-FINANZA – Carenza di investitori istituzionali domestici sul mercato azionario: introdurre strumenti che incentivino lo sviluppo di tali investitori nell’ottica di colmare il “gap” attualmente esistente sul nostro mercato rispetto ad altre piazze europee, ad esempio introducendo agevolazioni di carattere fiscale per i sottoscrittori di quote di veicoli specializzati nell’investimento in società a ridotta capitalizzazione quotate su mercati quali l’AIM Italia. In tale ottica, dovrebbe essere operata altresì una revisione della disciplina della tassazione dei fondi comuni, che possa rimediare agli squilibri attualmente esistenti tra i fondi di diritto italiano e quelli di diritto estero. – Responsabilità degli intermediari: intervenire sulla regolamentazione dell’attività degli intermediari coinvolti nel processo di quotazione, in particolare sponsor e responsabile del collocamento, nell’ottica di meglio bilanciare il rapporto tra le attività sulle quali gli stessi hanno competenze specifiche e le responsabilità attribuite dalla normativa; in tal modo si potrebbero ridurre anche i costi a carico degli emittenti. – Carenze nei processi di approvazione dei prospetti di offerta ed ammissione a negoziazione: individuare criteri e modalità che consentano alla Consob di effettuare le verifiche previste maggiormente in linea con la normativa e le prassi europee, garantendo maggiori certezze sui tempi di approvazione dei prospetti, nel rispetto di elevati standard qualitativi di protezione degli investitori. Su molte delle caratteristiche menzionate incide significativamente l’aspetto della scarsa dimensione delle imprese italiane. È questo tema molto rilevante anche sotto il profilo macroeconomico, date le evidenti e provate correlazioni tra il fattore dimensionale e la propensione alla ricerca, all’innovazione tecnologica, all’export e, in ultima istanza, all’aumento della produttività, aspetto quest’ultimo che l’industria bancaria considera cruciale per vincere la vera sfida che il Paese ha di fronte; una maggiore crescita quantitativa e qualitativa del prodotto interno lordo. NOT E 1) Evaluation of the Economic Impact of the Financial Services Action Plan (FSAP) CRA International, March 2009; and Study of the cost of compliance with selected FSAP measures, Europe Economics, January 2009. 2) Riguardo alla concentrazione della proprietà, nel periodo 2004-06, il capitale sociale detenuto in media dal socio di maggioranza oscillava tra 50% e l’80%. 3) Nel 76% dei casi relativi a società industriali quotate dal 1985 al 2005, la famiglia di riferimento deteneva mediamente, al momento della quotazione, circa il 77% dei diritti di voto (dati Borsa Italiana). 4) Secondo dati di Borsa Italiana dello stesso periodo, a seguito della IPO la famiglia di riferimento ha continuato infatti a detenere il controllo della società con il 54% dei diritti di voto dopo tre anni dalla quotazione e con il 52% dopo dieci anni. 5) Quelli individuati dall’art. 4, comma 1, punto 14 della direttiva Mifid n. 2004/39/EC. 6) Alla fine del 2008, dopo circa quattro anni dall’avvio del mercato Expandi – il comparto del mercato di Borsa creato per dare impulso alla quotazione di imprese di minori dimensioni poi accorpato con l’MTA – risultavano quotate su detto mercato soltanto 39 società, fra cui due banche (aventi entrambe una capitalizzazione di mercato superiore a due miliardi di euro). 7) L’iniziativa denominata “listing SME” prevede di: I) favorire il private placement attraverso soglie più elevate di esenzione dalla predisposizione dei prospetti; II) snellimento dei prospetti stessi, nell’ottica di richiedere requisiti informativi proporzionati alla dimensione d’impresa; III) maggiore flessibilità per gli aumenti di capitale; un regime IFRS7 proporzionato per la pubblicazione delle informazioni finanziarie; IV) favorire l’attività dei liquidity provider per incrementare la liquidità dei titoli sul mercato; V) creare fondi UCITS (Undertakings Collective Investment Transferable Securities) specializzati nell’investimento in PMI; VI) creare una piattaforma di mercato per le PMI a livello europeo. 8) L’attività di Borsa si sostanzia, ad e sempio, nell’esame del cosiddetto QMAT (Quotation Management Admission Test) – vale a dire il documento preliminare che deve essere predisposto dalla società quotanda per illustrare fra l’altro il business model della società stessa – nonché nelle verifiche sul sistema di controllo di gestione e sul business plan dell’emittente. 9) Rimane tuttavia dubbio se tale termine debba essere inteso come perentorio (e quindi se il prospetto debba essere comunque approvato entro i 40 o 70 giorni) ovvero come ordinatorio (nel qual caso la Consob stessa potrebbe approvare il prospetto anche successivamente). Si ringrazia l’avvocato Giuseppe Mussari, presidente dell’Associazione Bancaria Italiana, che ha concesso la pubblicazione del testo dell’Audizione tenuta il 12 gennaio 2011 alla VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati. André Meyer banchiere leggendario (e scorbutico) GIANCARLO GALLI Scrittore economico-finanziario ed editorialista di Avvenire André Meyer, legendary (and cantankerous) banker In the world of high finance, it’s not enough to be unpleasant to be respected, it’s better to be loathsome. So said A. Meyer. Naturally that’s not enough to be a great figure: you also need a specific genius, which he had shown since his adolescence, when he began with the modest role of procuring business. Then his capacity and his infallible intuition made him an appetizing consultant for many companies. He began to fly high and demanded becoming a “partner” of the financial battleship of the Lazards. During the Second World War he also took on the role of political mediator and allowed a young Enrico Cuccia to relay to the American ambassador the proposals of Italian non-Communist anti-Fascism. He was also the “muse” who inspired Cuccia to create Mediobanca. Richard Knapp A Crans-Montana, nelle Alpi svizzere, tradizionale e secolare luogo d’incontro degli gnomi della finanza dell’emisfero capitalista, di fronte ai problemi che attanagliano il mondo, accade spesso di udire una frase, accompagnata da un interrogativo: «Che avrebbe fatto André?». Il riferimento è all’ormai mitico banchiere André Meyer, leggendario tycoon che qui aveva una casetta dove, ad agosto, era uso ricevere la sua “miglior clientela”: dagli Agnelli ai Rockefeller, da Enrico Cuccia a François Michelin, da Jacqueline Kennedy allo Scià di Persia. Per poi ripartire, senza passare dalla Parigi in cui era nato il 3 settembre 1898, alla volta di New York. Al dodicesimo piano del grattacielo di Wall Street, sede della Lazard Frères della quale era il dominus assoluto, ancora più potente dei Weill-Lazard, fondatori ed azionisti di maggioranza. André Benoit Mathieu Meyer (1898-1979) in una foto che lo ritrae all’apice della sua carriera (da: André Meyer, il genio della Finanza, Sperling & Kupfer Editori). André Benoit Mathieu Meyer (1898-1979) in a photograph showing him at the peak of his career (from: André Meyer, Il genio della Finanza, Sperling & Kupfer Editori). Cerchiamo allora di capire chi è stato e cosa abbia rappresentato André Meyer, per mezzo secolo autentico protagonista e regista della finanza su entrambe le sponde dell’Atlantico: Europa ed Usa. * * * Figlio di modesti commercianti ebraici che, da “liberi pensatori”, non frequentano la sinagoga, il piccolo André, anziché la Torah s’appassiona ai listini di Borsa. A tredici anni (siamo nel 1910), abbandonata la scuola, trova un posto da fattorino presso un agente di cambio israelita parigino. Autodidatta, apprende inglese, tedesco, italiano. Avendo compreso che la finanza non ha confini, ogni mattino prima di entrare negli uffici della “Bauer et Fils”, fa il giro delle redazioni per ritirare non i giornali ma sottrarre i dispacci con le quotazioni estere. Prende di nascosto ad offrire suggerimenti (retribuiti) ai clienti della ditta. Monsieur Bauer, anziché indignarsi, vedendo il fatturato aumentare lo promuove procacciatore d’affari. La Francia entra in guerra. Nel 1917 la patria dissanguata lo chiama alle armi. È di bassa statura, grassoccio, occhialuto, con un vizio cardiaco, ma probabilmente a favorire l’esonero è qualche relazione privilegiata al Ministero della Guerra. Detto brutalmente, “un imboscato”. Inidoneo alle trincee eppure dotato sia di un’eccezionale capacità lavorativa (anche venti ore quotidiane), sia di una irrefrenabile esuberanza sessuale. L’enfant prodige della Bauer provoca l’attenzione di Pierre David-Weill, coetaneo di André. Il rampollo della dinastia Lazard (ebrei boemi riparati in Francia nel 1792) gli propone un’assunzione facendo ponti d’oro. Stipendio e provvigioni. L’astuto André rilancia, pretendendo di venire “associato”. Lo trattano da folle, da arrogante, da presuntuoso. Eppure dopo un paio di stagioni ci ripensano. Pare che nell’occasione André Meyer abbia pronunciato una delle frasi più taglienti del suo irriverente repertorio: «Perché essere antipatici quando, con un minimo di sforzo, si può essere odiosi?». Per inciso: è assai diffuso a Parigi, ancorché inverificabile, il convincimento che il matrimonio Meyer-Lazard sia stato propiziato dal Grande Oriente di Francia. Di certo, quello dei Lazard è ambiente chiuso e particolarissimo. Secondo la biografa Anne Sabouret, «ebrei, banchieri di sinistra, radical-socialisti, patrioti, anticlericali, visceralmente anticomunisti». André, sposatosi senza ECONOMIA-FINANZA 49 amore con Bella Lehman (altra vescovo Joseph Spellman), dinastia di gnomi), reciterà da poiché Meyer dopo averlo inprimattore su questo palcoscevestito del titolo di “proconsonico. le per l’Italia” della grande fiIl primo colpo che mette a nanza internazionale, gli ispira segno è da manuale. Nel 1934, la creazione di Mediobanca. la Citroën in piena crisi pare L’istituto, nonostante le diffidestinata al fallimento. È Meyer denze di Mattioli, verrà alla luad occuparsi del salvataggio in ce in via Filodrammatici a Miextremis: fa rilevare dai Michelano nell’aprile 1946. Al battesilin, esposti per oltre sei milioni mo i soci sono le tre banche di dollari, la società. Quindi read’interesse nazionale (Comlizza la fusione con Peugeot. merciale, Credito Italiano, BanGloria e danaro per tutti! ca di Roma). Dopo un decennio «Arricchirsi è un imperativo Il banchiere André Meyer fu “padrino” di due eroi del capitalismo: Margaret l’azionariato s’aprirà ai privamorale», proclamò sino alla fine Thatcher e Ronald Reagan. ti: Agnelli, Pirelli, Lazard, Lehdei suoi giorni André Meyer. The financier André Meyer was the “godfather” of two of capitalism’s man, Sofina (finanziaria belga), Arriva la Seconda Guerra heroes: Margaret Thatcher and Ronald Reagan. Berliner Handel. Con appena il mondiale. Pierre David-Weill, 3,75 per cento del capitale, recomandante di un reggimento di caval- s’era distinto in operazioni ad alto ri- gista Cuccia, saranno gli artefici del leria corazzato, riesce a sottrarsi ai schio, come la scoperta del traffico di “Miracolo Mediobanca”, che non si sapanzer tedeschi ripiegando nel Midi. valute in Africa Orientale che provocò rebbe però realizzato senza il sostegno Nessuno peraltro, fra i membri della il siluramento di Rodolfo Graziani, Vi- di Meyer. grande famiglia Lazard, crede alle per- ceré dell’Impero, sostituito dal Duca Sarà André (1973) a propiziare secuzioni razziali. André la pensa di- d’Aosta. Raggiunta la capitale lusitana l’operazione Euralux. La holding lusversamente. Subito dopo l’invasione in un avventuroso viaggio attraverso la semburghese, costituita da Meyer e hitleriana della Polonia ha cominciato Francia di Vichy e la Spagna, Cuccia dall’attuale presidente onorario delle a trasferire segretamente capitali per- trova nel finanziere André Meyer la Assicurazioni Generali Antoine Bernsonali a New York. Alla vigilia dell’occu- persona che lo introduce presso l’am- heim, che acquisì dalla Montedison di pazione di Parigi, raggiunge Londra, basciatore americano George Kennan Eugenio Cefis un robusto pacchetto di stringe rapporti col generale Charles cui consegna il “messaggio” dell’antifa- azioni della compagnia triestina. Quei De Gaulle, ripara in America da dove scismo italiano non comunista. Si co- titoli, sommatisi ad altri custoditi da dirige un circuito di sostegno alla Resi- noscevano Enrico ed André? Sulla que- Euralux per conto di un mai identificato stenza, mantenendo un “presidio” nella stione s’è a lungo dibattuto. Posso in con certezza grande imprenditore itaneutrale Lisbona. E qui... questa sede riferire una confidenza liano, confluirono infine in MediobanNella primavera del 1942, nono- fattami dallo stesso Cuccia, dopo che ca, facendone la “padrona” delle Genestante le sorti del conflitto ormai plane- ne avevo scritto la biografia (non auto- rali. Tre anni più tardi Meyer è il tramitario appaiano ancora favorevoli all’As- rizzata): «Meyer l’avevo incontrato a te fra Cuccia e la famiglia Agnelli in se Berlino-Roma-Tokyo (le nostre trup- Parigi, nel ’38». Non una parola in più. gravissime difficoltà finanziarie. In Fiat pe riconquistano Tobruk ed affiancate Fra Cuccia e Meyer è sintonia to- entrano i capitali libici della Lafico. dall’Afrika Korps di Rommel marciano tale. Sbocciata a Parigi, cementata a Va da sé che per André Meyer verso il Cairo; le armate tedesche avan- Lisbona. Le vicende belliche anziché l’Italia costituisce solo una “provincia” zano verso Stalingrado ed il Caucaso spezzarla, la rafforzano. Liberata Roma dell’impero finanziario della Lazard, ricco di petrolio; i giapponesi dilagano mentre al Nord ancora si combatte, sebbene da Mediobanca siano transitanel Pacifico), la Resistenza italiana si nell’ottobre del ’44 Cuccia, nessuno te anche operazioni di respiro sovranorganizza. Il Partito d’Azione clandesti- capisce con quali credenziali, è aggre- nazionale. Ad esempio il portage delle no guidato da Ferruccio Parri, Ugo La gato alla delegazione del governo di azioni della Hartford assicurazioni da Malfa ed Adolfo Tino, appoggiato dal Ivanoe Bonomi (succeduto a Badoglio) parte dell’americana ITT gestito da dominus della Banca Commerciale Raf- che deve discutere con gli americani le Felix Rohatyn della Lazard (ribattezzafaele Mattioli, decide di prendere con- modalità della Ricostruzione. to “Il gatto Felix”), delfino di Meyer. La tatto con gli angloamericani. Per la I “nostri”, per dirla con Raffaele vicenda ITT mise in difficoltà lo stesso “missione” viene scelto un funzionario Mattioli partecipe della missione, a presidente Richard Nixon per un finandella Comit, aggregato alla “sezione Washington e New York vengono «trat- ziamento al Partito Repubblicano, doestera” che gode di passaporto diplo- tati quali cani in chiesa». Eccetto Cuc- po che la stessa ITT era già stata indimatico: Enrico Cuccia. cia. Fattosi lupo solitario, si rintana ziata per avere avuto un ruolo nel golpe Strabilianti gli esiti. Cuccia, poco presso Meyer: all’Hotel Carlyle, al 120 cileno contro Salvador Allende. più che trentenne, sposato con Idea, di Broadway, sede della Lazard Usa. Da Fu Meyer a, letteralmente, “invenfiglia prediletta di Alberto Beneduce, quella postazione privilegiata tesse tare” le Conglomerate, enormi “contenipresidente dell’Iri, al tempo stesso 33 relazioni (dai Rockefeller ai Kennedy, tori” di aziende comprate-vendute di massonico ed intimo di Mussolini, già dal sindaco Fiorello La Guardia all’arci- cui l’ITT, all’origine società telefonica, 50 ECONOMIA-FINANZA che disdegnava i ristoranti alla moda, costringendo anche convitati illustri ad accontentarsi in più di un’occasione di un hamburger nei McDonald’s. Ne fece le spese pure Gianni Agnelli che ebbe a raccontarmi in questo modo la, a dir poco, bizzarra avventura. In sintesi: con gli stabilimenti occupati e la contestazione dilagante (siamo a metà degli anni Settanta), l’Avvocato è tentato di “gettare la spugna” (parole sue). Ugo La Malfa gli ha proposto di accettare la carica di ambasciatore in Usa. Cuccia, indignato, pronuncia la sferzante frase: «Lei è stato un ufficiale, e gli ufficiali muoiono in trincea ma non s’arrendono». Sbollita l’ira, suggerisce: «Vada da Meyer!». L’Avvocato, che ha per Cuccia stima incondizionata, obbedisce. Racconta: «In un postaccio divertentissimo, dove si mangiava solo carne, tritata o ai ferri, insalata, birra e Coca Cola, Meyer mi disse di star tranquillo. In politica e finanza tutto era sotto controllo...». Infatti Meyer propiziò l’ingresso dei libici in Fiat. Quanto alla politica, anticipò cambiamenti epocali. Aggredito da un carcinoma prostatico, Meyer spese le ultime stagioni terrene facendo la spola fra Londra e l’America, “padrino” di due eroi del capitalismo: “Maggie” Thatcher e Ronald Reagan. La signora con la falce gli impedirà di godere pienamente il trionfo della “Lady di ferro” e dell’ex divo di Hollywood entrato trionfalmente alla Casa Bianca. La stessa Lazard, rimasta orfana e tornata sotto il controllo totale dei David-Weill attraverso Michel, sarà chiamata a durissime prove con la conquista dell’Eliseo da parte del socialista François Mitterrand. Certo la Lazard di boulevard Haussmann andrà incontro ad un lento declino ma, sotto la pressione dell’establishment statunitense, Mitterrand la esclude dal piano di nazionalizzazione. È l’ultimo, postumo, “miracolo” di André Meyer. Morto il 9 settembre 1979, accudito sino all’ultimo da Bella Lehman dimentica delle passate infedeltà, ha lasciato un testamento olografo in cui chiede di poter tornare in Francia, evitando cerimonie, discorsi. Si sussurra abbia scritto in un toccante addio: «Sia rispettato quel silenzio che m’ha accompagnato dalla nascita alla morte». Verità o leggenda, comunque è la più alta espressione del pensiero di un adepto della confraternita dei sacerdoti del dio danaro. Dotato di uno spaventoso talento per il successo finanziario, André Meyer fu, tra l’altro, “tesoriere di famiglia” e prezioso consigliere dei Kennedy oltre che amico, confidente e cavaliere di Jacqueline. Endowed with an uncanny talent for financial success, André Meyer was also the Kennedy “ family treasurer” and valued advisor, as well as friend, confidant and escort to Jacqueline. Getty Images fu un esempio negli anni ’60-70. Fra le operazioni più geniali che fecero di Meyer il mito di Wall Street, l’acquisto dell’Avis (numero uno nel noleggio auto) per sette milioni di dollari e rivenduta per venti. La gigantesca speculazione sulla texana Matador, proprietaria di sterminati ranch. Attraverso la lottizzazione, guadagni milionari. Di André Meyer, famoso per l’avidità, esiste tuttavia un coté umano poco esplorato, e per il quale il suo nome è ricordato come “inimitabile ed insostituibile” ai piani alti della politica e della finanza. Pur trasferitosi negli States, l’Europa restò sempre nel suo cuore: consulente personale del presidente francese Georges Pompidou, di Jean Monnet alla nascente Comunità europea, ed intimo di Jacqueline Kennedy, della quale era segretamente innamorato. Nell’autunno del ’68, a cinque anni dall’assassinio di John Kennedy e poco dopo l’uccisione di Robert, Jacqueline comunicò a Meyer, “tesoriere di famiglia”, la decisione di sposare Aristotele Onassis. La reazione fu violenta, scomposta. Fallito il tentativo di convincere Jackie a non condividere il talamo con un miliardario giudicato very rough, rozzo e privo di standing, stese di suo pugno un contratto matrimoniale per garantire la pupilla. Oltre alle penali (cento milioni di dollari) in caso di divorzio, una serie di clausole a disciplinare la vita intima. Col diritto di Jackie a vivere lontana dal marito per lunghi periodi. Onassis, accettò, rivelandosi gran gentiluomo: alla morte (1975) lasciò alla donna un’eredità favolosa. Recuperando la figura del finanziere, è opinione diffusa che alle gesta di Meyer, molto influente negli ambienti della stampa economico-finanziaria, vada attribuito il merito di avere nel dopoguerra “risvegliato” Wall Street dando l’avvio ad un ritorno dell’azionariato di massa, ancora sotto shock dopo la Grande Depressione degli anni Trenta. Due cifre. L’indice Dow Jones nel 1946 era di poco sopra “Quota 100”. Alla sua morte, s’avvicinava a “Quota 1.000”. Successivamente, l’ulteriore grande balzo in avanti, sino a “Quota 11-12 mila”. Pressappoco l’attuale, fermo da quasi un lustro. Nella Grande Mela che lo volle cittadino onorario e benemerito, ancora si ricorda la sobrietà del banchiere ECONOMIA-FINANZA 51 La Cina e i Fondi sovrani: la crescita di una potenza geo-economica ALBERTO QUADRIO CURZIO Presidente della Classe di Sc.m.s.f., Accademia dei Lincei Presidente Centro di Ricerche in Analisi Economica Cranec dell’Università Cattolica VALERIA MICELI Ricercatore e Membro del Comitato Scientifico del Centro di Ricerche in Analisi Economica Cranec, Università Cattolica; Visiting scholar alla University of Cambridge, UK. C on un Pil che sfiora quota 5.750 miliardi di dollari correnti secondo le previsioni del Fondo Monetario per il 2010 e che ha dunque superato persino l’economia giapponese così piazzandosi come seconda economia mondiale, che continua a crescere a ragguardevoli tassi che non sono mai scesi negli ultimi anni sotto il 9% neanche in conseguenza della crisi economica globale, con una bilancia delle partite correnti cronicamente in avanzo prevista per il 2010 (sempre secondo le stime del FMI) a 270 miliardi di dollari ovvero il 4,7% del Pil, con un ammontare di riserve valutarie che a giugno 2010 sfiorava quota 2.500 miliardi di dollari, infine, dato più scontato, ma non per questo meno rilevante, con una popolazione di più di 1,3 miliardi di persone che rappresenta un bacino di manodopera ed un potenziale mercato di pressoché infinite dimensioni, la Cina è oggi la potenza geo-economica emergente che lambisce da vicino il primato americano. 52 ECONOMIA-FINANZA Per questo motivo, la nascita dei Fondi sovrani (o Fos) cinesi ha rappresentato un fatto nuovo in quanto gli stessi, più che per ogni altro Paese proprietario di Fos, si collocano al crocevia tra economia, finanza e geo-politica. I Fondi sovrani, infatti, oltre ad essere grandi attori della finanza internazionale, possono trasformarsi in grandi attori della geo-economia mondiale se posseduti da potenze globali. Ed è proprio questo il caso cinese, come vedremo più approfonditamente nel seguito di questo articolo, non prima però di avere fornito le principali coordinate relative al fenomeno dei Fondi sovrani a livello globale. La situazione mondiale dei Fondi Sovrani Presenteremo brevemente in questa sezione alcuni concetti chiave necessari per capire cosa sono i Fondi Sovrani, quali Paesi li possiedono e che strategie di investimento seguono nei mercati finanziari. Per ulteriori approfondimenti rimandiamo il lettore ai nostri più estesi lavori in materia (in particolare ai volumi I Fondi Sovrani di Alberto Quadrio Curzio e Valeria Miceli pubblicato dal Mulino nel 2009 e Sovereign Wealth Funds. A complete guide to state-owned investment funds pubblicato nel 2010 da Harriman House nel Regno Unito). Successivamente tratteremo dei fondi sovrani cinesi evidenziando la rilevanza non solo economica, ma anche geo-politica di tali attori. I Fos cinesi infatti arrivano ad un totale di attività gestite che supera i 1.000 miliardi di dollari. I Fos sono fondi di investimento di proprietà statale che gestiscono portafogli di attività finanziarie, in parte denominate in valuta estera, derivanti dalla vendita del petrolio e altre materie prime (Fos commodity) o da surplus valutari della bilancia dei pagamenti (Fos non-commodity). Si tratta di un universo molto variegato in cui si delineano diverse tipologie di Fos che si differenziano per finalità, strategie, operatività sui mercati finanziari, strutture legali, livelli di trasparenza. È possibile identificare un totale di 53 Fos per un attivo complessivo che, a fine 2009, oscilla tra i 3.386 miliardi di dollari e i 4.042 miliardi di dollari a seconda delle stime più o meno prudenziali che si adottano per i fondi più opachi (esistono infatti Fos che non rendono pubblico neanche l’ammontare totale del loro attivo). Di seguito si fornisce la lista dei principali dieci Fos aggiornata a fine 2009 con l’indicazione del Paese di appartenenza, dell’attivo totale gestito (di cui si forniscono gli estremi del range di stime esistenti), dell’anno di creazione nonché della fonte della sua ricchezza se di tipo commodity o noncommodity. Come si evince dalla tabella 1, i Paesi ai quali i Fos appartengono sono principalmente emergenti e la maggior parte di essi è di proprietà di governi che possono considerarsi autoritari o semi-autoritari. Tra i primi dieci Fos solo quello norvegese appartiene ad una democrazia di tipo occidentale. Tab. 1) I PRINCIPALI FONDI SOVRANI A FINE 2009 (per alcuni fondi indicati con asterisco che non pubblicano rapporti con cadenza annuale le stime risalgono a inizio 2009) Paese Nome Fondo Attivo (miliardi USD) Anno di creazione Tipologia EAU Abu Dhabi Investment Authority (ADIA)* 282 627 1976 Commodity Norvegia Norwegian Government Pension Fund Global (GPFG) 432 432 1990 Commodity Arabia Saudita Various funds within Saudi Arabian Monetary Agency (SAMA) 365 415 - Commodity Cina China Investment Corporation (CIC) 332 332 2007 Non-commodity Cina SAFE Investment Company 300 347 1997 Non-commodity Cina - HK Hong Kong Monetary Authority - Investment Portfolio 228 260 1998 Non-commodity Singapore Government Investment Corporation (GIC)* 180 248 1981 Non-commodity Kuwait Kuwait Investment Authority (KIA)* 169 228 1953 Commodity Cina National Social Security Fund (NSSF) 147 147 2000 Non-commodity Singapore Temasek Holdings 133 133 1974 Non-commodity Fonte: Quadrio Curzio, Miceli, 2010; Sovereign Wealth Fund Institute, accesso settembre 2010; Rapporti dei Fondi Sovrani ove esistenti (Norwegian Government Pension Fund, China Investment Corporation, National Social Security Fund [NSSF], Temasek Holdings). I Fondi sovrani cinesi Nella lista di tabella 1 è evidente il ruolo notevole della Cina che, con i suoi quattro Fos per un ammontare totale di attivo che supera i mille miliardi di dollari a fine 2009 (oscilla a seconda delle stime tra 1.007 e 1.086 miliardi), è uno degli attori dominanti. Anche solo considerando il China Investment Corporation o Cic, con la sua dotazione di attivo di 332 miliardi di dollari, esso rappresenta il quarto fondo per totale attivi dopo quello di Abu Dhabi (le cui dimensioni non sono certe vista l’opacità che lo caratterizza), quello norvegese e dopo i fondi dell’Arabia Saudita che però difficilmente possono configurarsi come unico fondo sovrano. Inoltre il Cic è il primo Fos non-commodity per dimensione del suo attivo. Il Fos cinese per definizione è il Cic che è riconosciuto come tale anche dallo stesso governo cinese. Tuttavia la Cina può contare anche su una serie di altri veicoli di investimento assimilabili a Fos per l’operatività sui mercati finanziari, anche se non definiti ufficialmente tali dal Governo. Possibili fattori di rischio Il caso cinese è particolarmente interessante non solo per le impressionanti dimensioni finanziarie dei suoi veicoli di investimento statali, ma anche, e forse soprattutto, per lo status di grande potenza emergente che la Cina riveste oggi nello scacchiere globale. Proprio questa considerazione accompagnata da un’iniziale opacità del fondo cinese aveva contribuito a suscitare notevoli preoccupazioni presso i governi dei Paesi occidentali ed in particolare presso gli Usa. Nei confronti dei fondi sovrani cinesi si erano palesate varie riserve. Si temeva innanzitutto per la sicurezza nazionale nei settori considerati sensibili, ritenendo che il Cic fosse animato più che da finalità commerciali, da finalità geopolitiche, mirando ad acquisire partecipazioni di controllo/maggioranza in settori strategici quali trasporti, infrastrutture, China and Sovereign Wealth Funds: the growth of a geo-economic power Sovereign Wealth Funds (SWF) are state-owned investment funds that deal with financial activity portfolios. There are many different types of SWF with various aims, strategies, legal frameworks, and levels of transparency. Their particular nature makes them a crossroads of economy, finance and geopolitics, giving their role an international breadth. Placed on the market in 2007, Chinese Investment Corporation funds are of notable interest. Their declared goals include maximizing long-term returns on investments with a balanced portfolio of foreign titles and recapitalising state banking institutions, thereby contributing to reforming the national financial system. telecomunicazioni, energia, difesa, high-tech. In secondo luogo, si paventavano pratiche quasi-monopolistiche sui mercati in due direzioni. Da un lato, si temeva che il Cic puntasse ad incrementare le quote di mercato globale di campioni nazionali cinesi a scapito di aziende di altri Paesi attraverso acquisizioni mirate o che tentasse di bloccare indesiderate fusioni/acquisizioni tra competitors per sostenere i propri campioni nazionali. Da un altro lato, si temeva che il Cic potesse garantire vantaggi competitivi nell’accesso al proprio mercato alle aziende partecipate a scapito di aziende concorrenti ma non partecipate. Senza contare le preoccupazioni di tipo geo-politico determinate dallo status della Cina di grande creditore degli Usa. La debolezza finanziaria del debitore può infatti diventare, in alcuni casi, vulnerabilità strategica e politica del suo soft power. Il potere statunitense si riduce nei confronti degli altri Paesi nella misura in cui questi si approvvigionano di risorse finanziarie dalla Cina (o da altri Paesi detentori di Fos). E anche le scelte Usa, per esempio nei confronti di Taiwan, potrebbero essere condizionate dai rapporti di forza finanziari. Lo stesso problema si pone per le istituzioni finanziarie sovrannazionali le cui stabilità e credibilità potrebbero essere vulnerate. ECONOMIA-FINANZA 53 Genesi del China Investment Corporation La creazione del Cic è il risultato di un dibattito andato avanti per circa due anni in Cina e riguardante l’utilizzo delle enormi e crescenti riserve valutarie accumulate nell’ultimo decennio ad un tasso di crescita mensile oscillante tra il 2% e il 4%. Secondo la Banca Centrale cinese a fine 2009 le riserve valutarie ammontavano a 2.399 miliardi di dollari e a fine giugno 2010 a 2.454 miliardi. L’accumulo di tali riserve è stato reso possibile soprattutto grazie ai surplus di bilancia commerciale verificatisi già dalla fine degli anni ’90. La Cina ha sempre investito gran parte delle sue riserve in titoli del debito pubblico americano caratterizzati da bassi rischi, ma anche da bassi rendimenti. È stato stimato che il loro rendimento tra il 2001 e il 2007 si attestasse tra il 3% e il 6% (Federal Reserve, 2008), un ritorno modesto per un’economia che cresce al 10% medio annuo e che garantisce agli investimenti esteri in 54 ECONOMIA-FINANZA Shutterstock La risposta della comunità internazionale: i Principi di Santiago del Fmi In risposta a queste preoccupazioni riguardanti non solo i Fos cinesi, ma quelli di tutti i Paesi non occidentali, preoccupazioni peraltro allo stato attuale non supportate da dati empirici, il Fmi ha istituito, nell’aprile 2008, un gruppo di lavoro internazionale (IWG) di cui fanno parte i rappresentanti di 26 governi dotati di Fos (tra cui la Cina), dei Paesi riceventi e di alcune istituzioni internazionali. Nell’ottobre 2008, l’IWG ha pubblicato 24 principi guida (Generally Accepted Principles and Practices, Gapp) detti anche Principi di Santiago, dal nome della capitale cilena dove lo IWG li ha approvati, ai quali i Fos dovrebbero attenersi. Poiché ai principi citati si aderisce volontariamente, ci vorrà del tempo per valutarne l’efficacia. Dopo avere delineato lo sfondo di riferimento, ci apprestiamo a descrivere la storia del principale fondo sovrano cinese, China Investment Corporation e a fornire alcune informazioni sugli altri Fos cinesi (cfr. anche l’articolo pubblicato sul n. 50 di Aspenia dell’ottobre 2010 degli stessi Autori dal titolo “I Fondi Sovrani del Paese di Mezzo”). entrata un rendimento che la Banca Mondiale ha stimato pari al 22% nel 2005. Questo gap rappresenta per la Cina l’elevato costo opportunità di tenere enormi riserve di valuta e di investirle in titoli del Tesoro americano. L’obiettivo della Cina di tenere il renmimbi agganciato al dollaro aveva cioè determinato un meccanismo monetario-valutario molto costoso sia dal punto di vista economico-finanziario sia politico. La polemica tra ministero delle Finanze e Banca Centrale si era inasprita proprio intorno all’incapacità di utilizzare meglio la ricchezza valutaria del Paese. Inoltre il possibile deprezzamento del dollaro comporta la svalutazione della ricchezza valutaria cinese e poiché dal 2005, a parte la parentesi della crisi, il renmimbi ha iniziato gradualmente ad apprezzarsi, il rischio di vedere la propria ricchezza perdere drasticamente valore è oggi molto concreto. Tra le molte ipotesi elaborate per individuare un migliore utilizzo delle riserve valutarie cinesi il Governo ha deciso per un Fos, annunciato nel marzo 2007, con l’obiettivo di investire la valuta in eccedenza direttamente all’estero. Nel settembre 2007, quando il Cic è stato creato, il ministro delle Finanze ha emesso 200 miliardi di debito in buoni del tesoro cinese (con date di scadenze tra dieci e quindici anni e tassi di interesse al 4,5%) che ha conferito in dotazione al Cic e che quest’ultimo ha utilizzato per acquistare valuta dalla Banca Centrale. Il Cic è interamente posseduto dal Governo cinese e riporta direttamente al Consiglio di Stato, il maggior organo esecutivo ed amministrativo del Paese, e al premier. Questa soluzione sembra essere stata ideata per risolvere il conflitto determinatosi tra la Banca Centrale e il ministero delle Finanze a proposito dell’autorità che dovesse avere il mandato di gestire il nuovo fondo. Tuttavia, la composizione del comitato direttivo e di quello di gestione lasciano intendere che il Cic sia un’emanazione più del ministero delle Finanze che di altri enti. Il presidente è Lou Jiwei, ex ministro delle finanze cinese ed ex vice-segretario generale del Consiglio di Stato, personalità di alto profilo. Il comitato direttivo costituito da undici membri si compone di personalità politiche afferenti sia i ministeri coinvolti nell’attivi- tà del Cic sia la Banca Centrale. I suoi membri devono essere approvati dal Consiglio di Stato. Invece il comitato di gestione è composto per lo più da tecnocrati dotati di rilevante esperienza nella gestione di investimenti pubblici e privati. Il comitato direttivo definisce le strategie e le linee guida per l’attività di investimento. Il comitato di gestione le implementa. Infine un terzo organo, il comitato di supervisione, ha poteri di controllo. Dal punto di vista della vigilanza, il Cic non è sottoposto ad alcuna autorità di regolazione ed è sullo stesso piano della Banca Centrale cinese. Obiettivi e strategie di investimento del Cic Obiettivi dichiarati del Fondo sovrano cinese sono sia massimizzare i ritorni di lungo termine sugli investimenti servendosi di un portafoglio di titoli esteri ben bilanciato, sia ricapitalizzare importanti istituzioni bancarie domestiche di proprietà statale contribuendo a riformare il sistema finanziario nazionale. La strategia di investimento del Cic si svolge pertanto lungo un duplice binario: domestico ed estero. Per quanto riguarda gli investimenti domestici il Cic ha utilizzato un terzo all’incirca della sua iniziale dotazione per acquistare la Central Huijin Investment Company (Chic) subentrando in tutte le partecipazioni detenute da questa (China Development Bank, Industrial and Commercial Bank of China, Agricultural Bank of China, Bank of China, China Construction Bank). Il Cic è dunque di fatto proprietario di una gran parte del sistema bancario e finanziario cinese. Per quanto riguarda le partecipazioni estere bisogna distinguere due diverse fasi. La prima che va dalla creazione nel 2007 alla prima metà del 2009, è il periodo in cui si manifesta la crisi finanziaria. Questa fase è caratterizzata da alcuni investimenti iniziali (nel fondo Blackstone Group e in Morgan Stanley ad esempio) che avevano determinato alcune perdite e dunque un successivo atteggiamento di cautela e un rallentamento nell’attività di investimento. A ciò si sommavano altri due fattori. Innanzitutto gli stimoli fiscali domestici che hanno assorbito risorse per 600 miliardi di dollari. In secondo luogo si è dato avvio ad un ripensamento delle strategie di investimento e ad una riorganizzazione interna che ha prodotto una nuova struttura organizzativa e determinato assunzioni di numerose nuove figure professionali. A partire dal 2009 il Cic ha reso pubblica la sua nuova organizzazione interna che prevede quattro divisioni. Con la ripresa dei mercati finanziari e l’accumulo di risorse umane e cognitive, a partire dalla seconda metà del 2009 il Cic ha ripreso l’attività di investimento. Del resto il Cic iniziava il 2009 con una enorme dotazione di risorse finanziarie ancora da investire. A fine anno lo stock di investimenti in titoli esteri sia di Paesi avanzati sia emergenti ammontava a 81 miliardi di dollari (escludendo le partecipazioni bancarie di Chic) di cui 60 effettuati nel solo 2009. Il portafoglio era allocato per il 36% in titoli azionari, per il 32% in liquidità immediata, per il 26% in titoli a reddito fisso e infine per il 6% in investimenti alternativi. Dal punto di vista geografico, il portafoglio azionario è allocato per il 44% nel Nord America, per il 28% in Asia, per il 20% in Europa, mentre la percentuale rimanente va all’America Latina. L’Africa è praticamente assente da questo portafoglio in quanto esistono in Cina veicoli di investimento specifici per il continente africano. L’allocazione geografica dei titoli a reddito fisso vede una netta predominanza di titoli del debito pubblico. Non è invece nota l’allocazione del portafoglio per valute. Tra gli investimenti diretti all’estero di tipo azionario la nuova strategia privilegia i settori energetico e delle risorse naturali, delle rinnovabili, delle infrastrutture e dei servizi finanziari. Questo trend è confermato dai dati sugli investimenti del 2009 e del 2010 presentati in tabella 2 che vedono il prevalere di target appartenenti a settori reali, in particolare energetici e delle materie prime. A seguire si riporta la lista delle più significative transazioni del periodo 2009-2010 in ordine cronologico inverso: Tab. 2) PRINCIPALI INVESTIMENTI DEL CIC NEL PERIODO 2009-2010 Target Data Settore Valore (milioni USD) Penn West Energy Trust mag-2010 Petrolifero 1.020 Chesapeake Energy Corporation mag-2010 Petrolifero e gas 2.600 Changsha Zoomlion Heavy Industry Science & Technology Development Co. feb-2010 Industriale 815 GCL-Poly Energy Holdings Ltd. nov-2009 Energie rinnovabili 717 The AES Corporation nov-2009 Energia 1.581 Iron Mining International Ltd. ott-2009 Estrattivo 700 South Gobi Energy Resources Ltd. ott-2009 Estrattivo 500 Oaktree Capital Management set-2009 Finanziario 1.000 Noble Group Ltd. set-2009 Materie prime 858 CJSC Nobel Oil set-2009 Petrolifero 270 PT Bumi Resources set-2009 Carbonifero 1.900 Songbird Estates ago-2009 Immobiliare 450 Goodman Group ago-2009 Immobiliare 460 CITIC Capital Holdings Limited lug-2009 Finanziario 258 KazMunaiGas Exploration and Production lug-2009 Petrolifero e gas 940 Teck Resources Limited lug-2009 Estrattivo 1.500 Fonte: Capital IQ (Financial Database) ECONOMIA-FINANZA 55 Gli altri Fondi sovrani cinesi Il Cic si inserisce in un più ampio disegno elaborato dal governo cinese al fine di organizzare e incoraggiare i flussi di investimenti diretti all’estero. Vi sono infatti almeno altri tre soggetti finanziari operanti come Fos in Cina, come visto in tabella 1. Tra gli enti autorizzati ad investire all’estero vi è infatti la Safe Investment Company, sussidiaria dello State Administration of Foreign Exchange (SAFE) che gestisce le riserve ufficiali della Banca Centrale cinese. La Safe Investment Company, creata nel 1997 e dotata di un attivo di circa 347 miliardi di dollari, è diventata investitore attivo all’estero nella ricerca di più proficui rendimenti per quella quota di riserve in valuta non necessarie alla politica monetaria. Il livello di trasparenza è molto basso e, non trattandosi ufficialmente di un fondo sovrano, il Safe non è tenuto ad adeguarsi agli standard di Santiago. Vista la sua implicita natura di Fos, è ragionevole immaginare una forte rivalità tra Cic e Safe. Tuttavia, se come si prevede, verrà assegnata al Cic un’altra tranche di riserve, ciò potreb- 56 ECONOMIA-FINANZA be marcare ufficialmente il ruolo del Cic come principale investitore cinese all’estero. Un altro Fos cinese è il National Social Security Fund, fondo pensione dotato di 147 miliardi di dollari derivanti da privatizzazioni di imprese pubbliche e da altri proventi fiscali, istituito nel 2000, che solo nel 2006 ha ricevuto l’autorizzazione ad investire il 20% delle proprie dotazioni all’estero. Essendo un fondo pensioni, anche se sui generis, il livello di trasparenza è più elevato che nel caso del Safe ed infatti il NSSF redige annualmente un rapporto periodico sulle proprie attività. Nel 2008 ha riportato la sua prima perdita dalla costituzione, ma le stime per il futuro vedono un incremento del valore degli asset. Sempre in ambito cinese menzioniamo un ultimo Fos, ovvero la divisione denominata Investment Portfolio della Hong Kong Monetary Authority, dotata di 260 miliardi di dollari: è un fondo di proprietà dell’Autorità Monetaria di Hong Kong autorizzato ad investire i propri asset all’estero anche in titoli azionari. Il livello di trasparenza è il più elevato tra i fondi cinesi. Infine anche le molteplici ex aziende di Stato cinesi hanno sufficienti risorse per fare acquisizioni all’estero, oltre a poter attingere a ulteriori finanziamenti pubblici. Senza contare che le banche cinesi, godendo di un regime protetto e accumulando notevoli profitti, sono in grado di investire tali profitti all’estero come ad esempio ha fatto l’Industrial and Commercial Bank of China comprando il 20% di Standard Chartered Bank. Non è un caso che il Cic si sia premurato di acquisire notevoli partecipazioni nelle principali banche cinesi, in modo tale da essere in grado di agire anche per via indiretta, inducendo le banche a finanziare acquisizioni estere o a supportare gli investimenti esteri da parte di aziende cinesi. In questa congerie di interventi, alcuni ravvisano, più che un piano strategico, la sovrapposizione di poteri politici diversi e la disputa di lunga data tra il ministero delle Finanze e la Banca Centrale per l’aggiudicazione della supremazia nella gestione delle riserve. Prova ne sarebbe il tentativo di Safe di espandere i propri investimenti esteri occupando così gli stessi spazi di investimento del Cic. A nostro avviso tuttavia, al di là delle possibili difficoltà interpretative, l’insieme delle iniziative sembra porsi come lo stadio iniziale di un’ampia strategia di investimenti esteri che potrebbe portare la Cina a divenire, nei prossimi anni, uno dei principali investitori mondiali. Shutterstock A fine 2009 Cic riportava nel suo rapporto annuale un utile pari a 42 miliardi di dollari e un totale attivo di 332 miliardi con un rendimento annuo dell’11,7% sul portafoglio di titoli esteri. Si tratta di cifre che rappresentano un successo se comparate alle performance dei principali operatori finanziari mondiali per lo stesso periodo. La valutazione dell’attività e delle prospettive del fondo è dunque molto positiva. Ed infatti sembra che presto il Cic sia in grado di ottenere un’altra tranche di riserve dalla banca centrale cinese. Infine va segnalato riguardo al Cic che, a seguito della sua partecipazione ai lavori dell’IWG, esso ha fatto notevoli progressi in termini di trasparenza. Nell’agosto 2009 il Fos cinese ha infatti pubblicato il suo primo rapporto annuale sulle attività relative all’anno 2008 seguito, a luglio 2010, dal secondo rapporto relativo alle attività dell’anno 2009. Inoltre il Cic è uno dei partecipanti al Forum dei Sovereign Wealth Funds (IFSWF) istituito nel 2009 per dare seguito alla redazione dei Principi di Santiago. E proprio la Cina ospita nell’aprile 2011 a Pechino il meeting annuale del Forum. Conclusioni La precedente riflessione ha voluto dare una sintetica rappresentazione dei Fos cinesi. Per concludere, noi pensiamo che, con questa nuova strategia di investimenti all’estero, la Cina potrebbe inaugurare due nuove tendenze. Da un lato una nuova era di cooperazione per la governance globale sui mercati finanziari mondiali in cui all’egemonia dei Paesi occidentali si affianca la presenza del colosso asiatico oltre che di altri Paesi emergenti. Dall’altro una nuova fase di collaborazione tra Nord e Sud del mondo per lo sviluppo a lungo termine che vede il suo baricentro spostato ad Est. Siamo consapevoli che i fenomeni economici si solidificano solo nel lungo termine e perciò non si può ancora dire con certezza quale sarà lo sviluppo cinese nel corso del mezzo secolo che ci attende anche perché la struttura istituzionale e sociale di quel grande Paese è davvero un unicum la cui transizione verso forme più democratiche presenta numerose incognite. Peter Peter Quando il palato si mette in viaggio NOTIZIARIO Personaggi È di casa tanto nella natale Monaco, quanto a Roma, Palermo o Torino. Da anni, nei suoi articoli sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung e nei suoi numerosi libri, svela al lettore tedesco la storia e le prelibatezze della cucina italiana, raccontando una nazione, la nostra, che ormai conosce a menadito ma sempre continua ad affascinarlo. Da qualche tempo l’amore per la cucina nostrana ha innescato in lui il desiderio di riscoprire i sapori della propria Germania, a maggior vantaggio di chi ama seguirlo nei suoi viaggi gastronomici all’insegna del binomio tra cucina e cultura. È lo scrittore enogastronomico Peter Peter, premio Enit per la miglior guida sull’Italia in lingua tedesca, che incontriamo seduto al tavolo della sua cucina, nel cuore della capitale bavarese. Testo e foto di ALESSANDRO MELAZZINI [email protected] www.melazzini.com Ma Monaco è davvero la città italiana più a Nord, come amano dire i suoi abitanti? Senz’altro è la città tedesca più influenzata dall’Italia. I motivi sono numerosi, innanzi tutto per il suo forte cattolicesimo, tanto che viene considerata la Roma tedesca. Poi basta guardare gli edifici per trovare ovunque citazioni italiane: la Feldherrenhalle riprende la Loggia dei Lanzi di Firenze, al suo fianco l’imponente chiesa dei Tea- tini, non molto distante il Palazzo Reale che ricorda in una facciata Palazzo Pitti. Un’altra ragione è lo stile di vita dei suoi abitanti, il loro modo di comportarsi. Già negli anni Sessanta Monaco era famosa per la Leopoldstrasse, l’ampio boulevard che parte dal centro e costeggia il grande parco del Giardino Inglese. In quell’epoca la Leopoldstrasse era l’unico viale della Germania dove la gente sedeva in strada per gustarsi un gelato, come fosse una piccola Piazza Navona. Ormai questo si fa dappertutto, ma per primo accadde a Monaco. In questa città si respira una certa leggerezza della vita, un brio più italiano che tedesco. È sempre stato così? Peter Peter, in No, no. Fino agli anni Sessan- viaggio tra i sapori. ta la Baviera era la regione più “regionale” della Germania, basta Peter Peter, travelling guardare le foto degli anni Cin- through flavours. quanta. Era una società ancora molto ancorata alle tradizioni bavaresi, ai costumi alpini rustici e fortemente localisti. Certo, la Monaco cattolica ha sempre nutrito un Peter Peter, when the palate goes travelling That cuisine is an integral part of a country’s spirit is nothing new. If we are to believe the insiders, eating Italian food for Germans means taking on the spirit of the Bel Paese. Some might even call Munich the most Italian city in the north, because Italy in Teutonic territory enjoys undisputed success. This explains how an enogastronomic writer could fall in love with a trattoria in Trastevere, then with Tuscany and Sicily’s culinary heritage. Food is good everywhere in Italy. In Germany, a certain austerity and the Protestant ethic of self-sacrifice have over the centuries given a secondary role to cuisine. It comes as no surprise that we have the perfect conditions for a fatal attraction. PERSONAGGI 57 forte legame con l’Italia, ma questa leggerezza della vita prima si godeva tutt’al più bevendo birra. Ora invece assaporando in ogni dove un caffè espresso. Come mai è cambiata? Senz’altro per il fenomeno degli immigrati italiani, che hanno aperto centinaia di trattorie e pizzerie, anche piccoli espresso-bar. Non bisogna poi dimenticare che il cittadino di Monaco trascorre spesso le vacanze nel Norditalia. Da noi si dice che i prussiani vanno in ferie nel Sud della Baviera, gli Olandesi in Austria e i Bavaresi in Alto Adige o sul Lago di Garda: un lago che si potrebbe considerare il più meridionale della Germania, quasi un gemello del nostro Starnberger See. La classica socializzazione di un bavarese, i suoi primi incontri amorosi, non di rado nascono durante un “grand Tour” sul Lago di Garda. La tua vita studentesca però l’hai trascorsa a Vienna... Sì, ho studiato letteratura comparata e filologia classica, anche se in realtà ho studiato poco e letto come un pazzo. Quasi ogni sera andavo all’opera o al teatro, mi sono letteralmente immerso in una città profondamente culturale come era Vienna negli anni Settanta. Monaco di Baviera, invece, a quell’epoca era una città ancora provinciale, che avendo appena ospitato le Olimpiadi si era fatta prendere dal culto della modernizzazione architettonica. Io personalmente non ho mai amato lo stile edilizio degli anni Settanta. A Vienna invece trovai quello che amavo: la storia, l’eleganza, il ballo, le donne che si vestivano con le gonne e non con i jeans e i parka. In quell’epoca Vienna era decisamente più elegante di Monaco. Ora il divario si è certamente colmato. Come mai capitasti a fare il fotomodello per Bravo, la più nota rivista tedesca per adolescenti? Il tutto fu organizzato dai miei genitori: accadde quattro-cinque 58 PERSONAGGI volte, ma ero troppo timido a quell’epoca per approfittarne. Bravo era la rivista su cui tutte le star si facevano fotografare, ed ebbe un ruolo importante nell’educazione sessuale dei miei coetanei di quell’epoca. I ragazzi scrivevano a degli esperti su temi che in casa non si potevano trattare. Come sei diventato scrittore enogastronomico? Per diversi motivi. Il primo è che viaggiando molto ho sempre provato un forte interesse per la storia dell’arte, della letteratura, ma ho anche sempre amato visitare i posti dove mangiano gli autoctoni, perché lo considero un avvicinamento alla cultura locale. Nel vedere come una città funziona, partire dalla cucina è sempre mol- to fruttuoso. In questo vi è certo una curiosità, un minimo di voyeurismo, ma una trattoria in un Paese straniero spesso può essere un teatro interessantissimo. Prima ho iniziato a frequentare locali a Vienna; allora la vita costava molto poco e nella capitale austriaca la cucina era decisamente più ricca e variegata di Monaco, grazie al patrimonio culinario lasciato in eredità dalla monarchia asburgica. Poi alla fine degli anni Settanta ho scoperto l’Italia, ho imparato l’italiano a Perugia e viaggiando per il vostro Paese ho capito molto presto che mangiare bene è identità. Senza contare l’emozione di trovarsi di fronte all’enorme varietà di piatti regionali, di gusti, sapori, aromi e abbinamenti presenti in Italia. Nello scoprire la cucina ita- liana, dove il nome della pasta cambia da paese a paese, posso anche tenere allenati i miei studi di filologia. In Germania il fascino della cucina italiana è secondo solo a quello per l’arte del Belpaese. In Germany, the appeal of Italian cuisine is second only to that for Italian art. Ti ricordi la prima trattoria italiana in cui hai pranzato? Quando studiavo a Perugia avevo un’amica viennese che faceva la ragazza alla pari a Roma. Andavo ogni fine settimana a trovarla con la mia guida rossa per vedere tutte le chiese. Avevo pochissimi soldi, ma ricordo ancora adesso la trattoria “Mario” a Trastevere. L’anno scorso ci sono tornato dopo anni di assenza. Costa ancora poco, è specializzata in cibi tradizionali come le lumache o la pajata... ci sono ancora gli stessi quadri di beoni irsuti che bevono dal fiasco di Chianti. Con tutta l’esperienza accumulata in trent’anni di scoperta delle regioni italiane, posso ancora raccomandarla: vicolo del Moro, se non mi sbaglio. Dopo Roma come hai proseguito nella tua scoperta culinaria della cucina italiana? Studiando a Perugia ho incontrato la cucina umbra. Era una sensazione spettacolare per un tedesco studiare a Perugia a fine anni Settanta. A quell’epoca nelle mense universitarie tedesche si mangiava roba orrenda. Si arrivava al bancone, era pieno di manifesti politici, e sopra ti scodellavano un piatto di spaghetti scotti. A Perugia c’era una mensa universitaria dove potevo trovare insalata fresca, un bicchiere di vino, già in queste piccole cose si poteva notare una differenza enorme con la Germania. Senza contare che la cucina umbra, ancora oggi, è eccellente. Ricordo di aver frequentato tante sagre e feste dell’Unità. Durante il fine settimana, spiantato com’ero, riuscivo anche con pochi soldi a degustare ottime specialità del posto. Poi ho scoperto la Sicilia, grazie anche al mio interesse per l’antichità. Laggiù c’è una cucina, forse non tanto borghese, ma raffinatissima grazie alle sue primizie Anche gli studi classici tornano utili per decifrare ricette antiche. Even the classics come in handy to decipher old recipes. agricole. Passeggiare per i mercati di Palermo e Siracusa? Fantastico! Senza contare Napoli. Una cosa che mi ha sempre impressionato è l’intelligenza culinaria anche degli italiani di basso ceto sociale. Da noi in Germania mangiare bene è quasi diventato un fattore accademico: più eruditi si è, meglio si mangia. In Italia invece confesso che sono stati gli autisti dei pullman a segnalarmi posti fantastici. Se lo fai con un loro collega tedesco, al massimo ti consiglia arrosto di maiale e cinque canederli. Mi ha sempre affascinato il legame tra storia e cucina. Parlando della Sicilia, avevo studiato bene la storia e la letteratura, le dominazioni spagnole, greche e così via, e trovare che tutte queste po- polazioni hanno lasciato ricette ancora vive e utilizzate per me è stata una scoperta meravigliosa. In Sicilia si può fare un viaggio gastronomico lungo duemila anni. Così ho cominciato a scrivere libri su questo argomento: il primo, appunto, sulla cucina siciliana, perché in quel tempo in Germania si parlava solo della cucina toscana, che è certo buonissima ma non così ricca dal punto di vista culinario come lo è la Sicilia. Dopo ho scritto un libro sulle trattorie della Toscana, uno sulle trattorie del Lago di Garda per i miei connazionali bavaresi, uno sulle Stuben dell’Alto Adige. Quest’ultimo mi ha aiutato molto, perché solo scrivendo di Alto Adige ho cominciato a muovermi anche nell’ambito tedesco della buona ristorazione. Ormai in Germania si assiste a un florilegio di trasmissioni culinarie e a un crescente interesse per il cibo locale, prova ne è che tu stesso hai pubblicato una storia culturale della cucina tedesca. Non è sempre stato così, tanto che ancora molti italiani non hanno consapevolezza del fermento culinario d’oltralpe. Quando e perché è cominciata questa riscoperta della cucina tedesca? Fino a qualche tempo fa si mangiava molto male in Germania. Per via di un certo carattere militaresco o militante, e anche per un motivo religioso legato al protestantesimo e al suo ethos di rinuncia: meglio pensare che mangiare bene. Un altro motivo era la società tedesca, molto ugualitaria, dove tutti, avvocati, politici, ricchi o poveri, mangiavano male e modestamente, insieme. Poi negli anni Settanta ci sono stati i primi ribelli, molto spesso viaggiatori che si sono chiesti come mai i comunisti francesi mangiano bene mentre noi tedeschi no a causa di motivi... ideologici? A quel tempo nacque l’amore tedesco verso la cucina mediterranea e negli anni Ottanta chi voleva mangiare bene andava in esilio in Toscana. Emblematica è la storia di Slow Food Germania. I primi convivi non facevano altro che imitare l’Italia: si visitavano e frequentavano soltanto le trattorie italiane in Germania. Questo fino agli anni Novanta. Poi a un certo momento è sopraggiunta la noia, perché ormai la Germania è strapiena di ristoranti italiani. E così la dimenticatissima cucina tedesca ha ricominciato a fiorire e fare furore. Una riscoperta di qualcosa che è stato dimenticato dai tempi della Prima Guerra mondiale. Da cinque o sei anni si è sviluppata la moda di riscoprire vecchie erbe, antiche preparazioni e usanze. Detto questo la Germania ha ancora una società culinaria molto divisa. Una parte della popolazione coltiva un amore e un gusto speciali verso il cibo, l’altra si nutre di pizze surgelate. PERSONAGGI 59 © Museo Nazionale Paste Alimentari, Roma I tuoi libri più recenti sono soprattutto una storia culturale: uno per la cucina italiana, uno per quella tedesca. Quando ti è venuta l’idea di questo approccio all’alimentazione? Ho iniziato a scrivere piccoli articoli sulla nascita della pizza a Napoli, ma l’idea vera e propria mi è venuta a Roma nel museo della pasta alimentare vicino alla fontana di Trevi. Sono entrato, ho visto una bellissima fotografia di Sophia Loren che con erotica eleganza mangiava spaghetti, una fotografia non molto conosciuta, e mi sono detto: devo scrivere un libro con questa fotografia. Prima volevo fare una cosa semplice, raccontare che i ravioli forse venivano dalla Liguria, il baccalà mantecato da Venezia e così via, sono andato da un editore e questi mi ha proposto di lavorare a un’opera più densa, e allora ne ho approfittato, anche perché in passato ho pubblicato libri di storia e d’arte e guide su molte regioni dell’Italia. Occupandomi di storia culinaria mi sono stati molto utili gli studi di letteratura antica. La satira, ad esempio, ha un profondo legame con il cibo, nel teatro antico il cuoco è un protagonista della commedia, il vegetarianesimo è nato in Magna Grecia. E così nel libro sulla storia della cucina italiana ho trattato l’antichità, il cristianesimo, poi la rappresentazione dei banchetti riLa foto di Sophia nascimentali, lo sfarzo barocco, la Loren che ha ispirato crisi dell’Ottocento e il successo Peter a scrivere un libro sulla cultura mondiale degli ultimi decenni. culinaria del Mi piace anche molto poter Belpaese. raccontare a voce di tutto questo, e spesso tengo conferenze in Ger- The photo of Sophia mania. Se qualche associazione Loren that inspired italiana fosse interessata sarei Peter to write a book on the culinary contento di entrare in contatto, culture of Italy. basta scrivermi a pietropietro@ web.de. La storia culturale della cucina italiana e quella della cucina tedesca, editi dalla Beck Verlag di Monaco. The cultural histories of Italian and German cuisines, published by Beck Verlag, Munich. 60 PERSONAGGI Sei “costretto” a mangiare tutto quello di cui racconti nei tuoi libri? Ogni critico gastronomico ha le sue tecniche, quella migliore è cenare in compagnia di una bella signora che ti permetta di assaggiare il doppio delle pietanze. A volte se sei proprio convinto della bontà di un luogo puoi anche parlare con l’oste e chiedergli un assaggio di vari piatti, altrimenti dovresti venire cinque volte per provare tutto il menù. Comunque in Italia è molto difficile mangiare male, mentre in Germania mi capita di girare decine di locande prima di trovare quella dove davvero cucinano un buon stinco di maiale con canederlo. A tutto svantaggio della linea... Pensa ai lettori italiani che non conoscono alcunché della cucina tedesca: cosa diresti loro per convincerli a lanciarsi in esplorazioni gastronomiche oltre le Alpi? La prima cosa è che è molto diversa da quella italiana, ha delle tecniche e delle combinazioni differenti, e questo può incuriosirli. Una ricchezza della Germania sono le storiche osterie: basta arrivare in un qualsiasi paesino e si trova un antico ristorante con salette perlinate, insegne in ferro e un’atmosfera accogliente. Poi ci sono certe cose in cui la Germania è ancora campione, come la varietà delle sue salsicce. In Italia non si ha nessuna idea – a meno che non si abiti a Cortina d’Ampezzo – di cosa possa essere un würstel. Al massimo lo si liquida come qualcosa da mettere sulla pizza: una cosa orrenda. Ma come ogni paese italiano ha la sua pasta, ogni paese tedesco in realtà ha il suo würstel, da quello bianco di Monaco, a quello affumicato o con fegato del Nord e così via. Un’altra cosa affascinante della cucina tedesca è il nostro pane, da quello bianchissimo a quello integrale. Ci sono dei panifici che fanno ancora pani di tre o quattro chili che sembrano dinosauri, ma sono opere d’arte. La Germania è famosa per la sua selvaggina e naturalmente, per le sue birre. Ci sono regioni come la Franconia in cui ogni piccola osteria produce la sua propria birra, un fenomeno conosciuto di solito solamente dalle zone vinicole. Ancora da scoprire direi sono certi sapori nordici come una buona senape, certi legumi, la preparazione del cavolo rosso, dei cetrioli, tutti alimenti un po’ esotici per gli italiani. Infine, una caratteristica amabile della cucina tedesca è la sua semplicità. Si può andare in un ristorante e ordinare anche solo una minestra e un bicchiere di birra o di vino. Mangi bene, stai comodo e non paghi molto. Per chi voglia scoprire i vini tedeschi Peter Peter consiglia di iniziare con il Riesling Renano. La “Gemütlichkeit”, lo stare bene in un luogo, è una caratteristica tipica delle atmosfere culinarie tedesche. Come la spiegheresti ai lettori italiani? È un fenomeno senz’altro settentrionale. Significa trascorrere ore in osteria, ma non giocando a carte o imprecando, bensì stando seduti senza fretta e al caldo di una stufa. Un tempo la gente quasi abitava in osteria. In Italia invece si va al ristorante, un cameriere elegante ti serve e poi te ne vai. In Germania c’è più il gusto del vivere comodo, che si riflette anche nei caffè. Mentre da voi di solito il bar è un luogo dove bevi in piedi un caffè di fretta, in Germania hai poltrone vellutate, giornali, puoi passare ore a sfogliarli, sorseggiando bevande calde e To discover German gustando torte monumentali. wines, Peter Peter Un’esperienza che i viaggiatori recommends starting italiani in Germania dimostrano di with a Reisling from the Rhine. apprezzare. Molti italiani si stupiscono però dell’importanza che la birra riveste nella cultura del tuo Paese. Quali sono secondo te i motivi storici e psicologici di questo amore tedesco per la bevanda bionda? Sono motivi storici e religiosi: il cattolicesimo in Baviera ha sostenuto il costume della birra, e molti conventi la producevano, come tuttora succede per il monastero di Andechs. I protestanti, che erano più ricchi, potevano mangiare ogni giorno carne, mentre i cattolici, che spesso vivevano loro accanto, dovevano digiunare. Così per dare un conforto nutriente ai digiunatori si è creato il culto della birra, che esiste da circa 300 anni. Storicamente, infatti, il vino tedesco, tranne il famoso Riesling del Reno, è un vino acido e non buono, a differenza della birra maltata dal colore dell’ambra, che è dolce e che sazia. Che cosa ne pensi dei nuovi birrifici italiani, che fanno birre sofisticate in bottiglie da vino? Un fenomeno interessante. Da noi esiste la stessa cosa, ma questi birrifici non sono costosi, perché conta più l’interesse a vedere come si fa la birra che produrre una bevanda di lusso. Penso che il fenomeno in Italia nasca dal fatto che da circa vent’anni gli italiani viaggiano moltissimo e le loro mete preferite, se non vanno sul E poi in fondo il tedesco non ama l’eleganza, ama la convivialità. Bere birra è una cosa popolare, in grado di trasmettere un ideale sociale di unità tra le classi, bere vino invece è un atteggiamento raffinato, che implica più distinzione. Non dimentichiamo infine il fascino della festa della birra di Monaco. Questa festa fantastica, coi costumi popolari e un pubblico tanto locale quanto internazionale, è diventata il simbolo culinario non solo della Germania, ma anche della gioia della vita. E poi, se mi permetti questa punta di campanilismo, la birra bavarese è semplicemente fantastica. Mar Rosso, sono la Scozia, l’Irlanda e la Baviera, Paesi dove si beve molta birra. Farlo per un italiano significa vacanze e rilassamento. Un fascino che si riflette nell’amore degli italiani per le birre nostrane in confezioni antiche, esotiche, piene di etichette e con forti percentuali d’alcol, un fenomeno che fa sorridere i tedeschi perché è solo ad uso e consumo dei turisti italiani. Anche la moda dilagante in Italia dei pub irlandesi contribuisce a diffondere l’interesse verso la birra. E poi se sei giovane e non devi spendere soldi per la cena puoi anche permetterti una birra costosa. PERSONAGGI 61 Per contro ultimamente il vino sta prendendo sempre più piede in Germania, anche a discapito della birra... è un bene o un male? Per le birrerie un male. La birra, come hanno detto i monaci della Controriforma, è nutrimento, il vino non tanto. Quando ero giovane la birra per gli operai tedeschi era considerata quasi un alimento, era normale bere birra già alle nove di mattina se ti svegli alle cinque. Ora non lo è più, anche per motivi dietetici. Un tempo invece bere molto era un’abitudine rispettata e considerata anche virile, segno di cultura e integrazione sociale. Ora è tutto cambiato, viviamo in un mondo d’igiene, dove anche sul mondo del lavoro occorre essere sempre presenti, una e-mail ti può raggiungere in ogni minuto. Piccole dosi di vino sono più adeguate. Senza contare che in Germania i sogni di una vacanza perfetta non sono quelli di bere una birra in Irlanda, ma di stare su una terrazza italiana, portoghese o spagnola di fronte al mare e sorseggiare un buon rosso. Quali vini consiglieresti a un palato italiano curioso di stappare qualche turacciolo tedesco? Se vai all’estero consiglio di non cercare cose simili al sapore di casa. Quindi direi di iniziare provando il vino bianco più famoso del mondo, ovvero il Riesling Renano, quello della vendemmia tardiva, non troppo secco, capace di una raffinata asprezza unita a una dolcezza floreale. Continuando si potrebbero assaggiare ad esempio il Müller-Thurgau del Lago di Costanza, l’Erbacher Marcobrunn, il Sommeracher Katzenkopf e il Rivaner. Con il vino si accompagna bene il formaggio, peccato solo che in un Land come la Baviera, nonostante il suo carattere tuttora molto attento alla cultura contadina, non esista una vera cultura di questo alimento. Uhm... parlerei piuttosto di industria contadina. Comunque è vero, la situazione del formaggio in Germania è una tragedia. Il motivo va ricercato nella “superigiene” e 62 PERSONAGGI Dopo anni di cucina italiana ora i tedeschi cominciano a riscoprire la loro cucina locale. After years of Italian cuisine, the Germans are now beginning to rediscover their local cuisine. nella razionalizzazione tipicamente tedesche. Negli anni Settanta si è vietato tutto il formaggio fatto da latte crudo, con la piccola eccezione dell’Algovia. Poi hanno rovinato i piccoli caseifici che fanno la ricchezza del formaggio, con il risultato di costituire una decina di megalatterie che producono un prodotto standardizzato. Inutile sprecare un buon vino con questi formaggi castrati. Oltre a ciò vi è anche da considerare il fatto che storicamente il contadino bavarese è un contadino ricco, che si poteva permettere di ammazzare la vacca mangiandone la carne anziché tenerla per farne formaggio. Per tutti questi motivi purtroppo la cultura del formaggio non è fortemente radicata in Germania. Ultimamente tuttavia stanno rispuntando dei piccoli caseifici. Insomma, diventiamo un po’ più globali... anche nella riscoperta delle tipicità locali. Come capo guida turistica sei spesso in Italia con viaggi a metà tra cucina e cultura. Che tipo di clienti intraprendono queste escursioni nel nostro Paese? Da noi esiste il termine “Studienraise”, viaggio di studi, che non è l’escursione di una parrocchia o quella di una bocciofila, bensì un viaggio in cui si visitano chiese, musei e templi con spiegazioni culturali, qualcosa di semiaccademico senza diventare troppo serio. Ma i viaggi che organizzo io sono tuttavia più specializzati, non porto il mio gruppo a Roma per mostrare loro i Musei Vaticani o San Pietro in Vincoli, tutte cose che ha già visto. Viaggio con gente che già conosce molto bene l’Italia e che ha frequentato già molti musei. Cerco di trasmettere un rapporto più intimo e profondo con il vostro Paese, alla ricerca di un contatto più diretto con la terra visitata. Ultimamente sono stato in Sicilia, e ho portato un mio gruppo dai pastori per mangiare nel loro rifugio la ricotta appena fatta. Tutte esperienze vivide ed estremamente interessanti per un tedesco. Insomma, cerco di combinare l’avventura del mangiare con lo sfondo storico e culturale. Lo faccio anche per altre nazioni in giro per il mondo, ma in questo l’Italia è il Paese ideale. Quali mete vanno per la maggiore? Il turismo culinario ha ridefinito la pianta dell’Italia. Per esempio fino a qualche anno fa nessuno viaggiava per motivi di studi culturali in Piemonte, mentre ora basta menzionare tartufo e Barolo e i viaggiatori vi ci si fiondano. Venezia invece non approfitta ancora del turismo culinario, sebbene abbia anche ottime locande. Con il turismo culinario mi capita di andare in paesi sperduti della montagna calabrese, dove esiste tuttora una cucina arcaica, ma la meta più apprezzata è la Sicilia con i suoi prodotti biologici, l’Umbria e certe zone come il Friuli, con il suo eccellente vino bianco. Sono forse le destinazioni poco conosciute a giovarsi di più di questo tipo di turismo. Un viaggio in Valtellina per far scoprire ai tedeschi lo Sfursat, la bresaola e i pizzoccheri ancora non l’ho organizzato, ma penso proprio che lo farò. Nonostante i tuoi viaggiatori, negli ultimi tempi si sente parlare di un raffreddamento dei rapporti italo-tedeschi. Qual è la tua opinione? Secondo me, almeno da parte tedesca, il rapporto è stato così intenso che è difficile aumentare questa affinità. Però è vero, l’Italia è diventata un po’ noiosa. Dovunque vai in Germania ti danno pizza e cappuccino. E poi questa Italia idilliaca tanto amata dai tedeschi, dove i pescatori cantano “O sole mio” e le donne ballano la tarantella esiste ancora, ma solo in pochi nascondigli. L’Italia è diventata un Paese moderno, con una politica che molti da noi criticano aspramente, con dei brutti fenomeni come il rumore ovunque, la troppa musica dappertutto. Ormai conosciamo troppo bene l’Italia per coltivare ancora troppe illusioni. L’Italia per secoli è stata una fascinosa amante, adesso noi tedeschi scopriamo che è una tranquilla casalinga. Per contro la Germania va sempre più di moda tra i giovani italiani Per molto tempo il mio Paese è stato un libro chiuso con sette sigilli nei confronti degli italiani. Peter mostra con orgoglio la targa del Pochissimi conoscevano la Germania, tranne gli sfortunati che premio Enit per la sono stati arrestati durante la migliore guida sull’Italia. guerra, o i professori di lingua tedesca e i Gastarbeiter. Negli ultimi tempi però sempre più italiani scoprono il romanticismo della Germania, pensiamo ai mercatini di Natale, che senza di loro potrebbero chiudere. E così scoprono anche il buon rapporto prezzo-qualità degli alberghi tedeschi e l’affidabilità dei servizi di ristorazione, compresa una struttura di prezzi limpida e piuttosto affidabile. Per i giovani, nello specifico, una cosa molto importante è la vita notturna. Correggetemi se sbaglio, ma la mia impressione è che l’Italia non abbia vita notturna. Si va a cenare, poi c’è qualche mega discoteca sull’autostrada, ma la normalità con cui a Berlino si va in un club è poco conosciuta. Da noi non importa spendere molti soldi per fare bella figura, è tutto un po’ più rilassato. È facile uscire in una città tedesca senza spendere un capitale, senza impegnarsi troppo con un flirt, senza vestirsi troppo elegantemente: tutti motivi che Peter proudly shows per i giovani possono costituire the plaque awarded un fattore d’interesse. by Enit, the Italian Divertirsi a Berlino tutto somTourist Board, for the mato è più facile che a Roma. best guidebook on Italy. Goethe di esperienze bizzarre in Italia ne ha fatta più d’una. Nei tuoi viaggi nel nostro Paese quale aneddotto ti è rimasto particolarmente caro? Un vigile urbano in Umbria mi ha fatto una contravvenzione perché ho sorpassato con il semaforo rosso. Cosa c’è di strano? Ero a piedi! PERSONAGGI 63 Gianrico Tedeschi o della vitalità geniale GIANCARLO ZIZOLA Scrittore, vaticanista de Il sole-24 Ore Luigi Ciminaghi Gianrico Tedeschi ne L’opera da tre soldi di Bertolt Brecht, regia di Giorgio Strehler, stagione 1972/73 (cortesia “Piccolo Teatro di Milano”). Gianrico Tedeschi in The Threepenny Opera by Bertolt Brecht, directed by Giorgio Strehler, 1972/73 season (courtesy of “Piccolo Teatro of Milan”). Gianrico Tedeschi or rather, ingenious vitality As an accomplished actor moves on in age, it is normal to praise what he was able to achieve. We can always expect something new from Gianrico Tedeschi, elderly yet still performing onstage. Because he is theatre and is ready to challenge himself with something that will unsettle consciousness. His career began when he fell in love with Ibsen’s “Ghosts”. Then, a solid cultural education and the war caused a miracle to take place. His magnificent personality as a normal person blossomed, enabling him to give extraordinary interpretations. He says he possesses an effective recipe for happiness at 90 years of age: risking, trying and venturing into new activities; he does not want to be a teacher and intends to remain a pupil. And when he is tired, he flees to his house on Lake Orta to admire the “Monte Rosa” mountain from his garden. 64 PERSONAGGI EDGARDA FERRI Scrittrice e giornalista N el secondo atto dello spettacolo La compagnia degli uomini di Edward Bond, andato in scena all’inizio dello scorso inverno al “Piccolo Teatro Grassi” di Milano con la regia di Luca Ronconi, ci sono stati quindici minuti in cui il gesto, la voce, la parola, le scene, le luci, gli attori, gli spettatori, insomma, “il teatro”, dipendevano esclusivamente, spasmodicamente da Gianrico Tedeschi. Fragile e feroce vecchietto impeccabilmente vestito di grigio, l’industriale Oldfield si liberava finalmente dell’atroce segreto del giorno in cui sua moglie fingeva di partorire un figlio, in realtà abbandonato dalla madre sui gradini della loro casa e da loro adottato. Accasciato su una poltrona, le braccia abbandonate, il capo riverso, gli occhi svuotati dall’orrore, Tedeschi era l’immagine stessa di un dolore represso per tutta la vita, la dichiarazione di un fallimento totale, la nostalgia di un amore paterno calpestato e sconvolto dalla passione per il potere, il successo, il denaro. «Ho dato qualcosa da pensare a chi è venuto ad ascoltarmi? quello di contribuire all’esame, alla riflessione, alla meditazione sul Un cast tutto senso della vita». maschile per È molto elegante; lungo cardi- La compagnia degli gan giallo senape, camicia di spesuomini di Edward so cotone color antracite, pantalo- Bond, regia di Luca ni di velluto a coste marrone: un Ronconi. In questo gentiluomo di campagna cui man- dramma Tedeschi ca soltanto la pipa. È anche molto veste i panni di un bello. Il volto gloriosamente segna- grande finanziere (cortesia “Piccolo to dagli anni, il naso forte, la pelle Teatro di Milano”). chiarissima, i capelli bianchi lunghi e spettinati: come un artista, un An all-male cast for architetto, un pittore. Ha una voce In the company of men by Edward calda, suadente, avvolgente; e uno Bond, directed by sguardo vivace, arguto, curioso, soprattutto attento, come oramai Luca Ronconi. In this drama, Tedeschi raramente succede in una società plays the role of an che parla, che parla, e non ascolta important financier mai. E per finire, è fantasticamen- (courtesy “Piccolo te educato: senza piaggerie, meTeatro of Milan”). lensaggini, complimenti superflui. Un’educazione solida, di fondo, non raccattata lungo la strada, basata sul rispetto della persona, sulla misura di sé, sulla moderata ironia, la gestualità leggera: in un mondo di tronfi e tromboni, una splendida, esemplare persona normale. Novantun anni tutti da raccontare. «Dove c’entra, e molto, anche molta fortuna – ammette con un sorriso che ancora sa di sorpresa –. Ho sempre pensato a tutto quello che è accaduto nella mia lunga vita guardando anche dalla sua opposta visuale. E se, per esempio, a nove anni non fossi rimasto folgorato dagli Spettri di Ibsen, avrei tanto amato il teatro? Mio padre era un commesso di Marcello Norberth Marcello Norberth – domanda alla fine, stremato e ansante, ma ancora vispo e vivace –. Che senso avrebbe, altrimenti, questo mio star sulle scene a novant’anni compiuti? (91 il 20 aprile 2011). Alla mia età, potrei starmene benissimo nella mia casa sul lago d’Orta. Ho una famiglia che adoro, mia moglie, le mie figlie, i miei nipotini. Una marea di ricordi. Un pubblico che non ha mai smesso di amarmi. Ma se c’è un testo capace di mettere in guardia la coscienza, che la induce a riflettere, la scuote, la cambia, allora io sono pronto. Ho fatto anche molto ridere, nel mio passato. Ho persino cantato e ballato. Ma arrivato fin qui, e incredibilmente felice di vivere tanto a lungo, penso di non avere altro compito oltre a negozio tipicamente e borghesemente milanese, che lavorava sodo per migliorare la posizione sociale dei figli mandandoli a scuola. Ero il più piccolo di quattro fratelli, lui sognava che diventassi geometra, o ragioniere. Si era istruito da solo, amava leggere e andare a teatro. Ogni domenica pomeriggio ci faceva vestire tutti in ordine e ci portava all’“Olimpia”, di fianco al Castello Sforzesco. Mi sono mortalmente annoiato fino a quando PERSONAGGI 65 Luigi Ciminaghi non ho visto Ermete Zacconi inter- L’attore ne Arlecchino servitore di due pretare quella tremenda tragedia padroni di Carlo che è Spettri. Una rivelazione. Da Goldoni, regia di quel momento, ho incominciato ad Giorgio Strehler, andare a teatro da solo. Sgusciavo stagione 1972/73 al mio posto, solitamente in loggio- (cortesia “Piccolo ne, e col fiato sospeso mi prepara- Teatro di Milano”). vo a quel magico, incomparabile The actor in incanto che è la lenta e silenziosa apertura del sipario. Per molto Harlequin Servant of tempo ho amato il teatro come two masters by Carlo directed by spettatore. Capivo che attraverso Goldoni, Giorgio Strehler, la sua parola imparavo a vivere e 1972/73 season diventavo grande. Intanto studiavo (courtesy “Piccolo magistero, e per un paio d’anni ho Teatro of Milan”). insegnato: scuola “Schiaparelli” per periti industriali; e guarda il caso, esattamente dove adesso troneggia la gran mole rossa del “Piccolo Teatro Strehler”. Nel 1940 è scoppiata la guerra. Nel 1941 mi hanno mandato sulle montagne greche a scovare i partigiani ribelli. Iscritto alla facoltà di Filosofia all’Università Cattolica, avevo messo nello zaino tre libri: “la filosofia medievale”, la “filosofia greca”, la “filosofia moderna” nella speranza di trovare il tempo per prepararmi a un esame». E la fortuna? «La fortuna si presenta in un modo bizzarro. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, i tedeschi ci catturarono a Volos. Dopo averci fatto passare per due lager, ci hanno chiuso definitivamente in 66 PERSONAGGI quello di Sandbostel, in Germania. Avevo ventitré anni, l’ufficiale più giovane del campo. I maggiori e i colonnelli che mi guardavano come se fossi un bambino. Divisi dai soldati, ci hanno messo davanti a una scelta: lavorare per loro scavando trincee o aggiustando le strade, o iscriverci alla Repubblica Sociale di Salò. Soltanto pochi dei nostri sono tornati in Italia come “repubblichini”. Quasi tutti abbiamo preferito non “collaborare” con i tedeschi; e come punizione, una baracca recintata col filo spinato, insulti e maltrattamenti, brodaglia e freddo, inattività forzata, paura e fame. Soprattutto fame». A questo punto, gli occhi di Gianrico Tedeschi diventano due piccoli, vivi, abbaglianti punti di luce. I prigionieri non hanno niente altro da fare che rattoppare i loro vestiti e leggere i libri che si sono portati da casa. A qualcuno viene in mente di vuotare gli zaini e formare una biblioteca. I prigionieri sono medici, avvocati, insegnanti, pittori, musicisti, poeti, scrittori. La biblioteca si arricchisce delle voci più disparate: medicina, diritto, scienza, letteratura, arte, filosofia. Un racconto bellissimo: la biblioteca nel lager. I prigionieri hanno tanto tempo. Quando hanno finito di leggere, non sanno più che cosa dirsi: si sono già detti tutto. Qual- cuno propone di mettere in piedi una compagnia teatrale. Fanno tutto da soli: il palcoscenico, le scene, i costumi. E fanno di tutto: prosa seria, varietà, farsa, commedia, barzellette, satira contro i tedeschi. Quando se ne accorgono, i tedeschi incominciano a fare irruzioni ordinando di sospendere lo spettacolo e punendo i responsabili. Ma i responsabili hanno imparato l’antifona: mettono fuori dalla baracca uno dei loro, che lancia l’allarme quando li vede arrivare; e il programma cambia di colpo. Una volta, mettono in scena Enrico IV di Pirandello. Ruolo difficile, in bilico fra la pazzia e la ragione. Gianrico Tedeschi si offre: ama il teatro di Pirandello più di ogni altra cosa, e solo per poche sere ha provato l’emozione di stare sulla scena. Aveva dodici anni. Recitava nella sala parrocchiale sotto casa, in via Redi. Sulla strada, i ragazzini gridavano: «Gent, gent, vegnì a vedè el teater». Gente, gente, venite a vedere il teatro. Dopo Enrico IV, il piccolo ufficiale prigioniero interpreta anche L’uomo dal fiore in bocca. Poi, torna a Spettri di Ibsen, il suo primo grandissimo amore. Poi, commedie scritte sul momento dal compagno di prigionia Giovannino Guareschi. Nella baracca del lager trasformata in un palcoscenico, la sua formidabile vena grottesca, il suo misurato ma profondissimo senso del tragico, la sua irresistibile arguzia lombarda inchiodano gli spettatori che, seduti per terra e avvolti di stracci, dimenticano per un paio d’ore la fame. Il poeta Clemente Rebora, che lo segue con attenzione, alla fine gli dice: «Fossi in te, una volta tornato, proverei a fare l’attore. La “stoffa” ce l’hai». Infatti. Una carriera strepitosa. Successi in ogni genere e categoria dello spettacolo. Irresistibile sul palcoscenico, al cinema, in televisione, nella pubblicità. Irresistibile pedante in My fair Lady nella parte del professor Higgins che insegna a parlare decentemente all’impertinente fioraia. Problematicamente sottile ne La rigenerazione di Svevo. Beffardo ne Il maggiore Barbara di Shaw. Memo- a.ArtistiAssociati di Gorizia rabile nel film di Salce Il federale, nei panni del poeta fascista creduto morto eroicamente al fronte, e invece nascosto in soffitta. Impareggiabile nella commedia musicale Enrico ’61 di Garinei e Giovannini. Grandi registi teatrali: da Visconti, Strehler, Squarzina «a Luca Ronconi, mi mancava, e che ammiro tantissimo perché affronta e sperimenta tutto ciò che è nuovo e “diverso”. Quando mi ha offerto la parte di protagonista ne La compagnia degli uomini gli ho risposto: eccomi, fai di me quello che vuoi» ridacchia, ilare e quieto. «Io sono un vecchio signore con delle care abitudini nella vita privata, ma con gli occhi rivolti al futuro e la curiosità intellettuale per quello che è nuovo, non sperimentato, non già scontato. Del resto, alla mia età, cercare di accontentare il gusto del pubblico solo per poter stare ancora sul palcoscenico, sarebbe come non aver dato un senso alla propria vita. E io so come fare per vivere bene a novant’anni passati: non devo andare per strade sulle quali ho già camminato, ma rischiare, provare, avventurarmi per quelle nuove. Questo significa non aggrapparsi nostalgicamente al passato, ma progettare il futuro come se la vita dovesse durare ancora a lungo. Non devo fare il maestro, ma continuare a fare l’allievo». Quarant’anni fa si era promesso: «Quando sarò vecchio reciterò I dialoghi di Platone». Scuote la testa, ma non perde il sorriso: «Promessa mancata per ragioni di carattere pratico, perché solo i Teatri Stabili possono garantire la messa in scena di un testo filosofico per un pubblico di gusti e palato fini. Nella mia lunga carriera, però, quasi sempre ho lavorato in compagnie di giro, dove si cambia piazza quasi ogni sera e non si fa in tempo a prepararsi il pubblico giusto per offrirgli qualcosa che io chiamo “un cibo per l’anima”. Ma oggi, questo sarebbe il momento. E io sono pronto». Allarga un poco le braccia, alza le spalle: «Altrimenti, l’alternativa è il riposo. Che comunque mi manca. Ho sempre lavorato tantissimo. Anche in estate. Anzi, soprattutto d’estate nei grandi meravigliosi teatri all’aperto Gianrico Tedeschi con la moglie Marianella Laszlo e Walter Mramor in un’immagine di scena de Le ultime lune di Furio Bordon. Lo spettacolo – una produzione di a. ArtistiAssociati di Gorizia – ha girato per diversi anni toccando moltissime piazze italiane. di Taormina, Ostia, Siracusa. Da qualche anno lavoro solo se mi fa piacere, godendomi finalmente lunghi e beati momenti di ozio nella mia casa sul lago d’Orta insieme a mia moglie, al mio camino, ai miei cani. Sono stato un grande camminatore, amo la montagna e finché ho potuto l’ho attraversata palmo a palmo. Adesso mi accontento di ammirare il Rosa dal giardino di casa mia, di passeggiare nei prati e di bere un buon bicchiere di vino con Marianella, la Gianrico Tedeschi mia moglie meravigliosa». Mariawith his wife Marianella Laszlo nella Laszlo è una signora molto and Walter Mramor più giovane di lui, molto bella e dai in a stage shot from modi squisiti. Un’attrice brillante e Le ultime lune by di lunga carriera che da qualche Furio Bordon. The anno ha rinunciato al teatro per performance non lasciare il marito nemmeno un – produced by a.ArtistiAssociati momento. Lo segue come un’omof Gorizia – was on bra fino a quando non entra in tour for several years scena, lo difende dalle fatiche, gli and was staged in very many squares compera i libri da leggere, lo aspetta in camerino. Amorosamente e thoughout Italy. discretamente. «Oggi – sussurra Gianrico Tedeschi – Marianella è la mia vita». E solo qui, per un attimo, la commozione gli fa tremare la voce. PERSONAGGI 67 Nel secondo centenario della nascita Franz e il suo doppio: i gemelli Liszt MELANIA G. MAZZUCCO Scrittrice A lti, snelli, la pelle trasparente, gli occhi chiari, lunghi capelli biondi, incarnazione ideale della bellezza romantica, Franz Liszt e Marie d’Agoult sembravano gemelli a tutti coloro che li conobbero nei loro anni di pellegrinaggio, per parafrasare il titolo delle composizioni musicali che lui scrisse in quel periodo. La definizione impropria li lusingava: si sentivano complementari, speculari e indispensabili l’uno all’altra. In effetti, non solo non erano gemelli, ma fino al giorno in cui si incontrarono, in un salotto di Parigi, non avrebbero potuto essere più diversi. Una sera di dicembre del 1832 la marchesa du Vayer diede un ricevimento. Marie, che si proclamava stanca del bel mondo, non voleva andarci. L’attrazione era il giovane pianista che incantava le platee d’Europa: salutato agli esordi come “il nuovo Mozart”, era ormai considerato il Paganini del pianoforte per la sua tecnica prodigiosa – alcuni dicevano demoniaca. Era l’immagine stessa del musicista romantico. All’ultimo minuto, Marie cambiò idea e si presentò al ricevimento, al braccio dello scrittore Eugène Sue. Liszt si esibì, e fu esibito come un “cane sapiente” da salotto (così, crudamente, lui stesso si definiva). I nobili lo applaudivano, ma lo consideravano un diamante grezzo, stravagante e malvestito, e sorri- 68 PERSONAGGI devano della sua conversazione astrusa e delle sue pretese filosofiche. Cinque o sei uomini follemente innamorati della contessa la corteggiarono tutta la sera, e lei, pur tenendoli a bada, li incoraggiò perché era, secondo una testimone, una “feroce civetta”. Ma benché flirtasse con gli altri, rimase colpita da Liszt, «la persona più Ritratto giovanile di trova in Austria. Adam Liszt era straordinaria che avessi mai visto» Franz Liszt, opera di amministratore al servizio dei prinJean Auguste cipi Esterházy, ma avrebbe voluto – come scrisse poi. «Alto, eccessivamente magro, il volto pallido, Dominique Ingres. essere musicista ed era un buon Questi, direttore dilettante: insegnò al figlio a suograndi occhi verdi, una fisionomia dell’Accademia di nare il piano fin dai sei anni e poisofferente e vigorosa, l’aria distratFrancia, aiutò il ché il bambino, nonostante la sata, inquieta, come un fantasma compositore a che aspettasse il rintocco dell’ora inserirsi nell’ambiente lute cagionevole, era straordinariaromano. mente dotato, vide la possibilità di in cui doveva tornare tra le ombre». fare di lui l’artista che non aveva Ma anche Liszt notò lei. Gli parve bellissima, come una Lorelei, slan- A youthful portrait of potuto essere. Lo sottopose a un Franz Liszt, by Jean ciata, portamento aristocratico, Auguste Dominique duro addestramento e già a nove anni lo fece esibire in pubblico. Gli affascinante, modi e toilette di Ingres. The latter, procurò una borsa di studio per raffinata eleganza, la testa orgodirector of the gliosa coperta da una cascata di Academy of France, perfezionarsi a Vienna, con Carl capelli biondi che le ricadevano helped the composer Czerny e Antonio Salieri. Il bambisettle into Roman no prodigio aveva interrotto la carsulle spalle come una doccia circles. riera concertistica per approfondid’oro, un profilo da dea greca, che re la sua cultura musicale, e a contrastava in modo curioso con la sognante malinconia impressa sul suo volto. Alla fine del riceviFranz and his double; the Liszt twins mento, Marie d’Agoult uscì dalla All artists lead tormented and unique lives, and this was porta principale, e Franz Liszt, inparticularly true of artists in the Romantic period. F. Liszt is no cassato il suo onorario, dalla porta exception, with his cursed liaison with Marie d’Augolt. He was a della servitù. Così imponevano le successful concerto performer and she was a countess: two abitudini e i pregiudizi dell’epoca, different social backgrounds, but they had a single vocation to be l’abisso sociale che separava una martyrs of their sentiments. She left her husband and children contessa e un musicista. because she believed that she could become the muse of a genius Quella sera, Franz Liszt aveof music. He was apparently overwhelmed by emotions but was va ventun anni. Era nato nel 1811 actually far more concrete in his calculations for life. Together they a Raiding, cittadina dell’Impero lived an intense phase of wandering and genuine love. Then the Austroungarico. È noto come il più vanity of the acclaimed musician who loved being courted and famoso musicista ungherese, ma adulated antagonized her once and for all. A separation which was il padre era di origine tedesca e la more or less consensual put an end to the relationship of the madre austriaca, e Raiding oggi si “prisoners of love” which had seemed practically perfect. In quel dicembre 1832, Marie Catherine Adelaide de Flavigny contessa d’Agoult aveva invece ventisette anni e una vita intera dietro le spalle. Era nata a Francoforte nel dicembre del 1805: a mezzanotte, raccontò sempre (anche se non era vero), perché si riteneva che “i bambini della mezzanotte” fossero speciali, diversi. Anche lei era figlia di due mondi, aveva due patrie e molte lingue (con Liszt avrebbe corrisposto in inglese e in francese, riservando il tedesco per le frasi più tenere). I de Flavigny erano nobili fin dal Medioevo e avevano dato alla Francia cortigiani, orientalisti, militari: due di loro erano stati ghigliottinati durante la Rivoluzione. Il padre Alexandre, paggio della contessa di Provenza, fedele alla famiglia reale era andato in esilio in Germania: a Francoforte aveva sposato Marie Bethmann, figlia di ricchissimi banchieri di origine olandese, Ritratto di Marie d’Agoult, opera di da cui aveva avuto due figli, MauriThéodore ce e Marie. Nel 1809 i Flavigny Chassériau. erano tornati in Francia: d’estate vivevano in un castello a Mortier, Portrait of Marie vicino a Tours, dove Alexandre de d’Agoult, by Théodore Chassériau. Flavigny passava il tempo cacciando e intrattenendo i membri delle famiglie ultrarealiste vicine alla cerchia del conte d’Artois, d’inverno vivevano a Parigi. Fino al 1818, mentre Liszt bambino studiava Da sinistra: pianoforte in una oscura cittadina Johann Hummel dell’Impero, Marie studiava storia, e Alfred de Vigny. Il primo fu un valido geografia e mitologia e leggeva insegnante di musica avidamente i classici della letteraper Marie d’Agoult; tura col padre, nel castello di Moril secondo, poeta, ne tier. Imparava la danza, il portafu invaghito, ma il Parigi era arrivato a dodici anni per studiare al conservatorio. L’accesso gli fu negato perché straniero, ma si dedicò a studi di poesia, filosofia e sociologia, approfondendo nel frattempo le ricerche sui timbri pianistici (il fabbricante Erard gli mise a disposizione un pianoforte speciale da lui inventato, che garantiva la rapida ripetizione di una singola nota). In breve tempo divenne una celebrità e gli aristocratici di Parigi lo assunsero come maestro di piano per le loro figlie. La morte del padre quando aveva sedici anni e la sfortunata passione per la figlia di un conte della corte di Carlo X, Caroline Saint-Cricq, di cui si innamorò, ri- divario sociale gli cambiato, ma che il padre costrin- impediva di coltivare se a sposare un altro, lo segnaro- il suo amore per la nobildonna. no. Cercando di fronteggiare le sue insicurezze, aveva individuato un padre spirituale nell’abate so- From the left: Johann cialista Lamennais, e una sorta di Hummel and Alfred de Vigny. madre vicaria nell’amante Adèle The former was an de la Prunarède, quindici anni più excellent music grande di lui. In quel dicembre del teacher for Marie d’Agoult; 1832 era un concertista apprezzato, ma come compositore era solo The latter, a poet, una promessa e aveva lavorato was in love with her, but the social quasi esclusivamente a parafrasi, difference prevented trascrizioni per piano o pezzi di him from cultivating bravura strumentali alla sua carriehis love for the ra di virtuoso. noblewoman. mento, e le regole della società. Ma anche lei prendeva lezioni di piano, e anche lei ebbe buoni maestri (più tardi fu Johann Hummel a darle lezioni avanzate di musica). Come Liszt, anche Marie perse presto il padre: e a tredici anni dovette trasferirsi in Germania con la madre. Se tornò a Parigi fu solo perché lì una Flavigny aveva migliori prospettive matrimoniali. La madre la spedì un anno al convento delle suore del Sacro Cuore, e lì la ragazza, già confusa fra il cattolicesimo del padre e l’austero luteranesimo della nonna materna, cominciò a distaccarsi dalla religione. A diciassette anni aveva già debuttato con successo in società, ed era pronta per il matrimonio. La dote consistente e la prospettiva di ereditare alla morte della madre più di un milione di franchi facevano di lei uno dei migliori partiti sul mercato parigino. L’amore era fuori causa e gli innamorati senza troppi mezzi si defilarono: il poeta Alfred de Vigny, invaghito di lei, non poteva permettersela. Il fratello e la madre le presentarono conti, ammiragli, marchesi. Marie non sembrava interessata. Coltivava il sogno neanche troppo segreto di farsi un nome come musicista e scrittrice. Da bambina, durante una visita ai parenti, aveva incontrato Goethe. Il vecchio maestro le aveva dato un buffetto sulla testa: e lei considerava quel gesto una benedizione. Il 16 maggio 1827, nella chiesa dell’Assumption – presente tutta la nobiltà parigina – sposò PERSONAGGI 69 70 PERSONAGGI Olycom Charles Louis Constance, conte d’Agoult. Gli portava in dote 260.000 franchi (circa un milione duecentomila euro). Vent’anni più anziano di lei, basso, con le gambe arcuate, claudicante dopo una ferita in guerra, il monarchico d’Agoult, già colonnello di cavalleria, era primo scudiero della duchessa d’Angoulême: una specie di domestico del re Luigi XVIII, cui bastava bofonchiare “d’ag, d’ag”, perché d’Agoult gli porgesse la tabacchiera. Sposandolo, Marie diveniva dama di corte della delfina. Per lui, fu un matrimonio d’amore. Per lei, un dovere. Andò a vivere sul Quai Un giovane e Malaquais, all’angolo con rue de Beaune, frequentò le serate di affascinante Franz Liszt. Con lui il corte, rispettando la rigida e vacua pianoforte assurge etichetta, ricamando nel cerchio alla sua vera delle dame di compagnia sedute dimensione: egli ne intorno alla delfina, mentre dall’al- comprende infatti tra parte della sala il re giocava a tutte le risorse e ne sfrutta le scacchi, aprendo bocca solo dopo potenzialità. che la duchessa aveva pronunciato la sua non memorabile battuta A young and e solo per dire a sua volta banalità. fascinating Franz Intanto, aprì il suo primo salon, Liszt. With him the imparò a intrattenere gli ospiti e a piano rose to its real lusingare il loro amor proprio: per dimension: he cinque anni fu ammirata in società understood all its per il suo fascino, l’eleganza, l’abi- resources and made lità musicale e un’insolita capacità the most of all its potential. di scrivere. Il suo salon non era importante, perché privo di ospiti davvero celebri, ma era aperto ai musicisti: vi erano passati Malibran e Rossini, mentre Marie stessa cantava e suonava il piano. Però d’Agoult era un estraneo, e per giunta le sue aspirazioni politiche e mondane erano state distrutte dalla Rivoluzione di luglio, nel 1830, che aveva segnato la fine dei Borboni. Con la dote della moglie, d’Agoult acquistò un piccolo castello a Croissy nella Brie, e andò precocemente in pensione. Marie leggeva romanzi romantici, inquieta, infelice, frustrata nelle sue ambizioni artistiche, corrosa dalla malinconia e in attesa che qualcosa le incendiasse il cuore. Un amico l’avrebbe descritta come una spolverata di neve su un lago di lava: un vulcano dormiente, pronto a esplodere. Il giorno dopo il ricevimento, la sagace marchesa du Vayer fece visita alla contessa d’Agoult, lodò il genio del suo giovane ospite e le suggerì di invitarlo nel suo salon. Marie scrisse due volte a Liszt una lettera d’invito, ma lui, orgogliosamente, si fece pregare e solo la terza volta si presentò. Il musicista e la contessa parlarono di Bibbia, di Shakespeare, di Goethe, Chateaubriand, Hugo, Sant’Agostino e di altri libri che avevano letto – o che fingevano di avere letto (giacché Liszt, che a causa della sua infanzia randagia aveva il complesso di una cultura disorganica e frammentaria, voleva mostrarsi all’altezza della colta signora). Lo straniero parlò di cristianesimo sociale all’aristocratica reazionaria, e la convertì alla religione dell’umanità. Nel giro di poche settimane divennero inseparabili e nella primavera del 1833 Liszt andò a farle visita nella tenuta di Croissy. Lì vide per la prima volta le figlie di lei (Louise, nata nel 1828, e Claire, nata nel 1830). Liszt detestava i bambini e avrebbe detestato anche i propri, relegandoli ai margini della sua vita, affinché lo disturbassero il meno possibile. Deluso, al ritorno a Parigi le rinfacciò i suoi doveri di madre e proprietaria terriera, chiedendole se le avrebbero lasciato tempo per qualcos’altro. Per qualche tempo, si scrissero lettere appassionate e amare, lamentando le proprie sofferenze. Si scambiarono però parole impegnative. Lei lo considerava un essere divino, lui la padrona del suo destino. Nel 1834 la relazione si infiammò, fra lirismo e rinunce, desiderio e rassegnazione, slanci mistici ed erotici, poiché a un certo punto divennero amanti. Si incontravano nell’appartamento di Liszt in rue de la Sordière: un “buco per topi”. La clandestinità un po’ sor- Marie d’Agoult (1805-76), meglio conosciuta come contessa d’Agoult, in un dipinto di Henri Lehman. Dopo il fallimento dell’unione con Liszt, si diede alla letteratura, assumendo lo pseudonimo maschile di Daniel Stern. Marie d’Agoult (1805-76), better known as the countess d’Agoult, in a painting by Henri Lehman. After the end of her relationship with Liszt, she devoted herself to literature, taking on the male nom de plume of Daniel Stern. dida, il senso di colpa, la vergogna, mandarono in pezzi l’altezzosa contessa d’Agoult. Era tentata di interrompere la relazione. Ma Liszt era il primo amore della sua vita: aveva sciolto la neve e non riuscì a privarsene. L’altalena emotiva divenne sempre più vertiginosa: un giorno si proponevano di separarsi per dedicarsi alla vita religiosa (Liszt aveva sempre sognato di farsi prete), il giorno dopo fantasticavano di fuggire insieme. Il loro legame però diventava sempre più simbiotico. Liszt pretese che gli giurasse che non avrebbe potuto vivere senza di lui; quanto a lui, promise che non l’avrebbe mai lasciata. Lo scandalo non lo spaventava, e forse lo lusingava perfino: poter vantare la conquista di un’aristocratica ricchissima e influente avrebbe accresciuto la sua fama. Avrebbe nobilitato la sua origine, sancendo il trionfo della musica sul sangue, dell’ideale sulla materia, del romanticismo sulla legge. Anche lei sognava di dimostrare al mondo che un artista e un’aristocratica possono essere uguali (eccetto nel genio, posseduto da quello solo), e che un amore libero può essere più forte, più fedele e più serio di un matrimonio. Ma sapeva anche troppo bene di avere tutto da perdere. Se fosse andata pubblicamente a vivere con un musicista avrebbe perso la reputazione, le figlie, la posizione in società, il castello, ogni prospettiva di farsi un nome. Liszt, che in politica e in etica era allora molto radicale e molto rivoluzionario, le disse che il problema era solo fra la sua coscienza e Dio. Non potendo parlare con gli amici, che ancora ignoravano la loro relazione, Marie andò a chiedere consiglio a una chiromante, la famigerata Madame Lenormand. Fu ricevuta in una stanza scura e soffocante. La tua vita cambierà completamente, le predisse la chiromante. Amerai un uomo che farà sensazione nel mondo. A dicembre, la piccola Louise d’Agoult si ammalò di meningite e in pochi giorni morì. La cameriera avvertì Liszt che Marie, sopraffatta dal rimorso, era scivolata sull’orlo della follia, delirava, piangeva, rifiutava di mangiare e di parlare, minacciava il suicidio. Però non poteva smettere di pensare a lui. Quando si riprese, Marie mise l’altra figlia Claire in collegio: non voleva più vederla, la sua esistenza le ricordava la prediletta morta. Ricominciò a frequentare la casa di Liszt, e lui si rese conto che era ormai pronta. Ricominciarono a parlare di fuggire insieme. Siamo giovani, coraggiosi, sinceri e orgogliosi. Dobbiamo avere grandi peccati o grandi virtù. Dobbiamo confessare in faccia al cielo la santità o la fatalità del nostro amore, le disse (o Marie amava credere che le avesse detto). Di certo il giovane le disse che, comunque, la scelta doveva essere sua. Una scelta consapevole, e libera. Non fu esattamente così, perché Marie rimase incinta. A Parigi la loro relazione era ormai nota, non solo perché durante gli incontri amorosi a rue de la Sordière la carrozza dei d’Agoult la aspettava al portone, ma soprattutto perché i due erano stati protagonisti di episodi clamorosi, come quando Liszt si fece aprire da un amico la cattedrale di Notre-Dame e suonò l’organo per un solo ascoltatore, Marie, vestita da uomo, che lo aveva seguito. Nonostante ciò, se le apparenze fossero state salvate, lo scandalo avrebbe ancora potuto essere evitato. Liszt era forse anche pronto a lasciare che il conte d’Agoult riconoscesse formalmente il bambino, e temeva la reazione della potente famiglia di lei. Mandò Lamennais a sondare le sue vere intenzioni, e l’abate cercò di convincerla a rinunciare alla passione e a purificare il suo amore per Liszt. Ma per lei, ormai, era troppo tardi. Scrisse una lettera d’addio al marito, non nascon- PERSONAGGI 71 dendo le sue colpe e chiedendogli solo silenzio. Poi, alla fine di maggio del 1835, partì per la Svizzera (dove la madre, ignara di tutto, era in vacanza), e il giorno dopo Liszt la raggiunse. Quando Marie informò la madre della sua fuga, madame de Flavigny svenne. Poi tentò di convincerla a seguirla a Francoforte, prima che la notizia trapelasse. Sarebbe potuta restare in Germania fino alla nascita del bambino, e poi tornare a Parigi: nulla era ancora irreparabile. Marie le rispose che si sentiva chiamata a un compito nobile e divino, come una missione: sostenere, sviluppare, ispirare il genio del suo compagno. A questo voleva dedicare la sua vita. Il 1° giugno i due amanti lasciarono Basilea e per cinque settimane vagabondarono sui monti della Svizzera: ritenevano che la natura grandiosa elevasse l’animo distaccandolo dalle bassezze quotidiane. Fantasticavano di mettere dello spazio fra loro e le loro vite precedenti, di moltiplicare le esperienze e crearsi un passato comune, di purificare il loro legame e votarsi a una esistenza monastica che avrebbe preservato il loro amore. Durante una tempesta che li colse mentre attraversavano un lago, si dissero che morire insieme sarebbe stato glorioso. Ma quando ridiscesero dalle montagne, Marie si rese conto che poteva sostenere la sua passione colpevole davanti alla natura, e perfino a vedervi un martirio voluto da Dio, ma davanti al mondo era più difficile. La famiglia le aveva voltato le spalle e la buona società svizzera la escluse. Era una donna perduta, e nessuno voleva frequentarla. Nelle loro chimere, Liszt avrebbe dovuto ritirarsi, vivere appartato, e dedicarsi allo studio e alla composizione delle grandi opere musicali che tutti si attendevano da lui. Ma Liszt era inseguito dal suo successo, sollecitato a suonare il pianoforte nei salotti e nelle sale da concerto. I gemelli avevano bisogno di denaro, e lui prima cominciò ad accettare allievi, poi si ab- 72 PERSONAGGI bandonò senza troppi rimpianti alla vita mondana. Una sera di settembre Marie, ormai vistosamente incinta, lo accompagnò nel salone del principe Belgiojoso. Rimase in disparte, emarginata. Liszt fu acclamato. Lei annotò a matita sul programma di sala: «avversione per il virtuoso… depravazione di un essere che suona per denaro». E più tardi, nelle sue Memorie, scrisse che quell’uomo «era Franz e non era Franz. Era come una persona che rappresentava lui in scena con molta abilità ma che tuttavia non aveva nulla in comune con lui ed era solo vana apparenza. Il suo modo di suonare mi turbava; il suo virtuosismo, prodigioso, impressionante, incomparabile, mi dava una inesprimibile angoscia». Eppure quell’esibizione trionfale per lui e inquietante per lei fu come un presagio della loro vita futura, che sarebbe stata lacerata e poi distrutta da quel dualismo. Marie scopriva che il vero gemello di Franz non era lei, ma lui stesso. C’erano due Liszt: il pianista e il compositore. E lei sognava il secondo, ma era fuggita col primo, e a quello aveva consegnato la sua vita. Il 18 dicembre 1835 nacque Blandine. Fu registrata come figlia naturale di “François Liszt, professore di musica” e di “CatherineAdelaide Meran”: Marie d’Agoult non poteva figurare come madre della bambina, che altrimenti per legge sarebbe appartenuta al marito. Ma così Blandine apparteneva a Liszt, e a lui solo. Liszt donò alla madre nascosta un anello con inciso il motto: In alta solitudine. Doveva essere un programma di vita per entrambi. Ma il prezzo da pagare per quella solitudine per lui si rivelò insostenibile. Durante il suo “esilio” dal pubblico, il pianista Sigismund Thalberg, virtuoso non meno di lui e perfino di un anno più giovane, si guadagnò una solida reputazione in Francia, e Liszt non poteva permettergli di soppiantarlo. Doveva anzi sfidare il rivale, e se possibile trionfare pubblicamente su di lui. All’inizio della primavera partì per suonare nel Sud della Francia (dove l’altro aveva appena suonato), e poi tornò a Un ispirato Franz Liszt, ritratto da Parigi. Diede un concerto nel salotWilhelm von to della principessa Belgiojoso: Kaulbach. L’artista fu l’italiana, bella, esotica, intellettuaun grande le e carbonara, offrì a Liszt la sua catalizzatore di masse e spettacolare influenza, il suo prestigio, la sua amicizia. A Marie, che aveva affidain ogni sua manifestazione. to la neonata a una balia ed era rimasta sola a Ginevra, spaesata An inspired Franz come una carpa sul prato e deLiszt, portrayed by pressa dalla prolungata (e impreviWilhelm von sta) assenza di Liszt, giunse qualKaulbach. The artist attracted the masses che pettegolezzo su una loro liaiand was spectacular son. Il 6 giugno si strappò dal letto at every event where in cui ormai vegetava, incapace di he appeared. trovare un motivo per alzarsi, e andò ad aspettare la carrozza che doveva riportarlo indietro: ma Liszt non c’era. Tornò dalla “gemella” solo alla fine del mese. La rabbia e il risentimento di Marie scomparvero di fronte alla prospettiva di essere di nuovo, per sempre, la musa del genio. Ma siccome il divorzio non esisteva e, come scrisse crudamente, i mariti muoiono solo nei romanzi, mentre d’Agoult godeva ottima salute (sarebbe morto a ottantacinque anni, poco prima di lei), dovevano trovarsi un posto in cui vivere. Poiché la Svizzera calvinista e perbenista emarginava due amanti irregolari, scelsero l’Italia. L’Italia, oppressa, divisa, ricca di arte e di dolore, appariva allora agli europei romantici come un miraggio di bellezza, cultura e libertà spirituale. Fototeca Gilardi Il viaggio, tuttavia, fu rimandato, e i due gemelli tornarono a Parigi. Qui Liszt elaborò le impressioni del viaggio svizzero, componendo i primi capolavori dell’Album d’un Voyageur e le fantasie romantiche su melodie popolari. Diede anche un applaudito concerto con l’amico Berlioz. Marie si dedicò alla sua missione, diffondendo la fama del compagno attraverso la pubblicazione di una serie di lettere, scritte da lei stessa sulla base di appunti abbozzati da lui. Le lettere – la Lettre à un poète voyageur, poi seguita da undici Lettres d’un bachelier ès musique – apparvero su Le Monde e sulla Revue et Gazette Musicale sotto il nome di Liszt e suscitarono vasta risonanza. «Insieme – commentò scherzosamente Liszt – siamo un grande scrittore». In quelle lettere, che Marie continuò a scrivere fino al 1841, metteva le sue doti di scrittrice e le sue parole al servizio del genio e delle idee di lui, piegandole ai suoi desideri e alle sue aspirazioni. Cronache di viaggio e manifesti teorici sulla musica e sull’arte, possono essere lette anche come lettere d’amore. Marie si identificava col suo gemello e con la sua arte. Scriveva per lui e diventava lui: in quelle pagine, il loro sogno di comunione assoluta era perfetto. Nell’estate del 1837 i gemelli raggiunsero finalmente l’Italia attraverso la strada del Sempione. Si fermarono qualche tempo a Milano, dove Liszt fu accolto da grandi onori, dall’aperta stima di Rossini e dall’efficienza organizzativa di Ricordi, che gli fece assaporare l’ospitalità italiana. Madame d’Agoult però trovò deludente la musica italiana e scadente il pubblico che apprezzava solo Donizetti. Nel primo concerto di Liszt alla Scala, uno spettatore – stufo dei suoi esperimenti – interruppe l’esecuzione del Preludio gridando: «Vengo a teatro per divertirmi e non per studiare!». Tuttavia Liszt fece furore, e conquistò l’attenzione dei giornali, che lodavano la sua bellezza e il suo fascino. Poi si ritirarono nella romantica Bellagio, sul lago di Como. Solo con un pianoforte, qualche libro e una donna che studiava Dante, Liszt visse una stagione di grazia, e alla madre scrisse: «Io abito nella regione più bella del mondo e sono l’uomo più felice della terra». Il 4 dicembre nacque la loro seconda figlia, Cosima. Ancora una volta, Marie non figurava come madre della piccola. Ma le spie austriache informarono l’ambasciata e la notizia giunse in Francia, suscitando l’irritazione del conte d’Agoult e dei Flavigny per la prole illegittima che la fuggitiva Marie andava seminando in tutta Europa. In gennaio, Liszt riprese a dare concerti a Milano dove, dopo aver sistemato Cosima da una balia, Marie poté raggiungerlo. I milanesi si mostra- rono di vedute libere e aperte, e furono accoglienti con la coppia: a Milano, come nel resto d’Italia, la presenza dell’amante al fianco del musicista fu accettata. Ma Liszt e Marie d’Agoult non ricambiarono l’indulgenza degli italiani, criticandone il basso livello intellettuale e i gusti estetici. La loro sprezzante Lettera sulla decadenza della musica italiana suscitò indignazione e sdegno. Poi i gemelli si rimisero in viaggio e percorsero diligentemente la Penisola visitando i luoghi più celebri, segnalati dalle guide turistiche: Brescia, Verona, Vicenza, Padova. Giunsero a Venezia nel marzo 1838. Madame d’Agoult, sempre più esigente, o sempre più esaurita, trovò angusta la Fenice, detestabile Donizetti, spensierata, stracciona, ignorante e volgare l’aristocrazia locale. I vapori che salivano dall’acqua e l’aria pesante la soffocavano. Venezia puzzava come se avesse le coliche. Da parte sua, Liszt smaniava confusamente di tornare a Parigi, dare un concerto e poi ritirarsi in Germania. L’alluvione del Danubio in aprile gli diede la possibilità di allontanarsi da una compagnia che cominciava a diventare opprimente. Doveva dare due concerti per aiuIncisione tare le vittime ungheresi della caottocentesca del Teatro alla Scala di tastrofe. Rimase assente per mesi. A Vienna riscosse un successo Milano, una delle tante città italiane fenomenale. Non avendo più vometa dell’incessante glia di tornare a Venezia, le propoperegrinare artistico se di raggiungerlo. Lei non lo fece. della coppia. Nel Forse perché era malata, forse primo suo concerto perché sapeva che a Vienna la alla Scala, Liszt fece furore, conquistando aspettava l’altro – il gemello oscuro del suo Franz, quello che non l’attenzione dei amava: il concertista, il virtuoso, giornali. l’esecutore vanitoso e venale, il A 19th century seduttore che si nutriva dell’amore engraving of the del pubblico. Lei ancora sperava di La Scala Theatre in riuscire a tenerlo lontano dalle Milan, one of the metropoli, recluso a comporre in many Italian cities qualche campagna, suonando sowhere the couple lo occasionalmente per far conostayed on their endless artistic scere la sua musica. Anche Liszt wanderings. At his voleva affermarsi come composifirst concert at La tore, però nel suo tour viennese fu Scala, Liszt was a accolto ovunque da applausi selsensation, vaggi e scoprì che – a parte il piaconquering the cere che ricavava dall’adulazione attention of the del pubblico – dare concerti poteva press. PERSONAGGI 73 portargli enormi somme di denaro. Inoltre adorava essere corteggiato dalle donne, che si gettavano su di lui, letteralmente. Non rimase insensibile. La tradì. Le propose di instaurare un rapporto un po’ più libero. Poiché la rispettava ancora, le suggerì di pareggiare i conti e di trovarsi un amante, il conte Emilio Malazzoni che devotamente la scortava per Venezia. Alla fine di maggio, Liszt tornò a Venezia. Agghindato come un aristocratico, convinto di essere nobile anche lui grazie a misteriose ricerche sull’albero genealogico dei Liszt fatte da ammiratori compiacenti. Marie accolse malissimo il fedifrago e lo accusò di essere un “Don Giovanni parvenu”, ferendo indelebilmente il suo amor proprio. A quel tempo, scrivevano un diario comune. Sotto la riga in cui lei annotava che Franz le aveva promesso di non tradirla mai più, lui scrisse «tu ricordi le mie parole, ma quelle che mi hai detto tu sembrano non aver lasciato traccia nella tua mente. Ma io non le ho dimenticate». Tuttavia, non si lasciarono. Liszt ammise che i tre anni che aveva passato con lei avevano fatto di lui un uomo, Marie ormai lo accettava come suo angelo e suo demone, accettava di amarlo e odiarlo, e in fin dei conti, voleva «andare dove tu vai, respirare l’aria che respiri, parlare le tue parole, vivere la tua vita, morire la tua morte». «Abbiamo il cattivo gusto di trovarci sempre più affascinanti, incomparabili – scrisse Marie a George Sand – e quando proviamo a lasciarci, diventiamo tristi. Comincio a credere che siamo condannati ad amarci, eternamente». George Sand annotò divertita quell’espressione, e la riferì al suo amico Balzac. Sand e la d’Agoult si erano frequentate a Parigi, dove i “galeotti dell’amore” avevano vissuto per qualche tempo in attesa di partire per l’Italia. Per volontà di Liszt, le due donne avevano diviso un salon e la vita bohèmienne degli artisti: ribelli al loro mondo, sembravano simili e destinate a capirsi. In realtà, Marie era gelosa del successo dell’altra, del suo 74 PERSONAGGI La scrittrice francese George Sand (1804-76), al secolo Amantine Aurore Lucile Dupin, in un ritratto di Auguste Charpentier. Sand e la d’Agoult si erano frequentate a Parigi: sembravano simili e destinate a capirsi. talento e anche della sua libertà. Inoltre, tutti i loro amici ritenevano che Sand e Liszt fossero amanti. Nel gennaio del 1837 Marie aveva accettato l’invito della scrittrice e si era trasferita nella sua casa di Nohant. In pochi mesi, l’amicizia era divenuta tenerezza, quasi un amore, ma altrettanto rapidamente si era mutata in indifferenza, e poi in reciproco disprezzo. Marie criticò la promiscuità sessuale della scrittrice, Sand ridicolizzò le pose dell’aristocratica, fin troppo consapevole della nobiltà delle sue origini e del “sacrificio” che aveva fatto fuggendo col musicista. L’amico Balzac raccolse la sua disistima e si affrettò a tracciare un feroce ritratto della nobile perduta nel romanzo Béatrix - I galeotti dell’amore: apparso nel 1839, contribuì non poco a macchiare la già disastrosa fama della contessa d’Agoult. Liszt, cui il romanzo era piaciuto, tentò di minimizzare il danno e invitò Marie a ricucire i rapporti con l’influente scrittrice. Ma, nonostante i ripetuti tentativi, più o meno sinceri, di Marie, Sand non le concesse mai più né amicizia né stima né perdono. I gemelli (ormai per tutti piuttosto galeotti dell’amore, incatenati allo stesso remo e condannati a vogare insieme per non naufragare) proseguirono il viaggio. Lugano, Genova, di nuovo Milano (dove però, anche a causa delle polemiche suscitate dalla Lettera, il concerto di beneficenza di Liszt nel ridotto della Scala fu un fiasco, e lui scrisse che avrebbe preferito trascorrere quindici giorni in prigione piuttosto che vivere in quella città), Piacenza, Parma, Bologna, Ravenna. All’inizio del 1839 si stabilirono a Firenze. Liszt, sempre più pigro e svogliato, pensava solo a guadagnare soldi e vestirsi alla moda, mentre Marie d’Agoult si consolava frequentando pittori e scultori e soprattutto affezionandosi a Blandine, detta Moscerino, The French author che li aveva raggiunti. Per nove George Sand (1804-76), whose real mesi, la bimba, che aveva ormai name was Amantine tre anni ed era un angioletto roseo Aurore Lucile Dupin, e ricciuto, visse coi genitori. Nesin a portrait by suno degli altri figli di Liszt e Marie Auguste Charpentier. ebbe lo stesso privilegio. Quando Sand and d’Agoult era ispirato, la sera Liszt le suonahad known each other in Paris: they va le Scene infantili, e la piccola seemed similar and mostrava di apprezzare. Dopo un rapido passaggio a Pisa (che però destined to understand one anni dopo generò un frutto imporanother. tante, la Totentanz ispirata dalla visita al Camposanto), arrivarono a Roma. Si stabilirono vicino a Trinità dei Monti. Il pittore Ingres, direttore dell’Accademia di Francia e personalità centrale della cultura europea, li aiutò a inserirsi nell’ambiente romano e organizzò un concerto a Villa Medici: Liszt eseguì sonate e trii di Beethoven. E si abbandonò al piacere della mondanità, tra feste alle ambasciate e ricevimenti nei salotti. L’umore di Marie doveva essere alterato, se trovò talmente detestabile la Roma cattolica da proporre di raderla al suolo, deportare la popolazione a Ostia e trasformare la città in un parco per turisti, lasciandovi solo alberghi tra le rovine della Roma antica. Il loro terzo figlio, Daniel Henri, nacque il 9 maggio 1839. Sul suo certificato di nascita c’è scritto: “madre sconosciuta”. Anche Liszt non era troppo interessato alla sua esistenza: avvisò un’amica che «non è cambiato niente, c’è solo un romano in più». Lo sfortunato bimbo nato al tramonto di un amore fu affidato appena un mese dopo la nascita a un amico della coppia e poi a una balia, a Palestrina. Marie non lo rivide fino alla sua adolescenza. Il soggiorno italiano stava per concludersi. Dopo un estremo idillio di due settimane nella solitudine della tenuta del Gombo a San Fototeca Gilardi Rossore, fra bagni di mare e pranzi sotto i pini, Liszt accompagnò Marie e Blandine a Livorno, quindi partì da solo per un nuovo viaggio nel nord Italia, diretto a Trieste, Lubiana, Vienna. Ancora non lo sapeva, ma stava per iniziare il terzo atto della sua vita: negli otto anni successivi sarebbe diventato il concertista più acclamato e pagato d’Europa. Marie non voleva tornare in Francia: sognava ancora di stabilirsi in Italia, di costruirsi uno chalet nella foresta del Gombo e vivervi con Franz nella solitudine della natura e della musica. Temeva Parigi. Non apparteneva più ad alcun ambiente. Non aveva religione né famiglia né casa (sarebbe andata ospite dalla madre di Liszt). Un carattere incapace di compromessi. Un futuro incerto. Quando la nave che la portava a Genova (dove avrebbe preso con sé Cosima) fu colpita dalla tempesta, si augurò di sparire tra le onde. La separazione non doveva essere definitiva. E non lo fu, perché i gemelli si lasciarono davvero solo cinque anni dopo. Ma di fatto, avevano cessato di essere inseparabili compagni e avrebbero vissuto insieme solo pochi mesi, d’estate. Per lei, la separazione fu una disfatta, e la fine del suo sogno di essergli musa, guida e compagna. Per lui, fu un buon compromesso, che lo lasciava libero di dare concerti, suonare, guadagnare denaro per sé e per i figli, scrivere, e continuare ad amarla, ma con meno doveri. Tirarono avanti fra brevi idilli e tradimenti clamorosi e assai pubblicizzati (fra l’altro con Lola Montes e Camille Pleyel), ripicche, ritorni di passione, gelosie, rancori, litigi feroci. «Sono felice di essere la tua amante, ma non una delle tue amanti» – gli scrisse Marie. E alla fine, nell’aprile del 1844, quando si rese conto di essere «una Beatrice senza Dante», lo lasciò. Lasciò il grande amore per cui aveva abbandonato tutto, ma non tornò dal marito, che l’avrebbe ripresa, né dai figli: a una vita indipendente – tutta da inventare. Quando i gemelli si scoprirono diversi, opposti, inconciliabili, si odiarono. Quella che doveva essere una comunione di anime e corpi, una fusione di genio e talento, di musica e parole, si tramutò in una banale storia di disamore. Quando la passione si spense, iniziò una sordida, meschina guerra in cui entrambi diedero il peggio di sé. Incapace di accettare l’idea di avere distrutto la propria vita per All’inizio del 1839 un’illusione, Marie gli rinfacciò di Franz e Marie si aver distrutto il loro sogno «non stabilirono a Firenze. per una grande opera, per dovere, per patriottismo, ma per i successi In early 1839 Franz dei salotti, la gloria della pubbliciand Marie settled tà, gli inviti delle principesse». Per down in Florence. vendicarsi scrisse un brutto romanzo a chiave, Nélida (1846), e dedicò il resto della sua vita a cercare di diventare qualcuno – poiché, se non era stata la Musa del Genio, voleva essere non il Genio (ammetteva di esserne priva) ma almeno una celebrità. Franz le tolse i figli (su cui legalmente la madre ignota non aveva alcun diritto), le impedì di vederli per anni, e perfino di scrivergli. Glieli mise contro. Raccontò a Blandine, Cosima e Daniel che la madre li aveva abbandonati e che non voleva spendere un soldo per loro. La rinnegò dipingendola alla sua nuo- Blandine, Cosima e Daniel soffrirono molto dei forti contrasti sorti tra i loro genitori divisi. A destra: Cosima, secondogenita di Franz Liszt, fu la seconda moglie di Richard Wagner al quale si dedicò con assoluta fedeltà. Blandine, Cosima and Daniel suffered greatly from the strong disagreements between their separated parents. On the right: Cosima, Franz Liszt’s second child, was the second wife of Richard Wagner to whom she devoted herself with absolute fidelity. PERSONAGGI 75 76 PERSONAGGI volto sembrava triste, quanto dalla sua nuova immagine, severa e serena. Liszt rimase sulla difensiva, imbarazzato, sentenzioso, pungente. Non parlarono di Blandine e Cosima (Daniel era già morto di tubercolosi). Lui, che pure stava per recarsi a Roma, rimase stupito dalla passione di lei per l’Italia. Forse perché in Italia aveva vissuto liberamente il suo amore, e aveva potuto stargli accanto senza vergogna, Marie d’Agoult aveva dimenticato i duri giudizi degli anni del suo pellegrinaggio. Aveva appoggiato i patrioti del Risorgimento, Mazzini e la causa dell’Unità d’Italia. Avrebbe scritto di aver avuto cinque passioni nella vita: «Dio, Liszt, la Repubblica, la maternità e l’Italia. Solo la passione per l’Italia non mi ha delusa». Pochi giorni dopo, Liszt tornò per un pranzo con gli amici della contessa. La prese sottobraccio, per condurla a tavola. Lei ne fu emozionata. Era ancora l’unica persona al mondo che riuscisse a turbarla. Fu un pranzo triste e dolce. Alla fine, commentò lei, le grandi cose della vita si riducono a ben poco: le grandi passioni, i grandi dolori, le laceranti ambizioni si riducono a un pollo alla portoghese mangiato in compagnia di persone completamente estranee alla lunga vita trascorsa insieme. Pochi giorni dopo, Liszt andò a prendere congedo. Salutandolo, Marie lo baciò in fronte. «Dio ti benedica» le disse lui, quasi salmodiando, «Non augurarmi il male». Lei non riuscì a rispondergli e scoppiò in lacrime. Ma erano destinati a incontrarsi un’ultima volta, nel 1866. Liszt aveva preso la tonsura e gli ordini minori. Indossava una tonaca nera. Parlarono dei figli vivi e morti, civilmente. Non fu però un incontro crepuscolare. Quando Marie gli annunciò di aver iniziato a scrivere le sue memorie, lui si allarmò, temendo (in parte giustamente) nuove vendette e nuove rese di conti. La avvisò ironico che Fototeca Gilardi va compagna, la principessa Caroline von SaynWittgenstein, e ai suoi amici come una donna arida, ambiziosa, futile, il cui unico talento era la capacità di scegliere i vestiti. Fece scrivere alla principessa una sua falsa biografia dettandole un capitolo su Marie d’Agoult talmente diffamatorio e menzognero da macchiare la propria stessa immagine e gettare più di un’ombra sul suo carattere. Così, i due che avevano sognato di realizzarsi nell’amore, divennero se stessi solo dopo l’addio. Neanche Il celeberrimo pianista e tre anni dopo, Liszt abbandonò compositore davvero l’attività di concertista, ungherese negli divenne il compositore che Marie ultimi anni della sua aveva sognato invano, e scrisse la vita prese la tonsura Sonate, la sinfonia Faust, i dodici e scrisse solo poemi sinfonici per orchestra (fra musica sacra. cui i Préludes, Hamlet e PromeThe very famous theus), le Rapsodie Ungheresi, la Via crucis e i capolavori sperimen- Hungarian pianist tali e innovativi per cui ancora lo and composer took the tonsure in the celebriamo. Marie d’Agoult – seb- last years of his life bene mai libera del tutto dalla and wrote only “grande ombra” di lui – riuscì fatisacred music. cosamente a rifarsi un’immagine e una vita, divenne una influente salonnière e, sotto il nome maschile di Daniel Stern, un giornalista di politica e costume e un rispettabile scrittore di storia (la sua vivace e rigorosa Storia della rivoluzione del ’48 è ancora oggi fonte eccellente). Per quindici anni si dedicarono entrambi a costruire se stessi. Nel maggio del 1861 Liszt – che dal 1847 viveva a Weimar, dove era direttore della cappella di corte – tornò a Parigi per assistere alla prima del Tannhauser di Wagner. Marie lo invitò ad andare a trovarla, e Liszt – solo dopo aver ricevuto un invito scritto, come la prima volta – consentì a farle visita nel suo appartamento, all’Hotel Montaigne. Marie gli porse la mano, scioccata non tanto di trovarlo invecchiato, benché ancora bello, di constatare che i suoi occhi avevano perso il loro fuoco o che il suo non ne sarebbe stata capace, perché avrebbe potuto scrivere solo pose e bugie. Lei stentava ad accettare l’idea che lui avesse preso i voti e che il seduttore mondano che aveva odiato era morto: l’uomo che le stava davanti parlava come un prete e scriveva solo musica sacra. Erano, comunque, due estranei. «Che cosa hai fatto di questi ventotto anni?» scrisse qualche tempo dopo. «E cosa ho fatto io? Lui è l’abate Liszt e io sono Daniel Stern! E quale disperazione, quali morti, quali lacrime, quale lutto ci separano!». Marie de Flavigny contessa d’Agoult morì il 5 marzo 1876. Così la salutò l’abate Liszt scrivendo alla principessa Sayn-Wittgenstein: «Senza ipocrisia, non potrei piangere per lei dopo la sua morte più che durante la sua vita. Madame d’Agoult possedeva a un alto grado un gusto, e perfino una passione, per il falso – eccetto certi momenti di estasi che dopo non sopportava le venissero ricordati». Ma più civilmente, al genero Émile Ollivier, marito della defunta Blandine, scrisse: «La memoria che serbo di Madame d’Agoult è un doloroso segreto che confido a Dio, pregando che possa dare pace e luce all’anima della madre dei miei tre figli». Le sopravvisse di dieci anni, venerato dagli allievi di Weimar e Budapest e dalle autorità dell’Impero, che lo nominarono consigliere reale, festeggiato e omaggiato ovunque – e però anche discusso da chi lo riteneva un compositore discontinuo e talvolta convenzionale, e contestato da chi, come Brahms, giudicava certa sua musica pronta per la spazzatura. La loro figlia Cosima, che aveva lasciato il marito Hans von Bülow per essere compagna del musicista Wagner, sua musa e ispiratrice, sua gemella d’anima e corpo, suo tutto, aveva realizzato il sogno giovanile dei genitori. Eppure Liszt non le perdonò quella scelta e Cosima aveva interrotto i rapporti con entrambi. Seppe della morte della madre dai giornali: la sorellastra Claire d’Agoult non aveva il suo indirizzo. Con la “Carta di Saint Vincent” dell’ottobre 2010 la si vuole arginare La medicina difensiva danneggia il paziente e la finanza pubblica NOTIZIARIO Giustizia ALFONSO MARRA Presidente Emerito delle Corti di Appello di Milano e di Brescia Fotolia L’ La medicina difensiva incide per il 10,5% sulla spesa del SSN. Defensive medicine accounts for 10.5% of the Italian National Healthcare expenditure. Defensive medicine damages the patient and public resources It is now a major practice to have recourse to a judge to define any direct responsibility of a doctor in healthcare that has not been successful. This means that the doctor has to provide evidence, with defensive medicine, that the tragic event cannot be connected with his professional activity. It has a “positive” character when the doctor prescribes tests and medicine that are not strictly indispensable, for the sole aim of showing that he did everything possible; or “negative” when the doctor, in order not to run any risks, avoids doing any difficult operations. The climate of chargeability that the doctor perceives costs the public administration euro 10 billion a year. An effective solution is a “black box” in the operating theatre, which records the various phases of the operation and provides definite proof in the case of dispute. incremento del contenzioso, che si è registrato in questi ultimi anni a carico dei medici, è in buona parte dovuto alla concezione che oggi si dà all’errore nella prestazione sanitaria. Esso, infatti, è ritenuto un problema sociale perché viene considerato, appunto, socialmente inaccettabile in ragione dei progressi della scienza medica. A questa nuova qualificazione dell’errore ha non poco contribuito la giurisprudenza della Cassazione la quale ha fatto rientrare la prestazione professionale fra le obbligazioni di risultato (negli anni scorsi l’aveva definita “di mezzi”) e consequenzialmente la responsabilità in quella “paraoggettiva” (e cioè responsabilità senza colpa). La Corte ha, altresì, elaborato regole ben precise alle quali i giudici debbono attenersi nel giudicare questo tipo di controversie. Ed esse stabiliscono che i medici per non rispondere dei danni lamentati dal paziente, ove l’intervento non sortisca l’effetto desiderato o abbia comportato un aggravamento dello stato di salute, debbono provare di aver operato correttamente e che quanto lamentato non sia dovuto alla loro prestazione professionale. È stata, così introdotta un vera e propria inversione dell’onere della prova che comporta l’obbligo a carico del medico di fornire addirittura una prova negativa e cioè che l’evento “non” è collegato alla sua attività professionale. Prova, questa, estremamente complessa e difficile. Ecco perché, dopo questi principi introdotti dalla Cassazione, che assumono oggi il valore di una vera e propria norma giuridica (la stessa Cassazione parla di “giurisprudenza normativa”), si è diffusa fra i medici la pratica della medicina difensiva che ha preso il posto di quella paternalistica. Essa può essere “positiva” quando i medici prescrivono test, procedure o farmaci non strettamente necessari al solo fine di ridurre la loro esposizione in un giudizio di responsabilità, o anche “negativa” quando per il medesimo motivo evitano di effettuare interventi molto rischiosi. Il fenomeno, però, non è solo italiano. Di recente autorevoli organi della nostra stampa nazionale hanno dato notizia di un rapporto pubblicato dalla rivista Archives of Internal Medicine secondo il quale negli Usa il 90 per cento dei medici ricorre alla medicina difensiva per tenersi al riparo da eventuali GIUSTIZIA 77 azioni giudiziarie dei pazienti. La medesima situazione si sta verificando in Italia. E difatti, secondo un recentissimo studio dell’Università Milano-Bicocca, nove medici su dieci ricorrono alla stessa pratica dei loro colleghi statunitensi. Il che – secondo quanto dichiarato dal Ministro della Salute – finisce per gravare sulla finanza pubblica del nostro Paese con un costo di ben 10 miliardi di euro l’anno (Corriere della Sera del 12 dicembre 2010 pagg. 54 e 55). E più precisamente la medicina difensiva incide per il 10,5% sulla spesa del SSN. Più alta è, poi, la percentuale relativa al settore privato dove l’incidenza è del 14% (Sole 24 Ore, Sanità n. 45 del 6 dicembre 2010 pag. 11). Ma non sono solo questi gli effetti negativi della medicina difensiva. Ce ne sono altri di natura non certo minore che incidono sulla salute dei cittadini. Essi sono dovuti agli effetti collaterali degli esami clinici inutili, alcuni di essi, peraltro molto invasivi, nonché dei tanti farmaci prescritti ed assunti senza una effettiva necessità clinica. D’altronde, il timore dei nostri medici di finire innanzi al giudice penale e civile spiega, e in un certo senso anche giustifica, le ragioni che li inducono a svolgere la professione con determinate cautele alle quali non avevano mai fatto ricorso negli anni addietro quando i pazienti riponevano nel loro operato la massima fiducia accettando anche l’errore. E tale timore, in verità, appare tutt’altro che infondato se si pensa che, in questi ultimi tempi, ogni anno nel nostro Paese sono ben 15 mila i medici che vengono portati in giudizio dai loro pazienti. Il che ha comportato anche un considerevole aumento dei costi di esercizio dell’attività professionale per l’elevatissima lievitazione dei premi delle polizze di assicurazione. Secondo uno studio dell’ANIA, dal 1994 al 2007 il numero degli incidenti segnalati per eventi avversi connessi alle prestazioni professionali è passato da 9.500 a 30.000 all’anno con un incremento del 200 per cento. 78 GIUSTIZIA Il risk management per prevenire l’errore Alla nuova figura professionale del “manager del rischio” con la qualifica di dirigente, introdotta di recente nella struttura sanitaria pubblica, è affidato l’importante compito di individuazione degli errori nelle prestazioni medico-chirurgiche e delle loro cause nonché di tutti gli altri fattori che hanno determinato e determinano eventi avversi a carico dei pazienti. Oggi tale delicato ruolo, che ha la chiara finalità di tutelare in modo più incisivo la salute di questi ultimi, non viene di certo agevolato dai sanitari autori degli errori in quanto, salvo rare eccezioni, ben pochi li ammettono e li segnalano. La conseguenza di tutto ciò è il ripetersi degli stessi che di certo sarebbero stati scongiurati se per tempo segnalati alla direzione della struttura che avrebbe potuto predisporre le misure più idonee per combatterli. L’errore si può evitare e prevenire solo quando lo si conosce molto bene. Per raggiungere un tale risultato, secondo autorevoli studiosi, bisognerebbe far ricorso ad una pratica in uso nel settore aeronautico per migliorare la sicurezza dei voli ed evitare incidenti. Essa è basata sull’obbligo, a carico dei piloti della comunicazione, non solo degli errori da loro commessi ma anche delle situazioni di rischio di volta in volta accertate e che potenzialmente avrebbero potuto determinare un incidente (cosiddette “near miss”). A tal proposito va ricordato che, proprio per la mancata segnalazione di una situazione del genere, ebbe qualche anno fa a verificarsi l’incidente all’aeroporto di Milano-Linate con 140 morti. Un aereo di linea in fase di decollo si scontrò sulla pista con un piccolo aereo in manovra che proprio in quell’istante stava attraversando la pista di decollo. Il pilota del piccolo velivolo, per il mancato funzionamento del radar di terra (che era guasto da qualche mese), non aveva avuto la segnalazione del divieto di entrare nella pista impegnata dall’aereo di linea. Il disastro sarebbe stato di certo evitato se i piloti, che in precedenza avevano effettuato la medesima e pericolosa manovra con il radar di terra non funzionante avessero comunicato la situazione di rischio alle competenti autorità. Ciò avrebbe indotto gli organi competenti a porre immediato rimedio, attivandosi a far riparare l’apparecchiatura. Un tipo di misure analoghe basate sulla comunicazione ed informazione dovrebbero essere adottate nelle strutture sanitarie pubbliche e private per prevenire gli incidenti in corsia. Il primo passo è quello della promozione della cultura della prevenzione, che si attua attraverso il monitoraggio e la comunicazione degli errori, che coinvolga tutti coloro che operano nel mondo della sanità, ivi compresi i pazienti. Un’altra strada in parallelo è quella, già seguita con successo in molte strutture sanitarie, della check list e del rtuf. La prima si sostanzia in una elencazione minuziosa della situazione del paziente non solo anamnestica, ma comprensiva di ogni informazione attinente al suo stato fisico ed alla patologia che ha determinato il ricorso alla cure ospedaliere. Il secondo, che è l’acronimo di registro unico del farmaco contiene, raccoglie tutte le informazioni sui farmaci prescritti ed assunti dal paziente. C’è, infine, una terza strada, che in futuro avrà di certo un considerevole sviluppo, già percorsa con successo nel centro trapianti dell’ospedale Le Molinette di Torino. Si tratta dell’utilizzo in sala operatoria della cosiddetta “scatola nera”. Si è fatto, cioè, ricorso ad un sistema di sicurezza proprio degli aerei per ricercare la cause degli incidenti. Colla scatola nera in sala operatoria vengono microfilmati – ovviamente con il consenso dei pazienti – tutti gli interventi chirurgici. In tal modo si registra tutto ciò che ivi si verifica. Il che sortisce non solo l’effetto di prevenire nuovi incidenti ma anche di facilitare la soluzione di eventuali controversie tra medici e pazienti. Fotolia La “Carta di Saint Vincent” La sua intestazione è: “Documento di consenso su errore e responsabilità nelle organizzazioni sanitarie complesse”. È stata messa a punto nella omonima località valdostana lo scorso 20 ottobre 2010 per arginare la medicina difensiva. L’errore viene definito come «un evento da cui apprendere per evitare che si ripeta». La Carta precisa che è stato proprio l’eccessivo accanimento dei pazienti nel trascinare in giudizio i medici ad incrementare la medicina difensiva. Ed il mancato arresto del fenomeno accompagnato dall’adozione da parte dei medici di comportamenti inappropriati di tipo, appunto, difensivo non solo ostacola la costruzione delle procedure utili ad intercettare gli errori prima che essi accadano ma comporta anche il serio rischio di frenare il progresso scientifico della medicina. Contiene, quindi, l’invito ai pazienti a superare “la cultura della colpa” ad ogni costo del medico nei casi in cui la prestazione non dia il risultato sperato in ragione di un presunto errore. E ciò in quanto il rischio di sbagliare è intrinseco nell’attività medico-chirurgica. La Carta, poi, fa preciso obbligo ai medici di dare la massima trasparenza al loro operato professionale attraverso la comunicazione al paziente degli eventuali errori commessi nel corso della prestazione professionale fornendo un’adeguata spiegazione sulle cause che li hanno determinati. E ciò per consolidare il rapporto di fiducia con il paziente. Auspica, altresì, lo sviluppo di nuovi sistemi della gestione del rischio clinico con un intervento normativo che ridisegni criteri più elastici e meno punitivi nell’attribuzione delle responsabilità penali e civili in sintonia con lo sviluppo della scienza e delle frontiere della medicina del nuovo millennio, nonché dei compiti sempre più complessi e difficili che essa assegna ai medici. Si pensi alle terapie con le cellule staminali e con i fattori di crescita nonché ai farmaci biologici. In un futuro non molto lontano non sarà più l’organo ad essere curato ma il genoma. E difatti per sconfiggere alcune gravi patologie che affliggono l’uomo la soluzione si troverà nel DNA. Si passerà, quindi, dalla L’incremento del cura dell’organo a quella delle celcontenzioso, che si è lule, dalle cellule al nucleo cellularegistrato in questi ultimi anni a carico re e da questo al cromosoma e dal cromosoma al genoma. dei medici, è in In definitiva nella “Carta di buona parte dovuto alla concezione che Saint Vincent” i medici ribadiscooggi si dà all’errore no che essi, così come hanno nella prestazione fatto per il passato, vogliono prensanitaria. dersi cura dei pazienti, ma desiderano che tale impegno deontoThe increase in legal logico venga dai medesimi ricamdisputes in recent biato colla massima fiducia nella years is the loro capacità professionale. La responsibility of physicians, and is loro disponibilità al dialogo, la rilargely due to the sposta alle domande, la voglia di conception that combattere i propri errori deve nowadays is given to errors in healthcare. rappresentare per i pazienti la migliore garanzia della correttezza del loro operare. Indubbiamente i tempi sono maturi anche per una ridefinizione del concetto di responsabilità medica proprio in ragione del tipo di prestazione che i sanitari del nuovo millennio saranno chiamati ad effettuare. Se, infatti oggi un chirurgo in venti anni di attività ha ottanta probabilità su cento di ricevere un avviso di garanzia, in futuro, se non cambia la vigente normativa, queste probabilità passeranno al cento per cento. L’attuazione dei principi indicati nella “Carta di Saint Vincent” nel facilitare la ricerca di nuovi percorsi terapeutici potrà ricreare il rapporto di fiducia fra medico e paziente con il superamento della medicina difensiva. E di ciò ne trarrà un grande ed incalcolabile beneficio la salute di tutti noi. GIUSTIZIA 79 La Costituzione Italiana Conoscerla per amarla FRANCESCO SAVERIO CERRACCHIO Presidente Vicario e di Sezione del Tribunale di Sondrio N on si può amare la Costituzione se non la si conosce. Non si può apprezzarla, ma neppure giudicarla, se non si conoscono i principi e i valori in essa contenuti. La conoscenza è, infatti, un presupposto indispensabile per esprimere qualsiasi giudizio, positivo o negativo, favorevole o critico. Un giudizio dato senza un’adeguata conoscenza del fatto o della questione in esame non può costituire una corretta valutazione, giusta o sbagliata che sia, e può dar luogo soltanto a possibili pregiudizi. Ebbene, sembra logico e doveroso, alla luce di quanto sopra detto, ritenere che la nostra Costi- The Italian Constitution. To know it is to love it Not only are the choices we make often unproductive. Sometimes we destroy even our greatest achievements. A recently approved law had introduced the teaching of “Citizenship and the Constitution”, but we quickly decided against it and filed that fundamental issue away in a historical curricular discussion. It seems that the Charter proclaiming our basic values, born out of the Risorgimento and which balances political power with great patience, is to be used according to one’s personal convenience. The tense relations existing between the magistracy and the political system are a perfect example. Our Constitution, an old yet healthy old lady, should be abided by for the good of all. 80 GIUSTIZIA tuzione, la cui importanza non può essere disconosciuta, essendo la legge fondamentale dello Stato Italiano, sia insegnata nelle scuole come materia autonoma. Ed infatti, sia pure tardivamente, la legge n. 169 del 2008 ha istituito l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” come disciplina autonoma con l’obiettivo appunto di insegnare i valori della convivenza civile e il rispetto della legalità nelle scuole di ogni ordine e grado. Obiettivo questo di grande rilievo e significato etico-sociale nell’attuale periodo storico caratterizzato da una larga e diffusa illegalità a tutti i livelli e da un generale indebolimento del senso civico. Ma le buone intenzioni hanno avuto breve durata in quanto nell’ottobre dell’anno scorso inspiegabilmente il Ministero dell’Istruzione con la circolare n. 86 ha disposto che “Cittadinanza e Costituzione” non doveva più considerarsi una materia autonoma, ma che essa doveva rientrare nell’ambito storico-geografico o storico-sociale e non aveva diritto ad una autonoma valutazione. Così la Costituzione ha perso la rilevanza che giustamente le era stata riconosciuta ed è ritornata ad essere considerata una materia secondaria come è sempre stata fin dai tempi in cui era compresa nell’insegnamento di “storia ed educazione civica”. Peccato, perché ben altra considerazione meriterebbero i suoi principi ed i suoi valori che costituiscono il patrimonio ideale della nostra storia e della nostra identità nazionale. In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia è doveroso ricordare la nostra Costituzione, che è, come si è detto, la Carta fondamentale dello Stato Italiano. Essa ha ormai più di sessant’anni essendo stata promul- gata dal Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, il 27 dicembre 1947, ed è la più antica Costituzione scritta europea, esclusa quella inglese che è orale. Essa costituisce la Carta dei principi e dei valori che sono alla base del patto di convivenza civile e dell’ordinamento repubblicano e democratico del popolo e dello Stato Italiano. Il grande giurista e padre della Costituzione, Piero Calamandrei, nel discorso ai giovani tenuto alla Società Umanitaria a Milano il 26 gennaio 1956, disse: «Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione». Storia, natura e caratteristiche della Costituzione Il quadro storico, politico ed economico era molto diverso da quello attuale quando si cominciò a costruire la nostra Costituzione. L’Italia stava uscendo dalla guerra e dalla dittatura. Muoveva i primi passi verso la democrazia. L’Assemblea costituente si riunì per la prima volta il 25 giugno 1946 a Palazzo Montecitorio. Il testo definitivo venne approvato il 27 dicembre 1947 con il 90% dei voti ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Giuseppe Saragat nel discorso inaugurale tenuto all’Assemblea costituente il giorno 26 giugno 1946 disse: «Fate che il volto di questa Repubblica sia un volto umano. Ricordatevi che la democrazia non è soltanto un rapporto tra maggioranza e minoranza, non è soltanto un armonico equilibrio di poteri sotto il presidio di quello sovrano della Nazione, ma è soprattutto un problema di rapporti fra uomo e uomo. Dove questi rapporti sono umani, la democrazia esiste, dove sono inumani, essa non è che la maschera di una nuova tirannide». La Costituzione non è una legge come le altre. Rappresenta il fondamento della nostra democrazia. È la Carta dei valori fondamentali, dei diritti di tutti e delle regole per tutti. È il prodotto di un popolo che usciva sconfitto dalla guerra e di una nazione che ha fatto propri i principi del costituzionalismo liberale e democratico. È il prodotto della convergenza di forze e ideologie diverse nell’affermazione di valori e principi comuni. Conoscere la Costituzione significa, innanzi tutto, ricordare il contesto storico, sociale e politico nel quale essa fu emanata. Dopo un dibattito politico appassionato e di altissimo livello confluirono nel testo della Costituzione tre grandi filoni politici ideali, rappresentati dalle tre personalità che lo sottoscrissero: Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato, Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea costituente, Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio. Essi diedero luogo ad un compromesso elevato, ad un grande patto costituente in cui esprimere As the great jurist and politician Piero Calamandrei (1889-1956) said, ours is a Constitution which comes from the Risorgimento and there are traces of our culture and history in it. La Costituzione Italiana è stata approvata il 27 dicembre 1947. The Italian Constitution was approved on 27th December 1947. sia i principi naturali dell’uomo sia i valori della rinascita del Paese e della futura convivenza. Fu certamente questo il primo “miracolo italiano”: quello di un Paese sconfitto e diviso, che seppe maturare e formulare un alto programma di democrazia, libertà, uguaglianza, solidarietà. Conoscere la Costituzione significa, anche, capire che i principi ed i valori espressi sono il frutto della condivisione di un impegno comune a rispettarli e ad attuarli, nonostante le diversità politiche ed ideologiche. Essi sono e devono restare patrimonio di tutti, non di una maggioranza o di un’opposizione, e sono principi tuttora validi ed attuali perché radicati nella coscienza e nella natura dell’uomo. Nella Costituzione repubblicana ci sono la nostra cultura e la nostra storia. È una Costituzione venuta dal Risorgimento, come diceva Piero Calamandrei, il quale nel discorso fatto ai giovani nel ventennale della Costituzione appunto affermava: «Quando io leggo nell’art. 2 (l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, politica, economica e sociale) o quando leggo nell’art. 11 (l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli), “la patria italiana in mezzo alle altre patrie”, ma questo è Mazzini! O quando io leggo nell’art. 8 (tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge), ma questo è Cavour! O quando io leggo nell’art. 5 (la Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali), ma questo è Cattaneo! O quando nell’art. 52 io leggo, a proposito delle forze armate (l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica), e questo è Garibaldi! O quando leggo all’art. 27 (non è ammessa la pena di morte), ma questo è Beccaria! Dietro ogni articolo di questa Costituzione o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta. Questo è un testamento, un testamento di centomila morti». Questo passo del discorso del Calamandrei è una lettura obbligata per conoscere la nostra Costituzione e per collegarla al 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Fototeca Gilardi Olycom Come asseriva il grande giurista e uomo politico Piero Calamandrei (1889-1956), la nostra è una Costituzione che viene dal Risorgimento e in essa vi sono le tracce delle nostre cultura e storia. GIUSTIZIA 81 Stato di diritto, divisione ed equilibrio dei poteri La contrapposizione fra i partiti e l’incertezza sul futuro rendevano inevitabile il ricorso ad una impostazione garantista, che prevedeva la divisione e l’equilibrio fra i poteri per evitare il rischio di un nuovo autoritarismo. Non dimentichiamo che uscivamo da un lungo periodo di dittatura. Fu pertanto applicato il principio della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) teorizzato dal barone di Montesquieu. Nella sua opera Lo spirito delle leggi il Montesquieu affermò il principio «che il potere arresti il potere», intendendo appunto dire che i poteri fossero affidati a mani diverse e non alle stesse persone o istituzioni, per evitare sconfinamenti e degenerazioni. Saggiamente, dunque, i nostri Padri costituenti costruirono uno Stato di diritto, basato sulla divisione dei poteri, in cui però nessun potere è assoluto, neppure quello del popolo, che è sovrano ma la sovranità la esercita «nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art. 1). Non è assoluto il potere legislativo costituito dalle due Camere che esercitano la funzione legislativa. Le leggi, infatti, sono soggette al controllo preventivo di costituzionalità del presidente della Repubblica, che prima di promulgarle può chiedere alle Camere una nuova deliberazione (art. 74) e al controllo eventuale e successivo della Corte Costituzionale, che, se investita, può annullarle anche parzialmente (art. 134). Non è assoluto, inoltre, il potere esecutivo. Il Governo, composto dal presidente del Consiglio e dai ministri, deve avere la fiducia delle due Camere, che possono accordarla o revocarla (art. 94). Il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri. Gli atti del Governo sono soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti e anche a quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato (art. 100). 82 GIUSTIZIA La Pubblica Amministrazione deve seguire criteri di buon andaità (art. 97). mento e di imparzialità Contro gli atti della P.A. è sempre ammessa la tutela giurisdizionale (art. 113). Non è assoluto, infine, il potere giudiziario. o I giudici sono a soggetti soltanto alla a legge (art. 101). La uimagistratura costituinosce un ordine autonomo e indipendente da art. ogni altro potere (art. ono 104). I magistrati sono iglio governati dal Consiglio straSuperiore della Magistrano le tura, al quale spettano azioni assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promoenti dizioni ed i provvedimenti sciplinari (art. 105). Il C.S.M. sidente è presieduto dal presidente della Repubblica ed è compo composto per due terzi da componenti eletti da tutti i magistrati ordinari e per un terzo dal Parlamento (art. 104). Il ministro della Giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare (art. 107). A lui spettano l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia (art. 110). Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale (art. 112). I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non con il loro consenso o in seguito a decisione del C.S.M. con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario (art. 107). Va evidenziato che l’indipendenza della magistratura è uno dei principi fondamentali della Costituzione sancito a tutela dell’uguale e imparziale applicazione della legge nei confronti di tutti i cittadini. Solo magistrati indipendenti, infatti, possono garantire l’imparzialità e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Tale indipendenza, dunque, non costituisce un privilegio o una prerogativa a tutela dei magistrati o di una corporazione, bensì una garanzia per i cittadini posta a salvaguardia di valori costituzionalmente protetti come l’imparzialità della funzione giudiziaria e l’uguaglianza dei cittadini dal’uguaglia vanti alla legge. Naturalmente l’indipenNa denza non n è assoluta perché si è voluto vo evitare il rischio che la magistratura potesse costituire un corpo separato costitu dello Stato. La separazione dagli altri poteri non è netta e totale, in quanto sono previsti nella stessa Costiprev tuzione un bilanciamento tuzi e un u equilibrio sia con il potere legislativo, che po deve emanare le leggi de alle quali i giudici sono a e esclusivamente sogggetti e che deve regolam mentare l’esercizio della funzione giurisdizionale e organizzare gli uffici giudiziari, sia con il potere pot esecutivo, al quale spetta a attraverso il ministro La nostra banca, nel della Giustizia la sorveglianza sugli 1978, in occasione uffici giudiziari con la facoltà di della “Giornata promuovere ispezioni e di esercitaMondiale del re l’azione disciplinare nei confronRisparmio” ha ti dei magistrati. donato a tutti gli Ma il raccordo più significatistudenti valtellinesi vo tra potere giudiziario e potere una copia della Costituzione Italiana: politico è stato previsto nella comCarta dei valori posizione del C.S.M. con la prefondamentali, dei senza di un terzo dei componenti diritti di tutti e delle designati dal Parlamento tra i quaregole per tutti. li deve anche essere scelto il vice Our bank, in 1978, presidente. on the “World Day of Saving” gave all pupils in the Valtellina a copy of the Italian Constitution: a Charter of fundamental values, rights for all and rules for all. Rapporti tra magistratura e politica I rapporti tra magistratura e politica in Italia non sono mai stati idilliaci, ma negli ultimi tempi essi sono diventati più tesi e conflittuali. Venuta meno l’immunità parlamentare, abolita nel 1993, l’azione penale, che è obbligatoria, è stata esercitata liberamente e cioè senza alcun filtro preventivo, come una volta, nei confronti dei politici, anche di primo piano. Naturalmente, sono seguite inevitabili strumentalizzazioni politiche e rilevanti conseguenze sul sistema politico. Può essere anche accaduto qualche eccesso, errore o le e dall’equilibrio dei poteri delineato dalla Costituzione, che costituisce anzi un punto di riferimento nel mondo. Pertanto, le annunciate riforme costituzionali della giustizia (diversa composizione del C.S.M., ruolo e poteri del P.M. e del ministro della Giustizia) non risolverebbero i problemi della giustizia e modificherebbero negativamente proprio quel delicato equilibrio tra i poteri disegnati dalla Carta Costituzionale. Olycom sconfinamento e le critiche in proposito sono sempre legittime, ma le reazioni a volte sono state esagerate o scomposte tanto da tradursi, in alcuni casi, nella denigrazione o addirittura nella delegittimazione di singoli magistrati o uffici Angiolino Alfano, giudiziari o dell’intera magistratura. Ministro della I rapporti tra magistratura e Giustizia, e Michele politica sono correttamente rego- Vietti, vicepresidente lati dalla Costituzione che ha predel Consiglio visto per i singoli poteri funzioni e Superiore della ruoli diversi e separati, inserendoli Magistratura. in un sistema equilibrato che ne regola l’ordinato funzionamento e ne evita possibili sconfinamenti o degenerazioni. Più volte il presidente della Repubblica, supremo garante della Costituzione, è giustamente intervenuto per invitare i magistrati a rispettare le prerogative dei parlamentari e i politici a rispettare l’attività della magistratura. Recentemente il presidente Napolitano, in occasione della celebrazione della “Giornata dell’Informazione” è tornato ad invitare magistrati e politici al rispetto reciproco e a sollecitare l’equilibrio tra chi «è costituzionalmente deputato ad esercitare il controllo di legalità ed ha l’obbligo di esercitare l’azione penale», cioè i magistrati, e chi svolge funzioni di rappresentanza di governo nel quadro istituzionale e secondo le regole Angiolino Alfano, della Costituzione. Riguardo alla Minister of Justice giurisdizione, ha aggiunto il presi- and Michele Vietti, Deputy President dente, vanno ricercate soluzioni e of the Higher Council scelte organiche condivise «capaof the Judiciary. ci di risolvere alla radice il problema della giustizia». Ma il faro non può che essere la Costituzione, ove sono già contenuti, secondo il capo dello Stato, i principi generali, le norme e le procedure con le quali si possano far valere sia le ragioni della legalità sia le garanzie del giusto processo. Il problema dei rapporti tra politica e magistratura va, dunque, risolto osservando rigorosamente i limiti delle rispettive competenze senza invasioni di campo o interferenze e strumentalizzazioni. Va infine rilevato che l’inefficienza del sistema giustizia non dipende dall’assetto ordinamenta- Modernità e attualità della Costituzione La Costituzione non è un testo superato. A distanza di tanti anni si può dire che è una Carta ancora viva, moderna ed attuale. I suoi principi, già recepiti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo proclamata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel dicembre del 1948, sono stati recentemente riconosciuti anche dall’Unione europea con il trattato di Lisbona entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Il senatore Andreotti ha definito la nostra Costituzione «un mobile antico di grande valore» ed ha aggiunto che se tutti i tentativi di cambiarla sono falliti vuol dire che «quel mobile antico ha più valore di uno nuovo». Essa è addirittura una Costituzione profetica laddove nell’art. 11 contempla la possibilità di rinunciare parzialmente alla sovranità a parità di condizioni con gli altri Stati per assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni. Questo principio, che è stato giustamente definito una finestra sull’Europa, ha reso possibile il nostro ingresso nell’Unione europea. Eppure, è diffusa l’opinione che la Costituzione sia comunque superata e vada sostituita. Si invoca la necessità di semplificare e di rendere più stabili i Governi e più veloci i processi decisionali (la cosiddetta governabilità). Non si intende toccare i principi e i diritti fondamentali sanciti nella prima parte della Costituzione, bensì si vuole modificare profondamente la seconda parte, quella dedicata all’Ordinamento della Repubblica, assegnando alle Regioni maggiore autonomia, aumentando i poteri del capo del Governo, modificando l’organizzazione parlamentare, riducendo il numero dei deputati e dei senatori e introducendo il Senato federale. Tali modifiche, se ritenute necessarie, potranno essere introdotte a condizione però che non stravolgano l’impianto costituzionale, tuttora valido, e che raccolgano una larga convergenza di consensi in Parlamento, perché è evidente che una riforma costituzionale richiede un’ampia condivisione politica e non può essere approvata da un’esigua maggioranza. Ci si augura anche che eventuali riforme vengano fatte secondo lo spirito e la coesione con cui la Costituzione fu approvata, affinché la stessa continui ad essere percepita come la legge fondamentale di tutti e non di una sola parte. Giustamente il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, in occasione dell’inaugurazione al Quirinale delle celebrazioni per il 60° anniversario della Costituzione ha paragonato la nostra Costituzione ad una «signora in buona salute e tuttavia con qualche ruga, qualche inevitabile segno dell’età, che si possono eliminare, lasciando però intatto e ben riconoscibile il suo volto». GIUSTIZIA 83 Valchiavenna. Cascata presso l’Alpe Campo, in Val Garzelli (foto Mauro Lanfranchi) Foto Sgualdino Fede e scienza La mia non è e non può essere una presentazione dell’illustre ospite, in quanto è un ospite che si presenta da sé, essendo universalmente conosciuto. Detto questo, saluto le autorità, le religiose, i religiosi presenti e tutti Voi signore e signori, dando il benvenuto. Un affettuoso e caloroso saluto, in uno con la riconoscenza, è per il conferenziere Signor Cardinale Gianfranco Ravasi, innalzato alla porpora da poco più di un mese (20 novembre) con una suggestiva cerimonia, alla quale ho presenziato insieme con il direttore generale Pedranzini. Mi unisco alla letizia della comunità dei credenti, formulando al nuovo Principe della Chiesa – nominato dal Santo Padre, di cui è collaboratore, con la prerogativa di far parte del Collegio cardinalizio che ha il diritto di elezione dei nuovi papi – fervidissimi auguri di ogni bene. Ringrazio Maria Teresa e Anna Maria, sorelle del conferenziere, per la gradita presenza. La conferenza di questa sera è la nona che il rinomato biblista Gianfranco tiene in questa sala. La sua voce è quella (mi sia consentita l’espressione) del cardinale dalla bocca d’oro, novello “crisostomo”, voce che acquista portata sempre più vasta e risonanza più larga. Come tutti i grandi personaggi, suscita intorno a sé ammirazione ed entusiasmo per i doni della sua eloquenza. Tema dell’incontro è “Fede e scienza”. Un binomio che ne richiama un altro: uomo e religione. Voglio ricordare due libri in argomento, scritti recentemente da Sua Eminenza – edizione Mondadori: l’uno “500 curiosità della Fede”; l’altro “150 risposte ai perché di chi crede e di chi non crede”. Mi permetto inoltre di citare un’antologia a cura di Umberto Casale, che sta spopolando, intitolata “Fede e scienza. Un dialogo necessario” e che riunisce alcuni dei più importanti testi scritti da Joseph Ratzinger, prima come cardinale e poi da pontefice. Non poche sono le massime sul binomio ricordato. Mi permetto di ricordarne due. Einstein: «La scienza senza la religione è zoppa; la religione senza la scienza è cieca». Trilussa: «Credo in Dio onnipotente ma... ci hai quarche dubbio? Tiettelo per te. La Fede è bella senza li chissà, senza li come e senza li perché». Grazie! Piero Melazzini Presidente della Banca Popolare di Sondrio SALA “FABIO BESTA” DELLA BANCA POPOLARE DI SONDRIO SONDRIO, MERCOLEDÌ 22 DICEMBRE 2010 86 INCONTRI BPS Il folto pubblico presente in sala “Fabio Besta” ha seguito con sommi attenzione e interesse la dotta esposizione del signor Cardinale Gianfranco Ravasi. CARD. GIANFRANCO RAVASI Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e delle Pontificie Commissioni per i Beni Culturali della Chiesa e di Archeologia Sacra The large audience in the “Fabio Besta” room followed the learned lesson by Cardinal Gianfranco Ravasi with great attention. Foto Sgualdino L a riflessione che ora proponiamo suppone, da un lato, un orizzonte immenso difficilmente esauribile all’interno di un saggio e ancor più di un intervento sintetico; d’altro lato, costringe a inerpicarsi su sentieri d’altura, considerando la complessità dei metodi e dei temi che sono coinvolti. Cercheremo, allora, di attestarci solo sul piano di un discorso generale riguardante i rapporti tra fede e scienza così come si sono configurati e si configurano. Presenteremo semplicemente in modo sommario i percorsi principali seguiti dalle due discipline, scienza e teologia, nel loro confrontarsi, spesso sospettoso e fin dialettico per non dire antitetico. Il “caso Galileo” rimane – nonostante tutte le puntualizzazioni e le precisazioni storiografiche – una sorta di vessillo sempre sventolato e il tribunale della storia è ancora aperto non tanto per un giudizio sul passato, quanto piuttosto come monito minaccioso e mai archiviato per il presente e il futuro dei rapporti tra scienza e teologia. Sostanzialmente possiamo dire che queste relazioni hanno visto l’affermarsi di una triplice tipologia (spesso in contemporanea a livello storico): l’alternativa polemica, il parallelo distaccato, il dialogo sorvegliato. Il risultato auspicabile dovrebbe essere quello fatto balenare nella celebre battuta di Albert Einstein nel suo scritto autobiografico Out of My Later Years (1950): «La scienza senza la religione è zoppa, la religione senza la scienza è cieca». Un pensiero echeggiato nel discorso di Giovanni Paolo II in occasione del centenario della nascita (1879-1979) dello stesso Einstein. Il Papa, infatti, citando la Gaudium et Spes (n. 7), ricordava: «Anche la vita religiosa è sotto l’influsso delle nuove situazioni… un più acuto senso critico la purifica da ogni concezione magica del mondo e dalle sopravvivenze superstiziose». Ancor più sintetico ed esplicito il famoso scienziato Max Planck nel suo saggio sulla Conoscenza del mondo fisico (edizioni 1906, 1947) affermava che «scienza e religione non sono in contrasto, ma hanno bisogno una dell’altra per completarsi nella mente di un uomo che pensa seriamente». Da un lato, è, allora, necessario che lo scienziato lasci cadere quell’orgogliosa autosufficienza che lo spinge a relegare la filosofia e la teologia nel deposito dei relitti di un paleolitico intellettuale e quell’hybris che lo illude di dichiarare la capacità onnicomprensiva della scienza nel conoscere, circoscrivendo ed esaurendo la totalità dell’essere e dell’esistere, del senso e dei valori. Ma, d’altro lato, si deve vincere anche la tentazione del teologo desideroso di perimetrare i campi della ricerca scientifica e di finalizzarne o piegarne i risultati apologeticamente a sostegno delle sue tesi. Come scriveva il filosofo tedesco Friedrich Schel- ling a proposito del rapporto tra storia e fede, potremmo ribadire la necessità che scienziato e teologo «custodiscano castamente la loro frontiera», rimanendo aderenti ai loro specifici canoni di ricerca, pronti però anche a rispettare e a tenere in considerazione i metodi e i risultati degli altri approcci alla realtà in esame. È, dunque, importante proporre innanzitutto una sorta di “coesistenza pacifica” tra scienza e fede, lasciando alle spalle quello scontro che ha un vertice (o una sorgente) nel positivismo del filoNOTIZIARIO sofo francese Auguste Comte, negatore della «legittimità di ogni interrogazione al di là della fisica». Incontri BPS Faith and science The confrontation between science and faith and their presumed irreconcilability is ancient: Galileo was a sacrificial victim. The solution for breaking through the sterile pretence for priority today is a peaceful coexistence between the two fields. According to Einstein, science without religion was lame, and religion without science was blind. Planck believed they both counterbalance each other. Wittenstein was more categorical and apparently devoted to extreme positivism: that is, we must keep quiet on that which cannot be said. Less extreme, Nietzsche held that science and faith were neither friends nor enemies: they occupy different spheres. Even John Paul II in a letter dated 1988 urged that they should be considered distinct yet not separate. INCONTRI BPS 87 Fototeca Gilardi An allegorical image representing the relationship of Man with the Cosmos. Xylograph, anonymous, 16th century. A destra: la Fede, porta meridionale del Battistero di San Giovanni e Gionitus (l’astronomia), Campanile di Giotto, a Firenze. Entrambe le formelle sono opera di Andrea Pisano (1290-1348). On the right: Faith, the southern door of the Baptistery of St. John and Jonitus (Astronomy), Giotto’s bell tower, in Florence. Both tiles by Andrea Pisano (1290-1348). 88 INCONTRI BPS Un impulso ulteriore a questa discrasia radicale è riconoscibile nel neopositivismo del Novecento. Il Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein (1921) dichiarava come prive di senso le proposizioni della metafisica, dell’etica e dell’estetica, perché esse non sono immagine di nessun fatto del mondo. I neopositivisti del cosiddetto “Circolo di Vienna” (Schlick, Neurath, Carnap e così via) andarono oltre e interpretarono in senso svalutativo radicale l’affermazione di Wittgenstein riguardo ai discorsi non scientifici. In realtà, per il filosofo viennese – che non era certo un agnostico – si tratta solo di un’“ineffabilità” insita in quelle proposizioni, per cui «su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere», e non certo di una loro assurdità. Anche se sopravvivono ancora ben vigorosi epigoni delle tesi del “Circolo”, come Dawkins e altri difensori di uno scientismo a oltranza, tale impostazione viene ormai considerata come marginale e semplificatoria. Infatti ci si muove sempre di più secondo un reciproco e coerente rispetto tra i due campi: la scienza si dedica ai fatti, ai dati, alla “scena”, al “come”; la metafisica e la religione si consacrano ai valori, ai significati ultimi, al “fondamento”, al “perché”, secondo specifici protocolli di ricerca. È quella che lo scienziato statunitense Stephen J. Gould, morto nel 2002, ha sistematizzato nella formula dei Non-Overlapping-Magisteria (NOMA), ossia della non-sovrapponibilità dei percorsi della conoscenza filosofico-teologica e della conoscenza empirico-scientifica. Essi incarnano due livelli metodologici, epistemologici, linguistici che, appartenendo a piani differenti, non possono intersecarsi, sono tra loro incommensurabili, risultano reciprocamente intradu- cibili e si rivelano in tal modo non conflittuali. Come scriveva già nel 1878 Nietzsche in Umano, troppo umano: «Fra religione e scienza non esistono né parentele né amicizia ma neppure inimicizia: vivono in sfere diverse». Riconosciuta la positività di tale impostazione, che rigetta facili concordismi sincretistici e assegna pari dignità ai diversi tracciati di analisi della realtà, bisogna però opporre una riserva che è ben evidente già a partire dalla stessa esperienza storica. Entrambe, scienza e teologia (o filosofia), hanno in comune l’oggetto della loro investigazione (l’uomo, l’essere, il cosmo) e – come ha osservato acutamente Michał Heller, Premio Templeton 2009, nel suo bel saggio Nuova fisica e nuova teologia – «esistono alcuni tipi di asserzioni che si lasciano trasferire dal campo delle scienze sperimentali a quello filosofico e viceversa senza confondere i livelli», anzi, con esiti fecondi (si pensi al contributo che la filosofia ha offerto alla scienza riguardo alle categorie “tempo” e “spazio”). Inoltre, continua lo studioso polacco, «la di- Photo Oilime Immagine allegorica che rappresenta il rapporto dell’Uomo con il Cosmo. Incisione xilografica di anonimo del XVI secolo. Photo Oilime Foto Sgualdino stinzione dei livelli non dovrebbe legittimare l’esclusione aprioristica della possibilità di qualsiasi sintesi». È così che ha preso vigore, accanto alla sempre valida (a livello di metodo) “teoria dei due livelli”, una sussidiaria “teoria del dialogo” propugnata da Józef Tischner che fa leva sul fatto che ogni uomo è dotato di una coscienza unificante e, quindi, ogni ricerca sulla vita umana e sul rapporto con l’universo esige una pluralità armonica di itinerari e di esiti che si intrecciano tra loro nell’unicità della persona. Non è soddisfacente, allora, per una più compiuta risposta, dissociare radicalmente i contributi scientifici da quelli filosofici e viceversa, pena una perdita della vera “concretezza” della realtà e dell’autenticità della stessa conoscenza umana che non è monodica, cioè solo razionale e formale, ma anche simbolico-affettiva (le pascaliane “ragioni del cuore”). Questa “teoria del dialogo” – che, per altro, faceva parte dell’eredità dell’umanesimo classico – è fatta balenare anche nella Lettera che Giovanni Paolo II aveva indiriz- zato nel 1988 al direttore della Al termine dell’incontro, il Specola Vaticana: «Il dialogo [tra scienza e fede] deve continuare e cavalier Melazzini, presidente della progredire in profondità e in ambanca, si congratula piezza. In questo processo dobbia- con Sua Eminenza mo superare ogni tendenza regresReverendissima. siva che porti verso forme di riduAlla sinistra, il vicedirettore zionismo unilaterale, di paura e di autoisolamento. Ciò che è assolu- generale vicario della tamente importante è che ciascu- Bps, Giovanni Ruffini. na disciplina continui ad arricchire, At the end of the nutrire e provocare l’altra ad essemeeting, re più pienamente ciò che deve essere e contribuire alla nostra visione di ciò che siamo e di dove stiamo andando». Distinzione ma non separatezza, dunque, tra scienza e fede. Il “fenomeno” a cui si dedica la scienza, ossia la “scena” come sopra si diceva, non è indipendente dal “fondamento” e, quindi, esperienza e “trascendenza” sono distinte nei livelli ma non isolate e incomunicabili. A questo punto, se vogliamo Mr. Melazzini, attestarci solo sul versante che ci Chairman of the Bank, congratulated è proprio, quello teologico, possiaHis Very Reverend mo condividere quanto scriveva Eminence. nel 1982 sulla rivista Scripta On the left, the Theologica José Luis Illanes: «La Vicar Deputy General teologia può attuare il suo contriManager of Bps, buto solo se si mantiene in contatGiovanni Ruffini. to con le altre scienze. Essa ha bisogno di essere ascoltata ma ha altrettanto bisogno di ascoltare gli altri saperi. Il teologo, come lo scienziato, deve essere umile, e in misura ancor maggiore: non solo perché ciò che sa lo riceve dalla parola di Dio, affidata alla Chiesa, di fronte a cui deve mantenersi in atteggiamento di devoto ascolto, ma anche perché riconosce che la scienza teologica non lo autorizza a prescindere da altri saperi». Siamo in presenza di due profili dello stesso volto: cancellato uno, il viso si sfigura. Per dirla con una battuta folgorante dei Pensieri di Pascal: «Due eccessi: escludere la ragioIl testo della ne, non ammettere che la ragione» conferenza è stato rivisto dal Relatore. (n. 253, ed. Brunschvicg). INCONTRI BPS 89 Quale futuro per l’economia in Europa SALA “FABIO BESTA” DELLA BANCA POPOLARE DI SONDRIO SONDRIO, VENERDÌ 28 GENNAIO 2011 Autorità, signore e signori buona sera. Sono particolarmente lieto di dare il benvenuto al professor Guido Tabellini, magnifico rettore della prestigiosa Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano, al quale rinnovo viva gratitudine per il privilegio nell’aver accolto l’invito a tenere una conferenza quassù. Nel ciclo ormai lungo delle nostre conferenze, abbiamo avuto in questa sala numerose personalità di cultura, e tra di esse – essendo la Popolare di Sondrio vicina alle università, di diverse delle quali è tesoriera, compresa la Bocconi – vi sono stati alti esponenti universitari. Cito – dei conferenzieri venuti in passato – l’attuale presidente della Bocconi professor Mario Monti, il quale fu in questa sala il 24 giugno 1988, quand’era direttore dell’Istituto di Economia Politica dell’ateneo. Parlò sul tema “L’integrazione finanziaria europea e l’Italia”. Aggiungo le personalità legate agli atenei che sono state qui recentemente e che sono i professori Cesare Mirabelli, Lorenzo Ornaghi, Giulio Ballio, Alberto Quadrio Curzio, Giovanni Puglisi, Marcello Fontanesi. Questa sera ascolteremo il professor Guido Tabellini, rettore della Bocconi, di cui, come testé detto, siamo da anni – con soddisfazione, che confido sia reciproca – la banca di riferimento. Presso la stessa operiamo con l’agenzia n. 11, da noi chiamata semplicemente “filiale della Bocconi”. All’ateneo, che ha una fornitissima biblioteca, siamo altresì collegati attraverso la nostra Biblioteca Luigi Credaro. Sempre in riferimento ai nostri aspetti culturali, sia pure modesti, non posso non ricordare che il 31 ottobre 2002 siamo stati ospitati dalla Bocconi per la presentazione a Milano del nostro libro, curato da Gavino Manca, Vilfredo Pareto (1848-1923). L’Uomo e lo Scienziato, corposa opera ispirata al Fondo paretiano da noi acquisito a un’asta di Christie’s sul calare del 1996. Tra gli autori della pubblicazione vi sono il compianto Giuseppe Pontiggia, Gianfranco Ravasi, Marco Vitale. L’Università Commerciale Luigi Bocconi, fondata nel 1902, è specializzata nell’insegnamento delle scienze economiche, giuridiche e manageriali e gli studenti iscritti sono circa dodicimila. 90 INCONTRI BPS È noto come molti giovani della provincia di Sondrio, che intendono intraprendere studi universitari a indirizzo economico, prediligano la Bocconi, la cui reputazione è ottima e consolidata: un’eccellente università che prepara alla vita, al lavoro. Tra i tanti studenti di questa provincia che l’hanno frequentata, non pochi lavorano presso di noi. Il nostro direttore generale è uno di quelli. Il tema dell’incontro “Quale futuro per l’economia in Europa” è attuale e di grande interesse, soprattutto oggi che viviamo in un clima di grave incertezza economica, avvolti da una crisi internazionale e nazionale senza precedenti, che ha sconquassato ovunque le Borse, quindi le finanze e, di conseguenza, l’economia, il lavoro. Speriamo che abbia a tornare il sereno sui mercati e la situazione possa normalizzarsi presto. Il professor Guido Tabellini, classe 1956, economista di fama internazionale, si è laureato in economia nel 1980 a Torino. Nell’84 ha conseguito il dottorato presso la UCLA negli Stati Uniti, dove ha lavorato come assistente per qualche anno. Rientrato in Italia, ha esercitato la docenza presso le università di Cagliari e di Brescia. È poi approdato all’Università Commerciale Luigi Bocconi come professore di Economia politica, materia che insegna tuttora. Eletto rettore della stessa università nel maggio 2008, è stato confermato nel prestigioso incarico nel novembre 2010. Fa parte di diversi centri di ricerca nazionali e internazionali e di comitati scientifici ed editoriali. È autore di numerose pubblicazioni scientifiche di macroeconomia e politica macroeconomica, economia internazionale e pubblica. Il professor Tabellini è una firma prestigiosa de Il Sole 24 Ore. Ricordo suoi articoli riferiti all’etica e all’economia, dove con saggezza l’autore illustra che l’economia e l’etica non sono mondi distinti e separati. Sempre di etica e mercato egli ha trattato nel volume di Salvini, Zingales e Carrubba, dal titolo Il buono dell’economia: etica e mercato oltre i luoghi comuni. (Rivolgendosi al conferenziere) E ora assolvo al mio compito di consegnarLe la medaglia della nostra banca, a ricordo di questa importante conferenza. Piero Melazzini Presidente della Banca Popolare di Sondrio GUIDO TABELLINI Magnifico Rettore della Università Commerciale “Luigi Bocconi” di Milano Foto Sgualdino I n questa esposizione tratterò lo scenario economico internazionale, i problemi dell’Europa e, brevemente, la situazione dell’Italia. Gli scenari economici mondiali sono in un momento di ripresa: la crescita mondiale quest’anno sarà infatti attorno al 4% secondo stime di consenso. Sarà però una ripresa a due velocità, che vedrà crescere i Paesi emergenti rapidamente e oltre il loro trend consueto (probabilmente con una media attorno al 6-6,3%, con punte superiori all’8% per alcuni, in particolare Cina e Paesi asiatici). I Paesi avanzati tenderanno invece a crescere sotto il loro trend potenziale. Le stime di consenso indicano per gli Stati Uniti una crescita del 2,50-3%, per l’Europa e il Giappone dell’1,5%, ma solo dell’1% per l’Italia che farà da cenerentola. Vorrei qui fare due osservazioni generali. La prima riguarda una caratteristica delle economie avanzate che non deve sorprendere, in confronto alle epoche storiche più lontane. Sappiamo che l’Europa e gli Stati Uniti hanno commesso l’errore di accumulare debiti in eccesso e la crisi finanziaria degli anni passati ne è stata la conseguenza. L’esperienza storica mostra che questi debiti in eccesso sfociano in crisi finanziarie seguite da periodi di crescita particolarmente lenta, non immediati, ma lunghi fino a sette-otto anni, o addirittura dieci secondo alcuni economisti. Le economie avanzate fronteggiano un periodo di crescita più bassa del solito dovendo smaltire i debiti accumulati. In secondo luogo, la rapida crescita delle economie emergenti non è un fenomeno congiunturale ma epocale. Credo che questo Il relatore durante la sua conferenza. Al tavolo dei lavori siedono anche il presidente della banca, cavalier Piero Melazzini (sulla destra) e il direttore generale della stessa, dottor Mario Alberto Pedranzini. vendite tedesche in Cina e in Asia. L’Italia, invece, non è riuscita nel complesso ad approfittare di queste opportunità, ma anche nel nostro Paese la parte di economia che dà buoni risultati è quella che riesce ad approfittare dei mercati asiatici. Un trend destinato a continuare, poiché quello che stiamo vedendo in Cina è solo l’inizio. I consumi dell’economia cinese soThe speaker during his conference. The no, infatti, ancora una piccola parfollowing are seated te del reddito. L’economia cinese cresce spinta dagli investimenti, at the work table: chairman of the bank, ma i consumi in Cina sono circa Knight of Labour poco più di un terzo del reddito: Piero Melazzini (on una frazione che corrisponde alla the right) and the metà del rapporto fra consumi e bank’s general manager, Dr. Mario reddito delle economie avanzate. Alberto Pedranzini. Progressivamente, col crescere dell’economia cinese, aumenterà What is the future for the European economy? anche la domanda dei consumi e i Paesi che riusciranno a soddisfaAfter the heavy effects of the crisis, the world economy will grow re l’aumento della domanda interthis year. But emerging countries will boast very comforting rates na in Cina saranno avvantaggiati. of development. The advanced countries are finding it hard to Non dobbiamo farci però troppe maintain their potential growth trends. They must, in fact, illusioni, perché in Cina è anche in eliminate their accumulated debts. The economies of countries corso un massiccio investimento such as Germany are at an advantage, as they are ready to meet in capitale umano. La capacità the growing consumer demand of the Chinese system. della Cina, come di altri Paesi Furthermore, the Eurozone states cannot count on the monetary emergenti, di far fronte all’espanpolicy to act as a safety vavle in a fiscal crisis situation. However, sione del mercato interno con la the central banks of England and the United States help their governments. More specifically, it is difficult for Italy to rise above propria produzione aumenterà altrettanto velocemente. Gli anni e i because it has not grown adequately in the last decade and decenni che stanno avanti offrirantherefore remains a Cinderella story. secolo sarà ricordato come quello in cui le grandi economie asiatiche sono tornate a occupare la posizione mondiale di qualche secolo fa. Quella a cui assistiamo è veramente una trasformazione storica fondamentale e continuerà probabilmente nei prossimi decenni. Ciò vuol dire, e lo constatiamo ogni giorno, che le opportunità economiche saranno sempre più spostate verso i Paesi asiatici. Il confronto fra la Germania e l’Italia è un esempio. La Germania ha un’economia che è riuscita ad approfittare delle opportunità dei mercati asiatici, essendo stata capace di entrarvi e di vendere molto: l’economia europea in questo momento va bene perché è trainata dalle INCONTRI BPS 91 no delle opportunità, che non saranno tuttavia facili da cogliere come ora, poiché la competizione di quella parte del mondo si sposterà su settori sempre più sofisticati. Un’implicazione di questa trasformazione epocale è che probabilmente il futuro economico del nostro Paese, nel lungo periodo, dipenderà dalla nostra capacità di rendere più efficiente e più produttivo non solo il settore manifatturiero, che già compete con il resto del mondo, ma anche quello dei servizi. Non è semplice, in quanto occorrono una regolamentazione e una politica economica intelligente e si tratta di un settore spesso legato all’amministrazione pubblica e a situazioni di monopolio naturale. Non basta fare affidamento, come in parte avviene nel settore manifatturiero, sulla capacità imprenditoriale dei privati, ma occorre anche che la macchina dello Stato funzioni in maniera efficiente. In queste previsioni di consenso ho esposto uno scenario centrale che, come sempre, si accompagna a grande incertezza. È importante – accennando all’aspetto congiunturale – elencare i rischi che si presentano verso l’alto o verso il basso. A questo proposito, bisogna premettere che complessivamente i rischi sono diminuiti rispetto a sei mesi o un anno fa, quando la situazione era molto più incerta. Nei Paesi avanzati, soprattutto negli Stati Uniti, c’era il timore di una deflazione e di una ricaduta nella recessione – pericolo evaporato e divenuto molto meno imminente. Al contrario diverrà più probabile il rischio di inflazione, maggiormente però negli Stati emergenti che non in quelli avanzati. Con più precisione, possiamo pensare a rischi in positivo e rischi in negativo rispetto allo scenario centrale. In positivo vanno citati i dati attuali sull’andamento del settore industriale mondiale che indicano un’accelerazione recente dell’attività economica. Negli Stati Uniti, in particolare, il settore delle imprese è in buone 92 INCONTRI BPS La sede del Parlamento europeo a Strasburgo. The seat of the European Parliament in Strasbourg. condizioni. La crisi del debito che ha colpito quel Paese coinvolgeva le famiglie e le banche, mentre le imprese avevano dei bilanci sani e in questo momento sono pronte a investire maggiormente se la realtà economica lo giustificasse. Il settore delle imprese potrebbe quindi essere fonte di sorprese favorevoli. Siamo in un momento di ripresa, di disponibilità nei confronti del rischio. I mercati finanziari si stanno riprendendo, le Borse sono salite, i differenziali d’interesse fra attività più e meno rischiose si stanno restringendo e di conseguenza gli investitori si stanno orientando verso investimenti un po’ più rischiosi, aumentando le opportunità economiche. Soprattutto, con il risalire dei prezzi delle attività, si riducono i rischi di ricaduta e si arricchisce il portafogli delle famiglie e degli investitori. Un altro aspetto positivo è che la ripresa delle economie emergenti potrebbe essere ancora più veloce delle attese. Infine, va ricordato che la politica monetaria resterà molto espansiva nel corso del 2011, soprattutto negli Stati Uniti e in Inghilterra, garantendo un’ulteriore spinta all’economia mondiale. Tuttavia, di fronte agli aspetti positivi, esiste anche una serie di rischi verso il basso da non sottovalutare. Il primo e il più rilevante riguarda la crisi del debito sovrano nell’area euro, non ancora finita. Il secondo, parlando degli Stati Uniti, è l’elevato tasso di disoccupazione. Un’opinione comune, alla luce della citata trasformazione dell’economia mondiale, è che la ripresa dell’economia americana sarà una jobless recovery: non creerà lavoro. Sfrutterà gli aumenti di produttività lasciando però elevato il tasso di disoccupazione, al momento attorno al 9%. In questo caso la ripresa sarebbe più lenta, ostacolando il risanamento dei bilanci delle famiglie. Un altro elemento di rischio nell’economia Usa è il settore immobiliare in cui esiste un pericolo di ricaduta, rendendo la ripresa più lontana. Terzo rischio per gli Stati Uniti è la politica fiscale, in particolare il disavanzo fiscale. Per uscire dalla crisi gli Stati Uniti hanno spinto molto sulla politica fiscale e hanno mantenuto il disavanzo fiscale attorno al 9-10% del reddito nazionale, ma è preoccupante che non vi siano imminenti segni di riduzione. I repubblicani – che controllano la Shutterstock Camera dei Rappresentanti – affermano di volere stringere i cordoni della spesa pubblica e imporre una politica di spesa più attenta, ma le elezioni presidenziali non sono lontane ed è quindi poco probabile che il disavanzo rientri in maniera significativa prima di allora. Dovremo probabilmente aspettare il 2013 o il 2014 per trovare i segni di una maggiore austerità. La rilevante accumulazione di debito porta il rischio di tensioni sui tassi d’interesse o sul dollaro. Un rischio collegato riguarda gli Stati e le città americane. A causa della crisi, le amministrazioni locali si sono trovate in difficoltà per problemi di debito pubblico. Per quanto questo non sia comparabile a quello dell’Europa, in rapporto al Pil, la capacità delle amministrazioni locali di sostenerlo è minore, data la modesta base imponibile. Potrebbero dunque esservi tensioni anche su questo fronte. Un altro elemento di rischio da valutare nello scenario internazionale riguarda i Paesi emergenti, nei quali il livello generale dei prezzi potrebbe correre troppo e quindi provocare inflazione. Questo rischio presenta due aspetti. Da un lato la politica monetaria nei Paesi emergenti dovrebbe divenire più restrittiva: c’è infatti la sensazione che in questi Paesi essa sia in ritardo rispetto all’esigenza di controllare l’inflazione. D’altro canto, l’inflazione è concentrata soprattutto nelle commodities, con conseguenti ripercussioni sui Paesi avanzati che peggiorerebbero le relazioni di scambio e imporrebbero maggiore attenzione all’inflazione dalle autorità monetarie locali. Questo problema riguarda soprattutto l’Europa: proprio in questi giorni la Banca Centrale Europea ha mostrato un atteggiamento deciso sul pericolo che la rapida crescita dell’inflazione esterna sia importata nell’area euro causando un aumento duraturo dell’inflazione in Europa. Il presidente Trichet ha dichiarato che intende compensare un eventuale aumento dell’inflazione importata riducendo l’inflazione interna. A mio giudizio sarebbe un errore di valutazione Recentemente la BCE ha mostrato un atteggiamento deciso sul pericolo che la rapida crescita dell’inflazione esterna sia importata nell’area euro causando un aumento duraturo dell’inflazione in Europa. adottare una politica monetaria più restrittiva in Europa in questo momento, anche se non possiamo escludere che ciò accada prima del dovuto, pensando alla situazione economica locale. Nella zona dell’euro, il rischio più grave è quello del debito sovrano, su cui vorrei fare alcune osservazioni. Bisogna in primo luogo ricordare l’importanza della fiducia. Siamo abituati a considerarla solo Recently the ECB has shown a determined quando pensiamo alle monete e ai tassi di cambio, ma la fiducia è attitude regarding fondamentale anche in riferimento the threat that the rapid growth al debito pubblico, poiché, se vieof external inflation ne meno, i tassi d’interesse sul might be imported debito pubblico salgono mettendo into the Euro zone in difficoltà un debitore sovrano. causing a longDa cosa dipende la fiducia? È lasting increase of inflation in Europe. un concetto evanescente e difficile da definire, che sicuramente dipende dalla storia e dalla tradizione. Vi sono Paesi emergenti in cui la fiducia nei confronti del debito sovrano è tradizionalmente bassa: questi Paesi non riescono solitamente ad accumulare un debito superiore al 50-60% del reddito nazionale. Le crisi di Argentina e Russia sono arrivate quando il loro debito sovrano toccava solamente il 50-60% del Pil. Alcuni economisti parlano di debt intolerance, d’intolleranza del debito dei Paesi che hanno per consuetudine scarsa fiducia nei confronti del debito sovrano. I Paesi avanzati che possiedono invece la capacità di dare fiducia sul debito, riescono generalmente a indebitarsi nella loro valuta. L’Europa è in una situazione un po’ particolare. È vero che gli Stati dell’area euro s’indebitano nella stessa valuta, ma non possono contare sulla politica monetaria come valvola di sicurezza in situazione di crisi fiscale. Se pensiamo, infatti, all’Inghilterra e agli Stati Uniti, uno degli aspetti che dà loro fiducia è che, in caso di necessità, esiste una banca centrale che può aiutare il governo, almeno entro certi limiti. Non è invece detto che esista questa caratteristica anche nei Paesi dell’area euro. Se infatti tutti i Paesi europei dovessero perdere la fiducia, la Banca Centrale europea sarebbe pronta ad aiutarli. Ma se questa crisi di fiducia tocca solo alcuni Paesi, la BCE – secondo le basi della nostra costituzione monetaria – non potrebbe intervenire se non creando conflitti politici. C’eravamo dimenticati che l’area euro è diversa dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra. C’è dunque il rischio di una grave perdita di fiducia in un contesto di volatilità e di debiti così elevati: quello italiano arriverà al 120% del Pil e quello di altri Paesi oltre il 100% del Pil. Forse non potremo permetterci tali livelli di debito poiché non abbiamo dietro una banca INCONTRI BPS 93 94 INCONTRI BPS La sede della SDA Bocconi School of Management in via Bocconi 8 a Milano. Archivio Università Commerciale “L. Bocconi” The seat of the SDA Bocconi School of Management in via Bocconi 8 in Milan. La nuova Aula Magna Bocconi, nell’edificio Grafton di via Roentgen 1 a Milano. The new Bocconi Great Hall in the Grafton building in via Roentgen 1 in Milan. tasso d’interesse, tanto più difficilmente scomparirà il problema con il tempo. La politica monetaria non è stata d’aiuto in modo efficace, ma a togliere fiducia sono state soprattutto le dichiarazioni della Merkel, che ha sottolineato come, a fronte degli aiuti concessi alla Grecia e poi all’Irlanda, bisognasse congegnare per il futuro, dopo il 2013, un sistema per consentire anche ai creditori e non soltanto ai contribuenti di affrontare il costo di questa accumulazione eccessiva di debiti. Ciò ha reso evidente che il nuovo debito che gli Stati europei avrebbero dovuto emettere dopo il 2013 sarebbe stato particolarmente rischioso. Il rischio era aggravato dal fatto che i prestiti concessi all’Irlanda sarebbero stati sostituiti da un nuovo fondo permanente ancora in elaborazione e con l’affermazione esplicita che dopo il 2013 eventuali aiuti concessi ai Paesi in difficoltà sarebbero stati trattati in maniera preferenziale rispetto ad altri debiti emessi sul mercato degli Stati dell’area euro, rendendo ancora più rischioso il ricorso al mercato per i Paesi che si trovassero in Archivio Università Commerciale “L. Bocconi” centrale che può svolgere il ruolo che svolgerebbe la Fed o la Banca d’Inghilterra. Per dare un’idea della concretezza delle mie osservazioni, dal 2008 a oggi il bilancio della banca centrale americana è circa triplicato, dato che questa, per sostenere l’economia, ha prestato soldi alle banche, ma ha anche acquistato in maniera rilevante il debito statale. Nello stesso periodo il bilancio della Banca d’Inghilterra è aumentato di circa due volte e mezzo. Il bilancio della Banca Centrale europea è anch’esso aumentato in maniera significativa, ma non altrettanto e soprattutto non in riferimento al debito emesso dai Paesi europei: una differenza importante che deve renderci più cauti. In secondo luogo, la reazione dei Paesi dell’Unione europea allo scoppio della crisi sul debito sovrano in Grecia, e più recentemente in Irlanda, è stata disordinata, Non eravamo pronti. Ciò ha contribuito ad aggravare la crisi e ha fatto fare dei passi indietro. Quando sono emersi i primi problemi in Grecia, probabilmente la risposta che avrebbe dato fiducia sarebbe stata di affermare che una ristrutturazione sul debito sovrano di un Paese dell’area euro non deve accadere, è un evento impossibile. Per evitare l’azzardo morale che altrimenti ci sarebbe stato, si sarebbe dovuto costringere sin dall’inizio la Grecia ad adottare provvedimenti molto restrittivi e offrirle un sostegno molto grande di liquidità, non solo con prestiti, com’è stato fatto, ma anche da parte della Banca Centrale europea, come avrebbero fatto la Banca d’Inghilterra e la Fed. Invece la politica monetaria è stata esclusa. La risposta dei governi ha avuto delle incertezze, soprattutto nell’autunno del 2010, quando è emerso il problema dell’Irlanda. Queste misure hanno infatti minato la fiducia perché gli stanziamenti dell’Unione europea ai Paesi in difficoltà sono stati concessi a interessi elevati, meno di quelli del mercato ma di molto superiori a quelli con cui gli altri Stati dell’Unione europea si stavano indebitando. Tanto più alto è il Archivio Università Commerciale “L. Bocconi” - Paolo Tonato difficoltà dopo il 2013. Questo insieme di fattori ha contribuito a togliere la fiducia. Ci sono classi d’investitori in Asia e negli Stati Uniti che improvvisamente hanno visto il debito sovrano dell’area euro come una classe d’investimento molto più rischiosa di quanto immaginassero e che si sono allontanati da questi investimenti. Le difficoltà dei Paesi dell’area euro non sono dovute soltanto agli hedge funds che speculano, ma a investitori di lungo periodo che hanno scoperto un mondo diverso da quello che si aspettavano. Ciò è importante perché cambiare l’atteggiamento degli investitori istituzionali è più difficile che non riacquistare la fiducia di uno speculatore di breve periodo. Più recentemente, ci si è accorti di questi errori. I policy makers europei hanno capito che occorre adottare un atteggiamento diverso. La Banca Centrale europea ha cominciato ad acquistare il debito pubblico degli Stati in difficoltà, sebbene in piccole quantità, con effetti positivi per tutti i Paesi. Quando la BCE acquista debito del Portogallo e della Grecia, si abbassano anche i tassi d’interesse della Spagna e dell’Italia perché diminuisce il rischio di contagio. In questi giorni è in discussione l’ipotesi di ampliare le risorse che i Paesi europei mettono a disposizione per aiutare gli Stati in difficoltà. Le risorse dovevano essere in teoria di 400 miliardi, in pratica sono di meno, per varie ragioni (solo 250 sono in realtà utilizzabili). Ci si è resi conto che ciò rende troppo scarse le risorse attualmente a disposizione e quindi si sta cercando di ampliarle. Si discute di abbassare il tasso d’interesse dei prestiti per i Paesi in difficoltà, anche se non sappiamo ancora se ciò avverrà. Un altro aspetto utile è stato l’intervento di Cina e Giappone e di altri fondi sovrani che, consapevoli che in questo momento l’Europa ha bisogno di aiuto e che una crisi più grave nell’area euro non avvantaggerebbe nessuno, sono disposti a comprare euro o debito sovraIl rettore no per aiutare i Paesi in difficoltà. dell’Università Tutto ciò ha fatto rientrare la crisi Bocconi, professor dai suoi momenti peggiori consen- Guido Tabellini, tiene tendo ai Paesi in difficoltà di guail discorso di inaugurazione dagnare tempo, facendo riprendere l’economia e circoscrivendo la dell’anno accademico. crisi. The rector of the La domanda difficile alla quaUniversity, le nessuno sa rispondere è se il Bocconi Professor Guido rientro dalle difficoltà dell’area eu- Tabellini, giving the ro sia il primo passo verso la riso- inaugural speech of luzione del problema o soltanto the academic year. una pausa prima di un ritorno a problemi rilevanti. La risposta è molto complessa, ma a mio avviso è difficile pensare che siamo fuori dal guado. È probabile che i prossimi anni siano caratterizzati da una volatilità ondeggiante. Ci saranno ancora momenti di difficoltà. È possibile che questa fase di rientro duri ancora a lungo, ma nei prossimi due o tre anni ci saranno altri periodi di forte volatilità. Le ragioni sono molteplici. La prima è che le difficoltà non sono solo economiche, ma anche politiche: le interpretazioni della crisi dell’area euro sono spesso divergenti. In Germania prevale l’opinione che la colpa sia della politica fiscale miope dei Paesi in difficoltà, il che è sicuramente vero in Grecia, dove i governi hanno sbagliato. È però meno vero in altri Paesi – come Spagna e Irlanda – in cui i problemi nascono più dal sistema bancario che non dalla politica fiscale. L’errore è stato quello di lasciare accumulare troppo debito nel sistema bancario. Ma questo errore è stato commesso anche dalla Germania, le cui banche hanno molto debito emesso da Grecia, Irlanda e Spagna. La visione tedesca si accompagna poi alla prescrizione politica di non aiutare i Paesi in difficoltà, non soltanto perché a spese dei contribuenti tedeschi, ma perché ciò incoraggerebbe altri eccessi di politica fiscale. Nei Paesi che hanno bisogno di essere aiutati l’opinione prevalente è diversa: si vede l’atteggiamento intransigente della Germania come punitivo. Per dare un esempio concreto, una delle condizioni poste dai Paesi europei all’Irlanda per aiutarla è che il patrimonio delle casse previdenziali irlandesi fosse utilizzato per ripagare il debito dello Stato irlandese. I beneficiari di questi rimborsi sono spesso le banche tedesche che hanno prestato denaro all’Irlanda e che chiedono ora i soldi delle casse previdenziali irlandesi per ripagare i debiti. È ovvio che ciò procuri preoccupazione in Irlanda, e infatti il nuovo governo irlandese potrebbe assumere un atteggiamento diverso. Quando ci sono INCONTRI BPS 95 Foto Sgualdino dei conflitti di questo genere e percezioni così diverse all’interno dell’area euro, è possibile che le soluzioni adottate per uscire dalla crisi contengano elementi economicamente poco efficaci. Ci potrebbero quindi essere delle delusioni rispetto alle attese che in queste settimane si stanno formando. A suggerire che i problemi non siano finiti vi è anche il fatto che alcuni Paesi non si trovano solo in una situazione di mancanza di fiducia, ma anche d’insolvenza effettiva. Il debito della Grecia raggiungerà, nelle stime ufficiali, circa il 160% del reddito nazionale. Riuscire a rimborsare questo debito con un’economia a crescita ridotta sarà molto difficile. Se si aggiunge che questo debito è detenuto in gran parte fuori dalla Grecia, gli incentivi a non far fronte a questo debito sono molto forti. La situazione irlandese non è altrettanto difficile: il debito pubblico è più basso, attorno al 100% del Pil. Però l’Irlanda ha un debito estero lordo elevatissimo, in rap- 96 INCONTRI BPS Un qualificato e numeroso pubblico ha seguito con interesse la chiara esposizione del Magnifico Rettore dell’Università “L. Bocconi”. A large and competent audience listened carefully to the presentation of the rector of the Bocconi University. porto di 16 a 1 sul reddito nazionale. Anche in questo caso non si tratta solo di una crisi di fiducia, ma dei fondamentali economici difficili da sostenere. È vero che sono Paesi molto piccoli e le difficoltà possono essere circoscritte, ma ci vuole del tempo per essere sicuri che una ristrutturazione del debito in Grecia non crei difficoltà altrove. La terza e ultima considerazione, a sostegno della tesi che questi problemi non scompariranno facilmente, è che in diversi Paesi – non in Italia per fortuna – il problema non consiste solo nella finanza pubblica, ma in una combinazione di difficoltà dello Stato sovrano e del sistema bancario. Ciò avviene in Spagna dove le banche sono esposte sul sistema immobiliare in maniera rilevante, non catastrofica, ma neppure trascurabile, essendovi stata una bolla in questo settore. Ciò accade anche in Paesi economicamente sani come il Belgio, le cui banche sono fortemente esposte verso i Paesi periferici dell’area euro, e di conseguenza a rischio di contagio nel caso di una crisi in uno di questi Paesi. Infine, il 30-40% del debito dell’area euro è detenuto dal suo sistema bancario, quindi le difficoltà della Grecia di fare fronte ai suoi debiti avrebbero delle ripercussioni sullo stesso sistema bancario greco. Stesso discorso vale per il Portogallo, che pure ha altri tipi di problemi. Da una situazione come questa, in cui sia lo Stato sovrano sia il sistema bancario possono avere difficoltà, non è quindi così facile uscire. La soluzione naturale sarebbe di ricapitalizzare le banche in difficoltà, ma anche qui ci sono questioni politicamente difficili. Quest’aspetto importante potrebbe emergere nei prossimi mesi, quando dovranno essere rifatti gli stress test del sistema bancario: delle simulazioni per valutare quanto il capitale delle singole banche sia sufficiente a sostenere eventuali tensioni. Nei Paesi maggiormente in difficoltà, in particolare in Spagna, potrebbero esserci forti esigenze di ricapitalizzazione. Foto Sgualdino A fronte di queste preoccupazioni esistono tuttavia argomenti di segno opposto: innanzitutto il fortissimo impegno politico di tutti i Paesi, non solo europei, per aiutare l’area euro ad avere il ruolo che merita nel mondo. Come abbiamo visto, la Cina e il Giappone ne sono consapevoli. La posta politica in gioco è così alta che si farà di tutto per evitare difficoltà ad un Paese dell’area euro: sei mesi fa sarebbe stato inimmaginabile pensare agli aiuti che invece sono stati dati a Grecia e Irlanda. In secondo luogo, i Paesi in difficoltà sono piccoli. Di fronte ad un progetto politico così importante è difficile immaginare che non si trovi il modo per venire fuori dalla crisi di Paesi di dimensioni così ridotte, anche se oggi non si può capire la soluzione tecnica. Alla fine la Spagna ha delle banche che devono essere ricapitalizzate, ma non è un Paese insolvente come la Grecia, l’Irlanda e, forse, il Portogallo. In terzo luogo, il tempo aiuta a isolare i Paesi che sono davvero in difficoltà rispetto a quelli che possono venirne fuori da soli. Tutto ciò fa pensare che ci siano tante ragioni per essere più ottimisti. La mia lettura di queste considerazioni contrastanti è che, a seconda del momento, prevarrà la visione più negativa o quella più positiva. Dipende anche dalla situazione economica mondiale: se l’economia cresce rapidamente, se le attività finanziarie si riprendono, se gli investitori sono più disposti a sopportare il rischio, allora prevarrà la visione ottimistica. In altri momenti vi saranno fondate ragioni per la cautela e allora le difficoltà e i nodi irrisolti potrebbero farsi di nuovo pressanti. Anche l’economia reale e gli investimenti reali risentiranno di questo clima di volatilità e di incertezza. I dati mostrano come la ripresa economica mondiale abbia portato a un ritorno degli investimenti diretti dall’estero verso i Paesi di quasi tutto il mondo, ma non nell’area euro – nemmeno nei suoi Paesi Nel corso della conferenza il professor Tabellini ha pure sottolineato che non basta fare affidamento sulla capacità imprenditoriale dei privati, ma occorre anche che la macchina dello Stato funzioni in maniera efficiente. più sani. L’ipotesi già delineata di un lungo periodo di crescita sotto il potenziale in Europa è quindi plausibile e, nonostante le buone notizie, stenteremo a rivedere dei tassi di crescita molto elevati. Vorrei infine trattare dell’Italia. La nostra nazione è in una situazione particolare. Se guardiamo ai flussi della finanza pubblica stiamo abbastanza bene. Il disavanzo del nostro Stato è cresciuto in maniera modesta durante la During the conference, Professor crisi, e questo è uno dei meriti del Tabellini also ministro dell’Economia; tuttavia lo emphasized that we stock di debito pubblico rimane cannot rely on the molto alto, essendo ritornato vicientrepreneurial no al 120 per cento del Pil. A abilities of the private sector alone, fronte di questo debito vi sono i risparmi privati, quindi l’economia but that the è sana, ma senza una ripresa Government must also function della crescita il rapporto fra debito efficiently. e reddito nazionale è destinato a rimanere alto esponendoci ai già accennati rischi di volatilità. In questa situazione è difficile uscire in maniera netta dal guado senza un’accelerazione forte della crescita. Per riuscire ad abbattere il rapporto debito-Pil occor- re far crescere il denominatore, il reddito. Come fare quindi a rilanciare la crescita? Il nostro Paese cresce poco da più di un decennio, quindi non è colpa di un governo o dell’altro. Addirittura negli ultimi dieci anni il reddito pro capite è diminuito: dieci anni fa eravamo più ricchi. Credo che, per far ripartire la crescita, ci siano nodi strutturali da affrontare per l’economia italiana. Alcuni, come le relazioni industriali, li stiamo già affrontando. Più nel lungo periodo, è necessario un miglior funzionamento delle istituzioni scolastiche, della ricerca e delle infrastrutture, che ovviamente non darà un risultato immediato. Non è infatti pensabile che la crescita riparta subito solo perché investiamo in infrastrutture o in scuole. Nell’immediato probabilmente lo strumento più indispensabile per finanziare la crescita è quello tributario: oggi il fisco italiano è molto sbilanciato sui fattori produttivi e soprattutto sul lavoro. Bisognerebbe spostare una parte di questo carico fiscale altrove, poiché non possiamo abbassarlo significativamente in una situazione di finanza pubblica come quella attuale. Ma dove? Non c’è molto altro che i consumi. Diminuire l’Irap e aumentare l’Iva è come svalutare: alleggeriamo il prelievo su chi produce in Italia e facciamo salire il prelievo su chi domanda in Italia e all’estero. Anche la tassazione sulle rendite finanziarie, in questo contesto, dovrebbe naturalmente aumentare. Combattere l’evasione fiscale è poi imperativo. Bisogna infine aiutare i nostri servizi a ripartire, anche se l’effetto si avrà nel medio periodo e non nell’immediato. Occorre sfruttare le molte opportunità che ancora esistono nel settore dei servizi con liberalizzazioni e regolamentazioni meno punitive. Tutto ciò è urgente, proprio perché siamo in una situazione di incertezza e volatilità economica. È importante che anche la politica si mostri all’altezza delle sfide particolarmente impegnative che abbiamo davanti a noi. INCONTRI BPS 97