Il listino azionario è in vendita - Nonsolobanca

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Il listino azionario è in vendita - Nonsolobanca
NOTIZIARIO
Il listino azionario
è in vendita
Economia-Finanza
ALESSANDRO BOLOGNESI
I
l risparmiatore attento, o che gestisca direttamente il suo portafoglio titoli, oppure che segua,
attraverso le gestioni l’andamento della Borsa, difficilmente riesce ad
avere un quadro esatto del valore del
suo possesso azionario in un determinato momento. Se un comparto sale,
favorito dai sintomi di ripresa che si
vanno manifestando in un settore produttivo, resta incerto un altro settore,
ove il risparmiatore ha investito buona
parte dei suoi risparmi; e pertanto
l’investimento azionario è rappresentato dagli indici di Borsa, che riassumono i valori di gran parte dei titoli presenti nel listino azionario o meglio dai
cosiddetti Etf-Excange trade fund, che
riassumono in sé le caratteristiche
proprie di un fondo o di una azione,
consentendo così di contenere i rischi
delle oscillazioni di mercato.
Per meglio conoscere questo strumento di investimento, va sottolineato
come altri ancora sono i vantaggi di chi
utilizza gli Etf; come ad esempio le
commissioni, che possono raggiungere la metà rispetto alle normali spese
per acquisto di titoli, oppure di altri
contratti che riguardano l’acquisto diretto di azioni ed obbligazioni.
Ma la caratteristica preminente
di questo strumento finanziario è quella di realizzare l’identica performance
dell’indice di Borsa: l’Etf consente di
ottenere un rendimento pari a quello
del benchmark di riferimento, in virtù
di una “gestione totalmente passiva”
perché riflette, al suo interno, l’esatta
composizione ed i pesi relativi dell’in-
dice, al quale si riferisce. Da tenere
presente soltanto l’espressione del
prezzo, qualora la valuta di riferimento dell’indice sia diversa da quella di
negoziazione (che per i nostri Etf resta
sempre l’euro), e pertanto solo in questo caso, occorre tenere presente
l’eventualità di una svalutazione, od
apprezzamento, dell’Etf, rispetto
all’euro.
Tra gli altri vantaggi nell’investimento in Etf, rispetto all’acquisto diretto di azioni, vi è pure quello di una riduzione del costo rispetto ad un portafoglio titoli diversificato, perché non è
prevista alcuna commissione extra,
ma solo una commissione totale annua
(Ter) ridotta rispetto alle normali spese bancarie per acquisto di titoli, ed
applicata automaticamente con riferimento al periodo di detenzione.
Nulla cambia invece rispetto ai
proventi, o benefici, che provengono
dall’investimento: i dividendi che l’Etf
incassa, a fronte delle azioni possedute
nel proprio portafoglio, possono venire distribuiti periodicamente all’investitore, oppure capitalizzati stabilmente nel patrimonio dell’Etf, e sempre a
disposizione dell’investitore.
Resta poi da considerare il rischio
di possibili insolvenze cui va soggetto
The share-list is for sale
The only real indicator that can sound out our
stock investment are the Stock Market indexes,
which show the value of the majority of the listed
securities, or better the ETF (Exchange Trade Fund).
This investment instrument summarizes the
characteristics of a fund or of a stock, and allows
keeping the oscillations of the market under
control. A further advantage is that of a reduced
cost compared to a diversified stock portfolio.
un investimento diretto in titoli azionari, ciò che non può accadere per gli
Etf, in quanto hanno un patrimonio
separato da quello della Società emittente, e pertanto non sono esposti a
situazioni critiche che invece sono
sempre possibili per altre forme societarie. L’unica penalizzazione potrebbe
derivare dal rischio che le azioni, le
obbligazioni e gli altri strumenti che
compongono il loro patrimonio, possano perdere valore.
Vi è poi da considerare l’aspetto
fiscale, che risulta essere chiaro e semplice: la ritenuta fiscale a titolo di impresa del 12,5% è applicata sui redditi
derivanti dall’Etf in possesso, e viene
operata automaticamente dall’intermediario. Perciò nessun provento deve
essere riportato nella propria dichiarazione dei redditi.
Il risultato ottenuto da questo
strumento finanziario è evidente: dalla
loro prima apparizione gli Etf quotati
hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli, come appare del resto dai listini
pubblicati dai maggiori quotidiani, a
conferma del loro gradimento ottenuto
presso i risparmiatori, e che attualmente sfiorano le 400 voci.
Per quanto riguarda l’attività, gli
scambi si sono consolidati negli ultimi
anni. Di fronte ad un volume di 46.594
milioni realizzati nel 2008, lo scorso
anno si sono registrati affari in ulteriore crescita ad oltre 54 miliardi. Una
conferma del crescente interesse degli
scambi in Etf è venuta di recente da
parte di istituti stranieri che hanno instaurato flussi di domanda ed offerta
sul mercato italiano. A sostegno di una
operatività non più casuale e che si
accentra su un numero sempre più
vasto di titoli.
ECONOMIA-FINANZA 41
Indagine conoscitiva
sui mercati
degli strumenti finanziari
GIUSEPPE MUSSARI
Presidente dell’ABI
Introduzione
Nell’area dell’euro il peso dell’intermediazione creditizia nella gestione
delle passività delle imprese è preponderante rispetto all’esperienza dei Paesi anglosassoni. Se da un lato ciò, come
imprese bancarie, ci rende fieri e ci
carica di responsabilità, dall’altro indica un percorso che soprattutto in Italia
possiamo e dobbiamo ancora compiere verso uno sviluppo armonico dell’insieme del mercato finanziario e di alcuni suoi segmenti in particolare, segmenti su cui peraltro le stesse banche
svolgono spesso un ruolo rilevante (ad
esempio quotazione delle imprese).
Nella presente audizione cercheremo di fornire qualche valutazione
delle ragioni sottostanti ad un certo
sottodimensionamento del mercato
azionario e suggeriremo qualche possibile opzione per superare gli elementi di criticità e favorire un maggiore ricorso da parte delle imprese a tale ca-
Fact-finding investigation on the
markets of financial tool
In Italy, banks are the main players in the field of
financial intermediation: from savings in fields with
positive financial balances such as the family, on
to those with a negative balance such as
businesses. This virtuous mechanism today,
however, shows several critical elements: the share
market is of modest size indeed; businesses are not
able to quote on the markets easily, also due to
significant operating costs; there are very few
domestic institutional investors; and there are
deficiencies in the approval procedures of the offer
profiles and admission to negotiation. The limited
size of Italian businesses is a significant factor,
which impacts research, technological innovation,
export and productivity.
42 ECONOMIA-FINANZA
nale di finanziamento. L’intervento è
sostanzialmente strutturato in tre parti: nella prima forniremo qualche dato
macro di inquadramento; nella seconda ci concentreremo su vari aspetti del
listing del mercato azionario (criticità,
servizi, intermediari specializzati, competenze), nella terza trarremo qualche
breve conclusione.
valore prossimo al 50% per i prestiti.
A partire da questi dati non deve dunque sorprendere che nel confronto
europeo le dimensioni del mercato
azionario italiano si collochino nella
fascia bassa della classifica come incidenza della capitalizzazione di Borsa
sul prodotto interno lordo: con una incidenza di poco superiore al 27%, la
Borsa italiana denuncia un divario di
quasi 40 punti rispetto alla media europea e di oltre 100 punti percentuali rispetto all’esperienza media di Uk e
Usa. In valori assoluti, a fine 2010 la
capitalizzazione complessiva delle società quotate sui mercati gestiti da
Borsa Italiana si è attestata a circa 430
miliardi di euro (di cui oltre il 20% rappresentata da banche), contro i circa
4.400 miliardi di euro di capitalizzazione delle società quotate sul London
Stock Exchange.
Che tale ristrettezza del mercato
azionario italiano non sia un effetto
solo di una sfavorevole congiuntura
delle quotazioni è evidente se si considera il numero delle società quotate
nelle principali piazze europee.
1.
Quadro macro:
modalità di finanziamento
delle imprese e limiti
del mercato azionario italiano
Nella media dell’Eurozona, la percentuale degli strumenti di finanziamento diretto sui mercati (obbligazioni
e azioni quotate) sul complesso delle
risorse finanziarie utilizzate dalle imprese è pari a meno della metà di quanto si registra per i prestiti, mentre le
due fonti di finanziamento tendono ad
equivalersi nell’esperienza britannica.
All’interno di questa caratterizzazione
dell’Unione, estrema risulta la situazione italiana in cui la somma di obbligazioni e azioni quotate supera appena il
12% delle passività totali, contro un
Struttura del passivo delle imprese non finanziarie
(in % del totale; dati al 2008)
Italia
Obbligazioni
Prestiti
2,5
49,4
Crediti
di cui a breve Azioni quotate commerciali
22,1
9,7
Altro (*)
1,7
36,6
Germania
3,4
37,0
9,9
17,6
3,4
38,4
Francia
30,9
53,8
11,8
10,0
19,1
10,3
4,6
3,1
36,2
Spagna
9,2
1,0
Euro Area
3,3
37,1
11,9
12,9
3,2
43,5
11,4
37,3
22,3
25,5
3,1
22,7
UK (**)
(*) fondi di quiescenza ed altro (comprese azioni non quotate)
Fonte: Eurostat
31,8
(**) dati non consolidati
Capitalizzazione di Borsa in quota del prodotto interno lordo (dati ad agosto 2010)
250,00
200,00
150,00
Unione europea (EU 27) = 64,7
100,00
50,00
Slovacchia
Romania
Bulgaria
Slovenia
Ungheria
Repubblica Ceca
Grecia
Italia
Irlanda
Austria
Cipro
Germania
Polonia
Malta
Turchia
Norvegia
Francia
Giappone
Spagna
Stati Uniti
Regno Unito
Lussemburgo
Svizzera
0,00
Fonte: Eurostat
In questo caso si può notare come
non solo il numero di imprese quotate
in Borsa risulti decisamente basso
(296 imprese contro le 783 della Borsa
tedesca e le oltre 600 della Borsa francese e per non parlare delle quasi 3.000
della Borsa inglese), ma anche come
nel quadriennio 2006-2009 il numero
delle imprese quotate sia diminuito di
15 unità.
Accanto al numero contenuto di
imprese quotate, è importante evidenziare che il divario più rilevante rispetto ad altri listini europei si concentra
nel numero di società di minori dimensioni quotate, che nel nostro Paese
erano, a fine 2008, appena 39.
2.
Trend di quotazione sui
principali mercati azionari
negli ultimi anni
La quotazione sui mercati azionari è un’attività caratterizzata da elevata
ciclicità perché influenzata, tra l’altro,
da una serie di variabili esterne alle
imprese, quali ad esempio l’andamento
del ciclo economico e la situazione dei
mercati finanziari.
Se si considera il triennio prima
dell’inizio della crisi finanziaria (20052007), si rileva ad esempio che le società neoquotate su Borsa Italiana sono
state in media oltre 20 all’anno, rispetto
al totale di 17 operazioni di quotazione
(IPO - Initial Public Offers) dell’ultimo
triennio (2008-2010) attraversato dalla
crisi finanziaria.
paragonabile all’analoga fase di crisi
dei listini azionari, dovuta alla cosiddetta bolla dei titoli hi-tech (2000).
La crisi finanziaria ha dunque giocato negli anni più recenti un ruolo
negativo nello sviluppo del listino italiano (così come in quello degli altri
Anche recenti studi internazionali1 hanno messo in luce che in Europa
negli ultimi 10 anni (1999-2009) c’è stato un andamento ciclico di quotazioni
di nuove imprese sul mercato, con un
generalizzato calo del numero medio
di operazioni di IPO nell’ultimo biennio
Numero delle imprese quotate
End 2006
End 2007
End 2008
End 2009
Var. %
2009 vs 2006
290
283
292
288
-1
BME Spanish Exchanges
3.378
3.537
3.576
3.472
3
Borsa Italiana
311
307
300
296
-5
Budapest SE
41
41
43
46
12
Cyprus SE
141
124
119
115
-18
Deutsche Börse
760
832
783
3
Exchange
Athens Exchange
Irish SE
70
73
68
64
-9
Istanbul SE
316
319
317
315
0
100
87
84
76
-24
3.256
3.307
3.096
2.792
-14
260
14
261
16
262
19
267
20
3
43
MICEX
193
207
233
234
21
Nasdaq OMX Nordic Exchange
791
851
824
797
1
1.210
229
1.155
248
1.238
259
1.160
238
-4
4
Ljubljana SE
London SE
Luxembourg SE
Malta SE
NYSE Euronext (Europe)
Oslo Børs
SIX Swiss Exchange
348
341
323
339
-3
Warsaw SE
265
375
458
486
83
Wiener Börse
113
119
118
115
2
Fonte: World Federation of Exchanges members
ECONOMIA-FINANZA 43
Paesi), interrompendo un trend positivo di accesso delle imprese al mercato
dei capitali, avviato successivamente
alla crisi di inizio decennio.
3.
Le principali criticità del listing
nel mercato azionario italiano
Il mercato azionario italiano presenta da sempre limiti strutturali e
culturali che impediscono di raggiungere livelli dimensionali paragonabili a
quelli dei maggiori listini europei.
a) Difficoltà culturali delle imprese a
quotarsi sui mercati
Per un’impresa, il processo di
quotazione rappresenta un momento
strategico, ma allo stesso tempo critico: richiede un cambio di mentalità
soprattutto da parte degli azionisti,
che devono accettare l’effetto diluitivo
sul capitale della propria azienda, il
confronto con altri azionisti e stakeholders, la diffusione di informazioni (contabili, finanziarie, di business) al mercato, su base continuativa.
Lo sforzo richiesto per effettuare
questo cambio culturale è tanto più
elevato quanto minori sono le dimensioni dell’impresa che vuole accedere
al mercato. Nel nostro Paese oltre il
90% delle imprese sono caratterizzate
da ridotte dimensioni (meno di 50 dipendenti).
A ciò si aggiunge una forte concentrazione della proprietà a livello
familiare ed un elevato livello di indebitamento, anche a causa della ridotta
dotazione di mezzi propri.2 L’incidenza
dello stock di debiti bancari rispetto al
patrimonio raggiunge valori superiori
al 100% (104,2%) per le imprese manifatturiere italiane con fatturato inferiore ai 10 milioni di euro. In Germania,
Francia e Spagna tale incidenza è in
media del 48%.
La concentrazione della proprietà
a livello familiare, le resistenze di tipo
culturale legate prevalentemente al timore di perdere il controllo della società determinano una scarsa propensione all’apertura del capitale.
Il carattere familiare delle imprese
italiane non dovrebbe rappresentare
peraltro, di per sé, un ostacolo alla
quotazione, considerato che le imprese controllate da una famiglia hanno
dimostrato negli anni scorsi di essere
apprezzate dalla Borsa3 e che la variazione degli assetti proprietari dopo la
44 ECONOMIA-FINANZA
quotazione non porta, nella maggior
parte dei casi, a perdere il controllo
dell’impresa.4
È importante pertanto, far crescere il mercato italiano dei capitali, mettendo in campo iniziative che favoriscano un’inversione di tendenza dal
punto di vista culturale ed una crescita
complessiva della dimensione del sistema imprenditoriale italiano.
Un primo passo potrebbe essere
quello di introdurre misure volte a
correggere alcune distorsioni nelle
scelte di finanziamento delle imprese
motivate dall’esistenza di un favore fiscale per le forme di indebitamento rispetto al capitale proprio: in tal senso,
potrebbero essere previste, ad esempio, forme di agevolazione fiscale degli
utili destinati alla patrimonializzazione
che consentano alle imprese di ottenere risparmi di imposta, parametrati
alla quota di utile netto non distribuito.
Resta peraltro di fondamentale
importanza superare la tradizionale
resistenza ad aprirsi al mercato attraverso la quotazione. In tale ottica, nel
gennaio 2010, ABI e Borsa Italiana hanno siglato un accordo nell’ambito del
quale sono state avviate specifiche
iniziative (tra cui la previsione di una
linea di credito dedicata ad imprese
neoquotate per finanziare i programmi
di crescita).
b) Elevati oneri di quotazione e permanenza sul listino
Un altro elemento che costituisce
tradizionale ostacolo al ricorso alla
quotazione è rappresentato dai costi
diretti ed indiretti che le imprese sostengono per realizzarla.
Tali costi dipendono, fra l’altro,
dalla complessità aziendale e dall’importanza del mercato di quotazione
(diversa a seconda che si tratti del
Mercato Telematico Azionario [MTA] o
dell’Alternative Investment Market [AIM]
Italia, ecc.).
In via approssimativa, secondo
Borsa Italiana, è possibile stimare che
in Italia per emittenti che ricorrono
all’MTA i costi complessivi di quotazione ammontano a circa 800/900 mila
euro, tra il 2% e il 5% dell’ammontare
raccolto in sede di IPO. Tali costi si
aggirano invece attorno a 200-300 mila
euro nel caso di quotazione sul listino
delle piccole e medie imprese (l’AIM
Italia), corrispondente mediamente al
5-6% dell’ammontare raccolto in sede
di IPO.
Va sottolineato che alcuni di questi costi (come ad esempio la pubblicità obbligatoria sui quotidiani dei fattori
di rischio presenti nei prospetti di offerta) non gravano sulle società che si
quotano all’estero, non essendo previsti dalla normativa europea: se ne potrebbe valutare dunque la loro eliminazione.
Naturalmente, il problema dei costi di quotazione è particolarmente
sentito dalle imprese medio-piccole.
L’esperienza degli anni scorsi in Italia
ha fornito evidenti prove di ciò e della
conseguente scarsa attrazione dei mercati regolamentati5 per le PMI.6
Di qui l’avvio nel 2008 del Mercato
Alternativo del Capitale (MAC) e nel
2009 dell’AIM Italia per facilitare la
quotazione delle PMI grazie a costi di
quotazione complessivi inferiori a
quelli previsti per un mercato regolamentato nonché a procedure di ammissione semplificate e più rapide ed a
requisiti di informativa per gli emittenti più snelli.
Il tema della semplificazione delle
procedure di quotazione delle PMI è
stato di recente oggetto di una iniziativa di carattere normativo a livello europeo, promossa dal Governo francese e da esperti della materia, finalizzata ad individuare alcune ipotesi di
semplificazione della disciplina concernente le piccole e medie imprese a
vari livelli.7
In tale iniziativa di snellimento,
che l’ABI condivide, potrebbe rientrare
anche l’eliminazione o la riduzione di
alcuni adempimenti critici tipici della
disciplina italiana, quali gli obblighi di
comunicazione al mercato al raggiungimento da parte degli investitori della
soglia minima del 2%, che nel caso di
IPO di imprese di piccole dimensioni,
determinano rilevanti criticità.
Non va dimenticato inoltre che gli
oneri connessi alla quotazione non
esauriscono quelli che un’impresa quotata deve affrontare per permanere nel
listino. Lo status di emittente quotato
nei mercati regolamentati comporta,
infatti, l’applicazione di un plesso di
norme, per buona parte di derivazione
comunitaria, la cui compliance è particolarmente onerosa. Si fa riferimento,
tra gli altri, agli obblighi di trasparenza
e segnalazione al mercato, agli obblighi
140%
128%
% capitalizzazione detenuta da investitori domestici ed esteri*
su capitalizzazione totale
120%
% capitalizzazione detenuta da investitori istituzionali
domestici ed esteri* /PIL
100%
81%
80%
76%
65%
65%
60%
42%
40%
28%
20%
7%
0%
USA
Unione europea
(27)
Italia
UK
(*) banche incluse tra gli investitori istituzionali; i dati sulla capitalizzazione si riferiscono al main market al
31/8/2010; i dati sulla percentuale di capitalizzazione detenuta da investitori istituzionali si basano su elaborazioni ABI su dati di Borsa Italiana (dati 2008 per Italia e dati 2005 per altri Paesi; nel 2005 i dati italiani
erano pari a 37% e 10%, al 2008 risultano pari a 28% e 7%); i dati del PIL si riferiscono al 31/12/2009.
di segnalazione alla Consob, nonché
alla predisposizione dell’informativa
finanziaria periodica.
c)
Carenza di investitori istituzionali
In Italia il ruolo degli investitori
istituzionali domestici sul mercato
azionario è molto contenuto. Dal grafico riportato sopra emerge che la quota
di capitalizzazione di Borsa detenuta
da investitori istituzionali (banche incluse) rispetto alla capitalizzazione totale del mercato è pari al 28%. Il confronto con la realtà europea ed internazionale mostra che negli Usa e nell’Unione europea tale rapporto è pari
al 65% mentre nel Regno Unito raggiunge l’81%. Il grafico mostra che anche
rispetto al Pil, la capitalizzazione detenuta dagli investitori istituzionali è più
bassa in Italia rispetto alle altre piazze
finanziarie ed all’Europa nel suo complesso.
In tale scenario si riscontra in
particolare una specifica carenza di
fondi specializzati in imprese a ridotta
capitalizzazione. Al momento, infatti,
solo otto fondi di diritto italiano sono
dedicati in prevalenza alle small cap
(investendo peraltro significative quote del patrimonio in imprese di dimensioni medio-grandi negoziate sull’MTA).
Dall’analisi dell’asset allocation di detti
fondi emerge infatti che la capitalizza-
zione di mercato media dei primi cinque titoli in cui gli stessi investono è
sempre superiore al miliardo di euro.
La carenza di investitori small
cap, determina difficoltà di collocamento di titoli in sede di mercato primario nonché ridotti scambi sul mercato secondario (con conseguente riflesso sul corso dei prezzi dei titoli
stessi) e costituisce anche un disincentivo per le stesse imprese a quotarsi.
Occorrono quindi strumenti che
incentivino nel nostro Paese lo sviluppo di tali investitori istituzionali e aiutino a colmare il divario attualmente
esistente sul nostro mercato rispetto
ad altre piazze finanziarie europee.
Una strada perseguibile, ad esempio, è quella di introdurre agevolazioni
di carattere fiscale per le persone fisiche e le imprese che sottoscrivono
quote di veicoli specializzati nell’investimento in società small cap quotate
su mercati non regolamentati quali
l’AIM Italia e il MAC.
Su tale strumento, peraltro già
previsto in altri Paesi europei, l’ABI ha
sviluppato una proposta concreta, che
intende portare nelle sedi competenti,
anche con la condivisione degli altri
stakeholder. Lo sviluppo di fondi di investimento specializzati in PMI potrebbe anche essere attuato utilizzando
strumenti esistenti, quale ad esempio
il Fondo Italiano di Investimento (FII),
che potendo anche investire indirettamente nelle imprese tramite altri fondi
(agendo come fondo di fondi), potrebbe creare un effetto leva con benefici
sull’attività e lo sviluppo dei fondi specializzati in imprese small cap.
Nell’ottica di favorire lo sviluppo
di investitori istituzionali emerge poi
l’esigenza di rimediare agli attuali squilibri nella tassazione dei fondi comuni,
in particolare tra fondi di diritto italiano (tassati per maturazione) e quelli di
diritto estero (tassati per cassa), nonché alle conseguenti incertezze normative sulla classificazione dei rendimenti da essi generati (redditi di capitale o
redditi diversi).
A tal proposito, potrebbe fra l’altro essere valutata l’opportunità di una
sostituzione del regime di tassazione
per maturazione dei fondi di diritto
italiano con il regime della tassazione
per cassa secondo uno schema analogo a quello attualmente seguito per i
fondi esteri armonizzati UE, nonché di
apposite norme di diritto transitorio
per la sistemazione dei risparmi d’imposta accumulati dai fondi, trasformandoli in tempi brevi in nuova liquidità da investire, a vantaggio della
performance del fondo.
4.
L’offerta dei servizi di listing
da parte delle società mercato
in Italia
Il processo di modernizzazione
dei mercati italiani prende avvio con la
legge n. 1/1991, che da un lato scioglie
i Comitati direttivi delle sedi della Borsa
e costituisce il Consiglio di Borsa, dall’altro impone la concentrazione degli
scambi in Borsa.
Il passo successivo viene compiuto con l’emanazione nel 1998 del Testo
Unico della Finanza (TUF) che sancisce la privatizzazione del mercato, con
la trasformazione di un soggetto pubblico, il Consiglio di Borsa, in un soggetto privato. Nasce così la Borsa Italiana, società per azioni a carattere imprenditoriale, partecipata dai principali operatori del mercato, cui scopo è
l’organizzazione, la gestione e lo sviluppo dei mercati italiani.
Non si può non riconoscere alla
Borsa Italiana di aver svolto negli ultimi dieci anni un compito importante,
gestendo il delicato passaggio da un
modello basato su mercati di natura
ECONOMIA-FINANZA 45
pubblica ad un modello, più moderno
ed in linea con le principali esperienze
estere, di mercati gestiti da soggetti
imprenditoriali.
In questo compito, un ruolo importante è stato certamente svolto
dall’obbligo della concentrazione degli
scambi sul mercato regolamentato,
che ha garantito uno sviluppo ordinato
e solido del mercato azionario, prevenendo una frammentazione della liquidità degli scambi e delle informazioni.
Tale principio ha tuttavia evitato
che la Borsa Italiana fosse esposta alla
competizione di altri mercati, configurando, almeno nei fatti, una situazione
di esclusività nella offerta di servizi di
listing. Anche le esperienze di mercati
regolamentati alternativi a Borsa Italiana hanno riguardato principalmente il
mondo dei mercati non azionari (titoli
di Stato e obbligazioni).
Tale situazione, tuttavia, è in fase
di cambiamento, da quando è stata introdotta in Europa la Direttiva sui Mercati di Strumenti Finanziari (Mifid) che
ha rappresentato per l’Italia un’ulteriore ed importante rivoluzione in tema di
mercati finanziari.
La Mifid ha infatti messo al bando
definitivamente la possibilità per gli
Stati membri di prorogare l’obbligo
della concentrazione degli scambi.
Questo sta determinando in Europa un
passaggio, seppur graduale, degli
scambi dei titoli quotati sul mercato
azionario italiano su mercati alternativi. Si tratta soprattutto di un mero e
prevedibile fenomeno di migrazione
del trading e non del listing.
Per quanto riguarda poi l’offerta
di mercati per le PMI, occorre ricordare, oltre all’avvio del mercato AIM Italia
sulla base dell’esperienza inglese
dell’AIM UK, la recente acquisizione da
parte di Borsa Italiana della società di
promozione del Mercato Alternativo
del Capitale (ProMAC).
Sul tema va altresì segnalata la
recente costituzione di un Advisory
Board dedicato ai mercati delle piccole
e medie imprese – promosso da Borsa
Italiana a cui partecipano tutte le categorie di soggetti coinvolti nel mercato
– con l’obiettivo di ristrutturare i mercati italiani delle PMI e favorire l’offerta
di quotazione dedicata a tali imprese
nel contesto italiano, attraverso specifiche iniziative e strategie di sviluppo
dei suddetti mercati, che prevedono
46 ECONOMIA-FINANZA
anche una revisione del ruolo dei diversi attori coinvolti.
In definitiva, sembra potersi valutare positivamente l’operato di Borsa
Italiana negli anni precedenti (dall’ampliamento dei listini e la diversificazione dei segmenti alla telematizzazione
degli scambi, al passaggio a meccanismi più efficienti di regolamento delle
transazioni, alla privatizzazione del
mercato).
5.
Gli intermediari specializzati
nel listing azionario
Nel processo di quotazione di
azioni intervengono diversi intermediari con specifiche funzioni. In Italia
c’è un numero ristretto di operatori
specializzati nel listing azionario (al
momento circa 20 intermediari finanziari, inclusi quelli esteri): a questi
vanno poi aggiunte alcune società di
consulenza e revisione che offrono
servizi di corporate finance. Tale carenza può essere attribuita, fra l’altro:
–
ad una ridotta domanda di quotazione da parte delle imprese, per i
motivi già ricordati in precedenza;
–
al fatto che i servizi relativi alla
quotazione sono servizi ad alta specializzazione con una forte componente di consulenza/assistenza, per cui,
anche in considerazione della scarsa
domanda di cui sopra, non tutti gli
intermediari sono in grado di svolgere
tale attività;
–
al fatto che gli stessi intermediari,
nell’ambito del processo di quotazione
di un’impresa, possono ricoprire più
ruoli (sponsor, specialist, responsabile
del collocamento, ecc.).
Nelle operazioni di IPO effettuate
negli ultimi anni emerge infatti, tra
l’altro, una stretta coincidenza tra gli
incarichi di sponsor e responsabile del
collocamento. Ciò costituisce un limite
alla nascita di nuovi operatori.
Tra i vari ruoli svolti dagli intermediari nel processo di quotazione sul
mercato, le attività dello sponsor e del
responsabile del collocamento sono
quelle che recano le maggiori criticità
in quanto soggetti ad una specifica disciplina normativa, che attribuisce loro compiti e responsabilità.
Lo sponsor, in particolare, collabora con l’emittente nella procedura di
ammissione a quotazione degli strumenti finanziari ai fini di un ordinato
svolgimento della stessa. Esso è tenuto
a rilasciare una serie di attestazioni/
dichiarazioni relative, fra l’altro, alla
presenza di un adeguato sistema di
controllo di gestione.
Si tratta di un incarico che richiede competenze diverse rispetto a quelle degli intermediari che effettuano
collocamenti, la cui attività si focalizza
su valutazioni del business plan e su
valutazioni di carattere economico/finanziario e patrimoniale dell’emittente.
Ciò ha quindi un impatto sull’attività degli intermediari in termini di
maggiori responsabilità e, di conseguenza, in termini di maggiori costi di
due diligence legale che si ripercuotono
sugli emittenti.
In tale prospettiva, è auspicabile
un intervento sulla regolamentazione
dell’attività dello sponsor nell’ottica di
circoscrivere le sue funzioni alle attività su cui lo stesso ha una competenza
specifica e, dunque, le relative responsabilità.
L’attività del responsabile del collocamento dell’offerta pubblica assume rilievo nei rapporti con la Consob
in quanto tale intermediario, in base al
regolamento Emittenti, è tenuto a rilasciare, fra l’altro, una dichiarazione in
cui attesta, al pari degli altri sottoscrittori del prospetto e per le parti di propria competenza, che il prospetto stesso «è conforme agli schemi applicabili e
che, avendo essi adottato tutta la ragionevole diligenza a tale scopo, le informazioni in esso contenute sono, per
quanto a loro conoscenza, conformi ai
fatti e non presentano omissioni tali da
alterarne il senso».
Su tale intermediario grava altresì, ai sensi dell’art. 94, comma nono, del
TUF, una presunzione di responsabilità
per le informazioni false o le omissioni
idonee ad influenzare le decisioni di un
investitore ragionevole.
Detta previsione non è peraltro in
linea con la direttiva n. 2003/71/CE in
tema di prospetti – che non prevede né
la figura del responsabile del collocamento né alcuna presunzione legale di
responsabilità a carico di un solo intermediario per informazioni false o per
omissioni nel prospetto – né con le
prassi degli altri Paesi europei, in base
alle quali gli intermediari che effettuano la due diligence dei prospetti rilasciano generalmente attestazioni solo
nella forma di negative assurance (dichiarando, ad esempio, che dalle veri-
6.
La ripartizione
delle competenze in tema
di ammissione a quotazione
tra Consob e Borsa Italiana
Con la privatizzazione dei mercati,
attuata con il Testo Unico della Finanza,
le competenze in tema di ammissione a
quotazione (cosiddetto listing) tra la
Consob e la società di gestione del
mercato (la Borsa Italiana) sono state
ripartite: la Consob approva il prospetto di offerta dei titoli, mentre Borsa
Italiana delibera l’ammissione a quotazione dell’emittente, subordinatamente
all’approvazione da parte della Consob
del prospetto di offerta e di una attenta
attività di analisi e valutazione
dell’impresa quotanda.
La scelta operata da Borsa Italiana, responsabile
dell’attività di ammissione a
quotazione, è stata quella di
subordinare l’ammissione a
quotazione a concrete verifiche di merito (due diligence) e
non solo all’esistenza di requisiti formali dell’emittente.8
Ad avviso dell’ABI, la suddivisione dei ruoli tra Borsa
Italiana e Consob non ha mostrato in questi anni particolari criticità. La criticità principale nel processo di ammissione
a quotazione riguarda invece i
tempi lunghi di approvazione
dei prospetti da parte di
quest’ultima.
La direttiva europea n.
2003/71/EC prevede che le Autorità di vigilanza approvino i
prospetti entro dieci giorni lavorativi dalla presentazione
della documentazione completa all’Autorità. Il termine è esteso a venti giorni ove l’emittente, come nel caso delle IPO,
non abbia già strumenti finan-
ziari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati e non abbia offerto
strumenti finanziari al pubblico in precedenza.
Tale tempistica, peraltro, viene
frequentemente disattesa, anche a causa della ponderosità della documentazione di offerta da approvare. Un’analisi pubblicata nel 2008 dal Centre for
Strategy & Evaluation Services per conto della Commissione europea ha evidenziato ad esempio che in Europa, in
31 IPO effettuate nel periodo gennaiogiugno 2007 il tempo medio di approvazione è stato di cinque settimane
circa. Lo studio evidenzia poi il caso
eccezionale dell’Italia in cui i prospetti
sono divenuti sempre più ponderosi e
costosi con una significativa dilatazione dei tempi medi di approvazione che
variano tra i 60 ed i 90 giorni.
Tale circostanza ha creato uno
svantaggio competitivo, nel processo
di ammissione a quotazione, per il
mercato italiano rispetto ai mercati di
quotazione degli altri Stati UE, che si
ripercuote negativamente sulla competitività delle imprese italiane rispetto a
quelle europee.
Va tuttavia segnalato che nel 2009,
nell’ambito delle modifiche al Regolamento Emittenti Consob volte a completare il recepimento della direttiva in
tema di prospetti, è stato fra l’altro
previsto un limite temporale massimo
per la procedura di approvazione dei
prospetti.9
Resta ancora aperto il tema del
ruolo svolto dalla Consob nell’iter di
approvazione dei prospetti, che negli
ultimi anni ha rappresentato una delle
cause della sua lunga tempistica. Le
attività poste in essere dalla Consob
continuano infatti ad essere più pervasive rispetto alle verifiche di completezza, coerenza e comprensibilità delle
informazioni contenute nel prospetto
previste dalla direttiva comunitaria.
Sarebbe opportuno, nell’ottica di
snellire il processo di quotazione delle
imprese, individuare criteri e modalità
che consentano di circoscrivere e garantire maggiori certezze in merito ai
tempi di approvazione dei prospetti
nel rispetto di elevati standard qualitativi di protezione degli investitori. Sarebbe altresì utile che i tempi medi di
approvazione, che rappresentano
un’informazione importante
per gli operatori, fossero resi
noti da parte della Consob, ad
esempio nella propria relazione annuale.
7.
Fotolia
fiche svolte non sono emersi elementi
significativi da far ritenere che nel prospetto siano contenute informazioni
false od omissioni).
Anche in tali casi si è in presenza
di una elevata responsabilità per l’intermediario rispetto a quanto si riscontra a livello europeo, responsabilità che si traduce in un aumento dei
costi di due diligence legale per l’intermediario stesso e, di conseguenza, per
l’emittente.
Conclusioni
Nel nostro Paese la funzione di intermediazione finanziaria (raccolta del risparmio
dai settori con saldo finanziario positivo – tipicamente le
famiglie – e trasferimento ai
settori con saldo negativo – tipicamente le imprese) viene
esercitata prevalentemente
dalle banche, mentre è relativamente scarso il ricorso diretto al mercato da parte delle
imprese sia attraverso strumenti obbligazionari sia azionari. Modesto è in particolare
il ruolo della Borsa nel finanziamento delle imprese.
L’industria bancaria, nel
sottolineare con orgoglio il
ruolo decisivo che essa svolge,
e che ha consentito di attutire
gli effetti della crisi finanziaria
prima ed economica poi (anche grazie ad un ricco insieme
ECONOMIA-FINANZA 47
di iniziative specifiche a favore di famiglie e imprese) evidenzia l’esigenza che
il sistema finanziario italiano superi
alcune criticità che lo connotano ormai
da molto tempo, tal che mercato creditizio e mercato finanziario in senso
stretto possano assicurare assieme
maggiori possibilità di sviluppo delle
imprese e dell’economia.
In estrema sintesi, il mercato finanziario italiano presenta oggi le
seguenti caratteristiche, in relazione
alle quali sono necessarie azioni di policy volte al superamento di alcune fragilità:
–
Dimensioni modeste del mercato
azionario italiano: tale mercato è caratterizzato da dimensioni modeste se
rapportato ai principali Paesi europei
(296 società quotate alla fine del 2009
contro, ad esempio, le quasi 3.000 del
London Stock Exchange), anche in
considerazione del rilevante ruolo del
canale bancario nelle passività delle
imprese (la somma di obbligazioni e
azioni quotate supera appena il 12%
delle passività totali delle imprese,
contro un valore prossimo al 50% per i
prestiti). La quotazione resta comunque un’opzione rilevante per la crescita
delle imprese, valorizzata anche dalle
banche che, nel processo di listing,
svolgono ruoli importanti.
–
Difficoltà strutturali e culturali delle
imprese a quotarsi sui mercati, tenuto
conto fra l’altro, dei limiti dimensionali,
della concentrazione della proprietà a
livello familiare e delle resistenze di tipo
culturale nei confronti dell’apertura del
capitale a terzi: far crescere il mercato
italiano dei capitali e mettere in campo
iniziative che favoriscano un’inversione di tendenza dal punto di vista culturale ed una crescita complessiva della
dimensione del sistema imprenditoriale italiano. Al riguardo, un primo passo
potrebbe essere quello di ridurre alcune distorsioni nelle scelte di finanziamento delle imprese motivate dall’esistenza di un favore fiscale per le forme
di indebitamento rispetto al capitale
proprio.
–
Elevati costi per la quotazione: favorire lo sviluppo dei mercati dedicati
alle PMI per consentire alle imprese di
minori dimensioni la quotazione a costi inferiori e con procedure più snelle
facendo tra l’altro ricorso ad iniziative
di semplificazione del quadro normativo e procedurale.
48 ECONOMIA-FINANZA
–
Carenza di investitori istituzionali
domestici sul mercato azionario: introdurre strumenti che incentivino lo
sviluppo di tali investitori nell’ottica di
colmare il “gap” attualmente esistente
sul nostro mercato rispetto ad altre
piazze europee, ad esempio introducendo agevolazioni di carattere fiscale
per i sottoscrittori di quote di veicoli
specializzati nell’investimento in società a ridotta capitalizzazione quotate su
mercati quali l’AIM Italia. In tale ottica,
dovrebbe essere operata altresì una
revisione della disciplina della tassazione dei fondi comuni, che possa rimediare agli squilibri attualmente esistenti tra i fondi di diritto italiano e
quelli di diritto estero.
–
Responsabilità degli intermediari:
intervenire sulla regolamentazione
dell’attività degli intermediari coinvolti
nel processo di quotazione, in particolare sponsor e responsabile del collocamento, nell’ottica di meglio bilanciare il
rapporto tra le attività sulle quali gli
stessi hanno competenze specifiche e
le responsabilità attribuite dalla normativa; in tal modo si potrebbero ridurre
anche i costi a carico degli emittenti.
–
Carenze nei processi di approvazione dei prospetti di offerta ed ammissione a negoziazione: individuare criteri e modalità che consentano alla Consob di effettuare le verifiche previste
maggiormente in linea con la normativa e le prassi europee, garantendo
maggiori certezze sui tempi di approvazione dei prospetti, nel rispetto di
elevati standard qualitativi di protezione degli investitori.
Su molte delle caratteristiche
menzionate incide significativamente
l’aspetto della scarsa dimensione delle
imprese italiane. È questo tema molto
rilevante anche sotto il profilo macroeconomico, date le evidenti e provate
correlazioni tra il fattore dimensionale
e la propensione alla ricerca, all’innovazione tecnologica, all’export e, in ultima istanza, all’aumento della produttività, aspetto quest’ultimo che l’industria bancaria considera cruciale per
vincere la vera sfida che il Paese ha di
fronte; una maggiore crescita quantitativa e qualitativa del prodotto interno
lordo.
NOT E
1)
Evaluation of the Economic Impact of
the Financial Services Action Plan (FSAP)
CRA International, March 2009; and Study of
the cost of compliance with selected FSAP
measures, Europe Economics, January 2009.
2)
Riguardo alla concentrazione della
proprietà, nel periodo 2004-06, il capitale
sociale detenuto in media dal socio di maggioranza oscillava tra 50% e l’80%.
3)
Nel 76% dei casi relativi a società industriali quotate dal 1985 al 2005, la famiglia di
riferimento deteneva mediamente, al momento della quotazione, circa il 77% dei diritti di voto (dati Borsa Italiana).
4)
Secondo dati di Borsa Italiana dello
stesso periodo, a seguito della IPO la famiglia
di riferimento ha continuato infatti a detenere il controllo della società con il 54% dei
diritti di voto dopo tre anni dalla quotazione
e con il 52% dopo dieci anni.
5)
Quelli individuati dall’art. 4, comma 1,
punto 14 della direttiva Mifid n. 2004/39/EC.
6)
Alla fine del 2008, dopo circa quattro
anni dall’avvio del mercato Expandi – il comparto del mercato di Borsa creato per dare
impulso alla quotazione di imprese di minori dimensioni poi accorpato con l’MTA – risultavano quotate su detto mercato soltanto
39 società, fra cui due banche (aventi entrambe una capitalizzazione di mercato superiore a due miliardi di euro).
7)
L’iniziativa denominata “listing SME”
prevede di: I) favorire il private placement
attraverso soglie più elevate di esenzione
dalla predisposizione dei prospetti; II) snellimento dei prospetti stessi, nell’ottica di richiedere requisiti informativi proporzionati
alla dimensione d’impresa; III) maggiore flessibilità per gli aumenti di capitale; un regime
IFRS7 proporzionato per la pubblicazione
delle informazioni finanziarie; IV) favorire
l’attività dei liquidity provider per incrementare la liquidità dei titoli sul mercato; V)
creare fondi UCITS (Undertakings Collective
Investment Transferable Securities) specializzati nell’investimento in PMI; VI) creare una
piattaforma di mercato per le PMI a livello
europeo.
8)
L’attività di Borsa si sostanzia, ad e sempio, nell’esame del cosiddetto QMAT
(Quotation Management Admission Test) –
vale a dire il documento preliminare che
deve essere predisposto dalla società quotanda per illustrare fra l’altro il business model della società stessa – nonché nelle verifiche sul sistema di controllo di gestione e sul
business plan dell’emittente.
9)
Rimane tuttavia dubbio se tale termine
debba essere inteso come perentorio (e
quindi se il prospetto debba essere comunque approvato entro i 40 o 70 giorni) ovvero
come ordinatorio (nel qual caso la Consob
stessa potrebbe approvare il prospetto anche successivamente).
Si ringrazia l’avvocato Giuseppe Mussari, presidente dell’Associazione Bancaria Italiana,
che ha concesso la pubblicazione del testo dell’Audizione tenuta il 12 gennaio 2011 alla VI
Commissione Finanze della Camera dei Deputati.
André Meyer
banchiere leggendario (e scorbutico)
GIANCARLO GALLI
Scrittore economico-finanziario
ed editorialista di Avvenire
André Meyer, legendary
(and cantankerous) banker
In the world of high finance, it’s not enough to be
unpleasant to be respected, it’s better to be
loathsome. So said A. Meyer. Naturally that’s not
enough to be a great figure: you also need a
specific genius, which he had shown since his
adolescence, when he began with the modest role
of procuring business. Then his capacity and his
infallible intuition made him an appetizing
consultant for many companies. He began to fly
high and demanded becoming a “partner” of the
financial battleship of the Lazards. During the
Second World War he also took on the role of
political mediator and allowed a young Enrico
Cuccia to relay to the American ambassador the
proposals of Italian non-Communist anti-Fascism.
He was also the “muse” who inspired Cuccia to
create Mediobanca.
Richard Knapp
A
Crans-Montana, nelle Alpi
svizzere, tradizionale e secolare luogo d’incontro degli
gnomi della finanza dell’emisfero capitalista, di fronte ai problemi
che attanagliano il mondo, accade
spesso di udire una frase, accompagnata da un interrogativo: «Che avrebbe fatto André?». Il riferimento è all’ormai mitico banchiere André Meyer,
leggendario tycoon che qui aveva una
casetta dove, ad agosto, era uso ricevere la sua “miglior clientela”: dagli Agnelli ai Rockefeller, da Enrico Cuccia a
François Michelin, da Jacqueline Kennedy allo Scià di Persia. Per poi ripartire, senza passare dalla Parigi in cui era
nato il 3 settembre 1898, alla volta di
New York. Al dodicesimo piano del
grattacielo di Wall Street, sede della
Lazard Frères della quale era il dominus assoluto, ancora più potente dei
Weill-Lazard, fondatori ed azionisti di
maggioranza.
André Benoit Mathieu Meyer (1898-1979) in una foto
che lo ritrae all’apice della sua carriera (da: André
Meyer, il genio della Finanza, Sperling & Kupfer Editori).
André Benoit Mathieu Meyer (1898-1979) in a photograph showing him at the peak of his career (from:
André Meyer, Il genio della Finanza, Sperling & Kupfer
Editori).
Cerchiamo allora di capire chi è
stato e cosa abbia rappresentato André Meyer, per mezzo secolo autentico
protagonista e regista della finanza su
entrambe le sponde dell’Atlantico: Europa ed Usa.
*
*
*
Figlio di modesti commercianti
ebraici che, da “liberi pensatori”, non
frequentano la sinagoga, il piccolo André, anziché la Torah s’appassiona ai
listini di Borsa. A tredici anni (siamo
nel 1910), abbandonata la scuola, trova
un posto da fattorino presso un agente
di cambio israelita parigino. Autodidatta, apprende inglese, tedesco, italiano.
Avendo compreso che la finanza non
ha confini, ogni mattino prima di entrare negli uffici della “Bauer et Fils”, fa il
giro delle redazioni per ritirare non i
giornali ma sottrarre i dispacci con le
quotazioni estere. Prende di nascosto
ad offrire suggerimenti (retribuiti) ai
clienti della ditta. Monsieur Bauer, anziché indignarsi, vedendo il fatturato
aumentare lo promuove procacciatore
d’affari.
La Francia entra in guerra. Nel
1917 la patria dissanguata lo chiama
alle armi. È di bassa statura, grassoccio, occhialuto, con un vizio cardiaco,
ma probabilmente a favorire l’esonero
è qualche relazione privilegiata al Ministero della Guerra. Detto brutalmente,
“un imboscato”.
Inidoneo alle trincee eppure dotato sia di un’eccezionale capacità lavorativa (anche venti ore quotidiane), sia di
una irrefrenabile esuberanza sessuale.
L’enfant prodige della Bauer provoca l’attenzione di Pierre David-Weill,
coetaneo di André. Il rampollo della
dinastia Lazard (ebrei boemi riparati in
Francia nel 1792) gli propone un’assunzione facendo ponti d’oro. Stipendio e
provvigioni. L’astuto André rilancia,
pretendendo di venire “associato”. Lo
trattano da folle, da arrogante, da presuntuoso. Eppure dopo un paio di stagioni ci ripensano. Pare che nell’occasione André Meyer abbia pronunciato
una delle frasi più taglienti del suo irriverente repertorio: «Perché essere antipatici quando, con un minimo di sforzo, si può essere odiosi?». Per inciso: è
assai diffuso a Parigi, ancorché inverificabile, il convincimento che il matrimonio Meyer-Lazard sia stato propiziato dal Grande Oriente di Francia. Di
certo, quello dei Lazard è ambiente
chiuso e particolarissimo. Secondo la
biografa Anne Sabouret, «ebrei, banchieri di sinistra, radical-socialisti, patrioti, anticlericali, visceralmente anticomunisti». André, sposatosi senza
ECONOMIA-FINANZA 49
amore con Bella Lehman (altra
vescovo Joseph Spellman),
dinastia di gnomi), reciterà da
poiché Meyer dopo averlo inprimattore su questo palcoscevestito del titolo di “proconsonico.
le per l’Italia” della grande fiIl primo colpo che mette a
nanza internazionale, gli ispira
segno è da manuale. Nel 1934,
la creazione di Mediobanca.
la Citroën in piena crisi pare
L’istituto, nonostante le diffidestinata al fallimento. È Meyer
denze di Mattioli, verrà alla luad occuparsi del salvataggio in
ce in via Filodrammatici a Miextremis: fa rilevare dai Michelano nell’aprile 1946. Al battesilin, esposti per oltre sei milioni
mo i soci sono le tre banche
di dollari, la società. Quindi read’interesse nazionale (Comlizza la fusione con Peugeot.
merciale, Credito Italiano, BanGloria e danaro per tutti!
ca di Roma). Dopo un decennio
«Arricchirsi è un imperativo Il banchiere André Meyer fu “padrino” di due eroi del capitalismo: Margaret l’azionariato s’aprirà ai privamorale», proclamò sino alla fine Thatcher e Ronald Reagan.
ti: Agnelli, Pirelli, Lazard, Lehdei suoi giorni André Meyer.
The financier André Meyer was the “godfather” of two of capitalism’s man, Sofina (finanziaria belga),
Arriva la Seconda Guerra heroes: Margaret Thatcher and Ronald Reagan.
Berliner Handel. Con appena il
mondiale. Pierre David-Weill,
3,75 per cento del capitale, recomandante di un reggimento di caval- s’era distinto in operazioni ad alto ri- gista Cuccia, saranno gli artefici del
leria corazzato, riesce a sottrarsi ai schio, come la scoperta del traffico di “Miracolo Mediobanca”, che non si sapanzer tedeschi ripiegando nel Midi. valute in Africa Orientale che provocò rebbe però realizzato senza il sostegno
Nessuno peraltro, fra i membri della il siluramento di Rodolfo Graziani, Vi- di Meyer.
grande famiglia Lazard, crede alle per- ceré dell’Impero, sostituito dal Duca
Sarà André (1973) a propiziare
secuzioni razziali. André la pensa di- d’Aosta. Raggiunta la capitale lusitana l’operazione Euralux. La holding lusversamente. Subito dopo l’invasione in un avventuroso viaggio attraverso la semburghese, costituita da Meyer e
hitleriana della Polonia ha cominciato Francia di Vichy e la Spagna, Cuccia dall’attuale presidente onorario delle
a trasferire segretamente capitali per- trova nel finanziere André Meyer la Assicurazioni Generali Antoine Bernsonali a New York. Alla vigilia dell’occu- persona che lo introduce presso l’am- heim, che acquisì dalla Montedison di
pazione di Parigi, raggiunge Londra, basciatore americano George Kennan Eugenio Cefis un robusto pacchetto di
stringe rapporti col generale Charles cui consegna il “messaggio” dell’antifa- azioni della compagnia triestina. Quei
De Gaulle, ripara in America da dove scismo italiano non comunista. Si co- titoli, sommatisi ad altri custoditi da
dirige un circuito di sostegno alla Resi- noscevano Enrico ed André? Sulla que- Euralux per conto di un mai identificato
stenza, mantenendo un “presidio” nella stione s’è a lungo dibattuto. Posso in con certezza grande imprenditore itaneutrale Lisbona. E qui...
questa sede riferire una confidenza liano, confluirono infine in MediobanNella primavera del 1942, nono- fattami dallo stesso Cuccia, dopo che ca, facendone la “padrona” delle Genestante le sorti del conflitto ormai plane- ne avevo scritto la biografia (non auto- rali. Tre anni più tardi Meyer è il tramitario appaiano ancora favorevoli all’As- rizzata): «Meyer l’avevo incontrato a te fra Cuccia e la famiglia Agnelli in
se Berlino-Roma-Tokyo (le nostre trup- Parigi, nel ’38». Non una parola in più. gravissime difficoltà finanziarie. In Fiat
pe riconquistano Tobruk ed affiancate
Fra Cuccia e Meyer è sintonia to- entrano i capitali libici della Lafico.
dall’Afrika Korps di Rommel marciano tale. Sbocciata a Parigi, cementata a
Va da sé che per André Meyer
verso il Cairo; le armate tedesche avan- Lisbona. Le vicende belliche anziché l’Italia costituisce solo una “provincia”
zano verso Stalingrado ed il Caucaso spezzarla, la rafforzano. Liberata Roma dell’impero finanziario della Lazard,
ricco di petrolio; i giapponesi dilagano mentre al Nord ancora si combatte, sebbene da Mediobanca siano transitanel Pacifico), la Resistenza italiana si nell’ottobre del ’44 Cuccia, nessuno te anche operazioni di respiro sovranorganizza. Il Partito d’Azione clandesti- capisce con quali credenziali, è aggre- nazionale. Ad esempio il portage delle
no guidato da Ferruccio Parri, Ugo La gato alla delegazione del governo di azioni della Hartford assicurazioni da
Malfa ed Adolfo Tino, appoggiato dal Ivanoe Bonomi (succeduto a Badoglio) parte dell’americana ITT gestito da
dominus della Banca Commerciale Raf- che deve discutere con gli americani le Felix Rohatyn della Lazard (ribattezzafaele Mattioli, decide di prendere con- modalità della Ricostruzione.
to “Il gatto Felix”), delfino di Meyer. La
tatto con gli angloamericani. Per la
I “nostri”, per dirla con Raffaele vicenda ITT mise in difficoltà lo stesso
“missione” viene scelto un funzionario Mattioli partecipe della missione, a presidente Richard Nixon per un finandella Comit, aggregato alla “sezione Washington e New York vengono «trat- ziamento al Partito Repubblicano, doestera” che gode di passaporto diplo- tati quali cani in chiesa». Eccetto Cuc- po che la stessa ITT era già stata indimatico: Enrico Cuccia.
cia. Fattosi lupo solitario, si rintana ziata per avere avuto un ruolo nel golpe
Strabilianti gli esiti. Cuccia, poco presso Meyer: all’Hotel Carlyle, al 120 cileno contro Salvador Allende.
più che trentenne, sposato con Idea, di Broadway, sede della Lazard Usa. Da
Fu Meyer a, letteralmente, “invenfiglia prediletta di Alberto Beneduce, quella postazione privilegiata tesse tare” le Conglomerate, enormi “contenipresidente dell’Iri, al tempo stesso 33 relazioni (dai Rockefeller ai Kennedy, tori” di aziende comprate-vendute di
massonico ed intimo di Mussolini, già dal sindaco Fiorello La Guardia all’arci- cui l’ITT, all’origine società telefonica,
50 ECONOMIA-FINANZA
che disdegnava i ristoranti alla moda,
costringendo anche convitati illustri
ad accontentarsi in più di un’occasione
di un hamburger nei McDonald’s. Ne
fece le spese pure Gianni Agnelli che
ebbe a raccontarmi in questo modo la,
a dir poco, bizzarra avventura. In sintesi: con gli stabilimenti occupati e la
contestazione dilagante (siamo a metà
degli anni Settanta), l’Avvocato è tentato di “gettare la spugna” (parole sue).
Ugo La Malfa gli ha proposto di accettare la carica di ambasciatore in Usa.
Cuccia, indignato, pronuncia la
sferzante frase: «Lei è stato un ufficiale,
e gli ufficiali muoiono in trincea ma non
s’arrendono». Sbollita l’ira, suggerisce:
«Vada da Meyer!». L’Avvocato, che ha
per Cuccia stima incondizionata, obbedisce. Racconta: «In un postaccio divertentissimo, dove si mangiava solo carne, tritata o ai ferri, insalata, birra e
Coca Cola, Meyer mi disse di star tranquillo. In politica e finanza tutto era
sotto controllo...».
Infatti Meyer propiziò l’ingresso
dei libici in Fiat. Quanto alla politica,
anticipò cambiamenti epocali.
Aggredito da un carcinoma prostatico, Meyer spese le ultime stagioni
terrene facendo la spola fra Londra e
l’America, “padrino” di due eroi del
capitalismo: “Maggie” Thatcher e Ronald Reagan. La signora con la falce gli
impedirà di godere pienamente il trionfo della “Lady di ferro” e dell’ex divo di
Hollywood entrato trionfalmente alla
Casa Bianca. La stessa Lazard, rimasta
orfana e tornata sotto il controllo totale dei David-Weill attraverso Michel,
sarà chiamata a durissime prove con la
conquista dell’Eliseo da parte del socialista François Mitterrand. Certo la
Lazard di boulevard Haussmann andrà
incontro ad un lento declino ma, sotto
la pressione dell’establishment statunitense, Mitterrand la esclude dal piano
di nazionalizzazione. È l’ultimo, postumo, “miracolo” di André Meyer.
Morto il 9 settembre 1979, accudito sino all’ultimo da Bella Lehman dimentica delle passate infedeltà, ha lasciato un testamento olografo in cui
chiede di poter tornare in Francia, evitando cerimonie, discorsi. Si sussurra
abbia scritto in un toccante addio: «Sia
rispettato quel silenzio che m’ha accompagnato dalla nascita alla morte».
Verità o leggenda, comunque è la più
alta espressione del pensiero di un
adepto della confraternita dei sacerdoti del dio danaro.
Dotato di uno spaventoso talento per il successo finanziario, André Meyer fu, tra l’altro, “tesoriere di famiglia”
e prezioso consigliere dei Kennedy oltre che amico, confidente e cavaliere di Jacqueline.
Endowed with an uncanny talent for financial success, André Meyer was also the Kennedy “ family treasurer”
and valued advisor, as well as friend, confidant and escort to Jacqueline.
Getty Images
fu un esempio negli anni ’60-70. Fra le
operazioni più geniali che fecero di
Meyer il mito di Wall Street, l’acquisto
dell’Avis (numero uno nel noleggio auto) per sette milioni di dollari e rivenduta per venti. La gigantesca speculazione sulla texana Matador, proprietaria di sterminati ranch. Attraverso la
lottizzazione, guadagni milionari.
Di André Meyer, famoso per l’avidità, esiste tuttavia un coté umano poco esplorato, e per il quale il suo nome
è ricordato come “inimitabile ed insostituibile” ai piani alti della politica e
della finanza. Pur trasferitosi negli States, l’Europa restò sempre nel suo cuore: consulente personale del presidente francese Georges Pompidou, di Jean
Monnet alla nascente Comunità europea, ed intimo di Jacqueline Kennedy,
della quale era segretamente innamorato.
Nell’autunno del ’68, a cinque anni
dall’assassinio di John Kennedy e poco
dopo l’uccisione di Robert, Jacqueline
comunicò a Meyer, “tesoriere di famiglia”, la decisione di sposare Aristotele
Onassis. La reazione fu violenta, scomposta. Fallito il tentativo di convincere
Jackie a non condividere il talamo con
un miliardario giudicato very rough,
rozzo e privo di standing, stese di suo
pugno un contratto matrimoniale per
garantire la pupilla. Oltre alle penali
(cento milioni di dollari) in caso di divorzio, una serie di clausole a disciplinare la vita intima. Col diritto di Jackie
a vivere lontana dal marito per lunghi
periodi. Onassis, accettò, rivelandosi
gran gentiluomo: alla morte (1975) lasciò alla donna un’eredità favolosa.
Recuperando la figura del finanziere, è opinione diffusa che alle gesta
di Meyer, molto influente negli ambienti della stampa economico-finanziaria,
vada attribuito il merito di avere nel
dopoguerra “risvegliato” Wall Street
dando l’avvio ad un ritorno dell’azionariato di massa, ancora sotto shock dopo la Grande Depressione degli anni
Trenta. Due cifre. L’indice Dow Jones
nel 1946 era di poco sopra “Quota 100”.
Alla sua morte, s’avvicinava a “Quota
1.000”. Successivamente, l’ulteriore
grande balzo in avanti, sino a “Quota
11-12 mila”. Pressappoco l’attuale, fermo da quasi un lustro.
Nella Grande Mela che lo volle
cittadino onorario e benemerito, ancora si ricorda la sobrietà del banchiere
ECONOMIA-FINANZA 51
La Cina e i Fondi sovrani:
la crescita
di una potenza geo-economica
ALBERTO QUADRIO CURZIO
Presidente della Classe di Sc.m.s.f.,
Accademia dei Lincei
Presidente Centro di Ricerche in Analisi
Economica Cranec dell’Università Cattolica
VALERIA MICELI
Ricercatore e Membro del Comitato Scientifico del
Centro di Ricerche in Analisi Economica Cranec,
Università Cattolica; Visiting scholar alla University
of Cambridge, UK.
C
on un Pil che sfiora quota
5.750 miliardi di dollari correnti secondo le previsioni
del Fondo Monetario per il
2010 e che ha dunque superato persino
l’economia giapponese così piazzandosi come seconda economia mondiale,
che continua a crescere a ragguardevoli tassi che non sono mai scesi negli
ultimi anni sotto il 9% neanche in conseguenza della crisi economica globale, con una bilancia delle partite correnti cronicamente in avanzo prevista
per il 2010 (sempre secondo le stime
del FMI) a 270 miliardi di dollari ovvero
il 4,7% del Pil, con un ammontare di
riserve valutarie che a giugno 2010
sfiorava quota 2.500 miliardi di dollari,
infine, dato più scontato, ma non per
questo meno rilevante, con una popolazione di più di 1,3 miliardi di persone
che rappresenta un bacino di manodopera ed un potenziale mercato di pressoché infinite dimensioni, la Cina è oggi
la potenza geo-economica emergente
che lambisce da vicino il primato americano.
52 ECONOMIA-FINANZA
Per questo motivo, la nascita dei
Fondi sovrani (o Fos) cinesi ha rappresentato un fatto nuovo in quanto gli
stessi, più che per ogni altro Paese
proprietario di Fos, si collocano al crocevia tra economia, finanza e geo-politica. I Fondi sovrani, infatti, oltre ad
essere grandi attori della finanza internazionale, possono trasformarsi in
grandi attori della geo-economia mondiale se posseduti da potenze globali.
Ed è proprio questo il caso cinese, come vedremo più approfonditamente
nel seguito di questo articolo, non prima però di avere fornito le principali
coordinate relative al fenomeno dei
Fondi sovrani a livello globale.
La situazione mondiale
dei Fondi Sovrani
Presenteremo brevemente in questa sezione alcuni concetti chiave necessari per capire cosa sono i Fondi
Sovrani, quali Paesi li possiedono e che
strategie di investimento seguono nei
mercati finanziari. Per ulteriori approfondimenti rimandiamo il lettore ai
nostri più estesi lavori in materia (in
particolare ai volumi I Fondi Sovrani di
Alberto Quadrio Curzio e Valeria Miceli pubblicato dal Mulino nel 2009 e Sovereign Wealth Funds. A complete guide
to state-owned investment funds pubblicato nel 2010 da Harriman House nel
Regno Unito). Successivamente tratteremo dei fondi sovrani cinesi evidenziando la rilevanza non solo economica, ma anche geo-politica di tali attori.
I Fos cinesi infatti arrivano ad un totale
di attività gestite che supera i 1.000
miliardi di dollari.
I Fos sono fondi di investimento
di proprietà statale che gestiscono
portafogli di attività finanziarie, in
parte denominate in valuta estera,
derivanti dalla vendita del petrolio e
altre materie prime (Fos commodity) o
da surplus valutari della bilancia dei
pagamenti (Fos non-commodity). Si
tratta di un universo molto variegato
in cui si delineano diverse tipologie di
Fos che si differenziano per finalità,
strategie, operatività sui mercati finanziari, strutture legali, livelli di trasparenza.
È possibile identificare un totale
di 53 Fos per un attivo complessivo
che, a fine 2009, oscilla tra i 3.386 miliardi di dollari e i 4.042 miliardi di
dollari a seconda delle stime più o meno prudenziali che si adottano per i
fondi più opachi (esistono infatti Fos
che non rendono pubblico neanche
l’ammontare totale del loro attivo).
Di seguito si fornisce la lista dei
principali dieci Fos aggiornata a fine
2009 con l’indicazione del Paese di
appartenenza, dell’attivo totale gestito
(di cui si forniscono gli estremi del
range di stime esistenti), dell’anno di
creazione nonché della fonte della sua
ricchezza se di tipo commodity o noncommodity.
Come si evince dalla tabella 1, i
Paesi ai quali i Fos appartengono sono
principalmente emergenti e la maggior parte di essi è di proprietà di governi che possono considerarsi autoritari o semi-autoritari. Tra i primi
dieci Fos solo quello norvegese appartiene ad una democrazia di tipo occidentale.
Tab. 1)
I PRINCIPALI FONDI SOVRANI A FINE 2009
(per alcuni fondi indicati con asterisco che non pubblicano rapporti con cadenza annuale le stime risalgono a inizio 2009)
Paese
Nome Fondo
Attivo (miliardi USD)
Anno di creazione
Tipologia
EAU
Abu Dhabi Investment Authority (ADIA)*
282
627
1976
Commodity
Norvegia
Norwegian Government Pension Fund Global (GPFG)
432
432
1990
Commodity
Arabia Saudita
Various funds within Saudi Arabian Monetary Agency (SAMA)
365
415
-
Commodity
Cina
China Investment Corporation (CIC)
332
332
2007
Non-commodity
Cina
SAFE Investment Company
300
347
1997
Non-commodity
Cina - HK
Hong Kong Monetary Authority - Investment Portfolio
228
260
1998
Non-commodity
Singapore
Government Investment Corporation (GIC)*
180
248
1981
Non-commodity
Kuwait
Kuwait Investment Authority (KIA)*
169
228
1953
Commodity
Cina
National Social Security Fund (NSSF)
147
147
2000
Non-commodity
Singapore
Temasek Holdings
133
133
1974
Non-commodity
Fonte: Quadrio Curzio, Miceli, 2010; Sovereign Wealth Fund Institute, accesso settembre 2010; Rapporti dei Fondi Sovrani ove esistenti (Norwegian Government Pension
Fund, China Investment Corporation, National Social Security Fund [NSSF], Temasek Holdings).
I Fondi sovrani cinesi
Nella lista di tabella 1 è evidente
il ruolo notevole della Cina che, con i
suoi quattro Fos per un ammontare
totale di attivo che supera i mille miliardi di dollari a fine 2009 (oscilla a
seconda delle stime tra 1.007 e 1.086
miliardi), è uno degli attori dominanti.
Anche solo considerando il China Investment Corporation o Cic, con la
sua dotazione di attivo di 332 miliardi
di dollari, esso rappresenta il quarto
fondo per totale attivi dopo quello di
Abu Dhabi (le cui dimensioni non sono certe vista l’opacità che lo caratterizza), quello norvegese e dopo i fondi
dell’Arabia Saudita che però difficilmente possono configurarsi come
unico fondo sovrano. Inoltre il Cic è il
primo Fos non-commodity per dimensione del suo attivo.
Il Fos cinese per definizione è il
Cic che è riconosciuto come tale anche
dallo stesso governo cinese. Tuttavia la
Cina può contare anche su una serie di
altri veicoli di investimento assimilabili a Fos per l’operatività sui mercati finanziari, anche se non definiti ufficialmente tali dal Governo.
Possibili fattori di rischio
Il caso cinese è particolarmente
interessante non solo per le impressionanti dimensioni finanziarie dei suoi
veicoli di investimento statali, ma anche, e forse soprattutto, per lo status di
grande potenza emergente che la Cina
riveste oggi nello scacchiere globale.
Proprio questa considerazione accompagnata da un’iniziale opacità del fondo cinese aveva contribuito a suscitare
notevoli preoccupazioni presso i governi dei Paesi occidentali ed in particolare presso gli Usa. Nei confronti dei
fondi sovrani cinesi si erano palesate
varie riserve. Si temeva innanzitutto
per la sicurezza nazionale nei settori
considerati sensibili, ritenendo che il
Cic fosse animato più che da finalità
commerciali, da finalità geopolitiche,
mirando ad acquisire partecipazioni di
controllo/maggioranza in settori strategici quali trasporti, infrastrutture,
China and Sovereign Wealth Funds:
the growth of a
geo-economic power
Sovereign Wealth Funds (SWF) are state-owned
investment funds that deal with financial activity
portfolios. There are many different types of SWF
with various aims, strategies, legal frameworks, and
levels of transparency. Their particular nature
makes them a crossroads of economy, finance and
geopolitics, giving their role an international
breadth. Placed on the market in 2007, Chinese
Investment Corporation funds are of notable
interest. Their declared goals include maximizing
long-term returns on investments with a balanced
portfolio of foreign titles and recapitalising state
banking institutions, thereby contributing to
reforming the national financial system.
telecomunicazioni, energia, difesa,
high-tech.
In secondo luogo, si paventavano
pratiche quasi-monopolistiche sui
mercati in due direzioni. Da un lato, si
temeva che il Cic puntasse ad incrementare le quote di mercato globale di
campioni nazionali cinesi a scapito di
aziende di altri Paesi attraverso acquisizioni mirate o che tentasse di bloccare indesiderate fusioni/acquisizioni tra
competitors per sostenere i propri campioni nazionali. Da un altro lato, si temeva che il Cic potesse garantire vantaggi competitivi nell’accesso al proprio mercato alle aziende partecipate a
scapito di aziende concorrenti ma non
partecipate.
Senza contare le preoccupazioni
di tipo geo-politico determinate dallo
status della Cina di grande creditore
degli Usa. La debolezza finanziaria del
debitore può infatti diventare, in alcuni
casi, vulnerabilità strategica e politica
del suo soft power. Il potere statunitense si riduce nei confronti degli altri
Paesi nella misura in cui questi si approvvigionano di risorse finanziarie
dalla Cina (o da altri Paesi detentori di
Fos). E anche le scelte Usa, per esempio
nei confronti di Taiwan, potrebbero
essere condizionate dai rapporti di
forza finanziari. Lo stesso problema si
pone per le istituzioni finanziarie sovrannazionali le cui stabilità e credibilità potrebbero essere vulnerate.
ECONOMIA-FINANZA 53
Genesi del
China Investment Corporation
La creazione del Cic è il risultato
di un dibattito andato avanti per circa
due anni in Cina e riguardante l’utilizzo
delle enormi e crescenti riserve valutarie accumulate nell’ultimo decennio ad
un tasso di crescita mensile oscillante
tra il 2% e il 4%. Secondo la Banca Centrale cinese a fine 2009 le riserve valutarie ammontavano a 2.399 miliardi di
dollari e a fine giugno 2010 a 2.454 miliardi. L’accumulo di tali riserve è stato
reso possibile soprattutto grazie ai
surplus di bilancia commerciale verificatisi già dalla fine degli anni ’90. La
Cina ha sempre investito gran parte
delle sue riserve in titoli del debito
pubblico americano caratterizzati da
bassi rischi, ma anche da bassi rendimenti. È stato stimato che il loro rendimento tra il 2001 e il 2007 si attestasse
tra il 3% e il 6% (Federal Reserve, 2008),
un ritorno modesto per un’economia
che cresce al 10% medio annuo e che
garantisce agli investimenti esteri in
54 ECONOMIA-FINANZA
Shutterstock
La risposta
della comunità internazionale:
i Principi di Santiago del Fmi
In risposta a queste preoccupazioni riguardanti non solo i Fos cinesi,
ma quelli di tutti i Paesi non occidentali, preoccupazioni peraltro allo stato
attuale non supportate da dati empirici, il Fmi ha istituito, nell’aprile 2008, un
gruppo di lavoro internazionale (IWG)
di cui fanno parte i rappresentanti di
26 governi dotati di Fos (tra cui la Cina),
dei Paesi riceventi e di alcune istituzioni internazionali. Nell’ottobre 2008,
l’IWG ha pubblicato 24 principi guida
(Generally Accepted Principles and Practices, Gapp) detti anche Principi di
Santiago, dal nome della capitale cilena
dove lo IWG li ha approvati, ai quali i
Fos dovrebbero attenersi. Poiché ai
principi citati si aderisce volontariamente, ci vorrà del tempo per valutarne l’efficacia.
Dopo avere delineato lo sfondo di
riferimento, ci apprestiamo a descrivere la storia del principale fondo sovrano cinese, China Investment Corporation e a fornire alcune informazioni
sugli altri Fos cinesi (cfr. anche l’articolo pubblicato sul n. 50 di Aspenia
dell’ottobre 2010 degli stessi Autori dal
titolo “I Fondi Sovrani del Paese di
Mezzo”).
entrata un rendimento che la Banca
Mondiale ha stimato pari al 22% nel
2005. Questo gap rappresenta per la
Cina l’elevato costo opportunità di tenere enormi riserve di valuta e di investirle in titoli del Tesoro americano.
L’obiettivo della Cina di tenere il renmimbi agganciato al dollaro aveva cioè
determinato un meccanismo monetario-valutario molto costoso sia dal punto di vista economico-finanziario sia
politico. La polemica tra ministero delle Finanze e Banca Centrale si era inasprita proprio intorno all’incapacità di
utilizzare meglio la ricchezza valutaria
del Paese. Inoltre il possibile deprezzamento del dollaro comporta la svalutazione della ricchezza valutaria cinese e
poiché dal 2005, a parte la parentesi
della crisi, il renmimbi ha iniziato gradualmente ad apprezzarsi, il rischio di
vedere la propria ricchezza perdere
drasticamente valore è oggi molto concreto.
Tra le molte ipotesi elaborate per
individuare un migliore utilizzo delle
riserve valutarie cinesi il Governo ha
deciso per un Fos, annunciato nel marzo 2007, con l’obiettivo di investire la
valuta in eccedenza direttamente all’estero.
Nel settembre 2007, quando il Cic
è stato creato, il ministro delle Finanze
ha emesso 200 miliardi di debito in
buoni del tesoro cinese (con date di
scadenze tra dieci e quindici anni e
tassi di interesse al 4,5%) che ha conferito in dotazione al Cic e che quest’ultimo ha utilizzato per acquistare valuta
dalla Banca Centrale.
Il Cic è interamente posseduto
dal Governo cinese e riporta direttamente al Consiglio di Stato, il maggior
organo esecutivo ed amministrativo
del Paese, e al premier. Questa soluzione sembra essere stata ideata per
risolvere il conflitto determinatosi tra
la Banca Centrale e il ministero delle
Finanze a proposito dell’autorità che
dovesse avere il mandato di gestire il
nuovo fondo. Tuttavia, la composizione del comitato direttivo e di quello di
gestione lasciano intendere che il Cic
sia un’emanazione più del ministero
delle Finanze che di altri enti. Il presidente è Lou Jiwei, ex ministro delle
finanze cinese ed ex vice-segretario
generale del Consiglio di Stato, personalità di alto profilo. Il comitato direttivo costituito da undici membri si
compone di personalità politiche afferenti sia i ministeri coinvolti nell’attivi-
tà del Cic sia la Banca Centrale. I suoi
membri devono essere approvati dal
Consiglio di Stato. Invece il comitato
di gestione è composto per lo più da
tecnocrati dotati di rilevante esperienza nella gestione di investimenti
pubblici e privati. Il comitato direttivo
definisce le strategie e le linee guida
per l’attività di investimento. Il comitato di gestione le implementa. Infine
un terzo organo, il comitato di supervisione, ha poteri di controllo. Dal
punto di vista della vigilanza, il Cic
non è sottoposto ad alcuna autorità di
regolazione ed è sullo stesso piano
della Banca Centrale cinese.
Obiettivi e strategie
di investimento del Cic
Obiettivi dichiarati del Fondo sovrano cinese sono sia massimizzare i
ritorni di lungo termine sugli investimenti servendosi di un portafoglio di
titoli esteri ben bilanciato, sia ricapitalizzare importanti istituzioni bancarie
domestiche di proprietà statale contribuendo a riformare il sistema finanziario nazionale.
La strategia di investimento del
Cic si svolge pertanto lungo un duplice
binario: domestico ed estero. Per quanto riguarda gli investimenti domestici
il Cic ha utilizzato un terzo all’incirca
della sua iniziale dotazione per acquistare la Central Huijin Investment Company (Chic) subentrando in tutte le
partecipazioni detenute da questa
(China Development Bank, Industrial
and Commercial Bank of China, Agricultural Bank of China, Bank of China,
China Construction Bank).
Il Cic è dunque di fatto proprietario di una gran parte del sistema bancario e finanziario cinese.
Per quanto riguarda le partecipazioni estere bisogna distinguere due
diverse fasi. La prima che va dalla creazione nel 2007 alla prima metà del 2009,
è il periodo in cui si manifesta la crisi
finanziaria. Questa fase è caratterizzata da alcuni investimenti iniziali (nel
fondo Blackstone Group e in Morgan
Stanley ad esempio) che avevano determinato alcune perdite e dunque un
successivo atteggiamento di cautela e
un rallentamento nell’attività di investimento. A ciò si sommavano altri due
fattori. Innanzitutto gli stimoli fiscali
domestici che hanno assorbito risorse
per 600 miliardi di dollari.
In secondo luogo si è dato avvio
ad un ripensamento delle strategie di
investimento e ad una riorganizzazione interna che ha prodotto una nuova
struttura organizzativa e determinato
assunzioni di numerose nuove figure
professionali. A partire dal 2009 il Cic
ha reso pubblica la sua nuova organizzazione interna che prevede quattro
divisioni. Con la ripresa dei mercati
finanziari e l’accumulo di risorse umane e cognitive, a partire dalla seconda
metà del 2009 il Cic ha ripreso l’attività di investimento. Del resto il Cic iniziava il 2009 con una enorme dotazione di risorse finanziarie ancora da investire.
A fine anno lo stock di investimenti in titoli esteri sia di Paesi avanzati sia
emergenti ammontava a 81 miliardi di
dollari (escludendo le partecipazioni
bancarie di Chic) di cui 60 effettuati nel
solo 2009. Il portafoglio era allocato
per il 36% in titoli azionari, per il 32% in
liquidità immediata, per il 26% in titoli
a reddito fisso e infine per il 6% in investimenti alternativi. Dal punto di vista
geografico, il portafoglio azionario è
allocato per il 44% nel Nord America,
per il 28% in Asia, per il 20% in Europa,
mentre la percentuale rimanente va
all’America Latina. L’Africa è praticamente assente da questo portafoglio in
quanto esistono in Cina veicoli di investimento specifici per il continente
africano. L’allocazione geografica dei
titoli a reddito fisso vede una netta
predominanza di titoli del debito pubblico. Non è invece nota l’allocazione
del portafoglio per valute. Tra gli investimenti diretti all’estero di tipo azionario la nuova strategia privilegia i settori energetico e delle risorse naturali,
delle rinnovabili, delle infrastrutture e
dei servizi finanziari. Questo trend è
confermato dai dati sugli investimenti
del 2009 e del 2010 presentati in tabella
2 che vedono il prevalere di target appartenenti a settori reali, in particolare
energetici e delle materie prime.
A seguire si riporta la lista delle
più significative transazioni del periodo 2009-2010 in ordine cronologico inverso:
Tab. 2) PRINCIPALI INVESTIMENTI DEL CIC NEL PERIODO 2009-2010
Target
Data
Settore
Valore (milioni USD)
Penn West Energy Trust
mag-2010
Petrolifero
1.020
Chesapeake Energy Corporation
mag-2010
Petrolifero e gas
2.600
Changsha Zoomlion Heavy
Industry Science & Technology
Development Co.
feb-2010
Industriale
815
GCL-Poly Energy Holdings Ltd.
nov-2009
Energie rinnovabili
717
The AES Corporation
nov-2009
Energia
1.581
Iron Mining International Ltd.
ott-2009
Estrattivo
700
South Gobi Energy Resources Ltd.
ott-2009
Estrattivo
500
Oaktree Capital Management
set-2009
Finanziario
1.000
Noble Group Ltd.
set-2009
Materie prime
858
CJSC Nobel Oil
set-2009
Petrolifero
270
PT Bumi Resources
set-2009
Carbonifero
1.900
Songbird Estates
ago-2009
Immobiliare
450
Goodman Group
ago-2009
Immobiliare
460
CITIC Capital Holdings Limited
lug-2009
Finanziario
258
KazMunaiGas Exploration
and Production
lug-2009
Petrolifero e gas
940
Teck Resources Limited
lug-2009
Estrattivo
1.500
Fonte: Capital IQ (Financial Database)
ECONOMIA-FINANZA 55
Gli altri Fondi sovrani cinesi
Il Cic si inserisce in un più ampio
disegno elaborato dal governo cinese
al fine di organizzare e incoraggiare i
flussi di investimenti diretti all’estero.
Vi sono infatti almeno altri tre soggetti
finanziari operanti come Fos in Cina,
come visto in tabella 1.
Tra gli enti autorizzati ad investire
all’estero vi è infatti la Safe Investment
Company, sussidiaria dello State Administration of Foreign Exchange (SAFE)
che gestisce le riserve ufficiali della
Banca Centrale cinese. La Safe Investment Company, creata nel 1997 e
dotata di un attivo di circa 347 miliardi
di dollari, è diventata investitore attivo
all’estero nella ricerca di più proficui
rendimenti per quella quota di riserve
in valuta non necessarie alla politica
monetaria. Il livello di trasparenza è
molto basso e, non trattandosi ufficialmente di un fondo sovrano, il Safe non
è tenuto ad adeguarsi agli standard di
Santiago. Vista la sua implicita natura
di Fos, è ragionevole immaginare una
forte rivalità tra Cic e Safe. Tuttavia, se
come si prevede, verrà assegnata al Cic
un’altra tranche di riserve, ciò potreb-
56 ECONOMIA-FINANZA
be marcare ufficialmente il ruolo del
Cic come principale investitore cinese
all’estero.
Un altro Fos cinese è il National
Social Security Fund, fondo pensione
dotato di 147 miliardi di dollari derivanti da privatizzazioni di imprese pubbliche e da altri proventi fiscali, istituito
nel 2000, che solo nel 2006 ha ricevuto
l’autorizzazione ad investire il 20% delle proprie dotazioni all’estero. Essendo
un fondo pensioni, anche se sui generis,
il livello di trasparenza è più elevato
che nel caso del Safe ed infatti il NSSF
redige annualmente un rapporto periodico sulle proprie attività. Nel 2008 ha
riportato la sua prima perdita dalla
costituzione, ma le stime per il futuro
vedono un incremento del valore degli
asset.
Sempre in ambito cinese menzioniamo un ultimo Fos, ovvero la divisione denominata Investment Portfolio
della Hong Kong Monetary Authority,
dotata di 260 miliardi di dollari: è un
fondo di proprietà dell’Autorità Monetaria di Hong Kong autorizzato ad investire i propri asset all’estero anche in
titoli azionari. Il livello di trasparenza è
il più elevato tra i fondi cinesi.
Infine anche le molteplici ex aziende di Stato cinesi hanno sufficienti risorse per fare acquisizioni all’estero,
oltre a poter attingere a ulteriori finanziamenti pubblici. Senza contare che le
banche cinesi, godendo di un regime
protetto e accumulando notevoli profitti, sono in grado di investire tali
profitti all’estero come ad esempio ha
fatto l’Industrial and Commercial Bank
of China comprando il 20% di Standard
Chartered Bank. Non è un caso che il
Cic si sia premurato di acquisire notevoli partecipazioni nelle principali banche cinesi, in modo tale da essere in
grado di agire anche per via indiretta,
inducendo le banche a finanziare acquisizioni estere o a supportare gli investimenti esteri da parte di aziende
cinesi.
In questa congerie di interventi,
alcuni ravvisano, più che un piano
strategico, la sovrapposizione di poteri
politici diversi e la disputa di lunga
data tra il ministero delle Finanze e la
Banca Centrale per l’aggiudicazione
della supremazia nella gestione delle
riserve. Prova ne sarebbe il tentativo di
Safe di espandere i propri investimenti
esteri occupando così gli stessi spazi di
investimento del Cic. A nostro avviso
tuttavia, al di là delle possibili difficoltà
interpretative, l’insieme delle iniziative
sembra porsi come lo stadio iniziale di
un’ampia strategia di investimenti esteri che potrebbe portare la Cina a divenire, nei prossimi anni, uno dei principali investitori mondiali.
Shutterstock
A fine 2009 Cic riportava nel suo
rapporto annuale un utile pari a 42
miliardi di dollari e un totale attivo di
332 miliardi con un rendimento annuo
dell’11,7% sul portafoglio di titoli esteri.
Si tratta di cifre che rappresentano un
successo se comparate alle performance dei principali operatori finanziari
mondiali per lo stesso periodo. La valutazione dell’attività e delle prospettive del fondo è dunque molto positiva.
Ed infatti sembra che presto il Cic sia
in grado di ottenere un’altra tranche di
riserve dalla banca centrale cinese.
Infine va segnalato riguardo al Cic
che, a seguito della sua partecipazione
ai lavori dell’IWG, esso ha fatto notevoli progressi in termini di trasparenza.
Nell’agosto 2009 il Fos cinese ha infatti
pubblicato il suo primo rapporto annuale sulle attività relative all’anno
2008 seguito, a luglio 2010, dal secondo
rapporto relativo alle attività dell’anno
2009. Inoltre il Cic è uno dei partecipanti al Forum dei Sovereign Wealth Funds
(IFSWF) istituito nel 2009 per dare seguito alla redazione dei Principi di
Santiago. E proprio la Cina ospita
nell’aprile 2011 a Pechino il meeting
annuale del Forum.
Conclusioni
La precedente riflessione ha voluto dare una sintetica rappresentazione
dei Fos cinesi. Per concludere, noi pensiamo che, con questa nuova strategia
di investimenti all’estero, la Cina potrebbe inaugurare due nuove tendenze. Da un lato una nuova era di cooperazione per la governance globale sui
mercati finanziari mondiali in cui
all’egemonia dei Paesi occidentali si
affianca la presenza del colosso asiatico oltre che di altri Paesi emergenti.
Dall’altro una nuova fase di collaborazione tra Nord e Sud del mondo per lo
sviluppo a lungo termine che vede il
suo baricentro spostato ad Est.
Siamo consapevoli che i fenomeni
economici si solidificano solo nel lungo
termine e perciò non si può ancora dire
con certezza quale sarà lo sviluppo cinese nel corso del mezzo secolo che ci
attende anche perché la struttura istituzionale e sociale di quel grande Paese è davvero un unicum la cui transizione verso forme più democratiche presenta numerose incognite.
Peter Peter
Quando
il palato
si mette in viaggio
NOTIZIARIO
Personaggi
È di casa tanto nella natale Monaco, quanto a Roma, Palermo o
Torino. Da anni, nei suoi articoli sulla Frankfurter Allgemeine
Zeitung e nei suoi numerosi libri, svela al lettore tedesco la storia
e le prelibatezze della cucina italiana, raccontando una nazione, la nostra, che ormai conosce a menadito ma sempre continua ad affascinarlo. Da qualche tempo l’amore per la cucina
nostrana ha innescato in lui il desiderio di riscoprire i sapori
della propria Germania, a maggior vantaggio di chi ama seguirlo nei suoi viaggi gastronomici all’insegna del binomio tra cucina e cultura. È lo scrittore enogastronomico Peter Peter, premio
Enit per la miglior guida sull’Italia in lingua tedesca, che incontriamo seduto al tavolo della sua cucina, nel cuore della capitale bavarese.
Testo e foto di
ALESSANDRO
MELAZZINI
[email protected]
www.melazzini.com
Ma Monaco è davvero la città
italiana più a Nord, come amano
dire i suoi abitanti?
Senz’altro è la città tedesca
più influenzata dall’Italia. I motivi
sono numerosi, innanzi tutto per il
suo forte cattolicesimo, tanto che
viene considerata la Roma tedesca. Poi basta guardare gli edifici
per trovare ovunque citazioni italiane: la Feldherrenhalle riprende la
Loggia dei Lanzi di Firenze, al suo
fianco l’imponente chiesa dei Tea-
tini, non molto distante il Palazzo
Reale che ricorda in una facciata
Palazzo Pitti.
Un’altra ragione è lo stile di
vita dei suoi abitanti, il loro modo
di comportarsi. Già negli anni Sessanta Monaco era famosa per la
Leopoldstrasse, l’ampio boulevard
che parte dal centro e costeggia il
grande parco del Giardino Inglese.
In quell’epoca la Leopoldstrasse
era l’unico viale della Germania
dove la gente sedeva in strada per
gustarsi un gelato, come fosse
una piccola Piazza Navona. Ormai
questo si fa dappertutto, ma per
primo accadde a Monaco. In questa città si respira una certa leggerezza della vita, un brio più italiano che tedesco.
È sempre stato così?
Peter Peter, in
No, no. Fino agli anni Sessan- viaggio tra i sapori.
ta la Baviera era la regione più
“regionale” della Germania, basta Peter Peter, travelling
guardare le foto degli anni Cin- through flavours.
quanta. Era una società ancora
molto ancorata alle tradizioni bavaresi, ai costumi alpini rustici e fortemente localisti. Certo, la Monaco cattolica ha sempre nutrito un
Peter Peter, when the palate goes travelling
That cuisine is an integral part of a country’s spirit is nothing new.
If we are to believe the insiders, eating Italian food for Germans
means taking on the spirit of the Bel Paese. Some might even call
Munich the most Italian city in the north, because Italy in Teutonic
territory enjoys undisputed success. This explains how an
enogastronomic writer could fall in love with a trattoria in
Trastevere, then with Tuscany and Sicily’s culinary heritage.
Food is good everywhere in Italy. In Germany, a certain austerity
and the Protestant ethic of self-sacrifice have over the centuries
given a secondary role to cuisine. It comes as no surprise that we
have the perfect conditions for a fatal attraction.
PERSONAGGI 57
forte legame con l’Italia, ma questa leggerezza della vita prima si
godeva tutt’al più bevendo birra.
Ora invece assaporando in ogni
dove un caffè espresso.
Come mai è cambiata?
Senz’altro per il fenomeno
degli immigrati italiani, che hanno
aperto centinaia di trattorie e pizzerie, anche piccoli espresso-bar.
Non bisogna poi dimenticare che il
cittadino di Monaco trascorre
spesso le vacanze nel Norditalia.
Da noi si dice che i prussiani vanno in ferie nel Sud della Baviera,
gli Olandesi in Austria e i Bavaresi
in Alto Adige o sul Lago di Garda:
un lago che si potrebbe considerare il più meridionale della Germania, quasi un gemello del nostro
Starnberger See. La classica socializzazione di un bavarese, i suoi
primi incontri amorosi, non di rado
nascono durante un “grand Tour”
sul Lago di Garda.
La tua vita studentesca però l’hai
trascorsa a Vienna...
Sì, ho studiato letteratura
comparata e filologia classica,
anche se in realtà ho studiato poco e letto come un pazzo. Quasi
ogni sera andavo all’opera o al teatro, mi sono letteralmente immerso in una città profondamente
culturale come era Vienna negli
anni Settanta.
Monaco di Baviera, invece, a
quell’epoca era una città ancora
provinciale, che avendo appena
ospitato le Olimpiadi si era fatta
prendere dal culto della modernizzazione architettonica. Io personalmente non ho mai amato lo stile
edilizio degli anni Settanta.
A Vienna invece trovai quello
che amavo: la storia, l’eleganza, il
ballo, le donne che si vestivano
con le gonne e non con i jeans e i
parka. In quell’epoca Vienna era
decisamente più elegante di Monaco. Ora il divario si è certamente
colmato.
Come mai capitasti a fare il fotomodello per Bravo, la più nota rivista tedesca per adolescenti?
Il tutto fu organizzato dai miei
genitori: accadde quattro-cinque
58 PERSONAGGI
volte, ma ero troppo timido a
quell’epoca per approfittarne. Bravo era la rivista su cui tutte le star
si facevano fotografare, ed ebbe
un ruolo importante nell’educazione sessuale dei miei coetanei di
quell’epoca. I ragazzi scrivevano a
degli esperti su temi che in casa
non si potevano trattare.
Come sei diventato scrittore enogastronomico?
Per diversi motivi. Il primo è
che viaggiando molto ho sempre
provato un forte interesse per la
storia dell’arte, della letteratura,
ma ho anche sempre amato visitare i posti dove mangiano gli autoctoni, perché lo considero un avvicinamento alla cultura locale. Nel
vedere come una città funziona,
partire dalla cucina è sempre mol-
to fruttuoso. In questo vi è certo
una curiosità, un minimo di voyeurismo, ma una trattoria in un Paese straniero spesso può essere
un teatro interessantissimo. Prima
ho iniziato a frequentare locali a
Vienna; allora la vita costava molto
poco e nella capitale austriaca la
cucina era decisamente più ricca
e variegata di Monaco, grazie al
patrimonio culinario lasciato in
eredità dalla monarchia asburgica.
Poi alla fine degli anni Settanta ho
scoperto l’Italia, ho imparato l’italiano a Perugia e viaggiando per il
vostro Paese ho capito molto presto che mangiare bene è identità.
Senza contare l’emozione di trovarsi di fronte all’enorme varietà di
piatti regionali, di gusti, sapori,
aromi e abbinamenti presenti in
Italia. Nello scoprire la cucina ita-
liana, dove il nome della pasta
cambia da paese a paese, posso
anche tenere allenati i miei studi
di filologia.
In Germania il
fascino della cucina
italiana è secondo
solo a quello per
l’arte del Belpaese.
In Germany, the
appeal of Italian
cuisine is second
only to that for
Italian art.
Ti ricordi la prima trattoria italiana in cui hai pranzato?
Quando studiavo a Perugia
avevo un’amica viennese che faceva la ragazza alla pari a Roma.
Andavo ogni fine settimana a trovarla con la mia guida rossa per
vedere tutte le chiese. Avevo pochissimi soldi, ma ricordo ancora
adesso la trattoria “Mario” a Trastevere. L’anno scorso ci sono
tornato dopo anni di assenza. Costa ancora poco, è specializzata in
cibi tradizionali come le lumache o
la pajata... ci sono ancora gli stessi quadri di beoni irsuti che bevono
dal fiasco di Chianti. Con tutta
l’esperienza accumulata in trent’anni di scoperta delle regioni
italiane, posso ancora raccomandarla: vicolo del Moro, se non mi
sbaglio.
Dopo Roma come hai proseguito
nella tua scoperta culinaria della
cucina italiana?
Studiando a Perugia ho incontrato la cucina umbra. Era una
sensazione spettacolare per un
tedesco studiare a Perugia a fine
anni Settanta. A quell’epoca nelle
mense universitarie tedesche si
mangiava roba orrenda. Si arrivava
al bancone, era pieno di manifesti
politici, e sopra ti scodellavano un
piatto di spaghetti scotti.
A Perugia c’era una mensa
universitaria dove potevo trovare
insalata fresca, un bicchiere di vino, già in queste piccole cose si
poteva notare una differenza enorme con la Germania. Senza contare che la cucina umbra, ancora
oggi, è eccellente.
Ricordo di aver frequentato
tante sagre e feste dell’Unità. Durante il fine settimana, spiantato
com’ero, riuscivo anche con pochi
soldi a degustare ottime specialità
del posto.
Poi ho scoperto la Sicilia,
grazie anche al mio interesse per
l’antichità. Laggiù c’è una cucina,
forse non tanto borghese, ma raffinatissima grazie alle sue primizie
Anche gli studi
classici tornano utili
per decifrare ricette
antiche.
Even the classics
come in handy to
decipher old recipes.
agricole. Passeggiare per i mercati di Palermo e Siracusa? Fantastico! Senza contare Napoli.
Una cosa che mi ha sempre
impressionato è l’intelligenza culinaria anche degli italiani di basso
ceto sociale. Da noi in Germania
mangiare bene è quasi diventato
un fattore accademico: più eruditi
si è, meglio si mangia. In Italia invece confesso che sono stati gli
autisti dei pullman a segnalarmi
posti fantastici. Se lo fai con un
loro collega tedesco, al massimo
ti consiglia arrosto di maiale e
cinque canederli.
Mi ha sempre affascinato il
legame tra storia e cucina. Parlando della Sicilia, avevo studiato bene la storia e la letteratura, le dominazioni spagnole, greche e così
via, e trovare che tutte queste po-
polazioni hanno lasciato ricette
ancora vive e utilizzate per me è
stata una scoperta meravigliosa.
In Sicilia si può fare un viaggio
gastronomico lungo duemila anni.
Così ho cominciato a scrivere
libri su questo argomento: il primo,
appunto, sulla cucina siciliana,
perché in quel tempo in Germania
si parlava solo della cucina toscana, che è certo buonissima ma
non così ricca dal punto di vista
culinario come lo è la Sicilia. Dopo
ho scritto un libro sulle trattorie
della Toscana, uno sulle trattorie
del Lago di Garda per i miei connazionali bavaresi, uno sulle Stuben
dell’Alto Adige. Quest’ultimo mi ha
aiutato molto, perché solo scrivendo di Alto Adige ho cominciato a
muovermi anche nell’ambito tedesco della buona ristorazione.
Ormai in Germania si assiste a un
florilegio di trasmissioni culinarie
e a un crescente interesse per il
cibo locale, prova ne è che tu
stesso hai pubblicato una storia
culturale della cucina tedesca.
Non è sempre stato così, tanto
che ancora molti italiani non hanno consapevolezza del fermento
culinario d’oltralpe. Quando e perché è cominciata questa riscoperta della cucina tedesca?
Fino a qualche tempo fa si
mangiava molto male in Germania.
Per via di un certo carattere militaresco o militante, e anche per un
motivo religioso legato al protestantesimo e al suo ethos di rinuncia: meglio pensare che mangiare
bene.
Un altro motivo era la società
tedesca, molto ugualitaria, dove
tutti, avvocati, politici, ricchi o poveri, mangiavano male e modestamente, insieme. Poi negli anni
Settanta ci sono stati i primi ribelli, molto spesso viaggiatori che si
sono chiesti come mai i comunisti
francesi mangiano bene mentre
noi tedeschi no a causa di motivi...
ideologici?
A quel tempo nacque l’amore
tedesco verso la cucina mediterranea e negli anni Ottanta chi voleva
mangiare bene andava in esilio in
Toscana.
Emblematica è la storia di
Slow Food Germania. I primi convivi non facevano altro che imitare
l’Italia: si visitavano e frequentavano soltanto le trattorie italiane in
Germania. Questo fino agli anni
Novanta. Poi a un certo momento
è sopraggiunta la noia, perché ormai la Germania è strapiena di ristoranti italiani. E così la dimenticatissima cucina tedesca ha ricominciato a fiorire e fare furore. Una
riscoperta di qualcosa che è stato
dimenticato dai tempi della Prima
Guerra mondiale. Da cinque o sei
anni si è sviluppata la moda di riscoprire vecchie erbe, antiche preparazioni e usanze.
Detto questo la Germania ha
ancora una società culinaria molto
divisa. Una parte della popolazione coltiva un amore e un gusto
speciali verso il cibo, l’altra si nutre
di pizze surgelate.
PERSONAGGI 59
© Museo Nazionale Paste Alimentari, Roma
I tuoi libri più recenti sono soprattutto una storia culturale: uno per
la cucina italiana, uno per quella
tedesca. Quando ti è venuta l’idea
di questo approccio all’alimentazione?
Ho iniziato a scrivere piccoli
articoli sulla nascita della pizza a
Napoli, ma l’idea vera e propria mi
è venuta a Roma nel museo della
pasta alimentare vicino alla fontana di Trevi. Sono entrato, ho visto
una bellissima fotografia di Sophia
Loren che con erotica eleganza
mangiava spaghetti, una fotografia
non molto conosciuta, e mi sono
detto: devo scrivere un libro con
questa fotografia. Prima volevo
fare una cosa semplice, raccontare che i ravioli forse venivano dalla
Liguria, il baccalà mantecato da
Venezia e così via, sono andato da
un editore e questi mi ha proposto
di lavorare a un’opera più densa, e
allora ne ho approfittato, anche
perché in passato ho pubblicato
libri di storia e d’arte e guide su
molte regioni dell’Italia. Occupandomi di storia culinaria mi sono
stati molto utili gli studi di letteratura antica. La satira, ad esempio,
ha un profondo legame con il cibo,
nel teatro antico il cuoco è un protagonista della commedia, il vegetarianesimo è nato in Magna Grecia. E così nel libro sulla storia
della cucina italiana ho trattato
l’antichità, il cristianesimo, poi la
rappresentazione dei banchetti riLa foto di Sophia
nascimentali, lo sfarzo barocco, la Loren che ha ispirato
crisi dell’Ottocento e il successo Peter a scrivere un
libro sulla cultura
mondiale degli ultimi decenni.
culinaria del
Mi piace anche molto poter
Belpaese.
raccontare a voce di tutto questo,
e spesso tengo conferenze in Ger- The photo of Sophia
mania. Se qualche associazione Loren that inspired
italiana fosse interessata sarei Peter to write a book
on the culinary
contento di entrare in contatto,
culture of Italy.
basta scrivermi a pietropietro@
web.de.
La storia culturale
della cucina italiana
e quella della cucina
tedesca, editi dalla
Beck Verlag di
Monaco.
The cultural histories
of Italian and
German cuisines,
published by Beck
Verlag, Munich.
60 PERSONAGGI
Sei “costretto” a mangiare tutto
quello di cui racconti nei tuoi libri?
Ogni critico gastronomico ha
le sue tecniche, quella migliore è
cenare in compagnia di una bella
signora che ti permetta di assaggiare il doppio delle pietanze. A
volte se sei proprio convinto della
bontà di un luogo puoi anche parlare con l’oste e chiedergli un assaggio di vari piatti, altrimenti dovresti venire cinque volte per provare tutto il menù.
Comunque in Italia è molto
difficile mangiare male, mentre in
Germania mi capita di girare decine di locande prima di trovare
quella dove davvero cucinano un
buon stinco di maiale con canederlo. A tutto svantaggio della
linea...
Pensa ai lettori italiani che non
conoscono alcunché della cucina
tedesca: cosa diresti loro per
convincerli a lanciarsi in esplorazioni gastronomiche oltre le Alpi?
La prima cosa è che è molto
diversa da quella italiana, ha delle
tecniche e delle combinazioni differenti, e questo può incuriosirli.
Una ricchezza della Germania sono le storiche osterie: basta arrivare in un qualsiasi paesino e si
trova un antico ristorante con salette perlinate, insegne in ferro e
un’atmosfera accogliente. Poi ci
sono certe cose in cui la Germania
è ancora campione, come la varietà delle sue salsicce. In Italia non
si ha nessuna idea – a meno che
non si abiti a Cortina d’Ampezzo
– di cosa possa essere un würstel.
Al massimo lo si liquida come
qualcosa da mettere sulla pizza:
una cosa orrenda.
Ma come ogni paese italiano
ha la sua pasta, ogni paese tedesco in realtà ha il suo würstel, da
quello bianco di Monaco, a quello
affumicato o con fegato del Nord
e così via. Un’altra cosa affascinante della cucina tedesca è il
nostro pane, da quello bianchissimo a quello integrale. Ci sono dei
panifici che fanno ancora pani di
tre o quattro chili che sembrano
dinosauri, ma sono opere d’arte.
La Germania è famosa per la sua
selvaggina e naturalmente, per le
sue birre. Ci sono regioni come la
Franconia in cui ogni piccola osteria produce la sua propria birra, un
fenomeno conosciuto di solito
solamente dalle zone vinicole.
Ancora da scoprire direi sono certi sapori nordici come una buona
senape, certi legumi, la preparazione del cavolo rosso, dei cetrioli,
tutti alimenti un po’ esotici per gli
italiani.
Infine, una caratteristica amabile della cucina tedesca è la sua
semplicità. Si può andare in un ristorante e ordinare anche solo
una minestra e un bicchiere di
birra o di vino. Mangi bene, stai
comodo e non paghi molto.
Per chi voglia
scoprire i vini
tedeschi Peter Peter
consiglia di iniziare
con il Riesling
Renano.
La “Gemütlichkeit”, lo stare bene
in un luogo, è una caratteristica
tipica delle atmosfere culinarie
tedesche. Come la spiegheresti
ai lettori italiani?
È un fenomeno senz’altro
settentrionale. Significa trascorrere ore in osteria, ma non giocando
a carte o imprecando, bensì stando seduti senza fretta e al caldo
di una stufa. Un tempo la gente
quasi abitava in osteria. In Italia
invece si va al ristorante, un cameriere elegante ti serve e poi te
ne vai. In Germania c’è più il gusto
del vivere comodo, che si riflette
anche nei caffè. Mentre da voi di
solito il bar è un luogo dove bevi
in piedi un caffè di fretta, in Germania hai poltrone vellutate, giornali, puoi passare ore a sfogliarli,
sorseggiando bevande calde e To discover German
gustando torte monumentali. wines, Peter Peter
Un’esperienza che i viaggiatori recommends starting
italiani in Germania dimostrano di with a Reisling from
the Rhine.
apprezzare.
Molti italiani si stupiscono però
dell’importanza che la birra riveste nella cultura del tuo Paese.
Quali sono secondo te i motivi
storici e psicologici di questo
amore tedesco per la bevanda
bionda?
Sono motivi storici e religiosi:
il cattolicesimo in Baviera ha sostenuto il costume della birra, e
molti conventi la producevano,
come tuttora succede per il monastero di Andechs. I protestanti,
che erano più ricchi, potevano
mangiare ogni giorno carne, mentre i cattolici, che spesso vivevano
loro accanto, dovevano digiunare.
Così per dare un conforto nutriente ai digiunatori si è creato il culto
della birra, che esiste da circa 300
anni. Storicamente, infatti, il vino
tedesco, tranne il famoso Riesling
del Reno, è un vino acido e non
buono, a differenza della birra maltata dal colore dell’ambra, che è
dolce e che sazia.
Che cosa ne pensi dei nuovi birrifici italiani, che fanno birre sofisticate in bottiglie da vino?
Un fenomeno interessante.
Da noi esiste la stessa cosa, ma
questi birrifici non sono costosi,
perché conta più l’interesse a vedere come si fa la birra che produrre una bevanda di lusso. Penso
che il fenomeno in Italia nasca dal
fatto che da circa vent’anni gli italiani viaggiano moltissimo e le loro
mete preferite, se non vanno sul
E poi in fondo il tedesco non
ama l’eleganza, ama la convivialità. Bere birra è una cosa popolare,
in grado di trasmettere un ideale
sociale di unità tra le classi, bere
vino invece è un atteggiamento
raffinato, che implica più distinzione. Non dimentichiamo infine il
fascino della festa della birra di
Monaco. Questa festa fantastica,
coi costumi popolari e un pubblico
tanto locale quanto internazionale,
è diventata il simbolo culinario non
solo della Germania, ma anche
della gioia della vita.
E poi, se mi permetti questa
punta di campanilismo, la birra
bavarese è semplicemente fantastica.
Mar Rosso, sono la Scozia, l’Irlanda e la Baviera, Paesi dove si beve
molta birra. Farlo per un italiano
significa vacanze e rilassamento.
Un fascino che si riflette nell’amore degli italiani per le birre nostrane in confezioni antiche, esotiche,
piene di etichette e con forti percentuali d’alcol, un fenomeno che
fa sorridere i tedeschi perché è
solo ad uso e consumo dei turisti
italiani.
Anche la moda dilagante in
Italia dei pub irlandesi contribuisce
a diffondere l’interesse verso la
birra. E poi se sei giovane e non
devi spendere soldi per la cena
puoi anche permetterti una birra
costosa.
PERSONAGGI 61
Per contro ultimamente il vino sta
prendendo sempre più piede in
Germania, anche a discapito della
birra... è un bene o un male?
Per le birrerie un male. La
birra, come hanno detto i monaci
della Controriforma, è nutrimento,
il vino non tanto. Quando ero giovane la birra per gli operai tedeschi
era considerata quasi un alimento,
era normale bere birra già alle nove di mattina se ti svegli alle cinque. Ora non lo è più, anche per
motivi dietetici. Un tempo invece
bere molto era un’abitudine rispettata e considerata anche virile,
segno di cultura e integrazione
sociale. Ora è tutto cambiato, viviamo in un mondo d’igiene, dove
anche sul mondo del lavoro occorre essere sempre presenti, una
e-mail ti può raggiungere in ogni
minuto. Piccole dosi di vino sono
più adeguate. Senza contare che
in Germania i sogni di una vacanza
perfetta non sono quelli di bere
una birra in Irlanda, ma di stare su
una terrazza italiana, portoghese o
spagnola di fronte al mare e sorseggiare un buon rosso.
Quali vini consiglieresti a un palato italiano curioso di stappare
qualche turacciolo tedesco?
Se vai all’estero consiglio di
non cercare cose simili al sapore
di casa. Quindi direi di iniziare provando il vino bianco più famoso del
mondo, ovvero il Riesling Renano,
quello della vendemmia tardiva,
non troppo secco, capace di una
raffinata asprezza unita a una dolcezza floreale. Continuando si potrebbero assaggiare ad esempio il
Müller-Thurgau del Lago di Costanza, l’Erbacher Marcobrunn, il Sommeracher Katzenkopf e il Rivaner.
Con il vino si accompagna bene il
formaggio, peccato solo che in un
Land come la Baviera, nonostante il suo carattere tuttora molto
attento alla cultura contadina,
non esista una vera cultura di
questo alimento.
Uhm... parlerei piuttosto di
industria contadina. Comunque è
vero, la situazione del formaggio in
Germania è una tragedia. Il motivo
va ricercato nella “superigiene” e
62 PERSONAGGI
Dopo anni di cucina
italiana ora i
tedeschi cominciano
a riscoprire la loro
cucina locale.
After years of Italian
cuisine, the Germans
are now beginning
to rediscover their
local cuisine.
nella razionalizzazione tipicamente
tedesche. Negli anni Settanta si è
vietato tutto il formaggio fatto da
latte crudo, con la piccola eccezione dell’Algovia. Poi hanno rovinato
i piccoli caseifici che fanno la ricchezza del formaggio, con il risultato di costituire una decina di
megalatterie che producono un
prodotto standardizzato. Inutile
sprecare un buon vino con questi
formaggi castrati.
Oltre a ciò vi è anche da considerare il fatto che storicamente
il contadino bavarese è un contadino ricco, che si poteva permettere di ammazzare la vacca mangiandone la carne anziché tenerla
per farne formaggio. Per tutti questi motivi purtroppo la cultura del
formaggio non è fortemente radicata in Germania. Ultimamente
tuttavia stanno rispuntando dei
piccoli caseifici. Insomma, diventiamo un po’ più globali... anche
nella riscoperta delle tipicità locali.
Come capo guida turistica sei
spesso in Italia con viaggi a metà tra cucina e cultura. Che tipo
di clienti intraprendono queste
escursioni nel nostro Paese?
Da noi esiste il termine “Studienraise”, viaggio di studi, che
non è l’escursione di una parrocchia o quella di una bocciofila,
bensì un viaggio in cui si visitano
chiese, musei e templi con spiegazioni culturali, qualcosa di semiaccademico senza diventare troppo
serio. Ma i viaggi che organizzo io
sono tuttavia più specializzati, non
porto il mio gruppo a Roma per
mostrare loro i Musei Vaticani o
San Pietro in Vincoli, tutte cose
che ha già visto. Viaggio con gente
che già conosce molto bene l’Italia
e che ha frequentato già molti
musei. Cerco di trasmettere un
rapporto più intimo e profondo con
il vostro Paese, alla ricerca di un
contatto più diretto con la terra
visitata. Ultimamente sono stato
in Sicilia, e ho portato un mio gruppo dai pastori per mangiare nel
loro rifugio la ricotta appena fatta.
Tutte esperienze vivide ed estremamente interessanti per un tedesco. Insomma, cerco di combinare
l’avventura del mangiare con lo
sfondo storico e culturale. Lo faccio anche per altre nazioni in giro
per il mondo, ma in questo l’Italia
è il Paese ideale.
Quali mete vanno per la maggiore?
Il turismo culinario ha ridefinito la pianta dell’Italia. Per esempio
fino a qualche anno fa nessuno
viaggiava per motivi di studi culturali in Piemonte, mentre ora basta
menzionare tartufo e Barolo e i
viaggiatori vi ci si fiondano. Venezia invece non approfitta ancora
del turismo culinario, sebbene abbia anche ottime locande.
Con il turismo culinario mi
capita di andare in paesi sperduti
della montagna calabrese, dove
esiste tuttora una cucina arcaica,
ma la meta più apprezzata è la
Sicilia con i suoi prodotti biologici,
l’Umbria e certe zone come il Friuli, con il suo eccellente vino bianco. Sono forse le destinazioni poco conosciute a giovarsi di più di
questo tipo di turismo. Un viaggio
in Valtellina per far scoprire ai tedeschi lo Sfursat, la bresaola e i
pizzoccheri ancora non l’ho organizzato, ma penso proprio che lo
farò.
Nonostante i tuoi viaggiatori, negli ultimi tempi si sente parlare di
un raffreddamento dei rapporti
italo-tedeschi. Qual è la tua opinione?
Secondo me, almeno da parte tedesca, il rapporto è stato così
intenso che è difficile aumentare
questa affinità. Però è vero, l’Italia
è diventata un po’ noiosa. Dovunque vai in Germania ti danno pizza
e cappuccino. E poi questa Italia
idilliaca tanto amata dai tedeschi,
dove i pescatori cantano “O sole
mio” e le donne ballano la tarantella esiste ancora, ma solo in pochi
nascondigli. L’Italia è diventata un
Paese moderno, con una politica
che molti da noi criticano aspramente, con dei brutti fenomeni
come il rumore ovunque, la troppa
musica dappertutto. Ormai conosciamo troppo bene l’Italia per
coltivare ancora troppe illusioni.
L’Italia per secoli è stata una
fascinosa amante, adesso noi tedeschi scopriamo che è una tranquilla casalinga.
Per contro la Germania va sempre
più di moda tra i giovani italiani
Per molto tempo il mio Paese
è stato un libro chiuso con sette
sigilli nei confronti degli italiani.
Peter mostra con
orgoglio la targa del Pochissimi conoscevano la Germania, tranne gli sfortunati che
premio Enit per la
sono stati arrestati durante la
migliore guida
sull’Italia.
guerra, o i professori di lingua tedesca e i Gastarbeiter.
Negli ultimi tempi però sempre più italiani scoprono il romanticismo della Germania, pensiamo
ai mercatini di Natale, che senza
di loro potrebbero chiudere. E così
scoprono anche il buon rapporto
prezzo-qualità degli alberghi tedeschi e l’affidabilità dei servizi di ristorazione, compresa una struttura di prezzi limpida e piuttosto affidabile.
Per i giovani, nello specifico,
una cosa molto importante è la
vita notturna. Correggetemi se
sbaglio, ma la mia impressione è
che l’Italia non abbia vita notturna. Si va a cenare, poi c’è qualche mega discoteca sull’autostrada, ma la normalità con cui a
Berlino si va in un club è poco
conosciuta. Da noi non importa
spendere molti soldi per fare bella figura, è tutto un po’ più rilassato. È facile uscire in una città
tedesca senza spendere un capitale, senza impegnarsi troppo
con un flirt, senza vestirsi troppo
elegantemente: tutti motivi che
Peter proudly shows per i giovani possono costituire
the plaque awarded un fattore d’interesse.
by Enit, the Italian
Divertirsi a Berlino tutto somTourist Board, for the mato è più facile che a Roma.
best guidebook
on Italy.
Goethe di esperienze bizzarre in
Italia ne ha fatta più d’una. Nei
tuoi viaggi nel nostro Paese quale
aneddotto ti è rimasto particolarmente caro?
Un vigile urbano in Umbria mi
ha fatto una contravvenzione perché ho sorpassato con il semaforo
rosso.
Cosa c’è di strano?
Ero a piedi!
PERSONAGGI 63
Gianrico Tedeschi
o della
vitalità geniale
GIANCARLO ZIZOLA
Scrittore, vaticanista de Il sole-24 Ore
Luigi Ciminaghi
Gianrico Tedeschi ne L’opera da tre soldi di Bertolt Brecht, regia di
Giorgio Strehler, stagione 1972/73 (cortesia “Piccolo Teatro di Milano”).
Gianrico Tedeschi in The Threepenny Opera by Bertolt Brecht, directed
by Giorgio Strehler, 1972/73 season (courtesy of “Piccolo Teatro of Milan”).
Gianrico Tedeschi or rather, ingenious vitality
As an accomplished actor moves on in age, it is normal to praise
what he was able to achieve. We can always expect something new
from Gianrico Tedeschi, elderly yet still performing onstage. Because
he is theatre and is ready to challenge himself with something that
will unsettle consciousness. His career began when he fell in love with
Ibsen’s “Ghosts”. Then, a solid cultural education and the war caused
a miracle to take place. His magnificent personality as a normal
person blossomed, enabling him to give extraordinary
interpretations. He says he possesses an effective recipe for
happiness at 90 years of age: risking, trying and venturing into new
activities; he does not want to be a teacher and intends to remain a
pupil. And when he is tired, he flees to his house on Lake Orta to
admire the “Monte Rosa” mountain from his garden.
64 PERSONAGGI
EDGARDA FERRI
Scrittrice e giornalista
N
el secondo atto dello
spettacolo La compagnia degli uomini di
Edward Bond, andato
in scena all’inizio dello scorso inverno al “Piccolo Teatro Grassi” di
Milano con la regia di Luca Ronconi, ci sono stati quindici minuti in
cui il gesto, la voce, la parola, le
scene, le luci, gli attori, gli spettatori, insomma, “il teatro”, dipendevano esclusivamente, spasmodicamente da Gianrico Tedeschi.
Fragile e feroce vecchietto impeccabilmente vestito di grigio, l’industriale Oldfield si liberava finalmente dell’atroce segreto del giorno in
cui sua moglie fingeva di partorire
un figlio, in realtà abbandonato
dalla madre sui gradini della loro
casa e da loro adottato. Accasciato su una poltrona, le braccia abbandonate, il capo riverso, gli occhi svuotati dall’orrore, Tedeschi
era l’immagine stessa di un dolore
represso per tutta la vita, la dichiarazione di un fallimento totale, la
nostalgia di un amore paterno
calpestato e sconvolto dalla passione per il potere, il successo, il
denaro. «Ho dato qualcosa da pensare a chi è venuto ad ascoltarmi?
quello di contribuire all’esame, alla
riflessione, alla meditazione sul
Un cast tutto
senso della vita».
maschile per
È molto elegante; lungo cardi- La compagnia
degli
gan giallo senape, camicia di spesuomini di Edward
so cotone color antracite, pantalo- Bond, regia di Luca
ni di velluto a coste marrone: un Ronconi. In questo
gentiluomo di campagna cui man- dramma Tedeschi
ca soltanto la pipa. È anche molto veste i panni di un
bello. Il volto gloriosamente segna- grande finanziere
(cortesia “Piccolo
to dagli anni, il naso forte, la pelle Teatro di Milano”).
chiarissima, i capelli bianchi lunghi
e spettinati: come un artista, un An all-male cast for
architetto, un pittore. Ha una voce In the company of
men by Edward
calda, suadente, avvolgente; e uno
Bond, directed by
sguardo vivace, arguto, curioso,
soprattutto attento, come oramai Luca Ronconi. In this
drama, Tedeschi
raramente succede in una società plays
the role of an
che parla, che parla, e non ascolta important financier
mai. E per finire, è fantasticamen- (courtesy “Piccolo
te educato: senza piaggerie, meTeatro of Milan”).
lensaggini, complimenti superflui.
Un’educazione solida, di fondo,
non raccattata lungo la strada,
basata sul rispetto della persona,
sulla misura di sé, sulla moderata
ironia, la gestualità leggera: in un
mondo di tronfi e tromboni, una
splendida, esemplare persona
normale.
Novantun anni tutti da raccontare. «Dove c’entra, e molto,
anche molta fortuna – ammette
con un sorriso che ancora sa di
sorpresa –. Ho sempre pensato a
tutto quello che è accaduto nella
mia lunga vita guardando anche
dalla sua opposta visuale. E se,
per esempio, a nove anni non fossi rimasto folgorato dagli Spettri di
Ibsen, avrei tanto amato il teatro?
Mio padre era un commesso di
Marcello Norberth
Marcello Norberth
– domanda alla fine, stremato e
ansante, ma ancora vispo e vivace –. Che senso avrebbe, altrimenti, questo mio star sulle scene a
novant’anni compiuti? (91 il 20
aprile 2011). Alla mia età, potrei
starmene benissimo nella mia casa sul lago d’Orta. Ho una famiglia
che adoro, mia moglie, le mie figlie, i miei nipotini. Una marea di
ricordi. Un pubblico che non ha
mai smesso di amarmi. Ma se c’è
un testo capace di mettere in guardia la coscienza, che la induce a
riflettere, la scuote, la cambia, allora io sono pronto. Ho fatto anche
molto ridere, nel mio passato. Ho
persino cantato e ballato. Ma arrivato fin qui, e incredibilmente felice di vivere tanto a lungo, penso di
non avere altro compito oltre a
negozio tipicamente e borghesemente milanese, che lavorava sodo per migliorare la posizione sociale dei figli mandandoli a scuola.
Ero il più piccolo di quattro fratelli,
lui sognava che diventassi geometra, o ragioniere. Si era istruito da
solo, amava leggere e andare a
teatro. Ogni domenica pomeriggio
ci faceva vestire tutti in ordine e ci
portava all’“Olimpia”, di fianco al
Castello Sforzesco. Mi sono mortalmente annoiato fino a quando
PERSONAGGI 65
Luigi Ciminaghi
non ho visto Ermete Zacconi inter- L’attore ne Arlecchino
servitore di due
pretare quella tremenda tragedia
padroni di Carlo
che è Spettri. Una rivelazione. Da
Goldoni, regia di
quel momento, ho incominciato ad
Giorgio Strehler,
andare a teatro da solo. Sgusciavo stagione 1972/73
al mio posto, solitamente in loggio- (cortesia “Piccolo
ne, e col fiato sospeso mi prepara- Teatro di Milano”).
vo a quel magico, incomparabile
The actor in
incanto che è la lenta e silenziosa
apertura del sipario. Per molto Harlequin Servant of
tempo ho amato il teatro come two masters by Carlo
directed by
spettatore. Capivo che attraverso Goldoni,
Giorgio Strehler,
la sua parola imparavo a vivere e
1972/73 season
diventavo grande. Intanto studiavo (courtesy “Piccolo
magistero, e per un paio d’anni ho
Teatro of Milan”).
insegnato: scuola “Schiaparelli”
per periti industriali; e guarda il
caso, esattamente dove adesso
troneggia la gran mole rossa del
“Piccolo Teatro Strehler”. Nel
1940 è scoppiata la guerra. Nel
1941 mi hanno mandato sulle
montagne greche a scovare i partigiani ribelli. Iscritto alla facoltà di
Filosofia all’Università Cattolica,
avevo messo nello zaino tre libri:
“la filosofia medievale”, la “filosofia greca”, la “filosofia moderna”
nella speranza di trovare il tempo
per prepararmi a un esame».
E la fortuna?
«La fortuna si presenta in un
modo bizzarro. Dopo l’armistizio
dell’8 settembre 1943, i tedeschi
ci catturarono a Volos. Dopo averci
fatto passare per due lager, ci
hanno chiuso definitivamente in
66 PERSONAGGI
quello di Sandbostel, in Germania.
Avevo ventitré anni, l’ufficiale più
giovane del campo. I maggiori e i
colonnelli che mi guardavano come se fossi un bambino. Divisi dai
soldati, ci hanno messo davanti a
una scelta: lavorare per loro scavando trincee o aggiustando le
strade, o iscriverci alla Repubblica
Sociale di Salò. Soltanto pochi dei
nostri sono tornati in Italia come
“repubblichini”. Quasi tutti abbiamo preferito non “collaborare” con
i tedeschi; e come punizione, una
baracca recintata col filo spinato,
insulti e maltrattamenti, brodaglia
e freddo, inattività forzata, paura e
fame. Soprattutto fame».
A questo punto, gli occhi di
Gianrico Tedeschi diventano due
piccoli, vivi, abbaglianti punti di
luce. I prigionieri non hanno niente
altro da fare che rattoppare i loro
vestiti e leggere i libri che si sono
portati da casa. A qualcuno viene
in mente di vuotare gli zaini e formare una biblioteca. I prigionieri
sono medici, avvocati, insegnanti,
pittori, musicisti, poeti, scrittori. La
biblioteca si arricchisce delle voci
più disparate: medicina, diritto,
scienza, letteratura, arte, filosofia.
Un racconto bellissimo: la biblioteca nel lager. I prigionieri hanno
tanto tempo. Quando hanno finito
di leggere, non sanno più che cosa
dirsi: si sono già detti tutto. Qual-
cuno propone di mettere in piedi
una compagnia teatrale. Fanno
tutto da soli: il palcoscenico, le
scene, i costumi. E fanno di tutto:
prosa seria, varietà, farsa, commedia, barzellette, satira contro i
tedeschi. Quando se ne accorgono, i tedeschi incominciano a fare
irruzioni ordinando di sospendere
lo spettacolo e punendo i responsabili. Ma i responsabili hanno
imparato l’antifona: mettono fuori
dalla baracca uno dei loro, che
lancia l’allarme quando li vede arrivare; e il programma cambia di
colpo. Una volta, mettono in scena
Enrico IV di Pirandello. Ruolo difficile, in bilico fra la pazzia e la ragione. Gianrico Tedeschi si offre:
ama il teatro di Pirandello più di
ogni altra cosa, e solo per poche
sere ha provato l’emozione di stare sulla scena. Aveva dodici anni.
Recitava nella sala parrocchiale
sotto casa, in via Redi. Sulla strada, i ragazzini gridavano: «Gent,
gent, vegnì a vedè el teater». Gente, gente, venite a vedere il teatro.
Dopo Enrico IV, il piccolo ufficiale
prigioniero interpreta anche L’uomo dal fiore in bocca. Poi, torna a
Spettri di Ibsen, il suo primo grandissimo amore. Poi, commedie
scritte sul momento dal compagno
di prigionia Giovannino Guareschi.
Nella baracca del lager trasformata in un palcoscenico, la sua formidabile vena grottesca, il suo misurato ma profondissimo senso del
tragico, la sua irresistibile arguzia
lombarda inchiodano gli spettatori
che, seduti per terra e avvolti di
stracci, dimenticano per un paio
d’ore la fame. Il poeta Clemente
Rebora, che lo segue con attenzione, alla fine gli dice: «Fossi in te,
una volta tornato, proverei a fare
l’attore. La “stoffa” ce l’hai».
Infatti. Una carriera strepitosa. Successi in ogni genere e categoria dello spettacolo. Irresistibile sul palcoscenico, al cinema, in
televisione, nella pubblicità. Irresistibile pedante in My fair Lady
nella parte del professor Higgins
che insegna a parlare decentemente all’impertinente fioraia. Problematicamente sottile ne La rigenerazione di Svevo. Beffardo ne Il
maggiore Barbara di Shaw. Memo-
a.ArtistiAssociati di Gorizia
rabile nel film di Salce Il federale,
nei panni del poeta fascista creduto morto eroicamente al fronte, e
invece nascosto in soffitta. Impareggiabile nella commedia musicale Enrico ’61 di Garinei e Giovannini. Grandi registi teatrali: da Visconti, Strehler, Squarzina «a Luca
Ronconi, mi mancava, e che ammiro tantissimo perché affronta e
sperimenta tutto ciò che è nuovo
e “diverso”. Quando mi ha offerto
la parte di protagonista ne La compagnia degli uomini gli ho risposto:
eccomi, fai di me quello che vuoi»
ridacchia, ilare e quieto. «Io sono
un vecchio signore con delle care
abitudini nella vita privata, ma con
gli occhi rivolti al futuro e la curiosità intellettuale per quello che è
nuovo, non sperimentato, non già
scontato. Del resto, alla mia età,
cercare di accontentare il gusto
del pubblico solo per poter stare
ancora sul palcoscenico, sarebbe
come non aver dato un senso alla
propria vita. E io so come fare per
vivere bene a novant’anni passati:
non devo andare per strade sulle
quali ho già camminato, ma rischiare, provare, avventurarmi per
quelle nuove. Questo significa non
aggrapparsi nostalgicamente al
passato, ma progettare il futuro
come se la vita dovesse durare
ancora a lungo. Non devo fare il
maestro, ma continuare a fare
l’allievo».
Quarant’anni fa si era promesso: «Quando sarò vecchio reciterò I dialoghi di Platone». Scuote
la testa, ma non perde il sorriso:
«Promessa mancata per ragioni di
carattere pratico, perché solo i
Teatri Stabili possono garantire la
messa in scena di un testo filosofico per un pubblico di gusti e palato fini. Nella mia lunga carriera,
però, quasi sempre ho lavorato in
compagnie di giro, dove si cambia
piazza quasi ogni sera e non si fa
in tempo a prepararsi il pubblico
giusto per offrirgli qualcosa che io
chiamo “un cibo per l’anima”. Ma
oggi, questo sarebbe il momento.
E io sono pronto». Allarga un poco
le braccia, alza le spalle: «Altrimenti, l’alternativa è il riposo. Che comunque mi manca. Ho sempre
lavorato tantissimo. Anche in estate. Anzi, soprattutto d’estate nei
grandi meravigliosi teatri all’aperto
Gianrico Tedeschi
con la moglie
Marianella Laszlo e
Walter Mramor in
un’immagine di
scena de Le ultime
lune di Furio Bordon.
Lo spettacolo – una
produzione di a.
ArtistiAssociati di
Gorizia – ha girato
per diversi anni
toccando moltissime
piazze italiane.
di Taormina, Ostia, Siracusa. Da
qualche anno lavoro solo se mi fa
piacere, godendomi finalmente
lunghi e beati momenti di ozio
nella mia casa sul lago d’Orta insieme a mia moglie, al mio camino, ai miei cani. Sono stato un
grande camminatore, amo la montagna e finché ho potuto l’ho attraversata palmo a palmo. Adesso mi
accontento di ammirare il Rosa dal
giardino di casa mia, di passeggiare nei prati e di bere un buon bicchiere di vino con Marianella, la
Gianrico Tedeschi
mia moglie meravigliosa». Mariawith his wife
Marianella Laszlo
nella Laszlo è una signora molto
and Walter Mramor più giovane di lui, molto bella e dai
in a stage shot from modi squisiti. Un’attrice brillante e
Le ultime lune by
di lunga carriera che da qualche
Furio Bordon. The
anno ha rinunciato al teatro per
performance
non lasciare il marito nemmeno un
– produced by
a.ArtistiAssociati
momento. Lo segue come un’omof Gorizia – was on bra fino a quando non entra in
tour for several years scena, lo difende dalle fatiche, gli
and was staged in
very many squares compera i libri da leggere, lo aspetta in camerino. Amorosamente e
thoughout Italy.
discretamente. «Oggi – sussurra
Gianrico Tedeschi – Marianella è la
mia vita». E solo qui, per un attimo,
la commozione gli fa tremare la
voce.
PERSONAGGI 67
Nel secondo centenario della nascita
Franz e il suo doppio:
i gemelli Liszt
MELANIA G. MAZZUCCO
Scrittrice
A
lti, snelli, la pelle trasparente, gli occhi chiari, lunghi capelli biondi,
incarnazione ideale
della bellezza romantica, Franz
Liszt e Marie d’Agoult sembravano
gemelli a tutti coloro che li conobbero nei loro anni di pellegrinaggio,
per parafrasare il titolo delle composizioni musicali che lui scrisse in
quel periodo. La definizione impropria li lusingava: si sentivano complementari, speculari e indispensabili l’uno all’altra. In effetti, non
solo non erano gemelli, ma fino al
giorno in cui si incontrarono, in un
salotto di Parigi, non avrebbero
potuto essere più diversi.
Una sera di dicembre del
1832 la marchesa du Vayer diede
un ricevimento. Marie, che si proclamava stanca del bel mondo,
non voleva andarci. L’attrazione
era il giovane pianista che incantava le platee d’Europa: salutato agli
esordi come “il nuovo Mozart”, era
ormai considerato il Paganini del
pianoforte per la sua tecnica prodigiosa – alcuni dicevano demoniaca. Era l’immagine stessa del musicista romantico. All’ultimo minuto, Marie cambiò idea e si presentò al ricevimento, al braccio dello
scrittore Eugène Sue. Liszt si esibì, e fu esibito come un “cane sapiente” da salotto (così, crudamente, lui stesso si definiva). I
nobili lo applaudivano, ma lo consideravano un diamante grezzo,
stravagante e malvestito, e sorri-
68 PERSONAGGI
devano della sua conversazione
astrusa e delle sue pretese filosofiche. Cinque o sei uomini follemente innamorati della contessa
la corteggiarono tutta la sera, e lei,
pur tenendoli a bada, li incoraggiò
perché era, secondo una testimone, una “feroce civetta”. Ma benché flirtasse con gli altri, rimase
colpita da Liszt, «la persona più Ritratto giovanile di trova in Austria. Adam Liszt era
straordinaria che avessi mai visto» Franz Liszt, opera di amministratore al servizio dei prinJean Auguste
cipi Esterházy, ma avrebbe voluto
– come scrisse poi. «Alto, eccessivamente magro, il volto pallido, Dominique Ingres. essere musicista ed era un buon
Questi, direttore
dilettante: insegnò al figlio a suograndi occhi verdi, una fisionomia
dell’Accademia di
nare il piano fin dai sei anni e poisofferente e vigorosa, l’aria distratFrancia, aiutò il
ché il bambino, nonostante la sata, inquieta, come un fantasma
compositore a
che aspettasse il rintocco dell’ora inserirsi nell’ambiente lute cagionevole, era straordinariaromano.
mente dotato, vide la possibilità di
in cui doveva tornare tra le ombre».
fare di lui l’artista che non aveva
Ma anche Liszt notò lei. Gli parve
bellissima, come una Lorelei, slan- A youthful portrait of potuto essere. Lo sottopose a un
Franz Liszt, by Jean
ciata, portamento aristocratico, Auguste Dominique duro addestramento e già a nove
anni lo fece esibire in pubblico. Gli
affascinante, modi e toilette di
Ingres. The latter,
procurò una borsa di studio per
raffinata eleganza, la testa orgodirector of the
gliosa coperta da una cascata di Academy of France, perfezionarsi a Vienna, con Carl
capelli biondi che le ricadevano helped the composer Czerny e Antonio Salieri. Il bambisettle into Roman
no prodigio aveva interrotto la carsulle spalle come una doccia
circles.
riera concertistica per approfondid’oro, un profilo da dea greca, che
re la sua cultura musicale, e a
contrastava in modo curioso con
la sognante malinconia impressa
sul suo volto. Alla fine del riceviFranz and his double; the Liszt twins
mento, Marie d’Agoult uscì dalla
All artists lead tormented and unique lives, and this was
porta principale, e Franz Liszt, inparticularly true of artists in the Romantic period. F. Liszt is no
cassato il suo onorario, dalla porta
exception, with his cursed liaison with Marie d’Augolt. He was a
della servitù. Così imponevano le
successful concerto performer and she was a countess: two
abitudini e i pregiudizi dell’epoca, different social backgrounds, but they had a single vocation to be
l’abisso sociale che separava una
martyrs of their sentiments. She left her husband and children
contessa e un musicista.
because she believed that she could become the muse of a genius
Quella sera, Franz Liszt aveof music. He was apparently overwhelmed by emotions but was
va ventun anni. Era nato nel 1811 actually far more concrete in his calculations for life. Together they
a Raiding, cittadina dell’Impero
lived an intense phase of wandering and genuine love. Then the
Austroungarico. È noto come il più
vanity of the acclaimed musician who loved being courted and
famoso musicista ungherese, ma adulated antagonized her once and for all. A separation which was
il padre era di origine tedesca e la
more or less consensual put an end to the relationship of the
madre austriaca, e Raiding oggi si
“prisoners of love” which had seemed practically perfect.
In quel dicembre 1832, Marie Catherine Adelaide de Flavigny
contessa d’Agoult aveva invece
ventisette anni e una vita intera
dietro le spalle. Era nata a Francoforte nel dicembre del 1805: a
mezzanotte, raccontò sempre (anche se non era vero), perché si riteneva che “i bambini della mezzanotte” fossero speciali, diversi.
Anche lei era figlia di due mondi,
aveva due patrie e molte lingue
(con Liszt avrebbe corrisposto in
inglese e in francese, riservando il
tedesco per le frasi più tenere). I
de Flavigny erano nobili fin dal
Medioevo e avevano dato alla
Francia cortigiani, orientalisti, militari: due di loro erano stati ghigliottinati durante la Rivoluzione. Il padre Alexandre, paggio della contessa di Provenza, fedele alla famiglia
reale era andato in esilio in Germania: a Francoforte aveva sposato
Marie Bethmann, figlia di ricchissimi banchieri di origine olandese,
Ritratto di Marie
d’Agoult, opera di
da cui aveva avuto due figli, MauriThéodore
ce e Marie. Nel 1809 i Flavigny
Chassériau.
erano tornati in Francia: d’estate
vivevano in un castello a Mortier,
Portrait of Marie
vicino a Tours, dove Alexandre de
d’Agoult, by
Théodore Chassériau. Flavigny passava il tempo cacciando e intrattenendo i membri delle
famiglie ultrarealiste vicine alla
cerchia del conte d’Artois, d’inverno vivevano a Parigi. Fino al 1818,
mentre Liszt bambino studiava
Da sinistra:
pianoforte in una oscura cittadina
Johann Hummel
dell’Impero, Marie studiava storia,
e Alfred de Vigny.
Il primo fu un valido geografia e mitologia e leggeva
insegnante di musica avidamente i classici della letteraper Marie d’Agoult; tura col padre, nel castello di Moril secondo, poeta, ne
tier. Imparava la danza, il portafu invaghito, ma il
Parigi era arrivato a dodici anni per
studiare al conservatorio. L’accesso gli fu negato perché straniero,
ma si dedicò a studi di poesia, filosofia e sociologia, approfondendo nel frattempo le ricerche sui
timbri pianistici (il fabbricante
Erard gli mise a disposizione un
pianoforte speciale da lui inventato, che garantiva la rapida ripetizione di una singola nota). In breve
tempo divenne una celebrità e gli
aristocratici di Parigi lo assunsero
come maestro di piano per le loro
figlie. La morte del padre quando
aveva sedici anni e la sfortunata
passione per la figlia di un conte
della corte di Carlo X, Caroline
Saint-Cricq, di cui si innamorò, ri- divario sociale gli
cambiato, ma che il padre costrin- impediva di coltivare
se a sposare un altro, lo segnaro- il suo amore per la
nobildonna.
no. Cercando di fronteggiare le
sue insicurezze, aveva individuato
un padre spirituale nell’abate so- From the left: Johann
cialista Lamennais, e una sorta di Hummel and Alfred
de Vigny.
madre vicaria nell’amante Adèle The former was an
de la Prunarède, quindici anni più
excellent music
grande di lui. In quel dicembre del
teacher for Marie
d’Agoult;
1832 era un concertista apprezzato, ma come compositore era solo The latter, a poet,
una promessa e aveva lavorato was in love with her,
but the social
quasi esclusivamente a parafrasi, difference
prevented
trascrizioni per piano o pezzi di him from cultivating
bravura strumentali alla sua carriehis love for the
ra di virtuoso.
noblewoman.
mento, e le regole della società.
Ma anche lei prendeva lezioni di
piano, e anche lei ebbe buoni maestri (più tardi fu Johann Hummel a
darle lezioni avanzate di musica).
Come Liszt, anche Marie perse
presto il padre: e a tredici anni
dovette trasferirsi in Germania con
la madre. Se tornò a Parigi fu solo
perché lì una Flavigny aveva migliori prospettive matrimoniali. La madre la spedì un anno al convento
delle suore del Sacro Cuore, e lì la
ragazza, già confusa fra il cattolicesimo del padre e l’austero luteranesimo della nonna materna,
cominciò a distaccarsi dalla religione. A diciassette anni aveva già
debuttato con successo in società, ed era pronta per il matrimonio.
La dote consistente e la prospettiva di ereditare alla morte della
madre più di un milione di franchi
facevano di lei uno dei migliori
partiti sul mercato parigino. L’amore era fuori causa e gli innamorati
senza troppi mezzi si defilarono: il
poeta Alfred de Vigny, invaghito di
lei, non poteva permettersela.
Il fratello e la madre le presentarono conti, ammiragli, marchesi. Marie non sembrava interessata. Coltivava il sogno neanche troppo segreto di farsi un nome come musicista e scrittrice. Da
bambina, durante una visita ai
parenti, aveva incontrato Goethe.
Il vecchio maestro le aveva dato
un buffetto sulla testa: e lei considerava quel gesto una benedizione. Il 16 maggio 1827, nella chiesa dell’Assumption – presente
tutta la nobiltà parigina – sposò
PERSONAGGI 69
70 PERSONAGGI
Olycom
Charles Louis Constance, conte
d’Agoult. Gli portava in dote
260.000 franchi (circa un milione
duecentomila euro). Vent’anni più
anziano di lei, basso, con le gambe arcuate, claudicante dopo una
ferita in guerra, il monarchico d’Agoult, già colonnello di cavalleria,
era primo scudiero della duchessa
d’Angoulême: una specie di domestico del re Luigi XVIII, cui bastava
bofonchiare “d’ag, d’ag”, perché
d’Agoult gli porgesse la tabacchiera. Sposandolo, Marie diveniva
dama di corte della delfina. Per lui,
fu un matrimonio d’amore. Per lei,
un dovere. Andò a vivere sul Quai
Un giovane e
Malaquais, all’angolo con rue de
Beaune, frequentò le serate di affascinante Franz
Liszt. Con lui il
corte, rispettando la rigida e vacua
pianoforte assurge
etichetta, ricamando nel cerchio
alla sua vera
delle dame di compagnia sedute dimensione: egli ne
intorno alla delfina, mentre dall’al- comprende infatti
tra parte della sala il re giocava a tutte le risorse e ne
sfrutta le
scacchi, aprendo bocca solo dopo
potenzialità.
che la duchessa aveva pronunciato la sua non memorabile battuta
A young and
e solo per dire a sua volta banalità.
fascinating Franz
Intanto, aprì il suo primo salon, Liszt. With him the
imparò a intrattenere gli ospiti e a piano rose to its real
lusingare il loro amor proprio: per
dimension: he
cinque anni fu ammirata in società understood all its
per il suo fascino, l’eleganza, l’abi- resources and made
lità musicale e un’insolita capacità the most of all its
potential.
di scrivere. Il suo salon non era
importante, perché privo di ospiti
davvero celebri, ma era aperto ai
musicisti: vi erano passati Malibran e Rossini, mentre Marie stessa cantava e suonava il piano.
Però d’Agoult era un estraneo, e
per giunta le sue aspirazioni politiche e mondane erano state distrutte dalla Rivoluzione di luglio,
nel 1830, che aveva segnato la
fine dei Borboni. Con la dote della
moglie, d’Agoult acquistò un piccolo castello a Croissy nella Brie, e
andò precocemente in pensione.
Marie leggeva romanzi romantici,
inquieta, infelice, frustrata nelle
sue ambizioni artistiche, corrosa
dalla malinconia e in attesa che
qualcosa le incendiasse il cuore.
Un amico l’avrebbe descritta come
una spolverata di neve su un lago
di lava: un vulcano dormiente,
pronto a esplodere.
Il giorno dopo il ricevimento,
la sagace marchesa du Vayer fece
visita alla contessa d’Agoult, lodò
il genio del suo giovane ospite e le
suggerì di invitarlo nel suo salon.
Marie scrisse due volte a Liszt una
lettera d’invito, ma lui, orgogliosamente, si fece pregare e solo la
terza volta si presentò. Il musicista
e la contessa parlarono di Bibbia,
di Shakespeare, di Goethe, Chateaubriand, Hugo, Sant’Agostino e
di altri libri che avevano letto – o
che fingevano di avere letto (giacché Liszt, che a causa della sua
infanzia randagia aveva il complesso di una cultura disorganica e
frammentaria, voleva mostrarsi
all’altezza della colta signora). Lo
straniero parlò di cristianesimo
sociale all’aristocratica reazionaria, e la convertì alla religione
dell’umanità. Nel giro di poche
settimane divennero inseparabili e
nella primavera del 1833 Liszt
andò a farle visita nella tenuta di
Croissy. Lì vide per la prima volta
le figlie di lei (Louise, nata nel
1828, e Claire, nata nel 1830).
Liszt detestava i bambini e avrebbe detestato anche i propri, relegandoli ai margini della sua vita,
affinché lo disturbassero il meno
possibile. Deluso, al ritorno a Parigi le rinfacciò i suoi doveri di madre
e proprietaria terriera, chiedendole
se le avrebbero lasciato tempo per
qualcos’altro. Per qualche tempo,
si scrissero lettere appassionate e
amare, lamentando le proprie sofferenze. Si scambiarono però parole impegnative. Lei lo considerava un essere divino, lui la padrona
del suo destino.
Nel 1834 la relazione si infiammò, fra lirismo e rinunce, desiderio e rassegnazione, slanci mistici ed erotici, poiché a un certo
punto divennero amanti. Si incontravano nell’appartamento di Liszt
in rue de la Sordière: un “buco per
topi”. La clandestinità un po’ sor-
Marie d’Agoult
(1805-76), meglio
conosciuta come
contessa d’Agoult, in
un dipinto di Henri
Lehman. Dopo il
fallimento dell’unione
con Liszt, si diede
alla letteratura,
assumendo lo
pseudonimo maschile
di Daniel Stern.
Marie d’Agoult
(1805-76), better
known as the
countess d’Agoult, in
a painting by Henri
Lehman. After the
end of her
relationship with
Liszt, she devoted
herself to literature,
taking on the male
nom de plume of
Daniel Stern.
dida, il senso di colpa, la vergogna,
mandarono in pezzi l’altezzosa
contessa d’Agoult. Era tentata di
interrompere la relazione. Ma Liszt
era il primo amore della sua vita:
aveva sciolto la neve e non riuscì
a privarsene. L’altalena emotiva
divenne sempre più vertiginosa:
un giorno si proponevano di separarsi per dedicarsi alla vita religiosa (Liszt aveva sempre sognato di
farsi prete), il giorno dopo fantasticavano di fuggire insieme. Il loro
legame però diventava sempre più
simbiotico. Liszt pretese che gli
giurasse che non avrebbe potuto
vivere senza di lui; quanto a lui,
promise che non l’avrebbe mai lasciata. Lo scandalo non lo spaventava, e forse lo lusingava perfino:
poter vantare la conquista di un’aristocratica ricchissima e influente
avrebbe accresciuto la sua fama.
Avrebbe nobilitato la sua origine,
sancendo il trionfo della musica
sul sangue, dell’ideale sulla materia, del romanticismo sulla legge.
Anche lei sognava di dimostrare al
mondo che un artista e un’aristocratica possono essere uguali (eccetto nel genio, posseduto da
quello solo), e che un amore libero
può essere più forte, più fedele e
più serio di un matrimonio. Ma
sapeva anche troppo bene di avere tutto da perdere. Se fosse andata pubblicamente a vivere con
un musicista avrebbe perso la reputazione, le figlie, la posizione in
società, il castello, ogni prospettiva di farsi un nome. Liszt, che in
politica e in etica era allora molto
radicale e molto rivoluzionario, le
disse che il problema era solo fra
la sua coscienza e Dio. Non potendo parlare con gli amici, che ancora ignoravano la loro relazione,
Marie andò a chiedere consiglio a
una chiromante, la famigerata Madame Lenormand. Fu ricevuta in
una stanza scura e soffocante. La
tua vita cambierà completamente,
le predisse la chiromante. Amerai
un uomo che farà sensazione nel
mondo.
A dicembre, la piccola Louise
d’Agoult si ammalò di meningite e
in pochi giorni morì. La cameriera
avvertì Liszt che Marie, sopraffatta dal rimorso, era scivolata sull’orlo della follia, delirava, piangeva,
rifiutava di mangiare e di parlare,
minacciava il suicidio. Però non
poteva smettere di pensare a lui.
Quando si riprese, Marie mise
l’altra figlia Claire in collegio: non
voleva più vederla, la sua esistenza le ricordava la prediletta morta.
Ricominciò a frequentare la casa
di Liszt, e lui si rese conto che era
ormai pronta. Ricominciarono a
parlare di fuggire insieme. Siamo
giovani, coraggiosi, sinceri e orgogliosi. Dobbiamo avere grandi peccati o grandi virtù. Dobbiamo confessare in faccia al cielo la santità
o la fatalità del nostro amore, le
disse (o Marie amava credere che
le avesse detto). Di certo il giovane
le disse che, comunque, la scelta
doveva essere sua. Una scelta
consapevole, e libera.
Non fu esattamente così,
perché Marie rimase incinta. A
Parigi la loro relazione era ormai
nota, non solo perché durante gli
incontri amorosi a rue de la Sordière la carrozza dei d’Agoult la aspettava al portone, ma soprattutto
perché i due erano stati protagonisti di episodi clamorosi, come
quando Liszt si fece aprire da un
amico la cattedrale di Notre-Dame
e suonò l’organo per un solo ascoltatore, Marie, vestita da uomo,
che lo aveva seguito. Nonostante
ciò, se le apparenze fossero state
salvate, lo scandalo avrebbe ancora potuto essere evitato. Liszt era
forse anche pronto a lasciare che
il conte d’Agoult riconoscesse formalmente il bambino, e temeva la
reazione della potente famiglia di
lei. Mandò Lamennais a sondare
le sue vere intenzioni, e l’abate
cercò di convincerla a rinunciare
alla passione e a purificare il suo
amore per Liszt. Ma per lei, ormai,
era troppo tardi. Scrisse una lettera d’addio al marito, non nascon-
PERSONAGGI 71
dendo le sue colpe e chiedendogli
solo silenzio. Poi, alla fine di maggio del 1835, partì per la Svizzera
(dove la madre, ignara di tutto, era
in vacanza), e il giorno dopo Liszt
la raggiunse.
Quando Marie informò la madre della sua fuga, madame de
Flavigny svenne. Poi tentò di convincerla a seguirla a Francoforte,
prima che la notizia trapelasse.
Sarebbe potuta restare in Germania fino alla nascita del bambino,
e poi tornare a Parigi: nulla era
ancora irreparabile. Marie le rispose che si sentiva chiamata a
un compito nobile e divino, come
una missione: sostenere, sviluppare, ispirare il genio del suo
compagno. A questo voleva dedicare la sua vita.
Il 1° giugno i due amanti lasciarono Basilea e per cinque settimane vagabondarono sui monti
della Svizzera: ritenevano che la
natura grandiosa elevasse l’animo
distaccandolo dalle bassezze quotidiane. Fantasticavano di mettere
dello spazio fra loro e le loro vite
precedenti, di moltiplicare le esperienze e crearsi un passato comune, di purificare il loro legame e
votarsi a una esistenza monastica
che avrebbe preservato il loro
amore. Durante una tempesta che
li colse mentre attraversavano un
lago, si dissero che morire insieme
sarebbe stato glorioso.
Ma quando ridiscesero dalle
montagne, Marie si rese conto
che poteva sostenere la sua passione colpevole davanti alla natura, e perfino a vedervi un martirio
voluto da Dio, ma davanti al mondo era più difficile. La famiglia le
aveva voltato le spalle e la buona
società svizzera la escluse. Era
una donna perduta, e nessuno
voleva frequentarla. Nelle loro chimere, Liszt avrebbe dovuto ritirarsi, vivere appartato, e dedicarsi
allo studio e alla composizione
delle grandi opere musicali che
tutti si attendevano da lui. Ma
Liszt era inseguito dal suo successo, sollecitato a suonare il pianoforte nei salotti e nelle sale da
concerto. I gemelli avevano bisogno di denaro, e lui prima cominciò ad accettare allievi, poi si ab-
72 PERSONAGGI
bandonò senza troppi rimpianti
alla vita mondana. Una sera di
settembre Marie, ormai vistosamente incinta, lo accompagnò nel
salone del principe Belgiojoso.
Rimase in disparte, emarginata.
Liszt fu acclamato. Lei annotò a
matita sul programma di sala:
«avversione per il virtuoso… depravazione di un essere che suona per denaro». E più tardi, nelle
sue Memorie, scrisse che quell’uomo «era Franz e non era Franz. Era
come una persona che rappresentava lui in scena con molta abilità
ma che tuttavia non aveva nulla in
comune con lui ed era solo vana
apparenza. Il suo modo di suonare mi turbava; il suo virtuosismo,
prodigioso, impressionante, incomparabile, mi dava una inesprimibile angoscia». Eppure quell’esibizione trionfale per lui e inquietante per lei fu come un presagio
della loro vita futura, che sarebbe
stata lacerata e poi distrutta da
quel dualismo. Marie scopriva che
il vero gemello di Franz non era lei,
ma lui stesso. C’erano due Liszt:
il pianista e il compositore. E lei
sognava il secondo, ma era fuggita col primo, e a quello aveva
consegnato la sua vita.
Il 18 dicembre 1835 nacque
Blandine. Fu registrata come figlia
naturale di “François Liszt, professore di musica” e di “CatherineAdelaide Meran”: Marie d’Agoult
non poteva figurare come madre
della bambina, che altrimenti per
legge sarebbe appartenuta al marito. Ma così Blandine apparteneva
a Liszt, e a lui solo. Liszt donò alla
madre nascosta un anello con inciso il motto: In alta solitudine.
Doveva essere un programma di
vita per entrambi. Ma il prezzo da
pagare per quella solitudine per lui
si rivelò insostenibile. Durante il
suo “esilio” dal pubblico, il pianista
Sigismund Thalberg, virtuoso non
meno di lui e perfino di un anno più
giovane, si guadagnò una solida
reputazione in Francia, e Liszt non
poteva permettergli di soppiantarlo. Doveva anzi sfidare il rivale, e
se possibile trionfare pubblicamente su di lui. All’inizio della primavera partì per suonare nel Sud
della Francia (dove l’altro aveva
appena suonato), e poi tornò a
Un ispirato Franz
Liszt, ritratto da
Parigi. Diede un concerto nel salotWilhelm von
to della principessa Belgiojoso:
Kaulbach. L’artista fu l’italiana, bella, esotica, intellettuaun grande
le e carbonara, offrì a Liszt la sua
catalizzatore di
masse e spettacolare influenza, il suo prestigio, la sua
amicizia. A Marie, che aveva affidain ogni sua
manifestazione.
to la neonata a una balia ed era
rimasta sola a Ginevra, spaesata
An inspired Franz
come una carpa sul prato e deLiszt, portrayed by pressa dalla prolungata (e impreviWilhelm von
sta) assenza di Liszt, giunse qualKaulbach. The artist
attracted the masses che pettegolezzo su una loro liaiand was spectacular son. Il 6 giugno si strappò dal letto
at every event where in cui ormai vegetava, incapace di
he appeared.
trovare un motivo per alzarsi, e
andò ad aspettare la carrozza che
doveva riportarlo indietro: ma Liszt
non c’era.
Tornò dalla “gemella” solo
alla fine del mese. La rabbia e il
risentimento di Marie scomparvero di fronte alla prospettiva di essere di nuovo, per sempre, la musa del genio. Ma siccome il divorzio non esisteva e, come scrisse
crudamente, i mariti muoiono solo
nei romanzi, mentre d’Agoult godeva ottima salute (sarebbe morto a
ottantacinque anni, poco prima di
lei), dovevano trovarsi un posto in
cui vivere. Poiché la Svizzera calvinista e perbenista emarginava due
amanti irregolari, scelsero l’Italia.
L’Italia, oppressa, divisa, ricca di
arte e di dolore, appariva allora
agli europei romantici come un
miraggio di bellezza, cultura e libertà spirituale.
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Il viaggio, tuttavia, fu rimandato, e i due gemelli tornarono a
Parigi. Qui Liszt elaborò le impressioni del viaggio svizzero, componendo i primi capolavori dell’Album
d’un Voyageur e le fantasie romantiche su melodie popolari. Diede
anche un applaudito concerto con
l’amico Berlioz. Marie si dedicò
alla sua missione, diffondendo la
fama del compagno attraverso la
pubblicazione di una serie di lettere, scritte da lei stessa sulla base
di appunti abbozzati da lui. Le lettere – la Lettre à un poète voyageur, poi seguita da undici Lettres
d’un bachelier ès musique – apparvero su Le Monde e sulla Revue et
Gazette Musicale sotto il nome di
Liszt e suscitarono vasta risonanza. «Insieme – commentò scherzosamente Liszt – siamo un grande
scrittore». In quelle lettere, che
Marie continuò a scrivere fino al
1841, metteva le sue doti di scrittrice e le sue parole al servizio del
genio e delle idee di lui, piegandole ai suoi desideri e alle sue aspirazioni. Cronache di viaggio e manifesti teorici sulla musica e sull’arte, possono essere lette anche
come lettere d’amore. Marie si
identificava col suo gemello e con
la sua arte. Scriveva per lui e diventava lui: in quelle pagine, il loro
sogno di comunione assoluta era
perfetto.
Nell’estate del 1837 i gemelli raggiunsero finalmente l’Italia
attraverso la strada del Sempione.
Si fermarono qualche tempo a
Milano, dove Liszt fu accolto da
grandi onori, dall’aperta stima di
Rossini e dall’efficienza organizzativa di Ricordi, che gli fece assaporare l’ospitalità italiana. Madame
d’Agoult però trovò deludente la
musica italiana e scadente il pubblico che apprezzava solo Donizetti. Nel primo concerto di Liszt alla
Scala, uno spettatore – stufo dei
suoi esperimenti – interruppe
l’esecuzione del Preludio gridando:
«Vengo a teatro per divertirmi e
non per studiare!». Tuttavia Liszt
fece furore, e conquistò l’attenzione dei giornali, che lodavano la
sua bellezza e il suo fascino. Poi si
ritirarono nella romantica Bellagio,
sul lago di Como. Solo con un
pianoforte, qualche libro e una
donna che studiava Dante, Liszt
visse una stagione di grazia, e alla
madre scrisse: «Io abito nella regione più bella del mondo e sono
l’uomo più felice della terra». Il 4
dicembre nacque la loro seconda
figlia, Cosima. Ancora una volta,
Marie non figurava come madre
della piccola. Ma le spie austriache informarono l’ambasciata e la
notizia giunse in Francia, suscitando l’irritazione del conte d’Agoult e
dei Flavigny per la prole illegittima
che la fuggitiva Marie andava seminando in tutta Europa. In gennaio, Liszt riprese a dare concerti
a Milano dove, dopo aver sistemato Cosima da una balia, Marie poté
raggiungerlo. I milanesi si mostra-
rono di vedute libere e aperte, e
furono accoglienti con la coppia: a
Milano, come nel resto d’Italia, la
presenza dell’amante al fianco del
musicista fu accettata. Ma Liszt e
Marie d’Agoult non ricambiarono
l’indulgenza degli italiani, criticandone il basso livello intellettuale e
i gusti estetici. La loro sprezzante
Lettera sulla decadenza della musica italiana suscitò indignazione e
sdegno.
Poi i gemelli si rimisero in
viaggio e percorsero diligentemente la Penisola visitando i luoghi più
celebri, segnalati dalle guide turistiche: Brescia, Verona, Vicenza,
Padova. Giunsero a Venezia nel
marzo 1838. Madame d’Agoult,
sempre più esigente, o sempre più
esaurita, trovò angusta la Fenice,
detestabile Donizetti, spensierata,
stracciona, ignorante e volgare
l’aristocrazia locale. I vapori che
salivano dall’acqua e l’aria pesante la soffocavano. Venezia puzzava
come se avesse le coliche. Da
parte sua, Liszt smaniava confusamente di tornare a Parigi, dare un
concerto e poi ritirarsi in Germania. L’alluvione del Danubio in aprile gli diede la possibilità di allontanarsi da una compagnia che cominciava a diventare opprimente.
Doveva dare due concerti per aiuIncisione
tare le vittime ungheresi della caottocentesca del
Teatro alla Scala di tastrofe. Rimase assente per mesi. A Vienna riscosse un successo
Milano, una delle
tante città italiane fenomenale. Non avendo più vometa dell’incessante glia di tornare a Venezia, le propoperegrinare artistico se di raggiungerlo. Lei non lo fece.
della coppia. Nel
Forse perché era malata, forse
primo suo concerto
perché sapeva che a Vienna la
alla Scala, Liszt fece
furore, conquistando aspettava l’altro – il gemello oscuro del suo Franz, quello che non
l’attenzione dei
amava: il concertista, il virtuoso,
giornali.
l’esecutore vanitoso e venale, il
A 19th century
seduttore che si nutriva dell’amore
engraving of the
del pubblico. Lei ancora sperava di
La Scala Theatre in riuscire a tenerlo lontano dalle
Milan, one of the
metropoli, recluso a comporre in
many Italian cities
qualche campagna, suonando sowhere the couple
lo occasionalmente per far conostayed on their
endless artistic
scere la sua musica. Anche Liszt
wanderings. At his
voleva affermarsi come composifirst concert at La
tore, però nel suo tour viennese fu
Scala, Liszt was a
accolto ovunque da applausi selsensation,
vaggi e scoprì che – a parte il piaconquering the
cere che ricavava dall’adulazione
attention of the
del pubblico – dare concerti poteva
press.
PERSONAGGI 73
portargli enormi somme di denaro.
Inoltre adorava essere corteggiato
dalle donne, che si gettavano su di
lui, letteralmente. Non rimase insensibile. La tradì. Le propose di
instaurare un rapporto un po’ più
libero. Poiché la rispettava ancora,
le suggerì di pareggiare i conti e di
trovarsi un amante, il conte Emilio
Malazzoni che devotamente la
scortava per Venezia.
Alla fine di maggio, Liszt tornò a Venezia. Agghindato come un
aristocratico, convinto di essere
nobile anche lui grazie a misteriose ricerche sull’albero genealogico
dei Liszt fatte da ammiratori compiacenti. Marie accolse malissimo
il fedifrago e lo accusò di essere
un “Don Giovanni parvenu”, ferendo indelebilmente il suo amor proprio. A quel tempo, scrivevano un
diario comune. Sotto la riga in cui
lei annotava che Franz le aveva
promesso di non tradirla mai più,
lui scrisse «tu ricordi le mie parole,
ma quelle che mi hai detto tu sembrano non aver lasciato traccia
nella tua mente. Ma io non le ho
dimenticate». Tuttavia, non si lasciarono. Liszt ammise che i tre
anni che aveva passato con lei
avevano fatto di lui un uomo, Marie ormai lo accettava come suo
angelo e suo demone, accettava
di amarlo e odiarlo, e in fin dei
conti, voleva «andare dove tu vai,
respirare l’aria che respiri, parlare
le tue parole, vivere la tua vita,
morire la tua morte». «Abbiamo il
cattivo gusto di trovarci sempre
più affascinanti, incomparabili –
scrisse Marie a George Sand – e
quando proviamo a lasciarci, diventiamo tristi. Comincio a credere
che siamo condannati ad amarci,
eternamente».
George Sand annotò divertita
quell’espressione, e la riferì al suo
amico Balzac. Sand e la d’Agoult
si erano frequentate a Parigi, dove
i “galeotti dell’amore” avevano
vissuto per qualche tempo in attesa di partire per l’Italia. Per volontà
di Liszt, le due donne avevano diviso un salon e la vita bohèmienne
degli artisti: ribelli al loro mondo,
sembravano simili e destinate a
capirsi. In realtà, Marie era gelosa
del successo dell’altra, del suo
74 PERSONAGGI
La scrittrice francese
George Sand
(1804-76), al secolo
Amantine Aurore
Lucile Dupin, in un
ritratto di Auguste
Charpentier. Sand e
la d’Agoult si erano
frequentate a Parigi:
sembravano simili e
destinate a capirsi.
talento e anche della sua libertà.
Inoltre, tutti i loro amici ritenevano
che Sand e Liszt fossero amanti.
Nel gennaio del 1837 Marie aveva
accettato l’invito della scrittrice e
si era trasferita nella sua casa di
Nohant. In pochi mesi, l’amicizia
era divenuta tenerezza, quasi un
amore, ma altrettanto rapidamente si era mutata in indifferenza, e
poi in reciproco disprezzo. Marie
criticò la promiscuità sessuale
della scrittrice, Sand ridicolizzò le
pose dell’aristocratica, fin troppo
consapevole della nobiltà delle
sue origini e del “sacrificio” che
aveva fatto fuggendo col musicista. L’amico Balzac raccolse la sua
disistima e si affrettò a tracciare
un feroce ritratto della nobile perduta nel romanzo Béatrix - I galeotti dell’amore: apparso nel 1839,
contribuì non poco a macchiare la
già disastrosa fama della contessa d’Agoult. Liszt, cui il romanzo
era piaciuto, tentò di minimizzare il
danno e invitò Marie a ricucire i
rapporti con l’influente scrittrice.
Ma, nonostante i ripetuti tentativi,
più o meno sinceri, di Marie, Sand
non le concesse mai più né amicizia né stima né perdono.
I gemelli (ormai per tutti piuttosto galeotti dell’amore, incatenati allo stesso remo e condannati a
vogare insieme per non naufragare) proseguirono il viaggio. Lugano,
Genova, di nuovo Milano (dove
però, anche a causa delle polemiche suscitate dalla Lettera, il concerto di beneficenza di Liszt nel
ridotto della Scala fu un fiasco, e
lui scrisse che avrebbe preferito
trascorrere quindici giorni in prigione piuttosto che vivere in quella
città), Piacenza, Parma, Bologna,
Ravenna. All’inizio del 1839 si
stabilirono a Firenze. Liszt, sempre
più pigro e svogliato, pensava solo
a guadagnare soldi e vestirsi alla
moda, mentre Marie d’Agoult si
consolava frequentando pittori e
scultori e soprattutto affezionandosi a Blandine, detta Moscerino,
The French author
che li aveva raggiunti. Per nove
George Sand
(1804-76), whose real mesi, la bimba, che aveva ormai
name was Amantine tre anni ed era un angioletto roseo
Aurore Lucile Dupin, e ricciuto, visse coi genitori. Nesin a portrait by
suno degli altri figli di Liszt e Marie
Auguste Charpentier. ebbe lo stesso privilegio. Quando
Sand and d’Agoult
era ispirato, la sera Liszt le suonahad known each
other in Paris: they va le Scene infantili, e la piccola
seemed similar and mostrava di apprezzare. Dopo un
rapido passaggio a Pisa (che però
destined to
understand one
anni dopo generò un frutto imporanother.
tante, la Totentanz ispirata dalla
visita al Camposanto), arrivarono a
Roma. Si stabilirono vicino a Trinità
dei Monti. Il pittore Ingres, direttore dell’Accademia di Francia e personalità centrale della cultura europea, li aiutò a inserirsi nell’ambiente romano e organizzò un
concerto a Villa Medici: Liszt eseguì sonate e trii di Beethoven. E si
abbandonò al piacere della mondanità, tra feste alle ambasciate e
ricevimenti nei salotti. L’umore di
Marie doveva essere alterato, se
trovò talmente detestabile la Roma cattolica da proporre di raderla
al suolo, deportare la popolazione
a Ostia e trasformare la città in un
parco per turisti, lasciandovi solo
alberghi tra le rovine della Roma
antica. Il loro terzo figlio, Daniel
Henri, nacque il 9 maggio 1839.
Sul suo certificato di nascita c’è
scritto: “madre sconosciuta”. Anche Liszt non era troppo interessato alla sua esistenza: avvisò
un’amica che «non è cambiato
niente, c’è solo un romano in più».
Lo sfortunato bimbo nato al tramonto di un amore fu affidato appena un mese dopo la nascita a
un amico della coppia e poi a una
balia, a Palestrina. Marie non lo
rivide fino alla sua adolescenza.
Il soggiorno italiano stava per
concludersi. Dopo un estremo idillio di due settimane nella solitudine della tenuta del Gombo a San
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Rossore, fra bagni di mare e pranzi sotto i pini, Liszt accompagnò
Marie e Blandine a Livorno, quindi
partì da solo per un nuovo viaggio
nel nord Italia, diretto a Trieste,
Lubiana, Vienna. Ancora non lo
sapeva, ma stava per iniziare il
terzo atto della sua vita: negli otto
anni successivi sarebbe diventato
il concertista più acclamato e pagato d’Europa. Marie non voleva
tornare in Francia: sognava ancora
di stabilirsi in Italia, di costruirsi
uno chalet nella foresta del Gombo e vivervi con Franz nella solitudine della natura e della musica.
Temeva Parigi. Non apparteneva
più ad alcun ambiente. Non aveva
religione né famiglia né casa (sarebbe andata ospite dalla madre di
Liszt). Un carattere incapace di
compromessi. Un futuro incerto.
Quando la nave che la portava a
Genova (dove avrebbe preso con
sé Cosima) fu colpita dalla tempesta, si augurò di sparire tra le onde.
La separazione non doveva
essere definitiva. E non lo fu, perché i gemelli si lasciarono davvero
solo cinque anni dopo. Ma di fatto,
avevano cessato di essere inseparabili compagni e avrebbero vissuto insieme solo pochi mesi, d’estate. Per lei, la separazione fu una
disfatta, e la fine del suo sogno di
essergli musa, guida e compagna.
Per lui, fu un buon compromesso,
che lo lasciava libero di dare concerti, suonare, guadagnare denaro
per sé e per i figli, scrivere, e continuare ad amarla, ma con meno
doveri. Tirarono avanti fra brevi
idilli e tradimenti clamorosi e assai
pubblicizzati (fra l’altro con Lola
Montes e Camille Pleyel), ripicche,
ritorni di passione, gelosie, rancori, litigi feroci. «Sono felice di essere la tua amante, ma non una
delle tue amanti» – gli scrisse Marie. E alla fine, nell’aprile del 1844,
quando si rese conto di essere
«una Beatrice senza Dante», lo lasciò. Lasciò il grande amore per
cui aveva abbandonato tutto, ma
non tornò dal marito, che l’avrebbe
ripresa, né dai figli: a una vita indipendente – tutta da inventare.
Quando i gemelli si scoprirono diversi, opposti, inconciliabili, si
odiarono. Quella che doveva essere una comunione di anime e corpi, una fusione di genio e talento,
di musica e parole, si tramutò in
una banale storia di disamore.
Quando la passione si spense,
iniziò una sordida, meschina guerra in cui entrambi diedero il peggio
di sé. Incapace di accettare l’idea
di avere distrutto la propria vita per
All’inizio del 1839 un’illusione, Marie gli rinfacciò di
Franz e Marie si
aver distrutto il loro sogno «non
stabilirono a Firenze. per una grande opera, per dovere,
per patriottismo, ma per i successi
In early 1839 Franz dei salotti, la gloria della pubbliciand Marie settled tà, gli inviti delle principesse». Per
down in Florence.
vendicarsi scrisse un brutto romanzo a chiave, Nélida (1846), e
dedicò il resto della sua vita a
cercare di diventare qualcuno –
poiché, se non era stata la Musa
del Genio, voleva essere non il
Genio (ammetteva di esserne priva) ma almeno una celebrità. Franz
le tolse i figli (su cui legalmente la
madre ignota non aveva alcun diritto), le impedì di vederli per anni,
e perfino di scrivergli. Glieli mise
contro. Raccontò a Blandine, Cosima e Daniel che la madre li aveva
abbandonati e che non voleva
spendere un soldo per loro. La
rinnegò dipingendola alla sua nuo-
Blandine, Cosima e Daniel soffrirono molto
dei forti contrasti sorti tra i loro genitori divisi. A destra: Cosima, secondogenita di Franz
Liszt, fu la seconda moglie di Richard Wagner
al quale si dedicò con assoluta fedeltà.
Blandine, Cosima and Daniel suffered greatly
from the strong disagreements between their
separated parents. On the right: Cosima,
Franz Liszt’s second child, was the second
wife of Richard Wagner to whom she devoted
herself with absolute fidelity.
PERSONAGGI 75
76 PERSONAGGI
volto sembrava triste,
quanto dalla sua nuova
immagine, severa e serena. Liszt rimase sulla difensiva, imbarazzato,
sentenzioso, pungente.
Non parlarono di Blandine
e Cosima (Daniel era già
morto di tubercolosi). Lui,
che pure stava per recarsi a Roma, rimase stupito
dalla passione di lei per
l’Italia. Forse perché in
Italia aveva vissuto liberamente il suo amore, e
aveva potuto stargli accanto senza vergogna,
Marie d’Agoult aveva dimenticato i duri giudizi
degli anni del suo pellegrinaggio. Aveva appoggiato i patrioti
del Risorgimento, Mazzini e la causa dell’Unità d’Italia. Avrebbe scritto di aver avuto cinque passioni
nella vita: «Dio, Liszt, la Repubblica, la maternità e l’Italia. Solo la
passione per l’Italia non mi ha delusa». Pochi giorni dopo, Liszt tornò
per un pranzo con gli amici della
contessa. La prese sottobraccio,
per condurla a tavola. Lei ne fu
emozionata. Era ancora l’unica
persona al mondo che riuscisse a
turbarla. Fu un pranzo triste e dolce. Alla fine, commentò lei, le grandi cose della vita si riducono a ben
poco: le grandi passioni, i grandi
dolori, le laceranti ambizioni si riducono a un pollo alla portoghese
mangiato in compagnia di persone
completamente estranee alla lunga vita trascorsa insieme. Pochi
giorni dopo, Liszt andò a prendere
congedo. Salutandolo, Marie lo
baciò in fronte. «Dio ti benedica» le
disse lui, quasi salmodiando, «Non
augurarmi il male». Lei non riuscì a
rispondergli e scoppiò in lacrime.
Ma erano destinati a incontrarsi un’ultima volta, nel 1866.
Liszt aveva preso la tonsura e gli
ordini minori. Indossava una tonaca nera. Parlarono dei figli vivi e
morti, civilmente. Non fu però un
incontro crepuscolare. Quando
Marie gli annunciò di aver iniziato
a scrivere le sue memorie, lui si
allarmò, temendo (in parte giustamente) nuove vendette e nuove
rese di conti. La avvisò ironico che
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va compagna, la principessa Caroline von SaynWittgenstein, e ai suoi
amici come una donna
arida, ambiziosa, futile, il
cui unico talento era la
capacità di scegliere i vestiti. Fece scrivere alla
principessa una sua falsa biografia dettandole
un capitolo su Marie d’Agoult talmente diffamatorio e menzognero da
macchiare la propria
stessa immagine e gettare più di un’ombra sul
suo carattere.
Così, i due che avevano sognato di realizzarsi
nell’amore, divennero se
stessi solo dopo l’addio. Neanche
Il celeberrimo
pianista e
tre anni dopo, Liszt abbandonò
compositore
davvero l’attività di concertista,
ungherese negli
divenne il compositore che Marie
ultimi anni della sua
aveva sognato invano, e scrisse la vita prese la tonsura
Sonate, la sinfonia Faust, i dodici
e scrisse solo
poemi sinfonici per orchestra (fra
musica sacra.
cui i Préludes, Hamlet e PromeThe very famous
theus), le Rapsodie Ungheresi, la
Via crucis e i capolavori sperimen- Hungarian pianist
tali e innovativi per cui ancora lo and composer took
the tonsure in the
celebriamo. Marie d’Agoult – seb- last
years of his life
bene mai libera del tutto dalla
and wrote only
“grande ombra” di lui – riuscì fatisacred music.
cosamente a rifarsi un’immagine e
una vita, divenne una influente
salonnière e, sotto il nome maschile di Daniel Stern, un giornalista di
politica e costume e un rispettabile scrittore di storia (la sua vivace
e rigorosa Storia della rivoluzione
del ’48 è ancora oggi fonte eccellente).
Per quindici anni si dedicarono entrambi a costruire se stessi.
Nel maggio del 1861 Liszt – che
dal 1847 viveva a Weimar, dove
era direttore della cappella di corte
– tornò a Parigi per assistere alla
prima del Tannhauser di Wagner.
Marie lo invitò ad andare a trovarla,
e Liszt – solo dopo aver ricevuto un
invito scritto, come la prima volta
– consentì a farle visita nel suo
appartamento, all’Hotel Montaigne. Marie gli porse la mano,
scioccata non tanto di trovarlo invecchiato, benché ancora bello, di
constatare che i suoi occhi avevano perso il loro fuoco o che il suo
non ne sarebbe stata capace,
perché avrebbe potuto scrivere
solo pose e bugie. Lei stentava ad
accettare l’idea che lui avesse
preso i voti e che il seduttore mondano che aveva odiato era morto:
l’uomo che le stava davanti parlava come un prete e scriveva solo
musica sacra. Erano, comunque,
due estranei. «Che cosa hai fatto
di questi ventotto anni?» scrisse
qualche tempo dopo. «E cosa ho
fatto io? Lui è l’abate Liszt e io
sono Daniel Stern! E quale disperazione, quali morti, quali lacrime,
quale lutto ci separano!».
Marie de Flavigny contessa
d’Agoult morì il 5 marzo 1876.
Così la salutò l’abate Liszt scrivendo alla principessa Sayn-Wittgenstein: «Senza ipocrisia, non potrei
piangere per lei dopo la sua morte
più che durante la sua vita. Madame d’Agoult possedeva a un alto
grado un gusto, e perfino una passione, per il falso – eccetto certi
momenti di estasi che dopo non
sopportava le venissero ricordati».
Ma più civilmente, al genero Émile
Ollivier, marito della defunta Blandine, scrisse: «La memoria che
serbo di Madame d’Agoult è un
doloroso segreto che confido a
Dio, pregando che possa dare
pace e luce all’anima della madre
dei miei tre figli».
Le sopravvisse di dieci anni,
venerato dagli allievi di Weimar e
Budapest e dalle autorità dell’Impero, che lo nominarono consigliere reale, festeggiato e omaggiato
ovunque – e però anche discusso
da chi lo riteneva un compositore
discontinuo e talvolta convenzionale, e contestato da chi, come
Brahms, giudicava certa sua musica pronta per la spazzatura. La
loro figlia Cosima, che aveva lasciato il marito Hans von Bülow
per essere compagna del musicista Wagner, sua musa e ispiratrice, sua gemella d’anima e corpo,
suo tutto, aveva realizzato il sogno
giovanile dei genitori. Eppure Liszt
non le perdonò quella scelta e
Cosima aveva interrotto i rapporti
con entrambi. Seppe della morte
della madre dai giornali: la sorellastra Claire d’Agoult non aveva il
suo indirizzo.
Con la “Carta di Saint Vincent” dell’ottobre 2010 la si vuole arginare
La medicina difensiva
danneggia il paziente
e la finanza pubblica
NOTIZIARIO
Giustizia
ALFONSO MARRA
Presidente Emerito
delle Corti di Appello di Milano e di Brescia
Fotolia
L’
La medicina difensiva incide per il 10,5% sulla spesa del SSN.
Defensive medicine accounts for 10.5% of the Italian National
Healthcare expenditure.
Defensive medicine damages the patient
and public resources
It is now a major practice to have recourse to a judge to define
any direct responsibility of a doctor in healthcare that has not
been successful. This means that the doctor has to provide
evidence, with defensive medicine, that the tragic event cannot be
connected with his professional activity. It has a “positive”
character when the doctor prescribes tests and medicine that are
not strictly indispensable, for the sole aim of showing that he did
everything possible; or “negative” when the doctor, in order not to
run any risks, avoids doing any difficult operations.
The climate of chargeability that the doctor perceives costs the
public administration euro 10 billion a year.
An effective solution is a “black box” in the operating theatre,
which records the various phases of the operation and provides
definite proof in the case of dispute.
incremento del contenzioso, che si è registrato in
questi ultimi anni a carico
dei medici, è in buona parte dovuto alla concezione che oggi
si dà all’errore nella prestazione
sanitaria. Esso, infatti, è ritenuto
un problema sociale perché viene
considerato, appunto, socialmente inaccettabile in ragione dei progressi della scienza medica. A
questa nuova qualificazione dell’errore ha non poco contribuito la
giurisprudenza della Cassazione la
quale ha fatto rientrare la prestazione professionale fra le obbligazioni di risultato (negli anni scorsi
l’aveva definita “di mezzi”) e consequenzialmente la responsabilità
in quella “paraoggettiva” (e cioè
responsabilità senza colpa). La
Corte ha, altresì, elaborato regole
ben precise alle quali i giudici debbono attenersi nel giudicare questo tipo di controversie. Ed esse
stabiliscono che i medici per non
rispondere dei danni lamentati dal
paziente, ove l’intervento non sortisca l’effetto desiderato o abbia
comportato un aggravamento dello stato di salute, debbono provare
di aver operato correttamente e
che quanto lamentato non sia dovuto alla loro prestazione professionale. È stata, così introdotta
un vera e propria inversione
dell’onere della prova che comporta l’obbligo a carico del medico di fornire addirittura una prova
negativa e cioè che l’evento “non”
è collegato alla sua attività professionale. Prova, questa, estremamente complessa e difficile.
Ecco perché, dopo questi principi
introdotti dalla Cassazione, che
assumono oggi il valore di una
vera e propria norma giuridica (la
stessa Cassazione parla di “giurisprudenza normativa”), si è diffusa fra i medici la pratica della
medicina difensiva che ha preso
il posto di quella paternalistica.
Essa può essere “positiva” quando i medici prescrivono test, procedure o farmaci non strettamente necessari al solo fine di ridurre
la loro esposizione in un giudizio
di responsabilità, o anche “negativa” quando per il medesimo
motivo evitano di effettuare interventi molto rischiosi.
Il fenomeno, però, non è solo
italiano. Di recente autorevoli organi della nostra stampa nazionale
hanno dato notizia di un rapporto
pubblicato dalla rivista Archives of
Internal Medicine secondo il quale
negli Usa il 90 per cento dei medici ricorre alla medicina difensiva
per tenersi al riparo da eventuali
GIUSTIZIA 77
azioni giudiziarie dei pazienti. La
medesima situazione si sta verificando in Italia. E difatti, secondo
un recentissimo studio dell’Università Milano-Bicocca, nove medici
su dieci ricorrono alla stessa pratica dei loro colleghi statunitensi.
Il che – secondo quanto dichiarato
dal Ministro della Salute – finisce
per gravare sulla finanza pubblica
del nostro Paese con un costo di
ben 10 miliardi di euro l’anno (Corriere della Sera del 12 dicembre
2010 pagg. 54 e 55). E più precisamente la medicina difensiva incide per il 10,5% sulla spesa del
SSN. Più alta è, poi, la percentuale relativa al settore privato dove
l’incidenza è del 14% (Sole 24 Ore,
Sanità n. 45 del 6 dicembre 2010
pag. 11). Ma non sono solo questi
gli effetti negativi della medicina
difensiva. Ce ne sono altri di natura non certo minore che incidono
sulla salute dei cittadini. Essi sono dovuti agli effetti collaterali
degli esami clinici inutili, alcuni di
essi, peraltro molto invasivi, nonché dei tanti farmaci prescritti ed
assunti senza una effettiva necessità clinica.
D’altronde, il timore dei nostri
medici di finire innanzi al giudice
penale e civile spiega, e in un certo senso anche giustifica, le ragioni che li inducono a svolgere la
professione con determinate cautele alle quali non avevano mai
fatto ricorso negli anni addietro
quando i pazienti riponevano nel
loro operato la massima fiducia
accettando anche l’errore. E tale
timore, in verità, appare tutt’altro
che infondato se si pensa che, in
questi ultimi tempi, ogni anno nel
nostro Paese sono ben 15 mila i
medici che vengono portati in giudizio dai loro pazienti. Il che ha
comportato anche un considerevole aumento dei costi di esercizio
dell’attività professionale per l’elevatissima lievitazione dei premi
delle polizze di assicurazione. Secondo uno studio dell’ANIA, dal
1994 al 2007 il numero degli incidenti segnalati per eventi avversi
connessi alle prestazioni professionali è passato da 9.500 a
30.000 all’anno con un incremento del 200 per cento.
78 GIUSTIZIA
Il risk management
per prevenire l’errore
Alla nuova figura professionale del “manager del rischio” con la
qualifica di dirigente, introdotta di
recente nella struttura sanitaria
pubblica, è affidato l’importante
compito di individuazione degli errori nelle prestazioni medico-chirurgiche e delle loro cause nonché
di tutti gli altri fattori che hanno
determinato e determinano eventi
avversi a carico dei pazienti.
Oggi tale delicato ruolo, che
ha la chiara finalità di tutelare in
modo più incisivo la salute di questi ultimi, non viene di certo agevolato dai sanitari autori degli errori
in quanto, salvo rare eccezioni,
ben pochi li ammettono e li segnalano. La conseguenza di tutto ciò
è il ripetersi degli stessi che di
certo sarebbero stati scongiurati
se per tempo segnalati alla direzione della struttura che avrebbe potuto predisporre le misure più idonee per combatterli.
L’errore si può evitare e prevenire solo quando lo si conosce
molto bene. Per raggiungere un
tale risultato, secondo autorevoli
studiosi, bisognerebbe far ricorso
ad una pratica in uso nel settore
aeronautico per migliorare la sicurezza dei voli ed evitare incidenti.
Essa è basata sull’obbligo, a carico dei piloti della comunicazione,
non solo degli errori da loro commessi ma anche delle situazioni di
rischio di volta in volta accertate e
che potenzialmente avrebbero potuto determinare un incidente (cosiddette “near miss”).
A tal proposito va ricordato
che, proprio per la mancata segnalazione di una situazione del genere, ebbe qualche anno fa a verificarsi l’incidente all’aeroporto di
Milano-Linate con 140 morti. Un
aereo di linea in fase di decollo si
scontrò sulla pista con un piccolo
aereo in manovra che proprio in
quell’istante stava attraversando
la pista di decollo. Il pilota del
piccolo velivolo, per il mancato
funzionamento del radar di terra
(che era guasto da qualche mese),
non aveva avuto la segnalazione
del divieto di entrare nella pista
impegnata dall’aereo di linea. Il
disastro sarebbe stato di certo
evitato se i piloti, che in precedenza avevano effettuato la medesima e pericolosa manovra con il
radar di terra non funzionante
avessero comunicato la situazione
di rischio alle competenti autorità.
Ciò avrebbe indotto gli organi competenti a porre immediato rimedio,
attivandosi a far riparare l’apparecchiatura.
Un tipo di misure analoghe
basate sulla comunicazione ed informazione dovrebbero essere
adottate nelle strutture sanitarie
pubbliche e private per prevenire
gli incidenti in corsia.
Il primo passo è quello della
promozione della cultura della prevenzione, che si attua attraverso il
monitoraggio e la comunicazione
degli errori, che coinvolga tutti coloro che operano nel mondo della
sanità, ivi compresi i pazienti.
Un’altra strada in parallelo è
quella, già seguita con successo
in molte strutture sanitarie, della
check list e del rtuf. La prima si
sostanzia in una elencazione minuziosa della situazione del paziente non solo anamnestica, ma
comprensiva di ogni informazione
attinente al suo stato fisico ed
alla patologia che ha determinato
il ricorso alla cure ospedaliere. Il
secondo, che è l’acronimo di registro unico del farmaco contiene,
raccoglie tutte le informazioni sui
farmaci prescritti ed assunti dal
paziente.
C’è, infine, una terza strada,
che in futuro avrà di certo un considerevole sviluppo, già percorsa
con successo nel centro trapianti
dell’ospedale Le Molinette di Torino. Si tratta dell’utilizzo in sala
operatoria della cosiddetta “scatola nera”. Si è fatto, cioè, ricorso ad
un sistema di sicurezza proprio
degli aerei per ricercare la cause
degli incidenti. Colla scatola nera
in sala operatoria vengono microfilmati – ovviamente con il consenso dei pazienti – tutti gli interventi
chirurgici. In tal modo si registra
tutto ciò che ivi si verifica. Il che
sortisce non solo l’effetto di prevenire nuovi incidenti ma anche di
facilitare la soluzione di eventuali
controversie tra medici e pazienti.
Fotolia
La “Carta di Saint Vincent”
La sua intestazione è: “Documento di consenso su errore e
responsabilità nelle organizzazioni
sanitarie complesse”. È stata
messa a punto nella omonima località valdostana lo scorso 20 ottobre 2010 per arginare la medicina difensiva. L’errore viene definito
come «un evento da cui apprendere per evitare che si ripeta». La
Carta precisa che è stato proprio
l’eccessivo accanimento dei pazienti nel trascinare in giudizio i
medici ad incrementare la medicina difensiva. Ed il mancato arresto
del fenomeno accompagnato dall’adozione da parte dei medici di
comportamenti inappropriati di tipo, appunto, difensivo non solo
ostacola la costruzione delle procedure utili ad intercettare gli errori prima che essi accadano ma
comporta anche il serio rischio di
frenare il progresso scientifico della medicina.
Contiene, quindi, l’invito ai
pazienti a superare “la cultura
della colpa” ad ogni costo del medico nei casi in cui la prestazione
non dia il risultato sperato in ragione di un presunto errore. E ciò in
quanto il rischio di sbagliare è intrinseco nell’attività medico-chirurgica.
La Carta, poi, fa preciso obbligo ai medici di dare la massima
trasparenza al loro operato professionale attraverso la comunicazione al paziente degli eventuali errori commessi nel corso della prestazione professionale fornendo
un’adeguata spiegazione sulle
cause che li hanno determinati. E
ciò per consolidare il rapporto di
fiducia con il paziente. Auspica,
altresì, lo sviluppo di nuovi sistemi
della gestione del rischio clinico
con un intervento normativo che
ridisegni criteri più elastici e meno
punitivi nell’attribuzione delle responsabilità penali e civili in sintonia con lo sviluppo della scienza e
delle frontiere della medicina del
nuovo millennio, nonché dei compiti sempre più complessi e difficili che essa assegna ai medici. Si
pensi alle terapie con le cellule
staminali e con i fattori di crescita
nonché ai farmaci biologici. In un
futuro non molto lontano non sarà
più l’organo ad essere curato ma
il genoma. E difatti per sconfiggere
alcune gravi patologie che affliggono l’uomo la soluzione si troverà
nel DNA. Si passerà, quindi, dalla
L’incremento del
cura dell’organo a quella delle celcontenzioso, che si è lule, dalle cellule al nucleo cellularegistrato in questi
ultimi anni a carico re e da questo al cromosoma e dal
cromosoma al genoma.
dei medici, è in
In definitiva nella “Carta di
buona parte dovuto
alla concezione che Saint Vincent” i medici ribadiscooggi si dà all’errore no che essi, così come hanno
nella prestazione
fatto per il passato, vogliono prensanitaria.
dersi cura dei pazienti, ma desiderano che tale impegno deontoThe increase in legal
logico venga dai medesimi ricamdisputes in recent
biato colla massima fiducia nella
years is the
loro capacità professionale. La
responsibility of
physicians, and is
loro disponibilità al dialogo, la rilargely due to the
sposta alle domande, la voglia di
conception that
combattere i propri errori deve
nowadays is given to
errors in healthcare. rappresentare per i pazienti la
migliore garanzia della correttezza
del loro operare.
Indubbiamente i tempi sono
maturi anche per una ridefinizione
del concetto di responsabilità medica proprio in ragione del tipo di
prestazione che i sanitari del nuovo millennio saranno chiamati ad
effettuare. Se, infatti oggi un chirurgo in venti anni di attività ha
ottanta probabilità su cento di ricevere un avviso di garanzia, in futuro, se non cambia la vigente normativa, queste probabilità passeranno al cento per cento.
L’attuazione dei principi indicati nella “Carta di Saint Vincent”
nel facilitare la ricerca di nuovi
percorsi terapeutici potrà ricreare
il rapporto di fiducia fra medico e
paziente con il superamento della
medicina difensiva.
E di ciò ne trarrà un grande
ed incalcolabile beneficio la salute
di tutti noi.
GIUSTIZIA 79
La Costituzione Italiana
Conoscerla
per amarla
FRANCESCO SAVERIO CERRACCHIO
Presidente Vicario e di Sezione
del Tribunale di Sondrio
N
on si può amare la Costituzione se non la si
conosce. Non si può
apprezzarla, ma neppure giudicarla, se non si conoscono i principi e i valori in essa
contenuti.
La conoscenza è, infatti, un
presupposto indispensabile per
esprimere qualsiasi giudizio, positivo o negativo, favorevole o critico. Un giudizio dato senza un’adeguata conoscenza del fatto o della questione in esame non può
costituire una corretta valutazione, giusta o sbagliata che sia, e
può dar luogo soltanto a possibili
pregiudizi.
Ebbene, sembra logico e doveroso, alla luce di quanto sopra
detto, ritenere che la nostra Costi-
The Italian Constitution.
To know it is to love it
Not only are the choices we make often unproductive. Sometimes
we destroy even our greatest achievements. A recently approved
law had introduced the teaching of “Citizenship and the
Constitution”, but we quickly decided against it and filed that
fundamental issue away in a historical curricular discussion.
It seems that the Charter proclaiming our basic values, born out of
the Risorgimento and which balances political power with great
patience, is to be used according to one’s personal convenience.
The tense relations existing between the magistracy and the
political system are a perfect example. Our Constitution, an old
yet healthy old lady, should be abided by for the good of all.
80 GIUSTIZIA
tuzione, la cui importanza non può
essere disconosciuta, essendo la
legge fondamentale dello Stato
Italiano, sia insegnata nelle scuole
come materia autonoma. Ed infatti, sia pure tardivamente, la legge
n. 169 del 2008 ha istituito l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” come disciplina autonoma con l’obiettivo appunto di insegnare i valori della convivenza civile e il rispetto della legalità nelle
scuole di ogni ordine e grado.
Obiettivo questo di grande rilievo e
significato etico-sociale nell’attuale periodo storico caratterizzato da
una larga e diffusa illegalità a tutti
i livelli e da un generale indebolimento del senso civico.
Ma le buone intenzioni hanno
avuto breve durata in quanto nell’ottobre dell’anno scorso inspiegabilmente il Ministero dell’Istruzione
con la circolare n. 86 ha disposto
che “Cittadinanza e Costituzione”
non doveva più considerarsi una
materia autonoma, ma che essa
doveva rientrare nell’ambito storico-geografico o storico-sociale e
non aveva diritto ad una autonoma
valutazione.
Così la Costituzione ha perso
la rilevanza che giustamente le era
stata riconosciuta ed è ritornata
ad essere considerata una materia secondaria come è sempre
stata fin dai tempi in cui era compresa nell’insegnamento di “storia
ed educazione civica”. Peccato,
perché ben altra considerazione
meriterebbero i suoi principi ed i
suoi valori che costituiscono il patrimonio ideale della nostra storia
e della nostra identità nazionale.
In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia è doveroso ricordare la nostra Costituzione, che è, come si è detto, la
Carta fondamentale dello Stato
Italiano.
Essa ha ormai più di sessant’anni essendo stata promul-
gata dal Capo provvisorio dello
Stato, Enrico De Nicola, il 27 dicembre 1947, ed è la più antica Costituzione scritta europea, esclusa
quella inglese che è orale. Essa
costituisce la Carta dei principi e
dei valori che sono alla base del
patto di convivenza civile e dell’ordinamento repubblicano e democratico del popolo e dello Stato
Italiano.
Il grande giurista e padre della Costituzione, Piero Calamandrei, nel discorso ai giovani tenuto
alla Società Umanitaria a Milano il
26 gennaio 1956, disse: «Se voi
volete andare in pellegrinaggio nel
luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne
dove caddero i partigiani, nelle
carceri dove furono imprigionati,
nei campi dove furono impiccati.
Dovunque è morto un italiano per
riscattare la libertà e la dignità,
andate lì, o giovani, col pensiero,
perché lì è nata la nostra Costituzione».
Storia, natura e caratteristiche
della Costituzione
Il quadro storico, politico ed
economico era molto diverso da
quello attuale quando si cominciò
a costruire la nostra Costituzione.
L’Italia stava uscendo dalla guerra
e dalla dittatura. Muoveva i primi
passi verso la democrazia.
L’Assemblea costituente si
riunì per la prima volta il 25 giugno
1946 a Palazzo Montecitorio. Il
testo definitivo venne approvato il
27 dicembre 1947 con il 90% dei
voti ed entrò in vigore il 1° gennaio
1948.
Giuseppe Saragat nel discorso inaugurale tenuto all’Assemblea costituente il giorno 26 giugno 1946 disse: «Fate che il volto
di questa Repubblica sia un volto
umano. Ricordatevi che la democrazia non è soltanto un rapporto
tra maggioranza e minoranza, non
è soltanto un armonico equilibrio
di poteri sotto il presidio di quello
sovrano della Nazione, ma è soprattutto un problema di rapporti
fra uomo e uomo. Dove questi
rapporti sono umani, la democrazia esiste, dove sono inumani,
essa non è che la maschera di una
nuova tirannide».
La Costituzione non è una
legge come le altre. Rappresenta
il fondamento della nostra democrazia. È la Carta dei valori fondamentali, dei diritti di tutti e delle
regole per tutti. È il prodotto di un
popolo che usciva sconfitto dalla
guerra e di una nazione che ha
fatto propri i principi del costituzionalismo liberale e democratico. È
il prodotto della convergenza di
forze e ideologie diverse nell’affermazione di valori e principi comuni.
Conoscere la Costituzione
significa, innanzi tutto, ricordare il
contesto storico, sociale e politico
nel quale essa fu emanata.
Dopo un dibattito politico appassionato e di altissimo livello
confluirono nel testo della Costituzione tre grandi filoni politici ideali,
rappresentati dalle tre personalità
che lo sottoscrissero: Enrico De
Nicola, capo provvisorio dello Stato, Umberto Terracini, presidente
dell’Assemblea costituente, Alcide
De Gasperi, presidente del Consiglio. Essi diedero luogo ad un compromesso elevato, ad un grande
patto costituente in cui esprimere
As the great jurist
and politician Piero
Calamandrei
(1889-1956) said,
ours is a
Constitution which
comes from the
Risorgimento and
there are traces of
our culture and
history in it.
La Costituzione
Italiana è stata
approvata il 27
dicembre 1947.
The Italian
Constitution was
approved on 27th
December 1947.
sia i principi naturali dell’uomo sia
i valori della rinascita del Paese e
della futura convivenza.
Fu certamente questo il primo “miracolo italiano”: quello di un
Paese sconfitto e diviso, che seppe maturare e formulare un alto
programma di democrazia, libertà,
uguaglianza, solidarietà.
Conoscere la Costituzione
significa, anche, capire che i principi ed i valori espressi sono il
frutto della condivisione di un impegno comune a rispettarli e ad
attuarli, nonostante le diversità
politiche ed ideologiche.
Essi sono e devono restare
patrimonio di tutti, non di una
maggioranza o di un’opposizione,
e sono principi tuttora validi ed
attuali perché radicati nella coscienza e nella natura dell’uomo.
Nella Costituzione repubblicana ci sono la nostra cultura e la
nostra storia. È una Costituzione
venuta dal Risorgimento, come
diceva Piero Calamandrei, il quale
nel discorso fatto ai giovani nel
ventennale della Costituzione appunto affermava: «Quando io leggo nell’art. 2 (l’adempimento dei
doveri inderogabili di solidarietà,
politica, economica e sociale) o
quando leggo nell’art. 11 (l’Italia
ripudia la guerra come strumento
di offesa alla libertà di altri popoli),
“la patria italiana in mezzo alle
altre patrie”, ma questo è Mazzini!
O quando io leggo nell’art. 8 (tutte le confessioni religiose sono
ugualmente libere davanti alla legge), ma questo è Cavour! O quando io leggo nell’art. 5 (la Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e
promuove le autonomie locali), ma
questo è Cattaneo! O quando
nell’art. 52 io leggo, a proposito
delle forze armate (l’ordinamento
delle forze armate si informa allo
spirito democratico della Repubblica), e questo è Garibaldi! O
quando leggo all’art. 27 (non è
ammessa la pena di morte), ma
questo è Beccaria! Dietro ogni
articolo di questa Costituzione o
giovani, voi dovete vedere giovani
come voi, caduti combattendo,
fucilati, impiccati, torturati, morti
di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in
Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che
hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere
scritte su questa Carta. Questo è
un testamento, un testamento di
centomila morti».
Questo passo del discorso
del Calamandrei è una lettura obbligata per conoscere la nostra Costituzione e per collegarla al 150°
anniversario dell’Unità d’Italia.
Fototeca Gilardi
Olycom
Come asseriva il
grande giurista e
uomo politico Piero
Calamandrei
(1889-1956), la
nostra è una
Costituzione che
viene dal
Risorgimento e in
essa vi sono le
tracce delle nostre
cultura e storia.
GIUSTIZIA 81
Stato di diritto,
divisione ed equilibrio dei poteri
La contrapposizione fra i partiti e l’incertezza sul futuro rendevano inevitabile il ricorso ad una
impostazione garantista, che prevedeva la divisione e l’equilibrio fra
i poteri per evitare il rischio di un
nuovo autoritarismo. Non dimentichiamo che uscivamo da un lungo
periodo di dittatura.
Fu pertanto applicato il principio della separazione dei poteri
(legislativo, esecutivo, giudiziario)
teorizzato dal barone di Montesquieu. Nella sua opera Lo spirito
delle leggi il Montesquieu affermò
il principio «che il potere arresti il
potere», intendendo appunto dire
che i poteri fossero affidati a mani
diverse e non alle stesse persone
o istituzioni, per evitare sconfinamenti e degenerazioni.
Saggiamente, dunque, i nostri
Padri costituenti costruirono uno
Stato di diritto, basato sulla divisione dei poteri, in cui però nessun
potere è assoluto, neppure quello
del popolo, che è sovrano ma la
sovranità la esercita «nelle forme e
nei limiti della Costituzione» (art. 1).
Non è assoluto il potere legislativo costituito dalle due Camere che esercitano la funzione
legislativa.
Le leggi, infatti, sono soggette al controllo preventivo di costituzionalità del presidente della Repubblica, che prima di promulgarle
può chiedere alle Camere una
nuova deliberazione (art. 74) e al
controllo eventuale e successivo
della Corte Costituzionale, che, se
investita, può annullarle anche
parzialmente (art. 134).
Non è assoluto, inoltre, il potere esecutivo.
Il Governo, composto dal presidente del Consiglio e dai ministri,
deve avere la fiducia delle due
Camere, che possono accordarla
o revocarla (art. 94). Il presidente
della Repubblica nomina il presidente del Consiglio e, su proposta
di questo, i ministri. Gli atti del
Governo sono soggetti al controllo
preventivo di legittimità della Corte
dei Conti e anche a quello successivo sulla gestione del bilancio
dello Stato (art. 100).
82 GIUSTIZIA
La Pubblica Amministrazione
deve seguire criteri di buon andaità (art. 97).
mento e di imparzialità
Contro gli atti della P.A. è
sempre ammessa
la tutela giurisdizionale (art. 113).
Non è assoluto, infine, il potere
giudiziario.
o
I giudici sono
a
soggetti soltanto alla
a
legge (art. 101). La
uimagistratura costituinosce un ordine autonomo e indipendente da
art.
ogni altro potere (art.
ono
104). I magistrati sono
iglio
governati dal Consiglio
straSuperiore della Magistrano le
tura, al quale spettano
azioni
assunzioni, le assegnazioni
ed i trasferimenti, le promoenti dizioni ed i provvedimenti
sciplinari (art. 105). Il C.S.M.
sidente
è presieduto dal presidente
della Repubblica ed è compo
composto per due terzi da componenti
eletti da tutti i magistrati ordinari
e per un terzo dal Parlamento (art.
104). Il ministro della Giustizia ha
facoltà di promuovere l’azione disciplinare (art. 107). A lui spettano
l’organizzazione e il funzionamento
dei servizi relativi alla giustizia (art.
110). Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale
(art. 112). I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se
non con il loro consenso o in seguito a decisione del C.S.M. con le
garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario (art. 107).
Va evidenziato che l’indipendenza della magistratura è uno dei
principi fondamentali della Costituzione sancito a tutela dell’uguale e
imparziale applicazione della legge nei confronti di tutti i cittadini.
Solo magistrati indipendenti, infatti, possono garantire l’imparzialità
e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
Tale indipendenza, dunque,
non costituisce un privilegio o una
prerogativa a tutela dei magistrati
o di una corporazione, bensì una
garanzia per i cittadini posta a
salvaguardia di valori costituzionalmente protetti come l’imparzialità della funzione giudiziaria e
l’uguaglianza dei cittadini dal’uguaglia
vanti alla legge.
Naturalmente l’indipenNa
denza non
n è assoluta perché
si è voluto
vo
evitare il rischio
che la magistratura potesse
costituire un corpo separato
costitu
dello Stato. La separazione
dagli altri poteri non è netta e totale, in quanto sono
previsti nella stessa Costiprev
tuzione un bilanciamento
tuzi
e un
u equilibrio sia con il
potere legislativo, che
po
deve emanare le leggi
de
alle quali i giudici sono
a
e
esclusivamente sogggetti e che deve regolam
mentare l’esercizio
della funzione giurisdizionale e organizzare
gli uffici giudiziari, sia
con il potere
pot
esecutivo, al quale spetta a
attraverso il ministro
La nostra banca, nel della Giustizia la sorveglianza sugli
1978, in occasione uffici giudiziari con la facoltà di
della “Giornata
promuovere ispezioni e di esercitaMondiale del
re l’azione disciplinare nei confronRisparmio” ha
ti dei magistrati.
donato a tutti gli
Ma il raccordo più significatistudenti valtellinesi
vo tra potere giudiziario e potere
una copia della
Costituzione Italiana: politico è stato previsto nella comCarta dei valori
posizione del C.S.M. con la prefondamentali, dei
senza di un terzo dei componenti
diritti di tutti e delle
designati dal Parlamento tra i quaregole per tutti.
li deve anche essere scelto il vice
Our bank, in 1978, presidente.
on the “World Day
of Saving” gave all
pupils in the
Valtellina a copy
of the Italian
Constitution:
a Charter
of fundamental
values, rights for all
and rules for all.
Rapporti
tra magistratura e politica
I rapporti tra magistratura e
politica in Italia non sono mai
stati idilliaci, ma negli ultimi tempi
essi sono diventati più tesi e conflittuali.
Venuta meno l’immunità parlamentare, abolita nel 1993, l’azione penale, che è obbligatoria, è
stata esercitata liberamente e
cioè senza alcun filtro preventivo,
come una volta, nei confronti dei
politici, anche di primo piano. Naturalmente, sono seguite inevitabili strumentalizzazioni politiche e
rilevanti conseguenze sul sistema
politico. Può essere anche accaduto qualche eccesso, errore o
le e dall’equilibrio dei poteri delineato dalla Costituzione, che costituisce anzi un punto di riferimento
nel mondo. Pertanto, le annunciate riforme costituzionali della giustizia (diversa composizione del
C.S.M., ruolo e poteri del P.M. e del
ministro della Giustizia) non risolverebbero i problemi della giustizia
e modificherebbero negativamente proprio quel delicato equilibrio
tra i poteri disegnati dalla Carta
Costituzionale.
Olycom
sconfinamento e le critiche in proposito sono sempre legittime, ma
le reazioni a volte sono state esagerate o scomposte tanto da tradursi, in alcuni casi, nella denigrazione o addirittura nella delegittimazione di singoli magistrati o uffici
Angiolino Alfano,
giudiziari o dell’intera magistratura.
Ministro della
I rapporti tra magistratura e
Giustizia, e Michele
politica sono correttamente rego- Vietti, vicepresidente
lati dalla Costituzione che ha predel Consiglio
visto per i singoli poteri funzioni e
Superiore della
ruoli diversi e separati, inserendoli
Magistratura.
in un sistema equilibrato che ne
regola l’ordinato funzionamento e
ne evita possibili sconfinamenti o
degenerazioni.
Più volte il presidente della
Repubblica, supremo garante della Costituzione, è giustamente intervenuto per invitare i magistrati
a rispettare le prerogative dei parlamentari e i politici a rispettare
l’attività della magistratura. Recentemente il presidente Napolitano, in occasione della celebrazione della “Giornata dell’Informazione” è tornato ad invitare magistrati e politici al rispetto reciproco e
a sollecitare l’equilibrio tra chi «è
costituzionalmente deputato ad
esercitare il controllo di legalità
ed ha l’obbligo di esercitare l’azione penale», cioè i magistrati, e
chi svolge funzioni di rappresentanza di governo nel quadro istituzionale e secondo le regole
Angiolino Alfano,
della Costituzione. Riguardo alla Minister of Justice
giurisdizione, ha aggiunto il presi- and Michele Vietti,
Deputy President
dente, vanno ricercate soluzioni e
of the Higher Council
scelte organiche condivise «capaof the Judiciary.
ci di risolvere alla radice il problema della giustizia».
Ma il faro non può che essere
la Costituzione, ove sono già contenuti, secondo il capo dello Stato,
i principi generali, le norme e le
procedure con le quali si possano
far valere sia le ragioni della legalità sia le garanzie del giusto processo.
Il problema dei rapporti tra
politica e magistratura va, dunque,
risolto osservando rigorosamente
i limiti delle rispettive competenze
senza invasioni di campo o interferenze e strumentalizzazioni.
Va infine rilevato che l’inefficienza del sistema giustizia non
dipende dall’assetto ordinamenta-
Modernità e attualità
della Costituzione
La Costituzione non è un testo superato. A distanza di tanti
anni si può dire che è una Carta
ancora viva, moderna ed attuale. I
suoi principi, già recepiti nella Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo proclamata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel dicembre del 1948, sono stati recentemente riconosciuti anche dall’Unione europea con il trattato di Lisbona entrato in vigore il 1°
dicembre 2009.
Il senatore Andreotti ha definito la nostra Costituzione «un
mobile antico di grande valore» ed
ha aggiunto che se tutti i tentativi
di cambiarla sono falliti vuol dire
che «quel mobile antico ha più valore di uno nuovo».
Essa è addirittura una Costituzione profetica laddove nell’art.
11 contempla la possibilità di rinunciare parzialmente alla sovranità a parità di condizioni con gli altri
Stati per assicurare la pace e la
giustizia fra le Nazioni. Questo
principio, che è stato giustamente
definito una finestra sull’Europa,
ha reso possibile il nostro ingresso
nell’Unione europea.
Eppure, è diffusa l’opinione
che la Costituzione sia comunque
superata e vada sostituita. Si invoca la necessità di semplificare e di
rendere più stabili i Governi e più
veloci i processi decisionali (la cosiddetta governabilità).
Non si intende toccare i principi e i diritti fondamentali sanciti
nella prima parte della Costituzione, bensì si vuole modificare profondamente la seconda parte,
quella dedicata all’Ordinamento
della Repubblica, assegnando
alle Regioni maggiore autonomia,
aumentando i poteri del capo del
Governo, modificando l’organizzazione parlamentare, riducendo il
numero dei deputati e dei senatori e introducendo il Senato federale.
Tali modifiche, se ritenute
necessarie, potranno essere introdotte a condizione però che non
stravolgano l’impianto costituzionale, tuttora valido, e che raccolgano una larga convergenza di consensi in Parlamento, perché è evidente che una riforma costituzionale richiede un’ampia condivisione
politica e non può essere approvata da un’esigua maggioranza. Ci si
augura anche che eventuali riforme vengano fatte secondo lo spirito e la coesione con cui la Costituzione fu approvata, affinché la
stessa continui ad essere percepita come la legge fondamentale di
tutti e non di una sola parte.
Giustamente il capo dello
Stato, Giorgio Napolitano, in occasione dell’inaugurazione al Quirinale delle celebrazioni per il 60° anniversario della Costituzione ha
paragonato la nostra Costituzione
ad una «signora in buona salute e
tuttavia con qualche ruga, qualche
inevitabile segno dell’età, che si
possono eliminare, lasciando però
intatto e ben riconoscibile il suo
volto».
GIUSTIZIA 83
Valchiavenna. Cascata presso l’Alpe Campo, in Val Garzelli (foto Mauro Lanfranchi)
Foto Sgualdino
Fede e scienza
La mia non è e non può essere una presentazione dell’illustre
ospite, in quanto è un ospite che si presenta da sé, essendo
universalmente conosciuto.
Detto questo, saluto le autorità, le religiose, i religiosi
presenti e tutti Voi signore e signori, dando il benvenuto.
Un affettuoso e caloroso saluto, in uno con la riconoscenza,
è per il conferenziere Signor Cardinale Gianfranco Ravasi,
innalzato alla porpora da poco più di un mese (20 novembre)
con una suggestiva cerimonia, alla quale ho presenziato insieme
con il direttore generale Pedranzini.
Mi unisco alla letizia della comunità dei credenti, formulando al nuovo Principe della Chiesa – nominato dal Santo
Padre, di cui è collaboratore, con la prerogativa di far parte del
Collegio cardinalizio che ha il diritto di elezione dei nuovi papi
– fervidissimi auguri di ogni bene.
Ringrazio Maria Teresa e Anna Maria, sorelle del conferenziere, per la gradita presenza.
La conferenza di questa sera è la nona che il rinomato
biblista Gianfranco tiene in questa sala. La sua voce è quella (mi
sia consentita l’espressione) del cardinale dalla bocca d’oro,
novello “crisostomo”, voce che acquista portata sempre più vasta
e risonanza più larga. Come tutti i grandi personaggi, suscita
intorno a sé ammirazione ed entusiasmo per i doni della sua
eloquenza.
Tema dell’incontro è “Fede e scienza”. Un binomio che ne
richiama un altro: uomo e religione. Voglio ricordare due libri in
argomento, scritti recentemente da Sua Eminenza – edizione
Mondadori: l’uno “500 curiosità della Fede”; l’altro “150 risposte ai perché di chi crede e di chi non crede”. Mi permetto inoltre
di citare un’antologia a cura di Umberto Casale, che sta spopolando, intitolata “Fede e scienza. Un dialogo necessario” e che
riunisce alcuni dei più importanti testi scritti da Joseph Ratzinger,
prima come cardinale e poi da pontefice.
Non poche sono le massime sul binomio ricordato. Mi
permetto di ricordarne due. Einstein: «La scienza senza la
religione è zoppa; la religione senza la scienza è cieca». Trilussa:
«Credo in Dio onnipotente ma... ci hai quarche dubbio? Tiettelo
per te. La Fede è bella senza li chissà, senza li come e senza li
perché».
Grazie!
Piero Melazzini
Presidente della Banca Popolare di Sondrio
SALA “FABIO BESTA” DELLA BANCA POPOLARE DI SONDRIO
SONDRIO, MERCOLEDÌ 22 DICEMBRE 2010
86 INCONTRI BPS
Il folto pubblico
presente in sala
“Fabio Besta” ha
seguito con sommi
attenzione e
interesse la dotta
esposizione del
signor Cardinale
Gianfranco Ravasi.
CARD. GIANFRANCO RAVASI
Presidente del Pontificio Consiglio
della Cultura e delle Pontificie
Commissioni per i Beni Culturali
della Chiesa e di Archeologia Sacra
The large audience
in the “Fabio Besta”
room followed the
learned lesson by
Cardinal Gianfranco
Ravasi with great
attention.
Foto Sgualdino
L
a riflessione che ora proponiamo suppone, da un
lato, un orizzonte immenso difficilmente esauribile all’interno di un saggio e ancor
più di un intervento sintetico; d’altro lato, costringe a inerpicarsi su
sentieri d’altura, considerando la
complessità dei metodi e dei temi
che sono coinvolti. Cercheremo,
allora, di attestarci solo sul piano
di un discorso generale riguardante i rapporti tra fede e scienza così
come si sono configurati e si configurano. Presenteremo semplicemente in modo sommario i percorsi principali seguiti dalle due discipline, scienza e teologia, nel loro
confrontarsi, spesso sospettoso e
fin dialettico per non dire antitetico. Il “caso Galileo” rimane – nonostante tutte le puntualizzazioni
e le precisazioni storiografiche –
una sorta di vessillo sempre sventolato e il tribunale della storia è
ancora aperto non tanto per un
giudizio sul passato, quanto piuttosto come monito minaccioso e
mai archiviato per il presente e il
futuro dei rapporti tra scienza e
teologia. Sostanzialmente possiamo dire che queste relazioni hanno visto l’affermarsi di una triplice
tipologia (spesso in contemporanea a livello storico): l’alternativa
polemica, il parallelo distaccato, il
dialogo sorvegliato.
Il risultato auspicabile dovrebbe essere quello fatto balenare
nella celebre battuta di Albert Einstein nel suo scritto autobiografico
Out of My Later Years (1950): «La
scienza senza la religione è zoppa,
la religione senza la scienza è cieca». Un pensiero echeggiato nel
discorso di Giovanni Paolo II in occasione del centenario della nascita (1879-1979) dello stesso Einstein. Il Papa, infatti, citando la
Gaudium et Spes (n. 7), ricordava:
«Anche la vita religiosa è sotto
l’influsso delle nuove situazioni…
un più acuto senso critico la purifica da ogni concezione magica del
mondo e dalle sopravvivenze superstiziose». Ancor più sintetico ed
esplicito il famoso scienziato Max
Planck nel suo saggio sulla Conoscenza del mondo fisico (edizioni
1906, 1947) affermava che «scienza e religione non sono in contrasto, ma hanno bisogno una dell’altra per completarsi nella mente di
un uomo che pensa seriamente».
Da un lato, è, allora, necessario che lo scienziato lasci cadere
quell’orgogliosa autosufficienza
che lo spinge a relegare la filosofia
e la teologia nel deposito dei relitti di un paleolitico intellettuale e
quell’hybris che lo illude di dichiarare la capacità onnicomprensiva
della scienza nel conoscere, circoscrivendo ed esaurendo la totalità
dell’essere e dell’esistere, del senso e dei valori. Ma, d’altro lato, si
deve vincere anche la tentazione
del teologo desideroso di perimetrare i campi della ricerca scientifica e di finalizzarne o piegarne i risultati apologeticamente a sostegno delle sue tesi. Come scriveva
il filosofo tedesco Friedrich Schel-
ling a proposito del rapporto tra
storia e fede, potremmo ribadire la
necessità che scienziato e teologo
«custodiscano castamente la loro
frontiera», rimanendo aderenti ai
loro specifici canoni di ricerca,
pronti però anche a rispettare e a
tenere in considerazione i metodi
e i risultati degli altri approcci alla
realtà in esame.
È, dunque, importante proporre innanzitutto una sorta di
“coesistenza pacifica” tra scienza
e fede, lasciando alle spalle quello
scontro che ha un vertice (o una
sorgente) nel positivismo del filoNOTIZIARIO
sofo francese Auguste Comte, negatore della «legittimità di ogni interrogazione al di là della fisica». Incontri BPS
Faith and science
The confrontation between science and faith and their presumed
irreconcilability is ancient: Galileo was a sacrificial victim.
The solution for breaking through the sterile pretence for priority
today is a peaceful coexistence between the two fields. According
to Einstein, science without religion was lame, and religion without
science was blind. Planck believed they both counterbalance each
other. Wittenstein was more categorical and apparently devoted to
extreme positivism: that is, we must keep quiet on that which
cannot be said. Less extreme, Nietzsche held that science and
faith were neither friends nor enemies: they occupy different
spheres. Even John Paul II in a letter dated 1988 urged that they
should be considered distinct yet not separate.
INCONTRI BPS 87
Fototeca Gilardi
An allegorical image
representing the
relationship of
Man with the
Cosmos. Xylograph,
anonymous, 16th
century.
A destra: la Fede,
porta meridionale
del Battistero di San
Giovanni e Gionitus
(l’astronomia),
Campanile di Giotto,
a Firenze.
Entrambe le formelle
sono opera di
Andrea Pisano
(1290-1348).
On the right: Faith,
the southern door
of the Baptistery
of St. John and
Jonitus (Astronomy),
Giotto’s bell tower,
in Florence.
Both tiles by Andrea
Pisano (1290-1348).
88 INCONTRI BPS
Un impulso ulteriore a questa discrasia radicale è riconoscibile nel
neopositivismo del Novecento. Il
Tractatus logico-philosophicus di
Ludwig Wittgenstein (1921) dichiarava come prive di senso le proposizioni della metafisica, dell’etica e
dell’estetica, perché esse non sono immagine di nessun fatto del
mondo. I neopositivisti del cosiddetto “Circolo di Vienna” (Schlick,
Neurath, Carnap e così via) andarono oltre e interpretarono in senso svalutativo radicale l’affermazione di Wittgenstein riguardo ai
discorsi non scientifici. In realtà,
per il filosofo viennese – che non
era certo un agnostico – si tratta
solo di un’“ineffabilità” insita in
quelle proposizioni, per cui «su ciò
di cui non si può parlare, si deve
tacere», e non certo di una loro
assurdità. Anche se sopravvivono
ancora ben vigorosi epigoni delle
tesi del “Circolo”, come Dawkins e
altri difensori di uno scientismo a
oltranza, tale impostazione viene
ormai considerata come marginale e semplificatoria.
Infatti ci si muove sempre di
più secondo un reciproco e coerente rispetto tra i due campi: la
scienza si dedica ai fatti, ai dati,
alla “scena”, al “come”; la metafisica e la religione si consacrano ai
valori, ai significati ultimi, al “fondamento”, al “perché”, secondo
specifici protocolli di ricerca. È
quella che lo scienziato statunitense Stephen J. Gould, morto nel
2002, ha sistematizzato nella formula dei Non-Overlapping-Magisteria (NOMA), ossia della non-sovrapponibilità dei percorsi della
conoscenza filosofico-teologica e
della conoscenza empirico-scientifica. Essi incarnano due livelli metodologici, epistemologici, linguistici che, appartenendo a piani
differenti, non possono intersecarsi, sono tra loro incommensurabili,
risultano reciprocamente intradu-
cibili e si rivelano in tal modo non
conflittuali. Come scriveva già nel
1878 Nietzsche in Umano, troppo
umano: «Fra religione e scienza
non esistono né parentele né amicizia ma neppure inimicizia: vivono
in sfere diverse».
Riconosciuta la positività di
tale impostazione, che rigetta facili concordismi sincretistici e assegna pari dignità ai diversi tracciati
di analisi della realtà, bisogna però opporre una riserva che è ben
evidente già a partire dalla stessa
esperienza storica. Entrambe,
scienza e teologia (o filosofia),
hanno in comune l’oggetto della
loro investigazione (l’uomo, l’essere, il cosmo) e – come ha osservato acutamente Michał Heller, Premio Templeton 2009, nel suo bel
saggio Nuova fisica e nuova teologia – «esistono alcuni tipi di asserzioni che si lasciano trasferire dal
campo delle scienze sperimentali
a quello filosofico e viceversa senza confondere i livelli», anzi, con
esiti fecondi (si pensi al contributo
che la filosofia ha offerto alla
scienza riguardo alle categorie
“tempo” e “spazio”). Inoltre, continua lo studioso polacco, «la di-
Photo Oilime
Immagine allegorica
che rappresenta il
rapporto dell’Uomo
con il Cosmo.
Incisione xilografica
di anonimo del XVI
secolo.
Photo Oilime
Foto Sgualdino
stinzione dei livelli non dovrebbe
legittimare l’esclusione aprioristica della possibilità di qualsiasi
sintesi». È così che ha preso vigore, accanto alla sempre valida (a
livello di metodo) “teoria dei due
livelli”, una sussidiaria “teoria del
dialogo” propugnata da Józef Tischner che fa leva sul fatto che
ogni uomo è dotato di una coscienza unificante e, quindi, ogni ricerca
sulla vita umana e sul rapporto
con l’universo esige una pluralità
armonica di itinerari e di esiti che
si intrecciano tra loro nell’unicità
della persona. Non è soddisfacente, allora, per una più compiuta risposta, dissociare radicalmente i
contributi scientifici da quelli filosofici e viceversa, pena una perdita
della vera “concretezza” della realtà e dell’autenticità della stessa
conoscenza umana che non è
monodica, cioè solo razionale e
formale, ma anche simbolico-affettiva (le pascaliane “ragioni del
cuore”).
Questa “teoria del dialogo” –
che, per altro, faceva parte dell’eredità dell’umanesimo classico – è
fatta balenare anche nella Lettera
che Giovanni Paolo II aveva indiriz-
zato nel 1988 al direttore della
Al termine
dell’incontro, il
Specola Vaticana: «Il dialogo [tra
scienza e fede] deve continuare e cavalier Melazzini,
presidente della
progredire in profondità e in ambanca, si congratula
piezza. In questo processo dobbia- con Sua Eminenza
mo superare ogni tendenza regresReverendissima.
siva che porti verso forme di riduAlla sinistra, il
vicedirettore
zionismo unilaterale, di paura e di
autoisolamento. Ciò che è assolu- generale vicario della
tamente importante è che ciascu- Bps, Giovanni Ruffini.
na disciplina continui ad arricchire,
At the end of the
nutrire e provocare l’altra ad essemeeting,
re più pienamente ciò che deve
essere e contribuire alla nostra visione di ciò che siamo e di dove
stiamo andando». Distinzione ma
non separatezza, dunque, tra
scienza e fede. Il “fenomeno” a cui
si dedica la scienza, ossia la “scena” come sopra si diceva, non è
indipendente dal “fondamento” e,
quindi, esperienza e “trascendenza” sono distinte nei livelli ma non
isolate e incomunicabili.
A questo punto, se vogliamo
Mr. Melazzini,
attestarci solo sul versante che ci
Chairman of the
Bank, congratulated è proprio, quello teologico, possiaHis Very Reverend
mo condividere quanto scriveva
Eminence.
nel 1982 sulla rivista Scripta
On the left, the
Theologica José Luis Illanes: «La
Vicar Deputy General
teologia può attuare il suo contriManager of Bps,
buto solo se si mantiene in contatGiovanni Ruffini.
to con le altre scienze. Essa ha
bisogno di essere ascoltata ma ha
altrettanto bisogno di ascoltare gli
altri saperi. Il teologo, come lo
scienziato, deve essere umile, e in
misura ancor maggiore: non solo
perché ciò che sa lo riceve dalla
parola di Dio, affidata alla Chiesa,
di fronte a cui deve mantenersi in
atteggiamento di devoto ascolto,
ma anche perché riconosce che la
scienza teologica non lo autorizza
a prescindere da altri saperi». Siamo in presenza di due profili dello
stesso volto: cancellato uno, il viso
si sfigura. Per dirla con una battuta
folgorante dei Pensieri di Pascal:
«Due eccessi: escludere la ragioIl testo della
ne, non ammettere che la ragione»
conferenza è stato
rivisto dal Relatore. (n. 253, ed. Brunschvicg).
INCONTRI BPS 89
Quale futuro
per l’economia in Europa
SALA “FABIO BESTA” DELLA BANCA POPOLARE DI SONDRIO
SONDRIO, VENERDÌ 28 GENNAIO 2011
Autorità, signore e signori buona sera.
Sono particolarmente lieto di dare il benvenuto al professor
Guido Tabellini, magnifico rettore della prestigiosa Università
Commerciale Luigi Bocconi di Milano, al quale rinnovo viva
gratitudine per il privilegio nell’aver accolto l’invito a tenere una
conferenza quassù.
Nel ciclo ormai lungo delle nostre conferenze, abbiamo
avuto in questa sala numerose personalità di cultura, e tra di
esse – essendo la Popolare di Sondrio vicina alle università, di
diverse delle quali è tesoriera, compresa la Bocconi – vi sono
stati alti esponenti universitari. Cito – dei conferenzieri venuti
in passato – l’attuale presidente della Bocconi professor Mario
Monti, il quale fu in questa sala il 24 giugno 1988, quand’era
direttore dell’Istituto di Economia Politica dell’ateneo. Parlò sul
tema “L’integrazione finanziaria europea e l’Italia”. Aggiungo
le personalità legate agli atenei che sono state qui recentemente
e che sono i professori Cesare Mirabelli, Lorenzo Ornaghi, Giulio Ballio, Alberto Quadrio Curzio, Giovanni Puglisi, Marcello
Fontanesi.
Questa sera ascolteremo il professor Guido Tabellini, rettore della Bocconi, di cui, come testé detto, siamo da anni – con
soddisfazione, che confido sia reciproca – la banca di riferimento. Presso la stessa operiamo con l’agenzia n. 11, da noi chiamata semplicemente “filiale della Bocconi”. All’ateneo, che ha una
fornitissima biblioteca, siamo altresì collegati attraverso la nostra
Biblioteca Luigi Credaro. Sempre in riferimento ai nostri aspetti culturali, sia pure modesti, non posso non ricordare che il 31
ottobre 2002 siamo stati ospitati dalla Bocconi per la presentazione a Milano del nostro libro, curato da Gavino Manca,
Vilfredo Pareto (1848-1923). L’Uomo e lo Scienziato, corposa opera ispirata al Fondo paretiano da noi acquisito a un’asta
di Christie’s sul calare del 1996. Tra gli autori della pubblicazione vi sono il compianto Giuseppe Pontiggia, Gianfranco
Ravasi, Marco Vitale.
L’Università Commerciale Luigi Bocconi, fondata nel
1902, è specializzata nell’insegnamento delle scienze economiche, giuridiche e manageriali e gli studenti iscritti sono circa
dodicimila.
90 INCONTRI BPS
È noto come molti giovani della provincia di Sondrio, che
intendono intraprendere studi universitari a indirizzo economico,
prediligano la Bocconi, la cui reputazione è ottima e consolidata:
un’eccellente università che prepara alla vita, al lavoro. Tra i tanti
studenti di questa provincia che l’hanno frequentata, non pochi
lavorano presso di noi. Il nostro direttore generale è uno di quelli.
Il tema dell’incontro “Quale futuro per l’economia in Europa” è attuale e di grande interesse, soprattutto oggi che viviamo in un clima di grave incertezza economica, avvolti da una
crisi internazionale e nazionale senza precedenti, che ha sconquassato ovunque le Borse, quindi le finanze e, di conseguenza,
l’economia, il lavoro. Speriamo che abbia a tornare il sereno sui
mercati e la situazione possa normalizzarsi presto.
Il professor Guido Tabellini, classe 1956, economista di
fama internazionale, si è laureato in economia nel 1980 a Torino.
Nell’84 ha conseguito il dottorato presso la UCLA negli
Stati Uniti, dove ha lavorato come assistente per qualche anno.
Rientrato in Italia, ha esercitato la docenza presso le università
di Cagliari e di Brescia.
È poi approdato all’Università Commerciale Luigi Bocconi
come professore di Economia politica, materia che insegna tuttora. Eletto rettore della stessa università nel maggio 2008, è
stato confermato nel prestigioso incarico nel novembre 2010.
Fa parte di diversi centri di ricerca nazionali e internazionali e di comitati scientifici ed editoriali. È autore di numerose
pubblicazioni scientifiche di macroeconomia e politica macroeconomica, economia internazionale e pubblica.
Il professor Tabellini è una firma prestigiosa de Il Sole 24
Ore. Ricordo suoi articoli riferiti all’etica e all’economia, dove con
saggezza l’autore illustra che l’economia e l’etica non sono mondi
distinti e separati. Sempre di etica e mercato egli ha trattato nel
volume di Salvini, Zingales e Carrubba, dal titolo Il buono dell’economia: etica e mercato oltre i luoghi comuni.
(Rivolgendosi al conferenziere) E ora assolvo al mio
compito di consegnarLe la medaglia della nostra banca, a ricordo
di questa importante conferenza.
Piero Melazzini
Presidente della Banca Popolare di Sondrio
GUIDO TABELLINI
Magnifico Rettore della Università
Commerciale “Luigi Bocconi” di Milano
Foto Sgualdino
I
n questa esposizione tratterò
lo scenario economico internazionale, i problemi dell’Europa
e, brevemente, la situazione
dell’Italia.
Gli scenari economici mondiali sono in un momento di ripresa: la crescita mondiale quest’anno sarà infatti attorno al 4% secondo stime di consenso. Sarà però
una ripresa a due velocità, che
vedrà crescere i Paesi emergenti
rapidamente e oltre il loro trend
consueto (probabilmente con una
media attorno al 6-6,3%, con punte superiori all’8% per alcuni, in
particolare Cina e Paesi asiatici). I
Paesi avanzati tenderanno invece
a crescere sotto il loro trend potenziale. Le stime di consenso indicano per gli Stati Uniti una crescita
del 2,50-3%, per l’Europa e il Giappone dell’1,5%, ma solo dell’1%
per l’Italia che farà da cenerentola.
Vorrei qui fare due osservazioni generali. La prima riguarda
una caratteristica delle economie
avanzate che non deve sorprendere, in confronto alle epoche storiche più lontane. Sappiamo che
l’Europa e gli Stati Uniti hanno
commesso l’errore di accumulare
debiti in eccesso e la crisi finanziaria degli anni passati ne è stata la
conseguenza. L’esperienza storica
mostra che questi debiti in eccesso sfociano in crisi finanziarie seguite da periodi di crescita particolarmente lenta, non immediati, ma
lunghi fino a sette-otto anni, o addirittura dieci secondo alcuni economisti. Le economie avanzate
fronteggiano un periodo di crescita
più bassa del solito dovendo smaltire i debiti accumulati.
In secondo luogo, la rapida
crescita delle economie emergenti
non è un fenomeno congiunturale
ma epocale. Credo che questo
Il relatore durante la
sua conferenza.
Al tavolo dei lavori
siedono anche il
presidente della
banca, cavalier Piero
Melazzini (sulla
destra) e il direttore
generale della stessa,
dottor Mario Alberto
Pedranzini.
vendite tedesche in Cina e in Asia.
L’Italia, invece, non è riuscita nel
complesso ad approfittare di queste opportunità, ma anche nel
nostro Paese la parte di economia
che dà buoni risultati è quella che
riesce ad approfittare dei mercati
asiatici. Un trend destinato a continuare, poiché quello che stiamo
vedendo in Cina è solo l’inizio. I
consumi dell’economia cinese soThe speaker during
his conference. The no, infatti, ancora una piccola parfollowing are seated te del reddito. L’economia cinese
cresce spinta dagli investimenti,
at the work table:
chairman of the bank, ma i consumi in Cina sono circa
Knight of Labour
poco più di un terzo del reddito:
Piero Melazzini (on una frazione che corrisponde alla
the right) and the
metà del rapporto fra consumi e
bank’s general
manager, Dr. Mario reddito delle economie avanzate.
Alberto Pedranzini. Progressivamente, col crescere
dell’economia cinese, aumenterà
What is the future for the European economy? anche la domanda dei consumi e
i Paesi che riusciranno a soddisfaAfter the heavy effects of the crisis, the world economy will grow
re l’aumento della domanda interthis year. But emerging countries will boast very comforting rates
na in Cina saranno avvantaggiati.
of development. The advanced countries are finding it hard to
Non dobbiamo farci però troppe
maintain their potential growth trends. They must, in fact,
illusioni, perché in Cina è anche in
eliminate their accumulated debts. The economies of countries
corso un massiccio investimento
such as Germany are at an advantage, as they are ready to meet
in capitale umano. La capacità
the growing consumer demand of the Chinese system.
della Cina, come di altri Paesi
Furthermore, the Eurozone states cannot count on the monetary
emergenti, di far fronte all’espanpolicy to act as a safety vavle in a fiscal crisis situation. However,
sione del mercato interno con la
the central banks of England and the United States help their
governments. More specifically, it is difficult for Italy to rise above propria produzione aumenterà altrettanto velocemente. Gli anni e i
because it has not grown adequately in the last decade and
decenni che stanno avanti offrirantherefore remains a Cinderella story.
secolo sarà ricordato come quello
in cui le grandi economie asiatiche
sono tornate a occupare la posizione mondiale di qualche secolo fa.
Quella a cui assistiamo è veramente una trasformazione storica fondamentale e continuerà probabilmente nei prossimi decenni. Ciò
vuol dire, e lo constatiamo ogni
giorno, che le opportunità economiche saranno sempre più spostate verso i Paesi asiatici. Il confronto fra la Germania e l’Italia è un
esempio. La Germania ha un’economia che è riuscita ad approfittare delle opportunità dei mercati
asiatici, essendo stata capace di
entrarvi e di vendere molto: l’economia europea in questo momento va bene perché è trainata dalle
INCONTRI BPS 91
no delle opportunità, che non saranno tuttavia facili da cogliere
come ora, poiché la competizione
di quella parte del mondo si sposterà su settori sempre più sofisticati.
Un’implicazione di questa trasformazione epocale è che probabilmente il futuro economico del
nostro Paese, nel lungo periodo,
dipenderà dalla nostra capacità di
rendere più efficiente e più produttivo non solo il settore manifatturiero, che già compete con il resto
del mondo, ma anche quello dei
servizi. Non è semplice, in quanto
occorrono una regolamentazione e
una politica economica intelligente e si tratta di un settore spesso
legato all’amministrazione pubblica e a situazioni di monopolio
naturale. Non basta fare affidamento, come in parte avviene nel
settore manifatturiero, sulla capacità imprenditoriale dei privati, ma
occorre anche che la macchina
dello Stato funzioni in maniera
efficiente.
In queste previsioni di consenso ho esposto uno scenario
centrale che, come sempre, si
accompagna a grande incertezza.
È importante – accennando all’aspetto congiunturale – elencare
i rischi che si presentano verso
l’alto o verso il basso. A questo
proposito, bisogna premettere che
complessivamente i rischi sono
diminuiti rispetto a sei mesi o un
anno fa, quando la situazione era
molto più incerta. Nei Paesi avanzati, soprattutto negli Stati Uniti,
c’era il timore di una deflazione e
di una ricaduta nella recessione
– pericolo evaporato e divenuto
molto meno imminente. Al contrario diverrà più probabile il rischio di
inflazione, maggiormente però negli Stati emergenti che non in quelli avanzati.
Con più precisione, possiamo pensare a rischi in positivo e
rischi in negativo rispetto allo scenario centrale. In positivo vanno
citati i dati attuali sull’andamento
del settore industriale mondiale
che indicano un’accelerazione recente dell’attività economica. Negli Stati Uniti, in particolare, il
settore delle imprese è in buone
92 INCONTRI BPS
La sede del
Parlamento europeo
a Strasburgo.
The seat of the
European Parliament
in Strasbourg.
condizioni. La crisi del debito che
ha colpito quel Paese coinvolgeva
le famiglie e le banche, mentre le
imprese avevano dei bilanci sani
e in questo momento sono pronte
a investire maggiormente se la
realtà economica lo giustificasse.
Il settore delle imprese potrebbe
quindi essere fonte di sorprese
favorevoli. Siamo in un momento
di ripresa, di disponibilità nei confronti del rischio. I mercati finanziari si stanno riprendendo, le
Borse sono salite, i differenziali
d’interesse fra attività più e meno
rischiose si stanno restringendo e
di conseguenza gli investitori si
stanno orientando verso investimenti un po’ più rischiosi, aumentando le opportunità economiche.
Soprattutto, con il risalire dei
prezzi delle attività, si riducono i
rischi di ricaduta e si arricchisce
il portafogli delle famiglie e degli
investitori. Un altro aspetto positivo è che la ripresa delle economie emergenti potrebbe essere
ancora più veloce delle attese.
Infine, va ricordato che la politica
monetaria resterà molto espansiva nel corso del 2011, soprattutto negli Stati Uniti e in Inghilterra,
garantendo un’ulteriore spinta
all’economia mondiale.
Tuttavia, di fronte agli aspetti
positivi, esiste anche una serie di
rischi verso il basso da non sottovalutare. Il primo e il più rilevante
riguarda la crisi del debito sovrano
nell’area euro, non ancora finita. Il
secondo, parlando degli Stati Uniti, è l’elevato tasso di disoccupazione. Un’opinione comune, alla
luce della citata trasformazione
dell’economia mondiale, è che la
ripresa dell’economia americana
sarà una jobless recovery: non
creerà lavoro. Sfrutterà gli aumenti di produttività lasciando però
elevato il tasso di disoccupazione,
al momento attorno al 9%. In questo caso la ripresa sarebbe più
lenta, ostacolando il risanamento
dei bilanci delle famiglie. Un altro
elemento di rischio nell’economia
Usa è il settore immobiliare in cui
esiste un pericolo di ricaduta, rendendo la ripresa più lontana. Terzo
rischio per gli Stati Uniti è la politica fiscale, in particolare il disavanzo fiscale. Per uscire dalla crisi gli
Stati Uniti hanno spinto molto sulla politica fiscale e hanno mantenuto il disavanzo fiscale attorno al
9-10% del reddito nazionale, ma è
preoccupante che non vi siano
imminenti segni di riduzione. I repubblicani – che controllano la
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Camera dei Rappresentanti – affermano di volere stringere i cordoni della spesa pubblica e imporre
una politica di spesa più attenta,
ma le elezioni presidenziali non
sono lontane ed è quindi poco
probabile che il disavanzo rientri in
maniera significativa prima di allora. Dovremo probabilmente aspettare il 2013 o il 2014 per trovare i
segni di una maggiore austerità.
La rilevante accumulazione di debito porta il rischio di tensioni sui
tassi d’interesse o sul dollaro. Un
rischio collegato riguarda gli Stati
e le città americane. A causa della
crisi, le amministrazioni locali si
sono trovate in difficoltà per problemi di debito pubblico. Per quanto questo non sia comparabile a
quello dell’Europa, in rapporto al
Pil, la capacità delle amministrazioni locali di sostenerlo è minore,
data la modesta base imponibile.
Potrebbero dunque esservi tensioni anche su questo fronte.
Un altro elemento di rischio
da valutare nello scenario internazionale riguarda i Paesi emergenti,
nei quali il livello generale dei prezzi potrebbe correre troppo e quindi
provocare inflazione. Questo rischio presenta due aspetti. Da un
lato la politica monetaria nei Paesi
emergenti dovrebbe divenire più
restrittiva: c’è infatti la sensazione
che in questi Paesi essa sia in ritardo rispetto all’esigenza di controllare l’inflazione. D’altro canto,
l’inflazione è concentrata soprattutto nelle commodities, con conseguenti ripercussioni sui Paesi
avanzati che peggiorerebbero le
relazioni di scambio e imporrebbero maggiore attenzione all’inflazione dalle autorità monetarie locali.
Questo problema riguarda soprattutto l’Europa: proprio in questi
giorni la Banca Centrale Europea
ha mostrato un atteggiamento
deciso sul pericolo che la rapida
crescita dell’inflazione esterna sia
importata nell’area euro causando
un aumento duraturo dell’inflazione in Europa. Il presidente Trichet
ha dichiarato che intende compensare un eventuale aumento dell’inflazione importata riducendo l’inflazione interna. A mio giudizio sarebbe un errore di valutazione
Recentemente la BCE
ha mostrato un
atteggiamento deciso
sul pericolo che la
rapida crescita
dell’inflazione
esterna sia importata
nell’area euro
causando un
aumento duraturo
dell’inflazione in
Europa.
adottare una politica monetaria
più restrittiva in Europa in questo
momento, anche se non possiamo
escludere che ciò accada prima
del dovuto, pensando alla situazione economica locale.
Nella zona dell’euro, il rischio
più grave è quello del debito sovrano, su cui vorrei fare alcune osservazioni. Bisogna in primo luogo ricordare l’importanza della fiducia.
Siamo abituati a considerarla solo
Recently the ECB has
shown a determined quando pensiamo alle monete e ai
tassi di cambio, ma la fiducia è
attitude regarding
fondamentale anche in riferimento
the threat that
the rapid growth
al debito pubblico, poiché, se vieof external inflation ne meno, i tassi d’interesse sul
might be imported debito pubblico salgono mettendo
into the Euro zone
in difficoltà un debitore sovrano.
causing a longDa cosa dipende la fiducia? È
lasting increase of
inflation in Europe. un concetto evanescente e difficile
da definire, che sicuramente dipende dalla storia e dalla tradizione. Vi sono Paesi emergenti in cui
la fiducia nei confronti del debito
sovrano è tradizionalmente bassa:
questi Paesi non riescono solitamente ad accumulare un debito
superiore al 50-60% del reddito
nazionale. Le crisi di Argentina e
Russia sono arrivate quando il loro
debito sovrano toccava solamente
il 50-60% del Pil. Alcuni economisti parlano di debt intolerance,
d’intolleranza del debito dei Paesi
che hanno per consuetudine scarsa fiducia nei confronti del debito
sovrano.
I Paesi avanzati che possiedono invece la capacità di dare fiducia sul debito, riescono generalmente a indebitarsi nella loro valuta. L’Europa è in una situazione un
po’ particolare. È vero che gli Stati
dell’area euro s’indebitano nella
stessa valuta, ma non possono
contare sulla politica monetaria
come valvola di sicurezza in situazione di crisi fiscale. Se pensiamo,
infatti, all’Inghilterra e agli Stati
Uniti, uno degli aspetti che dà loro
fiducia è che, in caso di necessità,
esiste una banca centrale che può
aiutare il governo, almeno entro
certi limiti. Non è invece detto che
esista questa caratteristica anche
nei Paesi dell’area euro. Se infatti
tutti i Paesi europei dovessero
perdere la fiducia, la Banca Centrale europea sarebbe pronta ad
aiutarli. Ma se questa crisi di fiducia tocca solo alcuni Paesi, la BCE
– secondo le basi della nostra costituzione monetaria – non potrebbe intervenire se non creando conflitti politici. C’eravamo dimenticati
che l’area euro è diversa dagli
Stati Uniti e dall’Inghilterra. C’è
dunque il rischio di una grave perdita di fiducia in un contesto di
volatilità e di debiti così elevati:
quello italiano arriverà al 120% del
Pil e quello di altri Paesi oltre il
100% del Pil. Forse non potremo
permetterci tali livelli di debito poiché non abbiamo dietro una banca
INCONTRI BPS 93
94 INCONTRI BPS
La sede della SDA
Bocconi School of
Management in via
Bocconi 8 a Milano.
Archivio Università Commerciale “L. Bocconi”
The seat of the SDA
Bocconi School of
Management in via
Bocconi 8 in Milan.
La nuova Aula
Magna Bocconi,
nell’edificio Grafton
di via Roentgen 1
a Milano.
The new Bocconi
Great Hall in the
Grafton building
in via Roentgen 1
in Milan.
tasso d’interesse, tanto più difficilmente scomparirà il problema con
il tempo. La politica monetaria non
è stata d’aiuto in modo efficace,
ma a togliere fiducia sono state
soprattutto le dichiarazioni della
Merkel, che ha sottolineato come,
a fronte degli aiuti concessi alla
Grecia e poi all’Irlanda, bisognasse congegnare per il futuro, dopo
il 2013, un sistema per consentire
anche ai creditori e non soltanto ai
contribuenti di affrontare il costo di
questa accumulazione eccessiva
di debiti. Ciò ha reso evidente che
il nuovo debito che gli Stati europei
avrebbero dovuto emettere dopo il
2013 sarebbe stato particolarmente rischioso. Il rischio era aggravato dal fatto che i prestiti concessi all’Irlanda sarebbero stati
sostituiti da un nuovo fondo permanente ancora in elaborazione e
con l’affermazione esplicita che
dopo il 2013 eventuali aiuti concessi ai Paesi in difficoltà sarebbero stati trattati in maniera preferenziale rispetto ad altri debiti
emessi sul mercato degli Stati
dell’area euro, rendendo ancora
più rischioso il ricorso al mercato
per i Paesi che si trovassero in
Archivio Università Commerciale “L. Bocconi”
centrale che può svolgere il ruolo
che svolgerebbe la Fed o la Banca
d’Inghilterra. Per dare un’idea della
concretezza delle mie osservazioni, dal 2008 a oggi il bilancio della
banca centrale americana è circa
triplicato, dato che questa, per
sostenere l’economia, ha prestato
soldi alle banche, ma ha anche
acquistato in maniera rilevante il
debito statale. Nello stesso periodo il bilancio della Banca d’Inghilterra è aumentato di circa due
volte e mezzo. Il bilancio della Banca Centrale europea è anch’esso
aumentato in maniera significativa, ma non altrettanto e soprattutto non in riferimento al debito
emesso dai Paesi europei: una
differenza importante che deve
renderci più cauti.
In secondo luogo, la reazione
dei Paesi dell’Unione europea allo
scoppio della crisi sul debito sovrano in Grecia, e più recentemente
in Irlanda, è stata disordinata, Non
eravamo pronti. Ciò ha contribuito
ad aggravare la crisi e ha fatto fare
dei passi indietro. Quando sono
emersi i primi problemi in Grecia,
probabilmente la risposta che
avrebbe dato fiducia sarebbe stata di affermare che una ristrutturazione sul debito sovrano di un Paese dell’area euro non deve accadere, è un evento impossibile. Per
evitare l’azzardo morale che altrimenti ci sarebbe stato, si sarebbe
dovuto costringere sin dall’inizio la
Grecia ad adottare provvedimenti
molto restrittivi e offrirle un sostegno molto grande di liquidità, non
solo con prestiti, com’è stato fatto,
ma anche da parte della Banca
Centrale europea, come avrebbero
fatto la Banca d’Inghilterra e la
Fed. Invece la politica monetaria è
stata esclusa. La risposta dei governi ha avuto delle incertezze,
soprattutto nell’autunno del 2010,
quando è emerso il problema
dell’Irlanda. Queste misure hanno
infatti minato la fiducia perché gli
stanziamenti dell’Unione europea
ai Paesi in difficoltà sono stati
concessi a interessi elevati, meno
di quelli del mercato ma di molto
superiori a quelli con cui gli altri
Stati dell’Unione europea si stavano indebitando. Tanto più alto è il
Archivio Università Commerciale “L. Bocconi” - Paolo Tonato
difficoltà dopo il 2013. Questo insieme di fattori ha contribuito a
togliere la fiducia.
Ci sono classi d’investitori in
Asia e negli Stati Uniti che improvvisamente hanno visto il debito
sovrano dell’area euro come una
classe d’investimento molto più
rischiosa di quanto immaginassero e che si sono allontanati da
questi investimenti. Le difficoltà
dei Paesi dell’area euro non sono
dovute soltanto agli hedge funds
che speculano, ma a investitori di
lungo periodo che hanno scoperto
un mondo diverso da quello che si
aspettavano. Ciò è importante
perché cambiare l’atteggiamento
degli investitori istituzionali è più
difficile che non riacquistare la fiducia di uno speculatore di breve
periodo.
Più recentemente, ci si è accorti di questi errori. I policy makers europei hanno capito che occorre adottare un atteggiamento
diverso. La Banca Centrale europea ha cominciato ad acquistare il
debito pubblico degli Stati in difficoltà, sebbene in piccole quantità,
con effetti positivi per tutti i Paesi.
Quando la BCE acquista debito del
Portogallo e della Grecia, si abbassano anche i tassi d’interesse
della Spagna e dell’Italia perché
diminuisce il rischio di contagio.
In questi giorni è in discussione l’ipotesi di ampliare le risorse
che i Paesi europei mettono a disposizione per aiutare gli Stati in
difficoltà. Le risorse dovevano essere in teoria di 400 miliardi, in
pratica sono di meno, per varie
ragioni (solo 250 sono in realtà
utilizzabili). Ci si è resi conto che
ciò rende troppo scarse le risorse
attualmente a disposizione e quindi si sta cercando di ampliarle. Si
discute di abbassare il tasso d’interesse dei prestiti per i Paesi in
difficoltà, anche se non sappiamo
ancora se ciò avverrà.
Un altro aspetto utile è stato
l’intervento di Cina e Giappone e di
altri fondi sovrani che, consapevoli che in questo momento l’Europa
ha bisogno di aiuto e che una crisi
più grave nell’area euro non avvantaggerebbe nessuno, sono disposti a comprare euro o debito sovraIl rettore
no per aiutare i Paesi in difficoltà.
dell’Università
Tutto ciò ha fatto rientrare la crisi Bocconi, professor
dai suoi momenti peggiori consen- Guido Tabellini, tiene
tendo ai Paesi in difficoltà di guail discorso di
inaugurazione
dagnare tempo, facendo riprendere l’economia e circoscrivendo la dell’anno accademico.
crisi.
The rector of the
La domanda difficile alla quaUniversity,
le nessuno sa rispondere è se il Bocconi
Professor Guido
rientro dalle difficoltà dell’area eu- Tabellini, giving the
ro sia il primo passo verso la riso- inaugural speech of
luzione del problema o soltanto the academic year.
una pausa prima di un ritorno a
problemi rilevanti. La risposta è
molto complessa, ma a mio avviso
è difficile pensare che siamo fuori
dal guado. È probabile che i prossimi anni siano caratterizzati da
una volatilità ondeggiante. Ci saranno ancora momenti di difficoltà. È possibile che questa fase di
rientro duri ancora a lungo, ma nei
prossimi due o tre anni ci saranno
altri periodi di forte volatilità.
Le ragioni sono molteplici. La
prima è che le difficoltà non sono
solo economiche, ma anche politiche: le interpretazioni della crisi
dell’area euro sono spesso divergenti. In Germania prevale l’opinione che la colpa sia della politica
fiscale miope dei Paesi in difficoltà, il che è sicuramente vero in
Grecia, dove i governi hanno sbagliato. È però meno vero in altri
Paesi – come Spagna e Irlanda –
in cui i problemi nascono più dal
sistema bancario che non dalla
politica fiscale. L’errore è stato
quello di lasciare accumulare troppo debito nel sistema bancario.
Ma questo errore è stato commesso anche dalla Germania, le cui
banche hanno molto debito emesso da Grecia, Irlanda e Spagna. La
visione tedesca si accompagna
poi alla prescrizione politica di non
aiutare i Paesi in difficoltà, non
soltanto perché a spese dei contribuenti tedeschi, ma perché ciò
incoraggerebbe altri eccessi di
politica fiscale. Nei Paesi che hanno bisogno di essere aiutati l’opinione prevalente è diversa: si vede
l’atteggiamento intransigente della
Germania come punitivo. Per dare
un esempio concreto, una delle
condizioni poste dai Paesi europei
all’Irlanda per aiutarla è che il patrimonio delle casse previdenziali
irlandesi fosse utilizzato per ripagare il debito dello Stato irlandese.
I beneficiari di questi rimborsi sono spesso le banche tedesche
che hanno prestato denaro all’Irlanda e che chiedono ora i soldi
delle casse previdenziali irlandesi
per ripagare i debiti. È ovvio che
ciò procuri preoccupazione in Irlanda, e infatti il nuovo governo irlandese potrebbe assumere un atteggiamento diverso. Quando ci sono
INCONTRI BPS 95
Foto Sgualdino
dei conflitti di questo genere e
percezioni così diverse all’interno
dell’area euro, è possibile che le
soluzioni adottate per uscire dalla
crisi contengano elementi economicamente poco efficaci. Ci potrebbero quindi essere delle delusioni rispetto alle attese che in
queste settimane si stanno formando.
A suggerire che i problemi
non siano finiti vi è anche il fatto
che alcuni Paesi non si trovano
solo in una situazione di mancanza di fiducia, ma anche d’insolvenza effettiva. Il debito della Grecia
raggiungerà, nelle stime ufficiali,
circa il 160% del reddito nazionale.
Riuscire a rimborsare questo debito con un’economia a crescita ridotta sarà molto difficile. Se si
aggiunge che questo debito è detenuto in gran parte fuori dalla
Grecia, gli incentivi a non far fronte
a questo debito sono molto forti.
La situazione irlandese non è altrettanto difficile: il debito pubblico
è più basso, attorno al 100% del
Pil. Però l’Irlanda ha un debito
estero lordo elevatissimo, in rap-
96 INCONTRI BPS
Un qualificato e
numeroso pubblico
ha seguito con
interesse la chiara
esposizione del
Magnifico Rettore
dell’Università
“L. Bocconi”.
A large and
competent audience
listened carefully to
the presentation of
the rector of the
Bocconi University.
porto di 16 a 1 sul reddito nazionale. Anche in questo caso non si
tratta solo di una crisi di fiducia,
ma dei fondamentali economici
difficili da sostenere. È vero che
sono Paesi molto piccoli e le difficoltà possono essere circoscritte,
ma ci vuole del tempo per essere
sicuri che una ristrutturazione del
debito in Grecia non crei difficoltà
altrove.
La terza e ultima considerazione, a sostegno della tesi che
questi problemi non scompariranno facilmente, è che in diversi
Paesi – non in Italia per fortuna – il
problema non consiste solo nella
finanza pubblica, ma in una combinazione di difficoltà dello Stato
sovrano e del sistema bancario.
Ciò avviene in Spagna dove le
banche sono esposte sul sistema
immobiliare in maniera rilevante,
non catastrofica, ma neppure trascurabile, essendovi stata una
bolla in questo settore. Ciò accade
anche in Paesi economicamente
sani come il Belgio, le cui banche
sono fortemente esposte verso i
Paesi periferici dell’area euro, e di
conseguenza a rischio di contagio
nel caso di una crisi in uno di questi Paesi. Infine, il 30-40% del debito dell’area euro è detenuto dal
suo sistema bancario, quindi le
difficoltà della Grecia di fare fronte
ai suoi debiti avrebbero delle ripercussioni sullo stesso sistema bancario greco. Stesso discorso vale
per il Portogallo, che pure ha altri
tipi di problemi. Da una situazione
come questa, in cui sia lo Stato
sovrano sia il sistema bancario
possono avere difficoltà, non è
quindi così facile uscire. La soluzione naturale sarebbe di ricapitalizzare le banche in difficoltà, ma
anche qui ci sono questioni politicamente difficili. Quest’aspetto
importante potrebbe emergere nei
prossimi mesi, quando dovranno
essere rifatti gli stress test del sistema bancario: delle simulazioni
per valutare quanto il capitale delle singole banche sia sufficiente a
sostenere eventuali tensioni. Nei
Paesi maggiormente in difficoltà,
in particolare in Spagna, potrebbero esserci forti esigenze di ricapitalizzazione.
Foto Sgualdino
A fronte di queste preoccupazioni esistono tuttavia argomenti di segno opposto: innanzitutto il fortissimo impegno politico di tutti i Paesi, non solo europei, per aiutare l’area euro ad
avere il ruolo che merita nel mondo. Come abbiamo visto, la Cina
e il Giappone ne sono consapevoli. La posta politica in gioco è così
alta che si farà di tutto per evitare
difficoltà ad un Paese dell’area
euro: sei mesi fa sarebbe stato
inimmaginabile pensare agli aiuti
che invece sono stati dati a Grecia e Irlanda.
In secondo luogo, i Paesi in
difficoltà sono piccoli. Di fronte ad
un progetto politico così importante è difficile immaginare che non
si trovi il modo per venire fuori
dalla crisi di Paesi di dimensioni
così ridotte, anche se oggi non si
può capire la soluzione tecnica.
Alla fine la Spagna ha delle banche
che devono essere ricapitalizzate,
ma non è un Paese insolvente
come la Grecia, l’Irlanda e, forse,
il Portogallo.
In terzo luogo, il tempo aiuta
a isolare i Paesi che sono davvero
in difficoltà rispetto a quelli che
possono venirne fuori da soli.
Tutto ciò fa pensare che ci siano
tante ragioni per essere più ottimisti.
La mia lettura di queste considerazioni contrastanti è che, a
seconda del momento, prevarrà la
visione più negativa o quella più
positiva. Dipende anche dalla situazione economica mondiale: se
l’economia cresce rapidamente,
se le attività finanziarie si riprendono, se gli investitori sono più disposti a sopportare il rischio, allora
prevarrà la visione ottimistica. In
altri momenti vi saranno fondate
ragioni per la cautela e allora le
difficoltà e i nodi irrisolti potrebbero farsi di nuovo pressanti. Anche
l’economia reale e gli investimenti
reali risentiranno di questo clima
di volatilità e di incertezza. I dati
mostrano come la ripresa economica mondiale abbia portato a un
ritorno degli investimenti diretti
dall’estero verso i Paesi di quasi
tutto il mondo, ma non nell’area
euro – nemmeno nei suoi Paesi
Nel corso della
conferenza il
professor Tabellini ha
pure sottolineato che
non basta fare
affidamento sulla
capacità
imprenditoriale dei
privati, ma occorre
anche che la
macchina dello Stato
funzioni in maniera
efficiente.
più sani. L’ipotesi già delineata di
un lungo periodo di crescita sotto
il potenziale in Europa è quindi
plausibile e, nonostante le buone
notizie, stenteremo a rivedere dei
tassi di crescita molto elevati.
Vorrei infine trattare dell’Italia. La nostra nazione è in una situazione particolare. Se guardiamo ai flussi della finanza pubblica
stiamo abbastanza bene. Il disavanzo del nostro Stato è cresciuto
in maniera modesta durante la
During the
conference, Professor crisi, e questo è uno dei meriti del
Tabellini also
ministro dell’Economia; tuttavia lo
emphasized that we stock di debito pubblico rimane
cannot rely on the molto alto, essendo ritornato vicientrepreneurial
no al 120 per cento del Pil. A
abilities of the
private sector alone, fronte di questo debito vi sono i
risparmi privati, quindi l’economia
but that the
è sana, ma senza una ripresa
Government must
also function
della crescita il rapporto fra debito
efficiently.
e reddito nazionale è destinato a
rimanere alto esponendoci ai già
accennati rischi di volatilità.
In questa situazione è difficile uscire in maniera netta dal guado senza un’accelerazione forte
della crescita. Per riuscire ad abbattere il rapporto debito-Pil occor-
re far crescere il denominatore, il
reddito. Come fare quindi a rilanciare la crescita? Il nostro Paese
cresce poco da più di un decennio,
quindi non è colpa di un governo o
dell’altro. Addirittura negli ultimi
dieci anni il reddito pro capite è
diminuito: dieci anni fa eravamo
più ricchi.
Credo che, per far ripartire la
crescita, ci siano nodi strutturali
da affrontare per l’economia italiana. Alcuni, come le relazioni industriali, li stiamo già affrontando.
Più nel lungo periodo, è necessario un miglior funzionamento delle
istituzioni scolastiche, della ricerca e delle infrastrutture, che ovviamente non darà un risultato immediato. Non è infatti pensabile che
la crescita riparta subito solo perché investiamo in infrastrutture o
in scuole.
Nell’immediato probabilmente lo strumento più indispensabile
per finanziare la crescita è quello
tributario: oggi il fisco italiano è
molto sbilanciato sui fattori produttivi e soprattutto sul lavoro. Bisognerebbe spostare una parte di
questo carico fiscale altrove, poiché non possiamo abbassarlo significativamente in una situazione
di finanza pubblica come quella
attuale. Ma dove? Non c’è molto
altro che i consumi. Diminuire
l’Irap e aumentare l’Iva è come
svalutare: alleggeriamo il prelievo
su chi produce in Italia e facciamo
salire il prelievo su chi domanda
in Italia e all’estero. Anche la tassazione sulle rendite finanziarie, in
questo contesto, dovrebbe naturalmente aumentare. Combattere
l’evasione fiscale è poi imperativo.
Bisogna infine aiutare i nostri servizi a ripartire, anche se l’effetto si
avrà nel medio periodo e non
nell’immediato. Occorre sfruttare
le molte opportunità che ancora
esistono nel settore dei servizi
con liberalizzazioni e regolamentazioni meno punitive. Tutto ciò è
urgente, proprio perché siamo in
una situazione di incertezza e volatilità economica. È importante
che anche la politica si mostri
all’altezza delle sfide particolarmente impegnative che abbiamo
davanti a noi.
INCONTRI BPS 97