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Commentary, 12 febbraio 2015
LA NIGERIA E L’AIUTO CONTROVERSO E
INTERESSATO DEL CIAD
ANDREA DE GEORGIO
D
iciotto bare disposte accuratamente in fila,
ognuna avvolta nel tricolore blu, giallo e rosso.
È questa l’immagine-simbolo della discesa in
campo del Ciad contro Boko Haram. Il sacrificio di diciotto soldati, anonimi “martiri della patria”, morti nel
nobile compito di scacciare la minaccia dei tagliagole
locali e di un sanguinario Stato Islamico alle porte, viene
riproposto senza fine dalla televisioni di Stato e rimbalza
sui social network. La forza emotiva di tale immagine
spiega meglio di tante analisi la valenza politica e propagandistica che questa nuova impresa militare rappresenta per un paese periferico come il Ciad. Un paese che
sotto la presidenza di Idriss Déby, al potere dal 1990, si è
sempre comportato da gendarme della regione(1) contro
le derive ribelli degli ultimi decenni come in Darfur
(Sudan), in Costa d’Avorio e, più recentemente, in Mali.
Un paese che, oggi più che mai, rappresenta il principale
alleato dei francesi nella regione.
©ISPI2015 Nella coalizione africana che nelle scorse settimane ha
risposto alla richiesta d’aiuto lanciato dalla Nigeria e sta
muovendo guerra al gruppo jihadista di Boko Haram
spicca la leadership del Ciad. Dopo le esperienze analo-
ghe nei conflitti in Mali e in Centrafrica, il paese di
Idrissa Déby Itno si ripropone come ago della bilancia
regionale e internazionale sfruttando l’occasione offerta
dalla recrudescenza della lotta al terrorismo nella vicina
Nigeria. E lo fa puntando tutto sulla propria forza principale: l’esercito. Dietro a quello che viene presentato
come l’avanguardia della guerra fra “mondo libero” e
“forze del male”, però, si celano interessi economici e
politici che hanno a che fare con dinamiche locali e una
questione ben più remunerativa della protezione delle
popolazioni civili: la ridefinizione delle sfere d’influenza
fra due grandi potenze mondiali quali Francia e Stati
Uniti in Africa.
La decisione dell’Assemblea nazionale di N’Djamena, lo
scorso 7 febbraio, d’inviare proprie truppe in Camerun e
Nigeria è stata salutata da una serie di manifestazioni
popolari fortemente volute dal partito di Déby e sostenute
da altre forze politiche vicine al presidente. Nella capitale
è stata organizzata perfino una sfilata militare con tanto di
muscoli in mostra, popolazione festante e bandierine
svolazzanti. Il presidente Déby si è recato al confine con
il Camerun per accompagnare le colonne di blindati cia-
Andrea de Georgio, giornalista free lance di base a Bamako
1 Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. commentary
di Boko Haram uccisi e molti prigionieri(2).
diani in viaggio verso il fronte. Un tipico esempio di effetto “rally ‘round the flag” ottenuto grazie alla creazione
di un nemico-spauracchio nazionale. Una finezza politica
che l’egocentrico presidente del Ciad ripropone da svariati anni e che la congiuntura attuale ha coniugato in un
efficace accerchiamento dell’"asse del male" (Ansar Al
Saharia a nord, Boko Haram a sud, Aqmi a ovest, gli
Shabaab somali a est).
La setta jihadista guidata da Abubakar Shekau ha risposto alla perdita dell’importante ponte fra Gambaru e Fotokol attaccando quest’ultima località in Camerun e uccidendo, per rappresaglia, oltre cento persone. Circa 70
civili sono stati ritrovati con la gola tagliata in una moschea di Fotokol, data poi alle fiamme(3). Questo particolare sottolinea una volta di più che non si tratta di una
guerra confessionale, bensì di un classico conflitto per il
controllo di risorse e territori strategici. Risorse strategiche come il petrolio e l’uranio di cui lo stato del Borno,
dove si concentra la lotta di Boko Haram in Nigeria, e il
Lago Ciad sono ricchi. La regione attorno al lago è abitata da una maggioranza kanuri, un gruppo etnico che
conta circa 5 milioni di persone in Nigeria e un milione
nel Ciad. I contatti transfrontalieri sono reminiscenza
dell’antico Impero di Kanem-Bornu dell’inizio del XIX
secolo. Molti militanti di Boko Haram sarebbero appartenenti proprio a questo gruppo etnico, cosa che preoccupa non poco il governo del Ciad interessato a mantenere il controllo sulle risorse del Lago Ciad. La protezione dell’oleodotto che collega il sito d’estrazione petrolifera di Doba, nel sud del Ciad, al porto camerunense
di Kribi, distante più di mille chilometri, è d’importanza
cruciale per l’economia di N’Djamena (e per quella del
Niger, che da anni gode di un diritto di transito concesso
dal Ciad).
©ISPI2015 Boko Haram, insieme all’Isis in Iraq e Siria e ad altre
formazioni della galassia neo-jihadista, rappresenta il
nemico per antonomasia. Spietati barbuti senza scrupoli
che minano la convivenza pacifica del villaggio globale
con il criminale intento a instaurare uno Stato islamico
nel Nord-Est della prima (petrol-)economia del continente. Insomma: il nemico perfetto del binomio dominante democrazia-liberismo. Con un nemico così perfino
l’Unione africana (Ua), tradizionalmente divisa, ha riscoperto l’unanimità votando il 7 febbraio scorso a
Yaoundé la creazione della Mult-National Joint Task
Force(Mnjtf), un dispositivo di 7500 soldati con base a
Baga, nello stato di Borno (Nigeria), dove all’esercito
nigeriano si affiancano contingenti dei paesi della Commissione del Bacino del Lago Ciad: Niger, Ciad, Camerun e Benin. Si attende al più presto anche una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che autorizzi il
coinvolgimento di altri attori regionali e ammanti
l’operazione di solennità globale, come fu per il Mali.
La strategia militare ciadiana, discussa ai primi di febbraio con le massime cariche dell’esercito nigeriano in
occasione della firma di un accordo bilaterale(4), è di
cercare di spezzare il fronte dell’avanguardia di Boko
Haram in due - uno a est, al confine con il Niger e l’altro a
ovest, al confine con il Camerun - con una tattica “a tenaglia”, utilizzando anche bombardamenti mirati della
propria forza aerea, guidata dalle informazioni raccolte
dai droni di ricognizione francesi che partono dalla base
di N’Djamena(5).
Nelle scorse settimane, il Ciad ha dimostrato sul campo
la superiorità della propria compagine militare rispetto al
diviso e demotivato esercito nigeriano e alle altre armate
in campo: nel giro di pochi giorni Boko Haram è stato
scacciato da Gambaru e Ngala, due importanti snodi
commerciali al confine fra Nigeria e Camerun, asse di
vitale importanza insieme alle strade che attraversano
Maiduguri nel Nord-Est della Nigeria e al centro lo stato
del Borno, portando a ovest al confine col Niger. Non
bisogna dimenticare, infatti, che le economie di questi
paesi (del Ciad in particolare) dipendono fortemente dagli scambi commerciali regionali. Per questo la battaglia
di Gambaru è stata cruciale: fonti ciadiane, non confermabili indipendentemente, parlano di oltre 230 miliziani
La minaccia rappresentata da Boko Haram è solo in parte
descrivibile attraverso le cifre che dal 2009 a oggi hanno
macchiato di sangue gli stati del Nord-Est della Nigeria:
oltre 13mila morti(6), centinaia di civili rapiti e deportati,
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oltre un milione e mezzo di profughi in fuga verso i Paesi
limitrofi(7). Secondo fonti d’intelligence americane oggi
Boko Haram conterebbe fra i 4 e i 6mila militanti che
controllano una zona grande quanto il Belgio: più di 30
città e villaggi in tre regioni settentrionali della Nigeria.
Sempre più spesso sconfina in località frontaliere del
Camerun e del Niger per attacchi, razzie, rapimenti, stupri e rappresaglie contro i civili. Sono state proprio le
nuove velleità d’espansione territoriale verso il Lago
Ciad della setta jihadista che hanno dato vita alla reazione
africana, dopo il fuoco di paglia dello sdegno internazionale per le 276 liceali rapite a Chibok nell’aprile
dell’anno scorso.
dei servizi di sicurezza nigeriani, durante una conferenza
in Inghilterra a fine gennaio(9). Oltre alla tolleranza di
cellule dormienti (ora risvegliate) della setta dislocate da
anni nei pressi del Lago Ciad, riconosciuta perfino da
fonti interne all’esercito ciadiano(10), a pesare sulla credibilità di Déby c’è lo scandalo del suo stretto collaboratore Mahamat Bichara Gnoti, arrestato in Sudan il 17
novembre dell’anno scorso con 19 missili Sam2
dell’esercito sudanese destinati proprio a Boko Haram(11). Tale incidente e altri particolari situazioni in
passato hanno valso a Déby l’appellativo di “Presidente
di Boko Haram”(12). Appellativo che lui vorrebbe, ovviamente, scrollarsi di dosso.
Sul piano internazionale, tale impegno è stato ricompensato e il Ciad è riuscito, soprattutto grazie
all’intervento al fianco della Francia in Mali e al contributo attivo alle missioni Onu in Mali e Centrafrica, a
smarcarsi da anni d’isolamento: Déby ha ottenuto un
seggio al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per il Ciad nel
2013, anno in cui ha promosso diversi summit sulla sicurezza in Africa per guadagnarsi credibilità e autorevolezza in seno alla comunità internazionale e accrescendo
le proprie aspirazioni egemoniche regionali. Come
spesso accade nelle parabole personali di alcuni presidenti (in questo è simile a Hollande), al prestigio
all’estero fa il paio una forte crisi di consensi in patria:
Déby, al potere da 24 anni grazie a un colpo di Stato militare(8), sta perdendo l’appoggio dei propri cittadini per
diversi motivi. Il malcontento nei confronti del suo regime è principalmente legato ai cronici problemi economici – il Ciad è 184° su 187 nell’Indice di sviluppo
umano –, al mancato sviluppo del Paese e all’aumento
del prezzo della benzina che, quadruplicata
all’improvviso nel novembre scorso, ha portato migliaia
di persone a protestare nelle principali città: N’Djamena,
Moundou e Sarh.
Per Hollande, la guerra contro Boko Haram rappresenta
una ghiotta occasione di allungare ulteriormente la longa
manus francese sull’Africa occidentale e centrale. Con
questa mossa la Francia potrebbe unire il fronte saheliano, dove è dispiegata Barkhane, a quello del Centrafrica e
della Nigeria, come auspicato durante un summit sulla
sicurezza dell’Africa organizzato a Parigi il 18 maggio
dell’anno scorso, dopo la storica visita in Nigeria di
Hollande del 27 febbraio dello stesso anno e sulle ali
dell’interventismo entusiasta per la vicenda delle liceali
di Chibok.
Se ufficialmente gli Stati Uniti hanno sempre apprezzato l’aiuto dei francesi, secondo diverse fonti diplomatiche
Obama e il suo entourage in realtà vedrebbero con un
certo fastidio la concorrenza della Francia che, oltre ad
avvicinarsi pericolosamente al suo storico e ricco alleato
nigeriano, contende agli Usa la palma di paladino della
lotta al terrorismo in questa zona strategica del mondo(13).
In occasione dell’accordo bilaterale fra Ciad e Nigeria il
18 gennaio, Idriss Déby Itno ha invitato i paesi
dell’Africa centrale e di tutto il continente a unirsi alla
coalizione contro Boko Haram «per dimostrare al
mondo intero che l’Africa è capace di risolvere i propri
problemi». «African solutions for African problems» è
un mantra che si sente sempre ripetere ai vertici sulla
sicurezza in Africa. Principale sponsor internazionale di
tale deduzione semplicistica è proprio Barack Obama a
Alla popolarità in caduta libera di Déby (elezioni presidenziali sono previste per l’anno prossimo) si aggiungono le critiche internazionali che accusano il presidente
del Ciad di avere rapporti pericolosi con i quadri di Boko
Haram, come sostenuto perfino da Sambo Dasuki, capo
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il grosso dei quali di stanza a N’Djamena come lo Stato
Maggiore, a soli 50 km dal confine con la Nigeria. La
Francia ha recentemente ammesso di aiutare Ciad e Camerun con informazioni, supporto logistico, armi e rifornimenti. Smentite voci di bombardamenti francesi, ma
confermata la presenza di dieci esperti militari francesi a
Diffa in Niger per coordinare l’azione contro Boko Haram.
cui piace coniugarla all’altrettanto sintetica “no boots on
ground”, teoria secondo cui limitare o addirittura azzerare
le perdite occidentali sarebbe l’unico modo per mantenere democraticamente sostenibile la lotta al terrorismo.
Hollande, invece, attaccando unilateralmente nel gennaio
2013 Aqmi nel Nord del Mali si è dimostrato più interventista del suo omologo a stelle e strisce. Ma forse la
congiuntura economica e la crisi interna di consensi lo
potrebbero convincere ad attenersi, anche grazie al Ciad,
alle nuove linee suggerite dalla potenza americana.
6. Di cui hanno fatto notizia quasi solamente le circa
2000 vittime della ripresa della battaglia di Baga (10 mila
abitanti) e altri 15 cittadine e villaggi affacciati sulla
sponda sud del Lago Ciad a inizio gennaio.
1. O da “pompiere piromane”, come viene apostrofato
dagli oppositori, appellativo che negli ultimi anni fu anche di Blaise Compaoré ex-presidente del Burkina Faso
deposto dalla sollevazione popolare del 30 ottobre 2014
che tanto ricorda, in politica regionale, l’amico Déby.
7. Da inizio gennaio, cioè dall’inizio degli attacchi contro
Baga, sono circa 16mila i rifugiati nigeriani in Ciad. Alcuni hanno attraversato in canoa o a nuoto il Lago Ciad,
altri sono rimasti bloccati sulle isole lacustri di Koulfoua
e Kangalam, altri ancora sono scappati per la foresta.
Migliaia di loro oggi vivono in campi profughi improvvisati dall’Unhcr come quello di Dar Assalam, regione di
Bagasola, in Ciad. A metà gennaio l’Unhcr ha pubblicato
un report in cui esprimeva viva preoccupazione per la
situazione in generale e per alcuni rimpatri forzati di
profughi riportati nella regione del Borno, Nord-Est della
Nigeria, dalle autorità del Ciad contro la propria volontà e
non considerando i rischi a cui andavano incontro. Da
maggio 2013 con la proclamazione dello stato
d’emergenza negli stati della Nigeria di Adamawa,
Borno e Yobe i nigeriani in fuga avrebbero raggiunto
quota 153 mila, di cui almeno 19 mila dall’inizio del
2015. Qualche migliaia si troverebbero anche in Niger.
2. La scorsa settimana hanno destato polemiche le immagini riproposte in continuazione della tv di Stato del
Ciad che mostrano alcuni soldati festeggiare davanti ai
corpi senza vita di due presunti militanti di Boko Haram.
Altro scandalo è scoppiato a seguito delle dichiarazioni di
alcuni quadri militari del Ciad che, sotto anonimato, sostengono che molti dei caduti ciadiani della battaglia di
Gambaru siano soldati della prima fila colpiti da fuoco
amico delle retrovie, formate per lo più da elementi giovani e inesperti. Particolare che farebbe vacillare il “mito” della forza militare del Ciad.
©ISPI2015 3. Secondo la propaganda di Boko Haram l’esercito camerunense, a differenza di quello ciadiano, sarebbe
scappato lasciando la propria gente in balia della vendetta
jihadista. Queste dichiarazioni sottendono il tentativo di
Boko Haram di destabilizzare e dividere il fronte africano
anti-jihad.
8. Nel 1990, quando prese il potere, Idriss Déby disse:
«Ho preso il potere con le armi e solo con le armi me lo
toglieranno». Secondo molti abitanti del Ciad, quando
Déby lascerà il potere si scatenerà una guerra civile per la
sua successione.
4. Il 6 febbraio Nigeria e Ciad hanno firmato uno strategico Memorandum of Understanding (MoU) sulla falsariga di quanto deciso il 18 gennaio scorso durante un
primo colloquio bilaterale sulla coordinazione delle forze
contro Boko Haram. Il contenuto di tale memorandum
rimane, però, segreto.
9. Vedi intervento completo sui rapporti Déby-Boko
Haram di Sambo Dasuki in Inghilterra all’indirizzo,
in http://newsrescue.com/chad-president-idriss-Déby-lin
ks-boko-haram-leadership-nigeria-nsa-dasuki/#axzz3RG
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5. Non è un caso che la base di N’Djamena sia il quartier
generale del dispositivo militare francese nella regione,
l’operazione Barkhane che conta circa 3200 soldati scelti,
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per passare la frontiera.
10. Le stesse fonti, però, sottolineano il cambiamento di
attitudine durante gli ultimi mesi nei confronti dei miliziani di Boko Haram basati nella regione del Kanem, sul
Lago Ciad, soprattutto a seguito del naufragio dei negoziati fra Nigeria e Boko Haram sponsorizzati proprio da
Déby nel novembre scorso. Altre fonti locali che chiedono l’anonimato raccontano di un patto segreto di
“convivenza pacifica” fra Déby e Boko Haram: il presidente garantiva il passaggio di armi e uomini provenienti
dalla Libia e diretti in Nigeria a patto che il Ciad non
fosse coinvolto nelle loro azioni.
12. Vedi analisi di Peregrino Brimah, in http://m.news24.
com/nigeria/MyNews24/Idriss-Déby-The-President-forBoko-Haram-20141027
13. Vedi la visita in Francia di Ngozi Okonjo-Iweala, ministro congiunto dell’Economia e delle Finanze della Nigeria che da Parigi il 4 febbraio ha tirato le orecchie, in
diretta alla Cnn, alla comunità internazionale «estremamente lenta a capire il problema e a intervenire»
rinnnvando invece il proprio ringraziamento alla Francia,
ai paesi vicini e amici della Nigeria, all’Ua e all’Ecowas.
Dimenticando proprio gli Stati Uniti, storico partner economico e militare della Nigeria che anche in queste ultime
settimane sta contribuendo con informazioni d’intelligence
e ricognizioni satellitari alla lotta contro Boko Haram.
©ISPI2015 11. Sulla questione Bisong Etahoben, giornalista investigativo camerunense, aveva scritto attraverso il suo
account Twitter che Gnoti dichiarò che fu Déby in persona ad affidargli il compito, i fondi e i permessi ufficiali
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