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Capitolo 1
Le origini di Roma e il passaggio 
dalla Monarchia alla Repubblica
Sommario: 1. Il Lazio antico e la nascita di Roma. - 2. Istituzioni e società durante il periodo monarchico. - 2.1
L’ordinamento dello Stato. - 2.2 La struttura sociale. - 2.3 La religione. - 3. Lo Stato repubblicano. - 4. Le conquiste
della plebe. – 5. La formulazione scritta delle leggi.
Parte I - Teoria Sezione I - Il mondo romano: storia, politica, società
1. Il Lazio antico e la nascita di Roma
Il territorio compreso fra il corso del Tevere a nord e i colli Albani a sud prende il nome di
Latium (Lazio), che in latino significa «largo», «spazioso». Esso presenta, già alla fine del II
millennio a.C., condizioni particolarmente favorevoli all’agricoltura e alla pastorizia, due attività largamente praticate dai gruppi di popoli italici insediati in quei luoghi. Tali gruppi,
che inizialmente abitano in capanne distanti fra loro, avvertono presto la necessità di radunarsi in nuclei abitativi più compatti, soprattutto per difendersi dai frequenti attacchi da
parte delle popolazioni confinanti, attratte dalla fertilità dei luoghi. L’organizzazione politica è quella di un modello arcaico di città-Stato.
Nascono così vari villaggi, fra i quali quelli di Gabi, Ardea, Aricia, Alba. Proprio quest’ultimo,
fra il IX e l’VIII sec. a.C., acquista progressivamente il predominio sugli altri centri e ciò viene ufficialmente sancito con il riconoscimento della leadership di una Lega delle città latine. La lega, nata con caratteri essenzialmente religiosi, assume in seguito una connotazione politico-militare.
È di poco anteriore, agli inizi dell’VIII sec. a.C., la nascita sul colle Palatino di un villaggio al
quale è dato il nome di Roma e che presto farà sentire il proprio peso nell’ambito della Lega
latina. Il primo nucleo della città, delimitato da un pomerio quadrato, prende appunto il
nome di Roma quadrata. Questo villaggio di agricoltori e di pastori cresce presto in estensione e potenza, fino a conquistare la supremazia prima sulla stessa Alba e sulle altre città
della Lega latina e, successivamente, su tutti i popoli circostanti.
La tradizione letteraria collega le origini di Roma con la venuta di Enea nel Lazio dopo la caduta di Troia: egli avrebbe fondato dapprima una città, Lavinio, dalla quale si sarebbe poi
mosso suo figlio Ascanio per fondare Alba Longa; tra i discendenti della casa regnante vi sarebbe stato Romolo che nel 753 a.C. avrebbe fondato Roma. Questa leggenda, contenuta in
molti scritti, è stata immortalata dal poema di Virgilio, l’Eneide. Invece, come già si è detto,
storicamente Roma ha origine da uno dei villaggi latini progressivamente ingranditosi nel
corso degli anni. Tuttavia, se quella del 753 non può essere considerata una data certa
dell’origine di Roma, la critica storica è concorde nel collocarla intorno agli inizi dell’VIII
sec. a.C. Anche per quanto riguarda il primo periodo di vita della città, storia e leggenda si
fondono nella tradizione dei sette re.
A Romolo, mitico fondatore e primo re, sotto il cui regno si sarebbe verificato l’episodio del
ratto delle Sabine, succede Numa Pompilio, ricordato come re pacifico, amante della giustizia e rispettoso del culto religioso. L’avvento al trono di Tullo Ostilio segna l’inizio delle
lotte con i popoli limitrofi, tra cui la guerra contro Alba Longa, in seguito alla quale questa
perde, a vantaggio di Roma, il primato nell’ambito della Lega latina. Anco Marzio riprende
le usanze pacifiche di Numa, del quale era nipote, limitandosi a guerre difensive contro i latini. Sotto Tarquinio Prisco, quinto re di Roma, che apre la triade dei re di origine etrusca,
la città vive un periodo di splendore, arricchendosi di edifici pubblici come il Circo Massimo
2. Istituzioni e società durante il periodo monarchico
Le informazioni più attendibili su Roma durante il periodo regio ci vengono, come sempre
in questi casi, dagli scavi archeologici.
Sorta sul colle Palatino e in prossimità della zona in cui l’attraversamento del Tevere è più
agevole, la città fin dai primissimi tempi della sua storia è formata da una notevole mescolanza di popoli e risente di molti influssi culturali. All’inizio del VI secolo a.C. Roma si estende lungo il Tevere, applicando le tecniche urbanistiche degli etruschi. Il centro è costituito
dal Foro, tra il Palatino e il Campidoglio, dove cominciano a sorgere templi e strade (via Sacra). Il tempio più importante è quello di Giove capitolino, costruito in pietra, legno e terracotta colorata, con 18 colonne di due metri e mezzo di diametro e con le statue in terracotta di Giove, Giunone e Minerva. Di questo periodo è anche la Cloaca Massima, costruita per
prosciugare le acque stagnanti e ampliare gli spazi pianeggianti destinati all’attività politica ed economica (Foro).
Lo sviluppo di Roma nel VI secolo segna il vero e proprio inizio della storia romana e una
generale evoluzione di tutto il Lazio, dove anche gli altri centri latini si trasformano in città-Stato.
La divisione della comunità romana fra patrizi e plebei non è altro che il naturale consolidamento di un processo iniziato già dai primordi della storia di Roma, in particolare da quando le famiglie più abbienti, proprietarie di terre, si erano raggruppate in gentes, cioè in consorterie di più famiglie, monogamiche, discendenti dallo stesso ceppo originario, i cui capi
(patres familias) concorrevano a formare il consiglio degli anziani (senes), cioè il Senato.
In una condizione di subordinazione versano le folle dei più poveri (plebei), i quali spesso
assumono lo status di clientes, cioè «assistiti», di un patrizio (detto patronus) che offre loro
protezione materiale in cambio di servizi e fedeltà.
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Capitolo 1 - Le origini di Roma e il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica
e il Foro. Gli succede uno dei suoi più fedeli ministri, Servio Tullio, tra le cui opere più importanti vanno ricordate, oltre alla costruzione delle mura difensive («serviane») che cingevano i sette colli, anche un’importante riforma costituzionale consistente nella ripartizione
della popolazione in cinque classi (secondo la ricchezza di ciascun cittadino) e nel riconoscimento ai plebei del diritto di partecipare al governo della città. Servio Tullio muore vittima di una congiura che porta al trono un altro Tarquinio (figlio di Tarquinio Prisco e genero dello stesso Servio), detto «il Superbo» per la sua prepotenza e i modi violenti. Nel
510 a.C. una ribellione popolare lo scaccia da Roma con tutta la sua famiglia. Da questo momento ha inizio l’età repubblicana.
Da un’analisi sia pur sommaria della tradizione risulta un primo dato alquanto discutibile,
cioè la durata di un governo di soli sette re per un periodo di oltre due secoli (dal 753 al 510
a.C.). È più probabile, infatti, che il numero dei re sia maggiore e che con il «tradizionale»
numero di sette si vogliano ricordare le figure più rappresentative della storia romana delle origini. Gli storici ritengono inoltre leggendaria l’esistenza di Romolo, mitica figura creata per dare prestigio politico a un supposto fondatore della città, mentre è storicamente attendibile l’esistenza di Tullo Ostilio e particolarmente importante la guerra da lui mossa contro Alba, che portò Roma a capo della Lega latina.
Anche le notizie sui re etruschi sono ben documentate, sebbene non negli stessi termini riportati dalla tradizione, in quanto si ritiene, ad esempio, che i due Tarquini siano in realtà
la stessa persona.
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2.1L’ordinamento dello Stato
L’ordinamento dello Stato monarchico ha al suo vertice il rex investito di potere religioso,
militare e politico, che nell’esercizio delle sue funzioni viene assistito dal Senato, composto
da circa 100 membri scelti fra i capi delle gentes. Il Senato ha il compito di dare al rex il proprio parere (non vincolante) sulle più importanti questioni di Stato; ha inoltre il compito di
proporre leggi all’assemblea popolare e di sancire o rifiutare le deliberazioni della stessa.
Il rex, che è sacerdote e comandante unico, la cui carica è vitalizia ma non ereditaria, può disporre di un potere effettivo quasi assoluto (imperium). Se torna vincitore da una campagna militare celebra il trionfo, che consiste in un corteo in cui egli con tutto l’esercito, seguito dai prigionieri di guerra, si reca al tempio di Giove capitolino, in piedi su una quadriga,
acclamato dalla folla plaudente. Il re esercita le funzioni fondamentali di: capo dell’esercito
e dei riti religiosi (sommo pontefice), riti che però può affidare a sacerdoti (scelti tra i patrizi) o a vestali, sacerdotesse addette ad alimentare il fuoco sacro della dea Vesta; rappresentante del popolo nelle questioni esterne; legislatore, anche se la vita associata è per lo più
disciplinata da norme consuetudinarie che di fatto limitano la volontà del rex. Infine, amministra la giustizia penale per i reati più gravi (tradimento o omicidio).
L’assemblea popolare è formata dai comizi curiati. Essa raccoglie il popolo in trenta curie
e ha il compito di eleggere il rex e di approvare o respingere le leggi proposte. Oltre a quella dei comizi curiati c’è l’assemblea dei comizi centuriati, cioè l’assemblea militare del popolo diviso in centurie. A questo proposito c’è da aggiungere che il primo esercito romano
di cui si ha notizia si è formato sulla base delle tre tribù originarie dei tities (tizi), ràmnes
(romani), lùcures (lucumoni), che hanno dato origine, rispettivamente, alle genti sabine, romane, etrusche. Ogni tribus si divide in 10 curie, per cui nel comizio sono raggruppate trenta curie. Ogni curia deve fornire all’esercito 100 fanti (una centuria), cosicché l’esercito risulta formato da 3.000 fanti e da 300 cavalieri (100 per tribù).
Al tempo di Servio Tullio l’esercito, così come la società civile, subisce una profonda modificazione. Sono istituite 20 tribù territoriali che non raggruppano più solo le gentes, ma tutto il popolo in base alla residenza in un determinato quartiere e non più in base al censo.
Delle 20 tribù, quattro corrispondono a quartieri urbani e 16 a territori «rustici».
2.2La struttura sociale
I Romani che possiedono beni economicamente valutabili sono divisi in cinque classi in
base al censo, secondo i seguenti scaglioni di reddito:
— I classe: 100.000 assi;
— II classe: 75.000 assi;
— III classe: 50.000 assi;
— IV classe: 25.000 assi;
— V classe: 1.000 assi.
Al di sotto ci sono i capitecensi, cioè gli altri cittadini censiti non più in base al reddito, ma
«a testa», cioè solo in base al loro numero. L’unità di arruolamento rimane la centuria che,
però, nel tempo perde il rapporto con il numero cento. I capitecensi sono esclusi dalla leva
militare, poiché solo i «possidenti» sostengono l’onere (e i vantaggi) della guerra.
I comizi centuriati progressivamente sostituiscono quelli curiati e si trasformano nella principale assemblea politica, dove i ricchi sono privilegiati nel voto e nelle decisioni. Servio Tullio tenta così di limitare il potere patrizio e di inserire nella vita politica di Roma anche i
«nuovi ricchi», nonché i plebei e i ceti medi.
Per quanto riguarda l’organizzazione religiosa, che fa capo al rex, va innanzitutto detto che
particolare importanza hanno gli influssi etruschi. La stessa triade capitolina corrisponde
a quella etrusca, così come tutta etrusca è l’aruspicina, largamente praticata dai romani.
Dalla Magna Grecia provengono invece i libri sibillini (oracoli della Sibilla cumana). L’influenza di elementi religiosi greci giunti, per via indiretta, dalla Magna Grecia ha anch’essa un
grande peso nella religione romana, tanto che, a questo proposito, si parla di sincretismo.
Anche le principali feste religiose di Roma risalgono probabilmente al VI secolo a.C. Innanzitutto ci sono gli antichi lupercali, riti di celebrazione della fertilità consistenti nella corsa
dei luperci quasi nudi (giovani consacrati al dio-lupo Luperco) attorno al colle Palatino il 15
febbraio di ogni anno.
Un’altra festa, che si celebra il 21 aprile, è quella della Palilia, nella quale si benedice il bestiame prima di avviarlo verso i pascoli estivi.
La festa del Settimonzio invece scaturisce dall’unione religiosa degli abitanti dei «sette colli». Quella degli Argei, infine, riflette l’assorbimento di nuove comunità («Roma delle quattro regioni»).
A questo punto occorre ribadire come sia da ritenersi storicamente valida l’esistenza dei re
etruschi, così come è storico il rovesciamento del loro regime, che dà origine alla repubblica. Proprio il dominio di genti straniere quali gli etruschi, infatti, suscita probabilmente il
malcontento nei maggiori esponenti delle classi nobiliari romane, che non possono accettare passivamente di essere messi in secondo piano nella politica cittadina. Forti dell’appoggio del popolo, essi scacciano i re etruschi approfittando anche del momento di debolezza
che questo popolo attraversa in seguito alla battaglia di Aricia (506 a.C.), nella quale i latini e i loro alleati cumani sconfiggono gli etruschi, costringendoli a rinunciare non solo alle
colonie campane ma anche alla supremazia sul Lazio.
Sulla fine del periodo regio sono fiorite molte leggende, tra cui la più nota narra che il ratto
della nobile Lucrezia, messo in atto dal figlio del re, provoca una congiura di patrizi romani guidati da Giunio Bruto che scaccia da Roma Tarquinio il Superbo. Questi tenterà di
marciare sulla città con l’appoggio del re di Chiusi Porsenna, ma inutilmente. Livio e Tacito, i maggiori storici romani, danno dell’assedio notizie diverse e contrastanti, ma ambedue
esaltano il valore dei «cittadini» romani.
3. Lo Stato repubblicano
Con la fine del periodo regio, il patriziato romano, con il proprio seguito di clientes, riprende saldamente in mano il governo della città, affidando il potere esecutivo a due consoli che
detengono anche l’imperium, cioè il comando dell’esercito e sono eletti ogni anno per evitare ogni tentativo di ripristinare la monarchia.
Tutto il nuovo sistema politico-sociale è troppo complesso perché si possa instaurare in tempi brevi, per cui è ipotizzabile che queste trasformazioni si siano compiute nel corso del VI
sec. a.C. con il progressivo indebolimento dell’autorità regia. La res publica romana, cioè la
«cosa pubblica», nasce per l’iniziativa patrizia e in effetti affida quasi tutto il potere al Senato, dal quale dipendono i consoli, anch’essi aristocratici. Durante il V secolo a.C. compaiono
nuove magistrature (pretori e questori) e viene istituita la dittatura, una magistratura
straordinaria che riunisce tutti i poteri nelle mani di un solo cittadino per un periodo limitato in caso di grave pericolo per lo Stato.
Carattere comune a tutte le magistrature tranne la dittatura è, oltre l’annualità, la collegialità, che permette un controllo interno alle cariche pubbliche per evitare abusi e prevaricazioni.
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Capitolo 1 - Le origini di Roma e il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica
2.3 La religione
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Il principio ispiratore della nuova Costituzione repubblicana è quello di impedire l’accentramento dei poteri nelle mani di una sola persona, che possa approfittarne per instaurare un
regime assolutistico a scapito della “libertà” dei cittadini. Le cariche pubbliche devono
quindi essere:
— elettive: tutti i magistrati sono eletti dai cittadini nei comizi;
— collegiali: il magistrato in carica è affiancato da un collega di pari grado, in modo che
l’uno limiti i poteri dell’altro, per evitare che si possa abusare della propria carica;
— temporanee: il mandato non può durare più di un anno, al termine del quale il magistrato torna ad essere un privato cittadino;
— onorifiche: le cariche non comportano alcuna retribuzione, ma conferiscono solo maggiore dignità (honores) a chi le ricopre.
L’accesso alle varie magistrature, inoltre, è scrupolosamente regolato dal cursus honorum
(il «corso degli onori»), cioè dalla successione delle cariche pubbliche che il cittadino può
ricoprire. Esso prevede che la candidatura per l’elezione a una magistratura non può essere posta prima che siano passati due anni dalla scadenza del precedente mandato e fissa anche l’ordine sequenziale delle varie cariche (questura, edilità, tribunato, pretura, censura,
consolato).
Gli organi preposti a reggere lo Stato sono tre: le magistrature, i comizi, il Senato.
Mentre oggi col termine «magistrato» si designa unicamente chi appartiene all’ordine giudiziario e ha il compito di giudicare sull’applicazione delle leggi (cosiddetta funzione giurisdizionale), nel diritto romano, invece, con lo stesso termine si definisce una categoria più
ampia di soggetti, tutti rivestiti di pubbliche funzioni, i quali sovraintendevano al complesso delle attività dello Stato che a quei tempi non erano distinte secondo la moderna tripartizione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario).
Consoli: hanno poteri notevoli, simili a quelli di un sovrano (arruolano i soldati, comandano l’esercito, convocano e presiedono Senato e comizi, esercitano il potere giudiziario
nei casi più gravi), ma restano in carica solo un anno e non sono immediatamente rieleggibili. In momenti di grave pericolo per lo Stato vengono sostitui-ti da un dittatore, che resta in carica al massimo sei mesi, durante i quali il suo potere è assoluto.
Principali
magistrature
Censori: inizialmente hanno l’incarico di compilare le liste dei cittadini in base al censo
(censimento), ai fini del reclutamento militare e dell’imposizione delle tasse. In seguito
sono loro attribuite altre delicate funzioni, quali la sorveglianza della moralità dei magistrati e la vigilanza sugli appalti pubblici, per cui il loro prestigio cresce moltissimo.
Pretori: amministrano la giustizia. Il praetor urbanus segue le cause che sorgono fra i cittadini romani, mentre il praetor peregrinus presiede le cause dei cittadini romani con forestieri (appartenenti alla repubblica, ma non residenti in Roma) o dei forestieri tra loro.
Questori: in origine sono i segretari personali dei consoli. A partire dalla metà del V sec.
a.C. hanno invece una carica propria e il loro compito è quello di amministrare il denaro
dello Stato, riscuotendo i tributi e pagando gli stipendi a militari e impiegati.
Fra i magistrati minori vi sono i tribuni militari che, alle dipendenze dei consoli, comandano le legioni.
Le lotte sostenute dai plebei per far valere i loro diritti porteranno all’istituzione di una nuova e importante magistratura: quella dei tribuni della plebe (inizialmente due, poi fino a
dieci). Essi sono considerati sacri e inviolabili per tutta la durata della loro carica (un anno)
e chiunque attenti alla loro incolumità è punito con la pena di morte. Hanno inoltre il diritto di veto, cioè il potere di sospendere o annullare un decreto di un altro magistrato, o anche una deliberazione del Senato che essi ritengano contraria agli interessi della plebe.
In politica interna, in particolare, il Senato:
— discute le proposte di legge e le ratifica;
— controlla le finanze pubbliche;
— assegna le terre, confiscate ai popoli vinti, ai cittadini meno abbienti;
— concede i poteri straordinari ai consoli in caso di attentati alla sicurezza dello Stato.
In politica estera, invece, il suo compito è quello di:
— preparare dichiarazioni di guerra e trattati di pace;
— determinare i luoghi e i tempi delle campagne militari;
— stringere patti e alleanze;
— concedere la cittadinanza romana o l’autonomia a popoli e città.
Il Senato, che non esercita in modo specifico né il potere legislativo né quello esecutivo o
giudiziario, diviene tuttavia il principale organo di governo proprio per la configurazione
del suo ruolo, che lo porta a occuparsi di tutti i principali problemi dello Stato, come è chiaramente esemplificato dalla formula Senatus populusque romanus («il Senato e il popolo
romano») apposta su tutte le deliberazioni della repubblica, che alcuni storici, proprio per
questi motivi, definiscono anche repubblica senatoria.
4. Le conquiste della plebe
Le più alte cariche della repubblica sono ricoperte dai patrizi, i quali si vanno nettamente
differenziando dal resto della popolazione, cioè dalla plebe. La maggior parte di questa versa in condizioni economiche disagiate o molto spesso è costretta a ricorrere all’aiuto dei patrizi che, qualora i debitori non siano in grado di restituire i crediti ricevuti, hanno il diritto
di assoggettarli come schiavi.
Accanto alle motivazioni economiche della lotta che di qui a poco divamperà fra patrizi e
plebei ci sono però anche delle consistenti ragioni politiche. I plebei benestanti, che hanno
partecipato alla cacciata dei Tarquini da Roma, si sono guadagnati il diritto di partecipare
al governo e fino al 486 a.C. hanno espresso ben 12 consoli alla guida della repubblica. In
quell’anno, però, le grandi famiglie riescono a ristabilire la loro supremazia politica, effettuando una sorta di sbarramento che esclude i plebei dalla direzione dello Stato.
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Capitolo 1 - Le origini di Roma e il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica
I comizi che, come abbiamo visto, risalgono all’età monarchica, rimangono in vita per tutto il periodo della repubblica, pur se con alcune differenze. Infatti, se da una parte si va svuotando il ruolo dei comizi curiati, che conservano soprattutto il compito di ufficializzare l’investitura dei magistrati eletti dai comizi centuriati, dall’altra proprio questi ultimi assumono un’importanza sempre crescente.
I comizi centuriati, che sono convocati per eleggere i consoli e gli altri magistrati, sono formati da 193 centurie, ognuna delle quali può esprimere un voto. Dal momento che 98 di
esse sono costituite dai cittadini più ricchi (patrizi o plebei), si capisce come questo ordinamento, nato per facilitare l’arruolamento militare, divenga poi uno strumento politico-elettorale col quale i cittadini più abbienti si assicurano il controllo politico dello Stato.
Infine, fanno parte del Senato solo i magistrati che hanno ricoperto le cariche più alte dello Stato (consolato, questura e dittatura). Dall’iniziale numero di 100 componenti, che probabilmente si riferisce all’età monarchica, si passa in seguito a 300, 600 e perfino 900 membri. Dalla seconda metà del V sec. a.C. possono diventare senatori anche i plebei, che però,
non avendo parità assoluta con i loro colleghi patrizi, sono detti conscripti («aggiunti»).
La funzione del Senato è soprattutto consultiva. Esso dà un parere vincolante ai consoli e agli
altri magistrati nelle questioni inerenti alla vita dello Stato per ciò che riguarda sia la politica interna che quella estera.
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A questo punto i plebei si rivoltano sia per l’esclusione dalla vita politica che per le ristrettezze economiche che affliggono la maggior parte di essi. Non a caso, dovranno sostenere
varie lotte, le cosiddette secessioni (la più famosa delle quali è la secessione dell’Aventino
del 494 a.C.), prima di conseguire, nel 449 a.C., il riconoscimento ufficiale dei loro tribuni
(tribuni della plebe), della loro assemblea (comizi tributi) e dell’edilità, un’altra carica riservata esclusivamente a loro. Gli edìli hanno funzioni di carattere amministrativo e, soprattutto, presiedono alla costruzione di opere pubbliche e godono perciò di indubbi vantaggi
economici, leciti e illeciti.
T1. L’apologo di Menenio Agrippa
Parte I - Teoria Sezione I - Il mondo romano: storia, politica, società
La secessione dell’Aventino ebbe luogo nel 494 a.C. In quell’anno, proprio mentre Roma era in guerra contro alcuni popoli laziali, i plebei abbandonarono in massa la città e si ritirarono appunto sull’Aventino, decisi ad astenersi da qualunque combattimento. Fu così che i patrizi pensarono di inviare sul colle Menenio Agrippa, il quale, secondo il racconto storico, sarebbe riuscito a far desistere i plebei da quella protesta raccontando loro un
apologo.
[…] Placuit igitur oratorem ad plebem mitti Menenium Agrippam, facundum virum et quod inde oriundus erat
plebi carum. Is intromissus in castra prisco illo dicendi et horrido modo nihil aliud quam hoc narrasse fertur: tempore quo in homine non ut nunc omnia in unum consentiant, sed singulis membris suum cuique consilium, suus
sermo fuerit, indignatas reliquas partes sua cura, suo labore ac ministerio ventri omnia quaeri, ventrem in medio quietum nihil aliud quam datis voluptatibus frui; conspirasse inde ne manus ad os cibum ferrent, nec os acciperet datum, nec dentes quae acciperent conficerent. Hac ira, dum ventrem fame domare vellent, ipsa una
membra totumque corpus ad extremam tabem venisse. Inde apparuisse ventris quoque haud segne ministerium
esse, nec magis ali quam alere eum, reddentem in omnes corporis partes hunc quo vivimus vigemusque, divisum
pariter in venas maturum confecto cibo sanguinem. Comparando hinc quam intestina corporis seditio similis esset irae plebis in patres, flexisse mentes hominum.
[…] Decisero così i patrizi di mandare alla plebe come ambasciatore Menenio Agrippa, abile oratore e a lei caro, es­
sendo di origine plebea. Egli, come si narra, con quel suo modo di parlare semplice, raccontò soltanto questo.
«Nel tempo in cui nell’uomo le varie membra non erano come ora armonicamente congiunte, ma ognuna aveva una
sua propria volontà, si indi­gnarono le altre parti che ogni loro cura, ogni loro fatica e funzione servissero solo al ven­
tre. E questo se ne stava in mezzo tranquillo, non facendo nien­te, godendosi i piaceri che gli venivano procurati. De­
cisero dunque che le mani non portassero più cibo alla bocca, che la bocca non lo ricevesse, che i denti non masticas­
sero ciò che avessero ricevuto.
Per questa loro ostilità, mentre avevano voluto do­mare con la fame il ventre, anch’esse e con loro tut­to il corpo si
ridussero a un estremo esaurimento.
Si capì così che anche la funzione del ventre non è inutile, e che esso tanto nutre quanto è nu­trito, restituendo a tut­
te le parti del corpo, equamente diviso per le vene, questo sangue che ci dà la vita e le forze, e che si forma appun­
to dal cibo elaborato nel ventre».
E si narra che, così paragonando la ribellione del corpo al furore della plebe contro i patrizi, convinse i plebei a paci­
ficarsi e a rientrare a Roma.
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, II, 32)
5. La formulazione scritta delle leggi
Le leggi tramandate oralmente non garantiscono una buona amministrazione della giustizia, che favorisce sempre i patrizi a scapito dei plebei. Questi cominciano a rivendicare i propri diritti contro gli arbitri dei magistrati che interpretano le consuetudini a loro piacimento. Nasce così l’esigenza di una formulazione scritta delle leggi: la richiesta dei plebei è accolta nel 451 a.C., quando è eletto un collegio di dieci magistrati (decemviri legibus scribundis) che ha l’incarico di riunire in un codice scritto le leggi penali e civili.
È a questo punto che un ambizioso patrizio, Appio Claudio, tenta di rendere stabile la nuova magistratura e di mettersene a capo per assumere il governo della repubblica. Il suo tentativo però fallisce per opposizione degli stessi patrizi.
In seguito la plebe ottiene altre importanti vittorie, le principali delle quali sono sancite dalle seguenti leggi, che prendono il nome da quello dei tribuni che le propongono:
— lex Canuleia (445 a.C.), con cui si abolisce il divieto di matrimonio fra patrizi e plebei;
— leges Liciniae-Sextiae (367 a.C.), le quali stabiliscono che uno dei due consoli possa essere plebeo;
— lex Poetelia (313 a.C.), che abolisce la schiavitù per debiti;
— lex Ogulnia (300 a.C.), con la quale i plebei possono entrare a far parte dei collegi sacerdotali;
— lex Hortensia (287 a.C.), la quale completa la parificazione fra patrizi e plebei e consiste
nel riconoscimento giuridico delle assemblee della plebe, i comizi tributi (comizi del popolo riunito per tribù).
TAVOLA RIASSUNTIVA DEGLI ORGANI ASSEMBLEARI DELLA REPUBBLICA ROMANA
COMIZI CENTURIATI
Sono costituiti da tutti i cittadini suddivisi in cinque classi, più
i proletari e gli addetti ai mestieri per un totale di 193 centurie.
Votano le leggi, eleggono i magistrati ed esercitano funzioni
giudiziarie e di appello.
COMIZI CURIATI
Comprendono i cittadini divisi
in curie; testimoniano sui testamenti e le adozioni e conferiscono formalmente il potere ai
magistrati.
CONCILIO DELLA PLEBE
Organizzato per tribù, raccoglie prevalentemente i plebei,
legifera ed elegge i tribuni e
gli edili della plebe.
COMIZI TRIBUTI
Comprendono tutti i cittadini
divisi in 35 tribù territoriali e
votano le leggi.
SENATO
L’assemblea più prestigiosa,
formata da ex magistrati nominati a vita. Delegato a proporre le leggi, è di fatto l’artefice della politica interna ed
estera.
Questori: in numero crescente, amministrano le finanze dello Stato.
Magistrature
dello statO
Due edili plebei: amministrano il tesoro della plebe e sovrintendono ai ludi plebei.
Due censori: quinquennali, curano e aggiornano le liste censuali dei cittadini, controllando la moralità degli iscritti.
Pretori: in numero crescente, esercitano le funzioni giudiziarie ma possono avere anche il comando delle truppe.
Due consoli: supremi magistrati dello Stato, convocano e presiedono il Senato e hanno
il comando dell’esercito.
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Capitolo 1 - Le origini di Roma e il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica
La scrittura delle leggi, fino ad allora tramandate oralmente dalle famiglie patrizie, è una
grande vittoria della plebe. Nel periodo in cui resta in carica (451-450 a.C.), il decemvirato
provvede alla raccolta delle leggi, che sono incise su dodici tavole di bronzo ed esposte al
pubblico.
Per la prima volta nella storia della civiltà umana viene sancito il principio, che è alla base
di tutte le legislazioni moderne, dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, oltre
che quello della «certezza» e stabilità del diritto. Va tuttavia detto che le leggi delle XII tavole sanciscono molti dei privilegi del patriziato.
Tavola cronologica
22
753 a.C.
673-642 a.C.
641-617 a.C.
616-579 a.C.
578-535 a.C.
534-510 a.C.
509 a.C.
494 a.C.
451 a.C.
447 a.C.
445 a.C.
443 a.C.
421 a.C.
367 a.C.
356 a.C.
351 a.C.
Parte I - Teoria Sezione I - Il mondo romano: storia, politica, società
313 a.C.
Fondazione di Roma.
Regno di Tullo Ostilio.
Regno di Anco Marzio.
Regno di Tarquinio Prisco.
Regno di Servio Tullio.
Regno di Tarquinio il Superbo.
Nasce la repubblica romana.
I plebei si ritirano sull’Aventino. Creazione dei tribuni della plebe.
I decemviri promulgano le leggi delle XII tavole.
Istituzione dei questori.
La lex Canuleia consente i matrimoni tra patrizi e plebei.
Viene istituita la censura.
I plebei sono ammessi alla questura.
Vengono promulgate le leggi Licinie-Sestie. I plebei sono ammessi al consolato.
I plebei sono ammessi alla dittatura.
I plebei sono ammessi alla censura.
La lex Poetelia abolisce la schiavitù per debiti.