ceramica attica pt.3
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I gesti di corteggiamento nella ceramica attica: studio e analisi nell’opera di Makron e ricezione del tema in Etruria 61 4 - PRODUZIONE E COMMERCIO DEI VASI ATTICI: ASPETTI CULTURALI ED ECONOMICI 4.1. Il valore del lavoro nella cultura greca Nella Grecia antica l'agricoltura occupava una posizione di preminenza rispetto alle altre attività economiche: la condizione ideale era il proprietario terriero, indipendente e autosufficiente; alla proprietà della terra era strettamente connesso il godimento dei diritti di cittadinanza. In fondo alla scala sociale erano il commercio e l'artigianato, attività che necessitavano di lavoro manuale, considerato indegno per un gentiluomo. Il pensiero greco nei confronti del lavoro è dunque fondato su un’etica di carattere aristocratico che sopravvive anche nella Grecia delle poleis democratiche o comunque isonomiche. Non tutti i lavori manuali sono però equiparati: diversa appare, come già evidenziato, la valutazione del lavoro agricolo e del lavoro artigianale. Il lavoro agricolo è infatti integrato in una visione religiosa della vita: con esso l’uomo accetta i frutti della terra come dono offerto dalla divinità, oppure ottiene dalla divinità la ricompensa per la fatica che gli è imposta1. Non richiedendo un sapere specializzato, il lavoro agricolo non viene considerato neppure un vero e proprio mestiere: esso non è una techne, ma piuttosto un ambito di espressione delle energie umane. Il lavoro tecnico di carattere produttivo è ammesso per gli eroi omerici e per gli agricoltori, mentre è contestato per gli artigiani puri, anche quando l’attività è la medesima2. Ulisse poteva attendere a lavori manuali senza intaccare la propria reputazione, mentre un artigiano della città classica era invece sempre dipendente da altri e, non essendo autosufficiente come il contadino libero, era considerato di rango inferiore3. La riflessione sulla natura dell’attività produttiva non basta poi a spiegare la condanna morale del commercio, diffusa nel pensiero filosofico e non priva di riflessi a livello di opinione pubblica. L'attività commerciale era infatti ammissibile solo per assicurare l'autosufficienza, per procurare i beni indispensabili che mancavano, ma riprovevole se puntava al profitto fine a se stesso4. Nello stabilire la ‘gerarchia’ del lavoro sembra svolgere un'influenza notevole l’ideale autarchico, secondo quale l’uomo libero deve essere indipendente e mantenersi in 1 2 3 4 Xen., Oec. VI, 4 – 10, valorizza in modo particolare il lavoro agricolo come uno degli ambiti in cui si esplica la virtù del cittadino. Questo atteggiamento appare incomprensibile perchè non c'è nessuna creazione della cultura greca che non dipenda dalla tecnica del demiourgos (parola che ad Atene designava gli artigiani, anche se l'ammirazione per l'opera non si estendeva alla persona: AUSTIN, VIDAL NAQUET 1982, p. 27. AUSTIN, VIDAL NAQUET 1982, p. 31. Anche il commerciante al minuto era deprecato perchè cercava di vendere la merce a un prezzo più alto del suo valore reale: AUSTIN, VIDAL NAQUET 1982, pp. 28 – 29. I gesti di corteggiamento nella ceramica attica: studio e analisi nell’opera di Makron e ricezione del tema in Etruria 62 autonomia da altri: produrre anche tecnicamente ciò che serve a se stessi non è disonorevole, mentre lo è produrre per il mercato, quindi per il bisogno altrui. 4.2. I ceramisti attici del v secolo Cerchiamo di delineare, da fonti letterarie e da indagini archeologiche quale fosse la condizione dei ceramisti attici nel sulla base dei seguenti aspetti: status sociale del vasaio ad Atene; rapporto tra vasaio e pittore; relazione tra artigiano ed acquirente; ruolo del mercante di vasi anche attraverso le iscrizioni commerciali; commercio d'oltremare e speciale rapporto con l'Etruria. Possiamo considerare la produzione di ceramica come la forma che più si avvicina ai concetti dell'economia moderna. I laboratori erano tutti piuttosto modesti, con una produzione su piccola scala che impiegava un esiguo numero di lavoratori (mediamente sei persone), sebbene Atene nell'età classica rifornisse di vasi la maggior parte dei popoli del Mediterraneo5. 4.3. Lo status dei ceramisti Ad Atene i ceramisti vivevano in un quartiere o demo che prendeva il nome dalla loro attività, denominato Ceramico, ovvero kerameikos (da keramos, argilla). L'area si estendeva al di fuori della porta del Dipylon e ospitava, fin dai tempi più antichi, una delle principali necropoli della città, con le tombe disposte lungo la strada per Eleusi: i vasai risiedevano in una via di circa 1,5 Km che conduceva all'Accademia, anche se sono attestati insediamenti di vasai in altre zone di Atene, in particolare, nel IV secolo, nella parte sud dell'Agorà6. Pare che non esistessero edifici destinati solo all'attività manifatturiera, è probabile che gli artigiani abitassero sul luogo di lavoro; le fonti e le immagini sull'attività dei ceramisti riprodotte sugli stessi vasi, dimostrano che una parte delle lavorazioni veniva svolta all'aperto, nel cortile della casa o sotto la copertura di tettoie7. Solo una percentuale minoritaria della produzione era decorata con immagini, la maggiore era per uso comune. I vasi dipinti venivano acquistati solo in particolari occasioni: per la tomba, per la festa, come offerta votiva per il santuario, come oggetto di pregio per la casa8. I mestieri artigiani si tramandavano solitamente in ambito familiare. Nei piccoli paesi, il mestiere del ceramista non era svolto a tempo pieno, ma alternato alla coltivazione della terra, mentre nelle grandi città era svolto in modo esclusivo, soprattutto quando l'attività manifatturiera si espanse grazie alle esportazioni; partendo dal numero di ceramografi individuati, dalle testimonianze delle fonti e dalle stesse scene vascolari che riportano l'immagine di vasai assistiti da un certo numero di aiutanti, si è stimato che, nel V secolo, 5 6 7 8 Sulla diversa classificazione degli atelier ceramici nelle società antiche e tradizionali (officine, manifatture ecc.): PEACOCK 1998. BOARDMAN 2004, pp. 140 – 141. BETTALLI 1985, p. 37. SCHEIBLER 2004, p. 156. 63 I gesti di corteggiamento nella ceramica attica: studio e analisi nell’opera di Makron e ricezione del tema in Etruria fossero attivi circa cento pittori e che le diverse fasi della lavorazione impegnassero almeno cinquecento persone, cioè una percentuale significativa della popolazione ateniese. I manufatti per il mercato interno erano venduti direttamente nelle officine oppure al mercato dei vasai: essi vengono definiti, nelle fonti letterarie ed epigrafiche, semplicemente kerameia o anche chytrikon (pentola per cucinare). Quando era lo stesso vasaio a occuparsi dello smercio dei prodotti veniva denominato autopoles (venditore in proprio), oppure si poteva affidare ad un kapelos, cioè ad un piccolo commerciante che radunava un assortimento di vasi provenienti da diverse officine9; vi erano poi dei mercati specifici legati a manifestazioni cultuali oppure a santuari. Le transazioni prima dell'introduzione delle monete spicciole erano effettuate tramite baratto o scambiando piccoli oggetti metallici come chiodi, spiedi o anelli: con le prime monete ateniesi del VI secolo si ebbero frazioni fino ad un quarto di obolo, mentre nel V si ha notizia di una moneta in bronzo del valore di un ottavo di obolo.10 L'identità di alcuni artigiani ci è nota dalle firme o dalle frasi apposte sui vasi, ma la gran parte rimane anonima11. Dai nomi conosciuti emerge che frequentemente non erano ateniesi: molti di loro dovettero essere meteci, cioè stranieri immigrati proprio dove le loro abilità erano maggiormente richieste. La Ionia, in particolare, sembrerebbe la terra di provenienza di un flusso migratorio di artisti provocato intorno al 600 a.C. dalla dominazione dei Lidi e a metà del V secolo da quella dei Persiani: ad Atene la loro influenza si rinviene nelle forme vascolari e in alcuni elementi decorativi. Il rapporto tra il vasaio e il pittore era generalmente stabile, anche se si è ipotizzata una certa differenza di età, come dimostrerebbe la matura sensibilità del ceramista per le preferenze espresse dalla committenza. La presenza di omogeneità stilistiche ha fatto pensare che i pittori appartenessero a ‘scuole’ che spesso lavoravano per uno stesso vasaio, risentendo dell'influsso di un maestro per quanto attiene alla scelta del soggetto e alle peculiarità del disegno. Interessante è l'ipotesi che i ceramografi, alla fine del VI secolo a.C. , abbiano costituito una sorta di consorteria artistica che coincide con la prima generazione della nuova democrazia. I Pionieri, che praticarono per primi la tecnica delle figure rosse, traendone tutte le potenzialità in termine di tecnica di disegno, composizione, soggetto e lavorazione della ceramica, dimostrano un grado di erudizione e di familiarità con gli ambienti rappresentati (palestre e simposi) che poco si accordano con l'ambiente sporco ed oscuro delle botteghe. Singolare è poi la ricorrenza di iscrizioni che celebra l'avvenenza di fanciulli, manifestazione di quella pederastria, rappresentata con carezze piuttosto che da rapporti sessuali espliciti, che era patrimonio delle classi sociali più elevate, a dimostrazione della familiarità dei pittori con il pubblico destinatario delle proprie opere.12 9 10 11 12 I piccoli rivenditori locali, che non possedevano alcuna techne e si limitavano a svolgere una funzione di intermediari, non avevano bisogno di alcuna bottega, ma vendevano nell'agorà esponendo le mercanzie per terra o su banconi di legno: BETTALLI 1985, p. 33. SCHEIBLER 2004, pp. 163 – 164. Anche se abbiamo attribuzioni sulla base dello stile del ceramista e/o del pittore. BOARDMAN 2004, pp. 148 – 151. 64 I gesti di corteggiamento nella ceramica attica: studio e analisi nell’opera di Makron e ricezione del tema in Etruria 4.4. Rapporto tra ceramisti e mercanti Nell'industria ceramica solo raramente possiamo trovare legami permanenti tra un laboratorio di produzione e un mercante; alcuni tipi di vasi sembrerebbero essere fatti per una particolare clientela straniera, ma di solito i vasi erano esportati ovunque a seconda della domanda e delle circostanze13. Se il ceramista provvedeva a vendere direttamente, al mercato o in bottega, la produzione destinata al mercato locale, una parte rilevante veniva invece affidata a mercanti per essere trasportata e distribuita fuori città, addirittura fuori dal mondo ellenico. Alcuni mercanti avranno sicuramente visitato le officine, altri si facevano mostrare i campioni dai ceramisti direttamente al Pireo14. Quasi sicuramente il ceramista aveva accordi regolari con un mercante, sia che quest'ultimo lavorasse esclusivamente per lui che per una pluralità di artigiani. La diffusione della specializzazione delle forme nelle diverse botteghe, imponeva ai mercanti di rivolgersi ad una pluralità di produttori per comporre un servizio completo da simposio, come dimostrano le iscrizioni commerciali e l'eterogeneità di provenienza dei vasi da simposio deposti nelle tombe etrusche15. Per I. Scheibler i rapporti di affari erano estremamente flessibili, come dimostra il cd. ‘Pittore Affettato’ che risulta aver lavorato per otto diversi acquirenti, di cui cinque sono documentati numerose volte16. La questione del legame tra chi produceva e chi commercializzava, soprattutto in mete lontane, è stata oggetto di dibattito tra gli studiosi. I commercianti talvolta apponevano sui vasi il loro marchio, costituito spesso da iniziali di alfabeto ionico, e corrispondente in modo biunivoco a determinate botteghe: questo ha fatto ipotizzare uno stretto legame tra le due figure, il mercante e il vasaio, addirittura membri della stessa famiglia o della stessa comunità di immigrati. Ciò non significa però che tutti i ceramisti fossero dediti direttamente al commercio o che solo loro trattassero questa tipologia di prodotti, perché anche il carico di una nave poteva essere condiviso con altri e soggetto a una selezione17. La presenza di vasi ateniesi su relitti di navi fenicie dimostra che i meccanismi del commercio d'oltremare avesse aspetti diversificati e la presenza di un reperto in un determinato luogo non significa che l'oggetto provenisse direttamente da Atene. In origine i carichi erano affidati a mercanti stranieri (in epoca protoarcaica: fenici, egineti e greco orientali) che non commercializzavano solo beni greci, inoltre le navi non raggiungevano direttamente il porto di destinazione, ma viaggiavano per tappe 13 14 15 16 17 AUSTIN,VIDAL NAQUET 1982, p. 121. SCHEIBLER 2004 , p. 162. BOARDMAN 2004, p.156; SCHEIBLER p. 160. SCHEIBLER 2004, p. 170. BOARDMAN 2004, p. 145. I gesti di corteggiamento nella ceramica attica: studio e analisi nell’opera di Makron e ricezione del tema in Etruria 65 giornaliere, facendo numerosi scali e le merci potevano essere oggetto di cessioni successive. Il carico delle navi era piuttosto eterogeneo in quanto si doveva esibire un'offerta il più possibile ampia per sfruttare ogni opportunità commerciale, per poi scambiare o acquistare il carico per il viaggio di ritorno. La merce trasportata era dunque caratterizzata da due tipi di beni: da una parte i prodotti in natura di prima necessità diretti in Grecia (cereali, olio, metalli, legname, lino, lana), dall'altra prodotti di artigianato di pregio, metalli ed oggetti preziosi, ma probabilmente il carico era spesso misto causa le transazioni effettuate in ogni tappa del viaggio18. Può essere utile ricordare che il commercio antico non si sviluppò secondo una visione modernista del point to point, ma le imbarcazioni, seguendo rotte lungo costa, modificavano lungo il percorso la composizione del loro carico originale 19. 4.5. Lavoro su committenza: il mercato internazionale Prove di committenze particolari da parte di clienti indigeni, risultanti da iscrizioni dedicatorie o votive applicate prima della cottura, restano comunque limitate anche se molto citate dagli studiosi. Quanto più la ceramica era di qualità, tanto più cospicua era la sua ‘sovrapproduzione20’. Per quanto riguarda invece i mercati d'oltremare, ci si è spesso domandato se e fino a che punto i vasai ed i trasportatori si prefiggessero di venire incontro alla committenza. Secondo J. Boardman, il lavoro del vasaio rivela una profonda considerazione per il mercato estero, come nel caso delle forme vascolari destinate all'Etruria, sensibilità che non si estende invece al pittore vascolare, che rimane ateniese sia per i particolari stilistici che per le storie rappresentate: si deve dare risposta negativa all'ipotesi che alcune scene venissero rappresentate deliberatamente per l'esportazione. Anche i migliori acquirenti pare non prendessero parte attiva alla selezione delle merci e dipendessero completamente dalle decisioni assunte dai Greci per quanto riguarda i manufatti che era possibile comprare21. Questa impostazione sembra però contraddetta dalla comparsa ad Atene, nel secondo quarto del VI secolo, di una forma speciale di anfora affusolata a collo distinto, attestata in Etruria in quantità tale che la ricerca ha ritenuto di localizzarla soprattutto in questo luogo definendola ‘tirrenica’; su questi vasi il sistema decorativo con i fregi zoomorfi era ancora conforme allo stile corinzio. Le anfore tirreniche prodotte in Attica costituirebbero la prima testimonianza di una produzione destinata ad un mercato estero dove lo schema decorativo corinzio era stato fino allora familiare. 18 19 20 21 SCHEIBLER 2004, p. 174 – 176. CIACCI 2007, p. 171. Non destinata al fabbisogno locale, bensì al commercio sui mercati esteri: SCHEIBLER 2004, p. 155 158. BOARDMAN 2004, p. 145 e 155. I gesti di corteggiamento nella ceramica attica: studio e analisi nell’opera di Makron e ricezione del tema in Etruria 66 Quando, intorno al 550 a.C., nelle officine di Amasis e Exechias vennero create le prime importanti anfore con pannello che recano su entrambi i lati una grande raffigurazione narrativa, la novità venne immediatamente apprezzata dagli Etruschi: ad esempio di 58 anfore del Gruppo E (scuola di Exechias), ben 33 provengono sicuramente dall'Etruria. Ancora nel terzo quarto del VI secolo, il ceramista Nicosthenes produce anfore la cui forma con alto collo, bocca sporgente e ampie anse a nastro si rifà esplicitamente ai vasi di bucchero etruschi, come anche la forma del kyathos a piede basso, prodotto nella sua officina. Nicosthenes adatta perciò le forme vascolari al gusto etrusco, ma non sembra rinunciare alla decorazione figurata tipicamente greca22. Anche la produzione a figure rosse, grazie alla quale Atene sconfisse ogni concorrenza, trovò collocazione preferibilmente in Etruria, in particolare le eleganti coppe potorie e da esibizione, le anfore e hydriai23. J. Boardman si domanda se, per favorire il commercio di esportazione, le scene destinate a decorare i vasi per il mercato estero potessero essere scelte all'interno dell'abituale repertorio ateniese e se alcuni vasai realizzassero scene appositamente elaborate per la clientela locale. La risposta è che l'ipotesi è accettabile ma non verificabile, perchè non si è riscontrato un solo manufatto inviato da Atene con scene interamente etrusche. Un'altra ipotesi è che a livello locale, specificatamente etrusco, vi fosse un uso del mito greco volto a scopi specificamente politici piuttosto che genericamente sociale, a prescindere dall'interpretazione del loro significato ad Atene. Anche in questo caso, il fatto che le scene sui vasi importati ammettessero interpretazioni locali, tanto da costituire spunto per una serie di raffigurazioni prodotte localmente, non implica che tali soggetti fossero in origine scelti intenzionalmente. Per quanto riguarda invece l'ipotesi che alcune forme allogene di vasi fossero state intenzionalmente riprodotte per favorire il commercio, la risposta di Boardman è invece positiva, anche se non esclusiva: infatti le forme copiate dagli etruschi, come il kantharos ed il kyathos, che presentano la consueta decorazione attica, non venivano esportati esclusivamente in Etruria24. Per I. Scheibler senza dubbio la larga diffusione della ceramica dipinta evidenzia l'ampio raggio dei rapporti commerciali greci, ma non sarebbe pienamente chiarita la reale ampiezza del commercio dei vasi, né se le ceramiche costituissero propriamente merce di scambio oppure costituissero, almeno inizialmente, ‘doni’ per le classi dirigenti al fine di favorire il commercio. Non dobbiamo infatti sopravvalutare il ruolo commerciale dei vasi solamente per il fatto che casualmente sono giunti fino a noi in grandi quantità, mentre altre, forse più importanti, merci di scambio non hanno lasciato traccia, come i prodotti agrari greci di esportazione, quali olio e vino.25 22 23 24 25 SCHEIBLER 2004, pp. 196 – 197. Idem, pp. 201 – 202. BOARDMAN 2004, p. 236. SCHEIBLER 2004, pp. 177 – 178. I gesti di corteggiamento nella ceramica attica: studio e analisi nell’opera di Makron e ricezione del tema in Etruria 67 4.6. Prezzo dei vasi e valore di scambio Le fonti per stabilire il prezzo commerciale delle ceramiche ci vengono da alcuni testi letterari ed epigrafici, ma soprattutto da alcune iscrizioni (graffite o dipinte) apposte direttamente sul vaso come promemoria per il venditore e non immediatamente visibili all'acquirente: si tratta non solo di prezzi a nuovo, ma anche dei costi del vasellame usato di seconda mano o dato a noleggio. Dallo studio dei rari graffiti sui vasi che indicano il prezzo di un singolo pezzo o di un gruppo di manufatti, risulta che un vaso attico con cinque figure dipinte, discreto ma non eccezionale, costava ben 3 dracme, che era circa la retribuzione di tre giorni di lavoro. Prendiamo infatti, come valore di riferimento per la comparazione tra merci diverse, la paga media giornaliera di un lavoratore, che in età classica era di una dracma. Una coppa personale, come attesta una scritta riguardante l'entità del risarcimento in caso di rottura, valeva 1 dracma, mentre i vasi a vernice nera potevano costare la metà di quelli decorati; i vasi di piccole dimensioni e prodotti in serie potevano costare un obolo, che era la sesta parte di una dracma.26 Altro esempio ci viene dal rendiconto apposto su una pelike a figure rosse a Napoli addirittura su cinque righe: ‘stamnoi 3, prezzo (time) 3 dracme e 3 oboli; oxides 11, prezzo 1 e ½; lekithoi piccole 50, prezzo 3 oboli; lekythoi normali 6, prezzo 3 oboli; oxybapha 13, prezzo 1 obolo27’. Per valutare la remuneratività di tali prezzi, occorre considerare che i vasai dovevano provvedere al pagamento del ceramografo e degli altri lavoratori, al sostentamento degli schiavi; l'argilla era probabilmente gratuita e disponibile vicino al laboratorio, mentre la legna per alimentare la fornace era abbastanza onerosa: 36 Kg di legna per una dracma. Sul commercio dei vasi gravava inoltre nel 400 a. C. una imposta del 2%, che comunque assicurava entrate tutt'altro che trascurabili. Se questi erano i prezzi al produttore in Attica, i valori lievitavano a circa il doppio quando i manufatti giungevano in Italia o in Africa, ma il prezzo poteva andare oltre se più soggetti erano intervenuti lungo la filiera.28 Pare esistesse anche un mercato di ‘seconda mano’ delle ceramiche, a pezzi singoli o a gruppi, come denunciano alcune palesi incongruenze nelle dediche greche ed i contesti etruschi di ritrovamento, ma questo potrebbe essere spiegato anche con la grande ricettività degli acquirenti etruschi ad ogni aspetto dell’universo figurativo greco.29 Addirittura Webster nel 1972 aveva ipotizzato che i servizi simposiali esportati da Atene verso l’Etruria fossero appunto di seconda mano30. Sicuramente di seconda mano è la distribuzione delle anfore panatenaiche prodotte inizialmente per contenere l'olio sacro alla dea Atena che costituiva il premio per i vincitori 26 27 28 29 30 BOARDMAN 2004, pp. 157 – 158. SCHEIBLER 2004, p. 166. BOARDMAN 2004, pp. 157 – 158. SCHEIBLER 2004, p. 158. RENDELI 1989, p. 568. I gesti di corteggiamento nella ceramica attica: studio e analisi nell’opera di Makron e ricezione del tema in Etruria 68 delle gare dei giochi omonimi e che, come ‘vuoti’, troviamo in svariati contesti anche molto remoti31. Il confronto tra il valore della ceramica e altri tipi di carico a parità di peso e di volume dimostra la convenienza del trasporto di vasi rispetto ad olio, vino e grano che costituivano il comune carico delle navi. Tab. 2 - Prezzi di merci del peso di 40 Kg Merci dracme Vasi decorati 30 - 17 Olio: 9 choes 13,5 Vino: 9 choes 9 Grano: 1 medimnos 6 Orzo: 1,25 medimnoi 6 Tab. 3 - Prezzi di merci con un volume di 144 l. (144.000 cm3) Merci dracme Vasi decorati grandi 24 -15 2x7 anfore choes 21 Grano: 2,75 medimnoi 16 Orzo: 2,75 medimnoi 14 Vino: 2x7 anfore choes Olio: 14 Vasi decorati piccoli 12 – 8 Il valore di scambio risultava più vantaggioso alla luce del prezzo praticato sui luoghi lontani da quelli di provenienza: i vasi acquistati a un prezzo estremamente basso ad Atene dovevano assicurare profitti soddisfacenti in mercati in cui erano percepiti, indipendentemente dalla loro quantità, come prodotti esotici. Tendenzialmente ai mercati più ricettivi ed esigenti, quali quello etrusco, il Levante e alcune colonie, venivano riservati i pezzi di migliore qualità. Quando la nave aveva attraccato il mercante scaricava la sua partita di ceramica che veniva passata ad un mercante locale oppure ad un negoziante per la vendita al minuto; in Etruria, dove il mercato si trovava nei pressi dei porti, era possibile la vendita diretta32. Bibliografia al capitolo 4 31 32 AUSTIN, VIDAL NAQUET 1982 Austin M. – Vidal Naquet P., Economie e società nella Grecia antica, Boringhieri, Torino 1982, pp. 31, 2829, 121. 4 BETTALLI 1985 Bettalli M., Case, botteghe, ergasteria: note sui luoghi di produzione e di vendita nell'Atene classica, in Opus, IV, Roma 1985, pp. 29 – 42. 4 BOARDMAN 2004 Boardman J., Storia dei vasi greci, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato Libreria dello Stato, Roma 2004, 4 BOARDMAN 2004, pp. 155 – 156. Idem, pp. 160 – 161. I gesti di corteggiamento nella ceramica attica: studio e analisi nell’opera di Makron e ricezione del tema in Etruria 69 pp. 140-141, 145-151, 155-161, 236. CAMPOREALE 2000 Camporeale G., La ceramica arcaica: impasti e buccheri, in M.Torelli (a cura di) Gli Etruschi catalogo Mostra Palazzo Grassi Venezia, Bompiani, Milano 2000, pp. 405 – 420. 4 CIACCI 2007 Ciacci A., Appunti sulla ceramica di età preromana in Introduzione allo studio della ceramica in archeologia, Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Siena 2007, pag. 155 -184. 4 GRAS 1984 Gras M., Il commercio, in M. Cristofani (a cura di) Etruschi, una nuova immagine, Giunti, Firenze 1984, pp. 94 – 106. GRAS 2000 Gras M., Gli scambi, in M.Torelli (a cura di) Gli Etruschi catalogo Mostra Palazzo Grassi Venezia, Bompiani, Milano 2000, pp. 97 – 110. 4 PEACOCK 1998 Peacock D. P. S. , La ceramica romana tra archeologia e etnografia, con introduzione di G. Pucci, Edipuglia, Bari 1998. 4 RENDELI 1989 Rendeli M., Vasi attici da mensa in Etruria, Mélanges de l’Ecole Francaise de Rome. Antiquité, vol. 101 Numero 2, Roma 1989, pp. 545 – 579. 4 SCHEIBLER 2004 Scheibler I., Il vaso in Grecia – Produzione, commercio e uso degli antichi vasi in terracotta, Longanesi, Milano 2004, pp. 155-160, 162-164, 174-176, 196-197, 201-202, 177-178, 166 4 4 4