Continua la lettura - Fondazione San Benedetto

Transcript

Continua la lettura - Fondazione San Benedetto
ANNO XXI NUMERO 61 - PAG III
IL FOGLIO QUOTIDIANO
SABATO 12 E DOMENICA 13 MARZO 2016
LA SANTISSIMA STRETTA
Altro che libertà di religione: in America Obama impone di vivere la fede come un fatto privato
di Matteo Matzuzzi
America è pronta a sacrificare i
benefici che derivano da un sistema religioso aperto sull’altare del moderno politically correct?, si domandava neppure un lustro fa Rodney Stark,
il sociologo delle religioni della Baylor
University. Questione di numeri, insisteva, ricordando quanto positivo fosse
l’impatto della religione negli Stati
Uniti circa la riduzione del crimine, il
miglioramento dell’istruzione e della
salute fisica e mentale, nell’aumento
dell’occupazione e nella stabilizzazione del welfare. Un affare da molti miliardi di dollari l’anno. Eppure, a guardare l’ultimo rapporto sullo stato della
libertà religiosa in America pubblicato
dal First Liberty Institute, pare che l’ariete da sacrificare abbia già poggiato
il capo sulla roccia, in attesa del colpo
fatale. Un’ostilità che si ingrossa come
i fiumi durante un’alluvione, un “diluvio che sta sommergendo cittadini normali che semplicemente tentano di vivere in modo normale, in pace con la
propria fede e la propria coscienza”,
sottolinea il dossier. E via con l’elenco
degli esempi in cui la più cara delle libertà per un americano, la first freedom,
dere i diritti degli individui e delle comunità, e a respingere qualsiasi forma
di ingiusta discriminazione. Assieme a
innumerevoli altre persone di buona
volontà di questa grande democrazia,
essi si attendono che gli sforzi per costruire una società giusta e sapientemente ordinata rispettino le loro preoccupazioni più profonde e i loro diritti
inerenti alla libertà religiosa. Questa libertà – aggiungeva Francesco – rimane
come una delle conquiste più preziose
dell’America. E, come i miei fratelli vescovi degli Stati Uniti ci hanno ricordato, tutti sono chiamati alla vigilanza,
proprio in quanto buoni cittadini, per
preservare e difendere tale libertà da
qualsiasi cosa che la possa mettere in
pericolo o compromettere”. Il che non
significa arroccarsi a difesa del fortino
costruito a protezione dei cosiddetti
princìpi non negoziabili, chiudendosi
“nel recinto delle paure, a leccarsi le ferite, rimpiangendo un tempo che non
torna e preparando risposte dure alle
già aspre resistenze”, come ebbe a dire
il Pontefice nella cattedrale di san Matteo, a Washington. Quasi che tutto ciò
che è al di là dello steccato sia intriso di
peccato, mortifero, da evitare. Ma neppure si tratta di ridurre la libertà religiosa “a una sottocultura senza diritto
di espressione nella sfera pubblica”,
come avrebbe detto all’Indipendence
Mall di Philadelphia in uno dei discorsi più significativi pronunciati durante
il viaggio negli Stati Uniti.
Il ritorno nelle catacombe, insomma,
come destino. La negazione dell’anima
stessa della Costituzione americana indicata nel 1789 da colui che sarebbe di-
I ricorsi contro il motto “In
God we trust” che minerebbe il
principio di neutralità. La
richiesta di demolire le croci
Per Dietrich Bonhoeffer, “la
democrazia americana non è
fondata sull’uomo emancipato,
bensì sul regno di Dio”
è presa di mira, minata nei suoi tratti
più profondi. Più di 1.200 casi documentati – il computo non “è esaustivo”,
si puntualizza subito – che dimostrano
come l’assalto a quello che il giurista
cattolico di Princeton Robert George
ha definito “il cuore morale della Costituzione” sia senza precedenti. Attacchi palesi, nello spazio pubblico, eclatanti. Ne è un esempio Edmond City,
privata dell’emblema adottato cinquant’anni fa perché prevede una croce latina. Si voleva ricordare il ruolo
della chiesa cattolica nello sviluppo
dell’ovest – il Papa a settembre ha canonizzato Junipero Serra proprio per
tale motivo, nonostante i vivaci moti di
protesta dei nativi americani che in
quello spagnolo emigrato in California
vedevano più un satrapo che un evangelizzatore – ma per il tribunale locale
mettere una croce su uno stemma cittadino significa abbracciare una fede.
Nell’America di oggi, dove c’è chi trascina in giudizio uno sceriffo della Florida perché accusato d’aver decorato le
auto di servizio con il motto nazionale
(e dello stesso stato) In God we trust –
che diverse associazioni agnostiche volevano bandire perfino dalle banconote – accade spesso.
Dopo otto anni di presidenza obamiana che hanno progressivamente (ma
con costanza) ricacciato la libertà religiosa nell’ambito della sfera privata,
nel nome dell’ideale egalitario che presuppone la neutralità di tutto ciò che è
pubblico rispetto alle proprie convinzioni religiose, è quasi la routine. Quella pretesa di neutralità che Antonin
Scalia, per l’ultima volta un mese prima
della morte avvenuta lo scorso febbraio, definiva assurda, frutto di una
“distorsione praticata dai giuristi attivi
negli anni Settanta”, convinti che “ogni
traccia di ‘religioso’ dovesse essere bandita a favore di uno spazio pubblico del
tutto secolare”. Ma nella Costituzione
non c’è scritto nulla di tutto questo, aggiungeva l’originalista chiamato da Ronald Reagan alla Corte suprema: “Non
si può favorire una denominazione religiosa piuttosto che un’altra, è vero. Ma
non sta scritto da nessuna parte che
venuto presidente al termine del doppio mandato di George Washington,
John Adams: “La nostra Costituzione è
stata fatta solo per un popolo morale e
religioso. Essa è del tutto inadeguata al
governo di qualsiasi altro tipo di popolo”. Il fatto è che “non possiamo capire
l’assetto delle istituzioni americane – o
i valori che queste istituzioni hanno lo
scopo di promuovere e difendere – se
non riconosciamo che esse si sono sviluppate a partire da una visione del
mondo prevalentemente cristiana”, notava tempo fa l’arcivescovo di Philadelphia, il cappuccino Charles Chaput.
Certo, proseguiva, non va taciuto l’influsso dell’ebraismo e del diritto romano, così come quello fondamentale dell’Illuminismo, ma dopotutto anche quest’ultimo è figlio del cristianesimo. Il
punto è che “qualunque cosa diventi in
futuro, l’America è nata protestante,
una cosa che gli osservatori stranieri
sembrano spesso comprendere meglio
degli americani”, scriveva Chaput sulla
rivista Oasis nel 2012.
Si prenda Dietrich Bonhoeffer, il pastore luterano eliminato sotto la scure
nazista, che era giunto alla conclusione
– dopo un soggiorno di studio e di insegnamento a New York – che “la democrazia americana non è fondata sull’uomo emancipato, bensì sul regno di Dio
e sulla limitazione da parte della sovranità di Dio di tutti i poteri mondani”.
Ecco l’ideale della shining city upon a
hill, la splendente città sulla collina, metafora dell’America mitica dove tutto è
possibile. Un’immagine che stride con
quanto si legge nel rapporto del First liberty Institute, come nel caso di Brandon Jenkins e Dustin Buxton, non ammessi al programma di radioterapia del
Community College di Baltimora perché rei d’aver parlato della propria fede durante in colloqui preliminari. “In
questo campo non c’è spazio per la religione”, è stato loro spiegato dalle autorità del College a mezzo lettera. Con
l’aggiunta decisiva: “Se in futuro parteciperete a un colloquio, vi consigliamo
di non menzionare i vostri pensieri e le
vostre credenze”.
Twitter @matteomatzuzzi
“Il dovere dell’uomo di onorare Dio
precede sia in ordine temporale sia per
grado di obbligo le pretese della società
civile. Un uomo, prima ancora di essere considerato un membro della società
civile dev’essere considerato un suddito del Governatore dell’universo” (James Madison, 1785)
L’
Il problema è che per il governo democratico la libertà religiosa altro non è che la libertà di culto, cioè il diritto di credere in chi o in cosa si vuole. Purché lo si faccia in casa o nei luoghi consoni
non si possa privilegiare la religione anziché la non-religione”. Non è dello
stesso avviso il governatore dello stato
di Washington, che ha permesso di installare nel Campidoglio locale la scritta “Non ci sono divinità, non ci sono demoni, non ci sono angeli né Paradiso o
Inferno. C’è solo il nostro mondo naturale. La religione è mito e supersitzione che indurisce i cuori e schiavizza le
menti”.
Chissà se Scalia, nel suo j’accuse in
punta di diritto, si riferiva anche a
quanto accaduto a Middleborough, in
Massachusetts, dove – sempre in nome
“La nostra Costituzione è fatta
solo per un popolo morale e
religioso. E’ inadeguata al governo
di altri popoli” (John Adams)
del sacro principio della laicità – è stata richiesta la demolizione di una croce alta tre metri e mezzo eretta cinquant’anni fa in mezzo a uno spartitraffico (in California, a Santa Clara, è stata chiesta la rimozione della croce innalzata trecento anni fa in una vecchia
missione cattolica). O forse il giudice
pensava a Christian Parks, lo studente
del Thomas Nelson College, in Virginia,
cui era stato intimato di “non pregare o
discutere i propri punti di vista religiosi nell’area comune dell’istituto”. Il motivo? “Gli altri studenti avrebbero potu-
to trovare offensivi tali opinioni”. Inoltre, per dare una giustificazione burocratica al divieto, si fece presente a
Parks che non aveva chiesto il permesso ai dirigenti con almeno quattro giorni d’anticipo. Lo studente fece ricorso,
lamentando la limitazione non solo della libertà di professare una religione,
ma anche di parola. Vinse.
Caso dopo caso, dalla costa orientale
a quella occidentale, è come un’alluvione, che inizia con una pioggia tambureggiante, quindi ingrossa rigagnoli e
corsi d’acqua, fino a rompere gli argini
allagando tutto. John Courtney Murray,
il gesuita newyorchese che trascorse la
vita teorizzando l’abbraccio perpetuo
tra Vangelo e Costituzione e che ha posto – inconsapevolmente, essendo morto nel 1967 – le basi per il cattolicesimo
postconciliare americano, l’aveva predetto con lucidità: si rischia di ridurre
la religione a “mere credenze” o a “opinioni”. Tutto, insomma, meno che a
identificarle con delle verità. Con questi presupposti, ha scritto Hadley Arkes,
giurista all’Amherst College, è ovvio che
se si ha a che fare solo con delle “credenze”, al massimo si potrà chiedere di
non essere assoggettati a leggi imposte
e valide per gli altri. Ma questo “è del
tutto in contrasto con la dimensione morale della questione. Si fa reclamo per
esercitare un diritto”. Un po’ come gli
enti di ispirazione religiosa costretti a
offrire nei rispettivi piani assicurativi
contraccettivi e farmaci abortivi. Ne
sanno qualcosa le Piccole sorelle dei
poveri, che proprio per questa ragione
dal 2012 sono impegnate in una eroica
battaglia legale contro l’Amministrazione obamiana. Dalla loro parte hanno il
Papa, che lo scorso settembre, trovandosi negli Stati Uniti per la sua prima
visita apostolica nel paese, ha scelto come fuori programma di andare a trovare proprio le religiose. Un gesto che era
“chiaramente un segno del suo sostegno
nei loro confronti”, avevano subito sottolineato dal Vaticano. Il problema è
che per il governo democratico la libertà religiosa altro non è che la libertà
di culto, cioè il diritto inalienabile di
credere in chi o in cosa si vuole. Purché
lo si faccia in casa o nei luoghi consoni,
nell’intimo ardore della propria coscienza, senza alcuna pretesa di elevare tale libertà nella dimensione pubblica. E’ la sconfessione del modello americano classico di libertà religiosa, al
centro del quale – come scrisse Harold
Berman – vi è una visione della sacralità e del destino della persona umana
religiosamente ispirata.
Già quattro anni fa, il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York
e per un triennio energico presidente
della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, opponendosi allo schema dell’Obamacare scriveva che “quest’ultima
erosione della nostra Prima libertà dovrebbe interrogare tutti gli americani.
Quando il governo manomette una libertà così fondamentale per la vita del-
la nostra nazione, uno rabbrividisce
pensando a ciò che ci aspetta”. Appena
eletto alla guida dei vescovi americani
(sul finire del 2013), il successore di Dolan, mons. Joseph Kurtz, aveva messo in
fila una dopo l’altra le contraddizioni
dell’approccio obamiano verso la first
freedom, servendosi proprio della povertà, tema su cui il presidente che promise il change alle masse che sognavano l’agognata e definitiva emancipazione, ha tentato di costruire un’ideale assonanza con il Pontefice preso quasi alla fine del mondo. Citava, Kurtz, proprio
le Piccole sorelle, quando domandava
Il Papa: “Non si può ridurre
la libertà religiosa a una
sottocultura senza diritto di
espressione nella sfera pubblica”
all’inquilino della Casa Bianca se esse
“rischieranno di pagare multe salate o
violeranno le convinzioni più profonde
per evitare di pagare migliaia di dollari in sanzioni”.
Il destino è l’irrilevanza. Il Papa, in
uno dei suoi primi interventi istituzionali in terra americana, proprio alla libertà religiosa fece appello, ringraziando Barack Obama per l’accoglienza alla Casa Bianca: “Assieme ai loro concittadini, i cattolici americani sono impegnati a costruire una società che sia veramente tollerante e inclusiva, a difen-