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SECONDO TEMPO
SABATO 22 NOVEMBRE 2014
il Fatto Quotidiano
BATTIBECCO
IL PROCESSO
Eternit, la morte
non si prescrive
di Gian
I
Carlo Caselli
giudici della Cassazione sono maestri di diritto. Sapranno quindi
spiegare con maestria il
percorso tecnico–giuridico
che nel caso Eternit li ha portati ad azionare la mannaia
della prescrizione. Cancellando con un sol colpo due sentenze di condanna, una del
Tribunale e l’altra della Corte
d’Appello di Torino (come si
dice in gergo, una “doppia
conforme”), condanne pronunciate sempre escludendo,
esplicitamente,
qualunque
ipotesi di prescrizione.
In estrema (grossolana) sintesi, l’alternativa era fra due opzioni. Configurare il delitto di
disastro ambientale come reato di pericolo cessato con la
chiusura delle fabbriche
(1986), ancorando a questo
fatto la prescrizione. Oppure
definire la fattispecie come
reato a consumazione prolungata o permanente, considerato che anche dopo la chiusura
delle fabbriche permangono
gli effetti mortali dell’amianto
in esse prodotto, tant’è vero
che tali effetti si registrano ancora oggi e continueranno a
prodursi in futuro.
I giudici della suprema Corte
hanno scelto la prima via e sapranno motivare distillando
elaborazioni dottrinali e ragionamenti tecnico–giuridici
sofisticati, sostenuti da sapienti sillogismi. Roba da manuale. Ma sarà sempre un prodotto “in vitro”. E rimarrà difficile, forse impossibile, liberarsi dalla sensazione che i supremi giudici abbiano deciso
rimanendo esclusivamente
nel perimetro delle “carte”,
considerate asetticamente e
soppesate con criteri burocratico–formalistici. Senza poter
percepire e tenere in conto anche la realtà concreta di vite
spezzate o rovinate, di sofferenza e dolore che segna e caratterizza il caso Eternit.
Ricordo bene la lettura del dispositivo di condanna in tribunale. Una lettura che di solito si esaurisce in un paio di
minuti, mentre in quel caso ci
vollero circa tre ore, a causa
dell’infinito elenco di persone
offese.
TRE ORE in piedi per ascoltare
una sequenza interminabile di
nomi che da sola testimoniava
le eccezionali dimensioni del
dramma che si stava giudicando. Forse è proprio la mancanza di questo contatto, anche fisico, con la realtà che ha indirizzato la Cassazione verso
una decisione per la quale è legittimo chiedersi se non valga
il brocardo “summum jus,
summa iniuria”. Vale a dire
che anche l’interpretazione
formalmente più corretta può
essere sbagliata sul piano sostanziale della giustizia.
Come già Marco Travaglio,
voglio anch’io citare Vladimiro Zagrebelsky, secondo cui
alla nostra Cassazione è “mancata la capacità di affermare un
diritto che non oltraggia la
Parenti delle vittime LaPresse
AMIANTO KILLER
La Cassazione ha deciso
che il reato sia cessato
con la chiusura
delle fabbriche nel 1986.
Scelta spiazzante.
Vedremo le motivazioni
giustizia… e ne soffrirà la fiducia dei cittadini nella legge”.
Perché, quale che sia la motivazione della Cassazione, è
comunque difficile accettare
(capire!) come – per effetto di
un’interpretazione in punto
prescrizione già respinta due
volte dai giudici di merito – si
sia, di fatto, potuta operare la
cancellazione di migliaia di
morti di cancro e delle relative
responsabilità. Come se il calcolo del tempo trascorso fosse
una specie di “magia” capace
di far sparire le peggiori tragedie. Ma il processo non è
“magia”, anche se è vero che la
parola della Cassazione, l’ultima, per convenzione è quella
“giusta” in quanto non appellabile. Ma si tratta appunto di
convenzione. Si dice che la
sentenza ultima “facit de albo
nigrum”, ma proprio per questo il diritto, il buon senso e la
giustizia debbono essere quanto più possibile intrecciati e
non separati.
Infine, di colpo è tornato di attualità il tema della prescrizione. Siamo un paese che ama la
legislazione del giorno dopo,
che interviene solo se qualcosa
di brutto lo sveglia o lo costringe, senza sapere elaborare progetti organici.
DELLA NECESSITÀ di cambia-
re le norme sulla prescrizione
(che solo in Italia non si interrompe mai) si discute da
molto tempo. Senza però fare
nulla, anche per effetto – sembra – di veti partitici incrociati.
Finirla una buona volta con
vuote promesse e passare ai
fatti, sarebbe una degna maniera di onorare le vittime
dell’Eternit. Attenzione nello
stesso tempo a non confondere le acque parlando di prescrizione fuori luogo. Per
esempio dimenticando che le
due sentenze di condanna della magistratura torinese sono
state pronunciate nell’arco di
soli quattro anni: un tempo record per l’interminabile durata dei processi nel nostro Paese.
Contro la crescita serve
l’Europa autarchica
di Massimo Fini
COSA sarebbe successo, in
epoca preindustriale, se su un
campo dove lavoravano e si
mantenevano dieci persone si
fossero accorti che otto erano
sufficienti a coltivarlo tutto?
Avrebbero cacciato i due “in
esubero” a pedate? Nient’affatto, si sarebbero diminuiti
proporzionalmente i carichi di
lavoro e il tempo così guadagnato se lo sarebbero andati a
spendere in taverna, a giocare
a birilli, a corteggiare la futura
sposa o a cornificare, fra i cespugli, quella che avevano.
Perché per quegli uomini il vero
valore era il tempo, che noi abbiamo trasformato nel mostruoso “tempo libero”, un
tempo non da vivere ma da
consumare altrimenti le imprese vanno a rotoli. Anche
l’artigiano lavora per quanto gli
basta. Il resto è vita. Se leggiamo gli Statuti artigiani medioevali sbalordiamo: era proibita
la concorrenza. Ognuno doveva avere il suo spazio vitale. Dice: ma allora cosa impediva
all’artigiano di fornire prodotti
scadenti? Gli Statuti che stabilivano minuziosamente gli
standard e lo stesso artigiano
cui l’orgoglio per il proprio mestiere (che è un concetto diverso dal lavoro) gli imponeva di
dare il meglio di sé, il capolavoro in senso tecnico. Quel
mondo non era basato sulla
competizione economica. Non
che quella gente snobbasse la
ricchezza. Come nota sarcasticamente Max Weber “la sete
di lucro... si trova presso camerieri, medici, cocchieri, artisti,
cocottes, impiegati corruttibili,
soldati, banditi, presso i crociati, i frequentatori di bische, i
mendicanti, si può dire presso
all sorts and conditions of men“.
n
La sconvolgente novità che
porta il borghese è che il guadagno si fa attraverso il lavoro
(robb de matt). È questa la folgore che cambierà tutti i rapporti economici, sociali, esistenziali e renderà centrale la
figura ripugnante del mercante e dell’imprenditore perché è
colui che dà lavoro. Sono patetiche le masse di uomini e di
donne che oggi premono ai
cancelli per poter diventare, o
ridiventare, degli “schiavi salariati”. La competizione chiude poi il cerchio. Per un imprenditore che vince magari
usando la tecnologia al posto
degli esseri umani ce n’è un altro che perde e deve liberarsi
dei suoi dipendenti. A livello
globale per un Paese che apparentemente si arricchisce
ILLUSIONE
La progressione infinita
su cui si basa lo sviluppo
esiste in matematica
non in natura.
Noi abbiamo da tempo
superato il confine
LaPresse
ce n’è un altro che va in default.
“Apparentemente” perché la
“ricchezza delle Nazioni” di
smithiana memoria non corrisponde affatto a quella delle
loro popolazioni (la Nigeria è il
Paese più ricco dell’Africa ma
ha il più alto tasso di poveri).
LA SOLUZIONE? Tutti, da
Obama a Cameron, da Renzi a
Camusso, la indicano nella crescita. Chiunque parli di crescita
è un lestofante. Perché le crescite infinite, su cui è basato un
modello di sviluppo ormai planetario, esistono in matematica ma non in natura. E noi abbiamo ormai superato abbondantemente il confine. Può crescere ancora qualche settore
come l’informatica ma anch’essa troverà presto il suo limite
(dopo aver ridotto l’iPod a 6
millimetri, a tre, a uno ed essersi
inventati qualche ulteriore applicazione, che altro?). Adesso
la parola magica è “banda larga” che significa una maggiore
velocizzazione delle comunicazioni, come se uno dei nostri
problemi non fosse proprio la
velocità cui stiamo andando,
che permetterebbe, si dice, una
maggior produttività. Ma produrre che cosa e soprattutto
per chi, inducendo nuovi bisogni di cui l’uomo non aveva mai
sentito il bisogno, caricando il
pianeta, già al collasso, di un
surplus di fardello? Non si può
più crescere, bisogna, sia pur
gradualmente, decrescere. Una
soluzione, per quanto circoscritta e limitata, io l’avrei. Si
chiama Europa. Ma un’Europa
molto diversa da quella attuale:
unita, neutrale, armata, nucleare e autarchica. Una formula
dove la parola chiave è “autarchica”. Lo chiarirò meglio in un
prossimo Battibecco. Se nel frattempo non avrò perso il lavoro.
n
LOGGE SEMISEGRETE
Massoni e Ku Klux Clan,
ridateci i cappucci di una volta
di Nanni
A
delbecchi
rriva il golpe e non abbiamo niente da toglierci. Sono tempi duri per gli incappucciati; c’è il rischio di
dover buttare tutto alle ortiche, con quello che costa farsene fare uno su misura perché, se c’è una cosa che bisogna commissionare al sarto, quella è il cappuccio, altrimenti si fa la fine dei due
del Ku Klux Klan di Djiango
Unchained di Quentin Tarantino, che sbagliano la carica a
cavallo perché non ci vedono
una mazza. Mentre è annunciato in libreria Massoni, dove
il gran maestro Gioele Magaldi smaschera la ragnatela di
superlogge che ci circonda,
ecco che dobbiamo registrare
un colpo inferto addirittura ai
cappucci a punta del famigerato KKK. Come tutta risposta alle minacce contro i cittadini di Ferguson che chiedono giustizia, Anonymus ha
violato i profili Twitter degli
incappucciati locali. Foto, account social e informazioni
personali sono state diffuse in
rete, sotto l’hashtag battezza-
to #HoodsOff, ovvero Giù il
cappuccio. Un titolo che dice
tutto, perché ci catapulta in
un batter d’occhio dalla tragedia all’avanspettacolo.
Certo che anche loro potevano starci un po’ più attenti.
Non si può volere il cappuccio pieno e l’account ubriaco.
Anche perché, una volta scoperti, il danno per questi strenui difensori della razza ariana è incalcolabile. Se togli la
maschera a Zorro, resta Zorro. Ma che cos’è l’attivista del
KuKluxKLan, se gli togli la
maschera? A occhio, un incrocio tra monsignor Milingo, Mario Borghezio e Mago
Zurlì. Roba da non poter andare nemmeno più alla Zanzara.
Ma se a Ferguson piangono, a
Roma non ridono. Il libro del
maestro Magaldi si annuncia
come un’aggiornatissima Pagine gialle dell’Arte reale. Per
gli affiliati di tutto il mondo,
una vera mazzata in capo; o
meglio, sul cappuccio.
Dopo la nuova illuminazione
della Cappella Sistina, si accendono i led anche sulle svariate cupole del Grande
TRASPARENZE
Un libro rivela
gli affiliati italiani,
Anonymus smaschera
i razzisti americani,
anche l’identità segreta
è entrata in crisi
Oriente; e non le solite P2 P3
P4 e via andare, di cui sinceramente si rischiava di perdere il conto, quasi fossero le
puntate di una serie Tv; qui si
toglie il coperchio una per
una, come fossimo a Masterchef, agli assai meno noti cenacoli affollati di presidenti,
banchieri, industriali, eccellenze.
LE COSIDDETTE Ur-Lodges
citate dall’autore sono in tutto
36 e si dividono tra progressiste e conservatrici, a formare
un sistema proporzionale puro. I nomi delle singole formazioni non li conosciamo,
ma li possiamo anche imma-
Incappucciati del Ku Klux Klan Ansa
ginare (Massoni d’Italia? Forza Oriente? Massoneria Democratica? Grembiule arcobaleno?). In ogni caso, dentro
ci sono tutti quelli che contano, il Patto del Nazareno al
confronto è una giacchettata.
La Magaldi’s list parte da
Giordano Bruno per arrivare a
Napolitano, Berlusconi, Hollande, Merkel, Putin, Gandhi,
Papa Giovanni XXIII, Mozart,
Mazzini, Garibaldi, Obama,
Chaplin, Lagarde, Blair, Padoan, Roosevelt e tantissimi
altri. Mancano stranamente
l’Uomo Mascherato e Homer
Simpson, ma forse l’elenco
non è completo.
Il messaggio è chiaro: se non
sei massone, non sei nessuno.
Tutto questo però a patto che
il cappuccio resti ben calato
sul viso. Perché siamo sempre
lì: il massone scappucciato è
un cow boy sul cavallo a dondolo, un samurai con la spada
retrattile. È un uomo in crisi di
identità, ma di identità segreta, di cui nemmeno Antonioni
saprebbe che farsene. E dire
che mai come nel mondo digitale le identità proliferano
ed è difficile capire con chi si
ha davvero a che fare. Ma cari
framassoni, bisogna mettersi
al passo coi tempi; oggi volersi
coprire con un cappuccio è
come mettere il gettone
nell’iPhone.