Casorati, ovvero il disagio dell`artista

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Casorati, ovvero il disagio dell`artista
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CULTURA
Casorati, ovvero
il disagio dell’artista
La Galleria d’arte moderna delle Ciminiere ha ospitato un altro
evento espositivo che chiude il ciclo dei grandi del Novecento
avanti ad un quadro come
“ritratto di Maria Anna De
Lisi” (1918), esposto
nella
mostra
alle
Ciminiere di Catania, di
Felice Casorati (1883-1963) si resta spiazzati,
per la malinconia che è nella figura ma soprattutto nello sguardo, in quegli occhi che non
guardano, uno è in penombra, l’altro allucinato e cerchiato di scuro. All’inizio ci prende un
disagio, forse lo stesso dei contemporanei dell’artista che non ritrovavano traccia né di
impressionisti, né di futuristi, né dei macchiaioti. La pittura di Casorati aveva tempi ben
più lunghi, e i suoi riferimenti erano ben più
lontani, da Piero della Francesca a Mantegna.
Se ci proiettiamo nel tempo il disagio a
poco a poco comincia a definirsi, per gli spazi
vuoti, per la profondità delle architetture, per
quella scultura che su un piedistallo imita la
figura e ne ripete i motivi. Per tutto ciò che
invece di essere dominato da Maria Anna De
Lisi finisce per dominarla.
E’ la scoperta che il mondo e le cose
vivono una vita indipendente da noi, ci
sopravvivono e si usurano per leggi proprie. Il
nostro non è che un passaggio, e neanche da
dominatori. Tutto ciò che il quadro trasmette
e che noi percepiamo si può definire malinconia. Uno stato d’animo in cui si condensano il
senso della perdita, magari della cacciata da
un immaginario paradiso terrestre, e dell’attesa, un’attesa reale e metafisica. Come in un
altro quadro che s’intitola “La donna o l’attesa” dello stesso periodo. Anche qui gli oggetti scandiscono lo spazio e il tempo, la prospettiva architettonica finisce nel buio.
Basterebbero questi due quadri per farci
amare Casorati e per capire che, più che nella
pittura contemporanea, l’artista aveva dei riferimenti nella letteratura dei suoi anni torinesi,
nell’anima crepuscolare di un Corazzini, o di
un Gozzano, senza averne l’amara ironia.
E si comprende così perché nel soggior-
D
In alto,
Taormina (1931);
in basso, Autoritratto
(1904/1905)
no napoletano Casorati non si ritrovasse: “ Mi
sono chiesto perché mai un paesaggio così
ricco di tutte le gioie come quello di Napoli
aggrava ed intristisce la mia malinconia”.
L’artista non poteva amare una natura dirompente, che ti costringe a vivere, lui aveva bisogno della istanza, del controllo intellettuale
delle pulsioni vitali.
Torino perciò e la città in cui l’artista
finalmente trova la sua vocazione, in cui i suoi
dubbi, la sua malinconia trovano finalmente
lo strumento espressivo più appropriato. Non
più il realismo impressionistico delle vecchie,
né i riferimenti klimtiani o kandiskiani che si
vuole vedere nel “Tiro a bersaglio” in
“Marionette” e in “Giocattoli”.
Una poetica finalmente matura che ha la
fortuna di trovare in un intellettuale come
Piero Godetti l’interprete più fine ed originale,
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l’unico capace di comprendere la poetica dell’amico e di interpretarne l’angoscia esistenziale. “Incompreso ha saputo creare la pittura
dell’incomprensione e dell’isolamento”.
Era la Torino ricca di fermenti culturali e
sociali dell’ ”Ordine nuovo” di Gramsci e della
“Rivoluzione liberale” di Godetti. Con quest’ultimo Casorati avrà un intenso rapporto di
amicizia e collaborazione.
Tanto che disegnò il marchio editoriale
dei libri pubblicati dall’intellettuale antifascista
con la scritta in greco “ Che ho a che fare io
con gli schiavi” suggerita da Augusto Monti. E
sarà sempre Casorati a illustrare i frontespizi
dei volumi pubblicati da Godetti.
Un Casorati antifascista dunque che
sarebbe piaciuto anche al padre di Natalia
Ginzburg, il quale non ne approvava l’arte
(“sgarabazzi, sbrodeghezzi”) ma ne apprezzava l’antifascismo.
Nel “ Lessico familiare” (1963) la scrittrice, con lieve ironia, lascia un ritratto intenso
dell’artista, facendone emergere la grandezza
per contrasto, ovvero cominciando con il disprezzo paterno e finendo con l’ammirazione
sconfinata delle donne della sua famiglia, di
alcune amiche e soprattutto del professore
Luni.
Nella Torino degli anni del fascismo, lo
studio dove Casorati impartiva lezioni ad una
schiera di allievi, era un sicuro rifugio, un
porto franco della retorica imperante. Lalla
Romano in “Una giovinezza inventata” ne ha
lasciato un affettuoso ricordo.
Anche la malinconia nel Ventennio fasci-
In alto, ritratto di
Maria Anna De Lisi
(1918);
in basso, studio per
ritratto di Renato
Gualino (1922/23)
sta poteva avere un effetto dirompente.
Eppure dovrebbe esserne una chiave interpretativa, se, oltre a Casorati, pensiamo alle periferie desolate di un artista fascista come
Sironi.
Nella mostra delle Ciminiere, tra molti
capolavori, mancano purtroppo la “Silvana
Cenni” (1922) e “Conversazione platonica”
(1925). Quest’ultimo indirettamente legato a
Catania per l’indignazione che suscitò nel
poeta Giacomo Etna. L’uomo in nero che
osserva una modella sdraiata sul lettino è
inquietante, il rapporto tra l’abbandono, la
carnalità della Venere, la rotondità delle
forme, e l’aspetto rigoroso dell’osservatore
richiama mille repressioni e inibizioni, mille
congetture che frappongono barriere tra l’istintualità del sesso e le architetture dell’intelletto.
Per gli intellettuali fascisti, tutti vitalismo
e procreazione, fu una provocazione. E
soprattutto i catanesi erano i più virulenti. Già
abbiamo visto come, parlando di Roberto
Rimini, M.M. Lazzaro nel 1928 aveva invocato il confino, assieme a usurai e agli sparuti
antifascisti ,per gli artisti passatisti. Invece
Giacomo Etna si preoccupa per il buon nome
dell’epoca mirabile in cui ha la fortuna di vivere. Questi erano gli intellettuali fascisti e futuristi di quella Catania brancatiana che si continua scioccamente a mitizzare.
Salvatore Scalia
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CULTURA
La storia in
punta di penna
E’ approdata a Palazzo Minoriti la Mostra internazionale
della stilografica. Il successo di pubblico, tra appassionati e curiosi,
sancisce il successo della originale collezione di Salvo Panebianco
on c’è cosa che pesi meno
della penna, non c’è cosa più
lieta; gli altri piaceri sono fuggevoli e dilettando fan male;
la penna reca gioia quando la
si prende in mano e soddisfazione quando la si depone”. Di
certo quando il Petrarca, nel XIV secolo, scrisse questi versi
neanche lontanamente immaginava che centinaia di anni dopo
moderni sistemi di scrittura elettronica potessero in qualche
modo proporre soluzioni alternative ad uno strumento che –
dalle forme più rudimentali e semplici a quelle più ricercate e
complesse – ha da sempre accompagnato l’espressione e la
creatività umana. Eppure, proprio oggi, che la penna non è più
quell’oggetto indispensabile per tradurre e conservare il pensiero, questi versi appaiono incredibilmente attuali, paradossalmente più di allora.
Le moderne tecnologie dell’epoca multimediale hanno
infatti accresciuto il valore ed il piacere di riscoprire uno strumento semplice, immediato, che, durante tutta la sua storia ed
i suoi stadi evolutivi, ha sempre mantenuto una costante: liberare ciò che ogni uomo ha dentro di se.
E la penna, che – è proprio il caso di dirlo – ha scritto
pagine importanti della storia dell’umanità, è stata “raccontata”
a Palazzo Minoriti nella 9^ edizione della “Mostra internazionale”, organizzata dalla Provincia regionale di Catania, in collaborazione con il Club della Penna stilografica “Salvo
Panebianco”.
Una rassegna che per quindici giorni ha richiamato nella
Galleria dell’Etna del settecentesco convento catanese oltre
cinquemila visitatori. “Non c’è tecnica di scrittura – ha affermato il presidente della Provincia, Nello Musumeci - più affascinante e romantica di quella della penna: dai tempi del calamaio, al pennino più sofisticato. Uno strumento che rievoca in
ognuno di noi sensazioni e ricordi particolari. La sua storia, letta
attraverso l’allestimento della 9^ Mostra internazionale, quest’anno si è intrecciata con la straordinaria testimonianza storico-architettonica costituita dall’edificio che ospita il nostro
Ente. Ciò ha contribuito ad arricchire un evento che di per sé
era già degno di grande considerazione. Abbiamo realizzato un
eccezionale connubio tra storia e cultura che, stando ai dati
registrati, è stato particolarmente apprezzato. Questa manifestazione va ad aggiungersi al nutrito carnet di eventi e spazi culturali che da anni l’Amministrazione provinciale propone per la
“N
Michele Cucuzza con le figlie Carlotta e Matilde, il presidente
Musumeci e l’organizzatore Salvo Panebianco
crescita sociale e la promozione del territorio.”
A Palazzo Minoriti gli organizzatori hanno esposto un
migliaio di esemplari, alcuni dei quali veramente unici e pregiati, noti tra l’altro per avere tenuto a battesimo e sancito momenti significativi della storia passata e recente.
La rassegna comincia con la Parker modello “Lucky
Curve”, in ebanite nera e pennino in oro, usata nel 1899 per
firmare il trattato alla conferenza di Parigi che poneva fine alla
guerra ispano-americana e continua con altri pezzi pregiati,
provenienti da collezioni private, difficilmente rintracciabili in
Italia. Tra le “introvabili” di fabbricazione italiana si Annovera la
“Apollo 11” che custodisce al proprio interno una minuscola
parte del rivestimento della navicella spaziale Columbia, che
come si ricorderà andò in parte bruciata durante l’impatto con
l’atmosfera terrestre. Tra le più recenti, anche la penna del
“Summit”, realizzata appositamente per ricordare la firma dei
20 Capi di Stato nel summit di Pratica di Mare (Roma) che ha
sancito l’entrata della Russia nella Nato.
E non è mancato un ospite d’eccezione: il giornalista
Michele Cucuzza, catanese doc, premiato con il Pennino d’oro.
Un altro nome prestigioso si è aggiunto all’albo d’oro del premio che è stato assegnato in passato a grandi firme come Enzo
Biagi, Vitorio Sgarbi, Pasquale Scimeca.
Massimo Casertano
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De Felice,
il sindaco più amato
Inquieto, ribelle, passionale: la grafia ci svela il carattere di un politico
di rango che fu presidente dell’Amministrazione provinciale dal 1916
al 1920 e seppe conquistare i catanesi
ell’affrontare l’esame della
grafia di un personaggio
celebre, lo studioso deve
estraniarsi per evitare di
esprimere giudizi che
sono il frutto di valutazioni storiche, per puntare all’esame dei segni grafici che riconducono alla vera natura dello scrivente.
Lo sforzo è maggiore quando si tratta di
uomini come Giuseppe De Felice Giuffrida, di
cui sono noti la vita e l’operato. Lo slancio folgorante della passione, i sentimenti intensi e
tumultuosi, l’ardore, l’inquietudine, i contrasti
interiori e la ribellione, sono il tratto caratterizzante della sua grafia.
Nato a Catania nel 1859, fu intensamente impegnato nell’attività politica ed è noto per
la sua opera di “agitatore delle folle” oltre che
per aver fondato in Sicilia i “Fasci dei
Lavoratori”.
Lo studio del suo grafismo è affascinante. Il movimento febbrile e slanciato verso la
destra è indice di ammassamento di idee e
azioni, conseguenza della voglia di sbrigarsi
per passare ad altro, e denota anche ostinazione, caparbietà, volontà ferrea di affermazione
di se, sia nell’essere che nell’avere; tuttavia i
continui ritorni verso sinistra associati ad una
certa mollezza del filo grafico, sottolineano
che la personalità vive in una dimensione di
aspro tormento. La conflittualità è estrema e il
dubbio di sé acutissimo.
I gesti lanciati insieme al tratto netto,
sono espressione di aggressività verbale e si
traducono praticamente in eccellente capacità
oratoria. La forma delle lettere disuguale, parla
della coesistenza di bisogni affettivi urgenti ed
esigenti, ma la necessità di salvaguardare intatta l’attività e la forza delle idee è imperativa,
ragion per cui ne poteva derivare spesso un
comportamento assurdo, incomprensibile talvolta drastico.
Moltissimi i ricci della spavalderia che
N
esprimono la forzatura sull’io per ostentare
forza e sicurezza. L’inflazione dell’io va di pari
passo con una conclamata indipendenza,
sempre agognata ma in realtà illusoria e mai
raggiunta. In definitiva un uomo eccezionale
che fa leva sulle debolezze per trarre la forza.
Nunzia Scalzo
Gravina, oltre sessanta artisti
alla collettiva di pittura “Festa dell’Arte”
Organizzata dall’Accademia artistica Apollodoro con il patrocinio dell’assessorato alle Attività culturali della Provincia regionale di Catania e del Comune di Gravina di
Catania si è svolta la seconda collettiva di pittura “Festa dell’arte”. Presente all’inaugurazione il presidente della Provincia Nello Musumeci, la rassegna d’arte rimasta aperta
al pubblico per un’intera settimana ha visto quest’anno l’adesione dei seguenti pittori:
Alfio Abate, Maria Grazia Barbagallo, Alessandra Barcellona, Gaetano Barcellona,
Francesco Basile, Salvatore Brischetto, Valentino Buttafuoco, Nelluccia Calcagna,
Cinzia Canino, Carmela Caponnetto, Nicolò Cionino, Calogero Coniglio, Maria Luisa
Consoli, Silvana Conti, Francesco Coppolino, Lino D’Andrea, Cesare D’Angelo, Irene
Di Mauro, Valentina Di Salvo, Walter Di Salvo, Guglielmo Donzella, Chiara
Emmanuele, Mariella Fedi Miraponte, Fulvia Fichera, Clorinda Fisichella, Piera Fichera,
Milena Fisichella, Salvo Foti, Rita Grasso, Angela Guardo, Corrado Gozia, Agata La
Ferlita, Rosetta Leonardi, Pina Malerba, Achille Mazzeppi, Carmelo Messina, Maria
Messina, Rosa Milazzo, Antonella Nicolosi, Franco Orioles, Vito Papa, Angela Patanè,
Michelangelo Pedone, Luisella Prinzi, Lucia Privitera, Maria Giovanna Rapisarda, Elisa
Rizzotti, Pippo Romeo, Alfio Russo, Giovanna Salemi, Sara Salemi, Elisabetta
Sanfilippo, Giuseppe Santonocito, Tania Scalisi, Agata Scandurra, Carmela Scavo,
Pippo Sortino, Francesco Sozzi, Cettina Squillaci, Benedetto Strano, Antonino Valenti,
Maria Valenti, Grazia Vinciguerra. Un numero considerevole di artisti che hanno ben
ripagato dalle fatiche organizzative sia la responsabile artistica Silvana Conti che il presidente dell’Accademia Angelo Liotta.
Quest’anno, a margine della Collettiva d’arte, è stata organizzata un’estemporanea di pittura da studio a premi dal tema: “Sicilia – usi, costumi e tradizioni?”.
Dopo un attento esame delle opere che hanno partecipato al concorso, la giuria
- formata da Maria Antonietta Zeno, moglie dell’onorevole Enzo Bianco presente alla
cerimonia conclusiva della manifestazione, dal preside del Liceo artistico di Catania
Giovanni Previtera, da Patrizia Maugeri, organizzatrice del premio “Amenano d’argento” e dal maestro d’arte Raffaele Russo - ha assegnato il primo posto a Alessandra
Barcellona, seguita da Agata La Ferlita e da Walter Di Salvo.
Antonio Nicolosi