RELAZIONE AVV. LUCIANA TULLIA SERTOLI

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RELAZIONE AVV. LUCIANA TULLIA SERTOLI
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CONVEGNO
AIAF LOMBARDIA I FONDAZIONE FORENSE DI MONZA
CRITERI DI LETTURA DELLE DICHIARAZIONI DEI REDDITI AI FINI DI UNA CORRETTA
VALUTAZIONE DELLA SITUAZIONE PATRIMONIALE DEI CONIUGI
26 MARZO 2012
RELAZIONE AVV. LUCIANA TULLIA SERTOLI
Buongiorno a tutti.
L'intento che vorrei raggiungere con questa mia relazione è quello di:
individuare gli aspetti giuridici e procedurali connessi alla dichiarazione dei redditi,
nell'ambito delle separazioni dei coniugi e del divorzio;
richiamare le connessioni dell'assegnazione della casa familiare con l'imposizione diretta e
l'imposizione ai fini ICI e IMU
La lettura della dichiarazione dei redditi quale prova
Partiamo dalla dichiarazione dei redditi quale prova nel giudizio di separazione e divorzio.
E' doveroso il richiamo alle norme:
1. art. 706 c.p.c., per quanto concerne la separazione personale dei coniugi: il Legislatore ha
stabilito che AI ricorso e alla memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei
U
redditi presentate"
2. art. 4 Legge n. 898/70 per il divorzio: il Legislatore ha ugualmente stabilito che "al ricorso e
alla prima memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi rispettivamente
presentate"
3. e ancora per il divorzio, l'art. 5 della Legge n. 898/70 stabilisce che: "I coniugi devono
presentare
al/'udienza di comparizione
avanti al presidente
e ogni documentazione
del tribunale la dichiarazione
e al patrimonio
personale
dei redditi
personale
e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui
relativa
ai loro redditi
patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria".
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Quest'ultima disposizione, espressa nell'ambito della normativa sul divorzio, è applicabile anche ai
procedimenti
per
separazione,
per
espressa
interpretazione
giurisprudenziale
(Corte
di
Cassazione, Sezione 1" Civile, 17 maggio 2005, n. 10344).
La Suprema Corte, inoltre, sempre nella medesima sentenza citata, chiarisce che:
l'esercizio del potere di disporre indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria
costituisce una deroga alle regole generali sull'onere
della prova
e rientra nella discrezionalità del giudice di merito
e non può essere considerato un dovere imposto sulla base della semplice contestazione
delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche.
Ma tale discrezionalità
ha un limite: il giudice, potendosi avvalere di detto potere, non può
rigettare le istanze delle parti relative al riconoscimento
e determinazione
dell'assegno
sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali si fondano:
Il caso di specie meglio chiarisce: dato atto della documentazione
e comprovante
prodotta dalla ricorrente
l'intensa attività lavorativa del coniuge, l'elevato livello professionale
e il
conseguente presumibile conseguimento di compensi superiori a quelli modesti dichiarati, il
giudice deve far uso del potere di disporre indagini di ufficio
e non, come ha fatto, limitarsi a dichiarare congruo l'assegno di mantenimento
in base alla
mancanza di elementi certi di quantificazione del reddito.
Chiarito così il punto di vista relativo alla disposizione dell'indagine da parte della polizia tributaria,
dobbiamo ora chiarire altri due aspetti:
1. le indagini da parte della polizia tributaria non sono da confondere con la CTU economico
patrimoniale, di cui si parlerà nella seconda giornata di questo Convegno.
La CTU è svolta,
infatti, da un consulente
tecnico
nominato
dal Giudice
e tutto il
procedimento rimane in un ambito privatistico;
2. le indagini della polizia tributaria, invece, dal punto di vista dei militari verificatori, devono
sortire nella determinazione di un maggior reddito non dichiarato.
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Difficilmente la polizia tributaria si muove se non intrawede
immediatamente
la possibilità
di recuperare gettito per l'Erario.
Torniamo ora alla dichiarazione dei redditi.
Parliamo della dichiarazione dei redditi personali, che conterrà eventualmente:
la dichiarazione dei redditi di capitale, se il soggetto partecipa ad esempio ad una società di
capitale e ha percepito dividendi
la dichiarazione
del reddito di partecipazione,
se il soggetto partecipa ad una società di
persone
la dichiarazione del reddito d'impresa se il soggetto è imprenditore individuale
la dichiarazione
del reddito di lavoro autonomo.
Ho voluto riassumere molto sinteticamente
tale concetto, per evidenziare che è la dichiarazione
dei redditi personali che deve essere prodotta in giudizio e non quella dell'eventuale
società
partecipata.
La dichiarazione
dei redditi è un documento
redatto ai fini dell'imposizione
diretta da parte
dell'Erario.
Come ha ben chiarito la relatrice che mi ha preceduto, la determinazione
del reddito operata nello
schema dichiarativo risponde a precise finalità di:
individuazione dell'esatto importo dei ricavi I compensi
individuazione dell'esatto importo dei costi inerenti
conseguente individuazione del reddito imponibile e degli oneri deduci bili e detrai bili
conseguente calcolo dell'imposta
dovuta, tenendo conto dell'applicazione
di una serie di
principi di equità e perequazione sociale che variano a seconda della composizione del
nucleo familiare ed anche a seconda delle risultanze dell'omologa/sentenza
di separazione
e della sentenza di divorzio.
Conseguentemente,
le dichiarazioni
dei redditi, per espresso
chiarimento
giurisprudenziale
"in
quanto svolgono una funzione tipicamente fiscale, in una controversia - quale quella di specie relativa a rapporti estranei al sistema tributario, non rivestono valore vincolante per il Giudice, il
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quale, nella sua valutazione discrezionale,
ben può disattenderte, fondando il suo convincimento
su altre risultanze probatorie" (Cass. , Sezione 1/\ civile, 14 marzo 2066, n. 5521).
Nel caso di specie la Suprema Corte aveva evidenziato che i giudici di merito:
con argomentazioni
logiche ed esaurienti
avevano espresso le ragioni che, nell'individuazione
del reddito dell'obbligato,
li avevano indotti a superare i dati fiscali e determinare in via presuntiva l'entità del reddito,
ragioni ricondotte alla natura imprenditoriale dell'attività esercitata
e
all'importanza
economica
delle
iniziative
immobiliari
intraprese
dai
coniugi
e
dell'accumulo di cospicui risparmi nel corso della convivenza
e in assenza di redditi lavorativi della moglie.
E' di chiara evidenza il richiamo alla norma di cui all'art. 115 c.p.c:
"Salvo i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre
a fondamento della decisione le prove
proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente
contestati dalla
parte costituita.
"Il giudice può, tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento
della decisione le
nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza".
La giurisprudenza di legittimità, chiarendo
il necessario rigore che la deroga al principio dispositivo
ed al contraddittorio che il richiamo al fatto notorio comporta, così lo definisce:
fatto acquisito alle conoscenze
indubitabile
ed incontestabile
della collettività
con tale grado di certezza da apparire
(cito una delle ultime decisioni conformi: Casso Civ., Sez.
seconda, 31 maggio 2010, n. 13234)
cognizioni
comuni e generali in possesso della collettività
nel tempo e nel luogo della
decisione, senza necessità di ricorso a particolari informazioni o giudizi tecnici (Cass. Civo
Sez. terza, 21 maggio 2004, n. 9705)
E' fatto acquisito alle conoscenza della collettività, senza la necessità di particolari informazioni o
giudizi tecnici, che per
acquistare beni immobili
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e accumulare risparmi
sia necessario aver conseguito un certo reddito.
Dall'entità degli investimenti immobiliari e mobiliari è possibile, pertanto, dedurre presuntivamente
l'entità del reddito.
Esaminiamo ora un'altra norma sulle prove.
L'art. 116 c.p.c. al secondo comma stabilisce:
"tl giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno
dell'articolo seguente (interrogatorio
non formale
a norma
delle parti), dal loro rifiuto ingiustificato a
consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel
processo".
E' chiaro comportamento
quello della parte che non produce in giudizio le proprie dichiarazioni dei
redditi, pur sussistendo prove circa lo svolgimento di attività, il tenore di vita e la consistenza del
patrimonio.
Il fatto di non produrre le dichiarazioni dei redditi può, fra virgolette, essere sanzionato dal giudice
ex art. 116 c.p.c.
Gli studi di settore quale prova
Richiamo
nuovamente
comparizione
l'art. 5 della
avanti il presidente
Legge
del tribunale
personale dei redditi e ogni documentazione
La dichiarazione
n. 898/70
là dove
i coniugi debbano
impone
che all'udienza
presentare
di
la dichiarazione
relativa ai loro redditi.
dei dati ai fini degli studi di settore è indubbiamente
un documento
relativo ai
redditi.
La dichiarazione dei redditi è uno dei documenti che formano l'insieme definito Modello Unico.
Nella prima pagina del frontespizio del modello unico al primo rigo vengono indicati i documenti
allegati: Redditi, IVA .... Studi di settore.
Pertanto, la dichiarazione ai fini degli studi di settore fa parte del modello unico: è indubbiamente
un documento relativo al reddito.
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Può essere opportuno instaurare la prassi di:
produrre insieme alla dichiararne
dei redditi anche la dichiarazione
ai fini degli studi di
settore;
nel contempo, chiedere al giudice che ordini a controparte la presentazione
degli studi di
settore, qualora non lo abbia fatto e questo ai sensi proprio dell'art. 5 della 898170.
La relatrice che mi ha preceduto ci ha spiegato i fatti che emergono da questo documento, fatti
che possono, insieme ad altre prove, dimostrare che
i compensi dichiarati per lo svolgimento di lavoro autonomo
o i ricavi dichiarati per l'attività di impresa
sono inferiori a quelli effettivi.
Faccio un esempio: se in qualche modo è dimostrato
che il soggetto lavora parecchie ore al
giorno e dichiara invece di lavorare solo ad esempio 30 ore settimanali, possiamo dedurre che ha
esposto questo dato al solo fine di far risultare una congruità del reddito che non
risulterebbe
indicando le effettive ore di lavoro.
L'indicazione delle ore di lavoro e delle settimane lavorative nel corso dell'anno è uno dei dati che,
variando, fa variare il risultato sulla congruità del reddito.
E' doveroso sottolineare che il meccanismo di calcolo della presunzione di reddito definito "studi di
settore" è un mezzo grossolano, perché:
in primo luogo, è ben difficile incasellare le modalità di svolgimento
autonomo o di impresa in uno schema che, pur prevedendo
dell'attività di lavoro
una serie di variabili, è pur
sempre uno schema, una griglia che limita la visione della singola realtà;
in secondo luogo, ancora l'elaborazione del software di applicazione (denominato Gerico) è
lontana dalla realtà dei singoli rami di attività.
Una delle strade per adattare, detto fra virgolette, lo schema fisso alla realtà consiste nel giocare
ad esempio proprio sulle ore di lavoro: lo può fare chi effettivamente
dichiara il veritiero reddito
percepito e scopre che lo schema non gli corrisponde e lo può fare chi sta occultando
(sottolineo che in entrambi i casi si è in presenza di falso).
reddito
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Quello che voglio sottolineare che conseguentemente
la dichiarazione dei dati ai fini degli studi di
settore è un'arma a doppio taglio.
Tuttavia, pur tenendo conto di questa caratteristica,
sicuramente
è un documento che aiuta a
meglio capire la situazione reddituale e che è bene che figuri fra le prove che obbligatoriamente
i
coniugi devono produrre nei giudizi di separazione e divorzio.
Considerazioni
simili possono essere svolte in relazione al redditometro,
mezzo che prescinde
dallo svolgimento di attività di lavoro autonomo o di impresa (necessario per gli studi di settore) e
prescinde anche da redditi dichiarati.
Il redditometro, infatti, misura il reddito presunto sulla base di determinati indizi di ricchezza: auto,
aerei, cavalli, soggiorni in alberghi di lusso, ecc. ecc. E' evidente la valenza di prova di tale mezzo.
Assegno di mantenimento e assegno di divorzio - imposizione diretta
Ai fini fiscali non ha alcuna rilevanza la diversa valenza che assume l'assegno di mantenimento
rispetto all'assegno di divorzio: entrambi sottostanno in egual misura alla normativa fiscale.
Dal punto di vista dell'Erario si applica un principio
base: ciascun reddito prodotto deve
essere tassato.
Il reddito in questo caso è prodotto dal soggetto che deve corrispondere
l'assegno;
per chi lo
ad un reddito
di lavoro
percepisce non si può certo parlare tecnicamente di reddito.
Tuttavia, la norma prevede che:
chi percepisce
deve dichiarare
quello
che viene assimilato
dipendente, indicando l'importo annuo nella sezione seconda del quadro
Re.
Se l'importo, sommato agli altri redditi, determina un reddito complessivo superiore ad euro
55.000, non spettano le detrazioni per reddito di lavoro dipendente (quadro RN);
chi versa l'assegno, deduce l'importo annuo dal reddito, indicandolo negli oneri del quadro
RP.
Sottolineo che:
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l'assegno di mantenimento
dei figli non è deducibile, in quanto si operano le detrazioni
d'imposta fisse per i figli;
se l'omologa
o la sentenza
indica un solo importo, comprensivo
sia del mantenimento
dell'ex coniuge che dei figli, si presume che vada suddiviso al 50% ai figli e 50% al coniuge.
Assegno
di divorzio
una tantum - aspetti fiscali
La deduzione dal reddito dell'assegno
comma 1 lettera c) dell'art.
periodico
corrisposto
al coniuge è operata ai sensi del
10 del D.P.R. n. 917/86, che recita:
Dal reddito complessivo si deducono "gli assegni periodici
Dalla caratteristica della periodicità
corrisposti al coniuge".
discende il diverso trattamento per:
l'assegno periodico, deduci bile dal reddito dell'erogante e tassato in capo al percipiente;
e l'assegno una tantum che non è tassato in capo al percipiente e non è deducibile dal
reddito dell'erogante.
L'Agenzia
delle Entrate
argomenta tale interpretazione,
sottolineando
detrazione
dell'assegno
una tantum dal reddito dell'erogante,
che se si consentisse
verrebbe
a mancare
all'Erario, in quanto il percipiente non è tenuto a dichiarare e sottoporre a tassazione
la
un gettito
il relativo
importo.
La sentenza della Sezione V tributaria della Cassazione del 6 novembre 2006 n. 23659 argomenta
e avvalora tale interpretazione, sottolineando che:
l'assegno
periodico
viene fissato
in base alla situazione
pronuncia e può essere successivamente
esistente
al momento
della
modificato;
l'assegno una tantum è invece un assetto complessivo degli interessi personali, familiari e
patrirnoniali dei coniugi, non direttamente correlato al reddito del periodo di imposta.
Andrei oltre a suggerirei una ulteriore argomentazione.
/I concetto
di reddito ai fini dell'imposizione
diretta è fissato dal combinato disposto degli artt. 1 e
6 del D.P.R. n. 917/86 in base al quale sono redditi:
i redditi fondiari
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i redditi di capitale
i redditi di lavoro dipendente
i redditi di lavoro autonomo
i redditi d'impresa
i redditi diversi: tali redditi sono determinati in un elenco tassativo nell'ambito dello stesso
D.P.R. e in tale elenco non compare l'assegno erogato dall'ex coniuge.
E non compare come reddito, in quanto per avere reddito è necessario (salve le eccezioni previste
dal Legislatore) che alla corresponsione
in denaro corrisponda o una cessione di un bene o una
prestazione di un servizio o di un lavoro, o il fruttificare di un capitale.
Per avere reddito è necessario, pertanto, che sussista la presenza di obbligazioni corrispettive.
Non rientrano
in questo concetto di "corrispettivo",
l'assegno di mantenimento
e l'assegno di
divorzio, che, pertanto, non sono reddito.
Tuttavia, il legislatore con una forzatura - e il legislatore tributario attua parecchie forzature - ha
assimilato al concetto di reddito l'assegno periodico corrisposto dall'ex coniuge.
La norma che opera questa assimilazione è norma eccezionale e non può essere applicata per
analogia, ai sensi dell'art. 14 delle Preleggi.
Inoltre il principio
rappresenterebbe
analogico
non può essere
applicato
in ambito tributario, in quanto
ciò
una lesione della riserva di legge di cui all'art. 23 della Costituzione
(nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non n base alla legge).
Quindi:
l'assegno di mantenimento e l'assegno da divorzio non sono reddito in capo al percipienti;
tuttavia,
per una forzatura
nel sistema
giuridico-tributario,
corrisposto periodicamente è assimilato
eccezionalmente
al reddito di lavoro dipendente
l'assegno
in capo al
perçipiente e proprio, perché così tassato, può essere dedotto dal reddito dell'erogante;
l'assegno una tantum non è reddito e quindi non è tassato in capo al percipiente e non è
dedotto dal reddito dell'erogante.
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E' chiaro che se ci fermiamo
qui, risulta incomprensibile
la norma eccezionale
sull'assegno
periodico: se da un lato è tassato, ma dall'altro è dedotto dal reddito, l'operazione sembra neutra.
Ma non è così.
Infatti:
sommando
al reddito complessivo
del percipiente l'assegno corrisposto dal coniuge può
verificarsi il passaggio ad uno scaglione di aliquota d'imposta superiore
sommando l'assegno ad un reddito di lavoro dipendente può verificarsi il superamento del
limite oltre il quale non sono ammesse detrazioni per lavoro dipendente e ciò determina
una maggiore imposta netta.
L'applicazione della norma, pertanto, va comunque a determinare una entrata per l'Erario.
Aspetti fiscali relativi all'assegnazione
della casa familiare
1. ICI E IMU
Richiamo qui quanto si è venuto a consolidare in relazione all'ICI della casa assegnata al coniuge
non proprietario,
in relazione
al periodo
in cui non
sussisteva
l'esenzione
ICI sulla casa
d'abitazione.
Si può presumere che per la nuova imposta IMU si possano applicare gli stessi principi: vedremo
nel corso del tempo.
Soggetto passivo dell'lCI, così come dell'IMU è:
il proprietario
oppure il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie.
Il coniuge assegnatario
della casa familiare non ha un diritto reale, ma è titolare di un atipico
diritto personale di godimento e tale diritto personale non rientra fra quelli che ai sensi dell' art. 3
D. Lgs. n. 504/92 determinano la soggettività passiva al tributo.
Pertanto, il coniuge assegnatario
e non proprietario dell'immobile
rimaneva a carico del coniuge proprietario.
non doveva pagare l'ICI, che
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Il coniuge proprietario:
se non è titolare di diritto di proprietà o di diritto reale su altro immobile destinato
ad
abitazione nello stesso comune ove è ubicata la casa coniugale,
determinava
l'imposta
applicando
l'aliquota
per l'abitazione
principale
e applicando
le
relative detrazioni.
2. IMPOSIZIONE DIRETTA
Le medesime argomentazioni
svolte per l'ICI valgono per la dichiarazione
del reddito fondiario
relativo alla casa familiare:
il coniuge non assegnatario e titolare del diritto di proprietà deve dichiarare quale
fondiario la rendita catasta le nella dichiarazione
dei redditi e dedurre poi la stessa rendita
dal reddito complessivo, arrivando così alla neutralità impositiva.
Queste norme sono in vigore per tutto il 2011.
Dal 2012 la tassazione della casa d'abitazione, anche ai fini IRPEF, è compresa nell'IMU.
Abbiamo ora il tempo per rispondere a tutte le domande che vorrete porre.
Grazie.
reddito