Grand Declaration Of War - Parliamo Di Videogiochi

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Grand Declaration Of War - Parliamo Di Videogiochi
www.projectring.com
:PROLOGO:
Ring#1
Grand Declaration Of War_________________
[L’Inizio]
di Nemesis Divina
“La tartaruga è più lunga del serpente”
Hui Shi linguista, consigliere e pensatore cinese del IV secolo a.C.
Ring.
Quattro lettere e un punto.
Un punto di partenza, uno come un altro, "anche il viaggio
più lungo comincia dal più breve dei passi" dice il saggio…
non che noi si sappia cosa vuol
dire, per carità. Siamo qui per
muovere guerra, ragazzi, e
spaccheremo i culi. Qui davanti
trovate il nuovo che avanza che
preme e che spinge, Ring è
fermento e frattura. Perché il
nome Ring? Quesito legittimo.
Ok, andate a cercare la risposta
in qualche FAQ qui intorno, di
tempo non ne abbiamo da perdere, adesso puntiamo al cuore…
Ring è il nuovo approccio alla
cosa videoludica, una visione
ispirata di un contesto troppo
sovente ridotto a numero e calcolo, c'è di più, vedrete (ve lo
faremo vedere). Cosa sarà
Ring? Troppo lungo, vedrete
anche questo; più facile dirvi
cosa NON sarà: Ring non sarà
un catalogo, una guida all'acquisto; qui ci verrete quando
avete già comprato, visto, assorbito e rivenduto. Se cercate
la tabella a fondo rece per fare
confronti guardate altrove, se
volete le news dell'ultimo nanosecondo guardate altrove, se
volete screen esclusivi ancora
una volta guardate altrove.
Certo, là fuori è pieno di posti
dove cercare, in edicola e in rete, là troverete tutto quello che
cercate. Ok, quando poi sarete
stufi di moine sintetiche venite
a trovarci e parcheggiate il deretano a portata di piede, all'
inizio i calci faranno male ma
poi ci si fa l'abitudine e alla fine
ci prendi pure gusto. Questo
non è un luogo innocuo, no, ci
sono tanti bei posti in giro, colorati e rassicuranti, con date
d'uscita e anteprime succose e
recensioni light da consumare a
nastro, ok andateci, è un consiglio. Non ci provate nemmeno
con Ring, alzate i tacchi e allontanate il fondoschiena dai
nostri stivali furenti. Vi romperemo il culo, avete capito dannazione?! Altrimenti provateci,
vi sfidiamo, da qui ne uscirete
contusi ma, accidenti, poi avrete un largo sorriso ebete sulla
bocca e non parliamo di stupefazione audiovisiva, nono, qui
troverete voci e pensieri allo
stato brado. Riempitevi le tasche, signori. Peraltro è tutto
gratuito.
Ring è qualcosa di nuovo, ok,
qualcosa di PIÙ, suvvia vantiamocene. Ring lo trovi sulla rete
e non lo paghi neppure ma
Ring NON è un sito come gli
altri. Non è nemmeno un sito, a
ben vedere. Ring si stampa,
sorpresa! No, non una pagina
per volta con il tasto del
browser, no, vi diamo noi da
scaricare un documento bello
grasso, poi da bravi lo riportate
su pagina. Perché stamparlo?
Perché noi abbiamo la lingua
lunga e perché quello di cui
trattiamo non si liquida nel giro
di due scrollate di schermo. Poi
Ring rimane… quando gli altri
saranno archivi stantii noi saremo ancora splendida, soave
pagina frusciante, da leggere e
rileggere e prestare a chi ancora si rotola nelle feci altrui.
Ring ha tante altre cose da di-
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re. No problema, andate avanti, date un'occhiata qui e là,
leggete un brano, una rece,
uno dei nostri indepth e poi
scaricatevi il documento per la
stampa. Versate tutto su carta,
date tre/quattro graffettate poderose e affondate nella poltrona. Leggete d'un fiato e poi
tornate qui e fateci sapere.
Diteci tutto: cosa va, cosa non
va e come potrebbe andare
meglio, suggestioni, spunti di
discussione, visioni deformi del
futuro e noi leggeremo ogni
singola lettera. E vi pubblicheremo, pure…
E proposte di collaborazione,
certo, non dimenticate di farvi
avanti perché Ring è il brusio
di fondo di un mondo sommerso, è l'accumulo di voleri e
pensieri differenti; Ring si crogiola di diversità, diversità con
gli altri e diversità in sé; Ring è
voce molteplice di un mondo
variegato e folle che, potenzialmente, può andare ovunque; Ring è anarchia cosciente
che muove passi assurdi in un
contesto fermo e primitivo. E
qui in Ring troverai davvero di
tutto: l'emozione e l'idiozia, il
surreale e l'introspettivo, impressionismo ed espressionismo, danse macabre e cabaret.
E tanti poderosi calci nel sedere. E, tranquillo, quando ne avrai abbastanza inizieremo con
i calci in bocca.
Buona lettura.
We Are Ring
:RUBRICHE:
Ring#1
SOMMARIO____________________________
[Ring #1]
Grand Declaration Of War. [di Nemesis Divina] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Rubriche
Cover Story: Neonascimento Digitale [di Nemesis Divina] . . . . . . . . . . . .
(R)umorismo: Ico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
People: Manfred Trenz. [di Federico Res] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tesori Sepolti: Metal Slug: 1st Mission [di Marco Barbero] . . . . . . . . . . .
Me Nintendo: GameN [di Gatsu] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Opera Rotas: Videogiocatori o memorizzatori di pattern?. . . . . . . . . . . .
Il davide Videoludico UNO [di Nemesis Divina] . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Indepth
Silent Hill 2 [di Gatsu] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Silent Hill [di Gatsu e Federico Res] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty [di Nemesis Divina] . . . . . . . . . . .
REZ [di Nemesis Divina] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Recensioni
Shen Mue 2 [di Sator Arepo e Gatsu] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Silent Hill 2 [di Emalord] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Klonoa 2 [di Emalord] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
REZ [di Emalord] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Frames
Intervista a Jaime D’Alessandro [di Paolo “Jumpman” Ruffino] . . . . . . .
Orrori di Stampa: 100% Indipendente [di Emalord] . . . . . . . . . . . . .
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Avvertenze e Modalità d’Uso
Hai aperto e stai leggendo il file di stampa di Ring nella nuovissima versione Director’s Cut. Questa versione, oltre ad includere un sogno con gli unicorni, contiene importanti cambiamenti nell’impaginazione,
che interesseranno anche i numeri successivi di Ring: è stata utilizzata un’incolonnatura del testo a tre
vie, ed i caratteri sono stati rimpiccioliti di tre punti, causando una sensibile defoliazione e un layout più
assimilabile a quello di una rivista offline. Un poderoso grazie a Federico Res per tutto il pesce e per aver
suggerito le modifiche.
Questo file è parte integrante del sito www.project-ring.com. Tutti i contenuti quivi reperibili sono di
proprietà intellettuale dei rispettivi autori. Se hai intenzione di riciclarli come tuoi per ricavarne una qualche forma di lucro, diretta o indiretta, è bene che tu sappia che diversi esponenti di Ring non sono del
tutto estranei alla vita carceraria e all’occultamento di cadavere. Se invece hai intenzione di riciclarli come
tuoi per sedurre una ragazza, sei libero di farlo. Ma dopo il coito sei tenuto a disegnare nell’aria, con gli
indici, un banneriano rettangolo, quindi esclamare:
«Non ti avrei mai sedotta senza www.project-ring.com!»
Le immagini di questo file sono state scelte in modo da essere apprezzabili anche in caso di stampa in
bianco e nero; inoltre sono volutamente di dimensioni ridotte rispetto alla pagina per non succhiar via costosa linfa in più dalle cartucce della tua stampante. Era inizialmente prevista anche una versione senza
immagini del PDF ma, un po’ per pigrizia, un po’ perché nessuno ne ha sentito la mancanza, abbiamo deciso di ometterla. Se sei di Genova e ti piacerebbe avere a che fare con un file modificabile, in modo da
diminuire le dimensioni del font da nove a tre e togliere le pagine degli autori che ti stanno antipatici,
scrivimi a: [email protected] e potrei anche prendere in considerazione l’ipotesi di inviarti il file di
Word del corrente numero di Ring.
ATTENZIONE: sono state riscontrate alcune incompatibilità con questo file e le versioni più vecchie di
Acrobat Reader. In pratica A.R. 3 pare rifutarsi di stampare le ‘C’, e A.R. 4 a volte si mangia intere sezioni. Nella speranza di correggere in futuro tali manifestazioni di ubriachezza binaria, consigliamo di stampare il PDF con la versione 5 (o superiore) di Acrobat Reader, la cui stampa è stata opportunamente testata ed è garantita corretta isonovemila.
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:RUBRICHE:
Ring#1
Neonascimento Digitale__________________
[Cover Story]
di Nemesis Divina
Videogiocare: [v. tr. e intr. aus. avere] Forma arcaica del moderno ‘Videoiterare’, proprio della fruizione di una videoesperienza. Il significato originale cade in disuso nella seconda metà del ventiduesimo secolo, viene
tutt’oggi usato nella sua accezione negativa per designare un contesto limitato e frivolo, adatto ad un pubblico immaturo.
Tratto dal ‘Grande Dizionario della Nuova Lingua Romana’
Ed. HyundaiScavolini – anno 2241
Nascita. Un evento importante
e degno di celebrazione. Evoluzione. Susseguirsi di eventi
importanti che passano al solito
inosservati.
Il mondo della videoiterazione è cresciuto in maniera radicale dacché mosse i primi
passi; sempre costretto entro
rigide inibizioni commerciali è
comunque riuscito a dar segno
di un seme espressivo che giace e cresce entro di sé. Una
germinazione lenta, lentissima,
che pure riesce talvolta a dare
una voce a chi è là fuori. Il videomondo è dietro lo schermo
che preme, spinge e batte sul
vetro per uscire e per inondare
i nostri salotti di quella forza espressiva sottosfruttata che un
giorno, si spera, riuscirà a dar
fondo alle sue risorse. E intanto
siamo qui, a gingillarci con una
forma primordiale che fa leva
su istinti primari, ben lontano
dal comunicare, dall’esprimere
e troppo spesso limitantesi ad
un vuoto insieme di meccaniche reiterate. Non che il divertimento sia peccato (a meno di
un aggiornamento in sede vaticana…), solo dispiace veder le
perle in pasto ai porci.
La rilevanza acquistata
dalla videoesperienza è certo destinata ad aumentare
col tempo, già ad oggi l’industria del videogioco presenta
fatturati che concorrono con
entertainment più blasonati
quali Musica e Cinema, generi
che mantengono lo sfruttamen-
to delle pulsioni primarie (continuano ad esistere e persistere
le Spears e i Vanzina) ma che
pure muovono talenti che, su
tutto, cercano un mezzo di comunicazione. E noi stiamo a
guardare… Non che manchino
ragioni per questo stato di cose, tutt’altro, ragioni di ordine
sociologico, storico e (su tutto)
economico. Questioni che tratteremo ampiamente in un altro
tempo. Per ora restiamo appollaiati ancora un momento
quassù.
Osserva il videogioco che si
dimena nella sua landa protetta, mandrie di utenti preadolescenziali che tirano le maniche
di genitori disinteressati. Ma,
ecco, qualcuno [Sony] spalanca
il recinto, che succederà ora?
Incredibile a dirsi, guarda all’
orizzonte, la polvere, e senti il
rombare che vibra nell’aria. Legioni di nuovi compagni, ma
che fanno? Essi spingono, si
strattonano,
s’accalcano
e
prendon posto entro il recinto.
Gettano a terra i bambocci di
cui sopra (eccetto quelli che nel
frattempo sono cresciuti grandi
e grossi) e iniziano a brucare i
ciuffi d’erba che crescono, sempre meno folti, sul terreno. E la
cosa è buffa e tragica, perché il
recinto è piccolo e tutti insieme
qui non ci si sta, si sof-foca e ci
si calpesta. Ecco, lo vedi cosa
sta succedendo? Da qua sopra
hai la visione d’insieme. Abbiamo aperto il recinto ma
quello che andava fatto era abbatterlo. Siamo qui, ora, in un
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pascolo breve e ormai sguarnito, quando fuori esistono praterie selvagge, verdi e rigogliose. E noi qui. Tutti assieme
stretti. Ah, ma non temere,
l’importante è che qualcosa
sia stato fatto, lascia che
sia. Ora si pascola a fatica, si
mastica il rigurgito altrui e si
mordicchiano le terga sfatte di
un mondo vecchio. Ma la gente
continua a entrare per spiccare
un boccone, un boccone infimo
eppur dal sapore nuovo, e prima che si accorgano che sa di
raffermo e prima che noi, bambini grandi e grossi, ci saremo
rassegnati, vedrai, il recinto
schianterà sotto il peso delle
masse. E se adesso li malediciamo, quando prima c’era
tanto spazio, poi un giorno li
avremo in grazia poiché ci
hanno aperto la strada verso
un nuovo mondo, forse persino
privo di recinti.
Suvvia, amico, riuniamoci alla
mandria…
:RUBRICHE:
Ring#1
(R)umorismo___________________________
[ICO]
Soggetto:
Sator Arepo
Sceneggiatura
e disegni:
Strix
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:PEOPLE:
Ring#1
L’uomo che sussurrava ai pixel_____________
[Manfred Trenz]
di Federico Res
“Be my guest, another Day, another Cry, but remember: shoot or die!!!”
dal campionamento vocale nell’intro di Turrican
“Listen up folks, I Manfred Trenz the Master talk to you!”
dal messaggio celato nel codice di Enforcer
_________Pareti e Costanti
Esistono persone che interagiscono pesantemente coi canovacci della storia; ne esistono
altre che, al contrario, scivolano inermi e impotenti per le
sue fitte trame. A metà strada
tra queste due categorie di individui se ne colloca una terza:
coloro che, pur rinunciando ad
un ruolo primario nell’eterno
esplicarsi del meccanismo storico, riescono a fornire contributi personali ed esclusivi. Tra
questi trova posto la figura di
Manfred Trenz, designer e grafico nato a Saarbruchen, il 29
novembre del 1965: tedesco
dell’Ovest, quando ancora il
Muro spaccava in due la Germania. Chi scrive è poco propenso al cedere spazio a divagazioni paparazzistiche mediamente
pertinenti:
complice
un’esistenza scevra d’esoterici
misticismi, preferiamo render
giustizia al nostro rivolgendo
altrove l’attenzione. Ad esempio, al 1989. L’anno in cui il
Muro che scindeva Berlino fu
definitivamente abbattuto: la
capitale tedesca riunificata, con
lei l’intera Germania. Lo stesso
anno in cui un ventiquattrenne
Trenz scriveva (in ASSEMBLER)
un fulgido capitolo del Digital
Entertainment: nella storia dei
vg come in quella dell’umanità
il 1989 fu anno difficile per muri e pareti. Le barriere tecniche
erette tra arcade e casereccio
furono annientate. I diaframmi
serrati tra tecnica e gioco spalancati. Est e Ovest persero –
relativamente – identità: nell’
opera di Trenz i fronti opposti si
unirono per descrivere la sua
Costante, quivi umilmente introdotta – con tutti i frizzi e i
lazzi del caso dal sottoscritto.
– Ma togliamo ogni spazio ai
fraintendimenti:
l’opera
di
Trenz non plasmò la storia, ma,
come si diceva poco più sopra,
si limitò a fornirne un possibile
percorso. E lo fece tramite una
manciata di masterpieces che
conobbero, appunto, nel 1989 il
loro ‘pezzo da novanta’. Prima
però di rivelarne l’identità, è
d’obbligo un dettagliato rendez-vous con la storia…
Manfred Trenz in tutta
la sua coerenza
__________Born to be wild
1984. Il momento in cui il
mondo della programmazione e
quello di Trenz s’incontrano è
da identificarsi nell’orwelliano
1984, anno in cui il designer
tedesco comincia a coltivare la
propria vena creativa con
l’ausilio del vetusto Vic20: tramite lo standard fontset (semplice programma grafico) dedica ore ed ore a disegnare semplici sprites, che prendono vita,
nei primi esercizi di programmazione, grazie al BASIC e ad
un Commodore 64.
“One sees the good arcades,
one sees the bad home games,
one thinks to change that!”
Semplici e coincise, queste parole ben esemplificano la genesi
dell’approccio di Trenz al videogioco: sono gli arcade più popolari, i cabinati da sala, a impressionarlo per la loro immediatezza, e soprattutto per
l’alto livello tecnologico del loro
rimando audio/video. La sensibile discrepanza tra qualità tecnoludica di arcade e home games è il motivo principale che
lo spinge a buttarsi sulla programmazione: utilizzando il legnoso BASIC Trenz realizza una
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serie di demo (tutte su modello
di shooters da sala) ma i forti
limiti del linguaggio lo inducono
a rivolgere la propria attenzione
sul più duttile ASSEMBLER.
Qualche tempo più tardi, dopo
essersi dedicato alla scrittura di
semplici utility per C64, Trenz
incappa in uno sparatutto da
sala chiamato StarForce: il
gioco sfoggia avanzate routines
paralattiche
che
gestiscono
campi di stelle nello spazio. Il
passo successivo è obbligato:
ricreare il medesimo sistema
sull’hardware del C64. In breve
Trenz sforna due nuove tech
demo, Megamove I&II, dove,
grazie alla sua abilità di programmatore, ricrea sulla CPU
da 1 Mhz del C64 il sofisticato
sistema di StarForce, utilizzando fino a quattro livelli di
paralasse per rappresentare lo
spazio siderale. Le demo si espandono poi in uno shoot’em
up a scorrimento orizzontale,
ma il sistema troverà la sua
collocazione ideale solo nel futuro (e fortunato) Katakis.
Megamove. Megamove II
può essere considerata a tutti
gli effetti la prima vera e propria ‘dimostrazione di forza’
delle capacità di Trenz. Il suo
:PEOPLE:
concetto di tech demo è limpido: “To fascinate the audience at ANY time to the screen.
There must be no big pause or
dead point. And the audio must
fit anytime to the visuals.” Parole che descrivono la futura
Costante, contenuta sotto forma di germe già nella prime
demo del programmatore.
Nel 1986 la carriera di Trenz
ha ufficialmente inizio: il programmatore tedesco partecipa,
con alcune sue creazioni, ad un
concorso per grafici bandito
dalla rivista ‘64’Er’, ottenendo il
terzo posto. La sua abilità di
grafico colpisce l’attenzione di
una piccola softco tedesca, la
Rainbow Arts, che immediatamente lo contatta e gli offre un
impiego come grafico freelance
presso i propri reparti sviluppo:
ovviamente Trenz accetta, e
segna l’inizio di una collaborazione che si protrarrà fino al
1999, anno del grande disaccordo che porrà fine alla sua
attività presso Rainbow Arts (e
alla RA stessa, scomparsa poco
dopo quel periodo).
1987. Il 1987 è l’anno di Katakis. Trenz ottiene un impiego
fisso come grafico (RA ancora
ignora che sia anche un programmatore) e comincia immediatamente a lavorare a
Great Giana Sisters, platform
game concepito da Armin Gessert su modello del nintendiano
Mario Bros (a tutt’oggi uno dei
giochi preferiti da Trenz) e
pubblicato su C64. Trenz cura
la grafica e il level design, guadagnandosi una certa notorietà
in seguito al successo del titolo.
Ma è grazie a R-Type di Irem
che le sue doti di programmatore vengono a galla: galvanizzato dagli ottimi Darius, Nemesis e appunto R-Type,
Trenz ritrova l’entusiasmo e la
propensione
scardinabarriere
del periodo di Megamove II.
Chiede e ottiene l’autorizzazione a sviluppare uno shooter
che ricalchi i tratti di R-Type (e
in misura minore quelli di Darius),
quindi
trascina
–
Ring#1
letteralmente – l’amico Andreas
E-scher nella compagnia e dà
ini-zio allo sviluppo del suo
primo
titolo
come
capo
designer: complice il Dusseldorf
Tele-phonbook
il
gioco
è
battezzato Katakis.
Katakis. Pur nella sua natura
di clone rtapiano Katakis svela
già abbondantemente l’attitudine trenziana allo shoot’em up
e l’esclusiva volontà di mantenere una forte corrispondenza
biunivoca tra l’aspetto meramente tecnico e quello ludico
del vg: chiameremo questa caratteristica Costante di Trenz,
proprio in virtù del suo essere
intrinseca alle inclinazioni del
designer. Katakis è un tripudio
di esplosioni e sprite ultra dettagliati, splendide scenografie
(degno di nota il quarto livello,
ambientato all’ interno del
computer e in qualche modo
legato all’immaginario cyberspaziale esploso appena tre anni prima) e boss giganteschi
(pur affetti da fastidiosi quanto
inevitabili flickerii). Ma allo
stesso tempo mette a disposizione del giocatore una navetta
estremamente
governabile
(nonché animata in modo egregio), un set d’armi potenziabili più volte (e dagli effetti
grafici galvanizzanti) e un’arma
speciale
disponibile
previa
pressione prolungata del tasto
di fuoco, in grado di distruggere parecchi nemici con un colpo
solo (inutile descrivere la soddisfazione che deriva da un
colpo andato a segno). Tutto
ciò condito da una robusta scaletta di brani ingame rigorosamente techno (cfr Blending) e
da una serie di effetti sonori di
sicura efficacia (da Katakis a
Rendering Ranger R2 Trenz
curerà personalmente tutti gli
effetti sonori dei propri games).
Katakis è un titolo superlativo. L’impressione di trovarsi di
fronte alla diretta evoluzione
dei contenuti di Megamove II
è solo un indizio delle capacità
e della coerenza di Trenz: con
fare tipicamente nipponstyle il
designer tedesco ricalca i tratti
di R-Type e ne migliora ogni
aspetto, senza mai cedere alla
tentazione del plagio. La concezione videoludica di Trenz dà
spazio all’evolversi di un’azione
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furiosa, frenetica, a tratti inevitabilmente ostica. Ma lungo
tutto il corso del gioco non si
verifica la benché minima caduta di tono: caratteristica, questa, elevata a potenza nel seguito ufficiale di Katakis, quel
Fullmetal Megablaster che dà il
titolo al capitolo successivo.
Enforcer pubblicato nel 1992
da Golden Disk 64
è in
assoluto l’ultima opera che
Trenz realizza per il C64,
program-mandola
quasi
a
tempo
perso
durante
lo
sviluppo di Super Turrican
(NES). La sintesi gra-ficosonora
(con un gradito ri-torno di
Markus Siebold a firmare il
soundtrack)
di
Enfor-cer
tocca,
once
again,
livelli
d’eccellenza raramente riscontrati nel software per C64, concedendosi anche un’ incursione
nella fantasia rappresentativa
di H.R.Giger, come del resto
aveva già fatto Turrican II. In
Enforcer Trenz rimaneggia il
sistema di gioco concepito per
Katakis e vi integra elementi
collaudati con Turrican: la navetta a disposizione del giocatore è ora fornita di una barra
d’energia destinata ad esaurirsi
in seguito agli attacchi nemici;
il reparto offensivo si arricchisce di una smart bomb capace
di far piazza pulita di alieni, ed
è presente il multiple shot tra le
armi disponibili. Retaggio di
Thunder Force (arcade di Technosoft) è invece la routine
che rigenera immediatamente
la navetta dopo che si è persa
una vita, affrancando il giocatore dalla pausa forzata (che
spezza inevitabilmente l’azione)
vista in Katakis e R-Type.
L’inscindibile fusione di ogni
elemento (reparti grafici e so-
:PEOPLE:
nori, gameplay, level design e
enemy design) determina un
perfetto meccanismo in grado
di stimolare nel giocatore una
massiccia e continua produzione di adrenalina; giocare Katakis o Enforcer significa imbarcarsi per un furioso tour de
force: la Costante di Trenz descrive una perfetta simbiosi tra
interattività e bombardamento
audiovisivo. Utile a questo punto una panoramica sul fattore
suono nei giochi di Trenz, furbescamente titolata ‘Blending’
dal sottoscritto.
Katakis
VS
R-Type:
Activision contro Rainbow
Arts. Pur essendo uno dei suoi
primi grandi successi, Katakis
diven-ta in breve tempo anche
il più grosso grattacapo di
Rainbow
Arts.
L’americana
Activision ot-tiene da Irem i
diritti per lo svi-luppo della
conversione di R-Type, e non
apprezza il titolo di Trenz e
Escher: ufficialmente il gioco di
RA è ritenuto troppo simile alla
licenza in mano ad Activision, e
per questo motivo la softco
scatena una delle pri-me grandi
dispute legali che la storia dei
vg ricordi. Come lo stesso
Trenz dichiarerà, il vero motivo
che
spinge
Activision
a
scontrarsi con RA risiede nell’
oggettiva superiorità di Katakis nei confronti del “suo” RType. Gli sviluppi della vicenda
possono essere una conferma a
questo fatto: Activision e RA
raggiungono un accordo e Katakis diventa Denaris in molte
parti d’Europa. Messa da parte
la conversione già avviata (il
magazine americano C+VG rilascia una prima demo di RType sviluppata da David Jolliff, James Smart e Mark Jones
che testimonia l’esistenza di
una prima versione del gioco),
Actvision ingaggia gli stessi
Trenz e Escher per convertire
R-Type su C64: difficile non
pensare che tale manovra voglia sfruttare l’abilità o quantomeno la fama dei due programmatori. Tuttavia, a causa
dei tempi di sviluppo ristrettissimi (Trenz e Escher realizzano
la conversione in appena sei
settimane e mezzo) il titolo che
ne vien fuori non sembra
all’altezza dell’arcade: è evi-
Ring#1
dente il riutilizzo, da parte dei
due programmatori, di parte
del codice messo a punto per
Katakis, che rende il prodotto
finale un ottimo titolo ma troppo distante dall’originale da sala. R-Type è pubblicato per
C64 da Electric Dreams.
_____Fullmetal Megablaster
Secondo la leggenda è un titolo
per il Nintendo Entertainment
System (NES), pubblicato nel
1986, a far da musa a Trenz
per il suo prossimo gioco. Si
parla ovviamente di Metroid,
primo capitolo di una serie storica (attualmente in procinto di
partorire due nuovi episodi sulle console Nintendo di ultima
generazione) che avrebbe, secondo le apparenze, influenzato
il game design trenziano del
periodo postKatakis. Ma è sempre stata peculiarità di Trenz
guardare al mercato arcade,
più che a quello console, come
fonte d’idee e d’ispirazione: e
dal mercato arcade proviene
Oscar, frenetico action game
che colpisce l’attenzione del
designer ostentando un invidiabile arsenale e la possibilità di
mutare il protagonista in una
ruota semiinvulnerabile. Basta
poco per scatenare in Trenz la
vecchia scintilla: due anni dopo
Katakis il programmatore comincia a lavorare ad un nuovo
progetto, chiudendosi in casa e
raggiungendo ritmi lavorativi
massacranti (“I worked 15
hours per day to do this! I
stopped
working
just
for
essential things like food, MTV
and Coke” ). Dopo svariati mesi
di sviluppo il nuovo gioco è
termi-nato, e ancora una volta
spetta alla guida telefonica di
Dusseldorf trovargli un nome.
L’italia-no ‘Turricano’ diventa
Turri-can: pubblicato nel 1989
da RA su C64 (e convertito un
anno dopo su Amiga) il gioco si
rivela il più grande successo di
RA e uno dei più grandi della
storia del C64. Il secondo
capitolo – sottotitolato The
Final Fight è programmato in
cooperazione
con
Andreas
Escher (voluto da Trenz), e
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riesce nell’ardua im-presa di
superare il prequel.
1989: l’anno di Turrican.
Turrican di Rainbow Arts è la
summa del pensiero videoludico trenziano, il gioco che più
rappresenta il designer e dove
la Costante si fa essa stessa
pixel e radiazione, portando a
vette estreme la sinergia tecni-
la cover di Turrican, ispirata a
“Kings of Metal” dei Manowar
co/ludica imposta da Katakis: è
quasi palpabile nell’attenzione
alla perfezione tecnica, alla
propensione al platform e allo
shooter riversata nel codice del
gioco. In totale solitudine (“As
usual the idea, design, graphics
and coding is done 100% by
myself because I found out that
this way is the best to get the
desired result”) Trenz realizza
un superbo ibrido sospeso tra il
platform e l’azione, lo shooter e
l’esplorazione, catapultando il
giocatore negli scomodi panni
di una supertuta corazzata
(Guyver docet) e donandogli il
totale controllo su un mondo
alieno e sconfinato. Lo scrolling
si libera di ogni vincolo e il level
design agisce di riflesso, producendo livelli immensi, completamente esplorabili, dove il talento grafico di Trenz esplode e
si cristallizza, giungendo al limite del visionario. Indimenticabili i livelli finali di Turrican
II: il level design di Trenz
sconfina nell’opera di H.R. Giger, ricreando le incredibili scenografie aliene concepite dall’
artista svizzero per il film Alien.
C’è anche spazio per una breve
citazione a Reanimator, che
rende l’idea di come l’immaginario cinematografico fantascientifico abbia concimato il
talento grafico di Trenz. Sul
piano del gameplay è la frenesia a farla da padrone: Turri-
:PEOPLE:
can incita all’azione più furiosa
piombando il giocatore in situazioni estreme, in cui la sopravvivenza va guadagnata con largo dispendio di piombo. I
nemici alieni (cyborg, robot, ameni
esemplari
di
fauna
indigena) attaccano senza sosta giungendo da ogni angolo;
enormi boss costringono il giocatore all’uso ripetuto di firewalls e smart bomb e al ricorso
della metamorfosi in ruota. In
pratica, un catartico crescendo
d’esplosioni e stermini che sfocia, in finale, nell’atarassia videoludica per eccellenza (con
display dell’highscore a soddisfare e ritemprare le membra).
Se ancora non vi è chiaro cosa sia la Costante (lo so, sono
pedante) accettate un consiglio: giocate a Turrican, o al
suo seguito, e magari concorderete che la roba che state
leggendo non è solo frutto delle
seghe mentali del sottoscritto.
Perché ripensare oggi – a distanza di tredici anni –
all’impatto che Turrican ebbe
sul mercato, significa pensare
allo schianto di una meteora
sulla superficie immota di un
oceano. Nella sua incarnazione
originale Turrican fu qualcosa
di totalmente nuovo, ridefinì
con disarmante facilità ognuno
dei generi di cui era composto.
Ebbe l’effetto di una scossa:
dall’epicentro locato presso il
mercato C64 l’onda d’urto del
suo impatto vibrò verso il mercato Amiga e quello console (la
seconda incarnazione del gioco
– quella a sedici bit – grazie a
un’eco e a una visibilità maggiori penetrò fino al mercato
PC) lasciando segni indelebili
sul suo cammino. Basti pensare
alle migliaia di ezine – molte
delle quali in tedesco stretto –
sparse per la rete in veste di
tributari obelischi, e alle fertili
leggende che ancora circolano
su Trenz e sui Factor 5 (sviluppatori delle versioni Amiga di
Turrican), e che hanno come
Ring#1
oggetto fantomatici seguiti programmati in sordina e dispersi
tra le pieghe del tempo… una
sistematica opera d’incensazione che denota l’affetto nutrito
dai vecchi player, e che ribadisce una sacrosanta verità: volente o nolente, Trenz ha piantato una pietra miliare bella
grossa, e i suoi effetti si sentono (vedono) ancora oggi…
__L’addio al Commodore 64
Malgrado l’affetto nutrito per il
computer di Commodore, dopo
la pubblicazione di Turrican II
Trenz lascia ufficialmente la
scena del C64 per migrare, costretto dal business, verso i lidi
consolistici del NES e del SNES.
Soltanto durante la produzione
di Super Turrican trova il
tempo di realizzare un ultimo
titolo per C64, al secolo Enforcer Fullmetal Megablaster
(vedi par. “Katakis”) col quale
rasenta pericolosamente i limiti
hardware della macchina Commodore. Successivamente, lo
status da ‘coding legend’ guadagnato con Turrican pare
sfumare e trascinare il nome di
Trenz verso l’oblio, di pari passo con la morte del C64 e il fallimento di Commodore stessa:
nel 1992 Rainbow Arts pubblica
Super Turrican sull’ otto bit
Nintendo, un titolo come al
solito magistrale sotto ogni aspetto ma che assume la forma
di un semplice rimaneggiamento dei due prequel e che nulla
aggiunge all’evolvere della saga. Tre anni dopo, parallelamente alle uscite di Factor 5
comprensive di tre titoli dedicati a Turrican – Rainbow Arts
produce l’ultimo titolo di Trenz,
Rendering Ranger R2, stavolta sul più performante hardware del SNES. Incomprensibilmente, sebbene RR vanti un
look decisamente poco adatto
al gusto orientale, è pubblicato
solo in Giappone, dalla divisione locale della Virgin. Com’è
logico aspettarsi il successo riscontrato è minimo, e il mancato rilascio in occidente lo condanna all’oblio.
Rendering Ranger R2.
Rendering Ranger è l’apoteosi orgasmica della Costan-
8
te. Nei sedici megabit che lo
compongono stanno rinchiuse,
come fiere omicide in una gabbia, tonnellate di design e frenesia, genialità e potenza visiva. Strutturalmente siamo di
fronte ad un plausibile incontro
tra Katakis e Turrican – già
accennato in T2 – che fa della
purezza e immediatezza dell’
azione il proprio credo divino. I
livelli di RR (alcuni a piedi altri
a bordo di una navetta) sono il
parto di una concezione più
volte sviscerata in queste righe,
la forma pressoché definitiva
del Gioco Secondo Trenz. Non
cercate inclinazioni laterali all’
esercizio ludico, RR è puro
arcade, potenza tecnica, level
design di una bellezza assurda.
Pur se privo di componenti esplorative e penalizzato da un
soundtrack non sempre all’ altezza [cfr Blending], Rendering Ranger è il vero successore di Turrican. Qualcosa
per cui, perdonate la perfidia,
Super Turrican 2 (cfr Il Fattore 5) dovrebbe versare lacrime
di sangue.
L’addio a RA e l’approdo a
Similis. Nei quattro anni che
seguono Trenz si dedica alla
programmazione di applicazioni
per grafica 3D su PC, e a quello
che avrebbe dovuto essere il
salto dimensionale della sua serie di maggior successo: Turrican 3D, dopo una gestazione
non proprio semplice, è ufficialmente cancellato. All’origine
della cancellazione un grave disaccordo, che vede gli intenti
‘artistici’ di Trenz scontrarsi con
quelli commerciali di RA e dello
staff che coadiuva Trenz nella
programmazione del gioco. In
seguito a ciò, dopo tredici anni
Trenz lascia RA. Tutt’altro che
sorprendentemente, la defezione di Trenz sembra piantare
l’ultimo chiodo sulla bara di RA,
che scompare senza lasciare
traccia.
Dopo aver collaborato allo
sviluppo di Micro Machines
V3 su GameBoy Color, pubblicato da Codemasters nel 2000,
Trenz entra nelle fila di Similis
(www.similis.com),
giovane
software house tedesca, presso
cui ritrova il vecchio amico e
collega Andreas Escher (a sua
:PEOPLE:
volta uscente da Factor 5): secondo quanto riportato sul sito
web di Similis, e secondo i poco
affidabili rumors circolanti in
rete, i due coders starebbero
attualmente lavorando ad un
nuovissimo progetto per Gameboy Advance. Il genere?
Action shooter...
_____________Il Fattore 5
Chiunque ricordi le eccellenti
versioni Amiga di Turrican non
potrà aver obliato il nome dei
Factor 5, talentuoso team di
sviluppo tornato recentemente
alla ribalta grazie a Star Wars:
Rogue Leader, rilasciato su
GameCube. La sua citazione qui
non è casuale: per avere un’
idea dell’influenza (e della trasmigrazione
softwarehousica)
dell’opera trenziana, l’organico
dei Factor 5 è l’esempio perfetto. Non tanto per la reiterata
militanza di Andreas Escher e
Chris Huelsbeck (cfr Blending)
nelle sue fila, quanto per aver
incarnato più o meno meritatamente il frutto diretto della
produzione di Trenz.
L’origine dei rapporti tra
Trenz e i Factor 5 è da ricercarsi nel 1987, l’anno in cui Trenz
e Escher realizzano Katakis, e
i Factor 5 ne ottengono i diritti
di conversione per i computer
Amiga: dando prova delle proprie doti, conquistano la fiducia
di RA che affida a loro le conversioni dei successivi titoli di
Trenz. Dopo Katakis è la volta
di R-Type, quindi di Turrican
e di Turrican II (conversioni
alle quali Trenz collabora abbondantemente). In particolare
i due episodi di Turrican (arricchiti dalle splendide musiche
ingame di Huelsbeck, assenti
nelle versioni C64 per limita-
Ring#1
zioni hardware) dardeggiano
nell’affollato panorama Amiga,
guadagnandosi anch’esse come le controparti a otto bit un
posto nell’olimpo dei migliori
giochi di sempre. La popolarità
dei Factor 5 cresce, il nome
stesso ‘Turrican’ comincia ad
essere associato a loro più che
a Trenz: dal ’93 in poi il team
nordico produce – senza la minima partecipazione di Trenz –
tre titoli dedicati al famoso personaggio di RA, uno per Amiga
e due in esclusiva su SNES.
Immancabilmente, lo status etereo donato a Turrican dal
suo creatore finisce per assottigliarsi e svanire, mostrando
tutti i limiti del cambio di regia:
Super Turrican e Turrican 3
sono titoli buoni ma pesantemente inferiori ai prequel
(l’eliminazione del supershot,
l’introduzione di raggi congelanti e appendici estensibili di
dubbia utilità, la sistematica
semplificazione dei livelli sono
solo alcuni dei loro difetti), e
arrancano nel tentativo di approfondire il discorso pronunciato da Trenz su C64. Se Katakis, Turrican e Enforcer
assurgevano a manifesto programmatico di una personalità
più unica che rara, i nuovi titoli
dei Factor 5 si rivelano poco più
che orpelli.
Due anni dopo Turrican 3, i
Factor 5 pubblicano Super
Turrican 2. E qui avviene la
definitiva rottura: ST2 mantiene ai massimi livelli il reparto
tecnografico, tenendo fede al
primo fattore della Costante
trenziana, ma stravolge completamente il secondo fattore,
quello più importante, il gameplay. In comune con l’omonima
serie, ST2 ha soltanto il nome:
è un gioco d’azione lineare, difficile, macchinoso e spesso frustrante. Gli elementi d’esplorazione, l’immediatezza, la frenesia distintivi di Turrican lasciano il posto ad un titolo che
affida al lato tecnico la sua ragion d’essere. Poco importa se
il gioco offre inedite meccaniche ludiche all’interno di sezioni
tecnicamente imperanti: l’inso-
9
stenibile certezza d’assistere al
funerale di Turrican trafigge
gli animi degli irriducibili ad ogni schermo di ST2; l’approdo
alla technodance del soundtrack huelsbeckiano, malgrado
l’indiscussa coerenza qualitativa, è un ulteriore stimolo ai
dotti lacrimali. Per Trenz e per i
suoi fan, ST2 è un vero e proprio colpo basso. Ma la risposta
del designer non si fa attendere: fedele alla linea referenziale
che più volte lo ha spinto a disseminare di links i propri giochi,
Trenz non esita a includere un
rimando a ST2 – fin troppo esplicito – nel suo Rendering
Ranger, pubblicato nello stesso anno del titolo factoriano.
Il designer ricicla lo sprite di
una nave che in ST2 funge da
punto d’appoggio all’avatar e
non si fa scrupoli a farlo disintegrare al suolo nelle fasi iniziali di RR: nell’opera che più di
ogni altra ribadisce con veemenza i propri intenti, l’opera
che esalta la Costante e il menefreghismo trenziano (manifesta incuranza per le leggi del
mercato); nell’opera che è quasi un epilogo alla sua carriera,
Trenz impone con la forza la
propria visione e prende le distanze dai Factor 5 e dalle loro
discutibili scelte. Un atto forse
plateale ma sufficientemente
incisivo per suscitare l’ammirazione di chi scrive, e un modo
del tutto personale per riscattare un’eredità – quella di Trenz
– dilapidata tanto facilmente
proprio da chi, fino a prova
contraria, sul lavoro di Trenz ha
fondato la propria carriera. Il
fatto che i cardini del commercio abbiano poi avvantaggiato il
team di ST2 (che, col sopraccitato Rogue Leader, ha approfondito ulteriormente il lato tecnico per trascurare quello ludico) può essere soltanto un’ ulteriore conferma della genuina
passione e dell’animo romantico di Manfred Trenz, nato nel
1965 a Saarbruchen, in una
Germania vergognosamente divisa a metà...
:PEOPLE:
Ring#1
Video(ludo)grafia
The Great Giana Sister, 1987, Rainbow Arts per C64
Katakis, 1987, Rainbow Arts per C64
R-Type, 1987, Electric Dreams per C64
Turrican, 1989, Rainbow Arts per C64
Turrican II: The Final Fight, 1990, Rainbow Arts per C64
Enforcer: Fullmetal Megablaster, 1992, Golden Disk 64
per C64
Super Turrican, 1992, Rainbow Arts per NES
Rendering Ranger R2, 1995, Rainbow Arts per SNES
Turrican 3D, cancellato nel 1999 da Rainbow Arts
MicroMachines V3, 2000, Codemasters per GameBoy Color
Rendering Ranger
BLENDING
Immaginate un accoppiamento di piovre. Etero o homo che sia. I tentacoli di entrambi i molluschi si legano insieme in spirali pulsanti e viscide, inscindibili se non tramite bisturi, e dove entrambi gli animali dipendono strettamente l’uno dall’altro... In realtà non ho proprio idea di come si svolga un amplesso di
molluschi, ma mi piace pensare che le cose vadano così come le immagino, perché sarebbe un esempio
perfetto per descrivere i rapporti tra Video e Audio nei giochi di Trenz. Se poi state leggendo RING nella
speranza di cavar qualche nozione utile di biologia marina, allora cascate male... Il fattore audio è tanto
importante per Trenz quanto lo è l’attenzione alla grafica, e se avete letto il paragrafo dedicato a Megamove ne avrete già un’idea. Fin dal suo primo lavoro (l’artwork di Great Giana Sisters) Trenz collabora
con musicisti d’alto livello, a cominciare dall’allora discretamente famoso (oggi potete togliere il ‘discretamente’) Chris Huelsbeck. Il compositore tedesco realizza i main theme di Katakis, R-Type e del primo
Turrican, avventurandosi in una techno pulsante e orecchiabile, perfetta per gli shooter creati da Trenz.
Soprattutto il main theme di Turrican (uno dei migliori di sempre) peserà sulla storia videoludica riecheggiando in alcune delle future incarnazioni del gioco, per opera dei Factor 5 (il medesimo tema, remixato e ritmato in sedicesimi, si ascolta durante lo scontro finale in ST2). Accanto alle splendide composizioni huelsbeckiane si pone un’altra figura degna di nota, quella di Markus Siebold. Siebold, programmatore fallito, si dà alla musica con ottimi risultati, producendo una technomusic meno brillante sul piano
dell’inventiva melodica ma armonicamente solida e inattaccabile. Siebold compone per Trenz i pulsanti
soundtrack di Turrican II e Enforcer, contribuendo a definire quella sinergia molluschea cui si accennava più sopra. Non è chiaro per quale motivo abbia abbandonato subito la composizione per i vg, ma non è
questa la sede adatta per domandarselo... E’ invece l’occasione perfetta per osservare come, orfano di
Huelsbeck e Siebold, Trenz debba scendere suo malgrado a svilenti compromessi. Se in Super Turrican si prende la briga di mettere insieme un soundtrack di ottimo livello (mutuato dal lavoro di Huelsbeck per la versione Amiga del primo Turrican) per Rendering Ranger è costretto ad affidare il delicato compito all’anonimo Stefan Kramer, minando così la solidità dell’amplesso audio/video. Il soundtrack di
RR abbandona i vibranti riff elettronici di Siebold in favore di composizioni sinteticamente main stream,
del tutto prive del talento huelsbeckiano. Il risultato, a mio avviso, sarebbe stato perfetto per filmetti di
serie B come Universal Soldier o 2013 la Fortezza, ma in Rendering Ranger ha l’effetto di una doccia
fredda (non proprio gelata, qualcosa si salva). Fortunatamente RR ha altri assi dalla sua, e da qualche
parte dovrebbero già esser stati svelati...
10
:INDEPTH:
Ring#1
Yet for us there is no light…_______________
[Silent Hill 2]
di Gatsu
“Dove vivi Simon?”
“Io vivo nei deboli e negli umiliati”
Session 9
_________Ashes And Ghost
“Nei miei sogni tormentati, vedo quella città, Silent Hill. Mi
promettesti che un giorno mi ci
avresti riportato. Ma non l’hai
mai fatto. Adesso sono lì da sola...nel nostro posto speciale...
Ti aspetto...”. Inizia così Silent
Hill 2. In un lurido bagno di
una città abbandonata, travolto
da eventi più grandi di lui, James Sunderland si guarda nello
specchio e si chiede: “Mary, sei
davvero qui?”. Ripensa alla
lettera appena ricevuta dalla
mo-glie, da lui creduta morta di
malattia tre anni prima. E un
barlume di speranza vive in lui,
in un uomo confuso che non sa
più chi è, in un uomo che per
tutto il tempo continuerà a porgersi le stesse, terrificanti domande. Cosa sta succedendo a
Silent Hill? Mia moglie è davvero ancora viva? E se non lo è,
chi, o cosa, mi ha attirato qui?
_________Angels Thanatos
Si sa, SH2 privato dell’intreccio
e dei personaggi che popolano
la Collina Silente non è un gran
gioco. Diviene poco meno che
un’avventura alla Resident Evil, neppure troppo varia o originale nelle situazioni. Ma SH2
non può essere giudicato partendo da un assunto come questo, poiché l’incredibile forza di
questa opera (vi dirò la verità,
chiamarlo gioco è ingiusto e
fuorviante) di Konami risiede in
tre aspetti che esulano completamente dagli sterili meccanismi di gioco: atmosfera, trama,
personaggi. Resta da vedere se
dopo esservi cimentati con
questa piccola perla nera accetterete il confronto con un’opera
apprezzabile più per gli aspetti
alieni al concetto ludico che non
per il gioco stesso, perché Silent Hill 2 va analizzato e vissuto anche dopo la mera fruizione. Ma in fondo, se siete capaci di comprendere “nuovi”
concetti di gioco come Rez o
MGS2 non vedo perché dovreste rifiutarvi di gettarvi a capofitto attraverso le porte degli
Inferi...
Della loro fragilità. Del buio che
hanno nel cuore. E lo fa con
una tale potenza (e crudezza)
da turbare anche il più sfegatato fan di Charles Manson.
___The Darkness that Lurks
in our Mind
Dicevamo, SH2 va preso nella
sua interezza e apprezzato per
quello che è: un’opera a tratti
realmente disturbante che pone
degli interrogativi pesantissimi
su temi che nessun videogioco
aveva mai osato sfiorare. La
nostra visione della realtà viene
filtrata attraverso un rumore
video sporco e granuloso, quasi
inspiegabile inizialmente, ma
che acquisterà un suo significato profondo con il proseguire
della storia, fino alla rivelazione
finale contenuta nella videocassetta che per tutto il gioco James tenterà di recuperare. Anche la nebbia, ereditata dal
predecessore Silent Hill, svolge una sua perfida funzione: i
volumetrici banchi che oscurano la visuale sembrando vivi,
pulsanti, crudeli veli dietro ai
quali guizzano e si nascondono
creature nate nel dolore e nel
buio. E l’oppressione creata
dalla nebbia, spesso così abbondante da farvi perdere
l’orientamento, richiama alla
mente un tema che alla Konami
devono aver studiato per bene,
quello dell’eterna paura dell’
uomo per l’ignoto. Perché, mi
sembra doveroso dirlo, Silent
Hill 2 parla delle paure degli
uomini. Delle loro emozioni.
11
Silent Hill 2 scava il sentiero
per l’angoscia all’interno del
nostro subconscio e della nostra carne (con tanto di tuffi al
cuore e contrazioni stomacointestinee), e lo fa tramite una
geniale sinergia audio/video,
fra rumori agghiaccianti e demoniache presenze celate dall’
ombra o dalla nebbia. Per dirla
in parole povere, SH2 non può
esistere senza musica. Akira
Yamaoka rispolvera le sonorità
già sentite nel primo episodio e
le eleva all’ennesima potenza,
riprendendone alcuni motivi e
aggiornandoli con sonorità disturbanti e decadenti. Non è un
caso che io mi sia innamorato,
prima che del gioco vero e proprio, della colonna sonora di
SH2. Con una varietà disarmante (ben 30 pezzi, tutti di
altissima qualità) il musico di
fiducia della Konami ci guida
per mano negli abissi neri della
follia, nel dolore della solitudine, nelle tristi stanze vuote della malinconia. Pianoforte e chitarra acustica per i momenti
più mesti, suoni metallici da
:INDEPTH:
fabbrica impazzita, rumori di
oggetti trascinati e funesti episodi di synth descrivono
invece le parti del gioco dove la
tensione tende a salire vertiginosamente (conoscerete la
paura quando sentirete lo stridio prodotto da Piramid Head
che trascina la sua enorme
lama nella vostra direzione).
Geniale è lo spunto di Konami
(presente ad onor del vero anche nel prequel) dell’ inserire i
suddetti rumori anche in luoghi
dove nulla ci minaccia. Questo
subdolo espediente aumenta
progressivamente il senso di
angoscia e tende i nostri nervi
come nemmeno i rigori della
finale dei Mondiali saprebbero
fare, tanto che non è raro sobbalzare per l’infrangersi di un
vetro o per un demoniaco sussurro che viene dal centro di
una stanza in realtà vuota, soprattutto disponendo dell’ ausilio di un adeguato sistema audio.
E poi tutto il resto. La conformazione della città, le vie senza
uscita, i messaggi scritti con il
sangue che appaiono sui muri,
il comportamento, inverosimile
agli occhi di James, di alcuni
dei personaggi, la caratterizzazione dei nemici, la città che
cambia e si modella come se
volesse imprigionarci, come se
volessi farci capire qualcosa. A
Silent Hill tutto sembra immerso nel Caos ma nulla, lo sapete
bene, è lasciato al caso.
_____________Black Fairy
L’opera si apre lasciando intuire
che l’intreccio narrativo si basa
sulla speranza. James torna infatti a Silent Hill, luogo in cui
ha passato i più magici momenti della sua vita assieme a
Mary (tanto che, insieme, avevano definito il Lakeview Hotel
come il loro “posto speciale”)
sperando di ritrovarla, pur sapendo che la moglie è morta
tre anni prima a causa di una
misteriosa malattia. Eppure...
eppure la lettera che ha ricevuto non lascia dubbi: la scrittura
è quella di Mary, e solo lei
conosceva del “posto speciale”
...James, confuso, decide quindi di aggrapparsi all’idea che
Ring#1
Mary possa essere sopravvissuta. La sua vita, lo si capisce
chiaramente nel corso del gioco, non ha più nessun senso da
quando la moglie è morta.
Quindi... perché non rischiare?
Perché non credere? Ogni tanto
i sogni si avverano, no?
No.
La realtà è un incubo, o almeno lo è per il signor Sunderland.
Silent Hill non è più il posto
che James ricordava. Silent Hill,
questo lo si capisce solo “incastrando” i vari indizi sparsi
fra i due episodi della saga (e
finendo il gioco con tutti i possibili finali), non è nemmeno
una città. O forse lo è, ma solo
in alcune delle sue svariate
“forme” (attendo il terzo capitolo per ulteriori delucidazioni a
questo proposito…certo è che Il
Museo Storico di Silent Hill non
può essere stato messo lì per
caso…). Quella che James attraversa in SH2 è una città
vuota, morta, popolata solo da
esseri dalle sembianze mostruose (e queste sembianze,
nella maggior parte dei casi,
hanno un significato metaforico
che vedremo poi) e afflitta da
una nebbia che la Val Padana in
confronto sembra un atollo caraibico. Silent Hill “attira” James nei suoi luoghi più tenebrosi e marci, perché la città è
un luogo di espiazione, un incrocio distorto fra il Purgatorio
e l’Inferno. James ha peccato, e
quindi deve pagare. Ma non
prima che la città gli racconti
tutto quello che ha fatto e poi,
apparentemente dimenticato.
Silent Hill strappa quindi la
realtà dal subconscio di James
e, piano piano, un po’ alla vol-
12
ta, gliela sbatte sotto gli occhi
come un macellaio che mostra
sorridente la sua merce alla
rincoglionita vecchietta di turno. Il processo, nemmeno a
dirlo, è identico per il giocatore,
che sempre più con l’avanzare
del gioco tende ad immedesimarsi in James, e quella che
inizialmente era speranza (di
ritrovare l’amore) si tramuta
infidamente nel sospetto di
nascondere un terribile segreto.
Le stesse locazioni di gioco
riflettono lo stato d’animo di
James (e del giocatore), diventando sempre più cupe e degradate. E se inizialmente non
si trova un riscontro fra il peccato di James e la città (i Blue
Creek Apartment, ad esempio)
già l’ospedale di Brookhaven ci
trasmette un senso di malattia
e follia che, vedremo, ci indica
lentamente la strada per la verità. E così fa anche l’hotel,
silenziosa e inquietante magione edificata sulla riva di un lago
immerso nella nebbia, come se
si volesse nascondere ai nostri
occhi, come se qualcosa fosse
succeduto al suo interno.
Sarà proprio il Lakeview Hotel
l’apice della disperata ricerca di
James, il posto dove lui, finalmente, capirà il crimine dimenticato di cui si è macchiato.
“The fear of blood tends to
create fear for the flesh”
Silent Hill
_________The Reverse Will
Fondamentalmente Silent Hill è
deserta. Eppure…eppure esiste
qualcun altro destinato a scorrazzare nella nebbia…
Ognuno dei personaggi di
SH2 ha un ruolo ben preciso
nella storia, a cominciare da
Maria, disinibita fanciulla inspiegabilmente somigliante a
Mary, la moglie di James. Nel
corso del gioco vedremo i due
darsi vicendevolmente una certa confidenza e, perché no, sottintendere anche un reciproco
desiderio sessuale. Maria però
non esiste, se non nella mente
di James. E’ una proiezione di
quello che James avrebbe desiderato fosse la moglie, in-
:INDEPTH:
capacitata a donargli felicità e
appagamento (anche sessuale)
dalla sua malattia. E’ interessante vedere come James
sembri piuttosto indeciso sul da
farsi a proposito di Maria, se da
un lato si preoccupa di proteggerla e di non lasciarla sola,
dall’altro rifiuta (riluttante) le
sue continue provocazioni…A
voi starà, nel finale, decidere se
cedere al peccato (ma state
tranquilli, nemmeno Maria vi
porterà fuori da questo incubo…) o rimanere fedeli a Mary…
Parlando di sesso, Angelica,
aspirante suicida, appare all’
inizio apparentemente preoccupata per le sorti della sua
famiglia… Più avanti scopriremo
come essa cerchi la morte per
dimenticare le violenze subite
dal padre in gioventù (relazionato a lei è il mostro Abstract
Daddy). Angelica è il personaggio più inquietante di tutto il
gioco…apparentemente fragile
e ferita, la ragazza si rivela lussuriosa (non mancherà di
provocare James prima della fine) e violenta. Scomparirà fra
le fiamme (infernali?) di un
edificio rispondendo a James (
che le dice: “Vieni con me! La
tua vita può cambiare” o qualcosa di simile) con un agghiacciante “Per me è sempre
così”. Rappresenta l’innocenza
rubata ma anche l’uomo che
permette all’ Abisso di guardare
in lui.
Eddie Dombrowski appare
dopo poche ore di gioco come
“lo scemo del villaggio”, spaventato e impaurito di quello
che gli sta accadendo intorno…Tuttavia qualcosa in lui non
va, soprattutto il fatto che
James lo incontri sempre nei
pressi di un cadavere…Eddie
non influisce direttamente sulla
trama principale di SH2, ma
sembra invece un altro pec-
Ring#1
catore attirato dalla città per
espiare i suoi peccati. Eddie
raffigura “il maiale ingordo”,
l’uomo che trascinato dalla pazzia intende vendicarsi di tutti i
torti subiti. Last but not least
Laura, una bambina, l’unico
personaggio del cast che vede
Silent Hill come una normale
cittadina e si intrufola sempre
(inspiegabilmente per James)
in posti infestati da ogni tipo di
aberrazione. E’ il contatto fra
James e Mary (Laura infatti era
sua compagna di stanza all’
ospedale), la “chiave” che consente a James di capire quello
che ha fatto…
Interessante anche lo studio
dei mostri (resi efficaci dall’ “effetto lucido”, piuttosto horrorifico): se i Lying Figure (sorta di
figure umane intrappolate dentro una membrana viscosa) ricordano metaforicamente James che tenta di uscire dal suo
velo di falsità, troviamo dei veri
e propri capolavori nelle Bubble
Head Nurse (la malattia di
Mary), in Abstract Daddy (gli
stupri subiti da Angelica) o nel
geniale Pyramid Head (il boia e
il torturatore imbrattato di sangue, subdolamente ci suggerisce che abbiamo fatto qualcosa
di male). Memorabile poi la
scena in cui Pyramid Head
mima un amplesso con i Mannequins, come a volere sottolineare la frustrazione sessuale
di James…
13
________________Promise
SH2 non è un gioco in senso
stretto, è un viaggio nei nostri
incubi più reconditi. Un videogame adatto a mille illazioni e
approfondimenti (quelle che vi
ho esposto sono più che altro le
mie interpretazioni degli avvenimenti, ma se ne potrebbe
parlare a lungo), adatto ad un
pubblico maturo e non facilmente impressionabile, disposto anche a mettere in discussione argomenti spinosi come
la morte, l’omicidio, la pazzia e
il sesso.
Profondo come un libro,
emotivamente trascinante come un thriller di alta caratura,
visivamente disturbante come
l’Urlo di Munch: se siete dei
peccatori, sappiate che la Collina Silente vi aspetta.
Cross my heart and hope to die
May my end come tonight
Across the dark, into the light
May death again us unite
Sentenced
Errata Corrige
Nel precedente numero di Ring,
all'interno della rubrica Winners
Do Use Drugs (pag. 59), abbiamo erroneamente affermato
che, giocando a Ikaruga dopo
aver assunto cocaina, è possibile raddoppiare la quantità di
chain eseguibile in condizioni
normali. In effetti, il massimo
miglioramento
prestazionale
riscontrato sotto l'influsso di
suddetto narcotico corrisponde
solamente all’80% di lunghezza
in più. Ci scusiamo con i lettori.
:INDEPTH:
Ring#1
Esperandote___________________________
[Silent Hill]
di Gatsu
____Never End. Never End.
Never End.
Mi è capitato recentemente di
discutere con gli altri RINGoglioniti a proposito di quale dei
due Silent Hill sia più valido. Se
il primo episodio vanta indubbiamente un “effetto sorpresa”
dall’impatto devastante, il secondo, pur riciclando abbondantemente le vecchie atmosfere claustrofobiche, si avvale
di una trama nettamente più
comprensibile (pur lasciando
largo spazio alle illazioni) e di
un plot di personaggi meglio
riuscito. Visto che a mio parere
nel primo capitolo della saga di
Konami ci sono diversi punti
lasciati volutamente in ombra,
ritenevo interessante un approfondimento a proposito di una
storia che va più interpretata
che capita. Vediamo dunque di
portare un po’ di luce nelle tenebre della nebbiosa collina.
____Moonchild (Fear of the
Dark?)
Sarebbe stupido passare direttamente alla trama senza riflettere sui personaggi e sulla loro
psicologia, quindi diamo il via
ad una rapida carrellata sugli
involontari protagonisti dell’incubo più celebre dei videogiochi:
Harold 'Harry' Mason (Until
Death)
Anni: 32
Occupazione: Scrittore
Harry è il protagonista assoluto
di Silent Hill. Non molto ci è
dato sapere a proposito del suo
passato, tutto quello che conosciamo è che ha adottato una
figlia, Cheryl, e che è sposato.
Della moglie non si fa quasi mai
menzione, forse perché è
morta. Se esaminiamo Silent
Hill conoscendo anche il secondo episodio della saga, pos-
siamo presumere che Harry abbia compiuto un grosso delitto
in passato (è lui che ha ucciso
la moglie?) e che giunga nella
nebbiosa città per espiare inconsciamente le sue colpe. Singolare la somiglianza che ha
con James Sunderland, protagonista di SH2.
Cheryl Mason (Devil’s Lyric)
Anni: 7
La piccola figlia di Harry.
Adottata in fasce da Harry e
sua moglie, Cheryl è segnata
da un infausto destino: Dahlia
le ha infatti trasferito l’anima di
Alessa, destinata a dare alla
luce il malvagio Samael. E’ in
sostanza l’esca attorno alla
quale tutta la ricerca di Harry si
sviluppa.
Cybil Bennett (My Heaven)
Anni: 28
Occupazione: Poliziotta
Cybil è una poliziotta di
Brahms, una città vicina a Silent Hill. Il suo ruolo varia molto
a seconda della condotta di gioco, da alleata può divenire
pericolosa avversaria (l’eventuale scontro con lei sulla giostra è forse il più duro di tutto il
gioco). E’ in qualche modo invischiata nei loschi affari di
Dahlia e Kaufmann, ma l’unica
cosa che si capisce con chiarezza è che Dahlia la usa per
aiutare Harry nella ricerca di
Cheryl all’interno del mondo
creato da Alessa. Spesso dà
l’impressione di non vedere
quello che vede Harry, il che
porta a due differenti ipotesi: o
non è consapevole di essere
manovrata e vede un mondo
tutto sommato normale (improbabile) o è totalmente asservita
a Dahlia e non si cura affatto di
quel che le accade intorno
(spiegazione più logica, anche
perché solo Dahlia che può
“inserire e togliere” le persone
dal mondo fittizio di Alessa potrebbe farla arrivare in alcuni
14
posti che Harry ci mette ore per
raggiungere).
Alessa Gillespie (Devil’s Lyric Part II)
Anni: 14 (?)
La sfortunata prescelta per dar
vita a Samael. E’ la figlia di
Dahlia, ma la donna la tratta
più come un involucro atto ad
ospitare il dio oscuro che come
una persona. Presumibilmente
morta ustionata, Alessa ha comunque un ruolo primario nella
vicenda: la sua anima è infatti
racchiusa nel corpo di Cheryl e
non intende affatto permettere
la nascita della malvagia divinità.
Dahlia Gillespie (Children
Kill)
Anni: 46
Occupazione: Proprietaria di un
negozio di antiquariato
La mente dietro a tutta la vicenda. Interessata a far risorgere Samael, non si fa scrupoli
nel calpestare vite umane pur
di raggiungere il suo scopo.
Dahlia è totalmente devota al
dio oscuro, tanto da sacrificare
la sua giovinezza per compiere
i vari rituali che le servono
perché tutto sia perfetto. E’
l’essenza del male nella sua accezione più pura: chi altri potrebbe immolare la propria
prole pur di ottenere i suoi scopi?
Dr.
Michael
Kaufmann
(Flesh Kill)
Anni: 50
Occupazione: Medico
E’ il braccio destro di Dahlia,
anche se la donna non esita a
“scaricarlo” e “inserirlo” nell’
incubo collettivo di Harry & Co.
Ha un ruolo piuttosto importante anche se durante il
gioco si vede molto poco.
Lisa Garland (Ain’t Gonna
Rain)
Anni: 23
:INDEPTH:
Occupazione: Infermiera
Un’infermiera soggiogata con la
droga da Kaufmann e costretta
a sbarazzarsi del corpo di Alessa. Lentamente la sua schiavitù
la porta alla depressione e al
conseguente suicidio. Viene
“reinserita” da Alessa per rallentare l’avanzata di Harry
(vedi dopo).
________The Bitter Season
Ora vediamo la trama in dettaglio e cerchiamo di scoprire
tutti i retroscena della vicenda.
La spiegazione seguente è il
frutto della sovrapposizione di
più pareri: il mio, quello delle
persone con cui ho avuto occasione di discutere a proposito
del gioco e con quelle di gente
che ha speso molto tempo libero a esaminare l’opera Konami (su Gamefaqs ci saranno
almeno dieci guide riguardanti
Silent Hill): mi auguro che il risultato finale possa chiarirvi le
idee. Per comodità analitica non
seguirò la stessa cronologia che
subisce il giocatore, quindi spegnete la TV e state attenti.
Tanto per cominciare sappiamo
che è notte ed Harry e sua figlia stanno viaggiando in auto.
La loro vera destinazione non ci
è data a sapere (presumo un
luogo di vacanza, o cose simili),
ma dall’intro capiamo chiaramente che un incidente interrompe la gita di padre e figlia:
una figura umana sbuca dalla
nebbia, Harry sterza violentemente e l’auto finisce fuori
strada. Harry sviene per un
tempo indeterminato. Al suo
risveglio, si accorge che la piccola Cheryl non è più con lui.
Preso dal panico, il nostro eroe
Ring#1
esce dal groviglio di lamiere e
si incammina verso Silent Hill,
una cittadina poco distante.
Ora facciamo un balzo logico
e temporale: Dahlia e Kaufmann sono membri di un culto
legato al dio oscuro Samael
(tradotto in italiano con Samuele, ma dubito fortemente
che c’entri davvero qualcosa).
Qualcosa (una profezia?) dice
loro che è arrivato il tempo di
far risorgere la malvagia divinità, e quindi il culto inizia a
“prepararsi la strada” per il
rituale. Il piano consiste nel
trasferire l’essenza del dio all’
interno del corpo di un neonato, che a sua volta darà alla
luce la vera incarnazione di
Samael (questa interpretazione
deriva da alcune scene mostrate alla fine del gioco, quando
Dahlia afferma che Cheryl/
Alessa sarà la madre del dio).
Le cose iniziano ad andare per
il verso sbagliato quando Alessa
inizia ad essere perseguitata da
un poltergeist, creato dallo
stress procuratole dai maltrattamenti che subisce a scuola
(quando Harry entra in Nowhere, ad esempio, si sente il
pianto di un bambino nel bagno
– Alessa, appunto. Inoltre uno
degli elementi che portano a
questa conclusione è rappresentato dal banco ricoperto di
scritte offensive in una delle
aule). Dahlia non vuole perdere
il controllo su Alessa, specialmente per colpa di un poltergeist (info sul poltergeist si
trovano sul libro di Leonard
Rhine), così trasferisce l’anima
della bambina in quello di un’
altra bimba, Cheryl. Affinché
questo sia possibile, Dahlia deve dar fondo alle sue energie
più nascoste, e questo è probabilmente il motivo per cui
sembra così vecchia. Il corpo di
Alessa viene quindi ustionato
(le conseguenze si vedono
chiaramente nella presentazione del gioco) per farla cadere in
coma e fermare di conseguenza
l’attività del poltergeist. Cheryl
viene quindi lasciata sul bordo
della strada, finché Harry e sua
moglie non la trovano (per
caso?). Il corpo bruciato di
Alessa viene quindi nascosto
nei sotterranei dell’ospedale da
Kaufmann, il direttore della
15
struttura. Per evitare problemi,
Kaufmann recluta Lisa, un’ infermiera, la rende schiava di
una droga chiamata White
Claudia, e la costringe ad aiutarlo. Lisa cade in depressione
(evidente da quello che lascia
scritto nel diario), gira il video
che si vede nella fase finale del
gioco (quando la videocassetta
è macchiata di sangue) e poi si
suicida. Da questo momento in
poi, per Dahlia e Kaufmann si
tratta solo di aspettare il ritorno di Cheryl a Silent Hill, come profetizzato.
Quando Cheryl ritorna, l’anima di Alessa ha 14 anni: sostanzialmente vecchia abbastanza per dar vita a Samael. Tutto
quello che serve a Dahlia è solo
radunare le due ragazzine e
compiere un rituale per riversare l’anima di Alessa nel suo
vero corpo. Alessa è ora più
potente di quando è stata ficcata dentro Cheryl, e non desidera affatto dare vita al dio
oscuro, quindi crea un mondo
pieno di demoni per permettere
a Cheryl di nascondersi. Per
fermare Alessa, Dahlia deve
usare il Flauros per catturare e
distruggere il poltergeist che
sta fornendo alla bambina il potere per creare il suo mondo
alternativo. Dahlia non può
raggiungere Cheryl attraverso
questa realtà alternativa, quindi
decide di spedirci Harry presumendo che i demoni non lo uccideranno. Contro ogni pronostico (oddio, non che avesse
molte possibilità…) Harry viene
ucciso (scena iniziale nel vicolo). Dahlia lo fa tornare nel
mondo alternativo e gli da un
po’ di aiuto: Cybil e la sua pistola (da quel che ho capito la
vecchia può far tornare chi
vuole quando vuole…). Dahlia
guida Harry verso Cheryl, sfruttando l’amore del padre per la
figlia: indizi come le scritte che
lo invitano ad andare più
veloce, la telefonata all’interno
della scuola o le schermate televisive che riproducono la
bambina sono solo trucchi che
Dahlia usa per accelerare la
cerca di Harry.
A mano a mano che il dio
demone cresce dentro Alessa,
inizia a contrastare il potere
della bimba e a prendere il so-
:INDEPTH:
pravvento: solo in alcuni frangenti le azioni di Harry riescono
a sopprimere il suo potere per
un breve periodo di tempo.
Quando Harry raggiunge l’ospedale incontra Kaufmann in
una delle stanze. L’uomo è seduto, depresso e tiene in mano
la pistola (probabile che la
stessa Dahlia lo abbia costretto
a prendere parte all’ incubo di
Alessa). Il ruolo successivo di
Kaufmann non è molto chiaro,
ma probabilmente Alessa tenterà di usarlo per prendere l’Aglothithis, che secondo lei servirà ad uccidere Samael. Alessa
inserisce Lisa nel suo mondo
con uno scopo preciso: fermare
la ricerca di Harry, ma il diversivo non funziona. La bambina
fa quindi un’apparizione per
tentare di spiegare ad Harry
quello che sta succedendo, ma
il Flauros si risveglia e il mondo
di Alessa inizia a sfaldarsi.
Dahlia appare e cattura Alessa/Cheryl.
Una volta che Harry ritrova
Alessa, Dahlia spiega in maniera criptica cosa sta succedendo.
Nel frattempo Kaufmann fa la
sua comparsa e usa l’Aglothitis
su Alessa, ma invece che uccidere il dio demone l’Aglothitis
lo trasforma in un mostro spaventoso (questa parte può
variare a seconda della condotta di gioco). Harry può sconfiggerlo (dopo aver ucciso Dahlia, che però lascia intendere di
non essere lì fisicamente) poiché Samael non è al massimo
del suo potere (non essendo
nato naturalmente).
Le ultime scene della mia
partita sono profondamente diverse rispetto ad un altro resoconto che ho trovato in rete,
che recita testualmente:
Ring#1
“Alessa then gives Harry a
little girl and the two of
them run for an exit, created by Alessa, with Cybil.
Kauffman is captured by Lisa who is already dead but
still wants revenge. Alessa
stays behind and is presumably killed”
Presumo quindi che a seconda della condotta di gioco sia
possibile giungere non solo a
più finali in FMV, ma anche a
varie “sequenze boss”. Nella
giocata da me affrontata Samael si è manifestato come un’
entità femminile avvolta dalla
luce, ma sono sicuro che questa non è l’unica forma che il
demone può assumere (l’uso
dell’Aglothitis infatti ne modifica le fattezze). Dopo la sua
uccisione, Harry si inginocchia e
continua a piangere, perché assieme al dio ha eliminato anche
sua figlia…il FMV da me ottenuto è il numero 4 (vedi
sotto). Se qualcuno di voi ha
ottenuto una trama o una conclusione diversa, può contattarmi([email protected],)
potrebbe essere interessante
approfondire il perché certi eventi si verifichino solo con
determinate condotte di gioco.
Rimangono comunque in sospeso diversi punti: ad esempio, come va interpretata la
sedia a rotelle che si vede
spesso nel corso del gioco? E’
forse la sedia usata da Alessa
durante il coma causato dalle
bruciature? E perché poco prima dello scontro finale, quando
Harry chiede a Dahlia dov’è
Cheryl , la donna mostra al nostro eroe un “pupazzo di carne”
(non saprei come altro definirlo) seduto proprio sulla sedia a
rotelle, quando di fianco a lei
c’è anche Alessa? Ma soprattutto, il corpo di Alessa è vivo o
morto (questo punto è totalmente oscuro)? Oppure, qual è
la relazione fra Alessa, Cybil e
Cheryl? Sono sorelle? Oltre tutto i FMV finali tendono a non
spiegare un bel nulla, anzi,
contribuiscono a creare ancora
più confusione (in particolar
modo sull’identità del neonato),
proprio per questo motivo ri-
16
tengo Silent Hill 2 più coerente e affascinante nonostante
sia meno fresco o originale.
Anyway, i finali del gioco sono cinque, e la loro comparsa è
influenzata, come sempre, dalle
azioni compiute durante il gioco:
1. Harry e Cybil si ritrovano
nello stesso posto dove nella
presentazione si vedono Harry
e sua moglie (un cimitero?).
Tengono un pupo fra le mani
(Cheryl, presumo) e l’impressione è che dopo tutto i due
possano vivere felicemente.
Questo è l’unico finale positivo
(?) del gioco, ma non fa altro
che complicare le cose: perché
infatti due dovrebbero vivere
felicemente insieme, quando la
stessa Cybil può, a seconda
delle azioni del giocatore, essere usata come arma nei confronti di Harry (scena del parco
giochi)?
2. Harry corre per la strada
tenendo fra le braccia un
neonato (sempre Cheryl). Si
ferma e si guarda attorno confuso. Si può intendere (fantasiosamente) che Harry riesca a
fuggire con Cheryl per ricostruirsi una vita.
3. Samael viene sconfitto,
Harry si dispera ma Cybil lo esorta a fuggire prima che sia
troppo tardi. Finale poco chiarificatore. Troppo tardi per cosa?
E soprattutto, la vita di Harry
ha ancora un senso?
4. La telecamera inquadra
Harry nella sua jeep. Il giovane
uomo è morto dopo l’incidente.
Quindi fino a quel momento con
chi abbiamo giocato? Con l’anima di Harry Mason? E Silent
Hill quindi cos’è? L’inferno?
L’Umbra di White Wolfsiana
memoria (Whraith: The Oblivion docet)?
5. Questo non è una vera e
propria conclusione perché avviene in cima al faro: Harry viene rapito dagli alieni! La cosa
divertente è che tutta la grafica
muta fino a somigliare ad un
fumetto. Questo è il classico fi-
:INDEPTH:
nale canzonatorio, irrilevante ai
fini della trama.
_____________No Way Out
Silent Hill rimane quindi ancora oggi un gioco anomalo:
possiamo tentare di inter-
Ring#1
pretarlo ma non riusciremo mai
a far luce completamente su ogni aspetto della trama. Resta
da decidere se questa sia stata
una scelta intenzionale dei programmatori, oppure una serie
di lacune a livello narrativo che
noi poveri mortali stiamo tentando inutilmente di colmare.
In attesa di future rivelazioni
(Silent Hill 3 si profila all’
orizzonte),
continueremo
a
considerare il capolavoro Konami come un incrocio fra un
film di David Lynch e un cubo
di Rubik a cui mancano dei pezzi…
Next Fear_____________________________
[Silent Hill]
di Federico Res
“Nel mondo non c’è una realtà assoluta”
Solid Snake, forse riferendosi al mondo di Silent Hill
Next fear, l’altro lato di Silent
Hill. Un’indagine parallela e opposta a quella di Gatsu, che
analizza il gioco tenendo conto
dei finali ‘positivi’ (GOOD e
GOOD+). In fondo non è forse
il doppio, la coesistenza di realtà simmetriche e opposte, uno
dei temi principali di SH? Dunque, here we go. Con una precisazione: questa volta i flashback vi sono offerti direttamente dal sottoscritto, dunque fatene buon uso…
____Quattordici anni prima
L’incubo residente in Silent Hill
ha origine quattordici anni prima dell’incidente che cambierà
la vita a Harry Mason. Precisamente quando, insieme agli
adepti della sua setta, Dhalia
Gillespie concepisce una figlia –
Alessa – e trasferisce nel suo
corpo l’anima di Samael, un
demone il cui controllo potreb-
be far cadere ai suoi piedi il
mondo intero. Col passare degli
anni Alessa non sembra però
interessata ai fini della setta
capeggiata dalla madre, e
rifiuta qualsiasi collaborazione
[fsb: la cut scene prima del
rendezvous finale mostra Alessa che tenta di sottrarsi al volere di Dhalia, e sostiene di
voler essere soltanto una bimba come tutte le altre]. Dhalia
non può sfruttare il potere di
Samael racchiuso nella figlia
senza che questa collabori
[fsb: nella stessa scena animata è evidente come Dhalia
tenti di forzare Alessa a far
qualcosa che la bimba non vuol
fare], così decide di farla cadere in coma, per superare la
sua volontà: chiude la piccola
nella sua stanza e dà fuoco alla
casa [fsb: Lisa parla a Harry di
un grosso incendio che, sette
anni prima, distrusse parte di
Silent Hill e pose fine alle
attività della setta presente
nella cittadina. Secondo l’opinione comune, la figlia di Dhalia morì nell’in-cendio]. La magia di Dhalia (o forse il potere
di Samael) impedisce ad Alessa
di morire, ma il corpo ustionato
della bambina necessita comunque di cure mediche. Kauffman (primario dell’Alchemilla
Hospital), nasconde Alessa nel
sotterraneo dell’Alchemilla, e
obbliga (con l’uso di una droga)
l’infermiera Lisa Garland ad
17
occuparsi di lei [fsb: un vecchio VHS mostra Lisa in lacrime
mentre si dispera per le condizioni di Alessa. Lisa appare
sull’orlo del suicidio, ed è probabile che, dopo aver registrato
la cassetta, si sia tolta la vita].1
Dhalia e gli altri adepti della
setta sono finalmente in grado
di sfruttare il potere di Samael
racchiuso in Alessa (ora in
coma), ma si accorgono che
qualcosa non è andato per il
verso giusto. Al concepimento
di Alessa il rito ha permesso di
trasferire nella bimba soltanto
metà dell’anima di Samael, e il
suo potere ora è molto debole
[fsb: nel Nowhere una scena
animata mostra Dhalia e soci
che discutono intorno al corpo
ustionato di Alessa. Uno degli
adepti rivela che il potere di
Samael è molto debole, un altro spiega che il rito non ha
funzionato del tutto, e ha permesso di trasferire in Alessa
soltanto una parte dell’anima di
Samael. Dhalia afferma di avere una soluzione, e qui il
filmato finisce].
A questo punto si va di illazioni. La parte che segue non
è sostenuta da riferimenti espliciti, ma lascia spazio all’ intuizione
(nata
da
piccoli
particolari che più avanti saranno chiari). Dhalia decide di avere un altro figlio per trasferire
nel suo corpo la seconda metà
dell’anima di Samael. La ceri-
:INDEPTH:
monia viene ripetuta, e tutto
sembra andare nel migliore dei
modi. Succede però un imprevisto: Dhalia smarrisce il bebè (un’altra bambina), che viene ritrovato, sul ciglio della
strada, da Harry Mason e sua
moglie.2
___Fast Forward: anno zero
Andiamo con la mente alla
presentazione, che narra del
viaggio di Harry e figlia a Silent
Hill. Sappiamo già dell’incidente, ma pensiamo a Cheryl, allo
stupore sul suo volto nel vedere il simulacro di Alessa. Metaforicamente, Cheryl sembra
implodere dentro Alessa, dentro se stessa: Cheryl è Alessa.
Alessa possiede due corpi, ma
un’unica anima: questo perché
entrambi i figli partoriti da Dhalia sono stati concepiti col medesimo rituale, per il medesimo
scopo. L’anima di Alessa vive in
entrambi i corpi, insieme con
quella di Samael.
Il primo corpo di Alessa,
quello rinchiuso nel sotterraneo
dell’Alchemilla e costretto nel
coma, vive sette anni di atroci
dolori: tramite un poltergeist
[fsb: si parla del poltergeist nel
libro di Leonard Rhine abbandonato nella biblioteca della
Midwich Elementary School] le
sofferenze patite dall’anima di
Alessa in quel corpo si tramutano in realtà. Oltre alla SH
reale, nasce una nuova SH da
incubo, prodotta dall’inconscio
della ragazza. All’interno di
quest’incubo, Dhalia usa Harry
(deciso a ritrovar la figlia
scomparsa) per avvicinarsi al
corpo più giovane di Alessa, nel
quale risiede la seconda metà
di Samael (il gesto di Dhalia è
giustificato dal fatto che Harry,
essendo stato un padre ‘adottivo’ per Alessa, deve essere in
qualche modo caro alla bambina). Quest’ultima, memore
delle sofferenze patite nel sotterraneo dell’Alchemilla (l‘anima di Alessa vive contemporaneamente in entrambi i corpi)
è più che decisa a non farsi
trovare.
Considerata la determinazione di Harry, Alessa tenta di
rallentarlo in vari modi, semi-
Ring#1
nando sul suo cammino ostacoli
di varia natura: demoni, voragini, perfino un simulacro di
Lisa Garland, ripescata dai propri ricordi (vissuti nel primo
corpo). Come soluzione estrema, Alessa prende il controllo
di Cybil Bennet e tenta di uccidere Harry [fsb: Cybil precede Harry al parco giochi, e
una cut scene mostra qualcosa
che la colpisce alle spalle. Più
tardi, visibilmente posseduta,
Cybil
tenterà
di
uccidere
Harry]. Harry riesce però a far
rinsavire Cybil, gettandole contro l’Aglothitis raccolto all’ospedale [fsb: il liquido rosso
(Aglothitis) causa la fuoriuscita,
dal corpo di Cybil, di un parassita strisciante]. Alessa sembra sorpresa ma non si dà per
vinta: crea intorno a sé una
barriera invisibile e comincia ad
allontanarsi. A questo punto, il
Flauros che Dhalia ha consegnato a Harry qualche tempo
prima, si attiva e contrasta la
magia di Alessa. In breve tempo il potere della ragazza è
superato e vinto. Magicamente
Dhalia sopraggiunge e porta via
la figlia, inginocchiata ai suoi
piedi [fsb: tutto ciò accade in
un filmato subito dopo l‘incontro/scontro tra Cybil e Harry.
Poco prima, Harry rivela a Cybil
che Cheryl non è sua figlia naturale, e questo è anche il primo momento in cui noi ne
veniamo a conoscenza].
Gli eventi procedono verso il
finale: sempre determinato a
scovare la figlia (in realtà
Cheryl non è mai realmente esistita, ma Harry non lo sospetta nemmeno) lo scrittore
attraversa un luogo assurdo
(Nowhere) dove vari elementi
di SH si fondono senza alcun
18
senso, segno che l‘incubo creato dall‘inconscio di Alessa sta
collassando su se stesso. Infine
giunge al cospetto di Dhalia.
Accanto alla donna vi sono due
corpi: il primo corpo di Alessa,
martoriato dal fuoco e adagiato
su una sedia a rotelle3, e il secondo, più giovane, quello che
per sette anni ha ospitato la
facciata di Cheryl. In ognuno
dei corpi giace una parte dell’
anima di Samael [fsb: a questo
punto Harry domanda a Dhalia
dove si trovi sua figlia, e la
donna, con un ghigno sul volto,
gli spiega tutta la verità. Lo
scrittore appare scettico ma
sembra finalmente capire.].
Con l’uso della magia, Dhalia
combina insieme i due corpi di
Alessa e l’anima di Samael,
dando vita ad un essere dalle
fattezze femminili circondato da
una luce abbagliante. In quel
momento sopraggiunge però
Kauffman4: il medico scaglia
contro Alessa una fiala di Aglothitis5 e induce Samael ad uscire dal suo corpo. Samael
manifesta la sua ira contro
Dhalia, bruciandola viva, prima
di essere ucciso da Harry: a
quel punto Alessa, in fin di vita,
dona a Harry un bimbo in fasce6 e gli indica una via di fuga,
verso la quale lo scrittore si
dirige seguito da Cybil Bennet.
Kauffman tenta di fuggire a sua
volta, ma il fantasma di Lisa
emerge dal terreno e lo trascina giù con lei, verso una
morte certa. Infine, un FMV
mostra Harry e Cybil che
giocano con il bebè che Alessa
gli ha consegnato, in una scena
identica a quella della presentazione (dove, invece di Cybil,
c’è la moglie malata di Harry).
Si ritorna così all’inizio del
gioco, con un particolare curioso: assistendo al finale
GOOD+ s’innesca un meccanismo che, nelle partite successive, mostra Cybil Bennet
nella presentazione, dove invece dovrebbe esserci la moglie
morta di Harry Mason...
________________Note
1
[ Kauffman e Dhalia fanno
parte della setta e si scambiano
favori: tramite la magia nera
:INDEPTH:
Dhalia uccide alcuni agenti che
indagano sul traffico di droga
gestito da Kauffman (nella stazione di polizia si trovano dei
referti che indicano morti misteriose per alcuni agenti coinvolti nelle indagini su una strana droga prodotta a Silent Hill.)
Informazioni su questa droga
(ricavata dalla White Claudia,
una pianta che cresce sulle rive
del lago di SH) si trovano su un
frammento di giornale nel Nowhere.]
[2 A proposito del secondo figlio
di Dhalia esiste una teoria affascinante, seppur priva di
fondamenta solide. Secondo tale teoria, Lisa Garland avrebbe
trafugato il bambino e l‘avrebbe
lasciato sul ciglio della strada,
sperando che qualcuno lo raccogliesse e lo portasse lontano
da SH (speranza che poi si è
Ring#1
avverata, più o meno). Questo
perché, avendo fatto da infermiera al corpo martoriato di
Alessa, Lisa potrebbe essere
venuta a conoscenza degli
intenti di Dhalia e potrebbe aver intuito un grigio destino anche per il secondo figlio della
donna, decidendo così di rapirlo.]
[3 La sedia a rotelle è un leitmotiv nella Silent Hill alternativa, essendo stata parte delle sofferenze di Alessa nel sotterraneo dell’ospedale.]
[4 Kauffman appare alcune volte lungo l’avventura, ma, tranne che nel caso del finale, ricopre sempre un ruolo marginale. Sembra che abbia stretto
dei patti con Dhalia, e quando
questa non li ha rispettati ha
Errata Corrige
La
recensione
di
Virtua
Fighter 4 del precedente numero di Ring contiene un’inesattezza: all’interno del box
informativo, a fianco del campo
“Genere”, compare la definizione “Platform”. In effetti,
Virtua Fighter 4 è un picchiaduro. Il recensore è stato probabilmente tratto in inganno
dall’importante quantità di scalette che il gioco manda a video.
Per il medesimo motivo tutto
l’impianto critico riguardante
l’essere “troppo incentrato sui
combattimenti” non deve essere preso in considerazione.
Ci scusiamo con i lettori e con
Sega stessa.
trovato il modo di vendicarsi,
gettando l’Aglothitis contro Alessa e scacciando Samael dal
suo corpo.]
[5 L’Aglothitis è un liquido magico che ha il potere di scacciare i demoni dal corpo degli
umani. Forse temendo che
Kauffman se ne potesse servire
(come poi infatti è accaduto)
Dhalia ha distrutto una delle
fiale nell’ufficio del primario (il
cui contenuto è stato raccolto
da Harry). Kauffman ha però
nascosto una seconda fiala nel
serbatoio della propria moto (è
Harry stesso a trovarla, nella
Silent Hill turistica).]
[6 E’ probabile che nel bebè vi
sia l’anima di Alessa.]
Notizia Flash
Rockstar Games si è recentemente assicurarata il supporto del popolare attore inglese
Hugh Grant (4 Matrimoni e un
Funerale, Un ragazzo) come
testimonial del suo imminente
blockbuster
Grand
Theft
Auto: Vice City.
“Non eravamo alla ricerca di un
volto noto con l’unico obiettivo
di attirare le masse – dice il
portavoce di Rockstar Games –
volevamo invece un personaggio in grado di stabilire un
legame stretto con la filosofia
di GTA3, e Hugh ci è sembrato
la persona più adatta per carisma, presenza scenica, nonché
per i suoi trascorsi con le prostitute…”
19
:INDEPTH:
Ring#1
Inganno e Sorriso nella Valle dei Pochi_______
[METAL GEAR SOLID 2: Sons of Liberty]
di Nemesis Divina
_____Attraverso lo specchio
Metal Gear Solid 2: Sons of
Liberty riflette se stesso, guarda lo specchio e l’immagine che
si rifrange intuendo, senza certezze, che dietro il vetro ci
siamo noi: irraggiungibili, impassibili osservatori che traggono i fili. Noi siamo lì. Oltre lo
specchio…
Una cifra distintiva accompagna MGS2 sin dai primi passi, una cifra
deforme
e
slabbrata che
avvolge nell’
evidenza
il
suo segreto.
MGS2 si pone come tremenda e insanabile ferita nel contesto della percezione
del ludoverso, uno squarcio
nelle carni binarie di un mondo
sin troppo limitato nel taglio
delle forme. La foggia del ‘piano ben riuscito’ si delinea già
prima della sua venuta, MGS2
annuncia la propria presenza
spalancando le porte della sala
con forza e percorrendo i metri
a passi ampi e fermi. Il filmato
che mesmerizzava i curiosi due
anni orsono continua a stupire
per grazia grafica, montaggio e
cura espositiva. Ma questo è
l’assoluto tecnico, prestazione
sublime di una macchina spinta
al limite di allora. Quello che il
trailer portava con sé era invero ben altro: promesse di interattività sin’ora solo sognate,
tempi e modi cinematografici
espansi a ruolo perenne, azione
ispirata/reazione composta. E
ancora, nel tripudio del manifesto, il sussurro del segreto.
Uno, due trailer che mostravano al mondo quello che
non avrebbero visto. Più sapevamo di MGS2 e meno eravamo vicini a ciò che MGS2
si apprestava a diventare, voce
sola e inusuale in un ambito
evidentemente meno limitato
del creduto. I trailer diffusi posti a guardia fedele del segreto
custodito,
tanto vedevamo,
tanto sapevamo di MGS2 che
non c’era ragione di credere,
d’intuire o immaginare altro.
Con tutti i minuti di animazione che Hideo Kojima
offriva, ancora il maestro
teneva segreto ciò che
MGS2 era ed è: un taglio
nella tela [cfr. REZ Esegesi
del NON-gioco]. MGS2 si propone come rinnovatore che,
pur mantenendo basi accessibili
e accettabili, suggerisce l’esistenza dell’altro.
___Vestigia di carne binaria
Il mirino iconoclasta di Kojima
marchia un punto rosso e intenso sulla fronte del videogioco, la prima manifestazione
di ciò si presenta al giocatore
con l’apparire di Raiden o, meglio, con la negazione di Solid.
Colui che pure dona parte del
proprio nome all’opera, perde
presto la corsia preferenziale
del giocabile ed entra a far parte dell’insindacabile veduto. Qui
si attua il primo transfert che
Kojima impone all’utente: saziato dall’esaustività di strabordanti filmati promozionali, soddisfatto da appaganti demo in
cui tutto era concesso e mostrato, il fruente percorre le prime sale del tanker con serena
noncuranza, corre a piede lesto
aule conosciute e visitate più
volte. L’imprevisto, il nonatteso/nonvoluto, giunge con forza
dirompente duplicata e frantuma ogni certezza, crollano le
convinzioni e le aspettative cedeno il passo ad una stele illibata. Confusione, delusione,
rabbia, nel giocatore si alternano emozioni feroci ma è altro
cui Kojima ambisce: ‘predisposizione’. Con l’uscita di scena
di Solid Snake, Kojima snuda il giocatore dinanzi all’ opera in atto e, perso il riferi-
20
mento di Snake, brancoliamo
indifesi entro i confini decisi dal
maestro dei giochi. Tolto Snake
dal conto, il primo transfert è
completo: il giocatore indossa
ora i panni di Raiden, vestigia
strette, scomode, per nulla desiderate. La prima porzione di
gioco, il demo, i trailer, l’attesa
pompata a dovere facevano sì
parte di una meccanica commerciale collaudata ma erano
pure lo strumento tramite il
quale amplificare il disorientamento, la condivisione dei ruoli.
Sapremo poi del passato di
Raiden, marionetta giostrata a
più mani e più livelli, infanzia
negata e un presente dal disegno costretto e inalterabile
nei tratti, così come al giocatore viene negato Snake e imposto Raiden. Il giocatore, pure, viene derubato di ogni premessa nota ed anche le finalità
da raggiungere si perdono in
fitta bruma. Chi vive l’esperienza ludica maneggia ora un
personaggio che ripudia, sente
non suo e privo di valore e così
ritiene Raiden di sé e questo a
ragion veduta, poiché egli non
è chi crede d’essere. Raiden è
inizialmente un inetto e la
continua necessità di un contatto con il Colonnello Campbell, risponde ad un’esigenza
ludica (un tutorial per chi comincia MGS2 direttamente dal
capitolo Plant) ma giunge anche a sostegno del senso di
inadeguatezza che pervade Raiden (alla sua presunta prima
missione fuori dalla Realtà
Virtuale) e investe il giocatore il
quale, perso il miraggio di Snake, non riesce né vuole accettare il nuovo avatar digitale
sentendolo come fuori luogo,
falso. Ancora, questa falsità
funge da ponte Giocatore/Raiden dal momento in cui, per tutta la vicenda, Raiden percepisce il disagio di una condizione artificiosa, inospitale.
Raiden è un personaggio rapito,
un uomo manovrato e irriso
:INDEPTH:
dalla sorte che è costretto a recitare un ruolo non suo, non
voluto ma comunque ineluttabile. Così il giocatore.
____Rododendri arrugginiti
toccan la luna
Da questo punto, attivato segretamente il transfert Giocatore/Raiden, MGS2 si protrae
nella routine ludica che ben conosciamo e che serve da corpo
del gioco ma il cui scopo è
anche quello di sedare il giocatore e fargli accettare il suo
nuovo ruolo, per quanto inviso.
Il valore ricreativo dell’opera si
sviluppa appieno in questa fase
proponendo ampie aree di manovra che ispirano la creatività
del fruente e che accondiscendono a gran parte dei suoi
desideri/capricci. L’estesa risposta interattiva del gioco
comincia a far perdere di vista
la macchinazione di Kojima e
pure l’intreccio narrativo, di
gordiana fattura, opera in tal
senso. La sceneggiatura si aggroviglia e s’arrampica (talvolta
scomposta) lungo le linee degli
eventi; qui ci vengono proposti
numerosi spunti inusuali e
quantomeno meritevoli di menzione. Su tutti la scottante allusione al rapporto semi incestuoso fra Otacon e la matrigna. Ma sono anche altri i
temi che Kojima tratteggia: il
‘sacrificio accettabile’ che opera
Olga svendendo la propria
squadra in favore di un figlio
che neppure è certa essere an-
Ring#1
cora vivo, il sacrificio di una
madre disposta a tutto per il
proprio frutto, suo messaggio al
futuro, che culmina con l’immolazione nello scontro con i
Ray. La latenza dello spirito di
Liquid che cova all’interno del
braccio di Ocelot è un altro accenno che può ricondursi al
messaggio riposto di Kojima, lo
spirito di Liquid pervade appieno la parte di sé che Ocelot
ha trapiantato sul proprio corpo
e la presenza scatenante di
Solid Snake ridesta la coscienza
sopita. In ambo i casi si riespone il valore del messaggio,
dell’informazione; perno dell’intero MGS2, questo messaggio
si ripropone in più modi, la
potenza dell’ informazione,
di un qualcosa che prevalichi i limiti del materiale e
perpetui l’esistenza di un
uomo oltre i propri confini
fisici, in una parola: Patriots. I Patriots sono i supremi
manovratori del mondo di
MGS2, traggono le fila di ogni
intrigo presente nel gioco e giostrano con mirabile abilità ogni
pezzo della scacchiera. Il Presidente Johnson persegue una
via verso il potere reale, non
quello conferitogli dalla presidenza americana ma quello
diafano eppur effettivo del circolo dei Dodici. Dodici persone
che muovono le membra di una
nazione, scelgono la rotta e
guidano la nave verso porti segreti, tutto sotto l’egida della
bandiera stelle e strisce. Patrioti.
I Patriots sono probabilmente
l’elemento più affascinante dell’
intera vicenda. Il loro ingresso
sulla scena narrativa corrisponde al concreto impennarsi della
storia e significa lo svolgimento
del submessaggio kojimiano: il
valore dell’Informazione. Scopo
ultimo dei Patriots (e magistralmente celato ai comprimari del
videoverso) è la gestione dell’
informazione mondiale: il programma GW, custodito dall’
Arsenal Gear, non è un’arma in
senso proprio. Non una spada…
una penna. Un programma per
monitorare e ridirigere i flussi
informativi mondiali in ogni
forma, da quella telematica
sino a raggiungere il condizionamento mentale umano (che
21
praticamente tutti i personaggi
del gioco subiscono, per quanto
a livelli differenti). L’intento dichiarato dai Patriots, definito
sul finire di MGS2, è quello di
mondare le correnti di pensiero
di tutte le divagazioni effimere
e le elucubrazioni improduttive
così da imprimere al genere
umano quella spinta evolutiva
che, altrimenti, impiegherebbe
molto più tempo a presentarsi.
I Patriots come filantropi dell’
umanità tutta? Le rivelazioni
terminali gettano benzina sul
fuoco: I Patriots si dichiarano
come una nuova forma di vita,
differente da quella umana, e
basata sull’informazione pura,
senza catene fisiche né (apparentemente)
morali.
Una
svolta narrativa curiosa che
però tittilla la curiosità dei più
attenti che confidano in MGS3
per ricevere risposte più pregne.
___Un mare di voci entro un
abisso di pensieri
Ma si tratta di risposte
dovute? MGS2, pur con un
finale apertissimo, affida la
compiutezza del suo valore al
submessaggio che governa l’intero intreccio, un intreccio Giocatore/Gioco. Il transfert su
Raiden è strumento di Kojima
per esporre il giocatore ad una
serie di considerazioni più alte
ed è all’interno dell’Arsenal
Gear che queste prendono
forma. Il programma informatico dei Patriots, deputato a
replicare voce e pensieri del
Colonnello Campbell, ha un periodo di smarrimento dovuto
all’azione del virus creato da
:INDEPTH:
Emma Emmerich, in questo lasso di tempo egli si esprime con
frasi doppie quando non letteralmente riferite al giocatore
(arrivando a consigliare di ‘spegnere la console’). È un punto
di totale rottura che non viene
sanata dai momenti successivi
in cui, dopo aver cementificato
l’incredulità, si mina persino la
struttura materiale del gioco
preda di errori e disfunzionamenti palpabili (‘Fission Mailed’), non solo si mette verbalmente in dubbio la finzione
ludica ma se ne minaccia anche
la concreta fruizione. Questa
frattura è essenziale per introdurre il giocatore allo sviluppo
della tematica dell’informazione
e sull’intrinseca dualità vero/
falso. Kojima imprime al gioco
svariati registri e sovraccarica
l’utente di nuovi valori anche
profondamente slegati gli uni
dagli altri. È una vertigine
interpretativa, ma nonostante lo ‘smascheramento’
della finzione ludica noi continuiamo a giocare…
Ritornati alla normale concezione ludica di MGS2 dello
scontro con i Ray e abbattuti i
suddetti, si assiste inerti al
dispiegamento delle trame narrative: la vicenda cui abbiamo
partecipato è in verità un ambizioso e complesso test, orchestrato dai Patriots, teso a
dimostrare la bontà dell’S3 (Selezione della Sanità Sociale).
Scopo del test è raccogliere dati per ampliare la versatilità del
GW che, esposto alle condizioni
limite degli eventi ‘Big Shell’,
dovrebbe crescere in forme evolute di controllo. Grazie all’
intervento del Giocatore/Rai-
Ring#1
den, coadiuvato e ridiretto da
Snake, il piano dei Patriots è
compromesso, il GW annientato
assieme all’Arsenal Gear che lo
custodiva. Ma quanto di questo
è realmente vero?
Le verità di MGS2 vengono
continuamente riprese e sovvertite, ampliate e deformate,
per districarsi dal garbuglio è
probabilmente utile scovare l’avatar digitale del creatore. I Patriots sono un riflesso di Kojima, essi manovrano fuori dai
giochi, monitorano gli eventi
senza esserne materialmente
toccati e manifestano la loro
appartenenza ad un piano d’esistenza differente rispetto agli
altri comprimari. Seguendo le
parole dei Patriots affiorerebbe
un diffuso senso di sfiducia,
una sfiducia che Kojima proverebbe nei confronti del mondo e che in MGS2 trapela più
volte (MGS2 è un girotondo di
tradimenti). Nelle parole dei
Patriots, Kojima accuserebbe la futilità e l’inutile dibattersi dell’uomo. Piano dei Patriots è dotare il corpo dell’
umanità di un capo consono,
preciso ed infallibile che conduca le genti verso una verità
unica ed immarcescibile, foss’anche creata ad hoc. Tuttavia
non è sbagliato intravedere nei
Patriots lo specchio delle paure
di Kojima e non i suoi diretti
pensieri (i patrioti sono difatti
portatori degli spettri dell’ingegneria genetica e del disastro
ecologico, temi cari all’autore e
già trattati in Metal Gear Solid
per PSone).
È dunque con la voce di
Snake che Kojima tramanda la
sua visione. Snake è più volte
definito ‘estraneo alla simulazione’ ed il suo ruolo appare
sempre limpido agli occhi del
giocatore. È d’altronde sintomatico che Snake non venga
coinvolto in voltafaccia di sorta,
la sua è una figura univoca e
distinta, le accuse d’essere a
capo di Sons of Liberty si limitano ad un sussurro e Raiden
stesso (con lui il giocatore) è
costantemente diffidente
di
questa infamante versione dei
fatti. Non trascorre molto tempo, difatti, prima che appaia
quell’Iroquis che il giocatore
riconosce immediatamente nel-
22
lo Snake schierato fieramente
dalla parte del giusto (benché
‘giusto’, in questa sede, perda
di significato). È con le parole
di Snake che l’autore fornisce la
chiave di lettura a MGS2 cui fa
riferimento la presente analisi:
“Nessuno sa veramente chi
o cosa è. […] Nel mondo
non c’è una realtà assoluta.
Molta di quella che chiamiamo realtà è una finzione e viceversa. Quello
che pensi di stare vedendo
è vero quando il cervello ti
dice che è vero. […] Non si
tratta di avere ragione o
avere torto, ma di quanta
fede sei disposto ad avere.
[…] Senti, non stare a ragionare troppo sulle parole.
Trova il significato dietro
alle parole e poi decidi.
Puoi trovare il tuo nome e
il tuo futuro.”
In queste parole Kojima/
Snake ripudia il modello assolutistico di verità universale e mette in luce l’ipotesi
della verità individuale. Kojima, saggiamente, coglie la sfumatura effimera del cercare
risposte definitive che, per la
natura mutevole dell’uomo e
del mondo, non potremo avere
mai. A fronte di ciò MGS2, da
alcuni ritenuto un’opera di critica verso la videoiterazione, si
presenta come messaggio rafforzativo del videogioco. Il videogioco è senza dubbio un’
irrealtà, ma Kojima afferma
chiaramente che anche una finzione può trovare una dignità
propria e seguire una strada
fertile e coerente. Raiden è
spinto da Snake a mettere da
parte le domande assolutistiche
e limitarsi a percorrere le vie di
ciò che Raiden stesso decide di
credere vero (e noi con lui,
dopo il ‘Fission Mailed’ abbiamo
continuato a giocare, a voler
credere…). Nell’epilogo del gioco Raiden si libera infine della
sua ultima catena: gettando la
targhetta del giocatore e ripudiandone il nome (un nome non
suo, per quanto appartenente
al nostro mondo ‘vero’…), Raiden recide il suo ormai unico
legame con il reale effettivo abbracciando consciamente le
:INDEPTH:
spoglie della finzione virtuale,
virtuale ma non per questo falsoassoluto, piuttosto un verorelativo. Il discorso di realtà individuali e dell’importanza di
credere trova numerosi esempi
in MGS2 ma è quello, toccante,
di Fortune che colpisce nel segno. Mentre Ocelot svela il suo
tradimento, scopriamo che gli
incredibili poteri di Fortune
sono semplicemente frutto della tecnologia dei Patriots. Nonostante questo la ragazza dà
fondo ad una capacità che ritiene realmente d’avere. Contro il
manto della finzione i missili
deviano realmente ed una nuova ‘verità’ viene a crearsi (il palesarsi degli effettivi poteri di
Fortune).
Ring#1
che per farlo l’abbiamo anche
pagato. Le fasi metareferenziali1 dell’Arsenal Gear non corrispondono ad un effettivo uso
narrativo, è piuttosto un evento
alieno e teso, evidentemente, a
suggerire una lettura di livello
esterno. Nella fattispecie introduce l’idea della friabilità del
costrutto reale, ogni verità accettata (così come in effetti è il
contesto ambientale del videogioco) potrebbe mostrarsi
con i tratti di un falso. Tenendo
a mente il collegamento Giocatore/Gioco, appare in limpida bellezza il disegno kojimiano, un progetto studiato
con gran perizia e che infine ha
dato frutti squisiti.
____________…e gli Oceani
È un mare vasto e increspato
quello che Kojima ci spinge ad
affrontare. Il genio dell’autore
matura a più livelli ma è soprattutto nell’intento comunicativo che esso si
esprime al
meglio, trascurando d’altronde
la generalizzata eccellenza tecnica del titolo (registica in
primis). I messaggi che Kojima
lancia sono variegati e rarefatti,
ma sempre presenti. Il transfert Giocatore/Raiden è un’
evenienza che in alcun modo
può esser considerata fortuita,
anche il meno ispirato fra i giocatori (tunzettaro dell’ultima
ora) potrà cogliere il rimando
evidente che l’autore crea disegnando su schermo la figura
dell’efebico Jack. Raiden è il
giocatore giocato, sciarada sublime in cui il Kojima/Patriots
giostra a piacere i nessi del
videomondo. Il giocatore, da
fruitore, diventa vittima sottilmente consapevole, è un
capovolgimento di fronti che
stupisce per genialità ed efficacia, qui si disegna dunque
un secondo transfert che definiremo Giocatore/Gioco: il giocatore cala nei panni fisici della
forma ludica, il suo personaggio
reale si fonde appieno con i
profili del gioco il quale è
gestito dal creatore in persona:
Kojima. Pare proprio che, infine, sia stato Kojima a giocare a
‘Videogiocatore’… e il bello è
Il videogiocatore viene provvisto di numerosi elementi che
lo possono aiutare a svelare un
ulteriore strato di verità, impegnato com’è a districare la matassa del complotto politico di
MGS2 si dimentica di stare
giocando un videogioco. D’altra
parte l’intervento distruttivo di
Kojima non mira assolutamente
a sfatare l’illusione dell’ ambiente digitalinterattivo quanto
piuttosto a frantumare le strutture del realeeffettivo. Smontare la finzione virtuale è compito sin troppo semplice e sterile, il transfert Giocatore/ Gioco si occupa di ricalcare sulle
forme della vita reale l’anima
doppia del mondo di MGS2, in
questo modo il fruitore è
costretto a domandarsi cosa è
corretto creder vero e cosa no,
nel mondo reale. Le risposte
‘giuste’, lo dice Snake, non
sono né presenti né necessarie,
la risposta coerente col nostro
modo di vedere, decidere e
pensare, sarà quella a noi con-
23
forme. E non è casuale il fatto
che sulle labbra del Colonnello
Campbell
(per
volere
dei
Patriots) compaia un’analisi
spietata e terribile dell’individualità umana descritta come
gretta, insignificante, accumulatrice di frivolezze. Nel punto
di maggiore attenzione dell’ utente,
Kojima
rovescia
il
calderone dei dubbi e delle
paure che intimamente colgono
ognuno di noi, così piccoli e
bisognosi di sicurezze preconfette (religiose, politiche o
sociali che siano). Kojima/ Patriots, in questa fase, si contrappone al biverso del Giocatore/Gioco, è l’avvo-cato del
diavolo e noi possiamo maledirlo anche nella nostra forma
di Giocatore/Raiden. Kojima/
Patriots ha manipolato Raiden e il suo mondo ma, soprattutto, ha manipolato noi
e il nostro mondo, malmenandoci a suon di filmati e attese continue, facendoci implorare la venuta di Snake salvo
poi togliercelo da sotto gli
occhi, tradendo la finzione
videoludica, suggerendo l’altro
e rivolgendosi a noi, giocatori
giocati, in tono sprezzante e
saccente. Kojima, da padre
premuroso e comprensivo, torna poi nelle spoglie di Snake
per risistemare le cose e darci
la possibilità di vedere il nostro
contesto (videoludico e reale)
ricostruirsi attorno a piccole ma
solidissime veritàrelative.
____Caleidoscopio dei valori
e dei nessi
MGS2 risplende per il valore
semantico che porta seco, un
valore sfaccettato e profondo
che, funzionalmente alla sua
complessità, mostra il fianco a
letture molteplici e pure contrastanti. Dopo quanto emerso
nella presente analisi, è difatti
inutile cercare un messaggio
assoluto in MGS2, vero anche
che risulta risibile il tentativo di
alcuni di ridurre l’opera ad un
puro esercizio ludico demandando i ‘significati reconditi’ a
semplici stranezze e vezzi registici di un autore esaltato.
Anzi, proprio la ridotta cifra
ludica (come nel caso di REZ)
:INDEPTH:
può essere additata come evidenziatura di un messaggio da
scoprire e interpretare. Quella
qui esposta è solo una delle
tante letture disponibili. Ve ne
sono altre: “Il Cavallo di Troia
di Hideo Kojima” (SuperConsole
#95/Febbraio ‘02) presenta un’
analisi scaltra ed avvincente
che dona un ulteriore valida interpretazione di MGS2 il quale
viene inteso anche come sagace critica del modello americano. Consigliando di recuperare il testo in questione
(producentesi in una visione
fullfiction e metareferenziale di
MGS2), citiamo un passaggio
emblematico:
“Dopo la lunga sequenza finale la voce di Otacon conclude il gioco affermando
che i Patriots sono morti
100 anni prima; significa
forse che i principi di disciplina e moralità alla base
della società americana sono già da tempo maschere
vuote?”
D’altra parte sono i Patriots
stessi a dirsi figli del credo della
nazione americana, ecco le
esatte parole:
“La Casa Bianca è stato il
nutrimento primordiale per
noi, la base per la nostra
evoluzione. Sotto la protezione della bandiera, nutriti dalla religione nazio-
Ring#1
nale, il capitalismo. Noi non
abbiamo
forma,
siamo
quella disciplina e quella
moralità a cui gli americani
fanno sempre appello. Come potete sperare di eliminarci? Finché esiste questa
nazione, esisteremo anche
noi.”
Credendo alle loro parole e
scoprendoli poi morti da tempo
la tesi sopra riportata acquista
le sembianze del vero.
L’innnegabile valore del
testo affiora proprio dalle
numerose letture che se ne
possono trarre, d’altronde
(accettando quanto detto in
questa sede), questa natura a
più voci è più che accetta, si
presenta anzi in veste di forma
necessaria e prominente. Se
Kojima avesse proposto una
visione lineare e manichea della
storia, l’intera tesi sulla veritàrelativa avrebbe perduto di
significato. Concluso MGS2 resta una sola certezza: ‘non esistono certezze’, il mondo, i personaggi, le storie mutano
continuamente tanto nela nostra realtà quanto nel digimondo di Raiden, ricercare una sola
via da percorrere è un indirizzo
fuorviante.
Il disagio che Kojima ha inteso provocare è profondo e radicale ed è certamente figlio del
medesimo impatto che Hideaki
Anno escogitò con il finale di
Neon Genesis Evangelion. D’altra parte MGS2 non possiede
intenti nichilisti, è più un prontuario per la vita, un suggerimento su come affrontare il
quotidiano sulla base delle proprie verità senza perseguire echi distorte dei credo altrui.
MGS2 è una grande opera
molteplice che non vilipende il
videogiocatore e certamente
non intende scontentarlo sottraendogli l’amato Snake come
gesto offensivo, questa privazione è piuttosto una necessità
dettata dalla forte aspirazione
24
didattica e immersiva dell’opera. Raiden e la sua ‘insignificanza’ sono subordinati al sottile disegno che serpeggia lungo l’intero testo, non capire
questo significa infine non aver
colto il messaggio riposto di
Kojima. E sia chiaro, Kojima di
questo non intende farvene una
colpa poiché, come Raiden, siete completamente liberi di vivere una finzione che ritenete verità.
__________________Note
[1 Metareferenzialità: forma
di linguaggio espressivo che, usando i mezzi di un dato contesto (pittura, fotografia, scrittura, ecc…) include le inerenze
‘esterne’ del contesto in dizione. Es. un quadro in cui affiora la mano del pittore intenta
nel dipingere l’opera stessa. La
metareferenzialità è solitamente tesa a frantumare il muro di
finzione che chi osserva erge
automaticamente quando si pone nei confronti di un opera
creativa. Guardare un quadro,
leggere un libro, vedere un film
significa aprire una finestra su
una veritàrealtiva. La metareferenzialità si preoccupa di aprire
la finestra… e invitare l’os-servatore a entrare.]
:INDEPTH:
Ring#1
Esegesi del Non-Gioco____________________
[REZ]
di Nemesis Divina
“I sat down with a big group of the staff and we basically listened to
sounds and then each person would say 'that's a purple sound’, or ‘it
reminds me of yellow’, or ‘it feels like it should be attached to this sort
of movement’ […]”
Tetsuya Mizuguchi a proposito della genesi di REZ
“Tunz, tunz, tunz.”
REZ a proposito di se stesso
_______Viaggio Allucinante
È metamorfosi, tempo di cambiamento che un vento irrequieto annuncia soffiando. Il videogioco come tramite di un
messaggio che valica il confine
ludico e viaggia con scatto
lungo tragitti tortuosi e a rischio. Con negli occhi la meta
della videoesperienza, versione
poweruppata a dovere del ludogingillo a noi caro, si parte
per il viaggio proposto dall’agenzia Sega/UGA ed un virgilio
d’eccezione, quel Tetsuya Mizuguchi di Space Channel 5,
allacciate le cinture e mano ai
braccioli, qui si vola di brutto.
Ed è un viaggio effettivo, percorso lungo binari in coerente
evoluzione del medium, ma
anche un viaggio tangenziale
che lambisce i confini del gioco
per ottenere la spinta centrifuga necessaria a sganciarsi
dall’attrazione
ludogravitazionale, forza che
trattiene, schiaccia a terra e
costringe la comunicazione potenziale del (termine improprio)
videogioco. REZ ci raggiunge
come moto innovatore di un
settore restio a mutare i lineamenti di un entertainment troppo spesso svilente, muto dibattersi nel nulla. REZ ci bracca
stretto e sussurra e urla del di-
verso, del nuovo e dell’insolito,
REZ è NON-gioco applicato,
forza sobillatrice, fertile grembo
creativo (solo vagamente ricreativo). REZ è il taglio nella
tela dipinta del videogioco, colore e rumore sgorgano imbrattando i pavimenti di una concezione giovane e limitata del
medium: “Che vi ricorda la
macchia per terra”, chiede
Rorsharch? Niente psicanalisi,
solo non badate a colori e rumori, quello che dovete guardare è il taglio nella tela.
____Che numero è il rosso?
Il mondo gira, sì. Anche se non
guardi mentre lo fa. E il videogioco cambia, sì. Anche se tu e
lui tenete gli occhi chiusi. Il potenziale espressivo del medium
è ancora là da scoprirsi del tutto eppure una caviglia pallida,
una spalla liscia si intravedono.
Non è ancora tempo per un
ampio decoltè ma pazientate e,
un giorno, avrete un posto in
prima fila per una approfondita
indagine genitale. Quello che
Mizuguchi e pochissimi altri
s’arrischiano a fare è suggerire
l’in più, ciò che valica i bordi
del contesto ludico arrivando a
lambire gli intenti espressivi di
arti che meritano propriamente
il suddetto appellativo. La po-
25
vertà ludica del prodotto REZ
si scontra con l’esuberanza espressiva dell’opera REZ, di
fatto la scarsezza dell’offerta
ricreativa è funzionale alla cifra
comunicativa. REZ è suono e
movimento, colore e numero,
gioco solo per finta, per necessità e dovere commerciale.
Sinestesia1 Kandinskij/Schonberg, traduciamo: Musica/Altro,
Musica/Colore, Musica /Numero.
I movimenti pittorici più arditi
di Vasilij Kandinskij2 prendono
origine dall’esperienza musicale
del maestro Schonberg3, di fatto padre della Dodecafonia4,
strumento con il quale il compositore munisce la musica di
un
valore
assoluto,
trascendente le regole umane di
armonia tonale, bellezza simmetrica e limitata ricezione sonora. Gli spartiti dodecafonici
fondano la propria struttura su
codici impeccabili, visioni in cui
i suoni sono accomunati dal
medesimo peso compositivo. Si
vanno perdendo i riferimenti
sonori, le note cardine attorno
alle quali ruotano subordinate
le altre particelle acustiche. In
questa selva sonora l’orientamento è messo a ferrea prova, perso ogni riferimento l’ascoltatore inciampa fra gruppi
di suoni discordanti ed apperentemente caotici. In realtà
è proprio l’assenza totale di
casualità a dare origine al
nostro disagio, la composizione
dodecafonica si basa su regole
precise e limpide cui l’armonia
tonale si deve inchinare e nelle
quali, perso l’ideale di bellezza
simmetrico, nasce un opera sonora che trae la propria beltà
:INDEPTH:
dalla comprensione delle complesse meccaniche che muovono l’ascolto. Un’esecuzione dodecafonica, invero, è ben più
assimilabile ad una funzione
matematica piuttosto che ad un
comune esercizio musicale. La
dodecafonia è manifestarsi del
numero tramite il vibrare del
suono.
Kandinskij,
conoscente
e
ammiratore del lavoro schonberghiano, traduce in colore
quest’esperienza
frammentatrice di regole accettate trasponendo su tela un disagio comunicativo che germina nel vivere in un contesto
cristallizzato, fermo e troppo
diretto per essere superbamente bello. Il pittore e pensatore russo concorrerà a
tracciare le linee distintive
dell’astrattismo pittorico, ritratto concettuale che trae dall’
informità apparente il suo carattere peculiare e dominante.
L’esecuzione pittorica astratta,
difatti, non nasce dall’esigenza
di mostrare il reale e l’effettivo,
quanto piuttosto di dare aspetto all’immateriale immaginario, sia esso suono o sentimento o idea, spazio o volere.
____Suono, linea e cifra nel
dominio del gioco
Con REZ la videoesperienza si
arricchisce ulteriormente e procede, pur con passo bradipo e
zoppo, verso una qualche gratifica artistica. Tranquillizza osservare la verve sperimentale
cominciare a dare mostra di sé
entro i confini videoludici. E
non parliamo di una sperimentazione nominale favorita
dalla fase germinale del medium, no, REZ sorprende per
essere capace di rappresentare,
con minime concessioni, la volontà del singolo suo creatore.
Mizuguchi accetta di imbastardire la propria opera con
l’apporto superfluo del fruitore
la cui presenza è destinata a
svilire la resa espressiva dell’
opera REZ. La meccanica ludica di REZ non premette un
reale sincronismo sinestetico,
non v’è reale necessità di seguire o creare tempo musicale,
infine la risibile componente lu-
Ring#1
dica non è che un biglietto da
pagare per godersi un minestrone videouditivo. D’altra
parte tessere un reale connubio
fra sonoro e azione ludica, a
primo dire di Mizuguchi, avrebbe decimato il popolo fruente.
Trattare REZ come un gioco
è alla stregua dell’ascolto d’un
brano dodecafonico teso alla
cerca di armonie simmetriche
tonali, né diverso il caso di
porsi innanzi ad un dipinto astratto nel tentativo di desumere
forme e contenuti fisici (operazione peraltro possibile, benché sterile). Il rimbalzo comunicativo delle forme espressive
estreme sovraproposte è di genere contenutistico e non realista, un astratto prende valore
non dalla coerente ed efficace
rappresentazione del reale (cosa verso cui è tesa la quasi
totalità dell’attuale industria videoludica), quanto piuttosto alla mostra dell’impalpabile pensiero delle cose, l’anima muta
del concetto. A suo modo REZ
è capolavoro in quanto valica il
costrutto di regole ed assiomi
cui l’industria (già questa parola è sintomatica) del videogioco è soggetta. REZ propone
se stesso come linguaggio artistico che mutua gli strumenti
del videogioco ponendosi sul
palco del pubblico del caso senza offrire un reale ludico, quanto piuttosto un astratto visivo.
La pochezza ludica e la brevità
giungono, in tal contesto, come
tollerate e anzi gradite. Un
surplus ludico (fatto di ingombri
meccanici e quindi sovrapresenza del giocatore) avrebbe
causato un ulteriore impoverimento del quadro espressivo.
REZ è una voce che il videogioco cerca di far giungere a
orecchi capaci, voce che assume la forma del NONgioco
come nuovo principio espressivo di un movimento che si
ostina a ricercare l’arte nell’
espressione evanescente del
game design il quale, ad oggi,
sembra sempre meno distintivo
della videofruizione. REZ è,
infine, un prodotto d’arte, uno
dei pochi in ambito videoludico,
che però timbra il visto artistico
grazie alla rinnegazione che fa
del videogioco come forma di
dialogo giocogiocatore. REZ
26
imbriglia il giocatore mutandolo
in spettatore, gli offre gestualità meccaniche che lo ingannino durante quella che, su
tutto, è la visione di un quadro
sonoro. Un quadro, certo, dipinto sullo schermo del televisore.
__________________Note
[1 Sinestesia: forma di colle-
gamento mentale che accomuna due o più sensazioni distinte. Un suono che rammenta
un colore o un odore che rimanda ad un evento particolare.]
[2 Vasilij Kandinskij: (18661944) Pittore russo, altissimo
esponente dell’astrattismo non
geometrico. La sua ricerca è
stata tesa a lungo verso la
creazione di un’amalgama espressiva che unisse un numero
vario di arti. Indicativi i suoi
lavori teatrali giocati sui cromatismi oppure i suoi elaborati
pittorici che imponevano una
scansione spaziale degli elementi dipinti (prima i toni caldi
e a seguito quelli più freddi).]
[3 Arnold Schonberg: (18741951) Compositore austriaco e
studioso del linguaggio musicale. Attorno al 1920 teorizzò il
metodo dodecafonico che sarà
poi emblematico del suo genio.]
[4 Dodecafonia: linguaggio
musicale che si fonda sulla negazione dell’armonia tonale.
L’assunto base è l’equivalenza
dei dodici suoni della scala cromatica, in una sua incarnazione
la dodecafonia pretende che
per di ripetere un suono siano
prima intercorsi i restanti undici, in modo che nessuna nota
si erga sopra le altre. La
risultanza è certamente disturbante.]
:RECENSIONI:
Ring#1
I Quattro Wude_________________________
[Shen Mue II]
di Sator Arepo
____JIE Don’t show or use
moves thoughtlessly
Con il vostro permesso vorrei
fare una roba
un po’ diversa
dal solito: vorrei parlare del
videogioco
in
questione partendo dal fondo, dai titoli di coda, e, tramite una sessione di
reverse engineering, dare una
consistente idea della caratura
del kolossal di Sega/Am2. Assecondatemi, so quello che faccio (Jie).
Non so se ve ne siete mai resi conto ma i titoli di coda in un
videogame sono molto importanti. Niente a che vedere con
quei noiosi listati alla fine dei
film. Infatti la gente a quel
punto si alza ed abbandona il
cinema; non gli passa minimamente per la testa di conoscere i nomi degli stuntmen o
dell’aiutante del regista. E’ giusto così. Quanto dura un film,
due ore? Troppo poco per affezionarsi alla storia ed ai personaggi a tal punto da voler
assimilare tutto il possibile dell’
opera appena trascorsa.
Ma in un (bel) videogioco è
diverso; prima di tutto perché
dura di più (sì, certo, a parte
Ico), poi perché il legame col
playing character è più saldo
(eh beh, dove andava lui andavo io!).
Cominciamo orsuddunque a
sezionare i credits di Shen
Mue II, partendo perchennò
dalla bellissima colonna sonora:
realizzata in versione orchestrata dalla Kanagawa Philarmonic Opera, ridotta ad easy
motivetto di violino che accompagna la consultazione del notepad, emulata con una sequenza di beep in stile videogiochi simbolici nel coinop del
QTE. Devo dire che durante il
gioco mi ero persuaso che fosse opera del maestro Joe Hisaishi, e non perché è l’unico
musicista jap che conosco (che
poi è quasi vero). Mi era parso
di distinguerne la capacità di
comporre melodie semplici ma
bellissime che ti si imprimono
dentro. Melodie che associ istantaneamente all’opera cui
danno supporto. Hisaishi è un
mago in questo, un po’ la controparte nipponica di John Williams, ed il suo lavoro ad esempio per Princess Mononoke,
L’Estate di Kikujiro e HanaBi è lì
a dimostrarlo. I credits però mi
sbugiardano: le musiche sono
infatti di Yuzo Koshiro, autore
delle soundtrack di gioiellini come Streets of Rage e Revenge of Shinobi. Una rapida
ricerca su internet mi rivela che
il giovane Yuzo è stato discepolo del vecchio Joe, non sono
dunque del tutto rincoglionito.
Andiamo oltre. Sapete quanti
doppiatori hanno prestato la
voce a Shen Mue II? Quasi
una ventina per i personaggi
principali ed oltre cento (100)
per dare consistenza agli abitanti di Hong Kong e provincia. Cento persone a registrare frasi la maggior parte
delle quali non udiremo mai.
Non è infatti umanamente possibile parlare con tutta quella
gente. Tuttavia esse esistono
per rendere unica l’esperienza
ludica. Questi sono i particolari
che differenziano
27
Genere:
Etichetta:
Sviluppatore:
Sistema:
Giocatori:
Versione:
Avventura
Sega
AM2
Dreamcast
1
PAL
Anno:
2001
un masterpiece da un Tomb
Raider qualsiasi.
Per rafforzare questa tesi,
buttate un’occhiata all’elenco
dei debugger e dei betatester.
Impressive. Potrebbero riempire un piccolo centro abitato
montanaro.
____GON
neglect
Practice without
La serie Shen Mue è un mix di
diversi elementi e ritmi. Visto
che già sopra è stata riportata
qualche opera di Takeshi Kitano, potrei approfittarne ancora
e dire che Shenmue mischia la
semplicità e la pacatezza di film
come Il Silenzio sul Mare e Kids
Return con l’azione dei bmovie
di Jackie Chan. La storia è
quasi banale ed è incentrata su
un ragazzino, Ryo Hazuki, che
vuole vendicare la morte del
padre. Un ragazzino così dedito
alle arti marziali – che pratica
ogni giorno (Gon) – da non
rendersi conto delle macroscopiche falle nel suo modo di
pensare («L’eccessiva specializzazione conduce ad una lenta
morte» diceva il maggiore Kusanagi in Ghost in the Shell).
Quindi, più che la vendetta, il
tema dell’opera di Yu Suzuki
pare senz’altro essere la crescita interiore: un argomento
che sicuramente giustifica la
lunghezza del progetto.
Shen Mue è un adventure,
ma sostanzialmente diverso da
giochi come Resident Evil. L’
Avventura è intesa come esplorazione degli ambienti e lo
:RECENSIONI:
sfruttamento degli stessi. Vi
sono un sacco di cose da fare,
un sacco di persone da incontrare (Nanni Moretti modeoff). I
puzzle, vista la natura realisticheggiante della serie (per
ora), sono stati creati in modo
da essere perfettamente diegetici; niente enigmi del piano
e filastrocche da interpretare,
piuttosto una serie di verosimili
compiti da completare in sequenza per arrivare in fondo
alla storia.
Shen Mue è un picchiaduro,
ma un picchiaduro così ben
strutturato da sposarsi ottimamente sia in scontri uno-amolti che nella classica forma
one-on-one al meglio dei tre
match. Nel primo caso Ryo può
confrontarsi contro un massimo
di sei personaggi contemporaneamente, ed è spettacolo. I
nemici tendono a cooperare per
avere la meglio sul giapponese,
bisogna quindi adottare un certo livello di strategia onde evitare l’accerchiamento. I modi
per riuscirvi sono molteplici: si
può afferrare il teppista più vicino e lanciarlo contro il gruppetto che sta per attaccarci alle
spalle, si può bloccare un personaggio tenendogli il braccio
dietro la schiena e sferrare un
calcio ad un secondo accorrente
nemico, si possono effettuare
spiazzanti capriole che alterano
la nostra disposizione sul playground, facendoci passare da
preda a cacciatore. Nelle fasi
più avanzate del gioco Ryo affronterà duelli contro carismatici personaggi seguendo le
regole classiche del picchia pic-
Ring#1
chia tramandateci dalle Pergamene del Mar Morto, o dalla
serie Street Fighter, non
ricordo. Il gioco in tali frangenti
diventa un piccolo Virtua Fighter che poco ha da invidiare
al fratellone. Sono presenti un
importante quantitativo di mosse, esistono vari tipi di parate
ed alcune delle contromosse
più emozionanti viste in un titolo simile. Ad esempio la
counter nella quale Ryo, le mani dietro la schiena, esegue un
passetto a sinistra, poi ruota su
se stesso e si pone alle spalle
dell’avversario ancor prima che
questi abbia completato l’esecuzione del suo attacco. Bellissimo.
Shen Mue è fondamentalmente un RPG: non ci sono
summon, pennuti da cavalcare,
piume di fenici o incontri casuali (fscium!) ma la struttura è
la medesima, benché evoluta,
di un qualsivoglia Final Fantasy. Perdinci, ci sono pure i
sottogiochi: roba tipo Outrun e
Afterburner 2, ragazzi… non
stiamo esattamente parlando
degli insulsi card games che ci
propina di solito Squaresoft ;)
___DAN Judge with a clear
mind
[questo paragrafo contiene importanti rivelazioni sulla trama
del gioco ed è da considerarsi
come un approfondimento allo
stesso]
Devo dire
che
alla
fine
del
primo capitolo di Shen Mue ero rimasto
un po’ deluso. Sentivo che
mancava qualcosa, ma non capivo cosa. Anzi sì: Lan Di! Volevo reincrociar fendenti con il
fetentone ammazzapaparini, rimasto misteriosamente dietro
le quinte dopo la bellissima sequenza iniziale. Mica pretendevo di batterlo eh, sennò
fine del gioco e ciao ciao sedici
capitoli. Immaginavo piuttosto
un epico benché impari scontro
da concludersi tipo con la per-
28
dita di una mano (un espediente narrativo che non cadrà
mai in disuso) oppure col sacrificio di quell’idiota di Fukusan
(idem). Invece sul molo del
porto di Yokosuka mi fanno
affrontare lo storpio e tanti saluti a satanasso.
Solo dopo aver giocato e finito Shen Mue II comincio a padroneggiare il Dan ed intuisco
il motivo di tale scelta: un
drammatico accumulo di energia potenziale. Avete presente
la lentezza con cui De Palma filma Costner che fa salire la carrozzina sulle scale della stazione ferroviaria? Stessa cosa.
E’ la lezione che ci ha lasciato
Sergio Leone: maggiore sarà
l’attesa, più dirompente risulterà l’impatto della scena al termine di essa. L’energia potenziale, progressivamente accumulatasi, si converte d’improvviso in cinetica. La carrozzina, dopo una lenta ascesa,
rovina giù per le scale senza
controllo attraverso i morti ammazzati. Harmonica in pochi
secondi si libera dei killer che
avevano atteso il suo arrivo per
tutti i diciassette minuti dei titoli di testa di C’era una volta il
West. Yu Suzuki ci presenta un
cattivo con i controcoglioni nell’
incipit di Shen Mue I e poi ce
lo nega per quasi due titoli,
quindi, al culmine di una delle
sequenze di gioco più appassionanti del videogaming so far,
ce lo fa rivedere. Non ci sarebbe nemmeno da scriverlo: l’emozione nello spettatore/giocatore è di quelle che non si
lavano via tanto facilmente.
:RECENSIONI:
Ed il modo in cui tale energia
cinetica ci scoppia in faccia?
Arriviamoci leggendo prima un
pensiero di Sir Alfred Hitchcock
tratto dal famoso libro/intervista di Francois Truffaut:
“Quando si racconta una
storia al cinema, non si dovrebbe ricorrere al dialogo
se non quando è impossibile fare altrimenti. Mi
sforzo sempre di cercare
per prima cosa il modo cinematografico di raccontare una storia per mezzo
della successione delle inquadrature e delle sequenze”
A differenza di Kojima, Suzuki sposa alla perfezione le
idee del maestro della suspence
e ci propone una sequenza dal
pathos ineguagliabile in cui i
due duellanti si guardano da
lontano e non dicono una
parola. Non ce ne è bisogno: il
volto di Ryo tradisce quella
rabbia che Xiuying gli aveva
contestato pochi giorni prima
(«Dei 4 Wude tu possiedi solo
Jie e Gon»). In Lan Di invece
cogliamo stupore nel vedere
che il ragazzo è arrivato così
lontano. Un quasi impercettibile
cenno della testa fa inoltre trapelare dell’altro: rispetto per il
giovane avversario, forse addirittura ammirazione, senz’altro
la volontà di tenere d’occhio la
sua crescita futura. Tutto questo in una scena semplice e
diretta. Una scena che inizia
sullo schermo e termina di es-
Ring#1
sere girata direttamente nella
camera di scoppio cerebrale del
videogiocatore. Chapeau.
_____YI Do not hesitate to
do the right thing
A mio avviso sono due la fasi
che rendono un videogioco
completamente immersivo. La
prima è la classica sospensione dell’incredulità. Per
mezzo di essa facciamo un tacito accordo con il medium in
oggetto; ci impegnamo a spengere
momentaneamente
la
cameretta e tutti i sarcazzi quotidiani ed a concentrarci solo su
ciò che ci viene proposto dall’
opera. Fin qui direi che siamo
nella norma. Perfino il survival
horror di serie zeta può essere
in grado di farci provare tensione proponendo una strada
buia ed un mostro che accompagna il suo avvicinamento con
raccapriccianti
rumori
intestinali.
La seconda fase è unicamente ad appannaggio delle
opere migliori: l’accettazione
della nuova realtà. A questo
livello non ci limitiamo a recepire passivamente ciò che ci
viene proposto – producendo
apposite sensazioni di spavento, commozione etc. –
contribuiamo
invece
attivamente alla stesura dell’attività
ludica fornendo non esplicitamente richiesti spunti personali. Esempi?
Se in Shen Mue II, dopo
aver trascorso qualche giorno
senza pagare l’albergo – magari perché avete perso ai dadi
la paga giornaliera, ahimé, vi
sono vicino – avete provato
una sgradevole sensazione di
sporco dentro, allora sapete
cosa intendo.
Se in Shen Mue II, affacciandovi dalla finestra della vostra camera alla Come Over
Guest House, vi siete messi ad
osservare la gente passare sul-
29
la via sottostante , magari fumandovi una bella sigaretta, allora sapete cosa intendo.
Se in Shen Mue II, dovendo
raggiungere un certo posto ed
avendo a disposizione la possibilità di arrivarci sia camminando che correndo, avete scelto la
prima opzione perché “perdindirindina non si corre lungo
strade affollate” e/o per ammirare luoghi come il mercatino di
White Dinasty, la scalinata dei
negozi hi-tech in Lucky Break,
la decadenza di South Carmain,
allora sapete cosa intendo.
Se in Shen Mue II, durante
il viaggio montano con Shen
Hua, avete continuato a farle
domande perché volevate conoscerla meglio ma anche in
quanto imbarazzati da un prolungato momento di silenzio,
allora sapete cosa intendo.
Congediamoci.
Shen Mue II è un capitolo
fondamentale per la storia dei
videogiochi, un’esperienza che
setta nuovi standard lungo diverse direzioni, un’epopea che
verrà ricordata negli anni come
punto d’origine di una nuova
stirpe di opere ludiche. Un titolo ed una serie da conoscere
a fondo; in proposito il quarto
Wude, Yi, non ammette scappatoie.
:RECENSIONI:
Ring#1
:COMMENTO EXTRA:
Petali segreti___________________________
[Shen Mue II]
di Gatsu
Shen Mue. Un
nome che qualche anno fa,
prima della sua
uscita, evocava
nelle menti dei
sognatori mondi infiniti da
esplorare, grafica irraggiungibile da qualsiasi altro gioco, libertà d’azione totale. Il primo
episodio, per molti, è stato
deludente. Una storia lenta che
diventava interessante alla fine
del gioco, libertà d’azione apparentemente vasta ma in
realtà abbastanza limitata, imprecisioni che alla lunga rendevano noioso il gameplay
(quella di non poter far passare
velocemente il tempo è la più
clamorosa, ad esempio). Eppure. Eppure Shenmue lasciava
intravedere un concept di gioco
e una potenzialità ludica così
infinite da non lasciare stupiti
solo gli stolti. L’idea di Suzuki
era così buona che sarebbe
stato un peccato mortale lasciare cadere nel vuoto il suo
genio, anche a fronte di uno
sforzo produttivo enorme e di
un non altrettanto enorme feedback. Il seme era gettato, e
Shen Mue lentamente metteva
radici nei cuori di chi l’aveva
giocato, pur con i suoi mille difetti. La concezione di una saga
epica di ampio respiro, divisa in
capitoli, che alla fine del primo
titolo lasciava il giocatore insoddisfatto e rabbioso per la
voglia di vedere il continuo, ha
lentamente, nella coscienza
collettiva degli appassionati, elevato il titolo a qualcosa di più
di un semplice videogioco, trasformandolo piuttosto in una
storia bellissima e degna di essere seguita anche a costo di
svenarsi nel tentativo di recuperare una delle poche copie
del gioco. Molte cose della trama del primo Shen Mue non
erano chiare, molti particolari
passavano in secondo piano,
molte citazioni non venivano
colte. Con Shen Mue II ogni
tassello del puzzle torna al suo
posto, e finalmente anche quello che risultava oscuro nel prequel acquista un suo senso.
Perfino il carattere del protagonista, Ryo Hazuki, che tante
perplessità aveva suscitato in
precedenza (“è un pesce lesso”) viene rivalutato ed espanso in SM2. Come giustamente
Sator diceva, la saga di Shen
Mue racconta la storia di un
ragazzo che matura, e che si
trasforma da adolescente rabbioso e vendicativo in una personalità più complessa, che si
barcamena fra la ragione e
l’istinto.
Shen Mue II è quello che
Shen Mue non è stato, vasto,
dispersivo, immenso, realmente ricco di cose da fare e di
zone da esplorare, stillante feeling e carisma. L’eccezionale
plot di questo secondo capitolo
non ha nulla da invidiare a
quello di un film, portando alla
ribalta personaggi ricchi di personalità e realistici come solo
MGS, forse, era riuscito a fare:
meritano in particolar modo
Ren, il teppista che volente o
nolente si alleerà con Ryo,
Lishao Tao (o Xiuying che dir si
voglia), che colpisce per la sua
imperturbabile severità nelle
arti marziali ma anche per la
fragilità emotiva che la accompagna, Jianmin, il vecchietto
30
che passa le giornate a fare Tai
Chi in uno dei parchi di Honk
Kong o Shenhua, la misteriosa
ragazza che appare in sogno a
Ryo fin dal primo capitolo, e
che ci porterà a capire finalmente cosa significa “Shen
Mue”. Torna in scena anche Lan
Di (o Cang Long, come scopriremo), il “malvagio” assassino di nostro padre, in una
delle scene più emozionanti
(anzi, la più emozionante, non
ho dubbi) dell’intera storia dei
videogiochi, solo per scoprire
che il cattivo non è così cattivo
come si credeva e che il padre
di Ryo aveva nascosto un po’
troppe cose al figlio. E questa
volta Shen Mue vive davvero,
e per chi decide di affrontare
questa esperienza non c’è via
di scampo alla sospensione dell’
incredulità che questo titolo
genera con la sua ricchezza di
particolari e con la costante
sensazione che infonde: quello
di essere il frutto dell’amore
smisurato di Yu Suzuki per la
sua opera. Shen Mue II gronda filosofia orientale da tutte le
parti, Shen Mue II è studio e
amore per alcune culture,
Shen Mue II è passione pura
per la arti marziali, Shen Mue
II vanta un impianto audiovisivo a tratti stupefacente, Shen
Mue II è la poesia che in migliaia di videogame non c’è mai
stata. Anche questa volta, inoltre, il finale (che introduce per
la prima volta nel gioco il “soprannaturale”) lascia basiti e
increduli, bramosi di mettere le
mani sull’annunciato sequel.
Certo, c’è ancora qualche difetto nel gameplay, su tutti la
complessità di effettuare alcuni
colpi in mezzo ad una mischia
di teppisti pronti ad aprirci il
deretano. Ma parliamo di quisquilie, particolari del tutto trascurabili di fronte ad uno dei
giochi più belli di sempre.
:RECENSIONI:
Ring#1
Rumori nella Nebbia_____________________
[Silent Hill 2]
di Emalord
“Benvenuti a Silent Hill, piccola e tranquilla località sulle rive di un lago di
impressionante bellezza, all’alba come nel tardo pomeriggio e naturalmente al tramonto. Silent Hill vi toccherà il cuore e vi darà una sensazione di piena tranquillità. Vi auguro un gradevole soggiorno, da
ricordare per sempre.”
Roger Widmark, da un opuscolo turistico
“Another visitor. Stay a while, stay forever!”
Elvin Atombender
James si passa
le mani umide
sul viso, quasi
a chiedersi se
quello che sta
vivendo sia un
sogno. Guarda
due occhi spiritati riflessi nello
specchio, mentre le sue scarpe
di buona marca calpestano il
bagno sfatto e marcio di un
villaggio che è solo il ricordo di
se stesso, in qualche angolo di
un mondo che forse non è il
nostro [un mondo a sé.]
Una lettera d’amore ricevuta
giorni prima. Un messaggio
dall’adorata consorte per fissare un incontro là dove un
lago meraviglioso aveva cullato
un sogno d’amore [amore?] in
un tempo che è stato [forse.]
Tutto questo non è possibile.
Non può essere vero. Mary è
morta, e di lei rimane solo un
ricordo lancinante che sembra
trapanare la testa fino a rischiare di perdere il senno. Ad
un passo dalla follia.
Ma ritornare là, a Silent Hill,
può servire a capire. A ricordare. [A morire dentro.]
Seguiamo James inquadrato
da una cinepresa Super8. Un’
immagine sporca e bugiarda,
perché
restituisce
l’essenza
stessa della realtà. Una realtà
distorta [da chi?.] Un rumore
video, unico elemento silenzioso in una città dove anche la
nebbia porta con sé suoni deformi e sussurri.
James è solo, in una città
sola. Trova una radio, e capisce
che qualcosa, nell’aria, c’è.
Qualcosa che distorce le onde
che la percorrono. Esseri. Creature deformi. Burattini.
Vogliono il tuo sangue, James. Vogliono te [perché?]
Chi sono? Perché sembra che
queste forme di nonvita, siano
le uniche presenze nella città
della nebbia?
Un’arma. Una mappa. James
comincia a capire. Muove i primi passi, come un fanciullo innocente, alla scoperta del mondo [di se stesso] mentre la cinepresa Super8 sembra non avere un limite di tempo, nella
sua registrazione degli avvenimenti.
Una bambina, un ragazzo.
Due presenze umane, finalmente. E poi lei, Mar… Maria.
Uguale a Lei, diversa ma... le
somiglia da far male al cuore.
La moglie perduta [Illusione.]
Nel tentativo di ricostruire il
puzzle del suo passato, e di capire perché quegli estranei sappiano così tanto della sua vita,
James percorre le strette vie di
Silent Hill alla ricerca di indizi.
Lo fa in maniera fluida, senza
scossoni nel framerate, e con
un perfetto controllo delle sue
azioni. Tanto perfetto che quasi
stenta, impaurito, ad usare le
varie armi che gli permetteranno di affrontare gli abomini che
gli si parano davanti.
Le telecamere di sicurezza
delle banche e dei negozi, inquadrano
personaggi
dalle
forme fisiche realistiche e plausibili camminare in vie cittadine
perfettamente realizzate, o all’
interno di complessi condominiali claustrofobici, perennemente intasati da scorie metalliche e rifiuti di ogni genere,
31
Genere:
Survival
Horror
Etichetta:
Sviluppatore:
Sistema:
Giocatori:
Versione:
Konami
KCEJ
PS2
1
PAL
Anno:
2001
dove il buio domina e una torcia elettrica rappresenta l’unica
chiave per aprire le porte
dell’oscurità. Situazione agghiacciante per la Salute Pubblica, in verità, ma nessuno si è
mai sognato di scrivere lettere
di reclamo al riguardo. Forse
perché nessuno le leggerebbe,
forse perché nessuno le spedirebbe. Forse perché il concetto di Salute Pubblica non esiste,
in un villaggio a popolazione
zero.
:RECENSIONI:
Mentre cammina per le buie e
strette vie di Silent Hill, il protagonista si accorge che la città
intera è in perenne filodiffusione. Invisibili casse acustiche
dilatano ogni minimo rumore
ambientale, mentre una musica
a tratti suadente, a tratti ipnotica, che sembra calzare perfettamente l’atmosfera che circonda la città silente, inonda le
strade, i vicoli, le fogne e
l’ospedale locale.
All’improvviso l’abbaiare di un
cane lontano. James si volta
urtando un cartello dai colori
rutilanti, in stridente contrasto
col grigiore che lo circonda, che
riporta a scritte cubitali: “Ring
consiglia l’acquisto del Soundtrack ufficiale”. James legge,
corruccia la fronte, prende nota
sul suo taccuino dell’ennesimo
indizio utile a proseguire nelle
indagini, mentre una domanda
rimbalza nel suo ego [soundtrack ufficiale di cosa?.]
C’è qualcosa di strano, nella
città silente. E’ impossibile perdersi. Per qualche motivo, il
Ring#1
personaggio è sempre in grado
di capire l’azione successiva, o
il luogo ove presentarsi per fare
in modo che nuovi dettagli vengano alla luce. Non ci vuole
molto a capire che chi ha organizzato tutto questo [Mary?]
abbia creato un gioco ben
calibrato, mai troppo facile ma
mai eccessivamente difficile.
Ogni enigma che ostacola l’avanzare della storia è supportato da indizi sparsi, o da oggetti particolari, cosa che denota una passione certosina nel
creare tensione.
Colgo un’occasione propizia
mentre James è impegnato a
salvare i suoi dati sulla memory
card, per sbirciare il suo taccuino.
“Sabato. Ore 8.45: percepisco che ci siano tre livelli di
difficoltà nella gestione degli
enigmi. Nota bene: devo passare dallo psicologo. Passeggiare
per le strade di questo posto mi
rende nervoso, teso. Sarà colpa
di questa maledetta filodiffusione?”
Mentre il sedicente vedovo si
avvia verso la risposta cui anela, si accorge di quanto
Silent Hill si presti a fare rivivere storie impossibili.
Magari, pensa, qualcuno è
stato qui prima di me e ha
vissuto un’altra Silent Hill, in un
altro luogo, in un altro tempo.
Chissà, si chiede, se questo
non sia il luogo scelto da una
volontà superiore per narrare
storie di ordinaria follia, ciclicamente.
E quando comincia a filtrare
la prima luce da diverse ore a
questa parte [circa dieci, se
diamo un’occhiata al biglietto
del tassametro posto da James
sul cruscotto della sua auto],
dice a se stesso che comunque
sia, ogni avventura in Silent Hill
è un’avventura a sé, e merita
di essere vissuta. Sempre.
….e la cinepresa in Super8
smise improv..visamen..te di
fun..zio..n…
Voli Onirici_____________________________
[Klonoa 2]
di Emalord
_______________Prologo
E’ pomeriggio inoltrato. Nella
Sala Confronti
del Commissariato, cinque figuri in penombra aspettano
di essere esaminati
attraverso un finto specchio da un
testimone d’accusa. Appoggiati
al muro, i loschi personaggi
fanno di tutto per evitare di incrociare gli sguardi. I capelli
bianchi di uno dei tizi sfiorano
la linea che delimita i due metri
d’altezza. Indossa uno spolverino di pelle rossa, sotto il quale
nasconde un fucile a cannemozze [scarico] ed una spada
di due metri [scarica]. Alla sua
sinistra un uomo in mimetica
sta ricaricando le pile del suo
Codec. All’estrema destra del
gruppetto, un biondino abbastanza amorfo sta ascoltando
una specie di scoiattolo parlante sparare battute a raffica.
Battute che, per la cronaca,
fanno ridere solo l’agente
Squall, di turno dopo una lezione all’accademia. Il quinto presente, abbastanza tarchiato ed
oscurato dalle ombre degli altri
quattro, si aggiusta la visiera
del cappello e si dà una lisciata
alle enormi orecchie. Da dietro
lo specchio, un bambino col
viso devastato dalle efelidi, il
naso devastato dal muco e i
capelli devastati dalla gommina, allunga l’adipico dito, tremante e con l’unghia fumodilondra, e indica proprio lui,
l’orecchione cappellato.
“E’ lui – urla – è lui che invade tutti i miei sogni”
32
Genere:
Etichetta:
Sviluppatore:
Sistema:
Giocatori:
Versione:
Platform
Namco
Interno
PS2
1
PAL
Anno:
2001
:RECENSIONI:
_______________Rapporto
Il soggetto sotto inchiesta risponde al nome di Klonoa. Apparso anni fa su piattaforma
Playstation, era riuscito a fare
perdere le tracce fino al mese
scorso, quando è stato riconosciuto da diversi neoutenti
Playstation2. L’imputato veste
in maniera casual: cappellino
blu, Tshirt sportiva, calzoni corti, scarpe da ginnastica.
Segni particolari: un aspetto
vagamente felino, seppure antropomorfo, e due enormi orecchie che a quanto pare lo aiutano a planare [il verbo può essere rimosso dal verbale finale
in quanto passibile di secretazione] e a superare pericolosi
strapiombi.
Veste
in
CelShading, una nuova moda importata dal lontano Est del
pianeta che sembra non abbia
ancora preso piede in Occidente. Si dice di lui che durante il
giorno dorma di gusto, per poi
agire di notte, intrufolandosi
negli altrui sogni per vivere
fantastiche avventure.
Ring#1
mente in tempi come i nostri
capita di uscire a cena con
l’Originalità [Klonoa stesso ricorda la mascotte Sega in più
di un elemento] eppure tutto
quello che c’è stupisce per qualità e creatività.
I Boss colpiscono per carisma
e caratterizzazione cartoonesca, nonché per l’ingegnoso e
diversificato sfruttamento del
finto
3D
che
rappresenta
l’architettura dell’intera ludesperienza. Ma per poterli affrontare, bisogna prima risolvere gli innumerevoli minipuzzle che infestano ogni singolo livello, aumentando la partecipazione e coinvolgimento
del giocatore. Questi ultimi,
seppure molto intuitivi, sono un
serio ostacolo ad un gioco fastfoodico [leggi: veloce, disimpegnato e senza alcun rispetto
per la filosofia che si cela dietro
al gioco] e tengono sempre
viva l’attenzione e la partecipazione del videoplayer.
______________Il Verdetto
____Testimonianze raccolte
Esplorare il mondo di Klonoa,
significa riscoprire l’essenza
stessa del videogaming. In
tempi di estremismo simulativo, sembra sia stata persa
l’essenza stessa del divertimento. Quel divertimento sottilmente ingenuo ed infantile, legato alla scoperta di uno scrigno pieno di sogni e di colori, di
una grotta in un bosco, di una
casa sull’ albero. Non a caso, i
livelli del piattaformico gioco di
Namco richiamano in ogni momento attività prettamente
infantoludiche: un luna park,
uno scivolo d’acqua, una corsa
su snowboard. Certo, difficil-
Questo ‘volo’ fisico, non è altro che la metafora del ‘volo’ di
fantasia. Quel togliere i piedi da
terra, quel prendersi una vacanza dalla vita reale che
sempre di più manca nei videogames, dove si simulano azioni
fantastiche, ma impersonando
agenti segreti, sportivi, antichi
samurai, ovverosia proiezioni
fantastiche di esseri umani
‘normali’ e dove manca sempre
di più l’elemento fantastico nella sua essenzialità e completa
irrealtà.
Meritevoli
di
citazione
i
‘cattivi’ del gioco [la piratessa
ed il gatto siamese-non-comerazza-ma-nel-senso-più-medico-del-termine, vincono il premio simpatia, riuscendo più azzeccati ed originali del personaggio principale ed i suoi
compari] nonché le musiche
che accompagnano ogni singolo
livello, a volte vagamente funky, a volte jazz, ma sempre
perfette e soavi come tutta
l’atmosfera di gioco.
I momenti più memorabili sono legati agli incredibili voli di
Klonoa. Il gattone viene infatti
‘sparato’ da una parte all’altra
del livello, sorvolando città sotto assedio, montagne decorate
da enormi statue, volando fra
rami, impalcature, finestre. Anche l’uso dei nemici, legato alla
risoluzione dei vari puzzle, porta il felino a cadere da altezze
vertiginose risvegliando freudiane vertigini.
33
La Corte, dopo due ore di seduta, giudica l’imputato Klonoa2 colpevole di ironia, divertimento e volidifantasia. La sua
estrema diversità dall’odierna
offerta videoludica, i suoi
legami con vecchi concetti di
gioco e gameplay, lo rendono
troppo pericoloso e paradossalmente rivoluzionario, a fronte della continua ricerca della
‘realtà virtuale’ dominante.
Al fine di preservare l’attuale
situazione basata su franchise
reiterati e clonazione continua,
l’imputato è condannato all’ergastolo in un qualsiasi tray di
PS2.
:RECENSIONI:
Ring#1
PANTA REZ : Tutto Spara__________________
[REZ]
di Emalord
Quando ci si
arroga la presunzione
di
giudicare
un
videogame, la
cosa che viene
più spontaneo fare è ricorrere
ad una prima, rapida catalogazione del gioco stesso. Si aprono gli archivi mnemonici, ci
si basa su una ventennale
esperienza, e si rispolverano
termini che per quanto aiutino
ad identificare e comprendere il
fenomeno ludico sotto osservazione, di fatto cercano di
rinchiuderlo dietro facili definizioni, tanto rapide quanto limitanti e pericolosamente fuorvianti. Il manuale del perfetto
recensore invita infatti a prendere in esame il gioco, valutarne aspetti quali grafica, sonoro,
longevità,
giocabilità,
descriverne brevemente i contenuti e stilare un giudizio
finale che rappresenti un sunto
di tutti gli elementi sotto
giudizio. Ma questa meccanica,
per quanto normalmente funzionale e corretta, incappa talvolta
in
schegge
ludiche
impazzite, produzioni alternative che per l’uso che fanno dei
parametri di valutazione rappresentano di fatto il sassolino
nell’ingranaggio di giudizio. Il
limite di una normale valutazione sta proprio nella sua
essenza: giudicare gli aspetti di
cui sopra come valori a sé
stanti, singoli e perfet-tamente
indipendenti. Con REZ questa
metodologia è fondamentalmente errata. Il prodotto UGA/
SEGA non è un gioco con una
colonna sonora, una grafica,
una longevità. REZ è REZ. Con
buona pace di chi, come me,
l’aveva già virtualmente stroncato dopo un’ora di gioco. Per
poi
ricredersi,
dopo
mesi
dall’acquisto, dopo ore passate
a vagare tra vettori ed esplosioni di plasma.
REZ è un triangolo equilatero.
Una figura perfetta, composta
da 3 parti che possono essere
valutate singolarmente, ma che
trovano piena espressione delle
loro peculiarità geometrica solo
poggiando l’una sull’altra.
La [REZ prima] risponde al
nome di Kandinsky, artista a
sua volta influenzato da Schönberg, musicista..
"La musica di Schönberg –
scrive Kandinsky – ci introduce
in un nuovo regno, dove le
esperienze musicali non sono
acustiche bensì puramente psichiche: qui ha inizio la musica
del futuro" (A.Schönberg, W.
Kandinsky). [….] Lo stesso
anno, sollecitato dall'illuminante esempio dell'amico musicista, Kandinsky compirà il passo
decisivo per il distacco della
pittura dalla sua funzione
mimetica e contemporaneamente fornirà, con il suo saggio
"Dello spirituale nell'arte" una
sorta di primo trattato di armonia per questo nuovo concetto
di pittura, che poneva come
valore assoluto il "suono interno" dei colori e delle forme. Si
avvia il tentativo di porre in
relazione l'invisibile con il visibile, anche se la musica, la parte immateriale, verrà filtrata
attraverso i mezzi tecnici a
disposizione dell'artista e dalla
sua conoscenza del linguaggio
e delle espressioni del mondo
sonoro. La musica verrà presa
come modello strutturale di
riferimento e diverrà fonte
notevole di innovazione in ambito visivo” Arte come musica,
quindi. Arte come colore. Ma
anche arte come ‘visione’, come rappresentazione di un
movimento, un ritmo vitale non
visibile a occhio nudo, ma
facente comunque parte dell’
essenza delle cose, anche delle
più reali e quotidiane.
La [REZ seconda] è chiamata
Sinestesia.
34
Genere:
Etichetta:
Sviluppatore
Sistema:
Giocatori:
Versione:
Sparatutto
Sega
UGA
Anno:
2001
Dreamcast, PS2
1
PAL
“La letteratura era riuscita ad
esprimere compiutamente nella
persona di E.T. Hoffmann la
fondamentale possibilità della
"percezione simultanea" (syn
aistànestai) e le sue implicazioni estetiche ed espressive.
Vi era un rifiorire dei trattati
approfonditi sulle corrispondenze tra suono e colore (vedasi
Johannes Itten del Bauhaus), la
consapevolezza di una "qualità
timbrica" del suono ed un
ritorno al principio della "sinestesia", dell'attenzione alle associazioni e intersezioni tra
sensazioni di natura diversa
avvertite contemporaneamente: "vedere" i suoni, "sentire" i
colori”
La [REZ terza] è il puro e
semplice Videogaming.
Ma facciamo un passo indietro e rispondiamo alla domanda
di chi ancora oggi non sa di
cosa si stia parlando in questa
sede: REZ è uno shooter. Uno
sparatutto poligonale a tema
fantascientifico che scorre su
binari predefiniti, impossibili da
alterare o da rallentare nella loro corsa verso il boss finale.
Niente di diverso, nella sua
meccanica, rispetto a Panzer
:RECENSIONI:
Dragoon [SEGA] o Einhander
[Squaresoft]. Le caratteristiche
che lo rendono innovativo rispetto ai suoi storici predecessori sono: l’uso della grafica
wireframe nella rappresentazione dei fondali e la conformazione della... er… astronave
sotto i vostri comandi.
Indubbiamente affascinante
la prima caratteristica. L’uso
della grafica vettoriale nella
realizzazione dei fondali non
solo rende lo scorrimento fluido
e senza incertezze ma di fatto
aumenta il fascino puro dell’
ambientazione. Questi ultimi
sono ispirati alle popolazioni
che hanno reso la civiltà ‘ LA
Civiltà’ [con la C maiuscola].
Dagli egizi passando per i
babilonesi, il videoplayer si trova a veder scorrere davanti agli
occhi sfingi e opere consunte
dal tempo, che per merito dei
coders Sega sembrano, paradossalmente,
la
cosa
più
futuribile e immaginifica mai vista. Si registrano, in particolari
punti dei livelli più avanzati,
inseriti in celshading e di grafica poligonale pura atti a permettere una più rapida identificazione del pericolo incombente [leggi: bersagli da abbattere], ma questo appunto è
solo per i più feticisti tra i visitatori di Ring.
I Boss finali, in contrasto con
il tema storico, sono invece
semplici costruzioni poligonali,
più o meno complesse, in stridente contrapposizione con la
magia evocata dagli sfondi
antecedenti. Perfettamente animati, realizzati con poligoni pieni, necessitano di costante applicazione e di reazioni al secondo per evitare al protagonista di essere colpito ed
incorrere in una involuzione.
Involuzione? Avranno notato i
più recettivi. Si, perché, come
già accennato, in questo gioco
non si pilota un’astronave in
senso stretto. Tutto il gioco, in
realtà, è basato sul concetto di
‘evoluzione’. Indi per cui, niente poteva essere più adatto a
rappresentare il vostro oggetto
di percussione che una semplice unità carbonio. Un essere
umano, per capirci. Raccogliendo appositi item, il vostro virtuavatar si scopre essere in
Ring#1
grado di evolversi, per raggiungere una potenza di fuoco
sempre più rapida e letale, al
fine di poter diventare un essere in grado di sopravvivere
da solo in un ambiente ostile
quali sono i livelli più avanzati.
Un concetto studiato e ristudiato sui banchi di scuola, quello
che indica come il migliore degli
esseri viventi il più abile
nell’adattarsi all’ ambiente in
cui opera. Concetto brillantemente riportato da Sega in
questo prodotto. E se tutto
questo vi suona ancora adesso
difficile a comprendersi, il quinto livello di REZ vi attende, con
la risposta più inverosimile ed
affascinante
mai
osata
al
riguardo.
Si, va bene, direte voi. Ma
cosa c’entra Kandinsky con tutto questo?
La risposta è nell’ultima componente di REZ. Ultima in questo atto di cronaca, ma semplicemente agente primario della
sinestesia. La musica. Non è
eccessivo dire che senza la musica, questo videogame sarebbe probabilmente la cosa più
insensata mai entrata nel tray
di PS2. Sempre che non la usiate come salvadanaio, sia bene inteso.
La musica non è in questo
gioco semplice accompagnamento. La musica in REZ costruisce, accompagna, si evolve
con il giocatore.
Permettetemi un esempio
figurativo: la colonna sonora di
REZ è come il mare. All’inizio,
sulla riva, è placida, lenta.
Quasi un invito a non avere paura, e a portarvi dove l’acqua è
più alta. Poi le ondate di bassi
cominciano a farsi più possenti.
Al vostro avanzare nei livelli
corrisponde un innalzamento
del moto ondoso. E con l’aumentare del beating aumentano anche le difficoltà e le
ondate nemiche. Ed il ritmo vi
prende sempre di più allo
stomaco, ed i nemici si fanno
sempre più pericolosi ed i loro
colpi veloci. Ad ogni esplosione
corrisponde una nota che si
amalgama perfettamente con il
plasma emesso dalla detonazione e con il ritmo di gioco. La
musica, di fatto, è colonna portante della struttura di gioco.
35
Pulsa ritmicamente con i fondali, pulsa con il videogiocatore, pulsa con il controller di
PS2. Ed è davvero difficile capire se i fondali pulsino di vita
propria o se sia la musica a farli
pulsare, ma in fondo questa è
sinestesia. E la missione di Sega può dirsi felicemente conclusa.
Bottomline:
Valutare
REZ
come semplice videogaming,
basandoci su ordinari metodi di
giudizio, significa smontare un
triangolo per ottenere un linea.
E non va bene neanche per
giocarci a Shanghai, direbbe il
saggio. La grafica, per quanto
originale, sfrutta solo in minima
parte le potenzialità della macchina su cui gira così come gli
effetti speciali. I nemici poligonali mostrano movimenti
flessuosi ma sono davvero poveri di dettagli ed infine la longevità è davvero ridotta all’
osso, causa 5 soli livelli di gioco
‘base’ che tra l’altro finiscono in
poche ore totali. Certo, gli
extra sono interessanti ma…….
Ma REZ non è fatto per
essere ‘giocato’. Se siete fra
quelli che definiscono ‘esperienza ludica’ la digipressione
del tasto di fuoco, o la pulsione
dei technobassi al ventrebasso,
il consiglio è di noleggiarlo per
qualche giorno, che vi sarà più
che sufficiente a godere dei
suoi aspetti più superficiali. Ma
REZ è fatto per essere ‘vissuto’.
In tal caso saprà meravigliarvi.
Vi ritroverete a ‘vedere i suoni’,
a ‘percepire gli spazi’, e riconoscere nell’esperienza sonora
non un’appendice di gioco, ma
il motore primo dell’esperienza
ludica, nonché probabilmente
fine ultimo. Musica come oggetto, musica come perno. Musica come esperienza da vivere,
e reiterare ad libitum. Sinestesia.
:TESORI SEPOLTI:
Ring#1
Morte di un sistema viaggiatore______________
[METAL SLUG – 1st Mission]
di Marco Barbero
_________Riconsiderando il
divertimento portatile
Il proiettile vibra, o meglio
scorreggia, attraversando due
centimetri buoni di pixel amalgamati in artefatti bellici del
tipo torretta/trincea/rimasuglio
di muro. Vibra, o scorreggia,
all’indirizzo di un emulo del
Galeazzo Musolesi di bonviana
memoria: fiero quanto stupido,
impettito quanto friabile, facile
bersaglio in rotta di collisione
con la morte digitale. E così è.
Lui, lo pseudoGaleazzo, si accascia, ma sorride. Non lo vediamo,
ma
sorride.
Lui,
il
proiettile, penetra e sicuramente sorride. Non abbiamo nemmeno bisogno di vederlo, lo
sappiamo che chi penetra sorride.
Anche l’utente sorride, non
possiamo scorgerlo perché non
è normale giocare davanti a
uno specchio, ma sorride. La
gioia contagia tutti perché è
bello far parte della prima di
questa rappresentazione. “La
guerra non è mai stata così
divertente”, cantavano gli omini
di Cannon Fodder. PseudoGaleazzo, proiettile e utente
condividono e applicano senza
indugio lo slogan a Metal Slug
1st Mission.
Quanto descritto è il primo
impatto con il piccolo “Lumaca
di Metallo” e, tenendo fede al
sottotitolo, ciò che segue alla
pressione del tasto A è l’abbecedario dei sintomi della “prima volta”: l’eccitazione per il
nuovo hardware; lo smarrimento nel vedere una tale perfezione su un piccolo portatile;
e l’ansia, perché non si sa mai
di aver fatto una cazzata a
spendere tanti soldi per un giochino.
Terra, 1999. Il sogno di SNK
viaggia a tutta velocità contro
un muro di solida disfatta. L’espressione è quella di chi si sta
giocando il tutto per tutto. Il
risultato sarà quello di chi ha
scelto i tavoli sbagliati. Un’avventata puntata sullo zero della
roulette, quel mondo delle sale
giochi che, con tutti i suoi problemi da “Dottò, non tengo più
nemmeno gli occhi per piangere”, non poteva dimostrarsi
una fonte sostanziosa di reddito. E la cocciuta insistenza al
tavolo del bridge, metafora di
un mondo di picchiaduro bidimensionali troppo tecnici e
appetibili ai soli appassionati,
un bacino di utenza evidentemente non sufficientemente
ampio per sostenere una società come SNK. In quest’ottica, il progetto Neo Geo Pocket
è stato il più disperato dei
tentativi di prostituzione, l’ultima spiaggia per racimolare i
soldi per quell’ ultima mano a
poker che “ne sono sicuro, mi
farà risalire la china”. Ma l’avversario era un certo Game
Boy, un imbattibile talento naturale, e il 29 ottobre 2001 SNK
metteva l’epitaffio a 23 anni di
onorata carriera.
Ma il proiettile, tutt’oggi,
scorreggia. Lo fa perché obbligato da un comparto sonoro
che, sferragliare del mitragliatore a parte, è bruttino forte, e
lo fa perché ancora nell’anno
2002 è un piacere sparpagliare
piombo digitale sullo schermo
del Neo Geo Pocket. Se mai c’è
stato un titolo per cui acquistare la consolina SNK, e c’è
stato, quello è Metal Slug 1st
Mission: un grande gioco, senza mezzi termini. E se mai c’è
stato un titolo incapace di rendere al 100% su un emulatore,
e c’è stato, quello è ancora Metal Slug 1st Mission. Impos-
36
Genere:
Etichetta:
Sviluppatore:
Sistema:
Giocatori:
Versione:
Azione
SNK
Interno
Neo Geo Pocket
1
USA
Anno:
1999
sibile pensare di comandare
Marco Rossi e Fiolina Germi
senza sentire il clicclic prodotto
dai microswitch del ministick.
Inimmaginabile godere di un
mondo così minuto se non su
un hardware altrettanto minuto. Sarebbe un atto contro natura.
_________Prima missione:
appassionare
Sparare e saltare, non si fa
nient’altro, eppure Metal Slug
non smette di stupire per come
riesce a miscelare tali azioni
reinventandosi di continuo senza mai tradire il suo genere di
appartenenza: platform sparatutto o sparatutto platform.
Sparare e saltare. Da un punto di vista di compositivo non ci
si fa molto con due verbi. E’ come possedere due mattoncini
Lego e provare a costruire
qualcosa di minimamente complesso; hai voglia a incastrali
con fantasia, il risultato sarà
sempre insoddisfacente. Ma in
SNK hanno evidentemente avuto tribolazioni nella propria infanzia, il Lego non appartiene
alla memoria dei designer di
Metal Slug, così come inconcepibili debbono sembrargli
i limiti che un’associazione come quella precedente compor-
:TESORI SEPOLTI:
ta. Questo è un videogioco di
razza, e sparare e saltare diventano un meraviglioso mondo bidimensionale.
Metal Slug – 1st Mission è
un finto ignorante, il suo approccio al gioco d’azione (di
base fortemente naif) è indubbiamente privo di cervello e
fronzoli, ma basta distrarsi un
attimo per ritrovarsi le regole
sovvertite. Perché K. Naruse è
un geniale folletto del game
design, si muove nel poco spazio concessogli dalla formula
del platform/sparattutto come
si trovasse nella più vasta delle
pianure, forte di ciò reinventa il
format trasformando l’ignoranza in ispirata intelligenza. Non
c’è preavviso quando lo scorrimento viene tolto alla discrezionalità dell’utente per rimettersi all’inclemenza dei chip del
Neo Geo Pocket, implacabili nel
traslare i pixel suggerendo che
chi si ferma è, come da copione, perduto. L’avvicendamento
tra la guida di un aereo e una
scarpinata a piedi, intramezzate da un escursione su di un
demenziale carroarmato capace
di saltare ed abbassarsi (il
Metal Slug del titolo), è girandola che può compiersi nell’arco di un minuto. La presunta linearità nella successione dei
livelli viene scardinata nel momento stesso in cui si comprende che è possibile trovare un
passaggio tra la missione 4 e
Ring#1
10, oppure che l’azzeramento
della barra di energia, causa di
game over nel livello precedente, porta, in quello attuale,
alla reclusione in un campo di
prigionia (e relativo tentativo di
fuga) o ancora che alcune missioni sono da scovare nel sottobosco di porte e stanze costituenti quegli stage che fuggono
il dogma del “da sinistra a
destra”. Insomma, quando si è
quasi sicuri di conoscere il suo
bagaglio di “spara e salta”, di
nemici demenziali e di armi
extra, Metal Slug – 1st Mission gira la ruota, compra una
vocale e cambia il rebus da
risolvere, ponendo il giocatore
di fronte a meccaniche tutt’altro che originali eppure diversissime, miscelate in maniera
sublime e posizionate quando
meno ce lo si attenderebbe.
Che siano livelli a senso unico
da sinistra a destra, a scorrimento forzato come nei classici
shoot ’em up oppure labirintici,
poco importa, il fattore divertimento è sempre presente. E’
probabile che alcuni pesanti
rallentamenti dovuti alla sovrabbondanza di sprite su
schermo e l’insistere su un ristretto numero di avversari
oscurino parzialmente la lucentezza di questa gemma portatile, ma l’effetto finale è intaccato in modo marginale.
Metal Slug
1st Mission fa
parte di quella ristretta cerchia
di titoli che si giocano senza
l’idea fissa di arrivarne alla fine.
Forse perché non smette mai di
stupire, forse perché la sua
grafica rotonda stride in modo
affascinante con il tema bellico
o forse perché, molto più semplicemente, è bello perdere una
mezz’ora in sua compagnia,
come si faceva nelle sale giochi
prima dell’agonia del settore.
37
Metal Slug 1st Mission è, in
sintesi, un amplesso in forma
portatile: eccita, avvolge, riscalda, esplode e poi rilassa,
ma lascia sempre quella irrazionale, istintiva spinta a tornarvi.
Un Neo Geo Pocket senza
Metal Slug – 1st Mission è
come una Ferrari col limitatore
di velocità: bella e sprecata.
L’abbuffata di giocabilità e
grafica caricaturale attende i
puri, fatene parte e non rimpiangerete la scelta.
Errata Corrige
Studi più approfonditi avvenuti
in seguito alla chiusura del precedente
numero
di
Ring
rivelano una pesante inesattezza nell’articolo di pagina 42:
I Videogiochi e l’Arte di Rimorchiare le Ragazze. In effetti,
NON è assolutamente consigliabile, mentre stiamo accarezzando le gambe di una donna,
esclamare: «Wow, senti quanto
bump mapping!»
:RUBRICHE:
Ring#1
GameN________________________________
[Me Nintendo #1]
di Gatsu
Parte 1 di 2
Benvenuti. Quella che vi apprestate a leggere è, come avrete
intuito, una rubrica dedicata al
variopinto mondo Nintendo.
Lungi da me trasformarla in un
appuntamento utile solo ad
incensare la società Giapponese: sarebbe sciocco non riconoscerne i meriti, ma sarebbe
altrettanto stupido non elencarne le colpe. Nell’arco dei
prossimi mesi cercherò di toccare gli argomenti più vari, dalle innovazioni che Nintendo a
portato nel mercato, alla filosofia di fondo della società, fino
all’approccio “particolare” che
ha sempre riservato ai suoi
giochi. Per inaugurare il tutto,
ho ritenuto opportuno partire
con questo GameN, articolo che
si prefigge di analizzare le
principali innovazioni introdotte
da Nintendo sia sul versante
hardware sia su quello software. Spero di riuscire nel mio
intento.
Ah, prima di iniziare una piccola nota: “GameN” potrebbe
anche leggersi “gay men”. Vi
assicuro che la colpa di questo
nome è da imputarsi alla PS2 di
Nemesis Divina, che, dal bagno
di casa sua, gli suggerisce
sconcezze per rendere ridicola
la concorrenza…
____________Introduzione
Nell’arco della sua decennale
presenza sul mercato, Nintendo
è diventata in maniera inconfutabile l’azienda più importante dell’intero panorama videoludico. Nonostante negli
ultimi anni la sua fama sia
stata ridimensionata da quella
di agguerriti avversari (Sony in
primis), Nintendo può vantare
di essere l’azienda con più
esperienza nel mondo dell’entertainment videoludico. Dall’
inizio della sua attività nel campo dei videogiochi, la società di
Kyoto ha piazzato in tutto il
mondo più di un miliardo di videogames recanti il suo marchio, nonché svariati milioni di
console, senza contare il merito
di aver plasmato e definito
abitudini ed icone che appartengono ormai all’ immaginario
collettivo. Esaminiamo con calma l’enorme apporto che questa azienda ha dato al mondo
delle console e dei videogiochi
in generale…
__________Guarda e gioca
Nel 1979 vede la luce la divisione coinop di Nintendo. Prima
di questa data, Nintendo si era
dedicata ad altri sistemi di
intrattenimento videoludico che
avrete modo di scoprire prossimamente in un articolo dedicato a Hiroshi Yamauchi. Mentre un certo Shigeru Miyamoto
era al lavoro su uno dei videogiochi destinati a cambiare la
storia (Donkey Kong), Nintendo Of Japan, dopo aver
aperto una filiale americana a
New York, iniziò ad investire in
una linea che i più “anziani”
ricorderanno sicuramente: i
Game And Watch. Era il 1980,
e sul mercato faceva la sua
comparsa il primo videogioco
portatile con schermo a cristalli
liquidi. La collana ebbe così
tanto successo che oltre a
generare migliaia di cloni (chi si
ricorda i più recenti Tiger?), fu
soppressa solo agli inizi degli
anni 90, dopo più di dieci anni
di onorato servizio e dopo aver
offerto decine e decine di titoli
diversi (fra i più celebri anche
Donkey Kong, Popeye e un
inusuale episodio di Zelda).
Oltre alle straordinarie innovazioni di essere portatili e di
usare uno schermo a cristalli
liquidi, i Game And Watch meritano di entrare nella storia dei
videogiochi anche e soprattutto
38
per l’introduzione della crocetta
direzionale (non tutti i modelli
la contemplavano, comunque),
divenuta poi standard in tutti i
pad di ogni rispettabile console.
Ad onor del vero non si trattava
di una vera a propria crocetta,
ma di quattro pulsanti rotondi
disposti a croce, ognuno ad
indicare una diversa direzione
(la similitudine con la crocetta
del Dual Shock è evidente).
Nonostante non avesse ancora
assunto la forma definitiva di
“crocetta”, la pulsantiera dei
Game And Watch aveva inconsapevolmente tracciato un solco profondo fra il passato e il
futuro.
__La rivoluzione dei coinop
Mentre il mercato era invaso da
console casalinghe capaci di far
girare solo cloni di Pong (qualche nome: Odissey e Odissey 2
di Magnavox o il Telstar Coleco)
e poco altro, nel 1981 Nintendo
propose il cabinato di Donkey
Kong, che in pochissimo tempo
divenne il coinop più venduto e
richiesto dell’intero mercato.
Oltre a presentare un’innovativa e originale meccanica (il
protagonista doveva risalire alcuni impervi stage per salvare
la sua amata, mentre un malvagio gorillone lo tempestava di
barili), il gioco va ricordato per
alcuni fondamentali motivi: in
Donkey Kong fanno la loro
prima apparizione Mario (che
originariamente si chiamava
Jumpman, prossimamente scoprirete anche i retroscena della
questione), Donkey Kong (fa-
:RUBRICHE:
migerata icona Nintendiana tornata in auge grazie a Donkey
Kong Country della Rare ai
tempi dello SNES) e Peach, la
sempiterna compagna di Mario
capace solo di farsi rapire. Oltre
a questo, a Donkey Kong viene attribuito il merito di aver
fatto diffondere in maniera esponenziale i coinop e, di conseguenza, le salegiochi.
____________La “Pad-Era”
Nei primi anni 80 ci furono diversi sconvolgimenti per Nintendo Of America: la sede di
New York si fuse con una “base
centrale” situata a Seattle, e il
capitale della società passò da
600.000 dollari alla bellezza di
10.000.000 di dollari.
Nel 1983 Nintendo Of Japan
presentò sul mercato il Family
Computer, conosciuto in oriente
con l’acronimo FAMICOM e in
occidente
come NES
(Nintendo
Entertainment System). Nintendo aveva
fra le mani una vera bomba
tecnologica: una console potentissima (per gli standard dei
tempi) che rivoluzionò in poco
tempo il modo stesso di intendere i videogiochi. La prima
innovazione che il NES portava
era l’introduzione del joypad:
prima di lui esistevano solo i
joystick per console, dopo di lui
furono solo i pad (anche se voci
non confermare mi dicono che
già l’Intellivision avesse una
periferica simile… se qualcuno
di voi conosce date di uscita e
dettagli
mi
contatti
a
[email protected]).
A
guardarlo ora fa quasi sorridere: il pad del NES era quanto
di meno ergonomico fosse mai
stato progettato, ma svolgeva
benissimo il suo compito.
Dotato di una crocetta direzionale (evviva!) e di due
pulsanti rossi (i mitici A e B poi
sempre riproposti), completati
da Start e Select, questo rettangolino di plastica grigia e
nera è rimasto nella memoria
degli appassionati come com-
Ring#1
pagno di incredibili avventure
videoludiche.
La console veniva venduta sul
mercato con il progenitore di
tutti i platform, Super Mario
Bros, che pur non essendo
affatto la prima incarnazione di
Mario (già apparso in Donkey
Kong,
Donkey
Kong
2,
Donkey Kong Jr e Mario
Bros), rappresenta ancora oggi
uno dei pilastri attorno al quale
un intero genere si è sviluppato.
Oltre a SMB, il NES poteva
vantare
compreso
nella
confezione
il
rivoluzionario
Duck Hunt, un videogame che
permetteva al giocatore di
impersonare un cacciatore di
anatre. La periferica che consentiva di interagire con il gioco
era a dir poco straordinaria
(anche se sfruttava un meccanismo di funzionamento abbastanza elementare): si trattava
di una pistola arancione e grigia
a rilevamento ottico, che andava collegata direttamente
alla console, tramite la quale ci
veniva
concessa
l’inedita
possibilità di sparare direttamente sullo schermo della tv di
casa. Con il NES nasceva dunque anche la prima pistola da
videogames,
nonna
illustre
delle più recenti Gun Con di
Namco e di quella per il Sega
Dreamcast.
Nell’86 Nintendo presentò sul
mercato il Family Computer
Disk Drive System, un sistema
che consentiva, previo utilizzo
di appositi dischetti, di “scaricare” da appositi terminali
denominati “Disk Writer” il software per il NES. Il vantaggio
stava tutto nei costi: quello dei
giochi scaricati era di molto
inferiore a quello dei giochi tradizionali su cartuccia. Nonostante il prezzo delle cartucce
divenne con il tempo sempre
più abbordabile in relazione alle
prestazioni offerte (spazio e
possibilità di salvare, inizialmente possibile solo su dischetto), il Disk Drive System sopravvisse fino al 1993, dopo
aver piazzato più di 2 milioni di
unità. Nello stesso anno fu
inaugurato anche il servizio
telefonico che consentiva agli
utenti di chiamare gli esperti
Nintendo per ricevere sugge-
39
rimenti e trucchi per i giochi (i
callcenter Nintendo appaiono
anche in un film di qualche
lustro fa, chiamato in Italia Il
Piccolo
Grande
Mago
Dei
Videogames). Il NES divenne
presto
il
“giocattolo”
più
venduto in America, tanto che
The Legend Of Zelda vendette più di un milione di copie,
cifre impensabili per l’epoca.
Nel 1988 fu pubblicato il primo numero della storica rivista
Nintendo Power, tutt’ora attiva
e particolarmente interessante
per le foto e le notizie esclusive
che spesso invadono le sue
pagine. Nello stesso periodo fu
rilasciato
sul
mercato
il
futuristico Hands Free Controller (Power Glove in USA ed
Europa), una sorta di guanto
alla Johnny Mnemonic, tanto
bello da vedere quanto poco
utile nella realtà. La libreria del
NES contava in quegli anni ben
65 titoli, destinati a sestuplicare nel giro di un paio
d’anni. L’anno successivo arrivò
The Adventures Of Link, seguito del blockbuster The
Legend Of Zelda. Alcuni studi
dimostrarono che per i bambini
Mario era popolare quanto
Topolino!
Nonostante
la
tecnologia
fosse ancora molto primitiva,
Nintendo dimostrava anche in
quegli anni, in maniera forte e
autorevole, la volontà di proiettare i videogiochi verso il
futuro e di diventare leader
incontrastato di un mercato
sempre più in fermento, non
solo proponendo hardware e
software innovativi, ma anche
cercando di far breccia nell’immaginario comune.
________Genialità portatile
1989. Anno fondamentale per
la storia dei videogames, non
solo per le imprese compiute
dal NES, ma anche e soprattutto per l’introduzione sul mercato del Game Boy, il primo
:RUBRICHE:
sistema portatile con cartucce
intercambiabili. Il Game Boy risulta attualmente essere la
console più venduta della storia: sommando le vendite delle
sue varie versioni (originale,
colorato, Game Boy Pocket e
Game Boy Color) si superano
abbondantemente i 120 milioni
di unità, con un distacco di ben
40 milioni di unità dalla blasonata PSX.
Oltre ad essere il primo vero
handheld con cartucce della
storia, il Gameboy va sicuramente ricordato per la notevole potenza di calcolo (i
giochi
più
recenti,
come
Warioland 3, non sfigurerebbero su uno SNES) e per l’inedita possibilità di linkare fino a
quattro console fra loro. Questa
caratteristica ne ha decretato la
sopravvivenza anche a 13 anni
dal suo lancio: il fenomeno
Pokèmon ne è un esempio
lampante. La caratteristica di
poter scambiare item, personaggi e dati con un amico è
stata sicuramente una delle
carte vincenti del piccolo portatile Nintendo, e non per nulla il
successore Game Boy Advance
conserva e amplifica questa
caratteristica. E’ importante
nominare il Game Boy anche
per alcuni software rivoluzionari: oltre al già citato Pokèmon
che ha decretato la nascita dei
“giochi di collezionescambio”,
vale la pena ricordare titoli
come Kirby Tilt’ N’ Tumble
che, tramite un apposito sensore al mercurio inserito nella
cartuccia (utilizzato in precedenza nei joystick per i simulatori di volo) permetteva di
manovrare
il
protagonista
(Kirby, appunto) semplicemente inclinando la console.
E’ inoltre curioso notare come
più volte il piccolo Game Boy
abbia rubato la scena a console
molto più performanti: al lancio
USA di Pokèmon Gold e
Pokèmon Silver vennero venduti 1.400.000 cartucce solo
nella prima settimana di lancio,
e ben 6.000.000 di pezzi nell’
arco di tre mesi, record che
consacrò il titolo Nintendo come il videogame con il volume
di vendite più impressionante
della storia!
Ring#1
Lo spirito del Game Boy rivive
ora nel Game Boy Advance,
handheld a 32 bit di cui parleremo più avanti.
_SNES: gli anni d’oro del 2D
Il 1990 fu l’anno in cui
Nintendo Of Japan propose sul
mercato il 16 bit Super
Famicom (SNES in USA e Super
Nintendo in Europa), destinato
a confrontarsi con il Sega
Megadrive (o Sega Genesis in
America). Rispetto alla console
Sega, il gioiellino Nintendo
(degno di questo appellativo
più per meriti tecnici che estetici) poteva vantare una palette di colori molto più ampia e
brillante, una potenza computazionale leggermente superiore, nonché un supporto third
party molto più esteso. A livello
hardware non furono moltissime le innovazioni introdotte
ma vanno sicuramente citati
l’introduzione dei tasti dorsali
sul joypad (i famosi L e R
presenti su tutte le console di
ultima generazione) e la possibilità di collegare la console
ad altre periferiche tramite una
porta di espansione. Un momento fondamentale per la
storia dei videogiochi fu l’introduzione del chip SFX che
permetteva di visualizzare una
primitiva ma efficace grafica
poligonale su una console a 16
bit. Il primo gioco a sfruttare
questa caratteristica era il
bellissimo Star Wing, uno
sparatutto fra astronavi assolutamente atipico e rivoluzionario. La saga incontrò un buon
feedback, tanto che ne seguì
un episodio anche su N64 (Lylat Wars, altrettanto bello) e
sono in dirittura di arrivo Star
Fox Adventures e Star Fox
Armada su GC.
Nel corso degli anni la
capienza delle cartucce per il
Super Famicom crebbe in pro-
40
gressione geometrica, fino ad
arrivare alla ragguardevole cifra di 48 Mega Bit (comunque
ben distanti dalla mostruosa
capienza massima delle cartucce del Neo Geo, che arrivavano
a 330 Mega Bit…in pratica erano hard disk portatili!!!).
Anche per il Super Famicom
fecero la loro comparsa alcune
inusuali periferiche: le due più
diffuse erano il Super Scope
(una sorta di bazooka ottico dal
design incredibilmente cool, ma
scomodo da usare, che appare
fra l’altro anche in Super
Smash Brothers Melee per
GC come arma per mazzuolare
gli avversari) e un mouse sfruttato solo da una manciata di
titoli.
Il principale merito dello
SNES fu quello di aver ospitato
alcuni dei migliori giochi mai
apparsi sul mercato, titoli che
ancora oggi furoreggiano negli
emulatori di mezzo mondo: sto
parlando di giochi come Super
Mario World (a parere del
sottoscritto il miglior platform
2D mai concepito), Super
Mario World 2: Yoshi Island,
The Legend Of Zelda: A Link
To The Past (capitolo che ha
consacrato la saga nell’olimpo
degli “intoccabili”), Super Mario RPG, Final Fantasy (episodi 4, 5 e 6), Secret Of
Mana, Chrono Trigger, Star
Fox, Dragon Quest (episodi 1,
2, 3, 5, 6 e Dragon Quest
BS), Donkey Kong Country
(episodi 1, 2 e 3), Street
Fighter Championship Edition (una versione che superava di diverse spanne la controparte da sala), Contra, Super
Metroid, Super Ghouls ‘N
Ghosts e molti altri. Il parco
titoli
completo
del
Super
Famicom contava, al momento
del suo definitivo abbandono da
parte di Nintendo, più di 1200
titoli!
Fortunatamente
tutto
questo ben di Dio non andrà
dimenticato: il GBA sembra la
console adatta per riportare in
vita le vecchie glorie che ci
hanno fatto compagnia durante
gli anni 90.
:RUBRICHE:
___Interattività e fallimenti
Nel 1994 Nintendo propose sul
mercato il Super Game Boy, un
accessorio che permetteva di
interfacciare i giochi del Game
Boy con il Super Nintendo. Era
un modo economico ed intelligente di espandere a dismisura il parco titoli disponibile
per lo SNES, senza costringere
gli utenti sprovvisti di GB a
comprarsi appositamente la
console. L’idea gettò le basi per
i progetti futuri della casa di
Kyoto: aumentare l’interattività
fra le console sarebbe stata la
parola d’ordine. Per ottenere
risultati concreti abbiamo però
dovuto aspettare l’avvento di
GC e GBA che, grazie alla possibilità di collegarsi reciprocamente, promettono nuove ed
interessanti
opzioni
per
i
giocatori.
Non furono sempre rose e
fiori per Nintendo: l’anno
successivo fu lanciato il Virtual
Boy, una console a 32 bit che
consentiva, tramite un’apposita
mascherina, di vedere i giochi
in vero 3D, donando al giocatore una sensazione di immersione mai provata prima.
Ring#1
Sebbene l’idea sembrasse vincente sulla carta, così non fu
nella realtà: il VB visualizzava
solo grafica bicromatica (rosso
e nero), molto spesso in wireframe. Inoltre lo svantaggio di
dover indossare
una
mascherina
(rendendo
il
VB
tutt’altro che portatile) ed il fatto che un uso prolungato causava mal di testa, ne decretò
l’insuccesso. La console venne
abbandonata abbastanza in
fretta
(anche
se
uscirono
diversi giochi degni di nota, fra
i quali ricordo un episodio di
Wario Land e uno di Mario
Tennis), ma qualcosa di quell’
esperienza sopravvive ancora
oggi: il design del suo pad,
infatti, ricorda vagamente quello del GameCube…
Nello stesso periodo Nintendo
ritornò anche in salagiochi con
due titoli: il pessimo Cruis’n
USA e il sufficiente Killer Istinct, controverso picchiaduro
made in Rare, curioso più per il
suo
insolito
stile
grafico
(Advanced Computer Modeling,
una sorta di render in tempo
reale) che per la sua qualità
effettiva. Sempre nel 1995 Nin-
tendo celebrava il suo miliardesimo gioco venduto.
Un aneddoto interessante
viene anche dalla collaborazione fra Sony e Nintendo: in
un periodo imprecisato fra il
1991 e il 1994 Sony lavorò ad
un addon per lo SNES che
avrebbe permesso alla console
di leggere i giochi su cd rom. A
causa di motivi mai resi noti, i
rapporti fra le due case degenerarono: Sony decise così di
sfidare apertamente la casa di
Kyoto proprio con il progetto su
cui stavano lavorando insieme... Qualche tempo dopo si
iniziò a parlare di una nuova
console, Playstation, ed il resto
è storia…
Si conclude qui la prima parte
di questo articolo dedicato alle
innovazioni hardware e software introdotte da Nintendo nel
corso degli ultimi ventitre anni.
Il prossimo mese vi aspettano
un paragrafo dedicato alla famosa Nintendo Difference e
uno che tratta in dettaglio il
periodo più recente della casa
di Kyoto… Ce la farete ad aspettare?
Videogiocatori o memorizzatori di pattern?___
[Opera Rotas #1]
di Sator Arepo
parte 1 di 2
Se lo vedete sono sicuro che lo
riconoscete. Il suo nome è
Dangerous. Rick Dangerous1.
Ma chi gli vuole bene lo chiama
l’uomo col cappello. I fatti
così come li conosco prevedono
un luogo, Sud America, e una
data, 1945. Rick sta sorvolando
la foresta amazzonica alla ricerca della leggendaria tribù
Goolu. Cerca che ti cerca cosa
accade? Un rumore sordo nell’
abitacolo. I fagioli di ieri? O
forse un coso, un cedimento
strutturale. Mentre il bimotore
perde quota, in fiamme, Rick
realizza che non avrebbe dovuto tirare sul prezzo di noleggio.
Ma, proprio quando non te lo
aspetti, ecco sopraggiungere il
culo di Sacchi: il velivolo si
schianta vicino allo sperduto
villaggio Goolu. Gli abitanti dello stesso accorrono in direzione
del paracadutante Rick. L’emozione nell’esploratore è forte:
sta per entrare in contatto con
un popolo vissuto per secoli all’
oscuro del progresso tecnolo-
41
gico e culturale. Eccoli, si avvicinano. Certo che i Goolu danno
l’idea d’essere parecchio incazzati. Forse l’aereo non è caduto
vicino al villaggio Goolu. Forse
è caduto sopra il villaggio Goolu…
Correva l’anno 1989 quando
Core Design pubblicava sotto
l’etichetta Firebird uno dei primi
titoli della sua soddisfacente
carriera. Ma noi non siamo qui
a celebrare le lodi di Rick Dangerous. Rick è infatti nostro
nemico. E “nostro” non è pluralis maiestatis, intendo proprio
di noi videogiocatori. Ma lasciamo che un esempio ce ne illustri il motivo…
:RUBRICHE:
Siamo in una grotta. E’ l’inizio
del gioco. Ipotizziamo un qualche tutorial che ci spieghi le
rudimenta del gameplay quando un masso rotola verso di
noi. Muoriamo. Eccheccazzo.
REWIND. Siamo in una grotta
e, senza perder tempo in trastullamenti, corriamo. Il masso
ci tallona a pochi centimetri
mentre ci lasciamo cadere in un
budello di cui ignoriamo la fine.
Tale fine consiste in un Goolu di
pattuglia, al contatto con il
quale muoriamo. Evidentemente il Goolu non è avvezzo al
lavarsi. REWIND. Via come da
copione per scampare al pietrone e, mi raccomando, durante la caduta tenersi sulla destra, onde scansare il sudicio
indigeno. Siamo salvi. E la pietra si sfoga proprio sul malcapitato di sentina. Rick certo
non se ne cura e prosegue per
l’avventura. E noi con lui. Poco
dopo ci troviamo di fronte ad
un dislivello. Tutto tranquillo
parrebbe. Ci lasciamo cadere
verso la sottostante piattaforma e, quando delle aguzze
punte cominciano a lacerarci le
carni, ci rendiamo conto che
avremmo dovuto compiere un
salto. REWIND. Siamo in una
grotta. Corriamo per evitare il
rolling stone, ci gettiamo nel
budello… deja vu, cosa ci stiamo dimenticando? Ah già!
L’avellante Goolu! Troppo tardi.
Siamo morti. Ancora. Rats!
Ora, anche i più lenti di voi
avranno capito che in questa
sequenza c’è qualcosa che non
va. Però magari potreste dire:
“Vabbé.
Stiamo
purtuttavia
parlando di un titolo uscito decine e decine di mesi fa”. Prendiamone
dunque
uno
più
recente: Tomb Raider 3.
La pettoruta tombarola ha
davanti a sé una botola – niente immagini a supporto di questo esempio: il solo pensiero di
rigiocare TR3 per scattare delle
foto mi ha fatto venire gli sfoghi sui glutei – decide di saltarci dentro, e noi con lei.
Siamo ora all’interno di una
stanza, ma è tutto buio e…
rumble rumble. Che succede?
Accendiamo una torcia e ci
guardiamo intorno. Proprio in
quel momento un pietrone rotola verso di noi provocandoci
Ring#1
morte. REWIND. Ci gettiamo
dentro la botola e, non appena
tocchiamo terra, compiamo un
balzo laterale. Rumble rumble.
Il masso ci passa accanto mancandoci di poco ma… perdiamo
energia. Perché? Accendiamo la
torcia e ci rendiamo conto
d’esser capitati in una zona piena di serpenti, anzi, i serpenti
sono disposti in tutta la stanza
eccetto che nella striscia attraversata dal masso. RE-WIND.
Ci gettiamo dentro la botola e,
non appena tocchiamo terra,
cominciamo a correre. Ben
presto sentiamo il masso ansimarci
dietro,
avvicinandosi
sempre di più. Durante la corsa
troviamo il tempo di accendere
la torcia e vediamo che il corridoio sta per finire, la salvezza
pare vicina. Pop, pop, stomp.
Sbattiamo contro il muro (prima le tette, quindi il resto del
corpo). Nel panico notiamo che
la via di uscita è una piccola
apertura alla base del muro.
Consigliamo alla donna con la
treccia di chinarsi ed entrarci a
gattoni, ma ormai è tardi: il
rolling stone raggiunge la chiomocaudata proprio quando ella
si mette a pigrecomezzi. Un
briciolo di piacere prima della
42
morte cruenta. REWIND. Anzi
no. AARGH! Reset. Eject. Lancio del CD.
A questo punto le considerazioni da farsi sono due:
1) (Futile) ma avete notato che
un po’ tutte le istanze di gioco
della celebre serie Tomb Raider erano già presenti nel vetusto Rick Dangerous? Quest’
ultimo potrebbe forse essere
considerato il manifesto programmatico di Core Design.
2) La domanda del sottotitolo:
siamo videogiocatori o memorizzatori di pattern?
No perché fateci caso: quando un videogioco ha bisogno di
diversificare l’offerta di eventi
da far affrontare al giocatore –
vuoi perché mica si può ripetere ad libitum la stessa meccanica, come in Max Payne, vuoi
perché il titolo fa parte di una
serie in cui poco cambia di
versione in versione – generalmente tale processo viene implementato tramite un esagerato incremento della difficoltà.
Un incremento reso tramite
tempi di completamento troppo
bassi, piattaforme da raggiungere per mezzo di salti millimetrici, trappole difficilmente
localizzabili. Un incremento tale
da annullare, in molti casi, le
speranze del giocatore di superare alcuni frangenti con il solo
uso dell’abilità e dell’esperienza
accumulata fino a quel momento. Mancando ciò, l’unica soluzione è la procedura iterativa.
Ottima anche per questioni di
longevità.
Scommetto che in GTA3 non
siete riusciti a superare al primo tentativo le missioni più avanzate, e non perché siete
stupidi, quanto perché i parametri di completamento erano
troppo ristretti. Ma al secondo
tentativo… beh al secondo
tentativo non ci sono stati problemi: conoscevate già la locazione degli obiettivi, sapevate
quale dispiegamento di forze vi
avrebbe atteso, insomma: a
piece of cake.
Oppure prendiamo Strikers
1945. Non so se avete presente il boss che ad un certo
punto, dopo un paio di secondi
di tregua, spara contempo-
:RUBRICHE:
raneamente due raffiche a
360°, una costituita da proiettili
veloci, l’altra invece da colpi più
lenti. Il giocatore deve compiere un mezzo miracolo per
schivare la prima ondata e, immancabilmente, è beffato dalla
seconda, nonostante la bassa
velocità dei proiettili. Questo
finché non diventa abbastanza
bravo da mantenere quella
freddezza necessaria per padroneggiare a dovere l’aereo,
oppure fino a quando non si accorge che, spostandosi nell’angolo in basso a sinistra dello
schermo, si rimane illesi.
Ring#1
più timore verso il boss, e quell’
istante di quiete prima della
doppia salva non serve più a
creare pathos; viene invece
sfruttato senza remore per raggiungere la zona franca.
Abbiamo dunque isolato un
possibile difetto nella meccanica di un’importante quantità
di videogiochi. C’è dunque da
chiedersi: è veramente un difetto? – ditemelo voi, io sono
per il sì – Ed inoltre: è questa
una caratteristica inevitabile del
medium in oggetto oppure la si
può aggirare? Nel prossimo numero di Ring scopriremo se un
altro mondo è possibile.
panni dell’esploratore per indossare una tutina à la Ralph
Supermaxieroe. Tra la comunità dei videogiocatori fu scandalo: l’uomo col cappello non
aveva più il cappello. Inammissibile. Ecco le imagini a testimonianza dell’affaire Rick…]
Prima
__________________Note
A quel punto la tensione si
annulla. Il giocatore non nutre
[1 Rick Dangerous è stato anche protagonista di un sequel.
In tale titolo, battezzato non a
caso Rick Dangerous 2, il nostro doveva fronteggiare nientedimeno che un’invasione aliena. Nell’occasione Rick smise i
Dopo
Ritraendo il Mito el Guidrigildo Esigito_______
[Il Davide Videoludico UNO]
di Nemesis Divina
“Seguite orsù con trepidanza e partecipazione le
fantasmagoriche vicende del Davide Videoludico. Egli
è un videogiocatore come tutti noi… no, meglio,
come tutti voi.”
Nemesis Divina.
Il Davide Videoludico nasce diverso tempo fa, quanto di preciso non occorre
d’esser detto perché il Davide non ha età: è un videogiocatore! Vecchia Guardia,
diremmo, c’aveva pure il Pong, pensa un po’…
Le vicende del Davide sono entusiasmanti e variegate; oggi il Davide videogioca ancora, più avanti smetterà ma per adesso continua a farlo e non sospetta
il brusco frenarsi della passione, d’altronde lui è uomo che percorre consequenzialmente la linea del tempo e non ha la visione globale. Il Davide, invero,
non capirebbe nulla di quanto scritto… cosa che generalmente può esser detta
anche di voialtri. Ma Davide è anche un idiota… cosa che generalmente può esser detta anche di voi. Davide si è sposato (voi non saprei); lui prima non voleva
sposarsi ma poi l’ha fatto perché sennò non vedeva più la sua ragazza che, per
inciso, è l’unica che gli è capitata. La Silvia adesso vuole pure un figlio e Davide
pensa: «Ma ‘sto gran pezzo di minchia un figlio, non voglio rovinarmi i week
end» però dice: «non so, forse è troppo presto, non mi sento pronto» e Silvia,
che è donna, replica agile: «Allora tu non mi ami», Davide elucubra: «Ma bastarda l’intera schiera Celeste e relative manifestazioni terrene, che cazzo c’entra il frugolo con l’affetto che nutro nei tuoi confronti (in particolare di una di te
porzione)?» ma invece pronunzia: «Ma certo che ti amo. Se è un figlio che vuoi
tu, lo voglio anch’io». Poi si abbracciano scivolando tosto repente nei vortici della
43
:RUBRICHE:
Ring#1
lussuria e la scena sfuma in nero, lontano un sussurro «L’hai preso nel culo», ma
al momento Davide non ha orecchi.
[Il Giorno Dopo] Davide abita in una casa non grande, con la moglie. Fuori la
casa è verde pistacchio che dove la tinta è scrostata sotto si vede il bianco. Nelle
scale c’è odore di muffa e puzzo di cibo terrone (Davide non è leghista: intollera
a tutto tondo…), l’ingresso dell’appartamento è breve, piastrellato di bianco maculato e con l’appendiabiti laccato nero. Salotto misto cucina, un cesso approssimato, camera da letto, sgabuzzino più che farcito e… LA stanza. La sala dei
Giochi. Davide è Videogiocatore, dicevamo. Questa è la saletta (area rettangolare di 4 metri quadri) che Davide ha conquistato a forza, strappato alla moglie con le unghie e con i denti (con buon tacere di rose e gioielli). Una poltrona
striminzita e sfondata posta davanti ad una traballante scaffalatura dell’Ikea, sopra un tempio votivo all’idolo videoludico: TV 14” in marca Mivar e innumerevoli
console arrampicate sulla scansia (perché Davide è pure Retrogiocatore), pessimo sistemino 5.1 malamente distribuito nell’angusta, briciole sul tappeto, mensole alle pareti che minacciano di rovesciare le confezioni di innumerevoli mondi
ed una tavola per stirare (dazio imprescindibile alla collerica consorte). “Buco di
Merda” appellerebbe qualcuno, “Paradiso Ritrovato” sussurra Davide quando
chiude la porta (in plastica a soffietto) dietro di sé, escludendo la pestifera Silvia.
«L’hai preso nel culo». Rapida scintilla che appicca fuoco feroce, la mente del
Davide elaborare i dati in entrata: figlio > stanza x figlio. «Non la mia» pensa.
«Sì, la tua!» gli risponde Silvia che, vai a immaginarlo, è pure telepate… Monta
la collera; pargolo sventurato, grande sarà l’ira del Davide che non conosce
perdono. Fra nove mesi il “Paradiso Ritrovato” verrà smantellato per far spazio al
defecante incontinente. Davide s’impone: «Si chiamerà Filippo o Gianfranco (che
sono nomi bruttissimi e che di solito poi diventi finocchio)». Così apposto il
marchio della vergogna sul frutto involuto [che sta per: ‘non desiderato’] e non
ancora sanata l’eterna ferita, Filippo (o Gianfranco) andrà negli Scout, che portano infamia terribile e sempiterna e che se lo fai poi da grande diventi imbecille
e Davide lo sa perché da piccolo era Scout… ma da piccolo era anche Videogiocatore.
Il Davide Videoludico, da piccolo, tutti lo scherzavano per le dimensioni del
suo pene, e lui non stava bene. Sia chiaro, Davide non ha mai girato film muti e
difatti aveva un pene minuscolo e imbronciato. Il prepuzio ricadeva abbondante
sul glande pallido tanto che, vi sia dato sapere, il surplus epidermico vennegli
decurtato chirurgicamente all’età di tredici anni. Questo gli guadagnò il soprannome di “Ebreo” che lo vessò per un semestre, sino a quando non divenne il
“Senza Cazzo”, nomignolo che guastò sensibilmente i suoi rapporti con il gineceo
scolastico. Il 14 Marzo, a ricreazione, il Davide stava disegnando su un foglio. Il
Pintossi, che era gradevole come una scolopendra, lo vide e chiese numi sull’
opera in corso:
«Cazzo fai?»
«Disegno Super Mario.»
«Alla tua età giochi ancora ai giochini?» s’interrogava il Pintossi, poi esternò:
«Ma disegnami ‘sta gran cappella!» e mal gliene incolse al povero Davide che
venne travolto da mazzate di rara violenza.
Oggi il Davide Videoludico, ormai vicino agli anta, ripensa al Pintossi e a cosa
potrebbe dire se lo vedesse oggi, sposato e figliante, ancora alle prese con i
‘giochini’. In effetti il Pintossi non direbbe nulla poiché a quattordici anni, per
ischerzo, si infilò delle matite nel naso dopodiché tosto inciampò facendo salire le
lapis lungo il tragitto nasale sin nel grigiume cerebrale. Tornò a scuola dopo due
mesi di coma e quattro di ospedale, le evidenze fisiologiche della sua condizione
gli valsero il soprannome di ‘Asparago’. Dopo un mese sua madre lo scaraventò
dal balcone ponendo fine ai suoi infruttuosi tentativi di fotosintesi clorofilliana.
Davide, a dire il vero, fece fatica a dispiacersene… anzi, non se ne dispiacque per
nulla. La fragorosa risata che proruppe dalle fauci davidiane innanzi al feretro
pintossiano lo resero in un certo senso ‘impopolare’ e, in un senso ancor più
sicuro, un lebbroso sociale. Da allora divenne “L’Innominabile” e gli si attribuirono straordinari poteri come la Sfiga, l’Alito Cattivo e la Pellagra.
In questo tragico contesto Davide corse il serio rischio di trascorrere un’infanzia solitaria ma il Videogioco corse in suo aiuto, alchè la fumosa eventualità
della solitudine mutò in adamantina consistenza…
[continua…]
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PLAY_________________________________
[Intervista a Jaime D’alessandro]
di Paolo “Jumpman” Ruffino
Jaime D'Alessandro, 33 anni, è
giornalista e scrittore per La
Repubblica, Diario, Carnet. E'
stato il direttore artistico della
sezione Videogame del CWT
Festival presso la Triennale di
Milano ed il curatore di PLAY, il
mondo dei videogiochi presso il
Palazzo delle Esposizioni a Roma. PJR lo ha incontrato per voi
per discutere di quest’ultima
iniziativa, ma ha voluto cogliere
l’occasione anche per parlare di
“cultura del videogioco”, “coscienza storica” e zombie. Soprattutto zombie.
PJR: Com’è nata l’idea di
una mostra sui videogiochi?
Jaime D’Alessandro: Il progetto
in realtà era abbastanza vecchio, risale a circa 23 anni fa,
doveva essere all’incirca 7 mesi
prima del lancio della Playstation2. La prima ipotesi infatti
fu di fare la mostra in contemporanea all’uscita della Playstation2 in Europa. Poi ovviamente ci sono dei tempi burocratici al Palazzo delle Esposizioni come in qualunque altro
museo. La cosa strana è che
nessuno ci avesse pensato prima. Questo settore, che si pregia di essere ormai maturo,
non ha mai avuto una legittimazione in termini di ricerca
storica.
PJR: Cosa volevate comunicare al visitatore medio di
PLAY?
J D’A: Mostrare il mondo dei videogame per quello che è, con
tutte le sue ricchezze. L’idea
era anche quella di far superare
un pregiudizio abbastanza comune, soprattutto in certe generazioni, secondo cui i videogiochi sono una cosa stupida o
nel peggiore dei casi addirittura
pericolosa. Mostrando la storia
volevamo superare questo pregiudizio. Il percorso storico era
inevitabile perché essendo la
prima mostra non potevamo fare percorsi tematici.
loro cose e hanno anche curato
quelle sezioni.
PJR: Quali sono stati i principali ostacoli che avete incontrato nella sua realizzazione?
PJR: PLAY è giunta in un
momento cruciale: la grande
diffusione dei videogiochi
non è stata accompagnata
da un’adeguata capacità critica da parte degli utenti. La
stampa, in particolare quella
non specializzata, ha aumentato questo divario fornendo spesso informazioni
confuse, fuorvianti, se non
addirittura errate. Che ruolo
può avere la stampa nel
cammino
che,
speriamo,
porterà il videogioco ad essere visto col rispetto che
merita dal consumatore medio?
J D’A: La reperibilità dei materiali. Questa è un’industria
che non ha memoria storica e
alla Acclaim, tanto per citare
una software house, o peggio
ancora all’Activision, la prima
software house, di tutti i materiali passati hanno pochissimo.
E’ molto semplice reperire materiali fino a metà dell’epoca
PSOne, diciamo fino al 199798
ancora si trovano delle cose.
Più indietro è sempre più complicato. Poi l’altro nostro problema è che l’Italia non conta
niente dal punto di vista del
mercato. Il mercato europeo è
fatto principalmente da Inghilterra, poi Francia e Germania
ed infine Italia. Quindi il nostro
potere contrattuale rispetto a
grandi aziende come Electronic
Arts era abbastanza relativo.
Poi è comunque gente che si
occupa di vendere un prodotto,
e questa idea della mostra ha
fatto fatica a far breccia. In altri
è stato diverso. La Nintendo
Europe, la Sony, ci hanno aiutato moltissimo. Avevamo fatto
delle richieste particolari sapendo che i materiali che avremmo
reperito non sarebbero stati esattamente quelli e infatti così
è andata. Abbiamo ricevuto cose molto particolari, altre abbiamo dovuto cercarle noi.
Buona parte della mostra è stata fatta da ricerche nostre, le
console le abbiamo proprio dovute comprare in rete o dai
collezionisti. Le cinquanta e più
console da tavolo che c’erano e
la sezione delle console palmari, che a mio giudizio è stata
una delle meglio riuscite, le
dobbiamo tutte a collezionisti,
nostri amici che hanno dato le
45
J.D’A.: Un ruolo fondamentale.
Il problema, anche della stampa specializzata, è che i videogiochi non vengono trattati come un medium maturo, non
esiste un linguaggio critico, d’analisi. Spesso vengono giudicati
solo da certi punti di vista. Penso ci sia un problema di linguaggio. Non va più bene parlare di frame per secondo perché, francamente, chi se ne
frega! E’ un dettaglio! Bisognerebbe usare un vocabolario diverso, più aperto ma non per
questo meno accurato, che stia
più attento ad aspetti che non
siano sempre gli stessi che alla
fine interessano solo l’appassionato di videogame, che comunque va rispettato. E’ un
tipo di utente che non può essere di riferimento principale
altrimenti resteranno sempre
quei duecentomila videogiocatori e saranno sempre e solo
quelli. Da quando è arrivata la
Playstation non c’è stato un
cambiamento,
continuiamo
sempre a rivolgerci alla stessa
gente che forse è addirittura
diminuita, viste le vendite della
stampa specializzata. Il mondo
dei videogame doveva fare un
salto che non ha fatto, sia dal
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punto di vista della critica che
dal punto di vista dei giochi.
PJR: Dal punto di vista dei
contenuti le software house
cosa possono cambiare nei
loro giochi perché vengano
considerati con maggiore
serietà?
J.D’A.: E’ un parere personale,
ma penso che bisognerebbe rischiare un po’ di più per quel
che riguarda l’inventiva, la sperimentazione. Basti pensare a
REZ, un gioco che non venderà
mai quanto Metal Gear Solid,
però è un gioco che si può portare senza alcun complesso di
inferiorità alla Biennale di Venezia, lo si può mostrare perché ha un impatto visivo di altissimo livello. Questa industria
dovrebbe avere più coraggio.
Certo avere coraggio significa
avere i mezzi economici ed infatti non è un caso che sia stata
la Sega a fare REZ, una software house che ha già i suoi
giochi che vendono milioni di
copie. All’E3, ad esempio, ho
visto Doom 3, un gioco tecnicamente strepitoso che però
per l’ennesima volta propone
l’eroe che fa fuori mandrie di
zombie. Parliamoci chiaro, abbiamo fatto fuori migliaia di
zombie, io penso di aver raggiunto il milione. The Sims è
invece un gioco che allarga il
numero di utenti. The Sims Online farà giocare molte più donne e questo è un bene perché
deve essere un mondo più aperto. Ma quanti Will Wright o
Peter Molyneux ci sono?
PJR: In Italia pensi che ci
possa essere spazio per una
cultura del videogioco?
J.D’A.: Sì, siamo stati il primo
paese europeo a fare una mostra sui videogiochi e questo
penso sia indicativo. Palazzo
delle Esposizioni, che è un’istituzione che non ha i soldi del
Guggenheim o l’appoggio di
tanti musei inglesi, eppure ha
deciso di rischiare per una mo-
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stra come questa, che aveva un
alto contenuto tecnologico (cinquanta videoproiettori costano). Eppure ha deciso di farlo e
siamo stati primi in Europa.
Guardando GameOn, la mostra
di Londra, a me sembra che
abbiamo fatto meglio noi. Loro
avevano l’appoggio di tutte le
software house, noi avevamo
poco o nulla eppure la nostra è
una mostra più matura. La loro
è una salagiochi, bella, bellissima perché potevi giocare con
i cabinati originali di Pong o
Space Invaders che noi non
avevamo, ma non so quanto ha
aggiunto dal punto di vista
dell’allargamento, del mostrare
il videogioco come una forma
di’intrattenimento dignitosa.
PJR: Già in un’altra intervista avevi dichiarato che
questo è un settore che non
ha una coscienza storica.
Quanto pensi possa influire
il fatto che molti videogiocatori non conoscono il passato?
J.D’A.: Banalmente, è un po’
come per il cinema, non ci si
aspetta che lo spettatore abbia
un background storico e culturale per vedere un film. Non
conoscere il passato è forse
sintomatico del fatto che sia
ancora un’industria approssimativa, che sembra ancora non
credere in quello che fa, mentre il cinema, la letteratura e
l’arte contemporanea credono
nei propri mezzi. Non parlo dei
game designer, molti hanno
una forte coscienza della capacità comunicativa dei videogame, ma tutto quello che c’è
intorno è sempre fatto in modo
approssimativo come se davvero non ci fosse la capacità di
dimostrare le capacità del videogioco.
PJR: In un tuo saggio apparso nel catalogo della mostra sostieni che “nessuno
ha ancora inventato gli strumenti capaci di analizzare il
risultato raggiunto dai gio-
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chi elettronici”. Quali aspetti del videogioco pensi siano
stati sottovalutati o ignorati
nel darne un giudizio critico?
J.D’A.: Ogni media ha una sua
critica che fonda in primo luogo
degli strumenti di analisi. Non
credo che nel videogioco ci sia
una struttura, un modo per
analizzarli, ma non si può ancora parlare di FPS o Platform.
I videogiochi sono sempre più
in trasformazione, le categorie
si mescolano tra loro ed è
ormai una catalogazione riduttiva. E non ho visto nessuno
che abbia provato a gettare le
basi per inventare un nuovo
tipo di analisi che permetta di
fondare da capo una forma di
catalogazione. In fondo tutta
l’analisi viene dalla stampa specializzata che ha però inventato
le categorie in modo del tutto
spontaneo. Se parliamo di videogiochi non più come un
fenomeno per soli appassionati
c’è bisogno di un linguaggio
adatto. Nel catalogo questo
linguaggio non c’è, io stesso lo
riconosco. Mi sarebbe molto
piaciuto gettare nel catalogo
delle ipotesi ma non ce n’è stato il tempo perché è una materia molto complessa.
PJR: Progetti futuri?
J.D’A.: Un libro. Mi piacerebbe
poi portare la mostra a Milano,
ci sono però dei problemi legati
ai cali di spettatori nei musei
che si stanno registrando un
po’ in tutto il mondo, non solo
da noi, ed è quindi un momento molto delicato. Poi…non
so. Un progetto che io non farei
ma mi piacerebbe vedere è un
bel film sui videogiochi. Non so
cosa sia un bel film sui videogiochi, non ho idea di come si
possa fare. Mi piacerebbe vedere qualcosa di divertente.
Proprio perché è difficile portare i videogiochi su altri media, proprio per questo mi piacerebbe vedere qualche tentativo.
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100% Indipendente_____________________
[Orrori di Stampa]
di Emalord
A volte mi trovo di fronte ad eventi che nonostante la mia generica indolenza attivano fasci
neuronici ed accendono lampadine cerebrali, portando all’illuminazione di un enorme spazio
vuoto che sta lì proprio a giustificare il termine indolenza.
Da persona recettiva ed aperta a qualsiasi tipo di stimolo
[l’indolenza è il cheatmode che
permette una stimolazione efficace e duratura], è palese che
uno dei suddetti eventi che più
volte nel corso di una giornata
colpiscono il mio io più recondito, è la pubblicità. Quell’ insieme di teorie astratte e di
musiche trendy che dovrebbero
promuovere un qualsivoglia
prodotto per le masse, ma che
a fronte di un riconosciuto impegno nel bombardare la famiglia tipo dimentica sovente del
periodo storico in cui si vive,
usando talvolta meccaniche
persuasive adatte alla famiglia
americana anni ’50, piuttosto
che ad una famiglia media italiana in pieno 2002 [sempre
che ciò non sia una triste verità
che rifiuto aprioristicamente].
Nonostante questa premessa,
fortuitamente abbiamo occasione di osservare pubblicità
geniali, innovative, capaci di
cogliere lo spirito più intimo di
un periodo storico, o di una generazione di persone. Ma se
ying e yang non è solo sinonimo di TavolinoIkea, vien da
sé che a fronte di pubblicità
epocali sussistono per lo meno
un pari numero [ma sto approssimando al 3000%] di pubblicità inutili, quando non dannose alla salute. Promozioni
che reputano la massa come un
pesce da prendere all’amo e
che quindi non partono dal presupposto semplice e banale di
presentare un prodotto, ma da
quello di invogliare il cliente a
comprarlo, il che comporta
spesso il sottendersi di un inganno, spesso bonario, proprio
perché reputa la massa come
un gregge disposto a farsi radere, e non come una mandria
che si incazza se si accorge di
essere destinata a diventare il
contenuto di scatolette di latta.
Flashback a vent’anni fa
Si era alle scuole medie e si
parlava di pubblicità e persuasione occulta. Mi ricordo che
si parlò di una campagna pubblicitaria che negli USA ebbe un
successo clamoroso. Si trattava
di reclamizzare sigari, e lo slogan usato fu E’ TOSTATO! Seguì un successo di vendite
clamoroso.
Il trucco? Dire una cosa OVVIA e SCONTATA [tutti i sigari
sono tostati] come se fosse una
qualità unica e ristretta al prodotto sotto esame. E comunque
guai a dire che provoca il cancro. Le vendite potrebbero subire lievissime flessioni.
Flashforward a oggi
Vent’anni dopo, a volte si fa fatica a credere che qualcosa sia
cambiato. La televisione fa deflagrare la pubblicità di un meraviglioso dentifricio che si distingue dalla massa perché ha
5 incredibili proprietà TUTTE
RIUNITE INSIEME [ooooooh,
urlo di stupore delle folle]:
sbianca i denti, combatte la
placca, rinfresca il fiato, evita la
carie… il quinto non lo ricordo.
Aspettate, vado in bagno a
prendere un qualsiasi dentifricio e poi ve lo racconto.
Oggi, come vent’anni fa. La
massa è sempre un grande
gregge da tosare. Ma per fortuna ci sono i videogames. Una
fonte costante di novità, stimoli, dibattiti.
Ma l’occhio sempre vigile e
paranoico, ti va a cadere su
una delle tante riviste in commercio che riportano: 100%
indipendente [imparziale].
E qui mi si riaccende la
fastidiosissima lampadina cerebrale, che proietta sulle pareti
occipitali l’ombra del mio unico
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neurone, che rimbalza qua e là
rivelando la genesi mentale di
PONG.
Personalmente
ritengo
la
suddetta titolazione come un’ inutile esibizione di onestà editoriale.
Per [3]
vazioni.
validissime
moti-
[uno] la dicitura crea una frattura tra chi la riporta e chi no.
Frattura che di fatto non sussiste, perché tutte le riviste
sono parziali e di parte, a modo
loro. Perché sono rivolte ad un
certo tipo di pubblico che ama
sentirsi dire un certo tipo di
cose in un certo modo. Il tutto
supervisionato, corretto e indirizzato da redattori e sponsor.
[due] credo, anzi auspico che
chi recensisce i giochi ami il videogiocare stesso, e lo ami carnalmente. Esigo che un recensore sia prima di tutto un
giocatore. Ed in quanto tale,
come tutti i giocatori, è suscettibile di simpatie, antipatie,
vecchi amori e nuove fiamme
nei confronti di un qualsiasi
prodotto. Sentimenti e pensieri
che, anche se magari in minima
parte, falsano perlomeno concettualmente il compito di valutare un prodotto. Mettete un
recensore in gamba che odia i
picchiaduro a recensirne uno, e
potete stare certi che ridurrà la
votazione finale in proporzione
alla sua competenza. Ovverosia, meno il recensore è
competente, e più il voto finale
sarà ribassato. Non per nulla
nessuna rivista o ezine fa recensire giochi a persone che
non conoscano [e quindi apprezzino][si da per scontato
che la competenza sia strettamente legata al gradimento]
almeno in minima parte la
categoria in esame.
[tre] credo che tutte le riviste
del settore siano suscettibili e
:FRAMES:
non poco a commenti esterni.
Perché ricevono giochi da negozi o case di produzione che
riempiono gli spazi pubblicitari
delle riviste stesse, e non
gradiscono affatto la stroncatura di un gioco che altrimenti
andrebbe invenduto, e che
quindi la volta successiva passano giochi / demo / promo a
qualcun’ altro. Non si spiegherebbe altrimenti l’alta percentuale di giochi con la media
dell’otto, e della bassissima pe-
Ring#1
rcentuali di giochi con la media
del tre. Media, quella dei giochi
scarsi e meritevoli di un tre,
molto più alta di quanto si voglia far vedere.
Per concludere, spero di vedere sparire alla svelta quell’
orrore di stampa che si
identifica nel 100% indipendente [imparziale].
Rimuoverlo da dove ora campeggia, non significherebbe diventare improvvisamente cri-
minali o corrotti, vorrebbe semplicemente dire avere buon
gusto e riconoscere la verità
delle cose, e cioè che tutti i dentifrici da vent’anni a questa
parte hanno 5 meravigliose caratteristiche e che andarlo in
giro a raccontare non significa
ne’ che ci si lavi i denti ne’ che
gli altri dentifrici non abbiano
tali medesimi odontopregi.
Prossimo Anello…_______________________
[Ring #2]
Ring intervista il padre del mondo così come lo conosciamo.
DIO CI RIVELA IL SUO TURBOLENTO RAPPORTO CON I VIDEOGIOCHI.
E SPARA A ZERO SU TUTTI!!!!111
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