storia dell`aceto storia dell`aceto

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AZIENDA AGRICOLA
STORIA DELL’ACETO
ANDATA E .. RITORNO, PASSANDO PER GLI AMICI ACIDI
La storia dell’aceto è strettamente legata all’origine del primo vino ottenuto dalla fermentazione del frutto
della vite, l’uva.
Circa 10.000 anni fa in Georgia si hanno le prime vinificazioni, probabilmente accidentali avvenute per
fermentazione di uva dimenticata in un recipiente chiuso.
Dello stesso periodo è un vaso egizio con residui di aceto, scoperto ed analizzato non tanti anni fa. Più
tardi per i Romani l’aceto diventa un elemento importantissimo della vita quotidiana. Alla stessa stregua
del distillato di vino viene utilizzato come conservante ed antisettico dell’acqua. Una aggiunta del 2 – 3%
è sufficiente a mantenerla integra per lunghi periodi durante viaggi via terra o via mare.
Chiamata “POSCA” è un prezioso dissetante esente da rischi patogeni. La stessa soluzione aggiunta di
“SAPA” (mosto di uva cotto) era un ottimo energizzante.
Sempre dei Romani sono famose le “ACETARIE” insalatone miste di verdure e carne condite con aceto
per renderle più fragranti e digeribili. Durante i famosi pasti luculliani ogni commensale aveva una ciotola
di aceto per intingere del pane. Era l’attuale sorbetto utilizzato per ripulire la bocca fra una pietanza e
l’altra.
Più tardi entra a far parte della medicina popolare in Europa ma anche nei paesi Asiatici.
Nel 1700 è utilizzato come antidoto al colera. Famosa la storia dell’aceto dei sette ladri: questi,
consumatori di un particolare aceto speziato, derubavano le case e i cadaveri degli appestati, senza
rimanere infetti.
L’uso dell’aceto è stato per tantissimi anni, prima dell’avvento del frigorifero, alternativo al sale nella
conservazione degli alimenti. Carni, pesci, verdure, hanno trovato un compagno ideale per mantenere
integre le proprie qualità.
Nel tempo si sono affinate le tecniche e la produzione si è spinta ad acetificare diverse materie prime oltre
al vino: sidro di mele o pere, birra, orzo, riso, frutti di tutti i generi, miele.
Sono nati prodotti aromatizzati utilizzando diversi ingredienti, lasciando spazio alla fantasia personale dei
singoli “artigiani”dell’aceto.
Da ricordare fra tutti l’aceto balsamico tradizionale, un miracolo dell’uomo e della natura. Se ne parla già
nel 1046 con gli Estensi. Nel 1862 con Francesco Agazzotti si codifica la produzione (da uno scambio
epistolare con il noto enologo piemontese Ottavio Ottavi).
Il successo negli anni è sempre maggiore. Più tardi nascono i consorzi di Modena (1979) e Reggio Emilia
(1986) che assicurano l’origine, l’età e la qualità dell’aceto balsamico tradizionale.Sono prodotti unici,
ottenuti con tanti anni di attesa e di conseguenza molto costosi, che nulla hanno a che vedere con le
varianti proposte sugli scaffali dei supermercati, che di fatto non sono niente di più che aceti al caramello
industriali. Un prodotto semplice ma che incontra il gusto del consumatore sempre più deviato verso il
dolce e il saporito (glutammato di sodio).
L’internazionalizzazione della cucina fa conoscere gusti nuovi: la salsa di soia, base della cucina orientale,
è utilizzata per dare note di umami (profumo di carne alla brace).
Una semplice verdura bollita o un pesce crudo neutro, acquistano “sapore”. Dolce e umami sono i caratteri
del balsamico e questo ne determina il successo a livello mondiale. Oggi la produzione totale in Italia è di
circa 1.200.000 hl. Un mare di aceto balsamico venduto spesso a prezzi ridicoli, bottiglie da mezzo litro a
meno di 1 euro.
Il tradizionale è schiacciato da questo mondo industriale. Le bottiglie rigorosamente da 100 cc
raggiungono a malapena le 100.000 unità
( 100 hl) che equivalgono allo 0.01% del balsamico.
In quasi tutti i ristoranti, dall’agritur alla pizzeria al ristorante stellato, alla richiesta di un aceto,
immancabilmente sul tavolo arriva il balsamico al caramello.
E’ stato industrializzato e codificato il gusto, abbiamo dimenticato gli aceti di una volta, magari di
produzione familiare, artigianale, dalle mille sfumature, legate a vitigni e territori diversi. L’industria
dell’aceto, meno di 70 aziende in Italia, con tecnologie ultramoderne, acetificano in poche ore le loro
materie prime, con dei cocktail ben confezionati e dopo pochi giorni sono sul mercato. Un grande business
sicuramente, ma una grave perdita culturale gastronomica della storica cucina italiana.
“TORNIAMO ALL’ACETO”, quello vero, quello “dimenticato”.
http://www.amiciacidi.it/