1994 - 2004 Il punto sulla legislazione, la giurisprudenza e la

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1994 - 2004 Il punto sulla legislazione, la giurisprudenza e la
Fondazione
Courmayeur
Mont Blanc
F o n d a z i o n e
Centro Internazionale su Diritto, Società e Economia
Atti del convegno
Aosta, 26 novembre 2004
CODICE DELLA MONTAGNA
MONTAGNA RISCHIO E RESPONSABILITA’
1994 - 2004
Il punto sulla legislazione, la giurisprudenza e la dottrina
n. 11
PUBBLICAZIONI DELLA FONDAZIONE COURMAYEUR
PUBLICATIONS DE LA FONDATION COURMAYEUR
ANNALI
1.
ANNALI DELLA FONDAZIONE COURMAYEUR ANNO
1992
2.
ANNALI DELLA FONDAZIONE COURMAYEUR ANNO
1993
3.
ANNALI DELLA FONDAZIONE COURMAYEUR ANNO
1994
4.
ANNALI DELLA FONDAZIONE COURMAYEUR ANNO
1995
5.
ANNALI DELLA FONDAZIONE COURMAYEUR ANNO
1996
6.
ANNALI DELLA FONDAZIONE COURMAYEUR ANNO
1997
7.
ANNALI DELLA FONDAZIONE COURMAYEUR ANNO
1998
8.
ANNALI DELLA FONDAZIONE COURMAYEUR ANNO
1999
9.
ANNALI DELLA FONDAZIONE COURMAYEUR ANNO
2000
10.
ANNALI DELLA FONDAZIONE COURMAYEUR ANNO
2001
11.
ANNALI DELLA FONDAZIONE COURMAYEUR ANNO
2002
12.
ANNALI DELLA FONDAZIONE COURMAYEUR ANNO
2003
13.
ANNALI DELLA FONDAZIONE COURMAYEUR ANNO
2004
COLLANA “MONTAGNA RISCHIO E RESPONSABILITÀ”
1.
UNA RICOGNIZIONE GENERALE DEI PROBLEMI
2.
LE INDICAZIONI DELLA LEGISLAZIONE, DELLA GIURISPRUDENZA E DELLA DOTTRINA
3.
I LIMITI DELLA RESPONSABILITÀ DEL MAESTRO DI SCI E DELLA GUIDA
4.
LA RESPONSABILITÀ DELL’ENTE PUBBLICO
5.
LA RESPONSABILITÀ DELL’ALPINISTA, DELLO SCIATORE E DEL SOCCORSO ALPINO
6.
LA VIA ASSICURATIVA
7.
CODICE DELLA MONTAGNA
–
LE INDICAZIONI DELLA LEGISLAZIONE, DELLA GIURI-
SPRUDENZA E DELLA DOTTRINA
8.
CODE DE LA MONTAGNE
–
LE INDICAZIONI DELLA LEGISLAZIONE, DELLA GIURISPRU-
DENZA E DELLA DOTTRINA FRANCESE
9.
CÓDIGO DE LOS PIRINEOS
– LE INDICAZIONI DELLA LEGISLAZIONE, DELLA GIURISPRU-
DENZA E DELLA DOTTRINA SPAGNOLA
10.
CODICE DELLA MONTAGNA
– 1994-2004
IL PUNTO SULLA LEGISLAZIONE, LA GIURI-
SPRUDENZA, LA DOTTRINA
11.
IL PUNTO SULLA LEGISLAZIONE, LA GIURISPRUDENZA E LA DOTTRINA
1994 – 2004
(Atti del Convegno)
12.
CODICE DELLA MONTAGNA
–
LE INDICAZIONI DELLA LEGISLAZIONE, DELLA GIURI-
SPRUDENZA E DELLA DOTTRINA SVIZZERA
(in preparazione)
QUADERNI
1.
MINORANZE, CULTURALISMO CULTURA DELLA MONDIALITÀ
2.
IL TARGET FAMIGLIA
3.
LES ALPAGES: HIER, AUJOURD’HUI, DEMAIN
– L’ENTRETIEN
DU PAYSAGE MONTA-
GNARD: UNE APPROCHE TRANSFRONTALIERE
4.
MEMORIE E IDENTITÀ: PROSPETTIVE NEI PERCORSI DEL MUTAMENTO
5.
L’INAFFERRABILE ÉLITE
6.
SISTEMA SCOLASTICO: PLURALISMO CULTURALE E PROCESSI DI GLOBALIZZAZIONE
ECONOMICA E TECNOLOGICA
7.
LE NUOVE TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE
8.
ARCHITETTURA NEL PAESAGGIO RISORSA PER IL TURISMO?
-1
9.
ARCHITETTURA NEL PAESAGGIO RISORSA PER IL TURISMO?
-2
10.
LOCALE E GLOBALE. DIFFERENZE CULTURALI E CONTESTI EDUCATIVI NELLA COMPLESSITÀ DEI MONDI CONTEMPORANEI
11.
I GHIACCIAI QUALI EVIDENZIATORI DELLE VARIAZIONI CLIMATICHE
12.
DROIT INTERNATIONAL ET PROTECTION DES REGIONS DE MONTAGNE/INTERNATIONAL
LAW AND PROTECTION OF MOUNTAIN AREAS
13.
-1
DEVELOPPEMENT DURABLE DES REGIONS DE MONTAGNE
–
LES PERSPECTIVES JURIDI-
QUES À PARTIR DE RIO ET JOHANNESBURG/SUSTAINABLE DEVELOPMENT OF MOUNTAIN
AREAS
– LEGAL PERSPECTIVES BEYOND RIO AND JOHANNESBURG - 2
14.
CULTURE E CONFLITTO
15.
COSTRUIRE A CERVINIA… E ALTROVE/CONSTRUIRE À CERVINIA…. ET AILLEURS
16.
LA RESIDENZA E LE POLITICHE URBANISTICHE IN AREA ALPINA
ORGANI DELLA FONDAZIONE
LES ORGANES DE LA FONDATION
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Lodovico PASSERIN d’ENTRÈVES, presidente; Enrico FILIPPI, vice presidente,
Camilla BERIA di ARGENTINE, Pierluigi DELLA VALLE, Giuseppe DE RITA,
Alessia DI ADDARIO, Eligio MILANO, Lukas PLATTNER, Giuseppe ROMA,
Roberto RUFFIER, Lorenzo SOMMO
COMITATO SCIENTIFICO
Franzo GRANDE STEVENS, presidente; Alberto ALESSANDRI, Fabrizio BERTI,
Ombretta BORDET, Guido BRIGNONE, Dario CECCARELLI, Augusta CERUTTI,
Mario DEAGLIO, Hérbert D’HÉRIN, Mauro FIORAVANTI, Waldemaro FLICK,
Maria Giuliana INDRIO, Dante MALAGUTTI, Paolo MONTALENTI, Giuseppe
NEBBIA, Livia POMODORO, Giuseppe SENA, Tullio TREVES
COMITATO di REVISIONE
René BENZO, Alessandro FRAMARIN, Giuseppe PIAGGIO
Benedetto MASCARDI, segretario generale
F o n d a z i o n e
Centro Internazionale su Diritto, Società e Economia
CODICE DELLA MONTAGNA
MONTAGNA RISCHIO E RESPONSABILITA’
1994 - 2004
Il punto sulla legislazione, la giurisprudenza e la dottrina
Atti del convegno
Aosta, 26 novembre 2004
n. 11
Cura redazionale di Camilla Beria di Argentine
INDICE
Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
5
Saluti e introduzione
LODOVICO PASSERIN D’ENTRÈVES . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 7
LUCIANO CAVERI, Relazione introduttiva e presentazione del manuale. . . . . pag. 9
WALDEMARO FLICK . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 11
La nuova legge 24 dicembre 2003 n. 363 “Norme in materia
di sicurezza nella pratica degli sport invernali”
FRANCO COZZI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 13
La voce degli imprenditori
SANDRO LAZZARI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 21
Il maestro di sci
SAVERIO BLANDINO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 27
ROBERTO ROTA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 31
La guida alpina
MASSIMO DATRINO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 35
Impianti a fune: nuove procedure e controlli alla luce
della normativa europea
AGOSTINO DALLAGO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 39
Normativa della Regione Valle d’Aosta in materia
di sicurezza delle piste di sci alla luce della nuova legge
24 dicembre 2003 n. 363
GIORGIO BOGLIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 47
Conclusioni: quello che è stato fatto, quello che è ancora da fare
AUGUSTO ROLLANDIN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 53
ALBERTO GAGLIARDI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 59
3
PRESENTAZIONE
L’entrata in vigore dell’innovativa legge 24 dicembre 2003 n. 363 sulla sicurezza
nella pratica degli sport invernali, il ritardo operato da molte regioni nell’adeguamento della propria normativa ed il, purtroppo, sempre costante aumento degli incidenti in montagna sono elementi che non possono non indurre ad una profonda riflessione tutti gli operatori della montagna.
Con questo Workshop la Fondazione Courmayeur ha voluto stimolare il dibattito
ed evidenziare che cosa in concreto è stato fatto, cosa non è stato fatto e cosa, ancora, resta da fare.
In quest’ottica, tra l’altro, la Fondazione ha presentato l’ultima pubblicazione della
collana “Montagna – Rischio e Responsabilità”: a 10 anni dalla prima pubblicazione,
quest’anno il volume abbandona la prospettiva comparatistica per fare il punto su 10
anni di legislazione, giurisprudenza e dottrina, sempre nella prospettiva di fornire un
contributo al raggiungimento di una normativa comune europea.
Tutto ciò anche alla luce del recentissimo documento programmatico approvato il
28-29 ottobre 2004 a Cusco, Perù, dal Parternariato mondiale sulla Montagna cui
partecipa la Fondazione Courmayeur e di cui l’Italia è stata promotrice.
5
SALUTI E INTRODUZIONE
LODOVICO PASSERIN D’ENTRÈVES
presidente della Fondazione Courmayeur
Autorità, Signori e Signore, è con vero piacere che apro questo Incontro.
Ci sono progetti che nascono forti, crescono bene e danno frutti.
Il progetto “Rischio e responsabilità in montagna”, avviato dalla Fondazione
Courmayeur su un’idea di Giovanni Maria Flick, si sviluppa anno dopo anno con la
raccolta progressiva della legislazione e della giurisprudenza a livello europeo.
Al codice italiano, francese e spagnolo, si aggiunge, oggi, un vero e proprio manuale di diritto della montagna.
Manuale degli sport invernali – dallo sci all’alpinismo – con particolare riferimento
ai “mestieri” della montagna: i gestori degli impianti, i maestri di sci e le guide alpine,
senza tralasciare la responsabilità degli organizzatori di manifestazioni e competizioni.
Questo studio viene, inoltre, effettuato alla luce della nuova legge 363 24/12/03
“Norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo” e di cui sono in uscita i regolamenti di attuazione regionali nella promulgazione
dei quali quest’opera ci auguriamo possa essere di sicuro aiuto.
Il volume è una sintesi del lavoro fatto dalla Fondazione Courmayeur in 10 anni –
ed in questo è un punto d’arrivo – ma è anche punto di partenza per una concreta
proposta su quanto dovrà contenere la direttiva europea di prossima uscita.
Nei prossimi due anni prevediamo di concludere il progetto con la pubblicazione
del codice svizzero e del codice austriaco al fine di completare l’opera con il codice
europeo.
Vorrei ringraziare tutto coloro, e sono tanti, in quanto abbiamo cercato anche con
fatica di interessare gli addetti ai lavori, invitandoli a lavorare a fianco dei giuristi e degli esperti, che hanno collaborato a questo progetto a livello nazionale, regionale e
locale.
Vorrei ringraziare l’avvocato Waldemaro Flick e il dottor Maurizio Flick la cui tesi di
laurea in materia, che ha meritato la dignità di stampa, ha costituito punto di riferimento importante per questo lavoro.
A tutti i partecipanti auguro un buon lavoro e rinnovo il ringraziamento della
Fondazione Courmayeur per la loro presenza.
7
RELAZIONE INTRODUTTIVA
E PRESENTAZIONE DEL MANUALE
LUCIANO CAVERI*
assessore al Turismo, Sport, Commercio,
Trasporti e Affari Europei della Regione
Autonoma Valle d’Aosta
Possiamo dire che siamo di fronte ad una concretezza di lavoro, perché la grande
utilità degli incontri promossi dalla Fondazione Courmayeur consiste, poi, nell’avere
un riscontro cartaceo, che permette a tutti gli interessati di seguire l’evoluzione della
materia.
Sulla questione dibattuta oggi, fin dall’inizio degli anni ’90 si è molto scritto e discusso e quanto contenuto nella pubblicazione che oggi presentate è una summa
teologica delle discussioni fatte in questi anni su temi come la responsabilità dello
sciatore, soprattutto nella logica, che dovrebbe essere prevalente, di un decalogo
dello sciatore, uno sciatore non solo costretto dalle leggi, ma anche cosciente, egli
stesso, dei propri obblighi e dei propri doveri. Responsabilità anche del gestore delle aree sciabili, rispetto a cui la legge dello Stato porta degli elementi di novità che noi
abbiamo recepito nella legge regionale (di questo vi parlerà il dottor Boglione). Molto
interessante è la questione della pubblica utilità delle piste di sci, di cui spesso si è
dibattuto (la competenza regionale in materia è assai dubbia e per noi è molto importante che si sia riconosciuta la pubblica utilità delle piste di sci); la questione, sempre in materia di responsabilità del gestore, degli obblighi assicurativi, di cui per molto tempo, anche con un’apposita pubblicazione, la Fondazione Courmayeur si è interessata; la novità, che noi inseriamo nella legge a complemento di quella parte di
legislazione valdostana riguardante la sicurezza sulle piste di sci, per cui prevediamo la possibilità, o meglio, l’alternativa di essere trasportati con il toboga e di avere,
nel caso di organizzazione di servizi legati a obblighi assicurativi, quindi senza costi
per la Regione, anche dei servizi elicotteristici di soccorso non medicalizzato.
Ancora: la responsabilità legata alle professioni svolte in montagna, per esempio
quella del maestro di sci.
Io invito tutti a leggere le trenta pagine dedicate alla responsabilità del maestro di
sci. So che oggi ci sarà l’autorevole intervento di due amici, Saverio Blandino e
Roberto Rota, in un momento in cui in Valle d’Aosta si discute in termini, anche vivaci, della qualità del maestro di sci, perché non è banale pretendere che chiunque
eserciti questo mestiere in Valle d’Aosta abbia determinate caratteristiche anche sotto il profilo della sicurezza, cosa che vale sia per la guida alpina, sia per gli organizzatori delle manifestazioni e delle competizioni sciistiche.
Naturalmente, nel discutere della legge nazionale si potrebbe riflettere a lungo sulla bontà o meno di questa legge per capire se fosse possibile fare meglio; personalmente, all’epoca in cui ero deputato ne presentai una piuttosto corposa. Oggi io so-
* In video conferenza
9
no convinto che il Titolo V riporti in capo alle Regioni la gran parte delle competenze
e credo che sia un po’ grottesco che, alla fine, si sia discusso soprattutto sulla questione del casco. Tra l’altro, noi abbiamo trovato (lo ricorderà il dottor Boglione) una
formula originale per tutte le problematiche legate ai comprensori transfrontalieri, in
particolare la Rosière, La Thuile, Zermatt-Cervinia.
La legge di cui si discute oggi, dunque, può avere una qualche utilità, ma naturalmente poco innova rispetto a una legislazione regionale solida e strutturata, che parte da lontano, da quando il legislatore regionale dovette intervenire a fronte del rischio che la bizzarria della giurisprudenza facesse scuola, perché alcuni anni fà noi
ci trovammo di fronte a un “sequestro”, con tanto di cartello, del versante italiano del
Monte Bianco, quindi era ovvio che in qualche maniera si dovesse prevedere una legislazione specifica. Tra l’altro, nel 1998, una norma di attuazione dello statuto ha
chiarito, in maniera netta per gli impianti di risalita, ma anche per le piste di sci, che
la competenza della Valle d’Aosta è esclusiva, a meno che, come sempre avviene,
non ci siano livelli di sicurezza maggiori richiesti dalla legislazione statale.
Piste, impianti, formazione e professionalità dei professionisti della montagna,
prevenzione e monitoraggio dei rischi, aspetti sanitari, soccorso alpino, 118: su questi temi, in Valle d’Aosta abbiamo raggiunto una modellistica assai interessante, forse meritevole (questo potrebbe essere un argomento di discussione futura) di un testo unico che affronti i diversi aspetti del problema.
Lodovico diceva all’inizio che ci sarà una direttiva in materia. Io faccio presente
che è uscita una direttiva tecnica sugli impianti di risalita, molto attesa, che definisce
gli standard di sicurezza. Rispetto agli obblighi derivanti dalle normative comunitarie
(l’ho ricordato qualche mese fa al Commissario Monti nel corso della trattativa sugli
impianti di risalita della Valle d’Aosta), questa direttiva implicherà un aumento del costo degli impianti del 15%-20%, perché c’è tutta una logica di certificazione dei prezzi. Io non credo che si arriverà ad una direttiva vera e propria sulle piste di sci; forse
si potrà avere una sorta di piattaforma comune che consentirà di avere un’unicità di
comportamenti. Da questo punto di vista, la Commissione, nel rispondere alcuni anni fa al padre di uno sciatore inglese morto sulle Alpi in un incidente sulle piste, aveva detto esplicitamente di voler rispettare il principio di sussidiarietà, quindi di ritenere che il livello statale e regionale fosse il più adatto a regolamentare la materia, ma
è probabile che qualche tipo di coordinamento o di suggerimento di una linea di indirizzo possa venire anche a livello europeo.
Questo è quanto vi volevo dire in collegamento da Bruxelles. Sono molto lieto di
questa giornata di studi e di approfondimento, promossa dalla Fondazione
Courmayeur, che pone la Fondazione stessa e l’intera Valle d’Aosta come capofila
di un settore di cui si occupano tanti amici, magistrati, avvocati, guide alpine, professionisti. Senza la Fondazione Courmayeur, probabilmente, l’intelligente elaborazione della materia non sarebbe avvenuta.
10
Presiede
WALDEMARO FLICK
avvocato in Genova; componente del
Comitato scientifico della Fondazione
Courmayeur
Luciano, ti ringrazio per l’intervento. La tua doveva essere la relazione introduttiva
e così è stato.
Dal tuo intervento traspare la tua competenza politica, tecnica e giuridica, ma soprattutto il tuo amore per la montagna e la tua amicizia nei nostri confronti. È, infatti,
da più di vent’anni che ci sostieni, ci aiuti e, quando necessario, ci correggi.
Hai toccato un punto essenziale che riprendo volentieri: il “sequestro” del versante del Monte Bianco. Prima sembrava che il termine “amicizia” fosse retorico, ma è
stato soprattutto il conoscersi – avvocati, magistrati, tecnici, uomini della montagna –
che dopo dieci anni ha portato ad un approccio differente. Devo dire che proprio la
giurisprudenza ha portato a modificare sostanzialmente certe posizioni che esistevano in passato laddove vigeva una legislazione regionale variegata, a pelle di leopardo, diversissima, a partire dalla Val d’Aosta e dal Trentino, fino ad arrivare
all’Abruzzo (pensiamo a quella legge dell’Abruzzo che individuava, addirittura, una
fattispecie di responsabilità oggettiva del gestore). Abbiamo lavorato insieme.
Esattamente dieci anni fa, Adolfo Beria di Argentine, nel primo Quaderno, sosteneva che si sarebbe arrivati a una legge quadro sulla montagna. Tutti replicavano ritenendo che tale auspicio fosse una follia, una cosa impossibile, in quanto la materia era affidata esclusivamente alle Regioni. Dieci anni dopo, invece, questa legge è
in vigore.
È una legge buona? È una legge cattiva? Si poteva fare di meglio? Be’, io per una
volta non voglio fare l’avvocato che dice “si poteva fare di meglio”. La legge è stata
fatta e ciò è importante. Certo, forse si poteva fare di meglio, si potevano affrontare
determinati argomenti. Tutto sommato, si è creato più equilibrio tra gestori, consumatori e legali. Ciò che rileva è che la legge in questione rappresenta il primo passo
per avere un quadro di ciò che ci circonda.
A questo punto, passo la parola ad un altro genovese (perché, è bene ricordarlo,
il legame di Genova con la Valle d’Aosta è fortissimo), il dottor Franco Cozzi, il quale ci intratterrà sugli aspetti civilistici e anche penalistici legati alla nuova legge e lo
farà con quell’equilibrio, quella simpatia e quell’affetto per la montagna che gli sono
propri.
11
LA NUOVA LEGGE 24 DICEMBRE 2003 N. 363
“NORME IN MATERIA DI SICUREZZA NELLA PRATICA
DEGLI SPORT INVERNALI”
FRANCO COZZI
sostituto procuratore generale presso la
Corte d’appello di Genova
Anch’io ringrazio chi mi ha invitato a questo Convegno soprattutto per avermi consentito di conoscere meglio l’attività della Fondazione Courmayeur, attività che poi si
traduce in una fucina di idee e in una raccolta di informazioni. Questo è uno dei grossi meriti della Fondazione, in un settore che ha bisogno effettivamente di grande attenzione per tutti gli interessi che coinvolge, economici, giuridici, legati allo sport.
Innanzitutto vorrei rivolgere un ringraziamento particolare a un giovane presente
in aula, il figlio dell’avvocato Flick, Maurizio, il quale ha svolto un lavoro, lo dico anche come docente alla Scuola di specializzazione delle professioni legali, veramente encomiabile, perché è difficile dare un’organizzazione sistematica alla materia di
cui oggi ci occupiamo, con un approfondimento teorico di tutti i vari aspetti e interessi coinvolti. In questo senso, la pubblicazione in cui si è tradotto questo lavoro, è di
grande aiuto per tutti, anche per coloro i quali vorranno regolamentare o dare un migliore assetto alla normativa.
La materia coinvolge interessi disparati e aspetti tra i più vari: ambiente, attività
economiche, attività lavorative, attività sportive, vita delle persone di montagna, sicurezza. Di fronte a una serie enorme di interessi, in un settore in cui si è creata una
massificazione della frequentazione delle montagne con finalità sportive, con risvolti anche economici e sociali sempre maggiori, era impellente la necessità di regolamentare i principi generali che devono essere alla base degli interessi in gioco fermo,
restando che l’art. 117 della Costituzione attribuisce alle Regioni il compito di legiferare in materia di trasporti, in materia di ordinamento sportivo, quindi, indirettamente, anche in materia di sport invernali. E così è avvenuto (anche se a volte, come ricordava l’avvocato Flick, in modo un po’ disordinato, caotico, in certe Regioni). Prima
della legge avevamo interventi legislativi regionali – basti pensare alla Lombardia dove c’è una legge dell’ottobre 2003 che è assai completa – che però non potevano occuparsi di alcuni aspetti e in particolare di quello principale : la responsabilità, sia dei
gestori, sia degli utenti, nell’ambito delle attività sportive in montagna. Per questo occorreva – anche perché la Costituzione attribuisce allo Stato unicamente il compito
di regolamentare l’ordinamento privato – un intervento da parte dello Stato stesso,
auspicato dal compianto collega Beria di Argentine sin dal 1994. Siamo, così, arrivati ad una legge che è facile dire che non è organica e che può essere migliorata o
essere integrata dalle Regioni, ma che è comunque un importante punto di partenza, un punto di riferimento essenziale, in una materia che, proprio per l’universo di interessi coinvolti, richiedeva una messa a punto.
Vediamo, quindi, di porre molto rapidamente dei paletti, definendo anzitutto qual è
l’ambito della legge.
L’ambito della legge è quello degli sport invernali da discesa e da fondo (quindi è
escluso l’alpinismo, ad esempio) e della pratica non agonistica degli sport invernali.
13
L’ambito di cui si occupa la legge è quello delle aree sciabili, laddove per area sciabile deve intendersi, come indicato all’art. 2 della legge (che è composta da ventidue
articoli), una superficie innevata anche artificialmente, comprensiva di piste e di impianti di risalita e di innevamento. Le aree sciabili, così come definite, sono individuabili dalle Regioni.
I beni e gli interessi che la legge vuole tutelare sono: la sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo, la sicurezza nella gestione delle aree sciabili, lo sviluppo economico delle località montane, l’ambiente. Questi sono i punti toccati dall’art. 1 della legge 363 del 24 dicembre 2003.
Per quanto riguarda la sicurezza nella gestione delle aree, dicevamo che anzitutto
spetta alle Regioni individuare le aree sciabili e quindi la legge non riguarda il cosiddetto “fuori pista”, che ha, comunque, una delimitazione indiretta, perché, nel momento in cui si parla di individuazione di aree sciabili, si pone il problema di una delimitazione di queste aree rispetto alle aree non sciabili. La questione è molto rilevante, perché c’è tutta una serie, sia di obblighi riguardanti la responsabilità verso terzi dei gestori
delle aree sciabili, sia di obblighi comportamentali dello sciatore per la sicurezza propria e di terzi che non interessa le cosiddette aree non sciabili, per cui occorre delimitare anche proprio spazialmente l’ambito entro cui si svolge l’attività sportiva.
All’interno delle aree sciabili, l’art. 2, commi 2, 3 e 4, impone la protezione delle piste e la loro separazione dalle piste riservate agli allenamenti di tipo agonistico per lo
sci e per lo snowboard. L’art. 2, comma 4, non impone la delimitazione di confini rispetto alle aree non sciabili, esso distingue tra aree per la pratica non agonistica e
aree per la pratica agonistica e pone un principio di delimitazione nella pratica con i
diversi attrezzi, che però non viene portata alle estreme conseguenze; è compito di
Regioni e Comuni valutare se è necessaria una maggiore delimitazione atta a riservare all’utilizzo di un certo attrezzo alcune aree piuttosto che altre.
Dicevamo che la sicurezza nella gestione delle aree sciabili comporta una serie di
obblighi per i gestori: l’obbligo di protezione degli utenti da ostacoli sulle piste con
adeguate segnalazioni di pericolo, l’obbligo di soccorso e di trasporto degli infortunati, l’obbligo di informare e raccogliere dati, anche a fini di studio e prevenzione, sugli incidenti e sulla dinamica che li ha determinati. Tali obblighi sono previsti dagli artt.
3 e 7 della legge. In particolare, l’art. 7 stabilisce che i gestori delle aree individuate
ai sensi dell’art. 2 provvedono all’ordinaria e straordinaria manutenzione, secondo
quanto stabilito dalle Regioni, delle aree stesse, curando che esse possiedano i necessari requisiti di sicurezza e che siano munite della prescritta segnaletica. Si impone poi l’obbligo di segnalazione delle cattive condizioni del fondo e addirittura l’obbligo, oltre che di rimozione dei pericoli cosiddetti atipici (valanghe, slavine, ecc.), anche di chiusura delle piste quando si prefigurino pericoli oggettivi che non possono
essere rimossi o eliminati; ancora, si impone l’obbligo di segnalazioni sullo stato delle piste in modo ben visibile al pubblico. A corona di questi obblighi imposti ai gestori, l’art. 4 obbliga gli stessi a stipulare un contratto di assicurazione ai fini della responsabilità civile per danni a utenti ed a terzi in relazione all’uso delle aree sciabili.
Quindi il meccanismo è questo: concessione al gestore, previsione di obblighi di
tipo generale – con possibilità di specificazione degli stessi da parte delle Regioni –
ulteriori rispetto a quelli indicati dalla legge, responsabilità del gestore rispetto a terzi che subiscono danni per effetto della violazione di queste regole e, conseguentemente, obbligo di assicurazione per il gestore a copertura dei rischi e dei danni verso terzi. La stipula dell’assicurazione condiziona il rilascio dell’autorizzazione al ge14
store; in caso di mancata stipula, l’autorizzazione può essere sospesa. Questo significa che c’è una copertura assicurativa del rischio per quanto riguarda i danni a
terzi derivanti dalla violazione di regole di protezione dei terzi, di manutenzione e di
sicurezza, da parte del gestore; dei terzi come utenti, ma anche dei terzi che accedono alle aree sciabili per le più svariate ragioni, quindi anche dei dipendenti.
Quanto detto riguarda la prima parte dell’aspetto sicurezza trattato dalla legge.
Poi c’è l’altro aspetto, quello che riguarda la responsabilità del gestore nei confronti dei terzi in relazione all’utilizzo degli impianti, cioè per i danni verificatisi durante il trasporto. Non ho tempo sufficiente per entrare nel dettaglio, però posso accennare di sfuggita a questa problematica, che è strettamente connessa a quella di cui
vi ho parlato prima.
In poche battute, il rapporto giuridico che si instaura tra l’utente o un terzo e il gestore o il concessionario di impianti, che trasporta l’utente o il terzo da valle a monte,
è basato su un contratto di trasporto; un contratto, si dice in diritto, che ha per contenuto un’obbligazione di risultato, non di mezzo, cioè: io mi impegno a trasportarti da
valle a monte in condizioni di sicurezza, tu, come creditore della prestazione, devi
soltanto metterci quel minimo di diligenza che serve ad evitare danni alla tua incolumità, non puoi, ad esempio, salire sull’autobus e metterti a ballare, anziché tenerti;
non puoi salire sulla seggiovia facendo delle acrobazie e sederti in modo improprio;
al di là di questo, tu hai diritto a farti trasportare in condizioni di sicurezza e se ti occorre un danno, tu hai diritto a essere risarcito provando il danno con i mezzi giuridicamente disponibili (consulenze, certificati medici, il biglietto pagato per essere trasportato), ma non sei tenuto a provare la colpa di chi ti ha trasportato. Dunque, è chi
ti ha trasportato che deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile, di avere osservato tutte le regole tecniche e comportamentali che presiedono a quel tipo di rapporto;
se chi ti ha trasportato non riesce a dimostrare che il danno si è verificato per causa
a lui non imputabile, cioè per fatto causato da terzi, magari dallo stesso trasportato,
o per un caso fortuito, per forza maggiore, per un evento imprevedibile, chi ti ha trasportato deve pagare.
La normativa dell’art. 1678 e seguenti del codice civile per i contratti di trasporto
aereo è stata applicata per molto tempo ai contratti cosiddetti di autotrasporto con
mezzi quali lo skilift, laddove non c’è un affidamento completo da parte del trasportato al vettore, ma ci deve essere la cooperazione del trasportato perché l’obbligazione arrivi a compimento. Molte elaborazioni giurisprudenziali hanno portato a individuare una normativa utilizzando lo strumento dei cosiddetti contratti atipici, cioè
quelli consentiti dal legislatore e dal codice civile all’art. 1322, che vengono normati,
per analogia, dalle regole che valgono per i contratti più vicini per materia e per oggetto, in particolare, in questo caso, i contratti di trasporto. Per prima cosa, quindi, si
è cercato di estendere la disciplina giuridica del contratto di trasporto aereo al contratto di autotrasporto, perché questo agevola la possibilità di tutela del rischio di danno da parte dell’utente, esonerando quest’ultimo dal provare la colpa del gestore. In
tale settore, al fine di tutelare l’utente, attraverso un minor carico probatorio, anche
per i danni occorsi sciando, andando in discesa, non più da valle a monte, ma da
monte a valle si sono cercate nuove soluzioni giuridiche. In altri termini, posto che se
l’utente dovesse finalmente arrivare sano e salvo in cima (e in Valle d’Aosta ci arriva
molto più sicuramente che in Francia, ad esempio, vista la modernità e la sorveglianza degli impianti di risalita) e se scendesse dall’impianto (skilift, seggiovia, funivia,
ovovia e quant’altro), cominciasse a sciare, poi cadesse a causa di una pietra o di un
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ostacolo non protetto e subisse un danno, che cosa dovrebbe fare, normalmente per
avere il risarcimento del danno? Dovrebbe dimostrare, se subisse un danno, il rapporto causale tra il danno subito e l’attività che stava compiendo, dovrebbe dimostrare (ai sensi dell’art. 2043 del codice civile, che obbliga colui il quale ha commesso un qualunque fatto dannoso o colposo a risarcire il danno a chi lo ha subito) la colpa del gestore e dire: ho fatto la fotografia di quella pietra in quel punto; oppure: ci sono i testimoni; oppure: io ho subito questo danno, ma tu avevi l’obbligo di proteggermi da quella pietra, che era visibile, bastava fare un normale controllo per vedere
quell’insidia, di conseguenza tu mi devi risarcire. Il problema è che nella pratica dello sci questa cosa è difficilissima, intanto perché la persona che si è fatta male, normalmente, se ha battuto la testa per effetto della caduta, non può certo mettersi a
raccogliere le prove di quello che è successo e pochi altri lo possono fare, anche perché le condizioni atmosferiche cambiano rapidamente, cambiano anche le condizioni del fondo, con l’innevamento, e le prove sono anche facilmente occultabili, come
avviene, lo sappiamo bene, in materie analoghe. Allora si è detto: molte volte, il vero
problema è dare una copertura imponendo al gestore un obbligo di sicurezza, un obbligo di garanzia, come si dice in termini giuridici, che riguardi anche il momento della discesa, ma senza che l’utente dimostri tutte le volte il danno subito; il trasportato
si può limitare a dimostrare di aver fatto un contratto di skipass, ad esempio, e di aver
subito un danno mentre stava adempiendo alla prestazione del contratto, cioè mentre scendeva, mentre il gestore deve dimostrare di avere fatto il possibile per assolvere all’obbligo di sicurezza e manutenzione.
Per evitare la pletora di richieste risarcitorie che, così procedendo, potrebbero nascere, perché non fare un passo in più nella sistemazione della normativa e prevedere che la copertura assicurativa valga anche in queste situazioni? Cioè, anche
reimpostando dal punto di vista teorico e giuridico l’obbligazione del gestore, prevedendo che la sua è obbligazione contrattuale anche nel momento della discesa e non
solo nel momento della salita, per cui eventuali danni possono trovare ristoro in
un’assicurazione, che potrebbe essere comodamente coperta attraverso un supplemento del biglietto o dello skipass, attraverso una frazione del biglietto.
Ma si è andati oltre, si è detto: se nella pratica dello sci il bene è quello della sicurezza dell’utente o dei terzi, allora c’è un problema di responsabilità per il rischio che
incombe sull’utente in caso di scontro con altri utenti; rischio che è aumentato enormemente per effetto, più che dell’incremento del numero dei praticanti, che, dopo un
boom iniziale, cresce ma è costante, per effetto dell’incremento dei praticanti sulle piste a causa del miglioramento delle condizioni tecniche degli impianti, che consentono uno smaltimento sulle piste dei praticanti, enorme. Poi c’è una pratica promiscua dello snowboard, con la pratica dello sci da discesa, e ci sono anche modifiche
degli attrezzi per cui si impongono curvature (penso al carving) che inducono a compiere evoluzioni particolari, quindi c’è, anche, la possibilità di scontrarsi con chi sta
scendendo e magari sta tenendo la distanza giusta, per cui, a volte, si creano situazioni di estremo pericolo, tant’è che se il numero degli incidenti non è aumentato, è
aumentato sicuramente il rischio.
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WALDEMARO FLICK
Mi sembra che lei abbia toccato alcuni punti fondamentali che ci portano proprio al
cuore del dibattito. Allora, nella speranza che il tempo sia sufficiente, poiché sono
previsti diversi interventi, mi piacerebbe fermare l’attenzione sul nocciolo del problema: il contratto di skipass.
FRANCO COZZI
Il praticante ha diritto ad una protezione propria, fermo restando che egli si assume un rischio, sciando, che non è eliminabile in modo assoluto, che trova una tutela
anzitutto in comportamenti propri che la legge gli impone. Ad esempio, l’art. 8 impone per i minori di quattordici anni, a partire dall’anno prossimo, l’obbligo del casco
omologato, pena il sequestro (che dispone l’autorità giudiziaria anche se non è
chiaro in quale tipo di procedimento).
Nella legge troviamo una serie di obblighi nei confronti dei terzi, conseguenti
all’adozione del cosiddetto Decalogo dello sciatore, cioè l’adozione in termini di normazione statale di regole comportamentali dello sciatore adottate dalla
Federazione Italiana Sci e Sport Invernali sin dal 1967. La legge ha, cioè, assunto
questo Decalogo agli articoli dal 9 al 18 come parametro per valutare se lo sciatore
è in colpa quando cagiona un danno ad altri, ma purtroppo non l’ha adottato alla lettera. Ad esempio, la legge dice che lo sciatore deve tenere una condotta che, in relazione alle caratteristiche della pista e alla situazione ambientale, non costituisca
pericolo per l’incolumità altrui. In ciò richiama il contenuto del punto 2 del Decalogo
dello sciatore, ma ignora completamente l’elemento della capacità, per cui, come rileva giustamente Maurizio Flick nella sua monografia, se io scio come un cane, scusate l’espressione, e vedo che la pista è in buone condizioni, è perfettamente battuta, che la giornata è stupenda, mi lancio a uovo sul campo da sci, faccio filotto con
tre o quattro sciatori, ne abbatto alcuni, ho pur sempre rispettato il parametro
dell’art. 9, che non richiede che la velocità sia adeguata alle capacità, come invece
prevede il punto 2 del Decalogo dello sciatore. La lacuna è incomprensibile tant’è
che alcune Regioni (mi auguro che lo faccia anche la Valle d’Aosta) integrano la
normativa con questo punto.
Il legislatore ha poi risolto la questione della difficoltà di provare la violazione di
una regola da parte dello sciatore che abbia causato danni con l’adozione di un principio applicabile in materia di circolazione stradale, quello del concorso di colpa,
cioè: nel caso di scontro tra sciatori, si presume, fino a prova contraria, che ciascuno
di essi abbia concorso ugualmente a produrre gli eventuali danni. Il legislatore ha,
cioè, adottato il principio del concorso di colpa, nonostante la giurisprudenza e la
Corte di Cassazione avessero rigettato l’applicabilità di questo principio alla materia
della responsabilità per i danni provocati tra sciatori o rispetto a terzi, o da terzi a sciatori, da terzi che non siano gestori. Questa questione è quasi più importante del contratto atipico, innominato, di skipass, di sci bianco, rispetto a cui c’è la difficoltà della
prova, perché là c’è comunque la copertura assicurativa prevista come obbligatoria.
L’art. 19 non contempla invece la copertura assicurativa della responsabilità degli
sciatori verso i terzi, questo è il punto. Oggi l’utente che ha la cosiddetta assicurazione del capofamiglia o per la responsabilità verso terzi sa che, se mentre scia vie17
ne coinvolto in un sinistro in cui non ha nessun tipo di colpa, ma che provoca dei danni enormi a un terzo, che quindi subisce un infortunio grave, se non riesce a superare la presunzione di responsabilità di cui all’art. 19, è tenuto a pagare la metà dei
danni sopportati dal danneggiato. La sua assicurazione lo copre. Se io sto fermo al
bordo della pista, come dice la legge, e un folle, vedendo la bella giornata, parte a uovo, mi viene addosso e, siccome io sono grosso, rimbalza e riporta un danno grave,
mentre io non riporto alcun danno, se io non riesco a dimostrare di non essere responsabile del danno (perché in quel momento non c’è nessuno, perché quelli che
ci sono non hanno nessuna voglia di testimoniare e io non posso raccogliere nessuna prova, tra l’altro facilmente cancellabile perché la pista cambia e via dicendo), risponderò, per effetto dell’art. 19, di metà del danno che lui ha riportato. Se non ho
copertura assicurativa (es. polizza del capofamiglia) dovrò pagare di tasca mia.
Questa è una lacuna gravissima a cui occorre immediatamente porre rimedio imponendo un obbligo assicurativo all’utente, perché rischia di innestare la fuga dalle responsabilità anche come omissione di soccorso – ancorché specificatamente punita
dal legislatore. Su questo richiamo l’attenzione degli autorevoli esponenti parlamentari, perché altrimenti si rischia di ripetere quello che succedeva in materia di circolazione stradale, quando non c’era l’assicurazione obbligatoria con un esplodere di
controversie e di litigiosità.
Un altro aspetto della legge merita di essere esaminato: i controlli. Chi controlla
che cosa? Tutti noi abbiamo sempre visto nella figura del maestro di sci un elemento di affidabilità e sicurezza, un po’ come quando vedo un carabiniere per la
strada, la cui presenza non mi dà problemi. Il maestro che fa il proprio dovere, mi
dà sicurezza, se non è invasivo, se controlla discretamente, con garbo, perché anche l’aumentare degli istinti aggressivi degli utenti, la maleducazione, per così dire, la capacità tecnica non adeguata alla velocità tenuta, portano a situazioni che
tutti possiamo constatare andando d’inverno sugli sci. Ci sono persone che usano
attrezzi convinti di poterli padroneggiare e invece non hanno nessuna capacità di
conduzione o comunque alla minima difficoltà dimostrano la loro incapacità di padroneggiarli. La legge individua perciò a ragione i maestri come soggetti che possono segnalare le infrazioni agli organi autorizzati a intervenire. Ma il problema è
che essi non hanno poteri coercitivi e anzi possono trovarsi in difficoltà perché facendo lezione a un altro soggetto, magari a un minore non possono certo abbandonarlo per mettersi a rilevare le infrazioni senza contare che non hanno un potere di constatazione e di verbalizzazione, ma solo un potere di segnalazione.
Questo è un altro punto su cui la legge deve intervenire. La legge deve individuare, cioè, delle altre figure che in certi Stati sono previste, autorizzate a rilevare le
infrazioni, magari, in prima battuta, con interventi di tipo ammonitorio, orale, prescrittivo, e questi soggetti possono essere oltre ai maestri, gli appartenenti a organismi di tipo in parte volontaristico in parte no, che possono fare un primo intervento. Come ci sono i guardiacaccia e i guardiapesca, così potrebbero esserci i
guardiasci, soggetti che hanno la possibilità di intervenire ma senza potere certificativo o autorizzativo, oppure muniti di tale potere in casi di recidiva da parte di
soggetti già segnalati per aver tenuto certi comportamenti e che si rendono ulteriormente pericolosi, segnalandoli all’organo di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria presente, carabinieri, guardia forestale, polizia municipale o quant’altro.
Questo potere potrebbe essere attribuito anche al personale dipendente addetto
agli impianti, almeno per quanto riguarda le violazioni che si verificano nei pressi
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degli impianti, per esempio nei casi di rissa per prendere lo skilift o la seggiovia; un
potere autorizzativo, non semplicemente bonario.
Questi sono tre punti che, secondo chi vi parla, occorre valutare in sede di modifica normativa: l’estensione del contratto di skipass, l’assicurazione rispetto ai danni
provocati tra utenti e terzi e, infine, l’individuazione dei compiti dei sorveglianti o delle figure di sorveglianza.
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WALDEMARO FLICK
Devo dire che il procuratore generale, anche se è stato interrotto da un avvocato
(un privilegio che mi sono attribuito in quest’aula, perché nella prassi giudiziale non
accade mai), non ha assolutamente obbedito. Il procuratore ha posto sul tavolo dei
problemi grossi, come il contratto di skipass, il casco, l’assicurazione, chi deve controllare.
Prima di dare la parola al presidente Lazzari, vorrei salutare la delegazione svizzera, il dottor Sartori e l’avvocato Stiffel, che sono stati tanto gentili da partire stamattina da Berna per presenziare al Convegno. Allo stesso modo, saluto con piacere la dottoressa Mineccia, che è qui in rappresentanza del procuratore generale
Caselli e che già dieci anni fa partecipò con noi, a Grado, ad un convegno che riguardava gli stessi temi. La dottoressa Mineccia ha, inoltre, chiesto di poter fare un
intervento; spero che alla fine sia possibile effettuare un ulteriore giro di conclusioni
dal tavolo degli oratori.
Credo che il senatore Rollandin, nella sua relazione di sintesi, abbia molte cose da
comunicarci in merito. In particolare, il senatore si è fatto carico di una questione molto importante, quella dei caschi, perché al momento manca ancora una procedura
d’omologazione di questi. Il senatore Rollandin è il presidente del Gruppo
Parlamentare Amici della Montagna e questo ci riporta un po’ a quello che io dicevo
nella mia relazione introduttiva: qui si tratta, davvero, di amici che si vedono per amore della montagna.
Ora ascolteremo un altro amico: Sandro Lazzari, presidente dell’Associazione
Nazionale degli Esercenti Funiviari, che ci ha raggiunto da Selva Val Gardena. Con
Lazzari io lavoro da dieci anni. Ricordo con amicizia un violento dibattito tenutosi a
Modena dove io, da un lato, già sostenevo il contratto di skipass, mentre lui, dall’altro, sosteneva invece tesi opposte. Riconosco che del presidente Lazzari io ho sempre apprezzato l’equilibrio, l’attenzione e la curiosità. Prima ricordavo il convegno
che avevamo organizzato con la dottoressa Mineccia e con i suoi associati. Ricordo
che i partecipanti non erano sulla stessa linea. La fatica sta proprio nel portare avanti un dialogo. Poi, col passare del tempo, siamo diventati amici. Ogni anno Lazzari mi
invita all’assemblea che l’Associazione tiene in posti sempre impervi, per me difficilmente raggiungibili, ma non nascondo che mi sobbarco volentieri questo impegno.
Io, d’altro canto, ho detto a Lazzari che se non fosse venuto ad Aosta, non sarei più
andato alla loro assemblea annuale.
Mi hai risposto davvero con un gesto di amicizia presenziando al Convegno. Ti dò
la parola.
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LA VOCE DEGLI IMPRENDITORI
SANDRO LAZZARI
presidente dell’Associazione Nazionale
Esercenti Funivie - ANEF
Ringrazio l’avvocato Flick per le sue parole e la Fondazione Courmayeur per la
Collana giuridica che sta realizzando e che l’avvocato Flick gentilmente mi trasmette, dotandomi di una documentazione giuridica che difficilmente un esercente funiviario ha.
Mi accingo qui, in poco tempo, ad esprimere l’opinione dell’esercente degli impianti di risalita.
Il procuratore generale Cozzi ha posto sul tappeto tanti problemi ai quali mi piacerebbe rispondere, perché sono proprio il pane quotidiano della nostra attività, quindi,
avvocato Flick, non per chiederti più tempo, però talune risposte vorrei riuscire a darle.
Intanto vorrei dire che la legge 363 è la prima legge nazionale emanata in materia, non solo in Italia, ma anche in Europa; nessun altro stato europeo ha una legge
del genere. Questa legge si sovrappone a leggi regionali.
Le piste da sci sono state definite da tanti, purtroppo anche da addetti ai lavori, come un Far West, al contrario degli impianti di risalita. Ciò non è affatto vero: gli impianti
di risalita sono stati disciplinati in maniera molto organica e completa con una normativa additata a modello, le piste da sci da leggi emanate da quasi tutte le Regioni. Dico
quasi perché alcune, per esempio il Piemonte, lo stanno facendo solo adesso. Il settore, comunque, è sempre stato sotto controllo. Il fatto di emanare una specie di legge quadro (non propriamente una legge quadro, comunque a carattere nazionale) effettivamente dovrebbe eliminare talune difformità. L’ipotesi di arrivare ad una normativa europea, però, come ha detto anche Caveri, la ritengo abbastanza remota, soprattutto perché gli stranieri non ne sentono il bisogno, ritengono di poterne fare tranquillamente a meno, di potersi disciplinare in un’altra maniera, con commissioni varie,
intese, accordi, normative di riferimento. C’è, anche, da dire che generalmente
all’estero sono meno garantisti che in Italia, cioè chi svolge una certa attività deve sapere di svolgerla a proprio rischio e pericolo, di avere anch’egli delle responsabilità. In
Italia tendiamo, più che altro, a cercare altri responsabili, quando non viene impedito
di fare una determinata cosa. Questo sistema a noi dà una certa preoccupazione.
La legge 363 esce, anche, sull’onda di una campagna informativa che parla di aumento del numero degli incidenti, ma questo non è vero. Anche nella presentazione
di questo Convegno leggo “il purtroppo sempre costante aumento degli incidenti in
montagna”. Proprio in Valle d’Aosta esistono statistiche che dicono che gli incidenti
sono in lenta diminuzione, mentre è aumentata l’enfasi con cui si riportano i casi di
incidente. Quando si parla di morti, si considerano anche i morti da valanga, ma questi non sono morti in pista, sono morti in montagna, cosa comunque dolorosa; però
non è disciplinando le piste da sci che si evitano i morti in montagna.
La legge lascia alle Regioni tutte le competenze che esse avevano prima, naturalmente, ma a maggior ragione la modifica dell’art. 5 ne aggiunge delle altre. Non si
poteva fare diversamente, altrimenti non ci sarebbe stata l’accettazione da parte della Conferenza Stato Regioni.
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Alcune previsioni della legge, soprattutto agli artt. 3 e 4, ci lasciano molto perplessi (ne ha parlato diffusamente il procuratore Cozzi). L’interpretazione di quanto previsto, cioè, ha creato in poco tempo molta discussione soprattutto su un punto: la
possibilità di esistenza o meno dell’inversione dell’onere della prova.
Io non sono un giurista e sono qui per ascoltare con preoccupazione quello che
viene detto, perché, come esercenti, le cose a noi arrivano sopra la testa... Ma staremo a vedere. Manca ancora una giurisprudenza in materia. Effettivamente, non
sappiamo ancora se c’è una responsabilità oggettiva condivisa o meno, oppure se
c’è solo una presunzione di responsabilità e, quindi, l’onere della prova è tutto da discutere di chi sia. Vedremo come si assesterà la giurisprudenza.
Noi, come esercenti e come gestori (che normalmente sono anche gli esercenti
degli impianti di risalita), ci siamo dichiarati favorevoli all’uscita della legge, perché
abbiamo visto che essa, tutto sommato, è stata fatta per gestire il settore, più che per
ostacolarlo, per farlo vivere; abbiamo trovato, cioè, anche tanti elementi positivi per
la nostra attività. Diverse proposte di legge erano presenti anche nella legislatura
precedente e poi sono state riprese dalla Commissione. Alcune previsioni erano terrificanti, per esempio: lo sciatore doveva essere protetto contro il rischio di cadute.
Questo dimostra che chi ha steso queste proposte forse capiva poco di sci.
Comunque, non desidero certo addentrarmi in problemi giuridici.
Dal punto di vista pratico, l’individuazione delle aree sciabili compete alle Regioni
e ovviamente si fa riferimento ai piani regolatori e ai piani urbanistici. Questa competenza locale ci va bene; ci va bene che queste cose siano stabilite in loco, non solamente per il principio di sussidiarietà, ma perché è logico che sia così.
Ci rendiamo conto, al di là delle disquisizioni giuridiche, di quali sono i nostri obblighi e i nostri doveri, che affrontiamo senza paura, però abbiamo bisogno di riferimenti. I riferimenti li troviamo nelle leggi e nei regolamenti regionali.
Forse vale la pena di ricordare che cosa implica costruire una pista da sci. C’è una
procedura molto complessa, perché c’è un’istruttoria precisa. Ogni Regione ha una
procedura diversa, però, tutto sommato, la matrice è la stessa. Ci sono tanti passaggi: si parte da un progetto, il progetto viene analizzato, si emettono le prescrizioni sul
progetto, si verifica il lavoro, si fa una ricognizione dell’opera finita, si pongono ulteriori prescrizioni, infine si ottiene l’autorizzazione all’apertura con le prescrizioni di
esercizio. Questo vuol dire che il lavoro viene fatto secondo determinate regole e viene controllato. Alla fine c’è anche chi dice: ecco, adesso puoi aprire... È qui presente la delegazione svizzera, che sa quante volte ci troviamo per discutere e scambiarci le nostre esperienze. Questo ha portato all’evoluzione di quelle che vengono
definite buone tecniche di gestione, cioè le buone norme tecniche, quelle a cui poi si
fa riferimento in tutti i settori: quando non c’è una normativa precisa, si fa riferimento
alle buone tecniche di gestione. Noi le abbiamo costruite con l’esperienza ed esse
sono state riprese nei regolamenti. Questo ci va molto bene.
A questo punto, noi riteniamo che, dopo la realizzazione di una pista nel rispetto
della procedura, il buon mantenimento della stessa debba costituire anch’esso un
elemento di giudizio. Se ci viene a mancare questa certezza, se ci viene detto “comunque sia, siete responsabili di tutto quello che succede”, noi non sappiamo più
che cosa fare. Noi teniamo particolarmente al fatto che venga riconosciuto il principio secondo cui, se costruiamo una pista in una certa maniera, è perché ce lo impone il regolamento, quindi, se qualcuno si fa male ugualmente... D’accordo, ci spiace
molto, però quello che noi potevamo fare l’abbiamo fatto. Infatti, vorrei sapere che
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cosa vuol dire che noi dobbiamo dimostrare di “avere fatto il possibile”. Che cosa significa avere fatto il possibile? Io vorrei un riferimento. Il riferimento sono i regolamenti? È il modo di comportarsi? È l’approvazione... Bene, che sia quella, però ci deve essere un riferimento. Io non posso sentirmi dire che, malgrado tutto, una persona si è fatta male e quindi io ne sono responsabile. Cos’altro avrei dovuto fare?
Tenere chiusa la pista? Non è questo l’intendimento, perché, ripeto, anche la legge
è stata fatta per far muovere il settore.
Si diceva prima che c’è maggiore sicurezza in Italia che in Francia. Sì, è un fatto,
noi proteggiamo molto di più. Se questo sia un vantaggio o uno svantaggio... Dal nostro punto di vista, noi diciamo che è più comodo gestire in sicurezza, con delle protezioni... Io metto un materasso o una rete e sono tranquillo, però creo un maggior
senso di fiducia nella clientela, che poi ne approfitta. Per questo motivo, noi vediamo
bene il fatto che nella legge sia prevista la responsabilità dello sciatore. Porre delle
norme di comportamento vuol dire che la responsabilità individuale, anche sulle piste
da sci, non deve mancare. Prima si faceva riferimento alla responsabilità individuale,
cioè alle regole di comportamento dello sciatore contenute in qualche regolamento,
ma l’avere posto queste regole in una legge, secondo noi, è stato un atto rafforzativo.
Un certo risultato l’abbiamo visto: da quando è uscita la legge, lo sciatore comincia a
pensare di dover stare attento a quello che fa perché n’è responsabile.
Anche l’accenno fatto dal procuratore Cozzi alla differenza tra trasporto tramite
impianti di funivia o seggiovia e trasporto in sciovia, secondo me, deve riguardare la
pista: se chi è trasportato dallo skilift deve esplicare la propria abilità per stare in piedi perché noi gli diamo la trazione, ma non gli diamo l’equilibrio, a maggior ragione il
discorso deve valere in pista.
Ripeto, noi riteniamo fondamentale il richiamo alla responsabilità individuale. Il
procuratore Cozzi ha detto che mancano determinate previsioni. In effetti, si sono
scatenate subito le polemiche: manca il riferimento alla capacità dello sciatore quando scende, alla velocità..., eccetera. È vero, prima però non c’era nulla, tanto è vero
che la magistratura lavorava, in mancanza di una previsione normativa, sugli usi e
costumi e sul Decalogo FIS, che non ha mai assunto un valore legale, ma solo un valore di riferimento. Gli usi, i costumi, il Decalogo FIS, però, ci sono ancora.
Per quanto riguarda il casco, è chiaro che noi non siamo mai stati contrari all’uso
del casco in senso assoluto, quello che ci preoccupa è la differenza di trattamento in
l’Italia e negli altri stati. Lo sciatore è sempre lo stesso, scia in Italia, scia in Francia,
scia in Svizzera, quindi ci si deve sforzare di arrivare ad una segnaletica unificata.
Nella legge si dice che è il ministero che stabilisce la segnaletica, ma per fortuna c’è
il richiamo all’UNI, l’Ente Nazionale Italiano di Unificazione collegato al CEN, Centre
Européen de Normalisation, per cui abbiamo una certa garanzia che la segnaletica
sia studiata su base internazionale, altrimenti lo sciatore straniero che arriva in Italia
vede i cartelli e non è capace di leggerli, quindi i cartelli diventano controproducenti.
In materia di responsabilità, quando sento parlare del contratto di skipass, di assicurazione, eccetera, mi preoccupo parecchio. È chiaro che noi dobbiamo gestire la
pista in determinate condizioni, se sbagliamo, se lasciamo dei pericoli atipici, degli
ostacoli in mezzo alla pista, oppure se la pista strutturalmente viene modificata rispetto a com’era all’inizio, per cui non ha più le medesime caratteristiche, la responsabilità è nostra, quindi dobbiamo essere assicurati anche per la pista, come lo siamo per gli impianti di risalita, altrimenti se non abbiamo la copertura assicurativa, non
ci lasciano aprire l’esercizio.
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La questione della copertura assicurativa di chi svolge attività sciistica, da inserire addirittura negli skipass, ci vede decisamente contrari, non perché noi non vogliamo che la gente sia assicurata, noi desideriamo che la gente sia assicurata, come in
tutti gli altri campi, però l’assicurazione principe è quella del capofamiglia, perché lo
sci non è l’unica occasione in cui una persona può causare un danno a un’altra...
Pensiamo alla bicicletta, ai parchi dove vanno i bambini. Da bambino, a Milano, io andavo al Parco Sempione in bicicletta insieme a tanti altri bambini e lì gli scontri in bicicletta causavano delle cadute, con strilli, pianti e cose del genere... Il pericolo che
un bambino travolga un altro bambino c’è ed è forte, perché, se un bambino cade e
pesta la testa, può avere delle conseguenze notevoli. Quindi, secondo me, l’idea di
una polizza assicurativa dovrebbe essere nel DNA della gente...
....(Interruzione: ... l’incidenza del rischio...)...
Esatto, l’incidenza del rischio nello sci non è così alta. Non c’è un aumento degli
incidenti, la percentuale di scontri fra sciatori è intorno al 6%-8%, sul totale degli incidenti, cioè su cento incidenti solo tra i sei e gli otto sono causati da scontri fra sciatori. Teniamo presente, comunque, che gli italiani tante volte sono assicurati, soprattutto lo sono gli stranieri. Noi affiancheremo (in alcune zone questa cosa è già stata
fatta e tenderemo ad estenderla sempre di più) la proposta di un’assicurazione complementare allo skipass, però facoltativa, non inserita nel prezzo dello skipass, altrimenti si potrebbe creare una sovrapposizione di assicurazioni (se io sono già assicurato, è inutile che mi assicuri un’altra volta), soprattutto ci sarebbe un aumento di
prezzo, perché è anche una questione di filosofia: se vogliamo maggiori servizi, dobbiamo essere disposti a pagarli. Se lo skipass costasse di più, si innescherebbe tutta la problematica della concorrenza, della presenza sul mercato, ecc. C’è, poi, un discorso di abuso. Per fare solo un esempio, nel Dolomiti Superski, vent’anni fa, noi
avevamo inserito un’assicurazione contro l’infortunio (la nostra offerta non era una
Rc, perché allora gli scontri c’erano, ma non se ne parlava così tanto come oggi; la
campagna di informazione nel campo dello sci è, oggi, un po’ faziosa). Avevamo detto: se lo sciatore si fa male, noi gli paghiamo le prime spese mediche, il pronto soccorso, la prima radiografia. Per due anni o forse tre fu un grande successo, poi la cosa divenne impossibile: uno si stancava di sciare, si faceva male a una spalla e allora... radiografia, visita medica, certificato medico, rimborso dello skipass. Per ogni
infortunio il rimborso era il massimo (cinquecentomila lire, che allora erano tante).
Abbiamo fatto la fortuna di tutti i medici del circondario. Quindi abbiamo dovuto rinunciare, perché il costo era insostenibile e l’abuso era estremo. Non riusciamo
neanche a capire perché in tutti i settori dell’attività umana ci sia questo rischio, cioè
il rischio di provocare danni ad altri, che a volte viene considerato anche come un rischio sociale... Perché nello sci ci si deve arrangiare da soli e negli altri settori no?
Ripeto, secondo le statistiche, allo sci non spetta il primato del rischio, assolutamente no, quindi non capisco perché caricarlo di un ulteriore gravame.
Vorrei dire ancora una cosa. Tante persone fanno scialpinismo e poi scendono in
pista e queste persone non hanno il biglietto. Lo skipass non è l’unica forma di biglietto, c’è anche il biglietto per la corsa singola. Maggioriamo anche quello con l’assicurazione? Se noi dobbiamo essere responsabili di qualunque cosa succede, non
si finisce più.
Ci preoccupa molto la questione dell’inversione dell’onere della prova e addirittura il fatto di mettere in un contratto... L’assicurazione è molto utile, se fatta bene, altrimenti è diseducativa, perché alla fine, se succede qualcosa, di chi è la colpa? La
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colpa è di chi può pagare? No, la colpa è di chi ha commesso il fatto, non di chi ha
una copertura assicurativa tale per cui si accontentano tutti, perché anche i premi assicurativi aumentano con l’abuso e alla fine tutto questo diventa un costo.
Una cosa positiva che vediamo è il finanziamento che si vuole dare per l’educazione. In ogni attività umana il fattore educazione e informazione sono importanti. Se
noi vogliamo che tutto giri, bisogna che la gente sia consapevole. Non so quanti soldi arriveranno e come li spenderemo, però mi pare che siano già stati distribuiti dei
fondi alle Regioni.
Un’altra cosa estremamente importante è la considerazione dell’innevamento artificiale come fattore di sicurezza dello sciatore, perché il buon innevamento è garanzia di buona sciabilità. Premetto che sulle piste affollate si verificano meno incidenti, perché la gente è più prudente, gli incidenti più gravi si verificano in condizioni
ottimali, con piste sgombre e tempo bellissimo. Questa cosa sembra contraria alla logica, però sono le statistiche che lo dicono. Inoltre, mi pare che con l’innevamento artificiale, dal punto di vista economico, si sia riusciti a salvaguardare tanti posti di lavoro, quindi credo che l’innevamento artificiale meriti effettivamente il giusto riconoscimento.
Per quanto riguarda i controlli, i controlli vanno fatti, però la mia speranza è che gli
sciatori siano capaci di rispettare le norme che li riguardano, perché lo sci deve continuare ad essere fonte di svago; quindi mi auguro che i controlli e le sanzioni ci siano e servano effettivamente a scoraggiare certi comportamenti, ma senza intenti persecutori, perché lo sci è gioia, salute, divertimento, e tale deve restare.
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WALDEMARO FLICK
Grazie perché sei stato perfettamente nei tempi e hai detto tutto quello che volevi
dire. Una piccolissima replica su un punto: forse non è aumentato il numero di incidenti in generale, ma sono aumentati gli incidenti più gravi.
Abbiamo detto che è più sicuro sciare in Italia che in Francia, però la Francia ci supera in materia di assicurazione, perché oltralpe non è presente un’assicurazione
obbligatoria, il sistema assicurativo francese prevede che in tutte le polizze anche
immobiliari (perché in Francia i cespiti devono essere assicurati) sia compresa l’assicurazione per il capofamiglia e di conseguenza comprende anche lo sci. Un sistema analogo potrebbe valere anche da noi.
Mi sembra arrivato il momento di sentire due operatori che non stanno seduti, ma
che al contrario vivono sulle piste: il maestro Blandino e il maestro Rota. Il maestro
Blandino è presidente del Collegio nazionale dei maestri di sci, il maestro Rota ha
due cappelli, quello di maestro di sci e quello di amministratore delegato della
Società Funivie Monte Bianco.
26
IL MAESTRO DI SCI
SAVERIO BLANDINO
già presidente del Collegio nazionale dei
maestri di sci
Il tema assegnato concerne genericamente “il maestro di sci” e oggi si potrebbero
dire davvero tante cose al riguardo, vista la copiosa legislazione vigente e la notevole giurisprudenza sia civile che penale ed amministrativa.
Occorre ricordare che la figura del maestro di sci, ancora oggi, è l’unica disciplinata con legge di Stato assieme alle guide alpine ed agli assistenti bagnanti.
Per non essere questo solo un intervento generico, cerco, quindi, di creare una linea d’unione tra il tema sempre più importante della sicurezza in montagna e la legge sul maestro di sci, in particolare quella della Valle d’Aosta, dal momento che è la
Regione che ospita questo Convegno.
La professione del maestro di sci in Italia è regolata da due leggi in particolare: una legge statale che ha dato alcune indicazioni di massima che tutti devono rispettare ed una
legge regionale che ha recepito le indicazioni di massima della legge statale e poi ha aggiunto altre norme per disciplinare la professione adeguandola al proprio territorio.
Ogni Regione ha, quindi, un proprio collegio ed una propria legge, salvo alcune realtà
marginali dove alla legge regionale non è seguita poi la costituzione del collegio.
Se il maestro di sci intende trasferirsi da un collegio ad un altro occorre osservare
alcune regole.
Se il maestro di sci intende trasferirsi da uno Stato ad un altro occorre rispettare
altre regole.
Esistono, quindi, delle regole contenute in precise norme di legge a cui occorre fare riferimento sia nei rapporti interni che nei rapporti con l’estero. Ricordiamo in particolare 4 leggi:
– legge 08/03/1991 n.81
– I.r. Valle d’Aosta 44/99 e succo modif. l’ultima con legge reg. del 2001
– dir. 92/51/CEE 18/06/1992
– d.l.g.s. 02/05/1994 n.319
Vi sono alcune Regioni in Italia, e la Valle d’Aosta è una di queste, in cui è particolarmente attiva la migrazione di operatori dall’estero, intendendo per operatori sia
le organizzazioni dei tour operator sia il personale tecnico di cui queste organizzazioni si avvalgono.
Siamo, quindi, in tema di rapporti con l’estero e quindi tutti i soggetti, coinvolti, dagli Enti Locali ai maestri di sci, sono chiamati a rispettare quelle che sono le norme
stabilite.
Il Trattato sull’Unione Europea, prevede due norme per regolare i rapporti con
l’estero: il diritto di stabilimento e la libera prestazione di servizi; il primo è relativo alla permanenza fissa e definitiva di un professionista sul territorio, il secondo riguarda una sua presenza solo temporanea; nel mezzo si verifica poi praticamente il caso della prestazione saltuaria (si pensi al maestro che accompagna giornalmente un
gruppo di allievi tra stazioni limitrofi in Paesi confinanti).
Per quanto riguarda il diritto di stabilimento, cioè la presenza fissa, costante e per27
durante nel tempo di un maestro di sci estero in Italia, occorre il riconoscimento del
proprio titolo attraverso una procedura ben definita dal d.lgs. 319/94, con la conseguenza che, a riconoscimento avvenuto, il maestro di sci estero per poter esercitare
in Italia deve iscriversi obbligatoriamente all’albo del collegio regionale: la qualità
professionale e la conoscenza delle procedure di sicurezza almeno minimali da parte del maestro di sci estero, in questo caso viene, quindi, garantita dall’iscrizione
all’albo su cui il collegio ha l’onere di vigilare.
L’attività temporanea (o libera prestazione di servizi) è intermedia tra lo stabilimento e l’attività saltuaria ed è una attività che pur avendo le caratteristiche di una
certa continuità e la necessità di un programma temporale perché possa dare risultato, viene svolta per un tempo breve e transitorio; è il caso del maestro di sci straniero che insegna ad un gruppo di allievi nell’ambito di una offerta settimanale di servizi proposti ad esempio dal tour operator o da una scuola di sci.
L’attività temporanea in Italia non è ancora a tutt’oggi disciplinata a livello statale,
nel senso che, nonostante vari tentativi fatti, l’istituto della libera prestazione di servizi non è ancora regolamentato.
Però, la legge statale rinvia alla potestà legislativa delle Regioni le quali possono
a loro volta regolamentare l’attività temporanea del maestro di sci proveniente
dall’estero e qualcuna lo ha fatto o lo sta facendo.
Proprio la Valle d’Aosta con la proposizione del recente disegno di legge regionale n. 39 ha ritenuto di meglio regolamentare il settore ed ha meritevolmente inteso
farlo in due direzioni: quella praticamente obbligata di dover adeguare alcune norme
non più coerenti della attuale l.l. 44/99 alle vigenti norme statali e di derivazione comunitaria, e quella di voler disciplinare con modalità pratiche l’esercizio dell’attività
da parte di soggetti stranieri in possesso di un titolo non equivalente a quello italiano,
pur senza perdere le opportunità turistiche che accompagnano l’offerta dei tour operator stranieri.
Solo in questo senso, infatti, va intesa la volontà del legislatore regionale, ossia
non quella di erigere barriere protezionistiche a favore di questa o quella categoria
professionale o imprenditoriale (barriere che, oltre che illegittime, potrebbero essere
anche un danno per l’economia della Regione), ma quella di fornire garanzia di adeguata sicurezza e conoscenza della montagna verso chiunque si rivolga ad un professionista proveniente dall’estero.
Il disegno di legge ha subito alcune variazioni dalla sua prima stesura, e trovo molto opportuno l’emendamento al comma 4 di quello che sarebbe il nuovo art.7 bis là
dove dispone che qualora dovessero risultare tra la formazione professionale del
maestro di sci estero e quello italiano, delle differenze sostanziali “consistenti nel difetto di conoscenze essenziali funzionali alla salvaguardia della sicurezza dei clienti”
allora verrebbero applicate misure compensative dalla Regione e dal Collegio.
È una previsione, questa, indispensabile e conferma proprio l’intento della Regione
e del Collegio a voler previamente constatare che il maestro di sci proveniente
dall’estero sia in grado di effettuare quanto necessario ad evitare il manifestarsi di un
incidente attraverso una puntuale capacità a riconoscere il rischio e, qualora l’incidente dovesse malauguratamente verificarsi, sia in grado di mettere in atto rapidamente e precisamente tutte le misure di sicurezza previste.
Solo in questo modo viene garantita la salvaguardia degli utenti e non pare verosimile che una legislazione regionale attenta non preveda una disposizione in tal
senso nei confronti di chi, proveniendo dall’estero, esercita in Italia una attività pro28
fessionale a rischio, tenendo, inoltre, bene presenti le conseguenze che derivano sia
in termini di risorse economiche necessarie per la gestione di un incidente sia in termini di responsabilità personale ed oggettiva.
WALDEMARO FLICK
Grazie Saverio. In questa osmosi tra giudici, avvocati e maestri, voi diventerete
avvocati, mentre noi ci accontenteremmo di diventare buoni sciatori anziché maestri
(livello al quale non possiamo neanche aspirare). Io ricordo i primi convegni, dove
c’erano momenti, più che di polemica, di incomprensione. Quindi ho apprezzato particolarmente il tuo intervento, Saverio, perché hai saldato dei punti molto importanti.
Adesso do la parola al maestro Rota, che, oltre ad essere maestro, è anche imprenditore, quindi sarà interessante sentire come concilia le due funzioni e che cosa
propone.
29
IL MAESTRO DI SCI
ROBERTO ROTA
maestro di sci; amministratore delegato
Funivie Monte Bianco S.p.A.
Innanzitutto vorrei ringraziare la Fondazione Courmayeur per il lavoro svolto in
questi dieci anni in un campo sicuramente importante.
Credo che le ultime parole di Lazzari e le stesse parole che ha usato Blandino
all’inizio del proprio intervento siano fondamentali: lo sci deve essere divertimento,
quindi non possiamo imporre troppe regole. Lo sci è divertimento, ma siccome per
sciare ci dobbiamo muovere ad una velocità superiore a quella che usiamo normalmente per camminare, sicuramente presenta dei rischi. Questa auto-assunzione di
rischio da parte dello sciatore è fondamentale, perché, soprattutto negli ultimi anni,
abbiamo visto un continuo aumento delle denunce e delle richieste di risarcimento
danni nei confronti dei maestri di sci, che purtroppo non possono eliminare il fattore
rischio.
Mi fa piacere sentir dire al dottor Cozzi che la vista del maestro di sci sulla pista lo
tranquillizza. Ogni tanto, però, ci arrivano delle denunce assurde (io sono stato direttore della scuola di Courmayeur per molti anni) di qualcuno che dice, per esempio:
“alla quinta ora di lezione eravamo su un terreno facilissimo e il maestro, sciando
all’indietro, ha fatto una curva troppo veloce, io mi sono spaventata e sono caduta,
quindi il responsabile è il maestro”. Bisogna capire che sciando ci si può fare male, a
volte sciando velocemente, ma anche andando molto lentamente, perché le persone non sempre sono preparate fisicamente.
Venendo alla legge 363, vorrei occuparmi delle norme di comportamento degli
utenti, perché poi il maestro di sci è la figura più vicina all’utente.
Un compito fondamentale che deve assumersi la categoria, credo, sia quello di
educare, cosa che forse negli ultimi anni non è stata fatta in modo adeguato.
Tecnicamente, il livello degli sciatori è cresciuto molto, per la qualità sia delle attrezzature sia dell’insegnamento del maestro italiano, però spesso si tralascia l’aspetto
delle norme di comportamento, che ora sono state inserite nella legge e che bene o
male sono norme di comportamento già esistenti, che però non vengono, quasi mai,
trasmesse all’allievo.
Dove il maestro di sci viene chiamato in causa in modo un po’ anomalo è nella funzione di controllore. Qui credo che la legge debba essere rivista, in qualche modo,
perché il maestro di sci, giustamente, non ha le competenze per esercitare una funzione di controllo, oltre a non avere le competenze non ne ha probabilmente nemmeno il tempo, perché, se sta facendo lezione, non può fermarsi, a maggior ragione
se sta insegnando ad un minore (e ormai nell’ottanta per cento dei casi ci si trova in
questa situazione). Seconda difficoltà risulta essere l’individuazione dello sciatore
che sta andando ad una velocità pericolosa (??); i casi in cui è evidente che uno sciatore sta andando a una velocità tale da mettere a repentaglio l’incolumità propria o
quella di altri sciatori sono rari. Io ho spesso discussioni anche con mia moglie su
questa questione della velocità e sulla distanza di sicurezza che si deve mantenere
dagli altri sciatori. È un fatto molto soggettivo: lo sciatore principiante s’impaurisce
31
quando qualcuno passa a tre metri di distanza, mentre per uno sciatore bravo tre metri di distanza rappresentano uno spazio sufficiente per consentire reazioni atte ad
evitare ostacoli imprevisti. Se stabiliamo che la distanza di sicurezza deve essere di
dieci metri, ahimè, di sciatori in pista ne mettiamo pochi. Queste cose, quindi, sono
difficili da codificare.
Un’altra cosa sulla quale la legge ha sollevato polemiche, quando è uscita (ma le
solleva ancora oggi), riguarda l’uso obbligatorio del casco. L’uso obbligatorio del casco, come tutto ciò che è obbligatorio, mi vede molto perplesso, soprattutto perché
sarà obbligatorio per tutti coloro i quali hanno meno di quattordici anni. Penso ad un
campo scuola, ai tappeti che vanno oggi di moda, a velocità minime in giornate di primavera, a marzo, quando ci sono quindici gradi, e vedo i bambini con il casco in testa..., li vedo veramente male, completamente sudati, con questi caschi che gli danno un fastidio enorme, ma il maestro di sci sicuramente non gli dirà “toglietevelo”,
perché, nel momento in cui gli viene affidato un bambino, ne diventa responsabile.
Questa situazione non giova a nessuno. Io credo che l’educazione sia più importante e che si debba lasciare ai singoli sciatori la decisione di usare o meno il casco.
Ormai vediamo che il novanta per cento dei bambini lo usa, però durante i primi passi, ad esempio, ritengo che il casco sia un po’ una forzatura.
Concordo pienamente con il dottor Lazzari per quanto riguarda l’inclusione di
un’assicurazione obbligatoria in un contratto. L’Associazione valdostana dei maestri
di sci alcuni anni fa ha sperimentato, com’è avvenuto per gli impianti a fune, la vendita della lezione comprensiva di un’assicurazione a copertura delle prime spese e il
risultato è stato identico a quello avuto dagli impiantisti: il primo anno la cosa è stata
apprezzata, poi c’è stato un aumento di denuncie d’infortuni durante le lezioni, (perché chiaramente i massimali non potevano essere eccessivi, altrimenti i costi sarebbero esplosi), c’è stato un aumento di richieste di risarcimento danni per responsabilità civile del maestro di sci incredibile, quindi questa esperienza è stata portata
avanti per tre anni e poi è stata chiusa. Anche qui, ci sono le assicurazioni facoltative e chi vuole le stipula con i massimali che preferisce, però il rendere obbligatoria
l’inclusione di un’assicurazione in un contratto è estremamente oneroso e diseducativo, perché si alimentano abusi incontrollati e incontrollabili.
Per quanto riguarda la possibilità di conciliare la funzione del maestro di sci e quella dell’imprenditore, io credo che non ci siano delle grosse differenze di posizione, le
posizioni sono molto simili. Io mi occupo di una società d’impianti a fune per il fuori
pista, quindi la situazione è un po’ anomala, ma credo che le due categorie sul campo si confrontino costantemente, che i problemi vengano risolti, nel novanta per cento dei casi, di comune accordo. In effetti, lo scetticismo su alcune problematiche sollevate dalla legge è lo stesso.
Un aspetto positivo della legge è sicuramente quello di essere riusciti a dare
uniformità a tutte quelle che sono le indicazioni dirette agli sciatori. Questo è sicuramente importante. Lo sciatore arriva, prende una cartina ed è immediatamente in
grado di stabilire il livello della pista, quindi tutti avranno le piste rosse fatte in un certo modo e in base alle loro capacità potranno scegliere liberamente di percorrere o
meno una certa pista in base alle proprie capacità o al grado di difficoltà che intende
affrontare. Ci sono luoghi nel continente americano dove lo sciatore deve avere una
patente e dove i maestri dicono “tu puoi andare sulla pista rossa, tu puoi andare anche sulla nera”, ma io spero che da noi non si arrivi a questo perché sarebbe un po’
esagerato, però ritengo che sia estremamente positivo il fatto di poter dare imme32
diatamente all’utente, che non conosce il territorio, delle indicazioni chiare ed uniformi, in modo che chi va sulle Dolomiti e poi viene in Valle d’Aosta non si trovi spiazzato nel leggere la cartina.
Ripeto, per quanto riguarda le norme di comportamento, sarà importante l’educazione che riusciremo a trasmettere tutti insieme, maestri, impiantisti, mezzi di informazione, perché spesso queste norme di comportamento vengono trascurate. Da
questo punto di vista, bisognerà lavorare tanto, però senza esasperazioni, perché
poi... codificare in modo preciso il sorpasso, l’incrocio da destra o da sinistra, l’incrocio di due sciatori provenienti da due diagonali... diventa difficile, soprattutto in uno
sport come lo sci che richiede una certa velocità e rapidità d’esecuzione, con un numero di variabile enormi.
33
WALDEMARO FLICK
Grazie, maestro Rota, intanto perché sei stato nei tempi, ma soprattutto perché
hai richiamato, come ha già fatto Lazzari, il fattore formazione. Il fattore formazione,
ed in particolare il fattore educazione, sono due fattori fondamentali per il “pianeta”
montagna che dovranno esser presi sempre più come punti di riferimento da cui partire.
Non posso lasciare i maestri di sci senza salutare il maestro Marciandi. Il maestro
Marciandi è il decano della categoria, ha insegnato a sciare a molti di noi. Nell’intervallo sarà interessante conversare con lui, perché ha sempre delle cose divertenti e
interessanti da dire.
Passiamo ad una professione molto romantica, alla più bella professione di montagna: la guida alpina. La guida alpina, come qualcuno ha rilevato, non è stata contemplata nella legge, ma a me piace ricordare questa professione che affascina tutti
noi, perché, senza nulla togliere ai maestri di sci, quando sei attaccato alla corda
l’adrenalina cresce. Insomma, c’è proprio una simbiosi con questo grande personaggio della montagna.
I miei figli hanno imparato ad andare in montagna sempre accompagnati da guide
professioniste, una volta i costi erano elevati, però ho sempre voluto che i miei figli
andassero in montagna in sicurezza. Non voglio fare della retorica e non voglio citare dei nomi, ma voglio ricordare tutte le guide alpine che sono morte portando la gente in montagna.
Devo dire, però, che voi guide alpine vi siete decisamente rinnovate. Venti o venticinque anni fa sembravate destinate al declino, invece siete riuscite a dare alla vostra professione un nuovo sprint e adesso siete attivissime.
Do quindi con vero piacere la parola a Massimo Datrino.
34
LA GUIDA ALPINA
MASSIMO DATRINO
presidente dell’Unione Valdostana Guide
Alta Montagna
Ringrazio la Fondazione per avermi invitato in qualità, anche, di Presidente
dell’Unione Valdostana Guide Alta Montagna.
Per riprendere il discorso iniziato dall’avvocato Flick, sì, è vero, quella della guida
alpina è una professione romantica e infatti, io oggi mi presento in divisa, che è un
po’ il simbolo delle nostre tradizioni, a cui io tengo molto. In vent’anni di guida alpina,
bene o male ho visto tante cose evolversi, proprio con l’obiettivo di non lasciare che
questa professione cada in declino; grazie al nostro passato, che appartiene a due
secoli di storia. Non dobbiamo mai dimenticare di guardare a quanto è stato fatto,
perché è ciò che ci aiuta ad andare avanti, grazie anche alla Regione Valle d’Aosta,
che ci sostiene nell’ambito di un Collegio professionale con una legge vigente fin dagli anni ’75. In questi ultimi mesi, stiamo facendo delle proposte per rinnovare la legge delle guide alpine del 1997, perché, visti i tempi che corrono, con un’Europa che
si avvicina e il mondo che cambia, anche noi cerchiamo di stare al passo.
Le guide alpine hanno una legge quadro dell’86 che ci individua come professionisti, con delle linee guida da seguire. Siamo distribuiti in vari Collegi regionali su tutto l’arco alpino che fa capo ad un Collegio Nazionale. I Collegi più grandi sono quelli della Lombardia e del Piemonte, quelli delle Regioni autonome, l’Alto Adige, il
Trentino, la Valle d’Aosta; scendendo lungo l’Italia, troviamo altri collegi come la
Toscana, l’Emilia Romagna, l’Abruzzo, le Marche e il Molise sino alla Campania e
alla Sicilia, dove le guide alpine vulcanologiche, operano come accompagnatori sui
vulcani. Tutto questo, assieme alla categoria dei maestri di sci, ci porta a distinguerci nelle nostre montagne e soprattutto nei nostri comprensori, permettendoci di mantenere un certo livello, un certo standard formativo.
In Valle d’Aosta abbiamo il Monte Bianco, che supera i 4.000 metri, perciò la preparazione deve essere diversa rispetto a quella di chi opera in Trentino o in Alto
Adige, dove le montagne sono più basse; però i livelli standard di formazione di
una guida alpina devono essere uguali per tutti, quindi questi livelli sono stati
uniformati con una piattaforma internazionale costituita tra più di venticinque stati
di tutto il mondo. Stati dove esistono guide alpine dall’America al Canada, fino ad arrivare al Giappone, al Perù, al Cile, oltre chiaramente a Francia, Germania, Austria e
adesso qualche paese dell’Est. L’Unione internazionale delle guide alpine non è un
organo statale, è un organo privato, fondato proprio dalla Regione Valle d’Aosta,
dall’Italia, dalla Francia e dalla Germania alla fine degli anni ’70, inizio anni ’80, proprio per uniformare i livelli di formazione. Oggi, ad esempio, in Polonia vi è una riunione tra i presidenti delle guide alpine di tutto il mondo.
Venendo al volume pubblicato dalla Fondazione Courmayeur, vi ho trovato tutta
una serie di capitoli riguardanti la responsabilità. Ultimamente il fattore responsabilità è molto sentito dalle guide alpine. Venti, trenta, quarant’anni fà certe cose bene o
male si sapevano, la responsabilità verso il cliente era qualcosa di sacro (ma lo è ancora adesso), però non c’era nulla di scritto, nulla di preciso; certi concetti si traman35
davano di padre in figlio, di guida in guida, se ne parlava nei corsi di formazione, invece adesso vedo che ci sono tante cose scritte.
Anche le guide alpine sono colpite da incidenti; in questi ultimi anni se ne è parlato molto sui giornali e noi, nel nostro ambito, abbiamo discusso di quella che è la problematica degli incidenti legati alla guida alpina. Tuttora stiamo discutendo e confrontandoci per far sì che soprattutto le future leve, i giovani che diventeranno le nuove guide, abbiano una percezione più profonda della nostra professione. È chiaro
che per una professione come la guida alpina e la richiesta non è elevata, basti pensare che in Valle d’Aosta ogni due anni escono dai corsi di formazione dagli otto ai
dodici aspiranti guide, su venti, venticinque, trenta persone al massimo in tutta Italia.
Questo già denota che quella della guida alpina è una professione difficile, molto
complessa in tutte le sue modalità.
Tornando al volume, vi ho trovato delle cose veramente interessanti e mi farò carico di portarle a conoscenza nel nostro ambito professionale. Noi facciamo tutto ciò
che è umanamente possibile fare. Chiaramente, la nostra esperienza si fonda sempre sulle nostre conoscenze, sul vivere la montagna, sullo scambio di rapporti tra noi
e il cliente che accompagniamo in montagna. Nei nostri corsi di formazione il tema
della responsabilità è affidato a docenti esperti. Gli avvocati Torti, Parini e Chevallard
ci aiutano molto a presentare tutte le nuove normative e anche a far capire ad un allievo qual è il suo carico di responsabilità. Per quanto riguarda la legge che è il filo
conduttore di questo incontro, ieri, in una delle riviste che ricevono le guide alpine come membri del CAI, ho letto questa frase: “Sciate come legge comanda”. La signora
Cecilia Carreri, giudice del Tribunale di Vicenza, ha fatto un riassunto di alcuni articoli, parlando di quali sono le zone sciabili, di messa in sicurezza delle piste, di responsabilità del gestore, di regole di comportamento e sicurezza dello sciatore, tutte
cose che sono comunque riportate anche nel libro, poi è entrata nell’ambito dello
scialpinismo, perché evidentemente la signora è una sci-alpinista o un’alpinista appassionata, quindi si è soffermata sul fuori pista, sul divieto di salire lungo le piste e
sull’obbligo di adottare l’apparecchiatura ARVA (Appareil Recherche Victimes
Avalanches). Chiaramente anche noi rientriamo in questo campo, perché la guida alpina, per estrazione, per formazione, è legata alla stagione invernale e quindi sempre di più, in questa evoluzione di cui parlava l’avvocato Flick, si è concentrata anche
sul fuori pista, perché, se venti anni fà il fuori pista si praticava solo in maggio, adesso si inizia a praticarlo in dicembre, appena arriva la neve, in quanto la richiesta è
cambiata. Tutto questo è legato alla stagione invernale, lunga cinque mesi. Ecco allora che il fuori pista e lo sci-alpinismo fanno parte della nostra formazione.
Io mi sono annotato tre punti, perché finora abbiamo parlato del comportamento
dello sciatore in generale e di altri aspetti su cui sono intervenuti importanti maestri
di sci, ma qui ci sono cose che riguardano certe abitudini degli sciatori che, come diceva Rota, a volte lasciano stupiti. Il fatto è che tutto sta cambiando e sicuramente
sta cambiando anche la mentalità della gente nell’approccio alla montagna, verso la
quale, bisogna avere rispetto. La montagna non rappresenta solo un qualcosa di materiale da consumare, dove godersi una giornata, rendendola divertente; per qualcuno a volte significa comportarsi male.
Entrando nel campo del fuori pista, il comprensorio che gestisce Rota, quello delle Funivie del Monte Bianco, dove c’è il ghiacciaio del Toula, dove c’è la Vallée
Blanche, dove c’è tutto l’ambito del Monte Bianco, è un comprensorio veramente importante per il fuori pista, ma che pone tante problematiche, che chiaramente un pro36
fessionista come la guida alpina deve conoscere, in modo da potersi comportare in
modo adeguato. Qui però si dice che i percorsi fuori pista serviti dagli impianti non
comportano alcuna responsabilità per i gestori. Questo, a volte, non è del tutto vero,
perché sotto il fuori pista può passare anche una pista e, se c’è un distacco, il gestore non so come non possa non essere responsabile.
Venti anni fà la guida cominciava la propria attività a maggio, poi c’è stata un’evoluzione e piano piano qualcuno ha iniziato a praticare il fuori pista con la guida e il
maestro..., però la cosa era per pochi appassionati. Negli ultimi anni c’è stato un
cambiamento nei materiali e negli attrezzi. I primi sci larghi si sono visti dieci anni fà.
Alla fine sono diventati di utilizzo comune. Oggi lo sci fuori pista si chiama freeride.
In ogni modo, c’è stata una crescita spropositata di utenti del fuori pista.
In tutto questo grosso calderone, c’è gente che non ha conoscenze, o meglio, ha
conoscenze tecniche, sa che uno sci largo porta a sciare in modo più facile; vengono a mancare le conoscenze in materia di ambiente, di nivologia, le conoscenze in
materia di bollettini niveo/meteo. Sono tanti i fattori che portano alla crescita del numero degli utenti; i materiali, le riviste specializzate, i grandi filmati che mostrano salti mirabolanti, senza sapere che il dietro alle quinte è costellato di numerosi incidenti a volte gravi. È chiaro che da parte nostra, per le nostre responsabilità, per quello
che ci è richiesto, abbiamo sviluppato una serie di conoscenze e di scambi professionali che ci permettano di scegliere gli itinerari idonei; o di rinunciare se le condizioni della neve sono pessime. L’utilizzo dei materiali come corde, ARVA, pala, sonda e quant’altro, fanno parte del materiale personale della guida alpina, la stessa
mette a disposizione ai propri clienti i materiali idonei a seconda della salita o discesa da effettuare. Lo sci-alpinismo è stata la pratica sportiva che ha permesso di praticare il fuori pista, oggi
L’ evoluzione ha portato alle gare di scialpinismo. Anche qui i materiali si sono evoluti in maniera estrema, c’è la nuova moda dello “sci-alpististico”. Permettetemi di
usare questo termine, ma anche in Trentino e in Lombardia lo chiamano così. Forse
perché viviamo in modo frenetico, tutti dobbiamo correre a destra e a sinistra e magari abbiamo solo un’ora di tempo. Abbiamo gente che ad Aosta esce dall’ufficio,
mette gli sci, va di corsa su per le piste e scende la sera. Questo succede a Cervinia,
a Courmayeur, in tanti altri comprensori. A volte vi sono problemi con i mezzi di battitura piste che utilizzano i cavi per ancorarsi...il rischio di incidente con conseguenze gravi esiste. A mio avviso il problema deve essere discusso e regolamentato.
Adesso non voglio dire troppe cose in modo affrettato, però qualcosa bisognerà
fare, trovare degli accordi per individuare delle piste dove possono transitare tutti. Ci
sono i gestori, le scuole di sci, le associazioni dei maestri... I modi ci sono perché trovi spazio anche chi pratica gli sport invernali per agonismo, per motivi amatoriali o ludici, per curiosità. Anche per quanto riguarda la sicurezza, c’è chi non conosce l’ambiente invernale della montagna, non sa cos’è una valanga, cos’è una placca a vento, cos’è un canalone, però dice: metto le pelli, compro la tutina e vado a fare due
sgambate. Perché no? In pista non sussistono pericoli oggettivi come le valanghe.
Bisogna affrontare e discutere il problema, la legge dice “salvo autorizzazione del gestore”.
L’ultima cosa riguarda l’ARVA. È scritto che bisogna dotarsi di questo apparecchio.
Ricordiamoci che vi sono diversi modelli sul mercato con tecnologia analogica e digitale, ma prima di tutto bisogna saperli utilizzare in modo corretto. Assieme all’ARVA,
devo avere una pala e una sonda, attrezzi fondamentali per portare a termine la ri37
cerca del travolto. Nel nostro ambito, ci siamo posti la regola ( non scritta) che ogni
professionista obbligatoriamente debba indossare sempre l’ARVA in ambiente invernale o nevoso. Alla Fondazione Montagna Sicura di Villa Cameron stiamo lavorando
sul tema della prevenzione, invitiamo tutti coloro i quali sono interessati a diffondere
sempre di più l’uso dell’ARVA. Saranno predisposti due campi per imparare ad usare
l’ARVA, che tutti potranno utilizzare nei comprensori delle funivie del Monte Bianco
(Pavillon) e del Monte Rosa Ski (passo dei salati).
Infine, penso che l’educazione e la prevenzione sono le strade da seguire. La legge traccia delle linee da seguire, bisogna ancora approfondire e levigare qualche angolo e dotarsi di uno strumento per fare educazione e prevenzione.
WALDEMARO FLICK
Grazie, Datrino.
Come avete sentito, quando dicevo che le guide alpine sono riuscite a creare delle nuove professionalità, avevo ragione.
Tu hai, inoltre, buttato sul tavolo diversi argomenti: il presidente Passerin
d’Entrèves scrive nella sua relazione che questi dieci anni sono un punto d’arrivo, ma
forse anche un punto di partenza e siccome io spero di trasferirmi a Courmayeur, di
non fare più l’avvocato e di occuparmi solo di montagna, vedo un futuro roseo.
E dalle funi di canape passiamo alle funi d’acciaio, perché vi sono altri professionisti che ci garantiscono la sicurezza in montagna e che appartengono ad una categoria non conosciuta, quella che vigila davvero sulla nostra sicurezza quando viaggiamo sulle funi, una categoria odiata e amata dagli imprenditori. L’ingegner Dallago
è il direttore del Servizio di sorveglianza presso la Provincia di Trento. Devo dire che
anch’egli è venuto unicamente in segno di amicizia.
38
IMPIANTI A FUNE: NUOVE PROCEDURE E CONTROLLI
ALLA LUCE DELLA NORMATIVA EUROPEA
AGOSTINO DALLAGO
direttore del Servizio Sorveglianza presso la
Provincia di Trento
Grazie, avvocato Flick.
Un saluto cordiale agli intervenuti, un ringraziamento agli organizzatori del
Convegno e i miei complimenti vivissimi alla Fondazione Courmayeur, che da molti
anni sta portando avanti iniziative estremamente lodevoli per quanto riguarda le problematiche della montagna, anche a favore di quelli che hanno a cuore le vicende
della montagna.
Io, oltretutto, mi onoro di appartenere a quest’ultima categoria.
Sono venuto, più che spontaneamente, “spintamente”, perché l’avvocato Flick mi
ha letteralmente minacciato, in caso di rinuncia, di non partecipare più in qualità di relatore ai corsi e ai convegni, alle tavole rotonde sulla responsabilità giuridica che noi
svolgiamo molto spesso in provincia di Trento e che sono importanti anche per tutti
gli operatori del settore turistico, invernale e non.
Io ho portato qualche slide per rendere meno tediosa la mia esposizione, perché,
dopo tre ore di attenzione ininterrotta, credo che il minimo che possa succedere sia
un calo di tensione, quindi spero di rendere meno monotone quelle brevi nozioni e
quei brevi concetti che vorrei proporvi.
Il tema che mi è stato assegnato è la modifica delle procedure e dei controlli sugli
impianti a fune, a seguito dell’entrata in vigore della normativa comunitaria sugli impianti a fune e il servizio pubblico.
Io ho portato due immagini di impianti: quelli tipici degli anni ’70 e quelli più usati
negli anni 2000. La differenza, che salta all’occhio immediatamente, non è soltanto
di tipo estetico e dimensionale, c’è una differenza tecnologica assolutamente importante. I primi impianti erano essenziali come struttura, avevano tutti gli organi meccanici in vista, qualsiasi tecnico di media levatura riusciva a comprendere come funzionavano, quali erano gli organi preposti a certe funzioni, quindi in poco tempo riusciva a districarsi in un’attività che, nel caso del controllore di sorveglianza, nel caso
del progettista, richiede una comprensione ai fini della progettazione e del calcolo e,
nel caso degli operatori, richiede abilità nel gestire gli impianti. Diciamo che oggi gli
impianti sono più grandi, più complicati, forse più perfetti e confortevoli, forniscono
prestazioni notevolmente maggiori, ma tanta complessità comporta anche un problema di gestione, di governo nella supervisione degli stessi.
La direttiva 2000/9 del Parlamento europeo ha cercato di dare una risposta in termini di semplificazione e di risoluzione dei problemi di complessità (poi vedremo se
l’obiettivo è stato raggiunto o se bisogna cambiare rotta; mi riservo alla fine di esprimere la mia modesta opinione sull’efficacia di questo provvedimento legislativo a livello comunitario).
La direttiva, che in termini di effetti pratici, tecnologici e anche ordinamentali, quindi riguardanti le procedure, è entrata in vigore il 2 maggio 2004, si pone tre obiettivi
importanti: la libera circolazione delle merci negli Stati comunitari, la sicurezza dei
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trasportati, la protezione dell’ambiente in cui gli impianti a fune vengono collocati.
Diciamo che il vero obiettivo della direttiva 2000/9 è la libera circolazione delle merci e questo in base anche alle richieste dei costruttori, che erano costretti a mantenere standard diversi per diversi paesi europei e non europei, ma anche per un’esigenza di mercato che porterebbe giustamente a un calo dei costi, in virtù di una semplificazione che è l’obiettivo che poi vedremo se è stato raggiunto o se si prevede che
venga o meno raggiunto.
La sicurezza dei trasportati, ovviamente, è importantissima. L’obiettivo è trovare
uno standard omogeneo, uniforme, in tutti gli Stati comunitari, visto che, se abbiamo
fatto l’Europa, dobbiamo anche garantire ai cittadini dell’Unione uguali standard di sicurezza, soprattutto tenendo conto che lo sci è un’attività transfrontaliera, per cui lo
sciatore in una giornata può passare il confine più di una volta, magari tra uno stato
e l’altro. Era quindi inaccettabile e controproducente che lo sciatore trovasse un certo standard di sicurezza per impianti e piste in Italia, per esempio, e uno standard totalmente diverso per impianti e piste in Austria o in Francia.
Per quanto riguarda l’ambiente, c’è una pura enunciazione, un semplice invito a
considerare le problematiche ambientali, ma la direttiva non pone prescrizioni o condizioni particolari in materia.
Vorrei porre l’attenzione sull’art. 3 delle premesse della direttiva, secondo cui gli Stati
membri devono garantire la sicurezza degli impianti a fune dal momento della loro costruzione, della messa in servizio e durante l’esercizio. Quindi: sicurezza a tutto campo.
Dico solo due parole sull’attuale livello di sicurezza degli impianti a fune. Io ritengo (lo dico come autorità di sorveglianza, quindi non sono parte in causa per quanto
riguarda gli aspetti economici o eventuali slogan) che il settore degli impianti a fune
sia estremamente sicuro e sia secondo soltanto, in termini di attenzione e scrupolo
nella gestione e nella supervisione, al settore aeronautico.
Ora do qualche numero, non per spaventare, ma perché l’ingegneria e la tecnica
sono fatte di numeri e noi non possiamo sottrarci dal fare considerazioni di tipo quantitativo, oltre che qualitativo.
Gli incidenti gravi, in Italia, nel trasporto a fune nell’ambito del servizio pubblico,
sono abbastanza pochi, abbiamo circa due morti all’anno mediamente. Teniamo
conto che sulle strade ci sono circa settemila morti all’anno, che per incidenti domestici, per banali disattenzioni nell’uso dell’energia elettrica e dei fornelli o in operazioni che sembrano banali, ogni anno muoiono migliaia di persone. Questo non è un
tentativo di minimizzare il problema della sicurezza o di dire “va tutto bene, madama
la marchesa”, ma credo che sia doveroso dare dei numeri per capire quali siano i livelli reali di sicurezza, tenuto conto che oggi in Italia ci sono alcuni miliardi di passaggi di persone sugli impianti a fune (in provincia di Trento si superano i centocinquanta milioni, in provincia di Bolzano i duecento milioni, e così in tutte le regioni italiane a vocazione sciistica).
La direttiva, nell’intento di semplificare e omogeneizzare gli impianti, suddivide gli
impianti stessi in sottosistemi e componenti di sicurezza. I sottosistemi, come dice la
parola, sono delle parti il più omogenee possibili, ad esempio funi, argani e freni, dispositivi meccanici, veicoli, dispositivi elettronici. I componenti di sicurezza sono quei
componenti il cui cedimento può provocare incidenti gravi e pregiudizievoli per l’incolumità dei trasportati. Faccio un esempio banale: se cede la fune o l’asta di sospensione di un veicolo, non c’è rimedio, il veicolo cade e i cristiani che sono sul veicolo cadono anch’essi a terra con prevedibili conseguenze.
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Le due categorie di componenti sono soggette ad alcuni obblighi molto importanti
e anche molto onerosi.
La direttiva 2000/9 è stata recepita in Italia con decreto legislativo del 12 giugno
2003 n. 210. All’art. 23, “Disposizioni transitorie e finali”, si dice: “È posto il termine
del 3 maggio 2004 per l’applicazione delle nuove disposizioni”. Diciamo che il primo
problema che si è presentato (quindi c’è una certa discrasia tra gli intenti di unificazione e di semplificazione e il risultato raggiunto fino ad oggi) è il ritardo nell’emanazione delle norme tecniche europee. Fino ad oggi gli Stati membri si sono regolati
sulla base di norme nazionali, che sono in parte simili e in parte diverse. Il presupposto per le prescrizioni su componenti e sottosistemi, cioè quello di ottenere in tutti i
casi la certificazione e l’apposizione di un marchio CE, si basava sul fatto che le norme di riferimento fossero comuni, fossero norme europee. Queste norme, per vari
motivi (che in parte conosciamo e in parte a me sono ignoti), dopo varie enunciazioni e proclami, devono ancora essere pubblicate e rese operative; una volta pubblicate, poi, ci vorrà un certo tempo per tradurle, assimilarle e applicarle. Questo è un
primo problema che si pone. Ma vediamo come si è potuto ovviare, almeno nell’immediato, a questa carenza.
Diciamo che le norme europee ormai sono redatte. Esse sono frutto di un lungo lavoro, di discussioni molto animate, di tentativi di conciliazione tra metodi, sistemi e
scuole di pensiero diverse. Cito soltanto i due estremi: la Francia e l’Italia. La Francia,
ben nota perché ama il pragmatismo e la semplificazione, adotta il principio ispiratore secondo cui ciò che non c’è non si rompe; l’Italia, più teoretica e dottrinale, tende
alla complicazione, sulla base del presupposto che quello che c’è ogni tanto funziona e, quando funziona, può salvare i cristiani. Agli esperti del settore cito soltanto la
querelle che va avanti da qualche decennio per quanto riguarda il freno sulla portante delle funivie bifuni: gli italiani lo vogliono mantenere, i francesi l’hanno eliminato e
vogliono costringere gli altri ad eliminarlo (ma non entro in questioni troppo tecniche
perché non è il caso, né questa è la sede per farlo).
Vediamo cosa cambia in seguito alla direttiva europea 2000/9 per quanto riguarda procedure e controlli. “Procedure” e “controlli” sono termini generici, quindi cercherò di spiegare che cosa intendo.
Dal punto di vista giuridico, amministrativo e tecnico, vediamo cosa comporta realizzare un impianto a fune nell’ambito del servizio pubblico.
Le varie fasi elencate nella slide sono le principali (non ci sono tutte, altrimenti ci
vorrebbero molte slide), quelle richieste in tutte le prassi nelle varie realtà del territorio italiano.
Per quanto riguarda il procedimento di concessione, premetto che ci sono situazioni molto diversificate nelle varie regioni e nei vari ambiti, a seconda dell’ente concedente o dell’ente che cura l’istruttoria: nelle provincie autonome i servizi degli impianti a fune, quello di cui io sono responsabile, ad esempio, in alcune regioni le
Regioni stesse, in altre i Comuni, in alcuni ambiti addirittura le Comunità montane,
che magari si trovano per la prima volta a gestire una questione così complessa come la concessione funiviaria.
Rapidissimamente, le fasi del procedimento sono: la richiesta di concessione funiviaria, la richiesta di concessione edilizia, l’approvazione del progetto esecutivo definitivo, le eventuali richieste di contributi (questo non è un aspetto essenziale o necessario, ma è importante), il nulla osta all’esecuzione dei lavori, la costruzione
dell’impianto, il collaudo e il nulla osta all’esercizio. Ottenuto il nulla osta all’esercizio,
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l’impianto può funzionare e trasportare persone. Sembra semplice, ma è qualcosa di
veramente complicato. Infatti vedo qualche esercente che mi guarda di traverso, forse sta pensando “quello mette il dito nella piaga”... Va bè, in tutto questo ci sono vantaggi e svantaggi.
Vediamo quali sono, alla fine, i passaggi necessari più importanti per ottenere la
concessione funiviaria, che è solo il primo passo del lungo iter richiesto per arrivare
a far funzionare l’impianto con le persone a bordo.
All’ente concedente arriva una richiesta dal potenziale concessionario corredata
dal cosiddetto progetto di massima e dalla relazione esplicativa sull’impianto. L’ente
concedente deve sentire un numero molto elevato di enti o di soggetti giuridici: servizi, Comuni, Regioni, Comprensori, Provincie autonome e quant’altro. Gli aspetti
considerati sono di tipo idrogeologico, nivologico, ambientale (la valutazione di impatto ambientale tutti sanno quanto sia complessa e importante, contempla la situazione forestale e urbanistica, la presenza o meno di siti comunitari come parchi e piste). Alla fine c’è la valutazione tecnica del progetto, che compete all’autorità di sorveglianza, per cui anche qui abbiamo situazioni leggermente diverse, ma i metodi e
le procedure che si adottano per valutare tecnicamente la corrispondenza dell’impianto alle norme sono abbastanza simili, anche perché un aspetto fondamentale è
l’applicazione in tutti i diversi ambiti (regioni, province, latitudini diverse, a nord, a
sud, a est, a ovest) di un’unica normativa tecnica nazionale. Mi riferisco alle famose
PTS (Prescrizioni Tecniche Speciali), che ogni tanto vengono cambiate o rinnovate,
ma che fanno testo e che quindi garantiscono sul territorio italiano, almeno in linea di
principio, un equivalente grado di sicurezza. C’è poi la questione del controllo e della gestione, ma diciamo che gli impianti nascono con criteri tecnici di sicurezza uguali su tutto il territorio.
Ovviamente il rilascio della concessione è subordinato all’esito favorevole di tutti i
diversi pareri. Da noi c’è soltanto un parere che non è vincolante e obbligatorio, tutti
gli altri lo sono, per cui basta che uno di questi pareri emessi da soggetti diversi sia
sfavorevole e la concessione funiviaria non viene rilasciata, quindi, o si ricomincia da
capo con un nuovo progetto, oppure si desiste dall’idea di realizzare l’impianto.
Si arriva, quindi, alla fase del progetto definitivo o esecutivo. Diciamo subito che fino a questa fase la direttiva europea non introduce nessuna variazione, quindi non
c’è nessuna differenza procedurale tra il prima e il dopo.
La fase tecnica è quella assolutamente fondamentale per la sicurezza dell’impianto, quella dell’esame del progetto definitivo o esecutivo (lo definisco “definitivo”
o “esecutivo” perché in alcuni ambiti è richiesto un progetto definitivo, in altri un progetto esecutivo, per esempio le Provincie autonome richiedono un progetto esecutivo, mentre lo Stato, attraverso gli uffici periferici, parla di progetto definitivo; le differenze sono abbastanza sottili). Questo progetto è corredato da elaborati grafici della
linea, delle stazioni, dei sottosistemi, dei componenti di sicurezza, da relazioni tecniche e di calcolo, da verifiche e dichiarazioni.
Cosa introduce di nuovo, la direttiva comunitaria, nella fase tecnica? L’aspetto
fondamentale è la richiesta di un’analisi di sicurezza relativa a tutto l’impianto e
all’ambiente circostante, che tecnicamente viene chiamato “condizione a contorno”,
quello che sta attorno all’impianto, perché l’impianto non può essere valutato in termini unicamente di efficacia e congruità delle norme per quanto riguarda i componenti e i sottosistemi, deve sposarsi ragionevolmente con l’ambiente in cui viene ubicato. Pensiamo soltanto al problema delle valanghe, a cosa succederebbe se un im42
pianto venisse costruito ed esercito in zone ad alto rischio valanghivo o idrogeologico, pensiamo all’adattamento delle linee, dei sostegni, del percorso delle funi e delle stazioni agli aspetti orografici del territorio... E chi più ne ha più ne metta.
Un’altra innovazione importante riguarda l’obbligo da parte del costruttore o del rivenditore dell’impianto di acquisire la certificazione di tutti i componenti di sicurezza
e dei sottosistemi con apposizione sugli stessi del marchio CE. Questa è una bella intenzione da scrivere su un pezzo di carta, ma è una cosa molto difficile da ottenere.
Chi rilascia queste dichiarazioni di conformità? I cosiddetti organismi notificati europei, dotati di competenza tecnica, di knowledge e know-how, accreditati presso la
Commissione europea. E qui cominciano i dolori, perché gli organismi operanti in
Europa notificati fino ad oggi sono pochissimi; c’è il famoso TIF di Monaco, che opera da parecchi anni, c’è un ente francese che fa capo all’autorità di sorveglianza,
quindi allo stato. In Italia a tutt’oggi non abbiamo nessun organismo europeo notificato nel settore degli impianti a fune, c’è qualche tentativo di costituzione nel CentroNord, ma per ora, se il costruttore vuole certificare i propri prodotti, quindi i componenti dell’impianto, deve andare all’estero, con la complicazione che, non essendo
ancora state emanate le normative europee, deve convincere l’organismo notificato,
per esempio quello tedesco, della bontà delle norme italiane che per l’occasione dovranno essere tradotte in tedesco con il rischio di complicazioni e ritardi nell’iter di
certificazione. Questa è stata una delle problematiche che si sono manifestate in fase di applicazione. Allora, per attenuare gli effetti di questi ritardi, nell’aprile di quest’anno è uscito un decreto del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, in accordo con il ministero delle Politiche Comunitarie, secondo cui tutti gli impianti i cui progetti definitivi sono stati esaminati entro il 2 maggio del 2004 potranno essere realizzati nell’arco di due anni senza presentare certificazione di componenti e sottosistemi e potranno essere messi in esercizio nel termine di altri sei mesi a far tempo dalla scadenza dei due anni. Questo ha salvato un po’ la situazione, che aveva creato
un certo panico all’interno del settore e delle difficoltà oggettive.
Altra fase importante è il collaudo dell’impianto, che viene effettuato con verifiche
a vista, prove funzionali in regime normale e in regime perturbato, simulando guasti
di varia natura e di vario tipo, esami delle dichiarazioni di conformità e delle certificazioni. Se tutte queste valutazioni sono positive, si arriva al nulla osta all’esercizio
dell’impianto. Così si conclude l’iter tecnico e amministrativo che porta al funzionamento dell’impianto stesso.
Abbiamo poi la vita tecnica, che è di alcune decine di anni ed è differenziata per tipologia di impianto, più breve per le sciovie, più lunga per le funivie bifuni. Inoltre, si
richiede un serie di revisioni speciali e generali, le prime quinquennali, le altre decennali, quindicennali o ventennali, a seconda del tipo di impianto.
Veniamo alle prove e ai controlli. Premetto che a questo riguardo non è cambiato
nulla, la direttiva europea non pone condizioni, se non in termini di enunciato,
sull’esercizio e sulle verifiche; essa dice che gli impianti devono essere sicuri nella
fase di progettazione, di messa in servizio e di esercizio, però non pone condizioni
particolari, quindi si adottano procedure e prassi vigenti.
Vediamo in cosa consistono le prove, le verifiche e i controlli.
Abbiamo prove di laboratorio su funi, quindi componenti e sottosistemi, prove giornaliere molto importanti, a vista, di funzioni fondamentali, di controllo della strumentazione. Prima dell’esercizio quotidiano, si effettuano uno o più giri a vuoto per verificare se tutto è in ordine, se tutte le componenti, tutta la meccanica, tutta la parte
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elettrica e le sorveglianze funzionano a dovere. Ci sono controlli settimanali, mensili, annuali, straordinari. Ci sono, poi, le revisioni di cui ho parlato prima. L’impianto,
quindi, viene sorvegliato per tutta la sua vita, dal primo all’ultimo giorno di esercizio.
Credo che solo nel settore aeronautico ci siano un’attenzione e delle norme così precise e così stringenti per quanto riguarda controlli, prove e verifiche.
Vediamo alcune slide delle prove di laboratorio.
Abbiamo una macchina di cui esistono due o tre esemplari in Europa, che appartiene al Laboratorio tecnologico per gli impianti a fune della Provincia autonoma di
Trento, con la quale si possono fare prove di rottura di funi fino a mille tonnellate di
carico. Ogni fune deve essere, prima dell’installazione, provata, rotta in laboratorio;
ci sono prove sui fili di flessione, torsione e quant’altro. Le funi vengono testate periodicamente con sistemi non invasivi e non distruttivi. Un apparecchio elettrodinamico permette di testare tutta la fune in pochi minuti senza alterarne le caratteristiche
e senza procurare alcun danno.
Abbiamo prove di fatica sui veicoli. Una seggiovia quadriposto viene testata in laboratorio in quattordici, quindici giorni; viene simulata una durata di vita di vent’anni
di esercizio, facendo compiere al componente, con un carico che è il doppio di quello nominale, quindi con un sovraccarico del cento per cento, cinque milioni di colpi:
in questi cinque milioni di colpi non si devono verificare rotture o alterazioni importanti. Questo è importantissimo, perché, se c’è un difetto di progettazione o di costruzione, lo si scopre subito (non sapete quante rotture si sono verificate negli ultimi quattro o cinque anni). La prova è estremamente severa, ma permette di scoprire
anche le imperfezioni più piccole.
La stessa prova viene fatta su un veicolo di telecabina, con registrazione dei parametri. Con una serie di strain-gage delle apparecchiature di controllo si verificano
le tensioni nei materiali e si cerca di capire se si superano gli stati tensionali previsti
dal progetto.
Ci sono prove importantissime di laboratorio realizzate sull’impianto. Una prova è
atta a verificare se le sovra-sollecitazioni previste dal progetto di un impianto ad ammorsamento automatico sono rispettate o meno: si fa funzionare l’impianto con una
serie di rilevatori sulle parti più importanti, più delicate, si compiono dei giri completi
in linea sulle stazioni e li si verifica con sistemi anche di telemetria molto sofisticati,
simili a quelli che si usano per la Formula 1 per trasmettere le informazioni dai box alla vettura, quindi si trasmettono informazioni dalla seggiola in moto ad una delle stazioni con un numero molto elevato di canali, in modo da avere anche venti, venticinque rilevazioni contemporaneamente, ognuna relativa a un organo diverso.
Nelle fasi di revisione generale, i componenti vengono verificati con la tecnica delle particelle magnetiche; quando tutti gli organi di macchina vengono smontati, in
parte vengono verificati in loco, in parte vengono portati in laboratorio o in officina,
dove si applicano le tecniche più moderne, più efficaci per scoprire eventuali difetti o
degradi dei materiali.
A chi dice che la direttiva forse ha portato solo scompiglio è difficile dare una risposta. Io credo che questa impressione sia dovuta a una fase di prima applicazione, a circostanze sfavorevoli che si sono verificate, tipo il ritardo nell’emanazione delle norme europee, ma quella direttiva, per quello che prevede e impone, io credo che
fosse necessaria. Il fatto di avere livelli di sicurezza e tecnologici diversi per impianti
destinati alla stessa funzione e a portare persone di diversa nazionalità, o magari
persone della stessa nazionalità in ambiti diversi, non era più accettabile. Io credo
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che si dovrà compiere un grosso sforzo per rivedere alcuni errori che sono stati fatti
nella predisposizione delle norme, anche dovuti a compromessi di tipo politico e a interessi economici. Alla lunga, però, il tentativo di unificare e omogeneizzare darà dei
risultati importanti e anche se finora ha fatto lievitare i costi, credo che in un prossimo futuro la standardizzazione di componenti e sottosistemi, oltre che benefici in ordine alla sicurezza, potrà portare anche benefici economici.
WALDEMARO FLICK
Grazie ingegnere.
Io vorrei solo dire una cosa: la costituzione in Italia di un’Autorità è un fatto fondamentale. Mi fa molto piacere che oggi siano presenti il senatore Rollandin e il sottosegretario Gagliardi, il quale, essendo nell’Esecutivo, si può fare maggiormente carico di dire che questo è un problema urgente, è uno dei veri problemi che non sono
conosciuti dal pubblico. Aggiungo che mi farebbe piacere che un’Autorità del genere
sorgesse non a Roma, ma in una Regione di montagna (che sia il Trentino o la Valle
d’Aosta, questo poi ce lo giocheremo ai dadi).
Do la parola al dottor Boglione, coordinatore del Dipartimento trasporti e infrastrutture sportive dell’Assessorato al Turismo. Il dottor Boglione, in buona sostanza,
è la persona che ha curato, per primo in Italia, la realizzazione del regolamento che
deve armonizzare la legge statale con tutte le leggi regionali. Il suo, quindi, sarà un
intervento estremamente interessante.
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NORMATIVA DELLA REGIONE VALLE D’AOSTA IN MATERIA
DI SICUREZZA DELLE PISTE DI SCI ALLA LUCE
DELLA NUOVA LEGGE 24 DICEMBRE 2003 N. 363
GIORGIO BOGLIONE
coordinatore del Dipartimento trasporti e infrastrutture sportive, Assessorato turismo,
sport, commercio, trasporti e affari europei
della Regione Autonoma Valle d’Aosta
In via preliminare va sottolineato che l’attenzione della Regione Valle d’Aosta per
le problematiche relative alla sicurezza delle piste di sci non è cosa recente, ma già
aveva trovato una organica risposta legislativa sin dal 1992, con l’approvazione della legge regionale 17 marzo 1992, n. 9 “Norme in materia di esercizio ad uso pubblico di piste di sci”.
Tale normativa nasceva da una diffusa consapevolezza, a livello tanto pubblico
che privato, che il fatto di assicurare ai comprensori turistici valdostani adeguati livelli
di sicurezza, oltre a rispondere ad evidenti ragioni di natura etica e sociale, costituiva un presupposto ineludibile di qualità e concorrenzialità della nostra offerta turistica invernale.
La legge regionale n. 9/1992 scaturì pertanto da una proficua collaborazione con
gli esercenti degli impianti a fune, di fatto gestori dei comprensori sciistici della regione, e pose la Valle d’Aosta tra le regioni maggiormente avanzate in materia di sicurezza delle piste di sci.
Tale normativa venne successivamente completata con l’approvazione del
Regolamento attuativo 22 aprile 1996, n. 2, e integrata dalla legge regionale 23 dicembre 1999, n. 39, che peraltro non ne modificò né la filosofia di fondo, né i principali istituti, limitandosi di fatto a una serie di adeguamenti dettati dall’esperienza maturata in sede di applicazione della norma del 1992.
La legge regionale del 1992 presenta a mio parere vari punti qualificanti, a cominciare dalle definizioni di pista di sci di discesa e di fondo, sino ad allora mai chiaramente rinvenibili nell’ambito della normativa regionale; definizioni peraltro necessarie al fine di poter correttamente normare nella materia.
• Altro punto importante l’introduzione dell’obbligo della classificazione delle piste
quale presupposto necessario per la loro apertura al pubblico e la conseguente
istituzione di un elenco regionale delle piste.
• Terzo punto qualificante l’obbligo di dotare le piste di idonea segnaletica, conforme alle caratteristiche stabilite da apposito regolamento di esecuzione della legge, quello poi approvato nel 1996.
• La legge individua quindi la figura del gestore delle piste, facendola coincidere con
il soggetto che ne richiede la classificazione; in capo al gestore sono posti vari obblighi e responsabilità, tra cui quello di garantire l’agibilità e la manutenzione delle
piste, di sistemazione della segnaletica, di organizzazione del servizio di soccor47
so, avvalendosi del Direttore delle piste, altra figura innovativa prevista dalla legge regionale.
• La legge prevede, inoltre, un diretto coinvolgimento delle amministrazioni locali
nella gestione delle problematiche relative alla sicurezza dei comprensori sciistici,
mediante l’istituzione, a livello comunale, della Commissione locale valanghe,
avente il compito di esprimere pareri tecnici sulla sicurezza delle piste ai fini della
loro apertura al pubblico, in relazione al pericolo di distacco di valanghe.
• La sicurezza sulle piste di sci non può, peraltro, prescindere dal fatto che gli utilizzatori tengano comportamenti adeguati. Di qui l’obbligo per gli sciatori di rispettare le prescrizioni imposte dalla segnaletica posta lungo le piste e comunque di
comportarsi in modo tale da non mettere in pericolo l’incolumità altrui.
• Ulteriore elemento di sicurezza previsto dalla legge l’introduzione di limitazioni alla percorrenza delle piste con mezzi diversi da sci, monosci e tavola da neve.
• Con la legge modificativa del 1999 veniva quindi introdotta la facoltà di assoggettare a pagamento l’utilizzo delle piste di fondo; il che non è tanto una prescrizione
di sicurezza, ma rende comunque più agevole per i gestori l’apprestamento di
quanto necessario per assicurare adeguati livelli di efficienza e organizzazione, e
quindi in definitiva anche di sicurezza, dei comprensori dello sci di fondo.
Come si può agevolmente notare, l’impianto e i contenuti della normativa regionale non si discostano significativamente da quello della recente legge statale 24 dicembre 2003, n. 363, che in realtà assai poco aggiunge a quanto già previsto dalla
normativa valdostana.
Non deve dunque sorprendere che l’ulteriore recentissima legge regionale in materia di sicurezza delle aree destinate alla pratica degli sport invernali, la n. 27 del 15
novembre 2004, si sia limitata a recepire solo pochi elementi della normativa 363 statale, e comunque adattandoli alle specifiche esigenze della realtà valdostana, soprattutto nell’ottica di salvaguardare e ribadire la competenza della Regione Valle
d’Aosta nella specifica materia.
Ma quali sono i punti più significativi introdotti dalla nuova norma regionale?
• In primo luogo viene preso spunto dalla legge statale per conferire alla individuazione delle piste compiuta dalla Regione ai fini della loro classificazione la valenza di riconoscimento dell’interesse pubblico delle stesse piste, di cui all’articolo 2
della legge 363/2003.
• Per quanto, poi, riguarda la procedura per l’individuazione delle aree sciistiche a
specifica destinazione per la pratica di slittino, snowboard e attività agonistiche
viene rafforzato, rispetto a quanto previsto dalla normativa statale, il ruolo della
Regione, anche al fine di assicurare maggiore omogeneità dell’offerta turistica. La
norma regionale prevede infatti che la Regione provveda direttamente, sia pur con
il parere favorevole dei Comuni interessati, a individuare, su istanza dei gestori
delle piste, anche le aree riservate alla pratica di evoluzioni acrobatiche e quelle
da riservare temporaneamente ad allenamenti di livello agonistico.
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L’impostazione della legge statale, che prevede che tale individuazione sia fatta
dai comuni, appare in effetti incompatibile con la norma attuativa dello Statuto
Speciale recata dal Decreto legislativo 79/1998, il quale stabilisce che la Regione è
la diretta destinataria di ogni competenza amministrativa locale in tema di piste di sci,
e che spetta alla Regione la possibilità di delega di tali funzioni ai comuni o alle
Comunità montane.
• La norma regionale recepisce, poi, il divieto di percorrere a piedi o con mezzi meccanici le piste di sci, salvo i casi specificamente previsti; forti limitazioni sono inoltre state poste anche alla risalita sci ai piedi delle piste. Norme che completano,
specificandoli e rafforzandoli, i vincoli e divieti peraltro già previsti, come detto più
sopra, dalla normativa regionale in materia di percorrenza delle piste con mezzi diversi da sci e tavola da neve.
• Altro punto qualificante l’obbligo di utilizzo del casco protettivo per i minori di quattordici anni che praticano sci alpino e snowboard. In realtà va detto che questa
norma sarebbe già stata direttamente applicabile, subordinatamente all’emanazione a livello statale delle disposizioni relative ai requisiti tecnici dei caschi. Si è,
comunque, ritenuto opportuno introdurre un suo formale recepimento, che ne consentisse un sia pur modesto adattamento alle specifiche esigenze dei nostri comprensori sciistici transfrontalieri. Nello specifico, in questi comprensori la norma regionale prevede la non applicabilità della norma sull’uso del casco alla clientela
che sia munita di un titolo di trasporto emesso all’estero.
• Nei confronti di chi pratica lo sci alpinismo la legge rafforza, infine, significativamente l’obbligo, previsto dalla normativa statale, di munirsi di sistemi elettronici atti a garantire un tempestivo intervento di soccorso. L’obbligo viene infatti posto in
ogni caso e in via permanente, e non solo quando le condizioni ambientali lo richiedono perché sussistono evidenti rischi di valanghe; condizione questa, invero, di difficile oggettiva individuazione, il che rischia di rendere la norma statale poco concretamente applicabile e, quindi, poco efficace.
Con l’occasione è stato, infine, omogeneizzato il sistema delle sanzioni previsto
dalle leggi regionali con quanto disposto dalla norma statale al fine di evitare inammissibili situazioni di contrasto con la legge statale.
Il “corpus” normativo della Regione Valle d’Aosta in materia di sicurezza dei comprensori sciistici non si limita, tuttavia, alle leggi che sono state sinora illustrate.
La regione ha, infatti, ritenuto di dover legiferare anche nella specifica materia del
soccorso sulle piste di sci.
Ritengo, quindi, opportuno, per completezza di informazione, fornire qualche elemento anche in ordine a queste ulteriori normative, che sono in particolare:
• Legge regionale 15 gennaio 1997, n. 2 “Disciplina del servizio di soccorso sulle piste di sci della Regione”.
• Legge regionale 12 novembre 2001, n. 32 “Finanziamenti regionali per l’effettuazione del servizio di soccorso sulle piste di sci di discesa”.
Particolarmente interessante risulta la prima legge in quanto, oltre a ribadire l’ob49
bligo e la responsabilità del gestore in merito all’organizzazione del servizio di soccorso sulle piste, affianca alla figura professionale del Direttore delle piste, già prevista dalla legge regionale n. 9/1992, quella, del tutto nuova e tuttora, almeno in Italia,
esistente solo in Valle d’Aosta, del Pisteur-secouriste, cioè di un operatore professionale addetto al recupero e al primo intervento di soccorso agli infortunati sulle piste di sci.
La legge, che ricalca in larga misura le altre normative regionali in materia di professioni turistiche, presta particolare attenzione alla formazione degli addetti, con
l’organizzazione di corsi per l’accesso alla professione e di successivi corsi periodici
obbligatori di aggiornamento.
In questi giorni si stanno, peraltro, valutando alcune ipotesi di modifica di questa
normativa, che consentano di tenere in debito conto le esperienze maturate in questi anni di prima applicazione della normativa.
La seconda legge pone, invece, a carico della Regione le spese relative all’effettuazione del servizio di soccorso sulle piste di sci di discesa, in considerazione del rilevante interesse pubblico che riveste tale servizio e della rilevante onerosità degli
obblighi imposti dalla legge ai gestori dei comprensori sciistici.
Il meccanismo prevede che la Regione provveda a determinare annualmente
nell’ambito del proprio bilancio di previsione l’ammontare delle risorse destinate al
pagamento del servizio di soccorso, la cui organizzazione e la cui responsabilità rimane in capo ai gestori dei comprensori sciistici di sci alpino. Le somme, proporzionate alle dimensioni dei comprensori e dei relativi impianti a fune, sono poi liquidate
in due tranches su presentazione di fatture da parte dei gestori, previa verifica
dell’apertura dei comprensori e della regolarità del servizio prestato.
A breve scadenza si prevede, inoltre, di adottare un analogo provvedimento anche a favore dei comprensori di sci di fondo.
Tornando alla legge statale 363, e concludendo, cosa dire ancora di questa legge?
Si tratta certamente di un provvedimento assai lodevole nei suoi intenti, anche se
risente in modo assai chiaro del fatto che è stato adottato sulla spinta di una talora
eccessiva enfatizzazione data in un certo momento dai mezzi di informazione ad alcuni incidenti verificatisi in alcuni comprensori sciistici, nella maggior parte dei casi
imputabili a censurabili comportamenti tenuti dagli sciatori.
Essa è, inoltre, il frutto di una serie di compromessi tra vari disegni di legge e si
presenta, quindi, come un insieme abbastanza eterogeneo di disposizioni.
In ogni modo, come abbiamo visto, almeno nel caso della Valle d’Aosta, non solo
aggiunge assai poco alle leggi già esistenti ma risulta talora eccessivamente di dettaglio e pertanto inutilmente invasiva delle competenze regionali.
La Valle d’Aosta ha comunque ritenuto opportuna una sua integrazione con la legislazione regionale, al fine di recepirne i contenuti ritenuti di maggiore interesse e di
evitare possibili situazioni di contrasto.
Siamo, infatti, convinti che con tale recepimento, nella misura in cui esso è stato
adattato alle nostre specifiche situazioni, si sia dato un proficuo e positivo contributo
ad una sempre più efficace tutela dei nostri turisti e, in definitiva, alla ulteriore qualificazione dell’offerta turistica della Valle d’Aosta.
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WALDEMARO FLICK
Grazie, dottor Boglione. Lei ha detto una cosa molto esatta: abbiamo lavorato poco, in fondo, perché la nostra legislazione valdostana era già all’avanguardia. Io studio la materia da tanto tempo e devo dire che il legislatore valdostano è sempre stato all’avanguardia; prova ne è il senatore Rollandin, che da legislatore regionale è diventato legislatore nazionale e presiede il Gruppo parlamentare, assolutamente trasversale, Amici della Montagna.
Allora al senatore Rollandin chiedo di tirare le fila di questo Convegno, come uomo valdostano, come uomo di montagna, come legislatore che da una vita segue la
materia.
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CONCLUSIONI: QUELLO CHE È STATO FATTO,
QUELLO CHE È ANCORA DA FARE
AUGUSTO ROLLANDIN
presidente del Gruppo parlamentare Amici
della Montagna; senatore della Repubblica
Anch’io ringrazio la Fondazione Courmayeur per il lavoro svolto fino ad oggi.
Il compito di tirare delle conclusioni e fare una sintesi è molto difficile. Le relazioni degli esperti sono state talmente chiare da avere già fissato dei punti importanti, che saranno elemento di riflessione, in quanto è stata posta una serie di domande ed è stata evidenziata una serie di questioni che meritano un approfondimento, in particolare per quanto riguarda la legge sullo sci. Comincerò, quindi, facendo un po’ la genesi della legge, che è legata a fatti drammatici, rispetto a cui
emotivamente si era alzata una richiesta da parte degli operatori, a vari livelli, e
soprattutto degli organi di informazione, che avevano riportato alcune notizie con
grande allarme.
Ricordo che con i colleghi avevo avuto la possibilità di riunire gli operatori del settore, qui in Valle, e di dire: ma cosa sta succedendo? Che cosa bisogna fare?
Ebbene, in quella occasione, in presenza di tutti gli operatori del settore (gestori degli impianti, maestri di sci, pisteur-secouriste, guide), l’osservazione emersa era
che, di fatto, non erano necessarie nuove norme, si trattava, invece, di rispettare
quelle esistenti ed, eventualmente, di fissare meglio alcuni punti chiave, di stabilire,
ad esempio, in materia di sicurezza sulle piste per l’utente, quali potevano essere le
norme più adatte.
Per quanto mi riguarda, credo che sia giusto lavorare più che sul discorso del “dopo incidente”, cioè di che cosa avviene dopo l’incidente, su come trovare gli strumenti
legislativi e normativi che evitino di far lavorare avvocati e procuratori, perché credo
che da sempre il tema di fondo sia questo, e che poi le norme scritte, purtroppo, sono sempre molto elastiche.
La legge oggetto di dibattito, la n. 363, riguarda tutti i temi specifici e dà delle disposizioni che, se vengono lette con attenzione, lasciano un’alea di discrezionalità
estremamente ampia, come guide, maestri di sci e direttori hanno già detto. Di fatto,
che cosa significa sciare o curvare in sicurezza? Qual è la velocità di sicurezza?
L’espressione una “modica velocità” ricorda tanto la modica quantità di droga, che è
ancora oggetto di dibattito da quando è stata fatta la legge, perché ognuno l’adegua
secondo le proprie necessità. E ancora: quando si deve intervenire? Chi interviene?
A quale livello e con quali norme? Queste cose le dico perché le buone intenzioni sono sacrosante, ma poi i modi con cui si interviene sono difficili da individuare, anche
perché sappiamo che cosa significa un incidente sulle piste di sci e qual è l’eco che
ha questo tipo di incidente. Certo, il fatto che ci siano dei morti sulle piste di sci è qualcosa di traumatico, è qualcosa che difficilmente si riesce a spiegare. Uno dice: ma
come! Vanno per divertirsi e guarda cosa succede.
Allora, personalmente non ero entusiasta della legge, proprio perché avevo sentito i ragionamenti degli operatori, ma ho accettato che si normassero alcuni aspetti legati agli impianti per cercare di dare in qualche modo degli indirizzi che possano es53
sere un punto di riferimento per l’attività regionale, laddove non c’è un punto di riferimento o comunque laddove è possibile migliorare.
Qui si è parlato delle piste di sci. Nella legge ci sono due impegni sostanziali per
le piste di sci, uno riferito all’informazione e un altro alla segnaletica. Altre norme si
riferiscono all’autorizzazione all’apertura degli impianti, all’iter amministrativo che comunque anche a livello nazionale c’erano già, tant’è che molte cose non sono state
cambiate.
Prendiamo la segnaletica sulle piste di sci che sembra una cosa banale. Se consideriamo che la Valle d’Aosta, ma anche il Trentino, hanno rapporti internazionali, ci
rendiamo subito conto dell’esigenza di un adeguamento della normativa. Ricordo
che si diceva che entro sei mesi ci sarebbe stata una modifica. I sei mesi sono passati e vediamo che è difficile arrivare a una definizione che invece, con un po’ di
buonsenso e con la disponibilità degli operatori, si potrebbe ottenere in fretta.
Sull’informazione è stato detto molto. Un po’ alla volta, bisogna riuscire a dare a
tutti gli utenti, giovani e meno giovani, la possibilità di sciare in sicurezza. Ci sono dei
fondi che non sono ancora stati assegnati. E non dico di più.
Sempre in termini preventivi, un altro discorso è quello del casco. Il casco ha fatto
molto discutere e farà ancora discutere, per due ragioni sostanziali. Innanzitutto perché, in effetti, l’esigenza di una normativa sull’uso del casco era molto sentita. Dopo
avere discusso a lungo sul fatto di rendere obbligatorio o facoltativo l’uso del casco,
è prevalsa l’indicazione di renderlo obbligatorio. Il problema, che qualcuno qui ha
giustamente sottolineato, è che non si va a vedere se anche nel caso di bambini al di
sotto dei quattordici anni (perché ormai si scia in età molto giovane) il casco sia la soluzione ottimale. Questo è un problema non da poco e che è ancora aperto.
L’omologazione del casco è un punto fondamentale, altrimenti, qualsiasi casco io
mi metta, che sia quello per la Formula 1, che sia quello per la moto o per la bicicletta
non farebbe differenza. Cioè, che casco mi metto? Nessuno me lo sa dire e anche i
maestri di sci danno delle indicazioni sommarie. L’altro giorno si è arrivati a prorogare il sermone previsto per l’omologa, ma non per dire che il casco non si deve usare,
quanto perché si arriverebbe all’assurdo che l’applicazione della legge dall’1/1/2005
porterebbe a una serie di conseguenze negative per chi indossa il casco senza omologa, perché l’art. 8, comma 3 ( che prevede l’omologa del casco) è l’unico che non
prevede l’entrata in vigore dall’1/1/2005 ma dopo tre mesi dall’apparizione della norma. L’eccezione per il comma si riferisce all’entrata in vigore delle sanzioni. Allora cosa succede? Che sulle piste chi è indicato nella legge come incaricato di far rispettare la norma va a controllare non solo che lo sciatore abbia il casco, ma che il casco sia
omologato, altrimenti scattano le sanzioni che sarebbero una vera beffa.
Ho presentato in tempo utile un’interrogazione al ministro competente per conoscere cosa si stava facendo per arrivare a definire le caratteristiche del casco nei termini di legge, sapendo che, dal momento dell’omologa, le ditte che vogliono adeguare la produzione dei caschi da sci devono essere in grado di farlo. Morale: io mi
auguro che per l’anno prossimo ci sia la possibilità di dire che ci sono caschi omologati per la stagione 2005/2006. Ora, il discorso è che, se il bollo CE è solo un bollo
messo ad libitum, se non c’è un certo criterio, se non ci sono delle regole perlomeno
nazionali, (anche se dovrebbero addirittura esserci delle regole dell’Unione
Europea), credo che la cosa non abbia significato. In questo campo si sono fatti passi avanti notevolissimi, quindi si possono dare anche delle indicazioni legate alle caratteristiche del casco protettivo per proteggersi per quel tipo specifico di incidente.
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Per quanto riguarda il discorso assicurativo, faccio una considerazione di fondo legata a un’osservazione che vale anche per altri settori analoghi. Come è noto, tempo fa era stata avanzata la proposta di inserire nella Finanziaria un’ipotesi di assicurazione per tutte le case: in sostanza tutte le case dovevano essere assicurate contro eventi calamitosi come alluvioni o terremoti. Chiaramente questa proposta è stata ritirata perché inapplicabile, perché non si sapeva come e in che termini si andava
a incidere in termini di costo dell’operazione per le famiglie. Anche per lo sci il tema
è molto difficile e io non voglio entrare nel merito di chi deve accollarsi il costo dell’assicurazione. Giustamente sono venute fuori le due opzioni: assicurazione facoltativa,
oppure assicurazione obbligatoria. L’obbligatorietà va sempre vista nei limiti con cui
poi si dà la garanzia di rispondere a posteriori, perché altrimenti succede quello che
è successo con tante altre formule assicurative, laddove le clausole scritte in piccolo, in neretto, quasi illeggibili, sono quelle più importanti, quelle che creano una serie
di contenziosi. Per cui alla fine l’unico che ci rimette è l’interessato o il responsabile
della pista, o il maestro di sci, o la guida che si trova coinvolta in situazioni, e l’istituto dice: ma questo veramente non era previsto, questo caso non rientra nella normativa. Quindi l’argomento è molto delicato, credo che vada affrontato, perché ne è
emersa con grande chiarezza l’importanza nell’ambito di quello che è l’intervento a
posteriori.
Dopo aver sentito tutti gli interventi, credo sia da sottolineare la rilevanza della normativa regionale a complemento di quella nazionale. La normativa nazionale è un
punto di riferimento e indubbiamente non vuole essere invasiva delle competenze né
delle Regioni a statuto speciale né delle Regioni a statuto ordinario, ancora di più in
un momento in cui si parla di decentramento. Credo però che sia giusto in alcuni ambiti trovare delle forme di coordinamento. Per esempio, oggi noi non abbiamo sentito i pisteur-securist, che in Valle d’Aosta sono una figura importante, che ha già fatto scuola, diventando in questi ultimi anni un punto di riferimento per il settore molto
apprezzato. Ora, nell’ambito del discorso del soccorso, in Valle d’Aosta si è sperimentato il soccorso in elicottero, che prima era gratuito, poi, per evitare abusi, si è
dovuto far pagare l’intervento all’interessato, e ciò per diverse ragioni. Giustamente
veniva ricordato che la Regione interviene con il soccorso sulle piste di discesa e che
si vuole intervenire anche sulle piste di fondo. Il problema è sempre quello di valutare qual è il prezzo dell’operazione.
Per quanto riguarda il discorso dell’impiantistica, giustamente l’invito è a costituire un’autorità o comunque un organismo che dia una risposta alle esigenze che si
pongono. Soprattutto, le norme devono venire rispettate nel tempo. Pensiamo
all’adeguamento degli edifici pubblici alle norme di sicurezza: la metà delle scuole in
Italia dovrebbe essere chiusa, la metà degli edifici pubblici non risponde alle norme
antisismiche. E chi più ne ha, più ne metta. Cioè, bisognerà adottare una norma che
sia graduale e adeguata, pur nel rispetto della sicurezza dell’utenza, perché molte
volte quello che si evidenzia nel discorso delle normative è che c’è un salto di qualità
tra le ipotesi presentate nella legge e le sue applicazioni. Cioè, se si analizza la legge, si può pensare che vada tutto bene; quando poi si tratta di dare corpo a quanto
previsto, uno comincia a dire: ma quali sono i limiti che questa legge può comportare ai vari livelli di responsabilità, di sicurezza, di intervento dei singoli operatori coinvolti nell’industria del turismo e nel settore delle piste di sci? Credo che questo problema debba essere ancora risolto e che i tanti punti interrogativi che traspaiono dagli interventi che abbiamo sentito la dicano lunga sull’utilità di approfondire certi temi.
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A tale proposito, anch’io sottolineo favorevolmente le iniziative di Villa Cameron in
Valle d’Aosta, perché credo che esse siano meritorie e abbiano ormai grande rilievo
a livello sia nazionale che internazionale. Credo che sia giusto continuare con il dovuto impegno a finanziare interventi di ricerca nel settore della montagna sicura.
Concedetemi una nota sulla formazione degli operatori. I maestri di sci credo abbiano fatto dei salti di qualità importantissimi negli ultimi anni, grazie anche a una presa di coscienza diretta. Inoltre, c’è un dato di fondo che va sottolineato: alcune intemperanze sono soprattutto dei giovani che si avvicinano allo snowboard e ad altre
tecniche innovative, quindi è sui giovani che sarebbe importante intervenire un po’ di
più a livello di scuola. In Valle d’Aosta, con una scelta coraggiosa, noi diamo degli skipass agevolati per i giovani. Ecco quindi che bisognerebbe dare ai giovani una preparazione maggiore, insegnare loro perché si chiede un certo tipo di adeguamento
al cosiddetto Decalogo dello sciatore. La scuola, a mio avviso, sotto questo profilo è
carente. Penso ad esempio alle settimane bianche che sono state ridotte e che sembravano solo qualcosa di ludico quando invece erano soprattutto educative, perché
durante quel periodo ci si avvicinava alle guide, ai maestri di sci, agli operatori del
settore, e questo dava la possibilità di capire che c’è un metodo nelle cose che si fanno, che per esempio si può adeguare la propria velocità all’afflusso di gente sulla pista, oppure che si può scendere a una certa velocità a una certa ora, in un certo giorno, quando c’è poca gente, non la domenica, quando la pista è affollata. Anche qui,
se noi andiamo a vedere la legge, queste cose non sono previste. Tutto è lasciato al
buonsenso che può essere senz’altro insegnato già sui banchi di scuola. Credo che
si debba pensare proprio ad una formazione scolastica a livello generale, che, soprattutto per chi vive in montagna, sarebbe importantissima, ma sarebbe apprezzata anche da chi non vive in ambienti di montagna. Quindi, anche a livello nazionale,
credo si possa dare un segnale per agevolare un avvicinamento alla montagna un
po’ più coraggioso e in sicurezza.
Per quanto mi riguarda, ho preso buona nota delle osservazioni fatte oggi, che potranno essere oggetto di approfondimento per migliorare la normativa.
Anche il discorso dell’innevamento artificiale programmato mi sta molto bene.
Teniamone conto, perché sono stati impegnati anche dei soldi. Leghiamo questo discorso a comprensori che siano adeguati ad accogliere questo tipo di innovazione.
C’è anche una serie di regole, con riferimento alla sicurezza e alla responsabilità,
sul numero di piste e sulla loro separazione; un tema, questo, ancora aperto. Quale
scelta si intende fare? In Francia hanno fatto alcuni esperimenti con piste separate.
Ma non voglio abusare oltre del vostro tempo.
Spero che dalla riflessione del Convegno di oggi nasca un invito alla prudenza. Mi
auguro che l’applicazione di norme non allontani, ma avvicini tutti alla montagna con
grande gioia e in sicurezza.
Condivido l’osservazione di fondo che lo spirito con cui ci si avvicina allo sci non
deve essere quello dell’ansia dell’osservanza di vincoli, di regolamenti che devono
diventare qualcosa di connaturato. Una giornata passata sciando deve essere una
giornata di libertà, nel rispetto naturalmente dei diritti degli altri.
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WALDEMARO FLICK
Grazie, senatore Rollandin. Non solo hai sintetizzato tutto quello che è stato detto, ma lo hai fatto in un tempo record. Su un solo punto del tuo intervento non sono
d’accordo, cioè il far lavorare meno noi avvocati.
Saluto Ferruccio Fournier, il quale non ha potuto partecipare ai nostri lavori ed è
giunto ora perché la Società Monterosa ha effettuato il rinnovo delle cariche.
Allora, oggi abbiamo avuto il privilegio di avere qui degli uomini che sono tutti uomini di montagna e ciò è molto bello. Questo non è stato un Convegno tra noiosissimi giuristi e avvocati, ma un momento importante per scambiarsi delle idee. Abbiamo
ascoltato il legislatore. Ora abbiamo il privilegio di poter ascoltare un rappresentante
del governo.
Dall’uomo di montagna, passiamo all’uomo di mare (lo chiamavano Genova, in
Parlamento), reduce dall’incontro, che a fine ottobre si è tenuto a Cuzco, in Perù, del
Parternariato Mondiale sulla Montagna, dove è stata firmata un’importante Carta.
Allora spero che l’uomo di mare, non dico il novello Colombo perché sarebbe troppo,
che è uomo di governo e che in questo momento ha la responsabilità del paese, ci
faccia capire cosa avviene all’estero.
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CONCLUSIONI: QUELLO CHE È STATO FATTO,
QUELLO CHE È ANCORA DA FARE
ALBERTO GAGLIARDI
sottosegretario di Stato per gli Affari
Regionali
Innanzitutto devo ringraziare l’amico Waldemaro e la Fondazione Courmayeur per
avermi invitato a questo Incontro veramente qualificato. Io ho imparato molto, lo dico
con franchezza, da una regione come la Valle d’Aosta che sulle questioni della montagna ha poco da imparare e invece ha molto da insegnare, non soltanto all’Italia.
Quindi, cercherò di allargare un po’ il tiro rispetto a quanto si è discusso qui oggi per
informare anche su quello che il Governo sta facendo in favore della montagna.
Intanto porto il saluto particolare del ministro La Loggia, che, come sa l’amico
Rollandin, in questi anni ha dedicato grande impegno alla valorizzazione ed ai problemi della montagna, non soltanto per l’Italia. Poi devo dire che provo sempre una
grande emozione, quando i miei doveri istituzionali mi portano a confrontarmi con gli
operatori della montagna, perché da loro ho imparato veramente ad apprezzare
quelle che sono doti di serietà, di concretezza, di professionalità, di umanità. Questo
non lo dico retoricamente, lo dico, e l’amico Waldemaro lo può confermare, perché
lo sento. Queste doti andrebbero, almeno in parte, esportate in altri campi.
Tengo a sottolineare che, sì, la Liguria è una regione considerata di mare, ma in
realtà è una regione montuosa che si affaccia sul mare. Noi liguri guardiamo il mare
e pensiamo di essere, e lo siamo stati certamente, uomini di mare, ma in realtà abbiamo la montagna alle spalle, sia le Alpi sia gli Appennini. Tutta la Liguria, in realtà,
è una regione montuosa, che ha un grande amore per la Valle d’Aosta, e credo che
i valdostani lo sappiano e apprezzino.
Faccio una digressione, ma non per polemica. Questo Governo, in Italia, ha ricevuto delle eredità pesanti dal punto di vista sia economico che infrastrutturale, in un
contesto internazionale anch’esso poco felice. Per onestà devo dire, però, che in un
settore il Governo Berlusconi è partito favorito: quello della montagna. A livello locale, perché l’Italia può esibire una legislazione molto avanzata e risultati molto lusinghieri; a livello internazionale perché, pochi mesi dopo la mia nomina a sottosegretario, una serie di incontri internazionali hanno dato al sottoscritto la possibilità, e direi proprio l’onore, di capire dal vivo l’importanza della montagna, ad iniziare dall’11
dicembre 2001, quando, proprio tre mesi dopo l’11 settembre, al palazzo dell’Onu di
New York, ho rappresentato l’Italia durante la proclamazione del 2002 come Anno
Internazionale delle Montagne. E devo dire che queste occasioni internazionali sono
molto importanti per il nostro Paese, anche se magari tendiamo a sottovalutarle perché sembrano lontane nei luoghi e per i temi.
Quindi, dicevo, ho avuto la possibilità di valutare quanto la risorsa montagna sia
decisiva per il futuro dell’umanità e come l’Italia possa giocare, e in realtà stia giocando, un ruolo rilevante.
Nel 2002, a conclusione dell’Anno Internazionale delle Montagne, sono stato in
Kirgyzstan, un bellissimo Paese al centro dell’Asia, che avrà un futuro turistico
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straordinario, dove ovviamente ho trovato Paesi che si pongono in posizioni d’avanguardia. Per esempio la Svizzera, ma non è stata una sorpresa, perché il Kirgyzstan
è come una grande Svizzera. In occasione di questo summit internazionale, proprio
con gli amici svizzeri, l’Italia ha svolto un ruolo fondamentale per la costituzione in
ambito Fao del Parternariato mondiale per lo sviluppo della montagna.
Il 2002 e il 2003 hanno visto l’Italia molto presente a livello internazionale e il
Governo molto attivo anche in ambito nazionale. Nell’aprile del 2004, poi, una delle riunioni più importanti del Parternariato si è svolta in Italia, a Merano; un’altra ancora alle Nazioni Unite, dove era stata fissato per lo scorso ottobre il secondo
Global Meeting a Cusco, in Perù, in cui il Parternariato mondiale ha prodotto un
documento che avrà certamente sviluppi che ricadranno anche sul nostro Paese.
Quella è stata un’esperienza, come quella in Kirgyzstan, assolutamente straordinaria, perché a Cusco, l’antica capitale degli Incas, trecentomila persone vivono a
3.400 metri d’altezza. È una situazione unica (non voglio aprire un altro dibattito
che sarebbe lunghissimo, ma devo dire, a margine, che anche lì vive già una comunità cinese).
Questa esperienza peruviana mi ha fatto capire, fra l’altro, che cosa significa vivere in montagna a 3.400 metri. Cusco, una città stupenda anche dal punto di vista
storico e artistico, era in festa perché la locale squadra di calcio, per la prima volta
nella storia dello sport, aveva vinto la Coppa Uefa del Sud America. Per la verità, mi
sono anche permesso di fare una battuta, che forse i miei ospiti non hanno gradito:
che durante le partite disputate a Cusco, i calciatori avversari non abituati all’elevata
altitudine avessero difficoltà di respirazione. Diciamo che il motivo non è stato questo, che loro erano veramente bravi.
Certo, lì per la gente le Ande significano problemi, ma anche vita, come le nostre
Alpi per la piccola operosa Valle d’Aosta.
In Italia con la nuova legge sulla sicurezza negli sport di montagna, certo, si è cercato di impostare una normativa sempre più moderna, di dare nuovi incentivi, senza
assolutamente interferire nelle competenze regionali, che, ne siamo tutti convinti, sono sacrosante.
Intanto si tratta di sottolineare, anche dal punto di vista culturale, l’importanza che
ha la montagna in Italia, considerata anche la vastità del territorio montano (più del
50% dell’intero Paese). Il Governo cerca di fare la sua parte, e semmai di essere di
pungolo alle Regioni, ma, ripeto, non a regioni come la Valle d’Aosta o, per essere
chiari, il Trentino o l’Alto Adige, che al Paese e non solo al nostro hanno molto da insegnare in materia di sviluppo della realtà montane.
Devo dire che all’inizio del mio incarico, di sottosegretario con delega alla montagna, non credevo che affrontare i problemi della montagna volesse dire affrontare alla fine i problemi dell’intero Paese: problemi legati allo sviluppo dei territori non industrializzati, salvaguardia degli ambienti naturali, risorse idriche, fonti energetiche,
viabilità, trasporti, dislocazione (questa non sempre ottimale, purtroppo) dei servizi
pubblici, tutela e valorizzazione dei prodotti tipici (cosa anch’essa molto importante)
e di tante attività produttive.
E qui mi piace salutare gli imprenditori, come Lazzari, un lombardo, un milanese
affermato che ha cercato fortuna, con successi straordinari, in realtà che forse, quando l’hanno visto ospite inizialmente di quelle regioni, non erano così prospere e avan60
zate come adesso. Questo per dire che strano Paese siamo, ricco di individualità e
di personalità.
Dicevo che l’Italia ha oltre il 53% di territorio montano e che ben 4.200 Comuni su
8.100 sono considerati montani, quindi rappresentano un’importante identità italiana, che significa ricchezza storica, memoria, tradizioni, quindi ricchezza anche per il
nostro futuro, che poi bisognerà capire come si evolverà.
Prima ho accennato alla Cina, alle comunità cinesi sparse in tutto il pianeta. Noi
italiani dovremo assolutamente esaltare quello che nessuno ci può togliere: le nostre
tradizioni, la nostra cultura, la nostra storia...
Quando penso alla Valle d’Aosta, agli impianti sportivi, alle leggi sacrosante sulla
sicurezza (certo dobbiamo salvaguardare la persona), penso però che dobbiamo valorizzare le nostre risorse naturali. Non abbiamo il petrolio, non abbiamo il gas, non
abbiamo il carbone della Cina, però una ricchezza l’abbiamo ed è legata al nostro territorio, al nostro clima, alla nostra storia, alla nostra cultura. Il nostro Paese detiene il
sessanta per cento del patrimonio artistico culturale del pianeta. Allora io spero che
tutto ciò possa essere un elemento di grande rinascita per il Sud, soprattutto per il
Centro-Sud, perché il Nord fortunatamente ha altre risorse.
Quando ero in Kirgyzstan, i kirghisi mi dicevano di avere come obbiettivo lo sviluppo turistico invernale della Valle d’Aosta, del Trentino, che avevano avuto modo
di poter visitare... Il Kirgyzstan, un Paese che è pari a due terzi dell’Italia, ha al centro un lago esteso come un mare, lungo centosettanta chilometri e largo sessanta, e
sullo sfondo c’è il Pamir. Noi quindi abbiamo la possibilità di insegnare, di portare anche formazione nel settore del turismo, sia invernale sia estivo. Queste occasioni di
contatto con gli altri popoli non le dobbiamo perdere.
Voglio soltanto dare qualche informazione su quello che stiamo facendo con la
nuova legge sulla montagna in corso di approvazione in Parlamento.
Intanto bisogna partire da quello che esiste. La montagna in Italia oggi è in massima parte regolata dalla legge 97 del ’94. A nostro avviso, ma anche ad avviso degli
operatori, anche lì ci sono molte insufficienze. Fra l’altro, come spesso accade, si
tratta di una legge in gran parte inapplicata.
Oggi la riforma costituzionale ha dato nuove competenze alle Regioni e alle autonomie locali, quindi bisogna in qualche modo modellare la nuova legge alla nuova
forma costituzionale. Poi bisogna arrivare alla nozione di “montanità”, che non riguarda la montagna oggi benestante...
Benestante, vorrei che fosse chiaro, soprattutto per il lavoro di coloro che vi abitano, per merito della gente di montagna che ha contribuito a questo benessere. La
Valle d’Aosta, l’Alto Adige e il Trentino un tempo non erano certo prospere come oggi. Certo lo Stato ha devoluto molte risorse, ma queste risorse sono state spese molto bene e questo credo sia un vanto dell’Italia. Quindi, abbiamo dei dati positivi che
questo Governo non può rivendicare, ma deve accettare con grande rispetto.
Il problema, come dicevo, è arrivare a identificare i Comuni ad alta specificità montana, per cercare di aiutare, con le poche risorse che il Paese oggi può impiegare, così come è stato fatto in passato, realtà che hanno delle potenzialità dal punto di vista
dell’economia e del rilancio della montagna, così come è stato fatto in grande, con
successi straordinari, in regioni come la Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige. Questo
è l’obbiettivo.
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Un successo che invece accredito al governo Berlusconi è la battaglia condotta in
Europa. Oggi, finalmente, la Costituzione europea riconosce la specificità della montagna; fino a pochi mesi fa, l’Europa riconosceva l’insularità, ma ignorava la montagna. Incredibile ma vero.
Il governo italiano ha combattuto una battaglia, risultata vincente, attraverso il ministro La Loggia. Ricordo un convegno importante durante il semestre italiano, a
Taormina, dove furono invitati i ministri dei quindici Paesi (allora non eravamo ancora venticinque), per sottolineare l’importanza di inserire la questione montana nella
Costituzione europea.
Un grande aiuto, in quel caso, venne in particolare dalla Spagna e dalla Grecia.
Non dalla Francia e non si capisce perché. Ma in questo i francesi si sentono i primi
della classe, con tutto il rispetto per la capacità, l’ingegno, la cultura, la storia e l’efficienza francese. Io credo, però, che noi abbiamo compiuto un piccolo miracolo.
Cosa vorrà dire il riconoscimento ufficiale in Costituzione delle regioni di montagna? Non lo sappiamo. È l’inizio di un cammino. Confucio, se non sbaglio, diceva che
anche un viaggio di ventimila leghe comincia con un primo passo. Tutto questo per
dire che c’è una grandissima attenzione ai problemi della montagna.
Ho preso buona nota anche per quanto riguarda la richiesta, emersa dal dibattito
di questa mattina, della costituzione di un’authority, che sarebbe certamente necessaria. Forse ci sono problemi burocratici, che sono sempre in agguato in questo
Paese.
Quindi, ancora ringraziando, rimango a disposizione di voi tutti, anche per merito
dell’autostrada dei Trafori… Qui faccio una battuta, perché, come ben sa
Waldemaro, io sono un po’ polemico di natura: l’autostrada dei Trafori è quella che
allaccia, che unisce, direi, la Liguria alla Valle d’Aosta in pochissimo tempo, direi due
ore, due ore e mezza se c’è la coda.
Questo lo dico perché sono ferocemente critico verso coloro che hanno bloccato
le infrastrutture in tutta Italia in questi trenta, trentacinque anni, molti dei quali sono
ancora vivi politicamente. Quando l’autostrada dei Trafori venne inaugurata, nel
1977/1978, un titolo del “Corriere della Sera” riportò un giudizio di una parte politica
ben definita, allora molto importante: “hanno inaugurato l’autostrada per andare a
funghi”.
Io allora mi occupavo professionalmente di relazioni con la stampa e leggevo per
dovere tutte queste cose. Questi errori non commettiamoli più. Le infrastrutture, gli
impianti... Certo, vanno realizzati nel rispetto della sicurezza. La persona è sempre
al primo posto, ma anche per l’autorevole magistrato, che ha fatto un’ottima relazione sulla legge sulla sicurezza in montagna, al primo posto deve esserci la persona e
la sua responsabilità.
Sugli uomini di montagna non ho mai avuto dubbi, perché poi di montanari ne conosco. Anche gli alpini della Liguria sono importanti, anche loro hanno insegnato cosa significa responsabilità, perché prima di tutto ognuno di noi deve essere responsabile dei suoi atti anche in montagna.
Grazie.
62
Finito di stampare
nel mese di marzo 2005
presso
Musumeci S.p.A.
Quart (Valle d’Aosta)
Fondazione
Courmayeur
Mont Blanc
F o n d a z i o n e
Centro Internazionale su Diritto, Società e Economia
CODICE DELLA MONTAGNA
MONTAGNA RISCHIO E RESPONSABILITA’
1994 - 2004
Il punto sulla legislazione, la giurisprudenza e la dottrina
n. 11