il vampiro innamorato
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il vampiro innamorato
IL VAMPIRO INNAMORATO di Daniele Signorini Parte prima: Il mostro della notte Le luci del crepuscolo si smorzano sopra la fitta e cupa foresta di Glengarrion, circondata da desolate, paludose brughiere. Il sole è declinato sotto l’incerta linea dell’orizzonte, tra nubi arancio-crema, nel trionfo rosseggiante di un’aureola dorata. I primi raggi della luna piena, un bianco teschio ghignante incastrato nell’emisfero del cielo limpido, si insinuano faticosamente nel fitto groviglio dei rami di conifere, di querce e di bassi cespugli spinosi per raggiungere il soffice tappeto di muschi e di foglie secche che marciscono sul terreno. Alle lugubri note del canto dei caprimulghi si mescola, in bizzarra cacofonia, la voce lamentosa di una civetta. E’ un fantoccio, un pupazzo che si muove comandato da fili invisibili, al sorgere e al calar del sole. Di giorno dorme nell’oscurità profonda, umida e gocciolante di una cripta sotterranea, immobilizzato dal canto del gallo dentro una massiccia, polverosa e spoglia cassa di mogano, un sonno profondo e senza sogni, a dispetto degli occhi sbarrati, un rivolo di sangue che si rapprende sulle sue labbra sottili congelate in una smorfia inumana e distorta. Calato il sole esce dal suo rifugio muovendosi prima a strappi, sonnambulico, quasi oppresso dal rigor mortis, poi come un felino, a suo agio nell’oscurità più profonda, alla ricerca di una preda. Una qualsiasi pulsante fonte di vita da cui spillare il liquido rosso, denso e caldo per spegnere il tormento della sua sete innaturale, eterna, irresistibile.Uomo, tu che ancora vivi: prega di non sapere mai che cos’è la sete!.......Le sue fredde ed esangui mani marmoree, portatrici di una forza sovrumana, trasmettono la gelida rigidità della lapide, la loro stretta è un abbraccio ferreo e mortale. Negli occhi fosforescenti balenano riflessi rossastri che sembrano proiettati dalle fiamme dell’Inferno, nella pupilla è impressa l’immagine di un nero pipistrello svolazzante. Non è suo, è il sangue delle vittime che scorre, goccia a goccia, denso e scuro, nelle sue antiche vene. Il petto non si alza nel respiro, mai il cuore pulsa in un battito vitale. La sua voce ha gli echi sepolcrali di un sussurro spettrale. Il passo guardingo e felpato è quello della pantera, il sorriso una smorfia ferina, un sogghigno incorniciato da acuminati, bianchissimi, lampeggianti canini. Uscito fuori si guarda attorno, vedendo distintamente attraverso la barriera delle fitte ramaglie del bosco, con la chiarezza del pieno giorno. Alle strida di una civetta che passa alta sul suo capo risponde con un grido, rauco e sibilante allo stesso tempo. Per un attimo è come se un invisibile fantasma impastato di gelo polare penetrasse veloce attraverso la boscaglia. Parte seconda: L’orrendo contagio Si rilassò, facendo il gesto di alzarsi e rischiando di cadere, perché stava già in piedi. I suoi sensi amplificati, animaleschi, sovrannaturali, avvertivano il sibilo del vento che scavalcava colline lontane, il battito del cuore di un passero che volava alto sopra la boscaglia. Al suo sguardo indagatore la luna appariva non come un piccolo cerchio immerso nel buio, ma come un immane disco lattiginoso, butterato di crateri, che invadeva un’ampia zona del cielo. Si appoggiò al basamento di una statua di alabastro annerita e consunta, 1 lasciando qualche attimo le braccia ciondolare attorno al corpo, con un gesto che sembrava di noia o di stanchezza. Ed era così. Il suo pensiero uscì dalla tenebra e tornò a molto tempo addietro, quando faceva parte ancora dei vivi, che preferiscono di gran lunga la luce del sole al buio della notte. Chi era, o meglio chi era stato, centinaia di anni addietro, prima di essere colpito dalla maledizione del nosferatu, del morto vivente? Uno sforzo della mente, ancora umana nonostante la sua condizione ed il lungo tempo trascorso e il ricordo si materializzò, lucido, doloroso come una ferita mai rimarginata: era John Winkler, morto da secoli! Viveva in un paesello non molto lontano, ai tempi in cui era da poco finita la guerra sanguinosa e fratricida che aveva contrapposto la rosa degli York a quella dei Lancaster, ricorda ancora il passaggio di squadre di armigeri che, cantando canzoni sguaiate si avviavano con le loro alabarde e gli elmi luccicanti allo scontro, mentre altri manipoli ritornavano, in disordine, alla spicciolata, con feriti, laceri e mutilati avvolti in stracci polverosi e sanguinanti, sconfitti e senza speranza. Allora bisognava fuggire e nascondersi nelle campagne vicine perchè quelle bande di disperati, perso ogni brandello di disciplina, erano usi alla violenza e pronti al saccheggio. Un giorno maledetto egli si era spinto, insieme con la sua bellissima e dolce Lisa, la figlia del sellaio del paesello, che divideva con lui gli aneliti e i sospiri dei diciott'anni e con la quale aveva giurato eterno amore, nei recessi della foresta, spingendosi per uno stupido gioco di falso coraggio e di malsana curiosità, nella zona che nessuno frequentava perchè, dicevano gli anziani, era un luogo da cui nessuno tornava più indietro. O, peggio ancora, chi tornava non era più lo stesso. Una volta avventuratisi in quella parte maledetta del bosco, priva di sentieri, si erano persi e avevano vagato, impauriti e soli, finché, sorpresi dalla notte si erano imbattuti nelle annerite rovine dell’antico maniero di Karnstein. Quel castello, ricordava ora come allora, era stato bruciato oltre due secoli prima dagli abitanti inferociti dei paesi vicini, che avevano trovato il coraggio di riunirsi in processione e distruggere con le fiamme la lugubre e sinistra costruzione, insieme con la famiglia maledetta di adoratori del demonio, che rapivano di notte i loro figli per nutrirsi col loro sangue e perpetuare così la loro immonda e sacrilega esistenza. Si ricordava, con strana lucidità e precisione i brividi che avvertiva quando il nonno gli raccontava, seduto davanti al fuoco di cerro scoppiettante nel focolare nelle lunghe serate invernali, che quella notte le potenze maligne sembravano voler proteggere i maledetti castellani di Karnstein, avvolgendo i sentieri del bosco in una nebbia fredda e impenetrabile, fumigante attorno alle croci brandite dai preti che guidavano la folla salmodiante e incerta stretta attorno ai simboli della fede. Ma qualcuno – o qualcosa – era rimasto tra quelle rovine, perchè chi si spingeva in quella zona del bosco, resa quasi impenetrabile da una barriera di rovi e di rami, difficilmente faceva ritorno. Vivo, almeno. John Winkler si rifiutava di ricordare cosa gli era accaduto, ma in realtà non poteva dimenticare che, come sorta dalle rovine, la malvagia castellana, Ludmilla di Karnstein, bellissima coi lunghi fulvi capelli e avvolta nel suo lungo mantello blu notte ornato da filigrane d’oro, aveva accolto i due ragazzi prima con falsa cortesia, offrendosi di indicare loro il sentiero per uscire dalla foresta. Li aveva invece contaminati col bacio del vampiro, suggendone il sangue e iniziando così i due infelici giovani alla non-vita, l’esistenza eterna, errabonda, degenerata e lunare dei morti viventi. Non erano più tornati al loro paesello. Parte terza: Morte! Terribile, terribile, l’intenso dolore lo pervade, lo sovrasta, lo domina! Si gettò indietro con un gesto meccanico le pieghe del lungo mantello nero, svolazzante nella brezza notturna. Profonda, la neritudine della notte lo avvolse. Era rimasto solo! Non era bastato trovare come rifugio un inaccessibile sotterraneo dimenticato da tutti, un vano polveroso, pieno di vecchie ragnatele e di gocciolante umidità, sufficiente per sfuggire alla caccia degli uomini ma non al trascorrere inesorabile e paziente del tempo e allo scatenarsi della furia cieca e impersonale della bufera. Per giorni e notti la pioggia e il vento di erano abbattuti ferocemente, squassando e dilavando le diroccate e malferme mura, gli smottamenti avevano scoperto le fondamenta del perduto, dimenticato maniero di Glengarrion. Cedendo alla forza degli elementi, una pesante grata di ferro rugginoso, vinta dal fulmine, si era spezzata penetrando in profondità, come una lancia, nei pavimenti marciti e nei soffitti indeboliti e sconnessi, fino a piombare come un proiettile, con un tonfo rovinoso dentro il sotterraneo in cui i due vampiri giacevano immersi nel pesante letargo del giorno pieno. Le punte aguzze della grata avevano sfondato il coperchio della bara, raggiungendo il petto e il cuore di Lisa, trapassandolo con la forza di un maglio. I lunghi capelli castani uscivano dalla cassa ma sul corpo della non morta era caduta l’immobilità marmorea della morte vera, assoluta, definitiva. Parte quarta: Solo! 2 John Wkler, sorto dal suo duro giaciglio al calar del sole, vide il disastro attorno a sé, la ferita aperta nel soffitto a volta del suo rifugio, l’inferriata rugginosa precipitata sulla bara della compagna. Cosa era accaduto lo immaginava, non aveva però il coraggio di guardare: la paura, una emozione che non provava più da secoli lo paralizzava. La sua compagna non esisteva più, questa volta era morta davvero, come se loro, gli uomini che vivono, quelli dal sangue ancora caldo, i cacciatori di spettri viventi, li avessero alla fine raggiunti, col loro armamentario di acqua santa e croci, di martelli e paletti appuntiti, penetrando fin nel profondo, gelido scantinato, per fermare i loro cuori già freddi e immobili. I raggi della luna nascente penetravano nell’oscurità della cripta, attraverso gli squarci aperti dalla grata; il vampiro si accorse solo adesso quanto in realtà il suo rifugio fosse così poco distante dal livello del terreno, non era affatto così sicuro come aveva sempre creduto. Cadde in ginocchio accanto alla bara sfondata e quasi schiacciata, sollevò senza fatica apparente la pesante inferriata e la scagliò rabbiosamente contro una parete, colpita con un rumore sordo e vibrante di ferraglia contorta, che suscitò echi metallici negli angoli bui dello scantinato, nell’aria immobile si levò un sapore dolciastro di polvere rugginosa. Prese in mano, tremando, una ciocca di capelli della sua Lisa, la baciò, continuando a gridare in silenzio, dentro di sé, il nome della sua compagna; poi salì indeciso la rampa delle sconnesse scale di pietra ed uscì all’aperto, inoltrandosi nel cortile deserto, ingombro di detriti e di vecchie rovine bruciacchiate, nella nebbia e sotto la pioggia che continuava, indifferente, monotona a cadere. “Lisa!” chiamò disperatamente, prima sottovoce, poi con energia, assaporando il gusto amaro del suo stesso dolore, straziante e inutile. “Lisaaaa!”. Gli rispose il silenzio irreale e profondo che regnava sulle macerie dell’antico maniero. Uno sguardo fugace: sembrava che due alberi stessero abbracciati, saltellando e muovendosi in tondo, in una danza macabra e grottesca. Nulla! L’immobilità totale e il silenzio, cupo e sinistro, tornarono a gravare sulle nere rovine. La creatura morta alzò gli occhi verso la luna e proruppe in un lungo ululato, che sorprese e zittì le creature notturne del bosco facendole rabbrividire nelle loro tane, concludendosi in una agghiacciante e bizzarra cacofonia di singulti spezzati, che si spensero infine nelle fitte tenebre in cui giaceva il cuore della profonda selva di Glengarrion. Da una feritoia, aperta lungo i sopravvissuti residui di un bastione merlato a barbacane, lo osservavano, interrogativi, i rotondi occhi ammiccanti di un gufo. Quel suono alieno e mutevole conteneva il dolore sordo, l’angoscia terribile, la sofferenza infinita che invadevano l’anima del mostro con disumana intensità. Il suo cuore non si fermava solo perché esso era già spento da secoli. Il volto della creatura, contratto in un rictus spasmodico, era una maschera sardonica deformata dal tormento. La bocca si contraeva nella vana ricerca di un pianto liberatorio, fino a scoprire i denti affilati, avvezzi a penetrare nelle carni della preda, che scavavano violacei solchi dolorosi nelle sue labbra; gli occhi si aprivano e si chiudevano nel digrigno di uno spasimo atroce. Le lacrime erano ormai prosciugate da secoli! Parte quarta: Ancora umani, nonostante tutto La mente del vampiro percorse in brevi attimi la storia della sua lunga esistenza, brevissima come umano, interminabile come mostro della notte. Cominciò ricordando come, lui e la bellissima Lisa, non si fossero mai rassegnati al loro atroce destino. Si erano promessi, a dispetto della condanna che incombeva su di loro, di non fare mai vittime. Nessun umano era mai caduto sotto i loro artigli, nessuno era mai stato contagiato, per loro colpa, dalla dannazione del vampiro. Nonostante gli ordini e il sarcasmo della loro perfida padrona, Ludmilla di Glengarrion, erano riusciti a mantenere questa reciproca promessa, nutrendosi solo del sangue di piccoli animali della foresta, raramente avventurandosi in qualche villaggio per succhiare il rosso liquido da mucche e cavalli. In loro, a dispetto di tutto, incontaminata era rimasta, la primitiva umanità e bontà, essi traevano consolazione dal loro intatto, reciproco amore. Avevano perfino conosciuto e fatto amicizia con alcune delle timide e miti creature che, di notte, vagano per i boschi e per le quali i vampiri erano soltanto infernali creature, ripugnanti e pericolose, da cui fuggire con orrore e disgusto. Si erano invece avvicinate alla infelice coppia, stupite dal comportamento dei due giovani che, seduti uno accanto all’altra sull’orlo di un fossato o sull’erba bagnata dalla rugiada notturna, contemplavano la natura, sospirando sul loro indimenticato sogno d’amore. L’animo si era mantenuto, più di quanto fosse pensabile nella loro mostruosa condizione, puro. Avevano solo un desiderio, disperato e impossibile a realizzarsi: ritornare umani, godere ancora della luce e del tepore del sole, amarsi così come si erano promesso, vivere insieme serenamente una vita operosa e onesta, affrontando poi, alla fine, il passaggio naturale della morte: erano due buoni cristiani. Subito dopo il calar del sole, qualche volta si erano spinti, non visti, volando sulle loro nere ali membranose, fino alle case di qualche villaggio o presso qualche sperduto casolare e avevano osservato, con invidia, le famiglie, i loro bambini, la vita dei vecchi e dei giovani; tutto ciò che loro avrebbero desiderato essere e che non sarebbero mai più stati. Un pensiero attraversa la sua mente: in vita, la sua era stata un’epoca dominata 3 dal terrore superstizioso, dalle paure ataviche generate dall’oscurità, carica di mistero e di minaccia. Nell’attesa di una razionalità scientifica ancora di là da venire regnava la più grande confusione di cognizioni, così che si potevano ritenere esistenti esseri impossibili o improbabili; oppure si potevano attribuire qualità umane o diaboliche a creature della natura che i buoni cristiani vedevano sì ogni giorno, ma che allo stesso tempo immaginavano impegnate in ambigue vite parallele durante le ore misteriose della notte, quando si pensava che il male avesse più facile accesso fra le cose degli uomini. Ma John Winkler, a dispetto di ciò, non aveva mai creduto all’esistenza degli esseri maligni descritti dalla credenza popolare; lamie, folletti, ghoul, lupi mannari, spettri, vampiri: pure creature del sogno e dell’immaginazione, della superstizione e della paura. E adesso era diventato uno dei figli della notte, un appartenente alla oscura stirpe dei ritornanti, dei demoniaci succhiatori di sangue, maledetti dal sole e rifiutati dalla vita: non gli sfuggiva la macabra ironia contenuta in questo, lo scherzo perverso che il destino gli aveva giocato! Quando, due secoli prima, uomini armati di croci, paletto e martello avevano trovato il rifugio della loro padrona, ponendo fine alla sua lugubre e feroce esistenza, lui e Lisa avevano gioito; in seguito essi ne avevano anche disperso, con rabbia e disprezzo, i resti polverizzati per impedire che, per effetto di chissà quale tenebroso maleficio o patto diabolico, la perfida castellana potesse tornare nuovamente, risorta, dal sepolcro. Sapevano anche, confusamente che, una volta ucciso, un vampiro viene proiettato in una condizione ancora più spaventosa e orrenda della sua semivita lunare. Un lungo brivido percorse il corpo del mostro, a quel pensiero. Ma una risoluzione, dapprima indistinta, cominciò a prendere forma sempre più decisa nella sua mente. Parte quarta: Il riscatto Il buio notturno si stemperava pigramente nei primi chiarori dell’alba imminente e il vampiro cominciava ad avvertire, come sempre, i primi sintomi del sonno che appesantivano pian piano le sue palpebre; era ancora però molto vigile: i suoi sensi, dotati di una percezione animalesca e sovrannaturale lo avvertivano dell’avvicinarsi di una temuta, estranea presenza. E li vide: due uomini, superati i diroccati muri di cinta del castello di Glengarrion, si muovevano circospetti verso il suo rifugio. Uno di essi, nerovestito, aveva l’aspetto del sacerdote e portava un vistoso e luccicante crocefisso di argento appeso al collo, l’altro teneva in mano un martello e alcuni paletti che al vampiro sembravano fosforescenti: erano intrisi di acqua benedetta. Pazzi, inetti e miserabili omiciattoli! Il mostro digrignò i denti, si sentì avvolgere da una furia cieca, un’ondata di odio e di disprezzo; aprì le mani, le dita artigliate scricchiolarono, allungandosi. Sentì forte, istintivo, il desiderio di annientarli con un semplice gesto, di dominare le loro deboli menti per farne degli schiavi e di spegnere lentamente, con deliberata crudeltà, le loro miserabili vite dissetandosi col loro sangue, cavato goccia a goccia. Avrebbe visto l’appannarsi delle loro pupille, la vita sfuggire da loro, insieme col caldo, vermiglio liquido, zampillante dalle loro vene. Sarebbe stato fin troppo facile, per una creatura i cui poteri, alimentati dall’esperienza dei secoli, erano ormai diventati perfino maggiori di quelli posseduti dalla nera e perfida Signora di Glengarrion! Presa la forma di un gigantesco pipistrello si avventò stridendo contro di essi, che lo videro e lanciarono un urlo di terrore immobilizzandosi, raggelati. Ma poi, inaspettatamente cambiò direzione, dirigendosi in alto, con volo diseguale e spezzato, sopra il cortile. Ripresa forma umana, John Winkler scese lentamente nei recessi del suo antico e ormai violato rifugio, spostò con delicatezza il coperchio della bara di Lisa, ne osservò con infinito amore il corpo immobile e quasi pietrificato, si chinò a baciarle ancora i capelli, la fronte, le labbra. Poi le prese una mano e mormorò:”Lisa, amore, non so dove tu sia adesso,....forse stai camminando, smarrita, in un luogo fatto per le nostre anime perdute, terribile aldilà di ogni immaginazione, peggiore dell’Inferno stesso e stai vagando senza sosta, senza pace, tormentata da chissà quali esseri spaventosi....Non sarai più sola! Il nostro sarà un solo destino, io tornerò a dividere con te, eternamente, le sofferenze che tu forse stai già affrontando, qualunque esse siano. Ti terrò per mano, cammineremo insieme, come una volta ci giurammo: in vita e in morte. Nessuna potenza infernale potrà mai più separarci!”. Poi si distese, come sempre, nel sepolcro di mogano che per secoli lo aveva accolto, allo spuntar del nuovo giorno. Sulle palpebre calò il pesante torpore dei non morti. Lontanissimo, inconsueto, giunse il grido del gallo che salutava l’alba. Parte sesta: La sconfitta delle tenebre All’esterno i raggi del sole cominciavano a farsi strada, tra sparse, mutevoli, galoppanti nubi rosacee. La pioggia aveva smesso di cadere; contorti, fugaci riccioli di nebbiolina sottile si levavano dai morti tronchi dei vecchi alberi cresciuti sulle rovine dell’antico castello, rivestiti di licheni verdastri. I due cacciatori di vampiri, ripresisi dall’ondata di subitaneo terrore che li aveva attanagliati alla vista del mostro e fattisi coraggio, facendosi più volte il segno della croce, scesero esitanti nel cupo scantinato, sul pavimento del 4 quale videro appoggiate due bare, una semidistrutta e l’altra intatta ma stranamente aperta. Nella prima capirono ben presto che la vampira aveva cessato di esistere: nel suo petto era affondato uno spezzone metallico che rendeva inutile il loro intervento. Il sacerdote depose comunque, al suo interno, quasi con delicatezza, un piccolo crocefisso d’argento e spruzzò il corpo con alcune gocce di acqua benedetta. Non accadde nulla. Guardando all’interno della seconda bara si aspettavano di vedere un essere cui era rimasto ben poco di umano: gli occhi sbarrati, pieni di terrore e di rabbiosa impotenza per la coscienza della morte definitiva che stava per calare sopra di lui, un volto dominato dal digrigno delle labbra ferine, dalle quali sarebbero fuoriuscite le lunghe, affilate zanne del vampiro. Il mostro, di cui conoscevano i poteri, forse avrebbe anche cercato di ipnotizzarli, di impadronirsi delle loro menti se solo avessero commesso l’errore di guardarlo negli occhi. Niente di tutto questo! Videro invece un giovane uomo, quasi un ragazzo che, avvolto elegantemente nella sua nera, lucida veste, teneva gli occhi chiusi nel sonno, sulla bocca aleggiava l’ombra di un sorriso, l’espressione distesa del volto era quella di chi si era addormentato, per la prima volta serenamente, ormai in pace con sé stesso. Solo il colorito bianchissimo del viso, la freddezza e la rigidità innaturali delle sue membra confermavano che quell’uomo doveva essere un vampiro, una creatura la cui esistenza i due uomini erano venuti a chiudere per sempre. Sforzandosi di distogliere gli occhi dal volto cereo e sereno del mostro, oramai non più tale, l’uomo armato di paletto levò in alto il mazzuolo, rivolgendolo verso la testa del cuneo la cui punta teneva appoggiata sul petto della creatura della notte, in direzione del suo immobile cuore. L’altro, vestito da sacerdote recitò una breve litania, in un linguaggio cantilenante, arcaico e dimenticato, che risvegliò inquietanti echi sepolcrali sotto le basse, crepate volte del sotterraneo. Poi, riposto il libro da cui aveva letto, concluse, frettolosamente: “Nel nome del Cielo e degli Uomini, noi siamo qui giunti per...”. Alla fine, in un ultimo attimo di indecisione, il primo dei due uomini cercò nuovamente il conforto di un segno di assenso da parte del suo compagno, che annuì, socchiudendo gli occhi, con un lieve cenno del capo. La mano, armata del pesante martello, scese giù, veloce. Parte quinta: Insieme, per sempre In un limbo sospeso al di fuori dello spazio e del tempo, oltre le dimensioni della memoria e della coscienza degli uomini, l’edificio di una antica maledizione si stava finalmente sgretolando. Le due anime che vi erano imprigionate potevano così riprendere il lungo cammino e chiudere il ciclo della loro esistenza. ............................................................................................................................................................................ La coppia di giovani innamorati camminava felice, tenendosi per mano, lungo una tiepida spiaggia che si illuminava di un’alba verde, profumata dai fiori del loto e punteggiata di rosse conchiglie. Sullo spumeggiar delle acque, lungo il lontano disegno dell’orizzonte rischiarato da lampi violacei, discendevano una cascata di rutilanti scintille e vortici di polvere d’oro. Tra le onde e i gorghi saltavano i delfini, l’aria vibrava per il canto delle sirene che saliva dalle azzurre, cristalline profondità. Ormai molto distante, in una tetra zona perennemente infestata dalle tenebre, una legione di oscuri demoni che aveva il compito di trascinare i due ignari innamorati nell’abisso più profondo e tormentarli in eterno, fuggiva invece disordinatamente, sempre più lontano, in rotta disperata. Una fitta, violenta pioggia di lapilli incandescenti precipitava senza tregua su di loro. Vicinissima, inesorabile, una enorme spada fiammeggiante, brandita da spietate mani invisibili, trafiggeva l’oscurità e li incalzava implacabilmente, roteando. Alcune fonti di ispirazione: The Undead Die (l’immortale, 1948) di Ray Bradbury e Edward Everett Evans The Grey Lady of Glengarrion (la Dama di Glengarrion, 1955) di Clark Douglas Stuart La stirpe di Elän (Zona X, 1992-1995) di Federico Memola Azathot (Azatoth, 1922) di Howard Philips Lovecraft Carmilla (Carmilla, 1872) di Joseph Sheridan Le Fanu Almanacco della paura: Vampiri! (Dylan Dog, 1993), di Mauro Boselli In a Graveyard (In un cimitero, 1935) di Eando Binder Dracula’s Guest (l’ospite di Dracula, 1897) di Bram Stoker 5 A Rendez-Vous in Averoigne (Il Signore di Malinbois, 1931) di Clark Ashton Smith Sem'ja vurdalaka, 1839 (I Vurdalak, 1839) di Alekséj Konstantinovič Tolstòj The vampire (Il vampiro, 1816) di John William Polidori Vij (Il Vij, 1835) di Nikolaj Gogol’ La Belle Vampirisée (La Bella Vampirizzata, 1849) di Alexandre Dumas The Room in the Tower (La Stanza nella Torre, 1912) di Edward Frederick Benson Skulls in the Stars (Il Vampiro della Brughiera, 1929) di Robert Ervin Howard Una fossa bianca di luna (I Racconti di Dracula, 1965) di Frank Graegorius Nere ali di morte (I Racconti di Dracula, 1973) di Irving Mathias Il tempio dell’orrore (I Racconti di Dracula, 1961) di Morton Sidney Messager is waiting (Il messaggero bussa alla porta, I Racconti di Dracula, 1970) di Morton Sidney Il castello sulla collina (I Racconti di Dracula, 1979) di Red Schneider La legge dell’al di là (I Racconti di Dracula, 1962) di Max Dave La tomba di Satana (I Racconti di Dracula, 1960) di Geron Brandanus The Treader of the Dust (Colui che cammina nella polvere, 1935) di Frank Belknap Long Varney the Vampire; or, The Feast of Blood (Varney il vampiro, 1847) di Thomas Preskett Prest Sing a Last Song of Valdese (La ballata di Valdese, 1976) di Karl Edward Wagner Number 13 (La camera numero 13, 1904) di Montague Rhodes James The Feast in the Abbey (Il festino nell’abbazia, 1935) di Robert Bloch Phantoms (Fantasmi!, 1983) di Dean Ray Koontz Twilight Eyes (Là fuori, nel buio, 1985) di Dean Ray Koontz The Year's Best Horror Stories-Series V (La stirpe della tomba, 1977) di Gerald W. Page The Fall of the House of Usher (Il crollo di casa Usher, 1839) di Edgar Allan Poe Ligeia (Ligeia, 1838) di Edgar Allan Poe Salem’s Lot (Le notti di Salem, 1975) di Stephen King Night Shift (A volte ritornano, 1978) di Stephen King Plenilunio di morte (I Racconti di Dracula, 1972) di Red Schneider Il buio oltre la materia (I Racconti di Dracula, 1972) di Harry Small Il marchio del vampiro (I Racconti di Dracula, 1964) di Werner Wrengel Il ritorno delle ombre (I Racconti di Dracula, 1964) di Harry Small La fredda ala della morte (I Racconti di Dracula, 1969) di Alan Preston I morti possono aspettare (I Racconti di Dracula, 1969) di Daniel Scott .....e ancora molti, molti altri.... 6