Linee guida dell`ipertensione e
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Linee guida dell`ipertensione e
4 Vascular aging in practice editoriale Linee guida dell’ipertensione e “real-life”: dalle raccomandazioni “evidence-based ” alla pratica quotidiana del Medico La più recente edizione delle linee guida Europee sulla diagnosi e trattamento dell’ipertensione arteriosa, che sono state pubblicate congiuntamente dall’European Society of Hypertension (ESH) e dall’European Society of Cardiology (ESC) nel 2013, ha recepito i risultati e le osservazioni di una serie di importanti studi clinici sull’inquadramento diagnostico e sulla gestione terapeutica dei pazienti con elevati valori di pressione arteriosa (PA). Le linee guida ESH/ESC 2013 continuano ad osservare alcuni principi fondamentali che hanno ispirato le precedenti edizioni delle linee guida europee, rispettivamente del 2003 (ESH/ESC, 2003) e del 2007 (Mancia G et al.,2007), vale a dire: 1) fornire raccomandazioni basate su studi condotti in modo rigoroso ed identificati mediante un’accurata rassegna della letteratura; 2)prendere in considerazione come prioritari i dati forniti da trial controllati randomizzati (RCTs) e da loro meta-analisi, senza tuttavia trascurare – soprattutto riguardo ad aspetti diagnostici – i risultati di studi osservazionali e di adeguato valore scientifico; 3)graduare il livello delle evidenze scientifiche e la forza delle raccomandazio- ni riferiti ai principali aspetti inerenti alla diagnosi ed al trattamento seguendo le raccomandazioni dell’ESC, come nel caso delle linee guida Europee redatte per altre patologie. Nella nuova edizione delle linee guida, la definizione della classe di raccomandazione e del livello di evidenza è considerata importante al fine di fornire un approccio standard, con cui confrontare lo stato delle conoscenze in diversi campi della Medicina. Inoltre, si è ritenuto che questo approccio potesse rivelarsi più efficace per segnalare ai medici quali raccomandazioni erano basate sull’opinione degli esperti e quali, invece, su evidenze scientifiche documentate. Ciò non avviene raramente in ambito medico, in quanto per buona parte della pratica clinica quotidiana non sono sempre disponibili solide evidenze scientifiche, per cui le raccomandazioni scaturiscono dal senso comune e dall’esperienza clinica personale, entrambi fattori potenzialmente fallibili. Riconoscere questo limite può evitare che le linee guida siano percepite come rigidamente prescrittive e venga enfatizzato il ruolo degli studi clinici in cui prevale il parere clinico non supportato dall’evidenza scientifica. Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 Un quarto principio che ha ispirato la stesura delle nuove linee guida, in conformità con il loro scopo didattico, è stato quello di corredare il testo di numerose tabelle e fornire una serie di raccomandazioni concise che fossero facilmente e rapidamente consultabili dai medici nella loro pratica quotidiana. Infine, tra gli elementi distintivi più importanti delle linee guida 2013 rispetto alle precedenti si possono annoverare: i dati epidemiologici sull’ipertensione e sul controllo della PA in Europa; l’aggiornamento del ruolo prognostico della pressione notturna, nonché dell’ipertensione da camice bianco e mascherata; la ribadita importanza dell’integrazione dei valori di PA con i fattori di rischio cardiovascolare (CV), la presenza del danno d’organo asintomatico e le complicanze cliniche per una corretta valutazione del rischio cardiovascolare totale; l’applicazione di criteri maggiormente evidence based per i target pressori; la revisione della schema per le associazioni prioritarie di due farmaci antipertensivi; ed i nuovi algoritmi terapeutici per il raggiungimento degli obiettivi pressori (Mancia G et al., 2013). La relazione continua tra valori di PA ed eventi CV e renali rende difficile distinguere la normotensione dall’ipertensione in base a valori soglia pressori. Ciò dipende in misura ancora maggiore dal fatto che, nella popolazione generale, i valori di pressione arteriosa sistolica (PAS) e diastolica (PAD) hanno una distribuzione unimodale. Tuttavia, nella pratica clinica i valori pressori soglia sono largamente utilizzati, in quanto rendono più agevole l’approccio diagnostico ed agevolano le decisioni terapeutiche. La classificazione raccomandata, nelle linee guida ESH/ESC 2013 è rimasta immutata rispetto alle precedenti linee guida (Tabella 1). 5 L’ipertensione arteriosa è definita da valori di PAS ≥140 mmHg e/o di PAD ≥90 mmHg, sulla scorta delle evidenze fornite da RCT in base alle quali, nei pazienti che presentavano tali valori di pressione arteriosa, l’azione ipotensivante del trattamento risultava vantaggiosa. Le linee guida per la gestione clinica dell’ipertensione arteriosa sono rimaste focalizzate a lungo sui valori della PA come unica o principale variabile determinante la necessità ed il tipo di trattamento. Nel 1994 l’ESH, l’ESC e l’European Atherosclerosis Society (EAS) hanno redatto congiuntamente le raccomandazioni sulla prevenzione della patologia coronarica (CHD) nella pratica clinica, sottolineando che la strategia preventiva della CHD dovesse essere correlata alla quantificazione del rischio cardiovascolare totale (o globale). Attualmente, tale approccio appare ampiamente condiviso ed è stato integrato già nelle linee guida ESH/ESC 2003 e 2007 per il trattamento dell’ipertensione. Questo concetto si fonda sull’evidenza che solo un’esigua quota della popolazione ipertesa presenta un incremento isolato dei valori pressori, mentre nella maggioranza dei pazienti con ipertensione arteriosa si osTabella 1. Definizione e classificazione della pressione arteriosa clinica (mmHg)* (Mancia G et al., 2013). Categoria Sistolica Diastolica Ottimale <120 e <80 Normale 120-129 e/o 80-84 Normale-alta 130-139 e/o 85-89 Ipertensione 1 grado 140-159 e/o 90-99 Ipertensione 2 grado 160-179 e/o 100-109 Ipertensione 3 grado ≥180 e/o ≥110 Ipertensione sistolica isolata ≥140 e <90 *La categoria di pressione arteriosa (PA) è definita dal massimo livello di PA, sia sistolica o diastolica. L’ipertensione sistolica isolata deve essere classificata nello stadio 1, 2 o 3 in base ai valori di PA sistolica nei range indicati. 6 Blood Pressure forum® serva la concomitante presenza di altri fattori di rischio CV che, potenziandosi vicendevolmente, generano un rischio cardiovascolare totale più elevato rispetto alla somma dei singoli componenti. Infine, nei soggetti ad alto rischio, l’approccio terapeutico risulta essere differente da quello indicato nei soggetti a basso rischio. Pertanto, la terapia del paziente iperteso deve tenere conto, oltre che dei livelli pressori, anche del rischio cardiovascolare totale al fine di ottimizzare il rapporto costo/beneficio del trattamento antipertensivo. La stima del rischio cardiovascolare totale è semplice in particolari sottogruppi di pazienti, tra cui quelli con precedenti eventi di malattia cardiovascolare (CVD), diabete, arteriopatia coronarica o con singoli fattori di rischio particolarmente severi. In tutte queste condizioni, il rischio CV totale risulta essere elevato o molto elevato, richiedendo l’impostazione di interventi terapeutici intensivi finalizzati alla sua riduzione. Tuttavia, un notevole numero di pazienti ipertesi non rientra in alcuna delle categorie citate e l’identificazione dei soggetti a rischio basso, moderato, alto o molto alto richiede l’impiego di modelli per determinare il rischio CV totale, in modo da adottare l’approccio terapeutico più adeguato. In questo ambito è stata attribuita particolare importanza all’identificazione del danno d’organo (OD) asintomatico, in quanto le alterazioni clinicamente silenti della struttura e/o della funzione di alcuni organi correlate all’ipertensione sono indicative della progressione della patologia nel continuum cardiovascolare responsabile di un incremento del rischio CV che va ben oltre rispetto a quello semplicemente legato alla presenza dei fattori di rischio. Sono stati elaborati alcuni modelli utili alla determinazione del rischio car- diovascolare totale, come il Systematic COronary Risk Evaluation (SCORE), sviluppato basandosi su ampi studi di coorte Europei per la stima del rischio di mortalità CV (non solamente coronarica). La classificazione in rischio basso, moderato, alto e molto alto, mantenuta nelle recenti linee guida ESH/ESC 2013, si riferisce al rischio a 10 anni di mortalità cardiovascolare (Figura 1).Tra i fattori utilizzati per la stratificazione del rischio rientrano: il sesso maschile; l’età ≥55 anni per gli uomini e ≥65 anni per le donne); il fumo di sigaretta; la dislipidemia; l’alterata glicemia a digiuno (102-125 mg/dl); l’anamnesi familiare positiva per malattia cardiovascolare prematura (uomini di età <55 anni e donne di età <65 anni); nonché patologie quali il diabete mellito, il danno d’organo asintomatico e la malattia cardiovascolare o renale stabilita (Mancia G et al., 2013). La valutazione iniziale dei pazienti ipertesi dovrebbe includere: 1)la conferma della diagnosi di ipertensione arteriosa; 2)l’individuazione delle cause di ipertensione secondaria; 3)la valutazione del rischio cardiovascolare, del danno d’organo e delle condizioni cliniche associate. A tale scopo è necessario effettuare la misurazione dei valori pressori, la raccolta dell’anamnesi personale e familiare del paziente, l’esame obiettivo, nonché gli esami di laboratorio ed ulteriori indagini diagnostiche. Questi ultimi sono finalizzati a dimostrare la presenza di ulteriori fattori di rischio aggiuntivi, a ricercare l’ipertensione secondaria ed a confermare o escludere il danno d’organo (OD). Considerata l’importanza dell’OD asintomatico sia come stadio intermedio del continuum cardiovascolare, sia come determinante del rischio CV globale, i segni di interessamento d’organo, quan- Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 7 Figura 1. Stratificazione del rischio CV globale basso, moderato, elevato e molto elevato in relazione ai valori di PAS e PAD e alla prevalenza di fattori di rischio, OD asintomatico, diabete, stadio CKD o CVD sintomatica. I soggetti con PA clinica normale, ma elevati valori di PA al di fuori dell’ambiente medico (ipertensione mascherata) hanno un rischio CV simile a quello riscontrato nell’iperteso. I soggetti con valori di PA clinica elevati ma normale PA al di fuori dell’ambiente medico (ipertensione da camice bianco), anche se vi è associato diabete, OD, CVD o CKD, presentano un minor rischio rispetto all’iperteso stabile per gli stessi valori di PA (Mancia G et al., 2013). Altri fattori di rischio, danno d’organo asintomatico o patologia concomitante Normale alta PAS 130-139 o PAD 85-89 Nessun altro RF 1-2 RF ≥3 RF OD, CKD di stadio 3 o diabete CVD sintomatica, CKD di stadio ≥4 o diabete con OD/RF Rischio basso Rischio basso-moderato Rischio moderato-alto Rischio molto alto Pressione arteriosa (mmHg) HT di Grado 1 HT di Grado 2 PAS 140-159 o PAS 160-179 o PAD 90-99 PAD 100-109 Rischio Rischio basso moderato Rischio moderato Rischio moderato-alto Rischio alto Rischio molto alto Rischio moderato-alto Rischio alto Rischio alto Rischio molto alto HT di Grado 3 PAS ≥180 o PAD ≥110 Rischio alto Rischio alto Rischio alto Rischio alto-molto alto Rischio molto alto CV=cardiovascolare; CVD=malattia cardiovascolare; CKD=nefropatia cronica; PAD=pressione arteriosa diastolica; HT=ipertensione; OD=danno d’organo; RF=fattore di rischio; PAS=pressione arteriosa sistolica. do indicato, dovrebbero essere ricercati attentamente mediante l’impiego di appropriate metodiche diagnostiche. Va sottolineato che attualmente sono disponibili numerose evidenze a sostegno del ruolo cruciale svolto dal danno d’organo asintomatico nel determinare il rischio CV degli individui con e senza elevati valori di pressione arteriosa. L’osservazione che ciascuno dei quattro marker di OD (microalbuminuria, aumento della velocità dell’onda pulsatoria [PWV], ipertrofia del ventricolo sinistro e placche carotidee) può essere predittivo di mortalità cardiovascolare, indipendentemente dalla stratificazione del rischio mediante il modello SCORE, rappresenta una valida argomentazione a favore della valutazione del danno d’organo nella pratica clinica. I risultati di numerosi trial randomizzati controllati, nella maggior parte dei casi versus placebo, evidenziano che la somministrazione di farmaci antipertensivi si associa alla riduzione del rischio di outcome cardiovascolari clinici maggiori (stroke fatali e non, infarto miocardico, scompenso cardiaco ed altre mortalità CV) nei soggetti ipertesi. Indicazioni in tal senso derivano anche dal riscontro che la regressione dell’OD, quali l’ipertrofia ventricolare sinistra o la proteinuria, indotta dal controllo dei valori pressori può essere accompagnata da una riduzione degli outcome fatali e non, sebbene tale evidenza sia ovviamente indiretta essendo derivata da analisi correlative post-hoc di dati randomizzati. Le raccomandazioni riportate di seguito si basano su risultati forniti da trial randomizzati e riguardano aspetti importanti della pratica clinica, in particolare: 1)quando iniziare la terapia farmacologica; 2)i target pressori che devono essere raggiunti attraverso il trattamento di pazienti ipertesi inquadrabili in diverse classi di rischio cardiovascolare; 3)le strategie terapeutiche e la scelta del farmaco in soggetti ipertesi con differenti caratteristiche cliniche (Mancia G et al., 2013). 8 Blood Pressure forum® Per quanto riguarda il primo aspetto, il tempestivo inizio del trattamento farmacologico è raccomandato nei pazienti affetti da ipertensione di grado 2 e 3, con qualsiasi livello di rischio cardiovascolare. Esso va attuato poche settimane dopo o contemporaneamente alle modificazioni dello stile di vita. Condotte in maniera adeguata queste ultime, oltre a rappresentare un caposaldo della prevenzione dell’ipertensione arteriosa, sono importanti anche per il suo trattamento; tuttavia, la loro attuazione non dovrebbe ritardare l’inizio della terapia farmacologica in pazienti ad alto rischio. Per ridurre i valori pressori e/o il numero di fattori di rischio cardiovascolare, in tutti i pazienti ipertesi sono raccomandate le seguenti modificazioni dello stile di vita: limitare l’apporto di sodio con la dieta a 5-6 g/die; moderare l’assunzione di alcol (quantità non superiori a 20-30 g al giorno nell’uomo ed a 10-20 g nella donna); aumentare il consumo di vegetali, frutta e latticini a basso contenuto di grassi; ridurre il peso (fino ad un indice di massa corporea [BMI] di circa 25 kg/m2) e la circonferenza addominale a <102 cm negli uomini e <88 cm nelle donne; svolgere l’attività fisica con regolarità, ad esempio almeno 30 minuti di esercizio fisico moderato da 5 a 7 giorni alla settimana; infine, ai fumatori si deve raccomandare la sospensione dell’abitudine tabagica ed offrire loro un’adeguata assistenza. Tornando alla terapia antipertensiva, l’impiego dei farmaci è raccomandato quando il rischio CV globale risulta elevato a causa della presenza di danno d’organo, diabete o malattie cardiovascolari, ancorché l’ipertensione sia di Grado 1. L’inizio del trattamento farmacologico antipertensivo dovrebbe essere preso in considerazione anche in pazienti con ipertensione arteriosa di Grado 1, a rischio da basso a moderato, quando i livelli pressori rimangono entro questo range in occasione di diverse misurazioni effettuate presso lo studio medico o quando si riscontrano elevati valori di pressione arteriosa ambulatoria, nonostante le modifiche dello stile di vita protratte per un ragionevole periodo di tempo. Negli anziani ipertesi il trattamento farmacologico è raccomandato quando i valori di PAS sono ≥160 mmHg; inoltre, il ricorso alla terapia con agenti antipertensivi può essere preso in considerazione negli anziani (almeno se di età inferiore a 80 anni) quando la PAS è compresa nel range 140-159 mmHg, a condizione che il trattamento antipertensivo risulti ben tollerato. A meno che non se ne ravvisi la necessità, non è raccomandato iniziare la terapia farmacologica antipertensiva nei soggetti con pressione arteriosa normale-alta. La mancanza di evidenze non permette di raccomandare l’inizio della terapia farmacologica antipertensiva in soggetti giovani con un aumento isolato della PAS brachiale; tuttavia, essi dovrebbero essere seguiti attentamente nel tempo, fornendo loro raccomandazioni sullo stile di vita (Mancia G et al., 2013). Per quanto concerne gli obiettivi terapeutici della terapia antipertensiva, le linee guida ESH/ESC 2007 raccomandavano due diversi target pressori, vale a dire <140/90 mmHg negli ipertesi con rischio basso-moderato e <130/80 mmHg negli ipertesi a rischio elevato (con diabete, malattia cerebrovascolare, cardiovascolare o renale). Più di recente, le linee guida Europee sulla prevenzione delle patologie cardiovascolari hanno raccomandato un target <140/80 mmHg per i pazienti con diabete mellito; comunque, un’attenta valutazione delle evidenze disponibili ha indotto a riconsiderare alcune di tali raccomanda- Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 zioni. Utilizzando una descrizione estremamente schematica, gli obiettivi pressori riportati nelle linee guida ESH/ESC 2013 per il trattamento dell’ipertensione arteriosa sono i seguenti: • il target di PAS <140 mmHg è raccomandato in pazienti a rischio CV basso-moderato e con diabete ed andrebbe preso in considerazione nei pazienti con precedente ictus o TIA, con arteriopatia coronarica e con nefropatia cronica diabetica o non diabetica; • nel caso degli ipertesi anziani di età inferiore a 80 anni e con PAS ≥160 mmHg esistono solide evidenze a favore di riduzioni della pressione sistolica a valori compresi tra 150 e 140 mmHg; • nei pazienti anziani in buone condizioni con età inferiore a 80 anni si può considerare un target di PAS <140 mmHg, mentre nella popolazione anziana costituita da soggetti fragili gli obiettivi pressori devono essere adattati alla tollerabilità individuale; • negli ultraottantenni in buone condizioni fisiche e mentali, con valori iniziali di PAS ≥160 mmHg, si raccomanda di ridurre la pressione sistolica portandola a valori compresi tra 150 mmHg e 140 mmHg; • un target di PAD <90 mmHg è sempre raccomandato, tranne che nei pazienti diabetici per i quali i valori pressori raccomandati sono <85 mmHg. Tuttavia, è necessario accertarsi che i valori di PAD tra 80 mmHg e 85 mmHg risultino sicuri e ben tollerati. Nella Figura 2 vengono schematizzate le raccomandazioni relative a quando iniziare la terapia antipertensiva ed ai target pressori. Infine, per quanto attiene alle strategie terapeutiche, oltre alle già citate modificazioni dello stile di vi- ta, le linee guida ESH/ESC 2013 riconfermano che diuretici (tiazidici, clortalidone e indapamide), beta-bloccanti, calcio-antagonisti, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) e bloccanti recettoriali dell’angiotensina II (ARB) sono tutti impiegabili per l’inizio ed il mantenimento della terapia antipertensiva, sia in monoterapia che in associazione. Riguardo alla scelta del farmaco in pazienti ipertesi con differenti caratteristiche cliniche, determinati aspetti terapeutici sono stati oggetto di una più approfondita valutazione. In particolare, alcuni farmaci devono essere considerati di prima scelta in specifiche condizioni verificate in trial clinici o per una maggiore efficacia su determinati danni d’organo. Ad esempio, in alcuni studi controllati i calcio-antagonisti hanno dimostrato una maggiore efficacia rispetto ai beta-bloccanti nel rallentare la progressione dell’aterosclerosi carotidea e nel ridurre l’ipertrofia ventricolare; inoltre, tra le riconosciute proprietà ancillari degli ACE-inibitori e degli ARB si annoverano la peculiare capacità di ridurre la proteinuria ed il favorevole effetto sugli outcome nello scompenso cardiaco cronico. Le linee guida ESH/ ESC sottolineano che la monoterapia, indipendentemente dall’agente antipertensivo utilizzato, si dimostra in grado di ridurre efficacemente i valori pressori solo in un numero limitato di pazienti ipertesi e che nella maggior parte dei casi è richiesto l’uso combinato di almeno due farmaci per ottenere il controllo della pressione arteriosa. Pertanto, la questione non è se la terapia di associazione sia utile o meno, ma piuttosto se essa debba sempre seguire il tentativo di impiego della monoterapia oppure se e quando il regime farmacologico combinato possa rappresentare l’approccio iniziale al trattamento dell’ipertensione. 9 10 Blood Pressure forum® Figura 2. Raccomandazioni relative all’inizio della terapia farmacologica ed ai target pressori nei pazienti ipertesi in rapporto alla severità dell’ipertensione arteriosa ed alla presenza dei fattori di rischio. Nei pazienti diabetici, i target di PAS sono compresi tra 80-85 mmHg. Nel range di PA normale-alta, il trattamento antipertensivo dovrebbe essere effettuato solo in presenza di elevati valori pressori al di fuori dell’ambiente medico (Ipertensione mascherata). Non sono disponibili evidenze a favore del trattamento farmacologico in giovani individui con ipertensione sistolica isolata (Mancia G et al., 2013). Altri fattori di rischio, danno d’organo asintomatico o patologia concomitante Normale alta PAS 130-139 o PAD 85-89 Nessun altro RF • Nessun intervento antipertensivo 1-2 RF • Modifiche dello stile di vita • Nessun intervento antipertensivo ≥3 RF • Modifiche dello stile di vita • Nessun intervento antipertensivo OD, CKD di stadio 3 o diabete • Modifiche dello stile di vita • Nessun intervento antipertensivo CVD sintomatica, CKD di stadio ≥4 o diabete con OD/RF • Modifiche dello stile di vita • Nessun intervento antipertensivo Pressione arteriosa (mmHg) HT di Grado 1 HT di Grado 2 PAS 140-159 o PAS 160-179 o PAD 90-99 PAD 100-109 • Modifiche dello stile • Modifiche dello stile di vita per diverse di vita per diversi mesi settimane • Poi aggiungere farmaci • Poi aggiungere farmaci antipertensivi per antipertensivi per raggiungere il target raggiungere il target <140/90 <140/90 • Modifiche dello stile • Modifiche dello stile di vita per diverse di vita per diverse settimane settimane • Poi aggiungere farmaci • Poi aggiungere farmaci antipertensivi per antipertensivi per raggiungere il target raggiungere il target <140/90 <140/90 • Modifiche dello stile • Modifiche dello stile di vita per diverse di vita settimane • Farmaci antipertensivi • Poi aggiungere farmaci per raggiungere il target antipertensivi per <140/90 raggiungere il target <140/90 HT di Grado 3 PAS ≥180 o PAD ≥110 • Modifiche dello stile di vita • Iniziare immediatamente la terapia farmacologica per raggiungere il target <140/90 • Modifiche dello stile di vita • Iniziare immediatamente la terapia farmacologica per raggiungere il target <140/90 • Modifiche dello stile di vita • Iniziare immediatamente la terapia farmacologica per raggiungere il target <140/90 • Modifiche dello stile • Modifiche dello stile • Modifiche dello stile di vita di vita di vita • Iniziare immediatamente • Farmaci antipertensivi • Farmaci antipertensivi la terapia farmacologica per raggiungere il target per raggiungere il target per raggiungere il target <140/90 <140/90 <140/90 • Modifiche dello stile • Modifiche dello stile • Modifiche dello stile di vita di vita di vita • Farmaci antipertensivi • Farmaci antipertensivi • Iniziare immediatamente per raggiungere il target per raggiungere il target la terapia farmacologica <140/90 <140/90 per raggiungere il target <140/90 CV=cardiovascolare; CVD=malattia cardiovascolare; CKD=nefropatia cronica; HT=ipertensione; OD=danno d’organo; PAD=pressione arteriosa diastolica; PAS=pressione arteriosa sistolica; RF=fattore di rischio. L’evidente vantaggio di ricorrere in prima istanza alla monoterapia risiede nel fatto che usando un singolo farmaco si è in grado di attribuirgli in maniera appropriata la capacità ipotensivante e gli eventi avversi. D’altro canto, se la monoterapia si dimostra inefficace o scarsamente incisiva, ciò comporta lo svantaggio che l’individuazione di un farmaco alternativo più efficace o meglio tollerato può rivelarsi un processo impegnativo e spesso in grado di ripercuotersi negativamente sull’aderenza terapeutica. Iniziare il trattamento antipertensivo con la terapia di associazione implica diversi vantaggi, quali: la possibilità di ottenere una risposta più rapida in un maggior numero di pazienti (il che comporta potenziali benefici nei soggetti ad alto rischio); una maggiore probabilità Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 di raggiungere il target pressorio in pazienti con elevati valori di pressione arteriosa ed un minore rischio di ridurre la compliance dei pazienti in seguito a ripetute modifiche del trattamento. Invero, una recente indagine ha dimostrato che i pazienti sottoposti a terapia di associazione fanno registrare un minor numero di interruzioni del trattamento rispetto a quelli che seguono la monoterapia. Un ulteriore vantaggio connesso all’impiego del regime farmacologico combinato consiste nelle sinergie fisiologiche e farmacologiche tra differenti classi di agenti antipertensivi, che non solo possono spiegare la maggiore efficacia in termini di riduzione dei livelli pressori della terapia di associazione, ma possono anche ridurre l’incidenza di effetti collaterali e fornire maggiori benefici rispetto a quelli offerti da un singolo farmaco. Lo svantaggio di iniziare il trattamento con un regime combinato risiede nel fatto che uno dei due farmaci impiegati possa essere inefficace. In definitiva, tenendo conto nel loro complesso delle precedenti considera- 11 zioni, le linee guida ESH/ESC 2013 riconfermano l’opportunità di iniziare la terapia antipertensiva con un’associazione di due farmaci nei pazienti che presentano valori di pressione arteriosa marcatamente elevati o che risultano ad alto rischio cardiovascolare. Quando si inizia l’intervento terapeutico con la monoterapia o con un’associazione di due farmaci, può essere necessario aumentare la posologia per ottenere il target pressorio; qualora non si riesca a raggiungere tale obiettivo con l’impiego di due farmaci a pieno dosaggio, si può considerare il ricorso ad un’altra associazione o alla somministrazione di un terzo farmaco (Figura 3). In ogni caso, nei pazienti con ipertensione refrattaria alla terapia, l’aggiunta di altri farmaci dovrebbe essere fatta valutando con attenzione i risultati, in sostituzione di quelli chiaramente inefficaci o scarsamente efficaci. Va segnalato che l’associazione precostituita dell’ACE-inibitore perindopril + il calcio-antagonista amlodipina ha determinato consistenti riduzioni pressorie nei pazienti ipertesi non control- Figura 3. Indicazioni all’impiego della monoterapia e della terapia di associazione per ottenere i target pressori. Il passaggio da una strategia terapeutica meno intensiva ad una più intensiva deve essere fatto quando non è stato raggiunto l’obiettivo pressorio. CV: cardiovascolare (Mancia G et al., 2013). Lieve incremento pressorio Rischio CV basso/moderato Scegliere tra Monoterapia Sostituire con un altro farmaco Monoterapia a dosaggio pieno Precedente farmaco a dosaggio pieno Combinazione di due farmaci a dosaggio pieno Marcato incremento pressorio Rischio CV elevato/molto elevato Associazione di 2 farmaci Combinazione precedente a dosaggio pieno Aggiungere un terzo farmaco Passare a una differente combinazione di due farmaci Combinazione di tre farmaci a dosaggio pieno Blood Pressure forum® 12 Riduzione sulla sistolica mmHg Figura 4. Risultati del passaggio alla terapia di associazione con perindopril/ amlodipina in pazienti ipertesi non controllati dalle monoterapie con valsartan, ramipril, enalapril, amlodipina (Ahmed 2012; Nagy et al., 2013). PERINDOPRIL/AMLODIPINA Pazienti non controllati con: Valsartan Ramipril Enalapril Amlodipina 160 150 140 -22 130 -28 -28 -27 lati con vari tipi di monoterapia (ARB, ACE-inibitore, calcio-antagonista), consentendo di portare “a target pressorio” circa 8 pazienti su 10 (Ahmed 2012; Nagy et al., 2013) (Figura 4). Per quanto riguarda le associazioni da preferire, le linee guida ESH/ESC 2013 suggeriscono di utilizzare quelle costituite da ACE-inibitore/calcio-antagonista, ACE-inibitore/diuretico tiazidico, calcioantagonista/ARB ed ARB/diuretico tiazidico; tra le altre possibili associazioni farmacologiche, ancorché meno dettagliatamente studiate, rientrano quelle basate sull’uso combinato di un beta-bloccante con, rispettivamente, un ACE-inibitore, un calcio-antagonista o un ARB. Tuttavia le linee guida non indicano alcuna associazione preferenziale e sembra che tutte abbiano la stessa efficacia e soprattutto lo stesso livello di documentazione sulla base degli studi clinici controllati basati sugli eventi. Il primo studio che suggerisce questa possibilità è lo studio ASCOT-BPLA (Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial-Blood Pressure Lowering Arm) (Dahlöf et al., 2005) nel quale è stata confrontata l’associazione amlodipina/ perindopril (5-10/4-8 mg) contro l’as- sociazione atenololo/bendroflumetiazide (50-100/1.25-2.5 mg). Lo studio è stato eseguito in 19257 pazienti con ipertensione arteriosa e almeno altri tre fattori di rischio cardiovascolare. L’endpoint dello studio era costituito dall’infarto del miocardio non-fatale (incluso l’infarto silente) e la cardiopatia ischemica fatale. Questo studio è stato interrotto prima del previsto, in quanto il comitato scientifico che valutava l’andamento dello studio aveva osservato che uno dei due trattamenti (ovviamente il comitato non sapeva quale fosse) produceva un beneficio significativamente superiore rispetto all’altro trattamento sugli endpoint clinici. L’analisi dei risultati ha evidenziato che la combinazione a base di amlodipina ha ridotto in modo non significativo l’endpoint primario (p=0.1052) ed in modo significativo l’ictus fatale e non-fatale (p=0.0003), gli eventi cardiovascolari e le proc edure di rivascolarizzazione (p<0.0001), e la mortalità totale (p=0.025). Infine anche l’incidenza di nuovi casi di diabete è risultata ridotta nel gruppo di pazienti trattati con l’associazione a base di amlodipina. Pertanto questo studio dimostra che l’associazione di un calcio-antagonista con un ACE-inibitore offre una miglior prognosi ai pazienti ipertesi rispetto all’associazione di un beta-bloccante con un diuretico tiazidico. Tuttavia l’impatto dei risultati dello studio ASCOT nella pratica clinica quotidiana è stato in qualche modo attenuato dalla considerazione che l’associazione calcio-antagonista/ACE-inibitore si confrontava con un’associazione ormai poco utilizzata, quale quella beta-bloccante/diuretico. Per questo motivo, hanno una grande rilevanza scientifica e clinica i risultati successivi dello studio ACCOMPLISH (Avoiding Cardiovascular Events through Combination Therapy in Patients Living with Systolic Hyperten- Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 sion) (Jamerson et al., 2008). Questo studio ha infatti confrontato l’associazione fissa benazepril/amlodipina con l’associazione fissa benazepril/idroclorotiazide. Poiché l’ACE- inibitore era lo stesso nei due bracci di trattamento, è ovvio che le eventuali differenze osservate nello studio sono da mettere in conto all’associazione con il calcio antagonista o con il diuretico. Lo studio ha arruolato 11506 pazienti con ipertensione arteriosa ed elevato rischio cardiovascolare, randomizzati a ricevere l’associazione fissa benazepril/amlodipina 20/5 mg/die, incrementabile a 40/10 mg/die, o l’associazione fissa benazepril/idroclorotiazide 20/12.5 mg/die, incrementabile a 40/25 mg/die. Lo scopo dello studio era quello di confrontare le due associazioni su un endpoint composito costituito da decesso per cause cardiovascolari, infarto del miocardio non fatale, ictus non fatale, ospedalizzazione per angina, rianimazione dopo arresto cardiaco e rivascolarizzazione coronarica. Lo studio è stato interrotto anticipatamente solo dopo 36 mesi di follow-up in quanto si era evidenziato un beneficio statisticamente significativo di uno dei due bracci di trattamento. La riduzione dei valori di pressione arteriosa era risultata simile nei due gruppi: 131.6/73.3 mmHg nel gruppo benazepril/amlodipina e 132.5/74.4 mmHg nel gruppo benazepril/idroclorotiazide. I risultati dello studio hanno mostrato una riduzione del rischio relativo del 19.6% determinata dall’associazione benazepril/amlodipina rispetto all’associazione benazepril/idroclorotiazide. Questa differenza era determinata da una riduzione significativa di decessi per cause cardiovascolari, infarto del miocardio non fatale e ictus non fatale. Ovviamente l’interruzione precoce dello studio non ha consentito che l’evidente beneficio anche sugli altri endpoint secondari avesse il tempo necessario per raggiungere la significatività statistica. I risultati dello studio ACCOMPLISH dimostrano quindi in modo inequivocabile che l’associazione calcio-antagonista/ ACE-inibitore è superiore alle altre associazioni, inclusa quella tra ACE-inibitore e diuretico, così tanto utilizzata nella pratica clinica quotidiana. Come già commentato questi risultati non devono sorprendere, in quanto l’associazione calcio-antagonista/ACE-inibitore non solo ha un ottimo sinergismo per quanto riguarda la riduzione dei valori pressori, ma soprattutto interagisce in modo perfetto per quanto riguarda la protezione d’organo e di conseguenza la protezione dagli eventi cardiovascolari. In altre parole i risultati di ASCOT e ACCOMPLISH devono assolutamente far rivedere le strategie terapeutiche di prima scelta per quanto riguarda il paziente iperteso, soprattutto se a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato (che d’altra parte rappresentano il 70% circa della popolazione dei pazienti ipertesi). È equivalente utilizzare una combinazione calcio-antagonista/ACEinibitore o una combinazione calcioantagonista/AT1 antagonista? Questa domanda è importante, in quanto nella pratica clinica, allo stesso modo nel quale si considerano equivalenti i farmaci ACE-inibitori rispetto agli AT1 antagonisti, è passato il concetto che anche le associazioni delle due classi di farmaci con i calcio-antagonisti siano equivalenti. Questo modo di pensare è assolutamente scorretto. Innanzitutto, abbiamo già illustrato come un’attenta analisi della letteratura scientifica indichi una superiorità degli ACE-inibitori rispetto agli AT1 antagonisti soprattutto per quanto riguarda la riduzione della cardiopatia ischemica e della mortalità totale (Figura 5) (van Vark et al., 2012); inoltre l’efficacia sugli eventi clinici deve essere dimostrata da specifici studi 13 Blood Pressure forum® 14 Figura 5. La meta-analisi di van Vark L et al. ha valutato l’effetto di ACE-inibitori e AT1 antagonisti sulla mortalità totale. Questa analisi è stata eseguita selezionando 20 studi clinici controllati eseguiti tra il 2000 e il 2011 e condotti in pazienti ipertesi o in pazienti ad alto rischio dei quali almeno 2/3 (66.7%) fossero ipertesi. Nella coorte di 158998 pazienti selezionati, la meta-analisi ha dimostrato che solo gli ACE-inibitori, ma non gli AT1 antagonisti riducono la mortalità totale (van Vark et al., 2012). Impatto sulla mortalità totale degli ACE-inibitori e degli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II Hazard Ratio (HR) di mortalità ACE-inibitore per tutte le cause (IC 95%) (modello “random effects”) ALLHAT 1.03 (0.90-1.15) ANBP-2 0.90 (0.75-1.09) pilot HYVET 0.99 (0.62-1.58) JMIC-B 1.32 (0.61-2.86) ASCOT-BPLA 0.89 (0.81-0.99) ADVANCE 0.86 (0.75-0.98) HYVET 0.79 (0.65-0.95) Totale 0.90 (0.84-0.97) 0.50 0.75 1 1.33 2.0 HR (scala logaritmica) P=0.004 Migliore l’ACE-inibitore Migliore il controllo P per l’eterogeneità 0.310:l2 16% Hard Ratio (HR) di mortalità per tutte le cause (IC 95%) (modello “random effects”) ARB RENAAL 1.03 (0.83-1.29) IDNT 0.92 (0.69-1.23) LIFE 0.88 (0.77-1.01) SCOPE 0.96 (0.81-1.14) VALUE 1.04 (0.94-1.14) MOSES 1.07 (0.73-1.57) JIKEI HEART 1.09 (0.64-1.85) PRoFESS 1.03 (0.93-1.14) TRANSCEND 1.05 (0.91-1.22) CASE-J 0.85 (0.62-1.16) Hij-CREATE 1.18 (0.83-1.67) KYOTO HEART 0.76 (0.40-1.30) NAVIGATOR 0.90 (0.77-1.05) Totale 0.99 (0.94-1.04) 0.50 0.75 1 1.33 2.0 HR (scala logaritmica) P=0.68 Migliore l’ARB Migliore il controllo P per l’eterogeneità 0.631:l2 0% clinici controllati. Ebbene, come chiaramente indicato anche dalle linee guida ESH/ESC 2013, nessuno studio clinico controllato ha mai valutato l’efficacia dell’associazione AT1 antagonista/calcio antagonista. Poiché comunque questa associazione è razionale da un punto di vista della farmacologia clinica ed è efficace nel ridurre i valori pressori, trova sicuramente indicazione nel caso di intolleranza all’associazione ACE-inibitore/calcio antagonista. ipertesi) ed aumentano le percentuali di controllo dei valori pressori. L’unica associazione che, invece, non può essere raccomandata sulla base dei risultati dei trial è quella tra due differenti bloccanti del RAS (ACE-inibitore e ARB). Al pari delle precedenti, anche le linee guida ESH/ESC 2013 raccomandano l’impiego delle associazioni di due farmaci antipertensivi a dosaggio fisso in una singola compressa, in quanto esse, riducendo il numero di assunzioni giornaliere, migliorano l’aderenza terapeutica (che purtroppo è bassa nei pazienti Bibliografia Questo approccio terapeutico è attualmente agevolato dalla disponibilità di differenti associazioni precostituite a dosaggio fisso degli stessi farmaci, il che permette di ridurre al minimo uno degli inconvenienti, vale a dire l’impossibilità di aumentare la dose di un farmaco indipendentemente dall’altro (Mancia G et al., 2013). Ahmed M. Efficacy and safety of a perindopril/ amlodipine-based titration regimen on blood pressure goal achievement in hypertensive untreated patients or uncontrolled on monotherapy. Journal of Hypertension 2012;Vol.30 (Suppl.A), Abstract e439 (PP.28.416). Dahlöf B, Sever PS, Poulter NR, Wedel H, Beevers DG, Caulfield M, Collins R, Kjeldsen SE, Kristinsson A, McInnes GT, Mehlsen J, Nieminen M, O’Brien E, Ostergren J; ASCOT Investigators. Prevention of cardiovascular events with an antihypertensive regimen of amlodipine adding perindopril as required versus atenolol adding bendroflumethiazide as required, in the Anglo- Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 Scandinavian Cardiac Outcomes Trial-Blood Pressure Lowering Arm (ASCOT-BPLA): a multicentre randomised controlled trial. Lancet. 2005;366:895-906. ESH/ESC 2003 European Society of HypertensionEuropean Society of Cardiology guidelines for the management of arterial hypertension. J Hypertens 2003;21:1011-1053. Hatalova K, Pella D, Symbio Investigators. The antihypertensive efficacy of free versus fixedcombination of perindopril and amlodipine. The Slovak Experience. Journal of Hypertension 2015; Vol.33, e-Supplement 1, Abstract e591 (PP.36.33). Jamerson K, Weber MA, Bakris GL, Dahlöf B, Pitt B, Shi V, Hester A, Gupte J,Gatlin M, Velazquez EJ; ACCOMPLISH Trial Investigators. Benazepril plus amlodipine or hydrochlorothiazide for hypertension in high-risk patients. N Engl J Med. 2008 Dec 4;359(23):2417-28. Mancia G, De Backer G, Dominiczak A, Cifkova R, Fagard R, Germano G, Grassi G, et al. 2007 Guidelines for the Management of Arterial Hypertension: The Task Force for the Management of Arterial Hypertension of the European Society of Hypertension (ESH) and of the European Society of Cardiology (ESC). J Hypertens 2007;25:1105-1187. Mancia G, Fagard R, Narkiewicz K et al. 2013 ESH/ ESC Guidelines for the management of arterial hypertension. The Task Force for the Management of Arterial Hypertension of the European Society of Hypertension (ESH) and of the European Society of Cardiology (ESC). European Heart Journal doi:10.1093/eurheartj/eht151. Nagy VL. Twenty-four-hour ambulatory blood pressure reduction with a perindopril/amlodipine fixed-dose combination. Clin Drug Investig. 2013;33(7):469-76. Savarese G, Costanzo P, Cleland JG, Vassallo E, Ruggiero D, Rosano G, Perrone-Filardi P. A metaanalysis reporting effects of angiotensin-converting enzyme inhibitors and angiotensin receptor blockers in patients without heart failure. J Am Coll Cardiol. 2013;61:131-42. Thomopoulos C, Parati G, Zanchetti A. Effects of blood pressure-lowering on outcome incidence in hypertension: 5. Head-to-head comparisons of various classes of antihypertensive drugs overview and meta-analyses. J Hypertens. 2015;33:1321-41. van Vark L, Bertrand M, Akkerhuis KM, Brugts JJ, Fox K, Mourad JJ, Boersma E. ACE inhibitors reduce mortality in hypertension: a meta-analysis of randomized clinical trials of Renin-AngiotensinAldosterone System (RAAS) inhibitors involving 158,998 patients. Eur Heart J 2012; 33:2088-97. 15 16 leading article Vascular aging in practice Trattamento del paziente iperteso coronaropatico: perindopril/ amlodipina, unica associazione antipertensiva tra quelle raccomandate dalle linee guida con indicazione terapeutica ufficiale nell’iperteso con coronaropatia stabile L’ipertensione arteriosa costituisce un problema sanitario di estrema importanza dal momento che, oltre un quarto della popolazione mondiale, ne risulta affetto. Ciononostante, il suo trattamento risulta inadeguato se si considera che circa il 30% dei soggetti ipertesi non sono a conoscenza della propria condizione patologica, per cui non effettuano alcuna terapia, e che del restante 70% di pazienti in trattamento antipertensivo, solo il 34% raggiunge i target di pressione arteriosa sistolica e diastolica raccomandati. Questi dati suscitano preoccupazione, in quanto i dimostrati benefici derivanti dalla riduzione dei livelli pressori si traducono in una diminuzione dell’incidenza di infarto miocardico (del 20-25%), scompenso cardiaco (di oltre il 50%) e stroke (del 35-40%). In genere, la scarsa efficacia della gestione clinica dell’ipertensione è attribuita all’inadeguatezza del trattamento relativamente alla scelta dell’agente antipertensivo o del suo dosaggio, alla mancanza di sinergia quando si utilizza più di un farmaco ed ai problemi di compliance. Il ricorso alle associazioni fisse permette di intervenire su tutti questi aspetti ed è raccomandato dalla linee guida internazionali per contribuire ad ottimizzare il trattamento dell’ipertensione. Invero, alcuni regimi farmacologici combinati si sono dimostrati in grado di migliorare la prognosi dei pazienti affetti da ipertensione arteriosa, associata o meno a comorbilità. Tuttavia, una delle attuali sfide consiste nell’individuare, tra le diverse opzioni disponibili, l’associazione fissa la cui efficacia nel trattamento dell’ipertensione sia avvalorata dalle migliori evidenze. A tale riguardo, esistono solide prove a sostegno del fatto che l’ACE-inibitore perindopril ed il calcio-antagonista amlodipina risultano efficaci come monoterapia antipertensiva. Inoltre, questi farmaci sono frequentemente prescritti come associazione estemporanea per trattare l’ipertensione arteriosa e la malattia coronarica (CAD) stabile. In questa sede si analizzano il razionale e le Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 evidenze a sostegno dei vantaggi clinici connessi all’impiego dell’associazione fissa di questi due farmaci nel controllo dei valori pressori e nella cardioprotezione, dal momento che il regime combinato perindopril/amlodipina rappresenta anche una valida opzione per il trattamento della CAD stabile. I pazienti con angina pectoris stabile necessitano di un duplice approccio terapeutico: uno finalizzato al miglioramento della prognosi a lungo termine e l’altro teso ad ottenere il controllo dei sintomi. Il ricorso all’associazione fissa perindopril/amlodipina permette di semplificare la gestione clinica di questi pazienti, in quanto con una singola somministrazione è possibile raggiungere tre obiettivi terapeutici: l’effetto antipertensivo, laddove necessario; la riduzione dell’angina e la prevenzione secondaria degli eventi cardiaci (Ferrari R, 2008). cologiche offre il vantaggio di sfruttare meccanismi d’azione complementari, che possono risultare sinergici. Ciò avviene nel caso degli ACE-inibitori e dei calcio-antagonisti che esercitano l’attività antipertensiva mediante meccanismi d’azione complementari. In particolare, i calcio-antagonisti ostacolano l’eccessivo ingresso di calcio attraverso i canali del calcio voltaggio- e recettore-dipendenti delle cellule muscolari lisce vascolari, mentre gli ACE-inibitori riducono l’attività vasocostrittrice dell’angiotensina II bloccandone la sintesi a partire dall’angiotensina I. Pertanto, agendo sulla muscolatura liscia vascolare, l’amlodipina induce vasodilatazione riducendo l’ingresso di calcio dall’esterno, mentre il perindopril determina tale effetto riducendo il rilascio intracellulare di calcio ed aumentando la produzione di ossido nitrico (Tabella 1). La razionale combinazione di agenti appartenenti a due differenti classi farma- Queste due classi di farmaci svolgono anche effetti cardioprotettivi differenti e 17 Tabella 1. Confronto tra gli effetti dell’ACE-inibitore perindopril e quelli del calcio-antagonista diidropiridinico amlodipina, e sinergismo di tali effetti farmacologici in ambito clinico. eNOS, ossido nitrico sintasi endoteliale; NO, ossido nitrico; t-PA, attivatore tissutale del plasminogeno; PAI-1, inibitore dell’attivatore del plasminogeno di tipo 1; SMC, cellula muscolare liscia (Ferrari R, 2008). Perindopril Amlodipina Vasodilatazione Vasocostrizione Vasodilatazione Riflesso della vasocostrizione Effetto antiossidante (NO) Effetto antiossidante (espressione eNOS, NO) Effetto antirimodellamento Vantaggio clinico del sinergismo Riduzione dei valori pressori Attivazione del sistema nervoso simpatico Funzione endoteliale Vasodilatazione post-capillare Attività t-PA Livelli di PAI-1 Crescita, migrazione e proliferazione delle SMC Degradazione della matrice Adesione dei monociti Flusso coronarico Vasodilatazione pre-capillare Attività t-PA Proliferazione della SMC Edema degli arti inferiori Miglioramento dell’equilibrio fibrinolitico 18 Blood Pressure forum® complementari. Infatti, a livello molecolare, i calcio-antagonisti mantengono la vitalità dei miociti e ritardano la comparsa di danno ischemico irreversibile; di solito, tali effetti richiedono la somministrazione profilattica e si basano sulla capacità di risparmio dell’ATP e sulla riduzione del sovraccarico di calcio nel citosol dovuto all’ischemia. Invece, l’attività cardioprotettiva svolta dagli ACE-inibitori, che non richiede somministrazione profilattica, è indipendente dal risparmio dell’ATP e dal minore sovraccarico di calcio, in quanto risulta correlata ad una diminuzione del rilascio di adrenalina e della velocità di apoptosi. Inoltre, il perindopril si è dimostrato in grado di proteggere l’endotelio dei pazienti con malattia coronarica, prevenendo l’insorgenza e la progressione della disfunzione endoteliale e dell’aterosclerosi, il che si traduce, a sua volta, in una riduzione significativa degli eventi coronarici acuti. Questi effetti protettivi sull’endotelio sono correlati ad uno specifico rallentamento della velocità di apoptosi endoteliale, nonché ad un incremento dell’espressione e dell’attività dell’ossido nitrico sintasi endoteliale (eNOS). Sebbene quest’ultima azione sia comune a tutti gli ACE-inibitori, l’effetto antiapoptotico risulta, almeno sperimentalmente, peculiare di perindopril (Ferrari R, 2008). Uno studio che ha valutato gli effetti di perindopril/amlodipina sui parametri emodinamici e sulla funzionalità respiratoria in pazienti con ipertensione arteriosa e BPCO in comorbidità, ha dimostrato che questa associazione antipertensiva, rispetto al trattamento con il solo ACE-inibitore lisinopril, è in grado di migliorare significativamente anche i parametri di funzionalità spirometrica (+9.7 vs +1.35, p=0.047) (Koziolova et al., 2015). La sinergia d’azione dei meccanismi complementari dell’ACE-inibitore perin- dopril e del calcio-antagonista amlodipina, impiegati in associazione fissa nei pazienti ipertesi con CAD stabile, si traduce in importanti vantaggi clinici rappresentati da una più marcata efficacia antipertensiva, da un migliore equilibrio fibrinolitico e da una riduzione degli effetti indesiderati, con particolare riferimento all’edema degli arti inferiori ed alla tosse (Ferrari R, 2008; Bahl VK et al., 2009). Per quanto il più marcato effetto antipertensivo dell’associazione perindopril/ amlodipina sia dovuto all’azione vasodilatante sinergica dei due agenti, l’efficacia di questo regime combinato è stata valutata in un trial clinico multicentrico, open-label, della durata di 8 settimane, che ha incluso 500 pazienti ipertesi. Al basale, la popolazione studiata era in larga parte costituita da soggetti con ipertensione arteriosa di grado moderato-severo (PA media 166/100 mmHg), mentre nel 12% dei casi i pazienti arruolati risultavano affetti da ipertensione di grado severo (PAS >180 mmHg). Durante il periodo di trattamento con l’associazione fissa perindopril/amlodipina, la pressione arteriosa si è ridotta gradualmente fino a raggiungere un valore di 132/83 mmHg (p<0.0001), facendo registrare una riduzione media statisticamente significativa (pari a 34/17 mmHg) al termine dello studio. Il target pressorio (<140/90 mmHg) è stato raggiunto dal 67% dei pazienti dopo 4 settimane di trattamento; la riduzione della pressione arteriosa rilevata nel sottogruppo di pazienti con ipertensione severa è risultata addirittura più marcata (–58/22 mmHg) ed altamente significativa (p<0.0001). I pazienti ipertesi e coronaropatici spesso presentano una ridotta funzione fibrinolitica, evidenziata dagli elevati livelli plasmatici di inibitore dell’attivatore del plasminogeno di tipo 1 (PAI-1) e Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 da un’attività ridotta dell’attivatore tissutale del plasminogeno (t-PA). Questa condizione contribuisce ad aumentare il rischio di aterosclerosi e malattia cardiovascolare in questa popolazione di pazienti. Gli ACE-inibitori migliorano l’equilibrio fibrinolitico aumentando l’attività del t-PA e riducendo i livelli di PAI1, mentre i calcio-antagonisti agiscono potenziando l’attività del t-PA. Quando gli agenti di queste due classi farmacologiche sono somministrati simultaneamente, essi agiscono in maniera sinergica ed inducono un miglioramento dell’equilibrio fibrinolitico che risulta maggiore rispetto a quello che si riesce ad ottenere dall’impiego di ciascuno di essi in monoterapia. Come riportato in precedenza, l’ulteriore vantaggio clinico derivante dalla sinergia d’azione dei meccanismi complementari dell’ACE-inibitore perindopril e del calcio-antagonista amlodipina consiste nella riduzione degli effetti indesiderati associati all’impiego dei singoli agenti. In particolare, i calcio-antagonisti diidropiridinici possono causare edema periferico in quanto essi aumentano la pressione idrostatica capillare dovuta ad una vasodilatazione più pronunciata nei vasi di resistenza pre-capillari che in quelli post-capillari. Nel caso dell’amlo- 19 dipina, ciò si verifica in circa il 22% dei pazienti che assumono questo farmaco, con una maggiore frequenza nei soggetti di sesso femminile. L’ACE–inibizione è notoriamente in grado di ridurre tale effetto secondario dei calcio-antagonisti, il che è, molto probabilmente, dovuto alla capacità degli ACE-inibitori di indurre la dilatazione dei vasi venosi di capacitanza, ed in tal modo normalizzando la pressione intracapillare e riducendo l’essudazione di liquido negli spazi interstiziali (Figura 1). Nel trial precedentemente citato, che ha incluso 500 pazienti ipertesi trattati con l’associazione fissa perindopril/amlodipina, non sono stati riportati casi di edema delle caviglie. Le proprietà vasodilatanti degli ACE-inibitori rendono questi farmaci più efficaci nel ridurre l’edema correlato ai calcio-antagonisti rispetto ai diuretici, dal momento che questi ultimi si limitano a ridurre la ritenzione di liquidi. Inoltre, è stato suggerito che l’aggiunta di un ACE-inibitore, invece che di un diuretico, alla monoterapia con calcio-antagonista rappresenti la strategia ottimale per indurre un’ulteriore riduzione dei livelli pressori ottenendo nel contempo l’attenuazione dell’edema degli arti inferiori (Ferrari R, 2008). Figura 1. (A) Rappresentazione schematica dell’effetto secondario dell’edema periferico, associato alla vasodilatazione pre-capillare indotta dal calcio-antagonista (CCB) e sua riduzione (B) in seguito all’associazione di un inibitore dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE), che induce vasodilatazione post-capillare (Ferrari R, 2008). A. Solo CCB B. CCB+ACE-inibitore Edema Postcapillare Precapillare Edema Postcapillare Precapillare 20 Blood Pressure forum® Il valido profilo di tollerabilità dell’associazione perindopril/amlodipina, confermato anche dallo studio STRONG, è spiegato dall’effetto sinergico dei due farmaci che, come appena accennato, permette di ridurre sia l’edema periferico che può associarsi alla somministrazione dell’amlodipina, sia la tosse, il principale effetto indesiderato degli ACE-inibitori. Infatti, l’incidenza della tosse correlata all’ACE-inibizione osservata in questo studio (1.5%), in cui perindopril era somministrato in associazione fissa con amlodipina, è risultata inferiore a quella registrata in altri due studi nei quali perindopril (2.7%) o il quinapril (8.7%) sono stati impiegati in monoterapia; a sostegno di questi risultati esistono evidenze che indicano come la tosse associata all’uso degli ACE-inibitori possa essere attenuata dalla concomitante associazione dei calcio-antagonisti, tra cui l’amlodipina (Bahl VK et al., 2009). Nello studio ASCOT-LLA, l’impiego combinato della terapia con statina con il regime antipertensivo basato su amlodipina si è associato ad una riduzione significativa (-53%; p<0.0001 vs placebo) dell’endpoint primario (infarto miocardico non fatale e cardiopatia ischemica fatale) (Sever et al., 2009). Lo studio clinico ASCOT-BPLA (AngloScandinavian Cardiac Outcomes Trial – Blood Pressure Lowering Arm) ha fornito adeguate evidenze a sostegno dei vantaggi clinici derivanti dall’impiego dell’associazione fissa perindopril/amlodipina in termini di efficacia antipertensiva, nonché di riduzione della morbilità e della mortalità cardiovascolare. Peraltro, tali benefici non si estendono necessariamente ai regimi terapeutici basati sull’impiego di altri ACE-inibitori o calcio-antagonisti. L’ASCOT-BPLA è un trial multicentrico, prospettico, randomizzato, controllato in cui sono stati arruolati pazienti affetti da ipertensione arteriosa con almeno altri tre fattori di rischio cardiovascolare. In particolare, erano considerati eleggibili per l’inclusione in questo studio i pazienti di età compresa tra 40 e 79 anni alla randomizzazione che risultavano affetti da ipertensione arteriosa non trattata (pressione arteriosa sistolica [PAS] pari o superiore a 160 mmHg, pressione arteriosa diastolica [PAD] ≥100 mmHg o entrambe) oppure da ipertensione sottoposta a trattamento (PAS pari o superiore a140 mmHg, PAD pari o superiore a 90 mmHg o entrambe le condizioni). Inoltre, la popolazione dello studio doveva presentare almeno tre dei seguenti fattori di rischio cardiovascolare: ipertrofia ventricolare sinistra (evidenziata mediante elettrocardiogramma o ecocardiografia); altre specifiche anomalie elettrocardiografiche; diabete mellito di tipo 2; arteriopatia periferica; pregresso stroke o attacco ischemico transitorio; sesso maschile; età pari o superiore a 55 anni; microalbuminuria o proteinuria; abitudine al fumo di sigaretta; rapporto plasmatico colesterolo totale – colesterolo HDL ≥6; o anamnesi familiare positiva per malattia coronarica (CHD) prematura (Dahlöf B et al., 2005). I pazienti valutabili (n=19257) che soddisfacevano i criteri di arruolamento sono stati assegnati in maniera randomizzata al trattamento con amlodipina (n=9639), cui è stato associato perindopril se necessario per raggiungere i target pressori (regime basato sull’amlodipina) o con atenololo (n=9618) aggiungendo il diuretico tiazidico bendroflumetiazide e potassio se necessario (regime basato sull’atenololo), secondo un algoritmo predefinito. La scelta di quest’ultimo regime terapeutico come comparatore di riferimento è stata dettata dal fatto che, quando è iniziato lo studio ASCOT, l’associazione antipertensiva impiegata con maggiore frequenza su scala mondiale Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 era rappresentata da beta bloccante più diuretico e le molecole più comunemente utilizzate nell’ambito di queste due classi farmacologiche erano, rispettivamente, l’atenololo e le tiazidi. L’obiettivo primario dello studio era quello di valutare e confrontare gli effetti a lungo termine dei due regimi antipertensivi sull’endpoint combinato costituito dall’infarto miocardico non fatale (incluso il cosiddetto infarto del miocardio silente) e dalla CHD fatale. Tra gli endpoint secondari erano inclusi la mortalità da tutte le cause, l’endpoint primario meno l’infarto silente, gli stroke totali (fatali e non fatali), la mortalità cardiovascolare, nonché tutti gli eventi cardiovascolari e le procedure. Inoltre, gli Autori dello studio ASCOT hanno condotto un’analisi post-hoc su altri due endpoint combinati: mortalità cardiovascolare più infarto miocardico e stroke ed endpoint primario e della rivascolarizzazione coronarica. Al termine del trial ASCOT-BPLA (interrotto anticipatamente dopo un follow-up mediano di 5.5 anni) è emerso che nel gruppo di pazienti sottoposti a trattamento antipertensivo basato su amlodipina i valori di pressione arteriosa sono risultati costantemente inferiori, per l’intera durata dello studio, rispetto a quelli registrati nel gruppo assegnato al regime basato su atenololo; in particolare, la differenza media a favore del trattamento basato su amlodipina è risultata pari a 2.7 mmHg per la PAS ed a 1.9 mmHg per la PAD (Figura 2). Il trattamento antipertensivo mediante l’associazione amlodipina/perindopril ha indotto, rispetto al regime combinato beta-bloccante/diuretico, una riduzione pari al 10% (non significativa) dell’endpoint primario rappresentato dall’infarto miocardico non fatale e dalla CHD fatale. Tuttavia, nei pazienti assegnati al regime basato sull’amlodipina sono state registrate riduzioni significative di tutti gli endpoint secondari (ad eccezione dello scompenso cardiaco fatale e non fatale), tra cui: l’infarto miocardico non fatale (tranne quello silente) e la CHD fatale (ridotti del 13%); gli eventi coronarici totali (–13%); gli Figura 2. Valori della pressione arteriosa nel corso del tempo nei due gruppi di trattamento dello studio (Dahlöf B et al., 2005). Pressione arteriosa (mmHg) 180 160 Regime basato sull’atenololo Regime basato sull’amlodipina Pressione arteriosa sistolica 140 120 100 80 60 Differenza media= 2.7, p<0.0001 Pressione arteriosa diastolica Differenza media= 1.9, p<0.0001 137.7 136.1 79.2 77.4 0 0 0.5 1.01.5 2.02.5 3.03.5 4.04.55.05.5 Visita finale (media 5.7 [DS 0.6], Tempo (anni) range 4.6-7.3) 21 Blood Pressure forum® 22 eventi cardiovascolari e le procedure totali (–16%); la mortalità da tutte le cause (–11%); la mortalità cardiovascolare (–24%); lo stroke fatale e non fatale (–23%) (Figura 3). Infine, nei pazienti randomizzati al regime terapeutico basato sull’amlodipina, rispetto ai soggetti assegnati al trattamento con il regime basato sull’atenololo, entrambi gli endpoint combinati definiti retrospettivamente hanno fatto registrare una riduzione significativa, che è risultata pari al 16% per l’endpoint combinato mortalità cardiovascolare, infarto miocardico e stroke, ed al 14% per quello costituito dall’endpoint primario e dalla rivascolarizzazione coronarica. In definitiva, i risultati del trial ASCOTBPLA evidenziano che nei pazienti ipertesi a rischio moderato di sviluppare eventi cardiovascolari, il trattamento antipertensivo iniziale con amlodipina, cui è stato associato perindopril, si è dimostrato più efficace rispetto al trattamento iniziale con atenololo, con l’aggiunta Figura 3. Curve di Kaplan-Meier dell’incidenza cumulativa degli endpoint secondari dello studio ASCOT-BPLA: stroke fatali e non fatali (A), eventi cardiovascolari e procedure totali (B), mortalità cardiovascolare (C) e mortalità da tutte le cause (D) (Dalhöf B et al., 2005). A Percentuale di eventi (%) 10 B Regime basato sull’atenololo Regime basato sull’amlodipina 8 20 15 6 10 HR=0.77 (95% IC 0.66-0.89), p=0.0003 4 5 2 0 0 0 1 Numero a rischio Regime basato 9639 sull’amlodipina (327 eventi) Regime basato 9618 sull’atenololo (422 eventi) C 2 3 4 Tempo (anni) 5 9483 9331 9156 8972 7863 9461 9274 9059 8843 7720 6 Percentuale di eventi (%) 0 Numero a rischio Regime basato 9639 sull’amlodipina (1362 eventi) Regime basato 9618 sull’atenololo (1602 eventi) D 10 8 6 6 HR=0.76 (95% IC 0.65-0.90), p=0.0010 4 2 0 0 1 2 3 4 Tempo (anni) 5 9639 9544 9441 9322 9167 8078 9618 9532 9415 9261 9085 7975 2 3 4 Tempo (anni) 5 9277 8957 8646 8353 7207 9210 8848 8465 8121 6977 6 4 2 0 1 10 8 Numero a rischio Regime basato sull’amlodipina (263 eventi) Regime basato sull’atenololo (342 eventi) HR=0.84 (95% IC 0.78-0.90), p<0.0001 6 HR=0.89 (95% IC 0.81-0.99), p=0.0247 0 Numero a rischio Regime basato sull’amlodipina (738 eventi) Regime basato sull’atenololo (820 eventi) 1 2 3 4 Tempo (anni) 5 9639 9544 9441 9322 9167 8078 9618 9532 9415 9261 9085 7975 6 Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 di un diuretico tiazidico, in termini di riduzione dell’incidenza di tutti i tipi di eventi cardiovascolari e della mortalità da tutte le cause (Dahlöf B et al., 2005). I livelli plasmatici di PAI-1 e t-PA non sono stati determinati nel corso dello studio ASCOT, ma le riduzioni significative della mortalità cardiovascolare, degli eventi coronarici, nonché degli stroke fatali e non fatali possono essere considerate una dimostrazione indiretta della sinergia di effetti dell’associazione perindopril/amlodipina sull’equilibrio fibrinolitico. L’azione sinergica dei due agenti si traduce anche in un più efficace decremento e controllo dei valori pressori ed in un migliore profilo di tollerabilità. Un’ulteriore caratteristica di questa particolare associazione farmacologica è la copertura dell’effetto antipertensivo nelle 24 ore, che potrebbe avere contribuito ai risultati in termini di riduzione della morbilità e della mortalità registrati nel trial ASCOT. A tale riguardo, le linee guida raccomandano l’impiego di regimi terapeutici, preferibilmente in monosomministrazione giornaliera, dotati della dimostrata capacità di controllare i valori pressori per l’intero arco delle 24 ore (Ferrari R, 2008). Nella Tabella 2 viene riportato il valore approssimativo del rapporto valle-picco di alcuni dei principali farmaci antipertensivi; come si può notare, i valori del rapporto valle-picco di perindopril e di amlodipina sono molto elevati, il che indica la possibilità di ottenere, anche con la loro associazione, un uniforme controllo della pressione arteriosa nel corso delle 24 ore. Il regime combinato perindopril/amlodipina rappresenta la prima associazione fissa impiegata nell’ambito della malattia coronarica stabile (CAD) e costituisce una valida opzione terapeutica per i pazienti affetti da tale condizione patologica. L’associazione fissa perindopril/ 23 Tabella 2. Rapporto valle-picco approssimativo di alcuni dei principali farmaci antipertensivi (1-4) Amlodipina 88% HCTZ 45% Perindopril 100% Telmisartan 100% Fosinopril 80% Losartan 95% Lisinopril 75% Valsartan 90% Ramipril 60% Olmesartan 70% Benazepril 50% Irbesartan 70% Enalapril 48% 1. Physicians Desk Reference. NJ: Medical Economics Company; 2008. 2. Diamant H and Vincent HH. Lisinopril versus enalapril: evaluation of trough: peak ratio by ambulatory blood pressure monitoring. J Hum Hypertens. 1999; 13:405-412. 3. Martell M, Gill B, Marin R et al. Trough to peak ratio of once-daily lisinopril and twice-daily captopril in patients with essential hypertension. J HUM Hypertens. 1998; 12:69-72. 4. Hermida RC, Calvo C, Ayala DE et al. Administration timedependent effects of valsartan on ambulatory blood pressure in hypertensive subjects. Hypertension. 2000; 42-282-290. amlodipina associa le due componenti di una normale strategia terapeutica della CAD in un’unica somministrazione, da impiegare sia nei pazienti ipertesi che nei soggetti normotesi. I vantaggi derivanti dall’uso di questo regime combinato precedentemente riportati nel caso dell’ipertensione, in termini di migliore tollerabilità, maggiore compliance ed effetti sinergici, tra cui quello sulla funzione fibrinolitica, si applicano ai pazienti affetti da CAD. Inoltre, la complementarietà degli effetti di perindopril ed amlodipina si traduce, rispettivamente, nella prevenzione secondaria degli eventi cardiaci e nella riduzione dell’angina. La scelta di perindopril ed amlodipina come componenti di un’associazione precostituita da impiegare nel trattamento della CAD stabile risulta particolarmente appropriata, dal momento che per entrambi i farmaci esistono solide evidenze a sostegno della loro efficacia in questa popolazione (Ferrari R, 2008). In tal senso sono chiaramente indicativi i risultati emersi da un’analisi post hoc che ha utilizzato il database del trial EUROPA 24 Blood Pressure forum® (European trial on Reduction Of cardiac events with Perindopril in stable coronary Artery disease), uno studio multicentrico, in doppio cieco, placebo-controllato, randomizzato condotto su una popolazione di pazienti di entrambi i sessi affetti da arteriopatia coronarica (CAD) stabile documentata, con l’obiettivo di valutare gli effetti del trattamento continuo a lungo termine con perindopril e calcio-antagonista (CCB) sugli outcome cardiovascolari in questa popolazione di pazienti e valutare la presenza di sinergia tra queste due classi di farmaci nella prevenzione secondaria (Bertrand ME et al., 2010). calcio-antagonista per l’intera durata dei 4.2 anni di follow-up (n=2122, pari a circa il 17% della popolazione arruolata nel trial EUROPA), sono stati analizzati gli effetti dall’aggiunta di perindopril versus placebo (n=1022 perindopril/CCB; n=1100 placebo/CCB) sull’endpoint pri mario composito (mortalità cardiovascolare, infarto miocardico non fatale ed arresto cardiaco con rianimazione) e sugli endpoint secondari (mortalità totale, mortalità cardiovascolare, ospedalizzazione per scompenso cardiaco ed infarto miocardico fatale e non fatale) dello studio EUROPA. Dall’analisi post hoc di questo trial è emerso che l’aggiunta di perindopril al calcio-antagonista ha permesso di ottenere una riduzione significativa della mortalità totale pari al 46% (p<0.01 vs placebo) e dell’endpoint primario composito pari al 35% (p<0.05 versus placebo). Le percentuali di eventi nelle due sottopopolazioni perindopril/CCB e placebo/CCB, sono risultate a favore dell’associazione perindopril/CCB per tutti gli endpoint primari e secondari analizzati (Figura 4). Con particolare riferimen- A tale scopo sono state individuate due sottopopolazioni dello studio EUROPA in ciascuno dei gruppi di randomizzazione: una formata dai pazienti che risultavano in trattamento con il calcio-antagonista in occasione di ciascun controllo clinico, dal basale al termine dello studio; l’altra costituita da pazienti che non sono mai risultati in terapia con il calcio-antagonista in occasione dei vari timepoint dello studio. Una volta identificati i partecipanti allo studio che hanno assunto il Figura 4. Effetti del trattamento con perindopril nei pazienti con malattia coronarica stabile che stavano assumendo il calcio-antagonista (CCB) sugli endpoint primari e secondari dello studio EUROPA. MI, infarto miocardico; HF, scompenso cardiaco (Bertrand ME et al., 2010). Percentuale di eventi Perindopril/ CCB (n=1022) Placebo/CCB (n=1100) RRR 95% IC Endpoint primario 4.9% 7.5% 35% 0.45-0.92 Mortalità totale 2.6% 4.8% 46% 0.34-0.86 Mortalità cardiovascolare 1.6% 2.6% 41% 0.32-1.08 MI fatale e non fatale 3.9% 5.4% 28% 0.48-1.07 Ospedalizzazione per HF 0.3% 0.6% 54% 0.12-1.76 0 0.5 A favore di perindopril/CCB 1 1.5 A favore di placebo/CCB 2 Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 to a questi ultimi sono state registrate marcate riduzioni della mortalità cardiovascolare (–41%), delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco (–54%) e dell’infarto miocardico fatale e non fatale (–28%). Gli effetti dell’associazione perindopril/CCB sono stati più marcati rispetto a quelli prodotti dagli stessi farmaci impiegati in monoterapia su tutti gli endpoint esaminati sia nel modello non aggiustato, sia dopo aggiustamento in base alle caratteristiche al basale. Il confronto tra gli hazard ratio (HR) registrati nei pazienti trattati con l’associazione perindopril/CCB e quelli riscontrati nei pazienti in trattamento con perindopril e CCB in monoterapia suggerisce la presenza di un’interazione clinica tra questi farmaci quando somministrati come regime combinato, con un effetto sugli outcome maggiore rispetto a quello prevedibile in base alla semplice somma degli effetti dei singoli agenti. La sinergia clinica era, peraltro, prevedibile considerando l’azione combinata delle proprietà cardioprotettive di perindopril con le attività antiischemica ed antianginosa di amlodipina. In conclusione, l’aggiunta di perindopril al calcio-antagonista nella terapia dei pazienti con CAD stabile arruolati nello studio EUROPA ha prodotto un impatto significativo in termini di riduzione della mortalità totale e dell’endpoint composito di mortalità cardiovascolare, infarto miocardico non fatale ed arresto cardiaco con rianimazione riuscita. Inoltre, l’analisi post hoc di questo studio ha evidenziato riduzioni sostanziali della mortalità cardiovascolare e di altri outcome cardiaci. Il riscontro dell’interazione clinica tra perindopril e calcio-antagonista, che ha prodotto un effetto maggiore rispetto a quello prevedibile sommando gli effetti dei singoli farmaci, implica l’esistenza di un meccanismo d’azione sinergico dell’associazione farmacologica (Bertrand ME et al., 2010). Alla luce di tali evidenze scientifiche, appare perfettamente condivisibile l’affermazione delle linee guida ESC sulla coronaropatia stabile (CAD), secondo cui, in pazienti con ipertensione e ad elevato rischio CV, quali quelli con CAD sintomatica (SCAD), è da preferire l’associazione di un ACE-inibitore e un calcio-antagonista diidropiridinico, come perindopril/amlodipina (nello studio ASCOT) e benazepril/amlodipina (nello studio ACCOMPLISH) (ESC guidelines, 2013). Bibliografia 2013 ESC guidelines on the management of stable coronary artery disease. European Heart Journal 2013; 34: 2949-3003. Bahl VK, Jadhav UM, Thacker HP. Management of Hypertension with the Fixed Combination of Perindopril and Amlodipine in Daily Clinical Practice Results from the STRONG Prospective, Observational, Multicenter Study. Am J Cardiovasc Drugs 2009; 9 (3):135-142. Bertrand ME, Ferrari R, Remme WJ, Simoons ML, Deckers JW et al., on behalf of the EUROPA Investigators. Clinical synergy of perindopril and calcium-channel blocker in the prevention of cardiac events and mortality in patients with coronary artery disease. Post hoc analysis of the EUROPA study. Am Heart J 2010;159:795-802. Dahlöf B, Sever PS, Poulter NR, Wedel H, Beevers DG et al., for the ASCOT investigators. Prevention of cardiovascular events with an antihypertensive regimen of amlodipine adding perindopril as required versus atenolol adding bendroflumethiazide as required, in the Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes TrialBlood Pressure Lowering Arm (ASCOT-BPLA): a multicentre randomized controlled trial. www.thelancet.com Published online September 4, 2005 DOI:10.1016/S0140-6736 (05) 67185. Ferrari R. Optimizing the treatment of hypertension and stable coronary artery disease: clinical evidence for fixed-combination perindopril/ amlodipina. Current Medical Research and Opinion 2008; 24(12):3543–3557. Koziolova N, Kozlova E, Masalkina O. 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