ANTROPOMETRIA Il peso corporeo (espresso in chilogrammi, kg) e

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ANTROPOMETRIA Il peso corporeo (espresso in chilogrammi, kg) e
ANTROPOMETRIA
Il peso corporeo (espresso in chilogrammi, kg) e la statura (espressa in metri, m) sono le misure
antropometriche più largamente utilizzate per gli studi di tipo epidemiologico sullo stato
nutrizionale di una popolazione. Il valore predittivo di tali parametri per definire la composizione
corporea rimane tuttavia scarso: considerando il peso corporeo come determinato dalla somma di
due compartimenti - massa grassa (FM) e massa libera da grasso (FFM) - la determinazione del solo
peso corporeo non risulta informativa dei rapporti relativi fra le stesse. Si rende così necessario il
ricorso ad indici che, utilizzando i predetti parametri, possano rappresentare misure di riferimento
valide circa l’adiposità degli individui. I parametri di obesità più idonei a tale scopo sono il peso
relativo e gli indici peso corporeo/statura.
Il peso relativo, ottenuto dal rapporto fra il peso osservato del soggetto ed il peso standard, viene
espresso come percentuale, al di sopra o al di sotto dello standard stesso. (ad esempio un eccesso
ponderale fra il 20 ed il 40% viene classificato come sovrappeso; fra il 40 e l’80% come obesità
manifesta, oltre l’80% come obesità grave). Il peso standard o ideale per un individuo appartenente
ad una popolazione è quello derivato dalla media ottenuta da un ampio gruppo di soggetti della
stessa statura, sesso ed età, appartenenti alla stessa popolazione.
Tuttavia le tabelle di riferimento del peso ideale sono ritenute attualmente poco significative e le
maggiori organizzazioni sanitarie riconoscono una maggiore validità agli indici di obesità,
combinazioni di peso corporeo e statura non riferiti ad uno standard.
Fra essi l’Indice di Quetelet o Indice di Massa Corporea (Body Mass Index, BMI), ottenuto dal
rapporto fra il peso corporeo espresso in chilogrammi ed il quadrato della statura espressa in metri
(kg/m2) è considerato come il più valido indicatore dell’obesità, in quanto meno correlato con la
statura rispetto ad altri (in particolare in corrispondenza dei due estremi della distribuzione: 150 cm
e 180 cm). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito come limite fra peso
corporeo normale ed obesità il valore di BMI pari a 30 kg/m2. (Vedi tabella 1).
Tabella 1 Classificazione dell’obesità e definizione del rischio relativo in base al BMI ed alla
circonferenza vita (OMS, 1997)
Definizione
Sottopeso
Normopeso
Preobesità
Obesità
BMI
(Body Mass Index)
<18.5
18.5-24.9
25.0-29.9
30.0-34.9
35.0-39.9
>40.0
Uomini:
Donne:
(grado I)
(grado II)
(grado
III)
Rischio relativo
Circonferenza vita
102 cm
88 cm
Circonferenza vita
102 cm
88 cm
aumentato
alto
molto alto
enormemente alto
aumentato
alto
molto alto
molto alto
enormemente alto
Il BMI è correlato con la massa grassa e ne spiega la variabilità solo nella misura del 60-80% e
rappresenta pertanto anche un indicatore dell’altro compartimento corporeo, la massa magra. Dal
confronto fra i valori di BMI e le percentuali di massa grassa (misurate con metodica
densitometrica) è emerso che il BMI risulta significativamente correlato con la quantità di massa
grassa per le popolazioni (r=0.49-0.62 per il sesso maschile e r=0.64-0.91 per il sesso femminile)
con un errore standard tra il 3% ed il 6% del peso corporeo; il confronto per singolo individuo
risulta invece scarsamente predittivo, riuscendo il BMI a spiegare solo poco più del 50% della
varianza del contenuto percentuale di massa grassa. Quindi individui con lo stesso BMI possono
avere una quantità di grasso corporeo notevolmente diversa (per un intervallo di BMI di 20-25
kg/m2, il contenuto di grasso del corpo varia dal 15% al 25%). La scarsa predittività sulla massa
grassa trova riscontro statistico nell’ampiezza degli intervalli di confidenza della regressione del
BMI sulla percentuale di massa grassa (per un valore di BMI pari a 25 kg/m2 l’intervallo andrebbe
dal 14% al 30%). La predizione risulta inoltre influenzata da errori sistematici tendendo a
sovrastimare il contenuto di grasso nei giovani ed a sottostimarlo negli anziani, senza considerare la
non applicabilità della formula in alcuni gruppi di soggetti per i quali la quota relativa di massa
grassa risulta sovrastimata (donne in gravidanza e atleti) o sottostimata (soggetti disidratati) e la non
affidabilità di applicazione nelle popolazioni pediatriche (a causa dell’assenza di parametri di
riferimento e della limitata possibilità di confronto tra popolazioni etnicamente diverse). Per tali
motivi viene impiegato principalmente negli studi di popolazione e come indagine di screening per
la valutazione dell’obesità.
Nella tabella di seguito, riportiamo i vantaggi e gli svantaggi della metodica.
Tabella 2 Vantaggi e svantaggi dell’uso dell’indice peso/statura:
Vantaggi
Semplicità di raccolta dei dati
Misura con errore analitico trascurabile
Possibilità di utilizzare dati self-reported
Costo trascurabile
Semplice confrontabilità dei dati
in studi policentrici
Svantaggi
Possibilità di misclassificazione
in particolari tipologie di soggetti
Possibilità di misclassificazione
in particolari condizioni fisiologiche
Mancanza di dati ritenuti affidabili
su popolazioni pediatriche
Variazione dei parametri
in età geriatrica
Limitata precisione nella stima
del grasso corporeo in soggetti atipici
CIRCONFERENZE
Le circonferenze esprimono le dimensioni trasversali dei vari segmenti corporei.
Sia che esse siano utilizzate da sole o congiuntamente a circonferenze misurate allo stesso livello,
sono indici di crescita, dello stato nutrizionale e della distribuzione della massa grassa. I punti di
rilevamento utilizzati per queste misure sono quelli raccomandati dall’Ufficio Europeo dell’OMS :
circonferenza alla vita: punto intermedio tra margine costale inferiore e la spina iliaca anterioresuperiore;
circonferenza ai fianchi: valore massimo in corrispondenza dei gran trocanteri.
Metodo di misura: il soggetti deve stare in piedi con il peso del corpo equamente distribuito sulle
due gambe e respirare normalmente. La misura va rilevata alla fine dell’espirazione e il nastro
metrico mantenuto sempre in posizione orizzontale.
Il metro dovrebbe essere flessibile e anelastico, con un regolo largo circa 0.7 cm impresso su di un
lato.
Secondo le linee guida europee la
circonferenza vita non dovrebbe
superare i 102 cm negli uomini e
gli 88 cm nelle donne. Il rapporto
vita/fianchi dovrebbe essere
inferiore a 0,95 per gli uomini e
0,8 nelle donne.
Circonferenza del polso: la circonferenza del polso serve per valutare la taglia corporea ed è anche
utilizzato come indice di massa scheletrica.
Metodo di misura: il soggetto è in piedi, l’avambraccio è flesso sul gomito a 90° e il palmo della
mano rivolto verso il basso. Il nastro metrico è posizionato a livello dei processi stiloidi dell’ulna e
del radio.
SIGNIFICATO DEL RAPPORTO VITA / FIANCHI
La distribuzione adiposa può essere identificata con il Rapporto tra Circonferenza della Vita e la
Circonferenza dei Fianchi (Waist/Hip Ratio,WHR) e il suo valore è correlato con un aumento del
rischio di malattie cardiovascolari, diabete mellito, ipertensione.
A seconda del valore del WHR si possono distinguere tre tipi di obesità: Androide, Ginoide e
Intermedia.
La prima è caratterizzata da un accumulo di grasso nella parte centrale del corpo. E’di tipo
ipertrofico (adipociti di grandi dimensioni) e si accompagna ad alterazioni del metabolismo lipidico
e glucidico con maggior rischio di malattie cardiovascolari.
La seconda è caratterizzata da accumulo di grasso in sede glutea e femorale. E’ di tipo iperplastico
(adipociti di dimensioni normali ma aumentati numericamente).
Recentemente anche in età pediatrica tale valutazione si sta diffondendo per un più preciso
inquadramento delle eventuali complicazioni metaboliche. I valori soglia associati ad un maggior
rischio clinico, traslati dagli studi effettuati sugli adulti, sono una WHR>1 per i maschi e WHR>0,9
per le femmine (Linea Guida Clinica per l’identificazione, la gestione e la prevenzione del
sovrappeso e dell’obesità essenziale nel bambino, 2005).
Androide: WHR > 0.85
Obesità centripeta, prevalentemente a carico del tronco, con gambe sottili.
Distribuzione del grasso al viso, collo, spalle ed addome al di sopra dell’ombelico.
Aumentata incidenza di:
 diabete
 iperlipoproteinemia glucido-sensibile ed ipercolesterolemia
 iperuricemia
 ipertensione ed aterosclerosi
Ginoide: WHR < 0.78
Distribuzione del grasso tipicamente femminile, su anche, natiche, cosce ed addome sotto
l’ombelico.
Aspetto “a pera”, con accumulo del grasso sottocutaneo al di sotto dell’ombelico e agli arti inferiori.
Si associano:
 minore incidenza di malattie metaboliche, diabete, ipertensione
 maggiore incidenza di insufficienza venosa, artrosi del ginocchio
 cellulite
Intermedia: 0.78 < WHR < 0.84
L’aspetto è molto più vicino alla forma androide, tuttavia la distribuzione del grasso non è ben
definita come nei casi precedenti.
Si associa spesso a malattie vascolari, come succede per le forme androide.
a. Obesità androide
b. Obesità ginoide
Per maggiore precisione, il rapporto vita/fianchi (WHR) assume dei range differenti a seconda che
si applichi agli uomini o alle donne.
Donne
WHR> 0.85 obesità androide
WHR< 0.78 obesità ginoide
0.79  WHR  0.84 obesità intermedia
Uomini
WHR> 1.0 obesità androide
WHR< 0.94 obesità ginoide
 WHR  0.99 obesità intermedia
PLICOMETRIA
Nell’uomo il tessuto adiposo sottocutaneo rappresenta circa la metà di tutto il tessuto adiposo
corporeo variando a seconda dell’età e del sesso. La misura di alcune pliche cutanee permette di
caratterizzare la distribuzione del tessuto adiposo in siti particolari e dare indicazioni sullo stato
nutrizionale e energetico. Lo strumento utilizzato in questo caso è il calibro per la plica cutanea, o
plico metro (fig 2), costituito da una molla calibrata la cui compressione o estensione determina lo
spostamento su una scala lineare circolare. La misura si legge in millimetri.
Metodo di misura: la plica cutanea deve essere presa tra pollice e indice
escludendo il muscolo sottostante, 1 cm al di sopra della sede stabilita e
le branche del calibro applicate parallelamente ad essa. La misura deve
essere letta due secondi dopo aver applicato la pressione. La misura va
ripetuta due o tre volte per valutare l’errore sperimentale e come valore
finale si assumerà la media delle tre rilevazioni. Se la differenza tra
queste è superiore ad 1mm si dovrà ripetere il rilevamento. E’importante che la misurazione sia
fatta sempre dal medesimo operatore per eliminare l’errore inter-operatore.
Figura 3: Siti di misurazione delle pliche corporee
La metodica assume che la compressibilità delle pliche sia costante; tale fattore in realtà varia con
lo stato di idratazione, con l’età del soggetto e con lo spessore della plica (soggetti molto magri o
grandi obesi, e soggetti anziani sono generalmente valutati con maggiore incidenza di errore).
Le misurazioni vengono introdotte in formule utili alla determinazione della densità corporea totale
e quindi della quantità di grasso sia distrettuale che totale. La relazione tra lo spessore delle pliche
cutanee e le percentuali di massa grassa viene sviluppata attraverso specifiche equazioni di
regressione.
La distribuzione del grasso sottocutaneo viene correlata alla distribuzione del grasso viscerale; in
realtà non risulta una simile correlazione lineare e il limite principale della plicometria è
rappresentato proprio dall’assunzione che la quantità del grasso sottocutaneo rispecchi quella del
grasso viscerale, oltre che dalla difficoltà di effettuare le misure con errori che rientrino all’interno
dell’errore standard del 5%.
La metodica richiede un “training” di standardizzazione delle misurazioni affinché l’errore delle
misure (sia intra-operatore che inter-operatori)1 resti entro i limiti dell’errore standard; l’errore nella
misura della massa grassa corporea rispetto alla metodica densimetrica è stato valutato intorno al 35% in funzione dell’età, del sesso e del livello di obesità.
Il metodo plicometrico è un metodo indiretto: le misurazioni vengono elaborate in formule per la
determinazione della densità corporea; in particolare la stima della percentuale del grasso corporeo
viene derivata dall’equazione di regressione del logaritmo della somma delle quattro pliche
(bicipitale, tricipitale
FORMULE PREDITTIVE PER LA COMPOSIZIONE CORPOREA
Dalla misura delle pliche si può predire la densità corporea e da questa la percentuale di massa
grassa. Vari autori nel corso della storia si sono posti il problema di come stimare la composizione
del corpo in vivo, arrivando a definire modelli nel tempo più sofisticati a cui ricondurre i soggetti.
Gli strumenti a disposizione del ricercatore che affronta questo tema, sono rappresentati dalla
psicometria, dalle circonferenze e dai diametri sopra esposti, nonché dall’analisi impedenziometrica
e dexa di più recente introduzione. Della BIA (bioimpedenziometria) parleremo più avanti.
La formula di Durnin e Womersly (1974) permette di calcolare la densità corporea:
D = c - m x log(somma 4 pliche)
dove D è la densità, c ed m sono due costanti determinate in base all’età ed al sesso, le 4 pliche
sono: bicipitale, tricipitale, sottoscapolare e soprailiaca.
Conoscendo la densità si ricava la percentuale di massa grassa dalla formula di Siri(1956):
% di grasso = (4,950/densità)-4,5*100
Altre equazioni sono:
Equazione di Katch e Mc Ardle (1973)
Donne 17-26 anni
BD = 1,08347 + 0,0006 (A) - 0,00151(B) + 0,00097 (C)
Maschi 17-26 anni
BD = 1,09665 – 0,00103 (A) - 0,00056 (B) – 0,00054 (D)
Dove: A = spessore plica al tricipite, B = spessore plica sottoscapolare, C = spessore plica
addominale, D = spessore plica coscia.
Queste equazioni sono state elaborate studiando un campione di studenti americani fisicamente
attivi composto da 53 maschi e 69 femmine. L’età media era di 19,3 ± 1,5 anni.
La metodica di riferimento è la pesata idrostatica.
Equazioni di Jackson e Pollock(1978)
Hanno sviluppato due diverse equazioni: a tre e a sette pliche.
BD = 1,112-0,00043499 (X1) + 0,00000055 (X1)²-0,00028826 (X4)
Dove:
X1: somma delle 7 pliche: pettorale, ascellare media, tricipitale, sottoscapolare, sovrailiaca, addominale,
coscia anteriore,
X4: età,
BD = 1,10938 – 0,0008267 (X2) + 0,0000016 (X2)² - 0,0002574(X4)
X2= somma delle 3 pliche pettorale, addominale, anteriore della coscia.
BD = 1,1125025 –0,0013125 (X3) + 0,0000055 (X3)²- 0,000244 (X4)
X3= somma delle 3 pliche pettorale, tricipitale, sottoscapolare.
L'equazione di Jackson e Pollock a tre pliche è usata per valutare la composizione corporea degli
atleti, quella a sette pliche per valutare la composizione corporea nella popolazione generale.
Queste equazioni sono state elaborate esaminando un campione di 308 maschi di età compresa tra
18 e 61 anni. La metodica di riferimento è la pesate idrostatica e la % FM è stata calcolata con
l’equazione di Siri.
METODICA BIA (IMPEDENZA BIOELETTRICA)
La capacità del corpo umano di condurre corrente elettrica è nota da più di cento anni. Nel 1800
Alessandro Volta dimostrava che l’interfaccia elettrodo–elettrolita costituiva la sorgente di un
potenziale elettrico. Ohm nel 1826 sceglieva una coppia bismuto termofila come sorgente del
potenziale elettrico; ciò avrebbe condotto alla formulazione della legge che porta il suo nome.
Successivamente è stato ipotizzato che l’interfaccia elettrodo–elettrolita possedesse proprietà di
capacitanza. La prima misura della capacitanza dell’interfaccia veniva effettuata nel 1871 da
Varley. Il primo modello di soluzione elettrolitica con misura della capacitanza viene attribuito ad
Helmholtz nel 1879.
I tessuti acquosi del corpo possono essere considerati come soluzioni elettrolitiche in quanto
l’acqua corporea contiene molti soluti. Grazie a questa proprietà è possibile usare la metodica BIA
per valutare quei distretti corporei che sfruttano le caratteristiche elettriche delle soluzioni
elettrolitiche al passaggio di una corrente alternata.
Il tessuto biologico è considerato costituito da due compartimenti fluidi, extracellulare (ECW) ed
intracellulare (ICW), con comportamento elettrico differente: il compartimento ECW simula la
resistenza mentre quello ICW fa da condensatore.
Somministrata a basse frequenze (fino a 5 kHz) la corrente attraversa prevalentemente il tratto
ECW mentre a frequenze maggiori supera le membrane cellulari e il tratto ICW permette un
passaggio migliore determinando uno sfasamento del flusso di corrente in uscita. Tale effetto
prende il nome di reattanza capacitiva(Xc). L’impedenza (Z) esprime l’impedimento totale al
passaggio di corrente essendo la somma degli effetti del tratto resistivo (R) e capacitivo (Xc) ed è
inversamente proporzionale al contenuto di acqua ed elettroliti del corpo.
La definizione di resistenza (R) è: R=ρL/S dove L è la lunghezza del conduttore e S la sezione.
Considerando il corpo umano come un cilindro la formula diventerà: R=H/S (dove R è la
resistenza, H è la statura del soggetto sottoposto alla misura, ed S è la sezione traversa, che per
convenzione si assume costante). Da qui: V=H2/R (equazione che relaziona il volume del cilindro
con il valore della resistenza). Tale equazione risulta alla base delle formule per la determinazione
della TBW o della FFM. In particolare, la seguente equazione
TBW = a(H2/R)+b
(equazione di tipo lineare, dove i coefficienti a e b sono calcolati su popolazioni specifiche) pone in
relazione il volume di acqua totale corporea (TBW) e l’indice BIA (H2/R).
Attraverso questa metodica si determinano quindi :acqua totale corporea (TBW), fluidi
extracellulari (ECW) e intracellulari (ICW), massa magra (FFM) e massa grassa(FM), massa
cellulare metabolicamente attiva (BCM).
Esistono diversi tipi di apparecchi impedenziometrici; alcuni vengono definiti monofrequenziali, dal
momento che erogano corrente alternata alla frequenza costante di 50 kHz.
Attualmente vengono utilizzati anche impedenziometri che lavorano a più frequenze, detti
multifrequenziali. Infatti, mentre a bassa frequenza il contributo resistivo è massimalmente dovuto
al comparto extra-cellulare, ad alta frequenza anche il tratto capacitivo fa sentire la sua influenza,
man mano che i vari condensatori si “attivano”, sfasando più o meno la corrente in uscita.
In tal modo, da una serie di misure di resistenza (A), reattanza (Xc), angolo di fase (f) e impedenza
(Z), ottenute a varie frequenze di corrente erogata, è possibile determinare la cosiddetta frequenza
caratteristica (Fc).
Tale parametro, introdotto in formule più complesse di quella fondamentale, permette la
determinazione di valori più accurati di TBW, ICW, ECW, e quindi di FFM.
Impedenziometro
monofrequenziale
BIA 101, Akern®.
Metodo di misura: il soggetto deve essere disteso con le gambe leggermente divaricate e le braccia
abdotte in modo che non tocchino il corpo, non deve indossare nessun oggetto metallico. Elettrodi
sensori vengono applicati sulla superficie superiore della mano (tra le prominenze del radio e
dell’ulna e tra il terzo e il quarto metacarpo) e del piede (tra il malleolo mediale e laterale e tra il
secondo e terzo metatarso) ad almeno 5 cm di distanza.
Posizione del soggetto nella BIA
Posizione degli elettrodi
I risultati della BIA possono essere alterati da numerosi fattori quali la temperatura cutanea, la
dinamica respiratoria, l’assunzione di cibo o bevande, l’esercizio fisico e il ciclo mestruale.
Temperatura cutanea: il microcircolo cutaneo è in grado di dilatarsi in risposta ad un aumento
della temperatura della cute. Al contrario, la diminuzione della temperatura cutanea produce
vasocostrizione, con diminuzione del flusso ematico.
Questo spiega perché valori più alti di impedenza possano essere registrati in seguito a
raffreddamento della cute (Caton et al., 1988; Garby et al., 1990) In presenza di febbre, la BIA è
inattendibile. Essa registrerà infatti valori d’impedenza molto bassi.
Dinamica respiratoria: è opportuno verificare che la frequenza e escursione respiratoria siano
quelle “fisiologiche” per il soggetto. Modificazioni dell’escursione della gabbia toracica possono
comportare infatti una modificazione del volume conduttivo, e conseguentemente, dell’impedenza.
Esercizio fisico: l’esercizio fisico moderato non è in grado di influenzare la BIA. Al contrario,
quando intenso e prolungato, esso produce valori artificiosamente bassi d’impedenza.
L’aumento della temperatura cutanea e, possibilmente, una perdita di acqua prevalente su una di
elettroliti, possono spiegare questo fenomeno.
Cibo e bevande: Kushner (1992) consiglia che il soggetto sia a digiuno da liquidi e solidi da
almeno 2-5 ore.
Il contenuto del canale alimentare può infatti interferire con la misurazione dell’impedenza. Inoltre,
nella fase post-assorbitiva, il passaggio di liquidi nel torrente circolatorio può produrre valori
alterati di impedenza.
Tuttavia, Fogelholm et al. (1993) hanno osservato che l’errore prodotto dalla misura dell’impedenza
a 2-5 ore da un pasto può essere accettabile a livello di gruppo ma non del singolo individuo.
Pertanto, essi propongono una notte di digiuno (8 h) quale procedura standard per la BIA.
Ciclo mestruale: il ciclo mestruale comporta variazioni “fisiologiche” dell’impedenza bioelettrica.
Esse sono state poste in relazione a:
1. modificazioni della compartimentazione di TBW, come ad esempio, la possibile espansione
premestruale di ECW,
2. modificazioni della temperatura corporea, per l’effetto termogenico del progesterone e,
3. modificazioni del comportamento alimentare, particolarmente in fase premestruale.
Gleichauf & Roe (1989) hanno osservato che la variabilità nella misura dell’impedenza nel corso di
un ciclo mestruale è da imputare più alla variazione fisiologica che non all’errore di misurazione.
Esse consigliano di standardizzare la misurazione relativamente al periodo del ciclo mestruale e di
effettuare, ove possibile, misurazioni multiple.
L’impiego di contraccettivi orali non è apparentemente associato ad alterazioni dell’impedenza
(Chumlea et al. 1987).
DENSITOMETRIA A DUE LIVELLI ENERGETICI
(Dual energy X-Ray Absorptiometry, DXA)
La DXA misura la densità ossea, il suo contenuto minerale, la massa grassa e la massa magra
corporea. L’attenuazione che un tessuto biologico oppone ad un fascio incidente di radiazioni è
funzione dello spessore, della densità e della composizione chimica del tessuto stesso. La metodica
DXA per lo studio della massa grassa ed in generale dei tessuti molli si basa sul principio che tali
tessuti determinano un’attenuazione costante all’emissione di due definite radiazioni energetiche di
40 kV e 70 kV (raggi X). Il fenomeno dell’attenuazione si basa sull’effetto fotoelettrico e
sull’effetto Compton. Nella realtà il fenomeno dell’attenuazione non è lineare, tuttavia assumendo
che sia costante si ha:
per un tessuto costituito da sola massa grassa:
Rf = 121
e per un tessuto costituito dalla sola massa magra: Rl = 1.399
mentre l’attenuazione per il tessuto osseo risulterebbe molto più alta.
Poiché nell’organismo umano ogni tessuto risulta costituito da più componenti in proporzioni
diverse, l’attenuazione energetica risultante presenta un valore medio.
Si può scrivere la seguente espressione:
Rfl 
(Rfl - Rf)
(Rl - Rf)
Dove Rfl indica l’attenuazione misurata, Rf la costante riferita al solo tessuto grasso, ed Rl la
costante riferita al solo tessuto magro.
Nella misura totale corporea, il 40-45% dei pixel (punti luminosi di cui è costituita l’immagine
radiologica sul monitor, il cui tono nella scala dei grigi è in relazione alla densità del volume del
tessuto analizzato) sono classificati come contenenti massa minerale ossea; il restante è
rappresentato dai tessuti molli. Il sistema DXA consta di un piano di rilevazione in cui sono inseriti
i sensori per il rilevamento dell’attenuazione. A tale piano viene applicato un carrello mobile che
scorre longitudinalmente e che trasporta l’emettitore di energia che a sua volta può scorrere su
binari in modo trasversale mediante un motore di precisione. Per mezzo di un computer dedicato si
determina il moto longitudinale e trasversale dell’emettitore, l’acquisizione dei dati di attenuazione
rilevati e la successiva elaborazione dei dati per la stampa o la visione dei risultati della
composizione corporea.
Figura 3: Apparecchiatura DXA
I valori misurati con la metodica DXA per la massa ossea, la massa libera dal grasso e la massa
grassa sono stati comparati con misure effettuate con altre tecniche e in particolare il confronto con
misure derivate dall’analisi dell’attivazione neutronica (NAA) ha dato una buona correlazione per il
calcio totale corporeo (2-3% di variabilità).
L’errore di tale metodica è stato valutato intorno al 3-4% per il grasso corporeo e dipende
prevalentemente da stati di alterata idratazione e dallo spessore antero-posteriore corporeo (che, se
maggiore di 20 cm, comporta un errore superiore a quello definito). La riproducibilità della misura
dipende invece dalla risoluzione adottata (numero di punti scansionati per cm2 di area corporea);
tale riproducibilità risulterebbe ottimale per le misurazioni che consentono l’analisi di 5-10 punti
per cm2.
La tecnica DXA risulta un metodo preciso ed accurato per la misura della massa grassa corporea
totale e distrettuale. La misura del grasso corporeo risulta più accurata e precisa in soggetti adulti
con peso corporeo inferiore a 100 kg. La misura del grasso corporeo a livello intraaddominale è
stata misurata con misura tomografica e confrontata con le determinazioni ottenute mediante
antropometria (plicometria) e DXA; le misure del grasso addominale ottenute con metodica DXA
risultavano valide (r = 0,9, s.e.e. = 7%) ed il valore predittivo veniva migliorato dalla combinazione
con le misure antropometriche.
In definitiva, la bassa invasività (circa 0,6 mSv) rispetto alle metodica tomografica e la possibilità di
ottenere misure segmentali corporee (tessuto adiposo intraddominale) ne consigliano l’utilizzo per
effettuare una corretta valutazione della composizione corporea.
Esempio di output DXA
TEST ELISA PER LA DETERMINAZIONE DELLA CAPACITA’ ANTIOSSIDANTE
PLASMATICA
E’ un saggio il cui scopo è quello di accertare la presenza di un antigene (ELISA diretto o a
"sandwich") o di un anticorpo specifico contro un antigene (ELISA indiretto). E' un metodo molto
comune e relativamente affidabile in quanto, se correttamente operato, fornisce una garanzia di
successo variabile dal 90% al 95%. L'enorme disponibilità di anticorpi monoclonali, inoltre, rende
l'esecuzione del test ELISA molto veloce. Il rilevamento del complesso antigene-anticorpo
mediante enzyme-linked immunoassay (ELISA) risulta essere un metodo usato sia in diagnostica
sia per studiare interazioni antigene-anticorpo.
La tecnica si avvale della seguente procedura di esecuzione:
I.
II.
III.
Assorbimento dell'antigene sul fondo di una vaschetta di reazione (provetta, piastra petri,
pozzetto di una piastra per ELISA): verso la soluzione contenete l'antigene nella vaschetta di
reazione in condizioni in cui l'antigene si adsorbirà ; rimozione dell'antigene in eccesso;
saturazione dei siti liberi sulla superficie (in genere di materiale plastico) della vaschetta di
reazione con proteina non reattiva (albumina di siero bovino o latte scremato) per impedire
l'adsorbimento dell'anticorpo alla superficie della vaschetta.
Un'aliquota di una soluzione contenente l'anticorpo viene aggiunta alla vaschetta di
reazione. Dopo incubazione per permettere la formazione dell'eventuale complesso
antigene-anticorpo (giallo), la soluzione che contiene l'anticorpo libero viene rimossa.
Incubazione con anticorpo secondario per la rivelazione del complesso antigene-anticorpo
primario: trasferimento nella vaschetta di reazione di una soluzione contenente un anticorpo
specifico per il frammento costante dell'anticorpo primario. Allontanamento dell'anticorpo
secondario in eccesso. L'anticorpo secondario formerà un complesso con l'anticorpo
primario a sua volta associato all'antigene (specifico). L'anticorpo secondario è modificato e
porta legato un enzima (tipicamente perossidasi o fosfatasi alcalina).
IV.
V.
Rilevazione del complesso antigene-anticorpo: aggiunta del substrato dell'enzima coniugato
all'anticorpo secondario; si sceglie un substrato sintetico tale per cui il prodotto della
reazione con l'enzima coniugato all'anticorpo secondario è colorato (tipicamente: giallo per
la fosfatasi alcalina o rosso per la perossidasi): la presenza del complesso antigene-anticorpo
primario viene rilevata attraverso lo sviluppo del colore. L'intensità del colore dipenderà (a
parità di tempo di incubazione) dal numero di complessi presenti.
RISULTATI di un test ELISA: l'assenza del colore giallo indica l'assenza del complesso
antigene-anticorpo primario nel campione analizzato; l'intensità del colore giallo nei diversi
pozzetti della piastra ELISA è proporzionale al numero di complessi antigene-anticorpo
(primario) formati e quindi alla concentrazione dell'antigene(in grado di legare l'anticorpo
primario) nel campione analizzato.
Sono possibili schemi sperimentali diversi in cui in ogni reazione parallela si immobilizza lo stesso
campione di antigene e si utilizzano campioni di anticorpi (primari) diversi.
In questo caso lo sviluppo del colore e la sua intensità saranno misure della presenza di anticorpi
primari in grado di riconoscere l'antigene e della loro concentrazione (o affinità per l'antigene).
ANALISI POLIMORFISMI GENETICI
Si parla di polimorfismo genetico quando una variazione genetica ha una prevalenza maggiore
dell'1% nella popolazione. La variazione genetica può essere determinata da sostituzioni, delezioni
o inserzioni di basi nel DNA e può riguardare regioni codificanti e regioni non codificanti.
I Loci polimorfici sono quelli per i quali almeno il 2% della popolazione risulta eterozigote. Le
conseguenze di questi polimorfismi possono essere silenti con una variazione proteica con la stessa
funzione, oppure una variazione nella sequenza aminoacidica che non altera la struttura della
proteina e infine non silenti quando si avrà un cambiamento del fenotipo, ad esempio si avranno
proteine modificate la cui funzione risulterà alterata.
Il polimorfismo genetico è attivamente e costantemente mantenuto nelle popolazioni per selezione
naturale, a differenza dei polimorfismi transitori in cui una forma viene progressivamente sostituito
da un'altra.
Il processo di determinazione dei polimorfismi genetici di un individuo è noto come
genotipizzazione. Uno dei primi metodi utilizzati per la genotipizzazione riguardava non i geni ma
le proteine polimorfiche conosciute come isoenzimi, o isozimi. Gli isoenzimi sono forme diverse di
una proteina, che hanno una composizione di aminoacidi leggermente differente. Dal momento che
la composizione aminoacidica di una proteina è geneticamente programmata dalla sequenza di
DNA che la codifica, l'analisi degli isoenzimi rileva un polimorfismo genetico. Poiché queste
differenze nella composizione in aminoacidi possono originare proteine che hanno diverse cariche
elettriche, i polimorfismi isoenzimi vengono identificati con l'estrazione di proteine da un
organismo e separati con elettroforesi su gel, una tecnica utilizzata anche per studiare i polimorfismi
del DNA.
Un metodo di rilevazione precoce dei polimorfismi del DNA ancora in uso utilizza enzimi di
restrizione. Questi enzimi batterici tagliano il DNA in sequenze specifiche di riconoscimento. Gli
enzimi di restrizione spaccano il DNA in una serie di frammenti che possono essere separati
mediante elettroforesi su gel. Alcuni polimorfismi alterano le sequenze di riconoscimento, in modo
che l'enzima non riconosce più un sito o riconosce un nuovo sito. Questo si traduce in una nuova
serie di frammenti di DNA che possono essere paragonati ad altri per rilevare le differenze. Queste
differenze si chiamano polimorfismi da lunghezza dei frammenti di restrizione (RFLP).
La Reazione a Catena della Polimerasi (PCR) è una metodica basata sull’amplificazione in vitro di
sequenze definite di DNA. Questa tecnica consente di ottenere centinaia di migliaia di copie del
DNA di interesse per successive caratterizzazioni (determinazione della lunghezza, della sequenza
nucleotidica ecc.) senza dover ricorrere ai comuni metodi di clonaggio né all’uso di vettori di
clonaggio o della loro propagazione all’interno di cellule. È una tecnica utile nel produrre milioni
di copie di una specifica sequenza di DNA in breve tempo. È necessario che le estremità della
sequenza da amplificare siano conosciute con sufficiente precisione per poter sintetizzare degli
oligonucleotidi che saranno ibridizzati ad esse, e che una piccola quantità di della sequenza sia
disponibile per dare inizio alla reazione. Non è necessario che la sequenza da sintetizzare
enzimaticamente sia inizialmente presente in forma pura; essa può anche essere una frazione
minoritaria di una miscela complessa. Un tipico ciclo di PCR prevede 3 fasi:
 DENATURAZIONE del DNA (94-96 ºC): I campioni sono portati alla temperatura di 94-96 ºC
per 1 o più minuti per separare il doppio filamento che costituisce il DNA in singoli filamenti.
 APPAIAMENTO (Annealing) dei primers (50-60 ºC): la temperatura è abbassata fino a 50-60
ºC per 1 o più minuti. Questo permette il corretto allineamento dei primers (inneschi) con la
propria sequenza complementare. I primers sono disegnati in modo da legarsi alle regioni del
DNA che dovranno essere amplificate.
 ESTENSIONE dei primers (72 ºC): la temperatura è nuovamente innalzata a 72 ºC per 1 o più
minuti. Questo consente alla Taq polimerasi (una DNA polimerasi termostabile così chiamata
perché originariamente isolate dal batterio Thermus aquaticus) di attaccarsi ad ogni priming-site
e sintetizzare il nuovo DNA.
Fig 8. Esempio di strumentazione PCR
In genere, questi tre steps vengono ripetuti per circa 30 cicli consecutivi e comunque non più di 50.
Per controllare se la reazione ha amplificato il frammento di DNA target si utilizza l’elettroforesi su
gel di agarosio per la separazione taglia-dipendente dei prodotti della reazione. A seconda della
concentrazione di agarosio (che varia a seconda della grandezza dell’amplificato) presente nel gel i
frammenti verranno fermati in base al loro peso molecolare: templati più pesanti avranno una corsa
corta, mentre i templati con peso molecolare più leggero presenteranno una corsa più lunga. Nel gel
è disciolta una quantità di etidio-bromuro che agendo da agente intercalante, andrà a legarsi ai
templati e attraverso l’irradiazione UV-B verrà evidenziato il prodotto della PCR. La corsa
elettroforetica è effettuata insieme ad un ladder contenente frammenti di DNA a peso molecolare
conosciuto per comparare e, dunque, determinare la taglia dei frammenti prodotti dalla reazione.
Questa tecnica può essere utilizzata per un’ampia gamma di bersagli molecolari.
In Tabella 1 sono riportati polimorfismi genetici coinvolti nelle diverse patologie di interesse
nutrizionale, che verranno analizzati
TABELLA 1. POLIMORFISMI GENETICI
Gene
Varianti
Ruolo del gene
genetiche
IL-6
-174 G/C
Infiammazione
RANKL
-290 C>T
OPG
1181 G>C
ESR1
IVS1-401 T>C
ESR2
IVS1-354 A>G
VDR
C TaqI T
LRP-5
4037C>T
Metabolismo lipidico
MTHFR
677 C>T
Metabolismo omocisteina,folati
Metabolismo osseo ed osteoporosi
ANALISI DELL’ESPRESSIONE GENICA
L’Espressione genica è il processo attraverso cui l'informazione contenuta in un gene viene convertita in
una macromolecola funzionale (tipicamente una proteina). L'espressione genica è finemente regolata
dalla cellula. Tutti i passaggi dell'espressione genica possono essere modulati, a partire dal
passaggio della trascrizione del DNA ad RNA, fino alle modificazioni post-traduzionali della
proteina prodotta. La regolazione dell'espressione genica è fondamentale per la cellula, perché
le permette di controllare le proprie funzioni interne ed esterne. L'espressione di molti geni è
regolata a valle della trascrizione, ad esempio attraverso l'azione di miRNA o siRNA, piccole
molecole di RNA in grado di portare alla degradazione del trascritto (alte concentrazioni di
mRNA non sono dunque sempre correlate ad alte concentrazioni di proteina). In ogni caso, la
quantità di mRNA è un dato di notevole interesse nella misura dell'espressione genica. La
tecnica classica di quantizzazione del mRNA è il Northern blot, un processo attraverso il quale
un estratto di RNA proveniente dal sistema biologico da analizzare viene dapprima separato in
un gel di agarosio, quindi ibridato con una sonda radioattiva complementare al solo RNA di
interesse. In questo modo, è possibile visualizzare e quantificare la presenza dell'RNA di
interesse. Il Northern blot è una tecnica utilizzata sempre più raramente, a causa delle
problematiche correlate all'uso di reagenti radioattivi e della scarsa sensibilità nella
quantizzazione. In ogni caso, esso viene ancora usato in diverse occasioni, ad esempio per
discriminare tra due trascritti che presentano splicing alternativo. Due metodi più moderni per
misurare la quantità di un singolo mRNA sono la real-time polymerase chain reaction (realtime PCR) o la reverse transcriptase-polymerase chain reaction (RT-PCR), che permettono di
quantificare la presenza di un determinato trascritto anche in pochi nanolitri di estratto cellulare.
Per tale elevatissima sensibilità la RT-PCR è attualmente la tecnica di elezione. Oltre a tali
metodi, che consentono di quantificare solo poche differenti molecole di mRNA per volta,
esistono metodologie che permettono di effettuare screening molto ampi del trascritto
complessivo di una cellula. Una di queste metodologie è quella dei DNA microarray che,
attraverso l'utilizzo di supporti che contengono migliaia di sonde di DNA complementari ai
trascritti della cellula, è in grado di fornire un'analisi contemporanea di migliaia di differenti
mRNA. In network di regolazione genica (GNR) descrivono le complesse interazioni che
influenzano l’espressione genica e, conseguentemente, il comportamento cellulare. In tale rete,
gli input, i segnali in ingresso, sono rappresentati da proteine come i fattori di trascrizione, a
loro volta i prodotti dell'espressione di altri geni regolatori,) e gli output, i risultati, sono
rappresentati dai livelli di espressione del gene, cioè dalle quantità degli mRNA e delle proteine
corrispondenti prodotti.
In questo frangente si inserisce l’attività di ricerca svolta, con l’obiettivo di identificare il
rapporto causa-effetto tra alimenti e genetica. Ovvero il fine ultimo è quello di studiare come
l’alimento, nel suo complesso, possa interagire con il patrimonio genetico umano, quali geni
possano venire up o down regulated.
Lo sviluppo delle conoscenze delle interazioni tra nutriente e geni ha permesso di ampliare il
significato di nutriente. Nella nostra era post-genomica il nutriente può essere definito come un
costituente della dieta ben caratterizzato dal punto di vista fisico, chimico e fisiologico; esso
rappresenta il substrato energetico o precursore nella sintesi di macromolecole o altri
componenti necessari nel differenziamento e crescita cellulare; interviene nel riparo del DNA,
nelle difese o nel mantenimento delle molecole segnale; è cofattore o determinante di strutture e
funzioni molecolari, e/o promotore dell’ integrità cellulare e di organo. Il nutriente, quindi, può
influenzare o regolare la trascrizione del DNA, la traduzione in proteine o i processi metabolici
post-traduzionali. E’ importante, quindi, conoscere i possibili effetti di specifici componenti
alimentari sul genoma di una popolazione eterogenea, sia per prevederne i benefici che i rischi.
Le variazioni genetiche inter-individuali rappresentano un determinante critico nelle richieste di
nutrienti quanto mai differenti tra individuo ed individuo. Da alcuni anni la nutraceutica e la
genomica nutrizionale (nutrigenetica e nutrigenomica) sono diventate delle vere discipline con
progetti di indagine accurati e sostanziosi. Il nutriente può influenzare o regolare la trascrizione
del DNA, la traduzione in proteine o i processi metabolici post-traduzionali; interviene nel
riparo del DNA, nelle difese o nel mantenimento delle molecole segnale; è cofattore o
determinante di strutture e funzioni molecolari, e/o promotore dell’ integrità cellulare e di
organo.
In particolare, il cibo risulta essere non solo il fornitore di nutrienti necessari per il nostro corpo,
ma
anche un
portatore
di informazioni
a
carattere
regolatorio.
Soprattutto
i
microRNA potrebbero funzionare come molecole di segnale attive per il trasporto
di informazioni tra specie o addirittura regni diversi. Sebbene il meccanismo di come i
miRNA si trasferiscano tra i diversi organismi non è ancora ben caratterizzato, i risultati dei
primi studi scientifici indicano il coinvolgimento di microvescicole e specifiche proteine RNAtrasportatrici.
Queste scoperte suggeriscono ipotesi sia sul potenziale impatto che le piante possono avere sulla
fisiologia degli animali a livello molecolare, sia sulla possibilità che i miRNA, derivati dagli
alimenti, possono offrirci un altro mezzo per modulare il metabolismo e fornire i nutrienti
necessari o terapeutici.
L’attività di ricerca verte sull’analisi dei geni coinvolti nei processi infiammatori.
L’infiammazione acuta si verifica in risposta a danni cellulari dovuti alle infezioni o lesioni.
Durante questo processo, fattori cellulari e plasma-derivati favoriscono lo spostamento e il
reclutamento di cellule immunitarie circolanti nel tessuto colpito. Queste cellule immunitarie a
regolano positivamente la produzione di citochine infiammatorie che reclutano a loro volta
cellule immunitarie aggiuntivi per promuovere una risposta immunitaria. L’inflammosoma ha
un profilo d’espressione di circa 84 geni, coinvolti nelle funzioni infiammatorie e da complessi
di proteine coinvolte nell'immunità innata.
Il gruppo di geni dell’inflammosoma è:
IM2, CASP1 (ICE), PYCARD (ASC).
CASP1, NAIP, NLRC4 (IPAF), PYCARD (ASC).
CASP1 (ICE), CASP5, NLRP1.
CASP1 (ICE), NLRP3, PYCARD (ASC).
BCL2, BCL2L1 (BCL-X), CARD18 (ICEBERG), CD40LG (TNFSF5), CTSB, HSP90AA1,
HSP90AB1, HSP90B1 (TRA1), MEFV, PSTPIP1, PYDC1 (POP1), SUGT1, TNF, TNFSF11,
TNFSF14, TNFSF4 (OX40L).
IFNG, IL12A, IL12B, IL18, IL1B, IL33, IRAK1, IRF1, MYD88, P2RX7, PANX1, PTGS2
(COX2),
RAGE, RIPK2, TIRAP, TXNIP.
CIITA, NAIP (BIRC1), NLRC4 (IPAF), NLRC5, NLRP1, NLRP12, NLRP3, NLRP4, NLRP5,
NLRP6, NLRP9, NLRX1, NOD1 (CARD4), NOD2.
BIRC2 (c-IAP2), BIRC3 (c-IAP1), CARD6, CASP8 (FLICE), CCL2 (MCP-1), CCL5
(RANTES), CCL7 (MCP-3), CFLAR (CASPER), CHUK (IKKa), CXCL1, CXCL2, FADD,
IFNB1, IKBKB, IKBKG, IL6, IRF1, IRF2, MAP3K7 (TAK1), MAPK1 (ERK2), MAPK11,
MAPK12, MAPK13, MAPK3 (ERK1), MAPK8 (JNK1), MAPK9 (JNK2), NFKB1, NFKBIA
(I?Ba/MAD3), NFKBIB (TRIP9), PEA15, RELA, RIPK2, SUGT1, TAB1 (MAP3K7IP1),
TAB2 (MAP3K7IP2), TNF, TRAF6, XIAP.
CASP1 (ICE), CASP5.
L’infiammazione innesca così, processi ossidativi e di danno cellulare. Il gruppo di geni
coinvolti nello stress ossidativo sono:
GPX1, GPX2, GPX3, GPX4, GPX5, GPX6, GPX7, GSTP1, GSTZ1.
PRDX1, PRDX2, PRDX3, PRDX4, PRDX5, PRDX6 (AOP2).
CAT, CYBB, CYGB, DUOX1, DUOX2, EPX, LPO, MGST3, MPO, PTGS1, PTGS2 (COX2), PXDN,
TPO, TTN.: ALB, APOE, GSR, MT3, SELS, SOD1, SOD3, SRXN1, TXNRD1, TXNRD2.
Geni coinvolti nel Metabolismo delle specie reattive dell’Ossigeno (ROS)
SOD1, SOD2, SOD3.
ALOX12, CCS, DUOX1, DUOX2, GTF2I, MT3, NCF1, NCF2, NOS2 (iNOS), NOX4, NOX5,
PREX1,
UCP2.
AOX1, BNIP3, EPHX2, MPV17, SFTPD.
APOE, ATOX1, CAT, CCL5 (RANTES), CYGB, DHCR24, DUOX1, DUOX2, DUSP1 (PTPN16),
EPX, FOXM1, FTH1, GCLC, GCLM, GPX1, GPX2, GPX3, GPX4, GPX5, GPX6, GPX7, GSR, GSS,
HMOX1, HSPA1A, KRT1, LPO, MBL2, MPO, MSRA, NQO1, NUDT1, OXR1, OXSR1, PDLIM1,
PNKP, PRDX2, PRDX5, PRDX6 (AOP2), PRNP, RNF7, SCARA3, SELS, SEPP1, SIRT2, SOD1,
SOD2, SQSTM1, SRXN1, STK25, TPO, TTN, TXN, TXNRD1, TXNRD2.
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