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ARCHEOLOGIA Per una fruizione consapevole dei beni archeologici sommersi della Sicilia A In alto: Ancora in legno nei fondali di Cefalù. (da Archeologia subacquea. Studi, ricerche e documenti, Roma 1993). In basso: ancora di ferro nei fondali di S. Vito lo Capo. (da Archeologia subacquea, Roma 1993). l centro del Mediterraneo occidentale, la Sicilia è sempre stata un punto fermo nella navigazione antica; le sue coste ed i suoi porti hanno offerto riparo durante le tempeste e in molte occasioni anche interessanti opportunità di commercio. Le nostre acque sono state quindi testimoni mute di tragedie del mare che hanno avuto per protagonisti navi ed equipaggi provenienti dai più disparati porti del Mediterraneo. Fino alla metà del secolo scorso era evento del tutto eccezionale che qualche oggetto recuperato dai fondali venisse a noi per cercare di raccontarci la storia della quale era stato testimone. L’estremo sviluppo che negli ultimi anni ha avuto la subacquea ricreativa ha da un lato aumentato di molto il numero delle segnalazioni di reperti, permettendo così una maggiore conoscenza dei nostri fondali; ma dall’altro, ha anche prodotto una sorta di caccia al tesoro che, anche se a volte condotta in buona - 16 - AGORÀ n. 25-26/2006 di Davide Del Puglia fede, ha arrecato enormi danni alla conoscenza storica. Ogni relitto deve essere infatti immaginato come una fotografia dell’ultimo istante di vita dell’imbarcazione e qualsiasi prelievo o spostamento di materiale vizia in maniera irreversibile qualsiasi tentativo di ricostruzione degli eventi legati a quell’antica nave. La natura del fondale, dell’eventuale costa, la disposizione dei legni della nave e del suo carico sono chiari indicatori del modo del naufragio; è evidente infatti che un fondale profondo e fangoso permetterà una migliore conservazione del legno rispetto ad una zona rocciosa o poco profonda; allo stesso modo appare ovvio che una nave che naufraga impattando sugli scogli, subirà dei danni tali che i suoi resti saranno distribuiti su un vastissimo raggio (il legno galleggerà e sarà disperso dal mare), mentre al contrario se è una falla a causare l’inabissamento, l’imbarcazione affonderà quasi integra avendo allora buone possibilità (fondale permettendo) di conservarsi nel futuro. Indagato da un archeologo subacqueo, questo relitto potrà essere fonte di preziose informazioni che ci permetteranno di scrivere una piccola pagina della nostra storia; intanto si potrebbe risalire al periodo nel quale la nave fu varata: era in uso presso le antiche marinerie il sistemare una moneta sotto la scassa dell’albero quando esso veniva issato. Questa moneta con funzioni di portafortuna (evidentemente si tratta di un rimedio poco efficace se la nostra nave è adesso adagiata su di un fondale!) da a noi un termine temporale che in archeologia è definito post quem e che ci indica con certezza che la nave fu varata dopo la coniazione di quella moneta. Ma questa non è che una delle molte informazioni che Davide Del Puglia Puglia,, Beni archeologici sommersi, www .editorialeagora.it - E-mail: [email protected] www.editorialeagora.it ARCHEOLOGIA possiamo trarre; anche un solo relitto può confermare o meno ipotesi di ricostruzione dei commerci marittimi e quindi anche di assetti politici nel Mediterraneo antico. Immaginiamo che durante una nostra immersione notiamo che dal fondale emergono dei colli d’anfora, e immaginiamo anche che la nostra attenzione verso la tutela dei Beni Culturali sia inferiore alla voglia che abbiamo di mostrare ai nostri amici cosa siamo riusciti a trovare! Eccoci impegnati quindi a strappare dal fondo un certo numero di anfore del tipo africano (ma con molta probabilità per questo ipotetico sub si tratta soltanto di anfore indistinte). Una volta tornati a terra, mostreremo a qualcuno il nostro tesoro e questo nostro amico spinto dalla voglia di andare a vedere anche lui questo relitto ci convince ad indicargli il punto del ritrovamento: state tranquilli che nel giro di poco tempo di quelle anfore non rimarrà più nessuna traccia. Ipotizziamo adesso che sotto quello strato di anfore, nascoste dal fondo vi sia ancora dell’altro materiale archeologico, magari delle anfore spagnole e che questo relitto sia adesso indagato da alcuni archeologi che, dato il carico trovato penseranno a quella nave come proveniente da qualche porto della Spagna: un errore! Ma del tutto giustificato. Quella nave, prima di affondare era passata sì dalla Spagna (dove aveva caricato le anfore spagnole), ma poi si era diretta in qualche porto del Nord-Africa (dove sopra le anfore spagnole aveva caricato quelle locali). Con questi dati saremmo in grado di tracciare una parte della rotta dell’antica imbarcazione. Ma una semplice rotta implica alcune considerazioni importanti sulla situazione economica e politica di chi la compie: intanto l’equipaggio era certo di non trovare atteggiamenti ostili in nessuno dei paesi toccati e quindi doveva appartenere ad un paese che era in buoni rapporti con essi. Ma appunto, come possiamo sapere verso quale paese stesse navigando quella nave? Per esempio, attraverso quella moneta posta sotto la scassa dell’albero; chi la pose infatti con molta probabilità attinse alle monete di uso quotidiano e quindi a quelle locali, non certo a monete “estere”. Considerando poi il punto in cui la nave è stata rinvenuta, possiamo tentare di individuare anche il suo prossimo porto e così tracciare un quadro abbastanza completo di quel suo ultimo viaggio: conoscendo lo stato di appartenenza e quindi la sua zona di partenza, due porti toccati durante il viaggio e ipotizzando anche quello a cui era diretta, ma dove non è mai arrivata, siamo riusciti ad avere un quadro che può aver confermato o smentito precedenti ipotesi circa i rapporti commerciali nell’antico Mare Nostrum. Dato l’ormai enorme numero di subacquei che, specialmente in estate, esplorano i nostri fondali, è facile immaginare quale danno potrebbe essere arrecato alla conoscenza storica, se la voglia di souvenir fosse maggiore del sentimento di rispetto ad al tempo stesso del senso civico di chi pratica le immersioni ricreative. Il risultato non sarebbe diverso anche se il nostro ipotetico subacqueo avesse consegnato le anfore ad un museo o in Capitaneria, magari in buona fede e con la convinzione di aver fatto qualcosa di corretto; infatti, ammesso che si riesca ad individuare con certezza il luogo del ritrovamento, l’assenza di qualsiasi documentazione grafica della posizione delle anfore, rende assolutamente Davide Del Puglia Puglia,, Beni archeologici sommersi, www .editorialeagora.it - E-mail: [email protected] www.editorialeagora.it AGORÀ n. 25-26/2006 In alto: Archeologo subacqueo a lavoro. (da Archeologia subacquea. Studi, ricerche e documenti, Roma 1993). In basso: Cantiere archeologico subacqueo. (da Archeologia subacquea, Roma 2002). - 17 - ARCHEOLOGIA In alto: La nave punica di Marsala. In basso: Colli d’anfora. (da Archeologia subacquea, Roma 1993). inutilizzabili le informazioni che ne potremmo trarre. Non è infatti l’anfora in se stessa ad aver un particolare valore (migliaia di esse giacciono abbandonate nei magazzini dei musei), ma quello che possono ancora raccontarci attraverso la loro posizione rispetto al resto del carico, o attraverso la presenza di bolli . Quest’ultimi, presenti anche su altre classi di materiali ceramici come tegole e - 18 - AGORÀ n. 25-26/2006 mattoni, sono veri e propri marchi e sigilli che venivano impressi prima della cottura (in genere sulle anse o subito sotto il collo di esse nel caso delle anfore) e che a secondo dei casi ci indicano la provenienza dell’oggetto, del peso o, nel caso di anfore, del peso del suo contenuto, nonché, attraverso indicazioni consolari, del momento della sua realizzazione, fino ad arrivare al nome del proprietario della fabbrica che lo produceva. Viste le conseguenze che una mancata tutela può portare con sè, sta facendosi strada un nuovo modo per rendere fruibile il patrimonio archeologico sommerso; si tratta dei cosiddetti parchi sommersi o percorsi archeologici subacquei. In Sicilia primo fra tutti è stato quello di Ustica presso Punta Spalmatore, che ha reso possibile la realizzazione di un percorso subacqueo che si snoda attraverso una serie di reperti archeologici che, e qui sta il limite di questo percorso, sono stati rinvenuti in altri luoghi. Si tratta di un itinerario certamente piacevole, ma contrario alle moderne tendenze nel campo della musealizzazione; appare infatti come una serie di materiali slegati dal luogo in cui si trovano e quindi niente di più che un museo “allagato”. Un’esperienza recente ha visto nascere un Davide Del Puglia Puglia,, Beni archeologici sommersi, www .editorialeagora.it - E-mail: [email protected] www.editorialeagora.it ARCHEOLOGIA parco archeologico sommerso presso cala Gadir a Pantelleria; qui si è individuata un’antica zona d’approdo, indicata dalla presenza di numerosi relitti presenti sul fondo della cala. Uno di essi si riferisce ad una grande nave da carico che trasportava diversi tipi di anfore. A differenza di quello realizzato ad Ustica, in questo caso si è provveduto ad individuare ed attrezzare un percorso sommerso che valorizza le singole evidenze archeologiche, lasciandole comunque integrate nel loro contesto d’origine. Seguendo questo splendido esempio pantesco, altri parchi archeologici sommersi sono in progetto nelle acque siciliane, primo fra tutti il nascente Parco delle Isole Egadi, le quali, nelle loro acque, celano un enorme patrimonio archeologico. Basti pensare alla famosa Battaglia delle Egadi del 241 a.C., che vide lo scontro tra la flotta cartaginese e quella romana e che certamente avrà comportato l’affondamento di numerose navi da guerra. Un esempio delle potenzialità di queste acque ci viene offerto dal recentissimo rinvenimento di un rostro, che si viene così ad aggiungere all’unico altro esemplare rinvenuto nel Mediterraneo e precisamente presso Athlit in Israele nel 1980. Certamente “scoperte” come quella del Satiro di Mazara del Vallo, hanno grande presa sulla opinione pubblica, vengono presentate come sensazionali e concorrono con l’indotto che le accompagna a creare ricchezza nel paese che ne è protagonista. Ma a ben pensare non c’è molto da rallegrarsi se consideriamo che tutto ciò invece che essere frutto di una ricerca condotta con criteri e metodologie scientifiche, è il regalo del caso che ha visto una rete da pesca impigliarsi negli spigoli della storia a danno di chissà quale conoscenza; perché lo stesso attrezzo da pesca che ha strappato il Satiro Danzante dal fondo avrà con ogni probabilità distrutto per sempre gran parte del carico di cui esso faceva parte, privandoci di un’enormità di informazioni e perché no di chissà quali opere d’arte antica. L’augurio è che l’ormai consolidata maturità che la maggior parte dei subacquei sportivi ha sviluppato verso gli organismi viventi che popolano i nostri fondali, e che fa sì che ci si immerga attrezzati di macchina fotografica invece che di retino, si possa esportare anche verso quell’universo di reperti archeologici, ognuno dei quali per vie diverse attende in fondo al mare che qualcuno in grado di comprendere il suo linguaggio gli permetta di raccontarci la sua e la nostra storia. Davide Del Puglia Puglia,, Beni archeologici sommersi, www .editorialeagora.it - E-mail: [email protected] www.editorialeagora.it AGORÀ n. 25-26/2006 In alto a sn.: Operazioni di ocumentazione fotografica di un sito sommerso. (da Archeologia subacquea. Metodi, tecniche e strumenti, Roma 2002). In alto a dx.: Il rostro di Athlit ritrovato nel 1980. In basso: Archeologo subacqueo impegnato nel rilievo. (da Archeologia subacquea. Studi, ricerche e documenti, Roma 1993). - 19 -