Isolare l`Iran - Aspen Institute Italia
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167-173 Molinari Aspenia n. 39 18-12-2007 11:47 Pagina 167 Maurizio Molinari Isolare l’Iran: il contenimento visto da Washington Opzione militare o assedio strategico? È questo il bivio nei confronti dell’Iran, al centro di un duro confronto tanto dentro l’amministrazione Bush quanto fra i candidati alle presidenziali del 2008, siano essi repubblicani o democratici. Il bivio esiste in ragione della consolidata opinione, alla Casa Bianca come al Congresso, che la bomba atomica iraniana porrebbe molteplici, seri pericoli alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, in quanto consentirebbe a Teheran di minacciare devastanti attacchi contro le basi militari in Medio Oriente e i più importanti alleati nella regione (Israele, Turchia, Arabia Saudita); senza contare il rischio che un tale ordigno finisca nelle mani di gruppi terroristici filoiraniani (come Hezbollah o Hamas) oppure sia montaMaurizio Molinari è corrispondente de La to su una nuova generazione di missili a lunga gittaStampa dagli Stati Uniti. ta che l’Iran sta costruendo con l’aiuto di tecnici nordcoreani, e che sono in grado di raggiungere il territorio dell’Europa continentale. Se questi sono i motivi che fanno percepire l’atomica iraniana come uno scenario da sventare, il confronto è serrato su come riuscirci. L’ASSEDIO STRATEGICO, CINQUE TASSELLI SULLE TRACCE DELLA GUERRA FREDDA. Al momento, nell’amministrazione Bush prevale l’opzione dell’assedio strategico, suggerita dal segretario di Stato, Condoleezza Rice, sostenuta dal ministro della Difesa, Robert Gates, e sostanzialmente fondata sulle teorie di James Baker e sulle valutazioni prevalenti nei servizi segreti, riassunte nel National Intelligence Estimate di inizio dicembre. L’atto ufficiale di nascita di questa opzione è il 6 dicembre 2006, con la presentazione del rapporto dell’Iraq Study Group – la commis- 167-173 Molinari Aspenia n. 39 18-12-2007 11:47 Pagina 168 sione indipendente presieduta da Baker e Lee Hamilton – che suggeriva al presidente Bush di coinvolgere Teheran nella stabilizzazione dell’Iraq, aprendo un dialogo ad hoc. Quando, durante la presentazione di quel documento, venne chiesto a Baker perché mai l’America avrebbe dovuto negoziare con lo Stato più compromesso con il terrorismo internazionale (gli Hezbollah sono l’organizzazione terrorista che ha ucciso il più alto numero di americani dopo al Qaeda), la risposta dell’ex braccio destro di Bush padre fu: “Abbiamo negoziato con l’URSS quando c’era il pericolo della guerra nucleare, possiamo farlo anche oggi con l’Iran”. E in effetti è proprio il precedente dei rapporti con l’URSS il terreno sul quale la teoria di Baker si è incrociata con le idee di Rice e Gates, entrambi formatisi durante la guerra fredda: lei come cremlinologa nel Consiglio nazionale per la Sicurezza di Bush padre, lui nell’intelligence dove ha scalato le posizioni fino a diventare direttore della CIA, dal 1991 al 1993. Nel corso dell’ultimo anno tutte le mosse dell’amministrazione Bush hanno puntato a mettere sotto assedio l’Iran con una strategia di contenimento aggressivo che riprende e combina i vari strumenti che vennero adoperati dagli Stati Uniti contro l’URSS nel corso dei cinquant’anni di guerra fredda: sanzioni economiche, pressione militare, 168 operazioni di intelligence, sostegno all’opposizione e negoziati diretti. Si tratta di cinque tasselli di un unico mosaico. Le sanzioni economiche sono frutto di tre risoluzioni dell’ONU (le 1696, 1737 e 1747) ma anche di provvedimenti adottati unilateralmente dagli Stati Uniti e, oltre a colpire il programma nucleare e l’apparato militare, puntano soprattutto a isolare il complesso produttivo iraniano dal sistema finanziario internazionale. La pressione militare si manifesta nel Golfo Persico, dove sono schierate in permanenza le squadre navali di tre portaerei, con una potenza di fuoco tale da rendere possibile un attacco aeronavale in qualsiasi momento. Le operazioni di intelligence avvengono fuori e dentro i confini dell’Iran e vanno dal procurare la defezione di gerarchi e super 007 (come Ali Reza Ashgari, l’ex viceministro della Difesa e comandante dei pasdaran in Libano scomparso nel nulla a Istanbul lo scorso marzo) all’arresto di Guardiani della Rivoluzione infiltratisi in Iraq, dal sostegno non dichiarato ai gruppi indipendentisti azeri e curdi nel nordovest e arabi del sudovest, fino al sabotaggio di strutture militari, passando per un’opera di sorveglianza elettronica che vede impegnate alcune delle più importanti risorse della comunità dell’intelligence. Il sostegno all’opposizione si esprime anzitutto con le dichiarazioni del presidente e dei suoi più stretti collaboratori: ogni volta che l’Iran è oggetto di interventi pubblici viene messa in risalto la differenza fra “regime” e “popolo”, nell’intento di far arrivare all’interno 167-173 Molinari Aspenia n. 39 18-12-2007 11:47 Pagina 169 del paese un messaggio di sostegno per chi punta a liberarsi della struttura di potere creata dalla rivoluzione khomeinista del 1979. Si spiegano così anche le prese di posizione del dipartimento di Stato a favore dei sindacalisti iraniani o degli studenti di Teheran arrestati solo per “aver chiesto il rispetto dei propri legittimi diritti”. C’è poi il negoziato che, proprio come ai tempi dell’URSS, ha un triplice fine: ottenere concessioni, scongiurare imprevisti e individuare nella controparte personaggi pragmatici con i quali instaurare un rapporto privilegiato. Il terreno del negoziato diretto 169 fino a ora è stato l’Iraq, perché è qui che gli interessi di Washington e Teheran registrano la massima convergenza, temendo entrambi la frammentazione del paese su base etnica: ma anche nella trattativa sul nucleare, che l’Iran conduce formalmente con l’Europa, c’è l’impronta di Washington. Non a caso, nel 2004-2005, l’allora negoziatore iraniano Alì Larijani immaginò di affidare al fidato collaboratore Mohammad Javad Jaffari un canale di dialogo segreto con il consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley, considerandolo una persona “molto razionale” proprio in base alle posizioni che aveva espresso sul nucleare. LA NIE: L’INTELLIGENCE RAFFORZA LA RICE. I cinque tasselli dell’assedio strategico puntano a mettere sotto pressione Teheran con l’obiettivo di isolarne il regime, scommettendo sulla possibilità di farlo implodere come avvenne con l’URSS 167-173 Molinari Aspenia n. 39 18-12-2007 11:47 Pagina 170 nel 1991, ma in tempi assai più rapidi in quanto la struttura economica e di potere degli ayatollah appare molto più debole rispetto a quella del PCUS. Rice e Gates ritengono che proprio questa strategia sia all’origine di quanto di positivo è avvenuto nelle ultime settimane: la celebrazione ad Annapolis della conferenza sul Medio Oriente per raggiungere l’obiettivo della pace definitiva fra Israele e palestinesi, infatti, è stata possibile grazie alla partecipazione in massa dei ministri degli Esteri della Lega Araba, accomunati dalla percezione dell’Iran nucleare come una minaccia regionale; mentre l’intiepidirsi del sostegno iraniano alla guerriglia in Iraq è frutto di una decisione presa a Teheran, cosa che lascia intendere che gli ayatollah più pragmatici abbiano forse iniziato a farsi sentire. La conferma dell’affermarsi di questa strategia sta nelle posizioni che prevalgono nell’intelligence americana, evidenziate dall’ultima National Intelligence Estimate, che frena sull’allarme nucleare per spingere l’amministrazione Bush a rafforzare l’assedio strategico e rimandare l’eventuale opzione militare. Il testo del documento – concordato da 16 agenzie di intelligence degli Stati Uniti – afferma che l’Iran aveva un programma militare segreto ma lo ha fermato nel 2003, pur continuando ad arricchire l’u170 ranio: questo significa che i tempi per il raggiungimento dell’arma atomica sono più lunghi del previsto e che di conseguenza la diplomazia ha più tempo per arrivare a una composizione della crisi con Teheran. La National Intelligence Estimate ha rafforzato la tesi di Rice e Gates sull’assedio strategico, indebolendo invece chi sostiene che i tempi del loro approccio sono troppo lunghi per sventare il rischio dell’Iran nucleare. Nella visione della Rice, l’isolamento dell’Iran è la molla per consolidare l’alleanza politico-militare con i paesi sunniti, gettando le basi per una nuova struttura di sicurezza in Medio Oriente che avrà come perni la Turchia atlantica, l’alleato israeliano e la monarchia saudita. MA L’OPZIONE MILITARE RESTA SUL TAVOLO. Seppure indebolita dalle valutazioni dell’intelligence, l’opzione militare resta comunque sul “tavolo del presidente”, come ripetono spesso tanto Bush quanto il vicepresidente Dick Cheney. E per rendersene conto basta osservare come il Pentagono si stia preparando a un’operazione aeronavale: lo dimostrano non solo la massiccia presenza di navi, aerei, uomini e mezzi nelle acque del Golfo Persico, ma anche le recenti nomine che hanno portato alla guida degli Stati maggiori congiunti l’ammiraglio Michael Glenn Mullen e alla guida del comando centrale di Tampa (responsabile del Medio Oriente) l’ammiraglio William Fallon. Inoltre, è anche stata riattivata alla Casa Bianca la cellula stra- 167-173 Molinari Aspenia n. 39 18-12-2007 11:47 Pagina 171 tegica dell’US Air Force, affidata al capo di Stato maggiore dell’aviazione Michael Moseley. Gli scenari di attacco all’Iran vengono periodicamente aggiornati e rivisti dai pianificatori del Pentagono, sulla base delle esercitazioni condotte nel Golfo, spesso a ridosso delle acque territoriali iraniane. L’opzione aeronavale è dettata dalla scelta obbligata di evitare una campagna militare di terra – resa assai difficile dal pesante impegno in Iraq e Afghanistan – ma anche della natura dell’obiettivo: impianti nucleari dislocati in luoghi molto protetti. L’opzione aeronavale può essere però declinata in più scenari: un blitz limitato contro il “collo di bottiglia”, ovvero gli impianti di importanza critica per il funzionamento dell’intero programma nucleare; una campagna aerea di più lunga durata per eliminare tutte le strutture di produzione di quel programma, che secondo alcune fonti sarebbero dozzine; un intervento ancora più ampio per neutralizzare non solo il programma atomico ma anche capi, basi e armamenti dei Guardiani della Rivoluzione, la milizia creata dall’ayatollah Khomeini che è divenuta l’ossatura militare della Repubblica Islamica e sulle cui spalle ricade anche la difesa del nucleare. In quest’ultimo caso, il Pentagono potrebbe ricorrere all’impiego anche di truppe speciali. 171 L’IRAN PER I CANDIDATI DEMOCRATICI. La presenza dei Guardiani della Rivoluzione fra i possibili obiettivi di un attacco militare spiega l’importanza politica del voto (76 favorevoli, 22 contrari) con cui il Senato di Washington ha approvato il 26 settembre 2007 una “mozione non vincolante” che definisce i pasdaran una “organizzazione terroristica”. Non era mai avvenuto prima che tale qualifica venisse attribuita a un corpo militare appartenente a uno Stato sovrano, e la novità ha suggerito l’ipotesi che l’amministrazione Bush abbia voluto iniziare a porre le basi per legittimare un attacco più ampio, tale da includere, appunto, anche i Guardiani. Fra i 76 senatori che hanno votato a favore c’è anche Hillary Clinton, l’ex First Lady candidata di punta alla nomination democratica per le presidenziali del 2008. “Ho votato a favore perché era una mozione non vincolante” ha detto Hillary per spiegare la sua scelta. Tuttavia, il linguaggio che adopera sull’Iran sembra confermare la sua inclusione nel campo dei falchi di Washington: la Clinton usa l’espressione “l’opzione militare deve essere sul tavolo del presidente” e assicura che “se sarò eletta non consentirò in alcun modo all’Iran di avere l’atomica”. Sono posizioni che le hanno attirato le critiche dei rivali democratici, soprattutto alla luce delle valutazioni contenute nel National Intelligence Estimate. Il senatore dell’Illinois Barack Obama accusa Hillary di “fare il gioco di Bush” ed è 167-173 Molinari Aspenia n. 39 18-12-2007 11:47 Pagina 172 arrivato a paragonarla a “personaggi come Dick Cheney”, attribuendole la volontà di continuare “politiche di guerra che ci indeboliscono nel mondo”. E John Edwards non è stato da meno: “In Iowa, Clinton si presenta come una colomba, ma a Washington si comporta da falco”. Uniti nel criticare Hillary e nell’opporsi all’opzione militare, Obama e Edwards hanno sull’Iran posizioni dalle sfumature diverse. Edwards ha definito il proprio approccio nel discorso pronunciato il 5 novembre a Washington, in cui si è detto favorevole ad “abbandonare la dottrina della guerra preventiva” per “non ripetere gli errori dell’Iraq”, puntando piuttosto su un “maggiore impegno diplomatico” con “il coinvolgimento di Russia e Cina” nella soluzione della crisi nucleare con Teheran. Obama, invece, si è spinto fino a promettere di incontrare di persona, nel primo anno di presidenza, “i leader nemici dell’America” – inclusi gli iraniani; poi, però, in occasione del voto al Senato sui pasdaran non si è presentato in aula, adducendo un evento elettorale in New Hampshire. Obama si è infine attestato sull’opposizione a un attacco “alla Bush”, evitando però di rispondere all’interrogativo sul che fare di fronte all’eventuale bomba degli ayatollah. Nel complesso, le posizioni dei democratici nei confronti dell’Iran sono un riflesso di 172 quelle sull’Iraq: Obama ricorda di essere stato, nel 2003, contrario all’attacco, Edwards vuole fare dimenticare che al Senato votò a favore dell’intervento militare e Hillary vuole evitare di essere identificata con la sinistra liberal, nella convinzione che potrebbe esserle fatale nell’Election Day. LA LINEA DEI CANDIDATI REPUBBLICANI. In casa repubblicana le differenze sono meno accentuate. Se Rudolph Giuliani è il più determinato nel minacciare l’opzione militare e nell’usare il termine “terrorista” nei confronti degli Hezbollah filoiraniani e dei pasdaran che sostengono la guerriglia in Iraq, il senatore dell’Arizona John McCain sostiene esplicitamente la linea d’azione della Casa Bianca e non perde occasione per accreditarsi come falco (si è anche esibito in un improvvisato show elettorale, canticchiando il ritornello “Bomb, Bomb, Bomb Iran”). Mike Huckabee, l’ex governatore dell’Arkansas protagonista di un significativo recupero nei sondaggi di fine anno, è su posizioni simili a quelle di Giuliani, mentre più incerto appare Mitt Romney, l’ex governatore del Massachusetts, che durante un dibattito elettorale ha detto che avrebbe sentito “i suoi avvocati” prima di chiedere al Congresso l’autorizzazione ad attaccare l’Iran. McCain è stato il più rapido a infierire su questa gaffe: “Dimostra la sua scarsa esperienza in materia di sicurezza nazionale”. 167-173 Molinari Aspenia n. 39 18-12-2007 11:47 Pagina 173 È Giuliani, comunque, il più abile a sfruttare il caso Iran a proprio vantaggio. Quando Ahmadinejad è stato accolto dalla Columbia University, lo scorso settembre, mentre gli altri candidati repubblicani si sono limitati a criticare la scelta dell’ateneo, l’ex sindaco di New York è andato oltre e durante un pranzo elettorale ha detto: “La mia formazione è quella del procuratore e consentitemi di ricordare che mentre Ahmadinejad parlava alla Columbia University, cariche esplosive iraniane uccidevano soldati americani in Iraq; dunque Ahmadinejad era complice della morte di nostri cittadini”. Come dire, in punta di diritto sarebbe stato passibile di arresto. Saranno i prossimi mesi a dire quanto l’Iran peserà sulla campagna elettorale americana. Molto dipenderà dalla situazione in Iraq. Se infatti un Iraq instabile e violento giova politicamente ai democratici e mette in difficoltà i repubblicani, spingendoli a giocare la carta iraniana, lo scenario di un miglioramento della sicurezza a Baghdad offre ai repubblicani un cavallo di battaglia talmente forte da poter lasciare sullo sfondo l’allarme per l’atomica di Teheran. George W. Bush, intanto, come avviene spesso ai presidenti alla fine del mandato, pensa in primo luogo all’eredità che lascerà alla storia. Appare improbabile, quindi, che il presidente che ha fatto della difesa dell’America la propria missione dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, lasci la Casa 173 Bianca senza avere allontanato il pericolo dell’atomica iraniana. Da qui il dilemma del presidente: se l’assedio strategico darà risultati ritenuti sufficienti, sarà questa l’eredità che troverà il successore; altrimenti non resterà che l’opzione militare per rimandare il programma nucleare di Teheran indietro di molti anni.