Poesia in forma di rosa - Atlante digitale del `900 letterario

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Poesia in forma di rosa - Atlante digitale del `900 letterario
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POESIA IN FORMA DI ROSA
di Pier Paolo Pasolini
nella Seconda poesia in forma di rosa è
quello di disporre le parole in modo tale
da richiamare le forme di un petalo di
una rosa. Poesia in forma di rosa è la più ampia
raccolta poetica di Pasolini, pubblicata da
Garzanti nel ’64 (edita poi nella collana I
grandi libri nel 1976), contenente i
componimenti che vanno dal ’61 al ’63.
La raccolta rappresenta una svolta nella
sua carriera poetica: la poesia incarna
quasi un diario, in cui l’autore, il suo io
sono totalmente in primo piano. Oggetto
delle numerose poesie sono ritagli di una
giornata come un'altra, i processi subiti,
cronache dei viaggi in Africa e in Asia,
alcune tappe della sua attività di regista;
Poesia in forma di rosa è quasi opposta ai
lavori poetici precedenti, perché è mutato
il rapporto con il più recente passato, con
le convinzioni e con le speranze nate in
esso che vacillano o già sono soffocate.
Nella raccolta Pasolini esprime la sua
delusione per gli sviluppi delle vicende
politiche e intellettuali degli anni 50,
denuncia un nuovo senso di assoluta
impotenza di modificare la realtà.
Legati al mutamento che avviene
nell’autore sono il tono e la struttura delle
poesie: il tono si abbassa, la struttura
tende a farsi più aperta, adattabile, viene
abbandonata la terzina a favore di moduli
che prescindono da ogni condizionamento
formale; espediente grafico utilizzato
Il sogno della ragione Fu scritta tra il 1962 e il 1968, posta nella
quinta sezione della raccolta, Una
disperata vitalità. Il sogno della ragione è
composta da cinquanta versi liberi divisi
in otto strofe di diversa lunghezza,
separate da uno spazio bianco l'una
dall’altra.
Ragazzo dalla faccia onesta
e puritana, anche tu, dell'infanzia,
hai oltre che la purezza la viltà.
(vv. 1-3)
Il ragazzo a cui Pasolini si rivolge è
probabilmente Massimo Ferretti (1935–
1947), giovane scrittore-poeta scoperto
da Pasolini, che pubblicò alcuni dei suoi
versi nel quinto numero di «Officina».
Erano legati da un’amicizia tempestosa,
rovinata dal fatto che Ferretti non riusciva
ad accettare l’omosessualità dell’autore.
Ferretti, il ragazzo a cui l’autore si rivolge
per l’intero componimento, rappresenta la
speranza, antitesi del pessimismo del
poeta che non si ritrova unicamente in
questa poesia, ma nell’intero volume. Il sogno della ragione è costruita su
continui contrasti, il pessimismo e la
speranza, il presente e il futuro, Pasolini
stesso e Ferretti, che impersona un futuro
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in cui c’è speranza, a differenza di un
presente in cui, secondo l'autore, non c’è
la possibilità di un progresso, nonostante
in lui siano ancora presenti «dei
sentimenti nobili – com'è la tua, / com'è
la nostra speranza di comunisti» (vv.
32-33).
Nella poesia sono contrapposti una razza,
di cui lui stesso dichiara di far parte
«eroica/vocazione» (vv. 37-38). Le figure
retoriche, unite al linguaggio metaforico
utilizzato, contribuiscono a dare alla
poesia una forma ermetica.
Il componimento è costruito con un
andamento ossimorico delle frasi; ad una
affermazione positiva ne segue una
negativa; ad un'affermazione piena di
speranza segue una piena di sfiducia e di
pessimismo.
La persecuzione Ne Il sogno della ragione Pasolini esprime
la propria disperazione, mentre ne La
persecuzione arriva alla liberazione dagli
insulti che riceveva nella sua vita privata
e pubblica. Infatti nel poemetto, posto
nella seconda parte dell’opera, Poesia in
forma di rosa, l’autore partendo da un
pomeriggio domenicale, da un bar in Via
Portuense, osservando ciò che lo
circonda, scavando in sé stesso, riesce a
superare lo sconforto che lo attanaglia. Le persone che vede e delle quali guarda
i gesti sono semplici, appartenenti
all'ambito quotidiano:
Ma c'è una razza che non accetta gli alibi,
una razza che nell'attimo in cui ride
si ricorda del pianto, e nel pianto del riso,
(vv. 20-23)
e gli uomini del futuro, denominati
«uomini del sogno», uomini che hanno
speranza e che non soffrono
costantemente.
Opponendosi nuovamente a Massimo
Ferretti, l'autore si pone fra coloro che
non sono ingenui e alla sua «razza»
contrappone gli «uomini del sogno»,
paragonati ai protagonisti dei film di
Chaplin, inserendoli in un contesto quasi
bucolico. […] madri, con la loro passione
avvilita, figlie, con vesti in cui stringeva
il cuore l’allegra, borghese povertà
- vicini di casa… Insomma, chi poteva
Gli uomini belli, gli uomini che danzano
come nel film di Chaplin, con ragazette
tenere e ingenue, tra boschi e mucche,
(vv. 41-43)
concedersi la gioia d'una spesa, là dove il lontano quartiere
riproduceva i grandi centri della città.
(vv. 15-21)
Per enfatizzare il tema del contrasto la
poesia ha un andamento spezzato, dato
dalle figure retoriche utilizzate: sono
presenti sintagmi originali, come «alibi
della speranza» (vv. 17), allitterazioni,
continue similitudini, molti
enjambements, dei quali esempio è
Ma - camminando controluce - scorsi, il sole,
oscurarsi, sui bambini e i giovinetti
che giocavano, lungo il muro nel calore
(vv. 25–27)
Gli elementi, le sensazioni che Pasolini
percepisce, sono tutte riportate, eppure il
poeta è distaccato da essi, è l’opposto;
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non è partecipe della gioia comune, ma
chiuso in se stesso, tormentato. Il tema
della poesia infatti nasce dal fatto che in
quegli anni l’autore era perseguitato da
alcuni gruppi fascisti. È «triste tra quei giulivi, / carne tra quegli
spiriti» (vv. 61-62).
Uscendo dal bar e lasciandosi alle spalle
le persone, sentite così distanti, Pasolini
in un viaggio introspettivo si allontana dai
tormenti, dalla disperazione. Non si volta
indietro in questo suo viaggio
purificatore, ma avanza da solo, fino a
poter annunciare nella parte finale del
poemetto la sua vittoria, la sua libertà. La riflessione passa attraverso diversi
momenti: dal rinnegare la sua persona, al
voler ricordare, esaltare le convinzioni che
animano l'autore.
In un flusso di pensieri che cresce, che lo
porta alla pace con se stesso, la
possibilità di «rifugiarmi in una Chiesa,
correre là / dove da secoli si gettano le
a r m i » ( v v. 1 0 2 - 1 0 3 ) è p r e s a i n
considerazione dal poeta. Ma così come è nata, quest'idea fugace
viene gettata via, scartata. E arriva la
difesa del proprio agire: Anch'io son io, anche a me destina
la vita un compito non vile!
Anche i miei atti sono consacrati dalla coscienza di un eroico servire!
(vv. 170-174)
E incita il suo stesso corpo a guardare, ad
entrare in contatto con il nuovo mondo
ritrovato. Il poeta risale in macchina, come
rinvigorito da una nuova forza, e il
paesaggio romano che scorre ai lati viene
descritto in modo crudo: aggettivi dai
suoni aspri vengono utilizzati, come per il
Trullo e per Roma stessa, rispettivamente
definiti «Un detrito di facciate
identiche» (vv. 184) e «Fango sulla lama
infiammata del cielo» (vv. 187).
Occhi, tornate occhi! Io riconosco
ciò che conobbi: sole e solitudine. Sensi, tornate sensi, il posto della vita è nuovo, atrocemente nudo.
(vv. 175-178)
Bibliografia:
Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di
rosa, Milano, Garzanti, 1976;
Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci,
Milano, Garzanti, 1957.
(vv. 138-141)
Solo nei versi finali del poemetto ritrova
la verità, ritorna vero:
Contributo
Caterina Baldari, (classe V B, L.C. Virgilio,
Roma)
Tutto ora è alle mie spalle... È bastato un nero
fiato di vento sopra questa ebbrezza
infima e infinita, volgare e austera, di un pomeriggio di Ferragosto,
perché io, finendo, ritornassi vero.
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