Intervista Dg Cantini - Cooperazione Italiana

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Intervista Dg Cantini - Cooperazione Italiana
Intervista a Giampaolo Cantini
L’Italia per la cooperazione allo sviluppo1
Sindacalismo: Le dinamiche culturali e legislative sulla Cooperazione
allo sviluppo in Italia sembrano segnalare una nuova fase delle relazioni tra
i Paesi interessati allo sviluppo a scala globale. In tale percorso, peraltro,
gli stessi “pilastri” che sono al cuore dei negoziati per l’Agenda post-2015
sembrano mostrare una nuova sensibilità per gli attori sociali nelle relazioni
internazionali.
Giampaolo Cantini: I principali riferimenti dell’evoluzione della Cooperazione allo sviluppo in Italia sono sostanzialmente due: il primo è legato
alla maturazione di un nuovo contesto internazionale, il secondo riguarda
il quadro interno, con la riforma della Cooperazione, le attività per l’Anno
Europeo per lo Sviluppo, e la partecipazione ad Expo. Naturalmente, i due
ambiti sono strettamente correlati.
Iniziamo da quello internazionale. L’“Agenda post 2015”, cosiddetta in
quanto quella precedente, l’Agenda “del Millennio”, si concluderà nel dicembre 2015, sarà adottata nel settembre 2015 e si applicherà al periodo 20162030. Essa costituirà un passaggio importante, perché bisognerà ampliare il
numero degli obiettivi e, soprattutto, la loro qualità, specialmente nel campo
dello sviluppo. Superando gli obiettivi di sviluppo del Millennio, la nuova
Agenda si incentrerà infatti sullo sviluppo sostenibile, che incorpora tre
dimensioni inclusive: la dimensione sociale, la dimensione economica e la
dimensione ambientale.
Inoltre, la nuova Agenda intende qualificarsi come “trasformativa”, ovvero che trasforma sostanzialmente proprio i meccanismi economici: innescan9
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do dinamiche di sviluppo sostenibile, adottando un approccio di inclusività
che non provochi ulteriori disuguaglianze, e accogliendo la responsabilità
ambientale. Un approccio complessivo allo sviluppo economico, dunque, che
sia di sostegno alla crescita del settore privato, ma con processi di business
inclusivo, a favore della piccola proprietà e delle pratiche cooperative, e di
una “crescita dal basso”.
Sindacalismo: Si potrebbe dire, in questo senso, che la Cooperazione
allo sviluppo si collega anche alla proposta di una economia civile: creare
un’economia sostenibile significa coinvolgere gli stakeholder, gli attori interessati, in una prospettiva di governance.
G. Cantini: Sì, tenendo presente che, comunque, l’idea di questa
trasformazione promossa dalla Cooperazione allo sviluppo fa leva su
meccanismi radicati sul territorio, secondo un modello che è familiare a
noi Italiani. Pensiamo al sistema cooperativo, alle casse di risparmio, alla
finanza cooperativa ed etica. Su questi temi abbiamo tenuto di recente
un convegno a Padova, con Federcasse, Banca Etica e Alleanza delle
Cooperative Italiane.
Nella nuova agenda si mira inoltre a ridurre le ineguaglianze attraverso
il riconoscimento dei diritti e l’importanza delle tematiche di governance,
coerentemente con i principi ispiratori della Carta delle Nazioni Unite. Sono
elementi centrali per produrre e promuovere sviluppo inclusivo. Potremmo
parlare di una “quarta dimensione” dello sviluppo sostenibile. Naturalmente
tutto questo non sarà facile da negoziare.
Sindacalismo: Dunque, è questo uno dei riferimenti dell’evoluzione della
Cooperazione internazionale, cioè quanto accade nella riflessione a livello
di Nazioni Unite. L’altro aspetto, diceva, si riferisce all’esperienza italiana,
che immagino si collochi all’interno delle dinamiche europee.
G. Cantini: Dal punto di vista dell’Italia, il dibattito in corso si colloca
in un anno molto importante: l’Anno Europeo dello Sviluppo è l’anno in cui
Expo diventerà un forum mondiale anche nel campo dello sviluppo: quando
si parla di cibo, nutrizione e temi collegati, quali l’energia e l’acqua, si parla
proprio degli aspetti fondamentali dello sviluppo sostenibile.
Per quanto riguarda la definizione dell’Agenda Post-2015, noi abbiamo fatto, come Presidenza italiana, un lavoro di squadra molto importante assieme alla Commissione per definire una posizione comune
dell’Unione Europea. A livello europeo, infatti, esistevano già dei do10
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cumenti di riferimento importanti, come l’Agenda for Change del 2013,
in cui si ritrovano molti degli elementi richiamati, soprattutto in tema
di governance e diritti. Ma nei lavori dell’open working group [il gruppo
di lavoro che ha preparato il negoziato dell’Agenda in sede all’Onu] l’Unione Europea e gli Stati membri erano andati un po’ per proprio conto.
Noi, invece, ci siamo posti l’obiettivo di definire una posizione comune
dell’Unione Europea. Per questo abbiamo voluto preparare il terreno
organizzando una riunione informale dei Ministri dello Sviluppo, che
si è tenuta a Firenze il 15 luglio 2014 e che ha consentito di avviare il
ravvicinamento delle varie posizioni. Con il Consiglio Affari Generali
del 16 dicembre siamo infatti riusciti ad ottenere l’adozione di un documento che esprime una visione comune dell’Unione Europea sulla
Cooperazione allo sviluppo. Si tratta di un risultato molto importante
del nostro semestre di Presidenza.
Sindacalismo: Sul versante dell’esperienza italiana, una nuova prospettiva sembra emergere dal coinvolgimento in gruppi di lavoro di istituzioni
governative, università, attori sociali…
G. Cantini: La partecipazione dei molteplici soggetti del sistema cooperazione è un processo che abbiamo messo in moto da tempo, partendo
dalla constatazione che nella realtà i soggetti della cooperazione si sono
diversificati nel corso degli anni e dei decenni. Effettivamente, se penso a
quando è stata approvata la legge 49 nel 1987, sul campo operavano soprattutto organizzazioni internazionali e organizzazioni non governative.
Iniziava allora la partecipazione di altri soggetti, come la cooperazione
decentrata. Nei due decenni successivi abbiamo visto crescere il ruolo del
sistema cooperativo, del commercio equo e solidale, delle imprese sociali, delle fondazioni bancarie e delle altre fondazioni, come quella voluta
da Rita Levi Montalcini. In un certo senso, la recente legge di riforma, e
soprattutto il capo VI, introduce elementi molto innovativi, dedicati a
far emergere un concetto di “sistema italiano” per la cooperazione allo
sviluppo (art. 23).
In realtà, a livello di gestione dei rapporti tra le istituzioni e le organizzazioni della società civile, il processo era in atto da tempo. Ricordiamo
ad esempio che nell’ottobre del 2012 si tenne il Forum di Milano, dove
parteciparono le istituzioni, ma anche largamente le organizzazioni della
società civile. L’idea del tavolo interistituzionale prese avvio allora ed è stata
in seguito recepita dalla nuova legge che l’ha trasformata in un Consiglio
nazionale, da poco costituito e che verrà convocato nei prossimi mesi, isti11
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tuzionalizzando così un dialogo che prima avveniva con modalità informali.
Si tratta di un riconoscimento istituzionale importante.
Per assicurare una continuità ad un organismo rappresentativo di realtà assai diverse (istituzioni, enti locali, settore privato, Ong, università,
istituzioni di ricerca) occorre definire le progettualità comuni, per riflettere
sulle strategie e sulle modalità operative. Proprio questa è, secondo me, una
delle grandi potenzialità di questa legge di riforma: passare dai progetti organizzati con il contributo alle organizzazioni internazionali o alle Ong, alla
realizzazione di progetti realizzati con la partecipazione di soggetti diversi
(Ong, imprese sociali, cooperative, fondazioni, ecc.) secondo le più ampie
combinazioni che essi stessi concorreranno a definire.
Sindacalismo: Sembra l’invito a superare una logica autoreferenziale per
collocare il carattere specifico che anima gli attori sociali in una prospettiva
di sinergia e di sistema.
G. Cantini: Sì, soprattutto volontariamente! Certo, tali proposte saranno regolate da strumenti quali, ad esempio, i bandi che lancerà l’Agenzia.
La legge recepisce le linee di tendenza degli ultimi decenni, ma costituisce
allo stesso tempo la base di sviluppi futuri, aperti alla creatività dei singoli
soggetti. Naturalmente ci sono anche alcune apprensioni: il ruolo del settore
privato nella Cooperazione va definito e regolato, però è anche vero che sono
numerosi, soprattutto nel mondo anglosassone, gli esempi di imprese che
sono entrate in progetti di cooperazione allo sviluppo, direttamente o sostenendo Ong e fondazioni, ma aderendo a modelli di responsabilità sociale.
Sindacalismo: È un percorso che converge con le iniziative dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro per promuovere programmi di pubblic – private partnership …
G. Cantini: Ci sono le grandi fondazioni filantropiche: si pensi alla Gates
Foundation che sostiene le attività contro le grandi pandemie, o al GAVI,
che promuove la diffusione di vaccini a basso costo contro le malattie tipiche
di paesi che altrimenti non potrebbero permetterseli. Ci sono i programmi
di responsabilità sociale di corporations proiettate in questo senso. Da noi
esiste una tradizione importante in alcuni grandi gruppi. Certo è ancora
un terreno da sviluppare, anche a causa delle caratteristiche del tessuto industriale italiano; ma penso che questa tematica sia destinata a crescere e
che la legge sulla cooperazione favorirà questo processo. In tale direzione
opererà anche la stessa Expo, così come la Carta di Milano che ne scaturirà.
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Sindacalismo: Appare di un certo interesse il fatto che l’Italia guardi
alla Cooperazione per lo sviluppo rispettando quanto avviene nelle dinamiche internazionali e in quelle nazionali: entrambe riflettono, pur con
tempi diversi, l’affermarsi di processi di global partnership sullo sviluppo
economico…
G. Cantini. Sicuramente. Non bisogna trascurare, inoltre, la centralità di
altri fattori. La nostra prima esigenza, in armonia con l’art. 1 della legge 49
ma anche della legge 125, è quella di operare in stretta rispondenza alle linee
di politica estera. Gli ultimi governi hanno espresso un’attenzione prioritaria
al Mediterraneo e anche una chiara sensibilità verso l’Africa. In coerenza
con questi indirizzi, noi abbiamo ridefinito non solo il numero dei Paesi
prioritari, ma anche le aree regionali prioritarie, l’Africa e il Medio Oriente,
l’Africa orientale, il Sahel; aree, cioè, dove più forti sono gli interessi e la
presenza del nostro Paese e che presentano grandi opportunità, ma talora
anche particolari problematicità: conflitti, terrorismo, traffici illeciti, degrado
ambientale e altri elementi di vulnerabilità.
C’è stata inoltre una definizione delle scelte strategiche sugli ambiti di
intervento. Un primo blocco di iniziative riguarda lo sviluppo umano, l’educazione e la sanità di base, in una parola gli Obiettivi del Millennio. Un
secondo tradizionale ambito d’intervento è dato dallo sviluppo rurale, incentrato sulla piccola proprietà e orientato a risolvere le strozzature dell’accesso
al credito e ai mercati. Si pensi poi alla crescita di un’attività imprenditoriale
dal basso e a quell’area di diritti che abbiamo richiamato, alle questioni di
genere, alla tutela dei minori, alla disabilità.
Infine, a medio termine, coltiviamo l’obiettivo di arrivare ad una programmazione congiunta in ambito Unione Europea, ovvero ad una suddivisone del lavoro tra Commissione e tra gli Stati membri, individuando anche
una funzione di leadership di singoli Stati membri per settori e per Paesi.
Si tratta di un’evoluzione molto interessante sia per la coerenza del disegno
europeo che per la sua efficacia.
La crisi in corso non facilita tali processi. La necessità di definire
delle priorità è connaturata a tutti i tipi di attività. Tuttavia, quando si
opera in larga scala, la contrazione delle risorse porta all’urgenza di una
razionalizzazione volta ad ottenere una maggior efficacia. Occorre perciò
tener conto delle risorse che possono mettere in campo altri soggetti,
come il settore privato, il sistema cooperativo, le fondazioni erogatrici. Ci
sono esperienze in cui si possono combinare credito alla cooperazione,
investimenti imprenditoriali e finanziamenti dedicati della Commissione
europea. Ci sono infine le possibilità che offre la cooperazione delegata
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dell’Unione Europea (attualmente l’Italia ha in essere due accordi con
la Commissione di questo tipo, in Egitto e in Sudan). Insomma, occorre
valutare la possibilità di reperire risorse in un più vasto ambito, in cui
comprendere anche ricerca della qualità, perseguimento dell’efficacia,
attenzione a fare sistema.
Sindacalismo: L’impressione complessiva, insomma, è che si intenda
prefigurare strumenti di relazioni per il coinvolgimento di diversi attori,
favorendo sinergie in grado di effettuare interventi di un qualche respiro e
partnership capaci di costruire un’azione che abbia un valore permanente
per tutti i soggetti coinvolti.
G. Cantini: Il Consiglio nazionale previsto dalla legge potrebbe avere
un ruolo propositivo nella formulazione di alcune strategie e politiche.
Questo avverrà, ad esempio, con il parere sul documento triennale di programmazione. A mio avviso, la vera potenzialità della legge 125 è quella di
offrire con il Consiglio nazionale una sede dove soggetti con provenienze
diverse possono maturare priorità comuni, sinergie e collaborazioni operative, facendo emergere una realtà in divenire e rafforzando allo stesso
tempo quel sistema italiano di cooperazione che la legge 125 ha identificato
all’art. 23.
Anche per il programma Expo ci siamo mossi in tale direzione, coinvolgendo più soggetti partecipanti o co-patrocinatori. Il nostro principio
nell’organizzazione degli eventi per Expo è stato proprio quello di cercare
di mettere insieme quanti più attori possibili, che siano organizzazioni internazionali, organizzazioni non governative o imprese private, cercando
di promuovere, dunque, la massima condivisione tra i partner interessati.
Certo, mettere insieme soggetti con sensibilità diverse per realizzare
progetti comuni è complesso; tuttavia, con tale esperienza essi hanno l’opportunità di migliorare la qualità del loro intervento. Sono linee di tendenza
che dobbiamo incoraggiare.
Sindacalismo: L’orientamento a favorire coalizioni tra attori sociali grazie a facilitatori istituzionali è ormai un indirizzo emergente nel
pensare gli orizzonti dello sviluppo: per comprendere le implicazioni
socio-economiche che può avere il coinvolgimento responsabile degli
stakeholder, pubblici e privati, basti pensare alla riflessione degli operatori sui settori della green economy o delle infrastrutture a rete. Nelle
dinamiche di partnership fra gli attori nella cooperazione internazionale, peraltro, emerge anche un maggiore sostegno alle dinamiche di
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partecipazione democratica e alla promozione del capacity building delle
istituzioni attraverso la crescita culturale delle classi dirigenti. Grazie
Ministro per la sua disponibilità a delineare gli orizzonti dell’attuale fase
della Cooperazione allo sviluppo.
Nota
1 Giampaolo Cantini è Direttore Generale della Cooperazione allo Sviluppo presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. L’intervista è
avvenuta il 3 dicembre 2014.
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