Novembre 2003 - Esofago di Barrett

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Novembre 2003 - Esofago di Barrett
Periodico semestrale del “Centro Regionale delle Malattie dell’Esofago”
Direttore Responsabile Prof. Giovanni Zaninotto - Comitato di redazione: Ermanno Ancona, Alberto Ruol, Giorgio Battaglia, Mario Costantini, Carlo Castoro - Direzione e redazione: c/o l’Ist. di Clinica Chirurgica 3ª, Policlinico 3° Piano Via Giustiniani, 2 - 35128 Padova - Aut.Tribunale di Padova n. 1464 del 18/02/2003 - Sped. in abb. post. 45%
Art. 2, Comma 20/B, Legge 662/96 - Fil. di Padova • Editore Tipografico S.G.E. - Padova.
euro 1,20
N° 2 - NOVEMBRE 2003
SOMMARIO:
EDITORIALE
Le nuove
frontiere
dell’endoscopia
Inizia, coordinato dal Centro di Alta
Specializzazione delle Malattie dell’Esofago,
un nuovo programma di ricerca su:
Esofago di Barrett
e rischio di Adenocarcinoma
Giorgio Battaglia
Paolo Bocus
La pH-metria
esofagea “senza fili”
con sistema
telemetrico
In caso di mancato recapito restituire all’ufficio di Padova CMP
Mario Costantini
Centro Regionale
delle Malattie dell’Esofago
Dove siamo e Come contattarci:
Direttore: Prof. Ermanno Ancona tel. 049 821 1720
e-mail: [email protected]
Segreteria del Centro Regionale delle Malattie dell’Esofago:
Sig.ra Daniela Brugnara tel. 049 821 8838
Segreteria Assistenziale:
Sig.ra Gaetana Esposito tel. 049 821 3150
Ambulatori (Centro Unico Prenotazione: 840 000 664
numero Verde)
Ambulatorio di Endoscopia: tel. 049 821 3164-3142
Laboratorio di Fisiopatologia Digestiva:
tel. 049 821 3156 e-mail: [email protected]
In tutto il mondo occidentale l’adenocarcinoma dell’esofago inferiore è in rapido aumento. Nella
maggior parte dei casi si tratta di
un tumore che origina da una
metaplasia gastrica con cellule
caliciformi (metaplasia gastrica di
tipo intestinale) della mucosa esofagea, il cosiddetto Esofago di
Barrett.
La Clinica Chirurgica III, il Centro
Regionale per le Malattie dell’
Esofago è capofila di un progetto
di ricerca su Esofago di Barrett e
Rischio di Adenocarcinoma che è
stato finanziato da un generoso
contributo della Fondazione
Guido Berlucchi per la ricerca sul
Cancro e dalla Fondazione
Morgagni. Il progetto si articola in
una ricerca epidemiologica, tramite l’istituzione di un Registro interregionale dei pazienti con Esofago
di Barrett che ne faciliti il follow
up, in una ricerca di biologia
molecolare, in collaborazione con
il CRIBI (Centro di Ricerca
Interdipartimentale in Biotecnologie Innovative), ove verranno
studiate le modificazioni proteomiche dei centrosomi a diversi livelli
della linea metaplasia intestinale,
displasia, adenocarcinoma, ed in
una ricerca per studiare gli effetti
della terapia medica e chirurgica
sul danno ossidativo cellulare dell’epitelio di Barrett.
Il progetto coinvolge una trentina
di centri endoscopici del Veneto,
Trentino e Friuli, la cattedra di
gastroenterologia e di Anatomia
Patologica e la Clinica Chirurgica
III dell’ Università di Padova.
Nel sito internet www.esofagodibarrett.it si possono trovare tutte le
informazioni per aderire al progetto.
Prof. Ermanno Ancona
2
Le nuove frontiere
dell’endoscopia
L’endoscopia permette di osservare in modo incruento l’interno
di un organo cavo come, per esempio, l’esofago, lo stomaco, il
duodeno, il digiuno o il retto-colon. Alcuni sottilissimi endoscopi, con un diametro solo poco più grande di un cerino, possono persino essere passati nei dotti biliari e pancreatici.
L’immagine viene generata elettronicamente utilizzando un
“charge-coupled-device (CCD o chip)” del diametro di circa 3
mm, localizzato all’estremità distale dello strumento, per poi
essere visualizzata su un monitor.
I vantaggi portati dalla moderna videoendoscopia rispetto
all’endoscopia “ottica” sono costituiti dalla migliore “leggibilità” dell’immagine, dalla possibilità che più osservatori possano assistere all’esame e dal fatto che le immagini possono
essere facilmente registrate e usate per controlli successivi o
per la didattica.
L’avvento della tecnologia digitale con la possibilità dell’elaborazione dell’immagine e l’enorme potenza di calcolo dei computer di ultima generazione hanno permesso di creare programmi in grado di elaborare l’immagine ricevuta dal CCD dell’endoscopio, facendo risaltare forme e colori altrimenti non rilevabili.
Grazie a queste tecniche di indagine è possibile diagnosticare
più precocemente lesioni sospette soprattutto se all’endoscopia
si associano tecniche di colorazione e di ingrandimento ottico
dell’immagine. Infine mediante sonde ecografiche ultrasottili,
fatte passare attraverso i canali operatori dell’endoscopio, si
possono rilevare le dimensioni superficiali e profonde delle
lesioni identificate.
In questi ultimi anni accanto alla tradizionale endoscopia si
sono così affermate la cromoendoscopia, l’endoscopia con
magnificazione, la ecoendoscopia, l’OCT (Optical Coherence
Tomography) e la endoscopia con capsula.
CROMOENDOSCOPIA:
Sfrutta la possibilità, associata o meno alla Zoom-Endoscopia,
di mettere in evidenza le alterazioni della mucosa superficiale
mediante l’applicazione di sostanze che riescono ad essere captate dai tessuti.
Si distinguono in:
1
Coloranti Vitali: agiscono perché assorbiti
dalle cellule (Soluzione di Lugol, Blu di Metilene,
Blu di toluidina)
2
Coloranti reattivi: agiscono per
reazione chimica con il pH del contenuto
intestinale (Rosso Congo, Rosso Fenolo)
3
Coloranti di contrasto: colorano la
superficie perché si depositano
negli avvallamenti delle superfici mucose
(Indaco di carminio).
Una volta colorata l’area sospetta possiamo:
- individuare le aree di metaplasia di tipo intestinale in esofago, per isolare categorie di pazienti a rischio;
G. Battaglia
P. Bocus
- eseguire biopsie su lesioni altrimenti non visibili in zone che
consideriamo a rischio, aumentando così il numero di diagnosi di displasia o di carcinoma;
- confermare la natura maligna di lesioni macroscopiche e
permettere biopsie più mirate;
- delineare una lesione prima di un trattamento endoscopico o
chirurgico;
- confermare la “completa bonifica” dopo terapia endoscopica di una lesione displastica o neoplastica;
- ricercare la multifocalità di un carcinoma squamocellullare;
- ricercare tumori sincroni in pazienti con neoplasie della
testa/collo.
ZOOM-ENDOSCOPIA
O
MAGNIFICAZIONE:
Attraverso l’utilizzo di particolari sistemi ottici di ingrandimento consente la definizione di una immagine endoscopica con
risoluzione intermedia tra una osservazione macroscopica e
una microscopica sino alla possibilità di evidenziare alterazioni anche di 0.1 mm di diametro.
Fornendo immagini ingrandite fino a 150-200 X, questi strumenti permettono diagnosi più precoci sia dal punto di vista
macroscopico che microscopico perché indirizzano selettivamente i prelievi bioptici.
ECOGRAFIA ENDOSCOPICA (EUS)
L’avvento della Ecografia Endoscopica (EUS) ha messo gli endoscopisti in grado di contribuire significativamente alla diagnosi
delle lesioni intra ed extra-parietali del tratto gastroenterico.
L’EUS ha diverse indicazioni tra le quali la principale è la stadiazione T ed N dei tumori dell’esofago, dello stomaco, del
pancreas e del retto. I chirurghi ed gli oncologi molto spesso
sono riluttanti all’idea di intervenire senza una conferma istologica: l’introduzione della biopsia dei linfonodi per aspirazione con ago sottile (FNA) in corso di EUS è appunto stata ideata per colmare questo vuoto ed esaudire queste richieste.
Nel torace gli esempi di questo tipo includono le biopsie di adenopatie mediastiniche per differenziare forme maligne da forme
infiammatorie o per le biopsie di linfonodi controlaterali nei casi
di carcinoma polmonare non a piccole cellule.
La FNA è indicata per le biopsie dei linfonodi celiaci aumentati
di volume nei pazienti con carcinoma spinocellulare dell’esofago nei quali la positività, indirizzerà verso trattamenti palliativi.
Combinando l’EUS e la FNA si ha una rapida definizione dei
pazienti in stadio avanzato della malattia eliminando altri inutili e costosi esami diagnostici.
Recentemente è stata anche descritta una nuova applicazione
della FNA per l’aspirazione di liquido pleurico o ascitico nella
diagnosi di carcinosi peritoneali o tumori pleurici. Inoltre trova
sempre più utilizzo come mezzo terapeutico, per esempio per la
cistoduodenostomia di pseudocisti pancreatiche o per le neurolisi del plesso celiaco per controllare il dolore nei pazienti con
pancreatite cronica.
OCT (OPTICAL COHERENCE TOMOGRAPHY):
Un recentissimo sistema di indagine endoscopica è la OCT,
3
metodo simile alla ultrasonografia, ma che al posto degli ultrasuoni utilizza un fascio luminoso che produce immagini con
una risoluzione di circa 10 volte superiore a quest’ultima.
Con tale metodica è possibile studiare la mucosa e la sottomucosa e alcuni studi preliminari hanno consentito di equiparare
le informazioni ottenute in OCT con quelle ottenute attraverso
l’istologia convenzionale.
Quadro endoscopico e ecoendoscopico di tumore iniziale (T1)
dell’esofago.
La pH-metria esofagea
ENDOSCOPIA
CON CAPSULA:
Da circa 3 anni è disponibile un nuovo sistema per l’esplorazione endoscopica dell’intestino tenue chiamato endoscopia con
capsula che sostituisce l’endoscopia dell’intestino tenue di difficile esecuzione e che comporta comunque grossi disagi per il
paziente.
Il metodo si basa sull’uso di una microtelecamera contenuta in
una capsula delle dimensioni di una compressa di antibiotico,
che dopo essere stata ingerita con un bicchiere d’acqua, percorre tutto il tubo digerente e, spinta dalla peristalsi viene espulsa per la via naturale entro qualche giorno. Durante il percorso, per tutto il tempo di durata delle batterie (circa 6-8 ore), essa
trasmette immagini video ad una serie di antenne applicate
sulla cute dell’addome e collegate ad un registratore che il
paziente porta alla cintura.
Le migliori indicazioni sono lo studio di pazienti con emorragia
gastrointestinale d’origine oscura, (in cui gastroscopia e colonscopia non chiariscono la causa del sanguinamento). Un’altra
potenziale applicazione della capsula deriva dalla sua capacità di fornire immagini in cui si possono vedere i villi intestinali.
Questo suggerisce la possibilità di impiegarla nella diagnosi
di quelle patologie, come la malattia celiaca, in cui i villi sono
alterati o assenti.
“senza fili” con sistema telemetrico
La misurazione delle variazioni del pH endoesofageo per 24ore (pH metria esofagea), proposta da Demeester quasi trent’anni fa, è considerato il test di scelta per la diagnosi di malattia da reflusso gastro-esofageo.
La pH metria esofagea viene effettuata mediante posizionamento di un elettrodo esplorante, introdotto dal naso sino all’esofago distale (convenzionalmente sino a 5 cm dal bordo superiore dello sfintere esofageo inferiore (SEI). L’elettrodo è collegato mediante un sondino ad un registratore analogico che
immagazzina i dati, li elabora e li scarica su un computer al
termine dell’esame stesso. La presenza di tale catetere transnasale può creare disagio ai pazienti. In alcuni casi i pazienti
rimangono semplicemente a casa, seduti in poltrona o comunque limitando al massimo le attività fisiche e assumendo solo
lo stretto necessario di alimenti, preferibilmente liquidi, dato il
fastidio procurato dal sondino durante l’atto della deglutizione.
Il risultato finale del test può quindi rientrare nei limiti di norma
(falso-negativo) per la ridotta esposizione all’acido causata da
tali restrizioni dietetiche e fisiche.
Tali inconvenienti possono essere oggi superati utilizzando il
nuovo sistema di monitoraggio prolungato del pH-esofageo
mediante capsula telemetrica (BRAVO®, Medtronics, Milano). Si
tratta di una capsula contenente un elettrodo che misura il pH,
lunga circa due centimetri e spessa 5 millimetri, che viene fissata alla parete esofagea, mediante un meccanismo a suzione. La capsula monitorizza costantemente il pH endoesofageo
e trasmette i dati per via telemetrica ad un registratore portatile (delle dimensioni di un piccolo “walkman”) posizionato alla
cintura del paziente, in modo del tutto simile alla pH-metria tradizionale, con l’unica, sostanziale differenze di non richiedere
un sondino naso-esofageo. La frequenza di trasmissione è di
433 MHz, per evitare interferenze con altre apparecchiature
elettroniche (telefoni cellulari). La sicurezza dei dati trasmessi
M. Costantini
è garantita dall’assegnazione, a ciascuna capsula, di un codice identificativo digitale unico, trasmesso dalla capsula ogni 12
sec., assieme a due dati di pH, registrati quindi ogni 6 sec.
Come in una normale pH-metria, il sistema viene calibrato con
delle soluzioni tampone a pH 7 e a pH 1. Previa manometria
esofagea, la capsula viene applicata 5 cm sopra il bordo superiore dello SEI, che come detto, è la posizione tradizionalmente impiegata per misurare il pH endoesofageo distale. In altenativa, e non disponendo della manometria, il posizionamento della capsula può essere verificato endoscopicamente, data
la discreta corrispondenza tra linea Z e SEI: tale corrispondenza viene ovviamente a mancare in caso di ernia iatali di
grosse dimensioni e, soprattutto, in caso di esofago di Barrett
circolare.
La capsula viene quindi applicata mediante un apposito
“applicatore”, connesso tramite una struttura tubulare (di circa
80 cm) ad un manipolo operativo. L’esame viene eseguito normalmente nell’ambulatorio manometrico (o in quello endoscopico). Previa anestesia locale per contatto, l’applicatore può
essere inserito per via orale o per via nasale, e fatto progredire in esofago sino alla distanza prefissata. Sulla parete laterale della capsula esiste una piccola cavità, collegata ad un
aspiratore dedicato, capace di esercitare una aspirazione di
600 mmHg. Una volta raggiunto il livello prefissato in esofago, il sistema viene collegato all’aspiratore e, previa adeguata suzione per circa 30 secondi, si determina l’invaginazione
della mucosa esofagea dentro la cavità della capsula. A questo punto, si fa progredire un minuscolo perno di fissaggio,
che fissa in questo modo la capsula alla parete esofagea: in
altre parole, la capsula viene “clippata” alla mucosa esofagea.
Il sistema applicatore viene quindi rimosso e, dopo attivazione
della registrazione sull’apparecchio portatile, il test può inizia-
4
re. Il paziente viene quindi inviato a domicilio e incoraggiato
a riprendere le sue normali attività quotidiane per tutta la
durata dell’esame. Uno dei vantaggi di tale metodica è che
la registrazione può essere protratta oltre le classiche 24 ore
( si può registrare per un periodo di 48 ore). Dopo circa una
settimana, la capsula viene rilasciata spontaneamente nel lume
gastrointestinale, ed eliminata per via naturale.
Al termine dell’esame, i dati registrati vengono scaricati in computer ed il tracciato analizzato nella maniera usuale per la pHmetria 24 ore.
Dati preliminari del gruppo del Prof. DeMeester alla University
of Southern California, Los Angeles, (cui sta lavorando un
nostro Ricercatore, attualmente in stage di ricerca presso quella Università), dimostrano come la procedura sia molto meglio
tollerata rispetto alla pH-metria tradizionale con catetere nasoesofageo: la mucorrea nasale, il senso di fastidio in gola, la
tosse ed il dolore al naso sono significativamente meno frequenti con questo nuovo sistema che quindi è globalmente
molto meglio tollerato dai pazienti. A ciò corrisponde una totale sovrapponibilità dei dati registrati in confronto con la pHmetria tradizionale. La possibilità, non indifferente, di poter
prolungare l’esame oltre le tradizionali 24 ore, consente inoltre
un aumento della accuratezza diagnostica. Esiste infatti, come
noto, una variabilità giornaliera nell’espressione della MRGE:
un test tradizionale può risultare negativo semplicemente per-
ché durante le 24 ore il numero e la durata dei reflussi non
superavano la “soglia” del patologico. Prolungando il test per
48 ore, è possibile individuare pazienti che dimostrano una
esposizione all’acido patologica durante il secondo giorno
dell’esame, aumentando quindi il potere diagnostico complessivo del test.
Confronto tra valori pH-metrici ottenuti con la capsula e
con l’elettrodo tradizionale, in volontari sani.
La nostra iniziale esperienza con tale sistema innovativo consiste in 8 pazienti con sospetta malattia da reflusso gastro-esofageo. La metodica è stata ben tollerata in tutti. La metà dei
pazienti non hanno manifestato alcun sintomo collaterale legato alla metodica. Due pazienti hanno riferito un senso di fastidio retrosternale mentre altri 2 un lieve senso di ingombro ai
pasti. Il test è risultato positivo in tutti i pazienti studiati, tranne in un caso in cui l’esame è stato condotto con terapia a base
di PPI in corso.
La capsula pH- telemetrica collocata in sede all’esofago distale. La capsula misura circa 2 cm. di lunghezza e 5 mm. di
spessore.
Per gli indubbi vantaggi del test, soprattutto per quanto riguarda la tollerabilità da parte dei pazienti, e la sua corrispondenza con la pH-metria tradizionale, riteniamo che questa nuova
metodica di pH-metria prolungata con capsula telemetrica
possa diventare rapidamente il test di scelta per la diagnosi di
malattia da reflusso gastro-esofageo e per la valutazione dell’efficacia della terapia, sia essa medica o chirurgica, una volta
risolto il problema dei costi.
PERSONALE MEDICO AFFERENTE AL CENTRO:
Ermanno Ancona
049 8211720 - [email protected]
Giovanni Zaninotto
049 8211718 - [email protected]
Alberto Ruol
049 8213158 - [email protected]
Mario Costantini
049 8211743 - [email protected]
Giorgio Battaglia
049 8213182 - [email protected]
Paolo Bocus
049 8211719 - [email protected]
Carlo Castoro
049 8218842 - [email protected]
NEL PROSSIMO NUMERO:
• Le lesioni da caustici: un argomento sempre attuale
• Le neoplasie dell’esofago cervicale