Tubercolosi
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CAPITOLO 1 INTRODUZIONE 1.1 Generalità sulla Tubercolosi 1.1.1 Definizione ed epidemiologia La tubercolosi (TB) è una delle più antiche malattie infettive che interessano l’organismo umano, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1993 come una emergenza globale per la salute pubblica 1,2. È causata dal Mycobacterium tuberculosis (MT), un batterio in grado di produrre un ampio spettro di manifestazioni cliniche potenzialmente a carico di ogni organo, ma che più frequentemente interessa il polmone con la formazione dei caratteristici granulomi1. Evidenze di malattia tubercolare risalgono all’anno 4000 a.C. e sono state riscontrate in reperti scheletrici preistorici e in mummie egizie, ma fu per primo Ippocrate nel 300 a.C. a descrivere una malattia polmonare che chiamò pthisis (dissolvimento, deperimento). Nel 1679 l’anatomista olandese Franciscus Sylvius osservò e descrisse dei piccoli noduli duri, che chiamò tubercoli, nei polmoni dei pazienti con tisi e formulò la teoria che tale malattia si sviluppasse dalle ulcere (cavità) polmonari. Ma solo nel 1865 Jean Antoine Villemin, un chirurgo francese, dimostrò che questa malattia, per molti anni considerata su base ereditaria, era in effetti contagiosa e fu Robert Koch nel 1882 a identificarne l’agente eziologico nel Mycobacterium tuberculosis1,2. A queste scoperte sull’origine della malattia e sulla sua diffusione non si accompagnarono, tuttavia, innovazioni terapeutiche, ragion per cui la tisi ebbe per molto tempo un esito quasi invariabilmente infausto, fino al 1946, anno in cui fu dimostrata l’efficacia della Streptomicina. A questo primo antibiotico fece seguito, nel 1952, l’introduzione della Isoniazide, che rese questa patologia 1 curabile, e infine della Rifampicina, che nel 1970 fu riconosciuta di pari efficacia all’Isoniazide. Secondo l’ultimo Rapporto 2004 del Global TB Control, con riferimento all’anno 2002 (Fig.1), l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS,WHO) stima l’incidenza della TB nel mondo a 8,8 milioni di nuovi casi/anno di cui 3,9 milioni espettorato-positivi, con un tasso di letalità pari a 2 milioni di decessi/anno 3. Si stima inoltre che almeno un terzo della popolazione mondiale sia stata infettata da MT. Il 95% dei casi si registra nei Paesi in via di sviluppo, con il più alto numero di nuovi casi, pari al 33% dell’incidenza globale, nelle regioni del Sud-Est Asiatico ma con incidenza pro capite quasi doppia nell’Africa sub-sahariana con 350 nuovi casi/100.000 abitanti (Tab.1). Tabella 1 Stime di incidenza e mortalità TB, 2002 Numero di casi (x 1000) Tutte le Regioni OMS forme (%) Casi per 100.000 abitanti Morti per TB (incluse morti per TB in soggetti infetti da HIV) Espettorato Tutte le Espettorato Numero Per 100.000 positivi forme positivi (x 1000) abitanti Africa 2354 (26) 1000 350 149 556 83 Americhe 370 (4) 165 43 19 53 6 622 (7) 279 124 55 143 28 472 (5) 211 54 24 73 8 2890 (33) 1294 182 81 625 39 2090 (24) 939 122 55 373 22 3887 141 63 1823 29 Mediterraneo Orientale Europa Sud-Est Asiatico Pacifico Occidentale Globale 8797 (100) ( da WHO Media Centre- Fact Sheet n° 104, revised March 2004) 2 3 Mentre nei Paesi industrializzati l’80% degli individui infetti ha superato i 50 anni, nei Paesi in via di sviluppo il 75% degli individui che contrae l’infezione ha età inferiore ai 50 anni e la maggior parte sono bambini o adolescenti di età inferiore ai 15 anni. La tubercolosi è, peraltro, la principale causa di morte nel mondo dovuta ad un unico agente infettivo; infatti, il 7% di tutti i decessi sono da attribuire al Mycobacterium tuberculosis, che è inoltre responsabile del 26% dei decessi potenzialmente prevenibili nel mondo2. Al problema globale della TB ha largamente contribuito, a partire dagli anni ’80, la pandemia da HIV-1. Ad oggi, l’infezione da HIV rappresenta il fattore di rischio più importante per la slatentizzazione dell’infezione tubercolare in malattia e per la diffusione dell’infezione. Nel 1992, in piena era-AIDS, oltre 4 milioni di individui presentavano la duplice infezione e di questi oltre 3 milioni vivevano nell’Africa sub-Sahariana. Il rischio annuale di progressione verso le forme di TB attiva tra individui coinfettati, non sottoposti a chemioprofilassi, è del 5-8%. L’incidenza di TB è aumentata drasticamente negli ultimi anni in molti Paesi africani. D’altra parte, fra i pazienti affetti da tubercolosi in questi stessi Paesi è comune una prevalenza della infezione da HIV maggiore del 40%. In molti Paesi del Sud del mondo, inoltre, la TB è risultata la più comune malattia opportunistica HIV-correlata. Nel 1992 fino al 45% dei pazienti con AIDS in Africa e fino al 25% dei pazienti in Brasile, Argentina e Messico manifestavano una TB attiva durante il decorso dell’infezione da HIV2. Dal dopoguerra fino ai primi anni ’80 si è avuto un rapido e costante declino dei casi di TB nei Paesi industrializzati. Dal 1985 al 1992 la tendenza si è invertita a partire dagli Stati Uniti e ha coinvolto successivamente anche molti Paesi d’Europa. Numerosi fattori sono stati chiamati in causa: l’infezione da HIV; l’incremento dei flussi migratori da Paesi ad alta prevalenza di TB; l’emergenza di forme di TB multiresistente ai farmaci (MDR), in particolare a Isoniazide e Rifampicina; problemi sociali come la povertà, l’aumento di soggetti senza fissa dimora, l’abuso di stupefacenti; lo smantellamento dei servizi di cura della TB. Dopo il 1992, grazie alla realizzazione di programmi di controllo più aggressivi, si è avuta una nuova diminuzione di casi, che ha raggiunto nel 1998 il minimo 4 storico negli Stati Uniti (6,8 casi/100 mila abitanti), con una netta prevalenza nella popolazione non autoctona (39% in USA)1. In Italia i dati di morbilità e mortalità elaborati dall’ISTAT e dal Ministero della Sanità mostrano una costante diminuzione dell’incidenza di TB polmonare tra il 1955 (12.046 casi) e il 1980 (3.100 casi). Tale andamento è rimasto sostanzialmente costante fino al 1990 (3.408 casi); tuttavia, nel 1991 si è registrato per la prima volta un significativo aumento del numero di nuovi casi (3895 casi, tasso del 6.9 per 100.000 abitanti) 2. Secondo l’ultimo resoconto dell’OMS del 2004 4, i più recenti dati ufficiali relativi all’anno 2002 riportano che in Italia il numero totale di casi di TB è stato di 4212, di cui 1293 casi (pari al 30,7%) in soggetti immigrati, con un tasso del 7,3/100.000 abitanti ed un rapporto uomini/donne pari a 1,7. Osservando la distribuzione dei casi per età, si nota un andamento bimodale con un picco nella fascia 25-34 anni tra i non nati in Italia e un picco nella fascia 55-64 anni tra gli autoctoni. Stiamo dunque parlando di una malattia che non è mai scomparsa dalle nostre terre, ma che sta tornando alla ribalta come emergenza di sanità pubblica legata alla mobilità dei popoli e all’incontro tra il Nord e il Sud del mondo. 1.1.2 Eziopatogenesi L’agente eziologico implicato nella TB è il Mycobacterium tuberculosis, noto anche come bacillo tubercolare, che fa parte del complesso Mycobacterium tuberculosis (TB Complex) insieme al Mycobacterium bovis, M. africanum, M. microti e M. canneti, solo occasionalmente implicati nella patologia dell’uomo2. Appartengono tutti alla famiglia delle Mycobacteriaceae e all’ordine delle Actinomycetales. Si conoscono, inoltre, più di 50 specie di Micobatteri non appartenenti al TB Complex, definiti Micobatteri Non Tubercolari (NTM), patogeni per l’uomo (M. kansasii, M. marinum, M. scrofulaceum, M. aviumcomplex, ecc.) ma con caratteristiche differenti dal tubercolare. Il M. tuberculosis è un batterio a forma di bastoncello, sottile (0.5 x 3 μm), immobile, asporigeno e debolmente Gram-positivo, il cui unico serbatoio è 5 l’uomo. Possiede una peculiare caratteristica tintoriale, che ne permette la diagnosi microscopica, che è l’alcol-acido resistenza. Questa è dovuta all’elevato contenuto lipidico della parete ed è dimostrabile con la colorazione di ZiehlNeelsen: la colorazione a caldo con fucsina basica non viene eliminata dal trattamento con acido solforico ed alcol etilico, per cui MT si presenterà di colore rosso5. Il bacillo ha una crescita molto lenta, con una velocità di replicazione prossima alle 24 ore, e cresce solo su terreni arricchiti. È un aerobio obbligato, la cui crescita è stimolata da valori di pO 2 di 100mmHg e di pCO 2 di circa 40mmHg, il che giustifica la sua tendenza a prediligere le sedi a pO 2 maggiore, quali l’apice polmonare ed il rene, all’interno dell’organismo umano 5. Dimostra una notevole resistenza al freddo e all’essiccamento, specie se al riparo dalla luce solare, ma è sensibile al calore umido (è ucciso in pochi minuti in autoclave a 120°C). La parete del micobatterio ha una composizione peculiare, quasi unica tra i procarioti, e rappresenta l’elemento determinante della sua virulenza. Quasi il 70% della parete, e fino al 30% del peso dell’intera cellula, è costituito da lipidi complessi, i più importanti dei quali sono rappresentati dagli acidi micolici. Questi acidi grassi a lunga catena, che costituiscono il 50% del peso secco della parete cellulare, formano uno schermo lipidico attorno alla cellula determinandone la scarsa permeabilità, che rende inefficace la maggior parte degli antibiotici. Si pensa che gli acidi micolici abbiano anche importanza nella virulenza di MT, proteggendolo dall’azione di lisozima, di radicali dell’ossigeno e di proteine cationiche all’interno del macrofago e dall’attacco del complemento nel siero 6. Nel complesso, l’alta concentrazione lipidica della parete è responsabile di alcune caratteristiche di MT, quali: alcol-acido resistenza, impermeabilità a molti antibiotici, resistenza agli stress chimico-fisici, resistenza alla lisi osmotica da complemento, resistenza al killing macrofagico e capacità di sopravvivenza all’interno del fagocita2,6. Sulla superficie di MT sono presenti, inoltre, diverse proteine, alcune delle quali con funzione antigenica come, ad esempio, il PPD (Purified Protein Derived) presente nella tubercolina e il lipoarabinomannano (LAM), un complesso glicolipidico formato da subunità ripetitive del disaccaride arabinosio-mannosio, che pare essere coinvolto nella 6 depressione della risposta immunitaria dell’ospite, attraverso l’inibizione della produzione di Interferone-γ (IFN-γ), al fine di proteggere MT dall’immunità cellulare7. La trasmissione del M. tuberculosis può avvenire per diverse vie, ma sicuramente la più importante, per frequenza e per significato epidemiologico, è quella aerogena. In passato, un’altra importante modalità di infezione era la via gastrointestinale, attraverso l’ingestione di latte non pastorizzato, proveniente da mucche tubercolotiche, contenente M. bovis, responsabile delle forme di TB extrapolmonare. In casi eccezionali sono state descritte infezioni per via cutanea da impianto diretto5. La fonte d’infezione è in genere un paziente con escreato positivo all’esame batterioscopico, che è indicativo di forme polmonari cavitarie altamente contagiose, potendo eliminare fino a 105 bacilli alcol-acido resistenti per ml di espettorato. La contagiosità si riduce notevolmente se la positività è relativa al solo esame colturale con un batterioscopico negativo ed è nulla in presenza di coltura negativa. Le goccioline di Flügge, aerosolizzate con la tosse, gli starnuti e l’eloquio, contengono particelle infettanti e, date le piccole dimensioni (1-5μm di diametro), possono rimanere sospese nell’aria per diverse ore e la loro inalazione permette a MT di raggiungere le vie aeree inferiori. Un colpo di tosse può produrre fino a 3000 goccioline infettanti così come una conversazione di 5 minuti2. Fattori importanti nella trasmissione sono la probabilità di contatto con un caso fonte, l’intimità e la durata del contatto, la contagiosità del caso indice e l’ambiente in cui il contatto ha luogo (l’affollamento in ambienti poco ventilati è un fattore molto importante dal momento che si verifica un aumento dell’intensità del contatto con il caso indice)1. Da ciò si evince che, per quanto riguarda il rischio di acquisire l’infezione da M. tuberculosis, un ruolo fondamentale è svolto da fattori esogeni. I fattori endogeni, invece, ovvero la suscettibilità individuale alla malattia e la funzione immunitaria cellulo-mediata, sono determinanti per quanto concerne il rischio di sviluppare la malattia1. Solo un terzo dei soggetti esposti a MT diventano infetti e, di questi, solo un 10% svilupperà la malattia, evento che si verifica più frequentemente nei primi 7 due anni dall’infezione1, 7. Individui HIV positivi infettati con MT hanno il 50% di possibilità di sviluppare una TB postprimaria da riattivazione endogena in un qualsiasi momento della loro vita7. 1.1.3 Immunopatogenesi In base ad alcuni studi condotti da Luria nel 1964 sui conigli, gli eventi che seguono al contatto con MT sono stati suddivisi in 4 stadi 8. Il primo stadio inizia con l’inalazione dei bacilli tubercolari, che raggiungono gli alveoli polmonari ove sono fagocitati dai macrofagi residenti. In questo stadio iniziale, la distruzione di MT dipende dall’intrinseca capacità microbicida dei macrofagi e dai fattori di virulenza del bacillo fagocitato. I micobatteri che resistono a questo primo meccanismo di difesa si replicheranno all’interno del macrofago e porteranno alla sua distruzione. Ciò comporta il richiamo di monociti ed altre cellule infiammatorie dal circolo sanguigno verso i polmoni: è l’inizio del secondo stadio. I monociti si differenziano, quindi, in macrofagi e prontamente fagocitano i micobatteri senza distruggerli, portando ad una condizione di simbiosi, in cui i bacilli si replicano con una crescita di tipo logaritmico e i macrofagi circolanti si accumulano nel polmone provocando minimi danni tissutali. Il terzo stadio è caratterizzato dallo sviluppo della risposta dei linfociti T. Questo si verifica almeno due o tre settimane dopo il contatto, quando linfociti T specifici raggiungono il polmone e ivi proliferano all’interno delle lesioni iniziali (tubercoli). Questi linfociti sono responsabili dell’attivazione macrofagica che dovrebbe portare all’uccisione dei micobatteri presenti nei fagosomi di queste cellule. A questo punto la crescita logaritmica dei bacilli tubercolari si arresta. Nell’ultimo stadio si assiste alla comparsa di una necrosi solida centrale all’interno dei tubercoli, che, portando a variazioni del microambiente (ridotta tensione di ossigeno, pH acido, prodotti tossici di degradazione), determina una inibizione della crescita extracellulare dei micobatteri, i quali possono restare quiescenti per anni. Quello fin qui descritto è il complesso primario di Ghon5, ovvero un focolaio parenchimale, in genere di piccole dimensioni e localizzato più 8 frequentemente nel lobo inferiore, accompagnato da una adenite satellite - a livello dei linfonodi interbronchiali, parailari e tracheobronchiali - con una linfangite intermedia. La sintomatologia clinica è completamente assente, mentre sono presenti segni radiologici e biologici, quali la cuticonversione alla tubercolina dopo 4-6 settimane dall’infezione. Lo stato del sistema immunitario del soggetto, in particolare dell’immunità cellulo-mediata, è il fattore che determina il tipo di evoluzione7. L’infezione può, infatti, restare stazionaria per anni senza dare né sintomi né rischio di trasmissione, e si parlerà in questo caso di TB Latente o persistente. In questa situazione, che implica un’immunità cellulare competente, il granuloma che si è formato guarisce lasciando piccole lesioni fibro-calcifiche e può non evolvere mai in malattia attiva. Al contrario, se lo stato immunitario del soggetto è compromesso per varie cause (HIV, malnutrizione, età estreme, diabete, farmaci immunosoppressivi, ecc.), il granuloma non guarisce, ma la sua zona centrale va incontro a colliquazione, dando la cosiddetta necrosi caseosa. La necrosi caseosa è, tuttavia, intrinsecamente instabile, specialmente nel tessuto polmonare, dove tende a liquefarsi ed a scaricarsi nell’albero bronchiale lasciando una cavità vuota, la caverna tubercolare. Le elevate concentrazioni di ossigeno dell'albero tracheobronchiale creano condizioni ottimali per un ritorno alla moltiplicazione dei bacilli quiescenti ed alla riattivazione del processo patologico, così che MT può migrare verso altre zone del polmone (TB Polmonare Attiva) o raggiungere altri organi per via linfatica o ematica e qui dare malattia localizzata (TB Extrapolmonare) o disseminata (TB Miliare). Il paziente è allora sintomatico e contagioso7. Un soggetto con la forma latente può sviluppare la malattia, anche dopo molti anni, in concomitanza di un indebolimento delle difese immunitarie, si parla in questo caso di TB postprimaria, ovvero di riattivazione endogena di MT. Analizzando nel dettaglio la risposta immunitaria all’infezione da MT8, si osserva che le cellule fagocitiche svolgono un ruolo chiave nella prima difesa 9 contro l’infezione polmonare e nello sviluppo della immunità mediata da cellule T, attraverso la presentazione degli antigeni del micobatterio e la produzione di citochine. L’immunità cellulare mediata dai linfociti T specifici, invece, si sviluppa in un secondo tempo e ha la funzione di limitare la diffusione dell’infezione, ma non ha effetto protettivo sull’infezione a livello polmonare. Questo a conferma del fatto che, nell’infezione tubercolare, il ruolo dominante è da attribuire all’immunità naturale. Le prime cellule che entrano in contatto con MT sono i macrofagi alveolari residenti, ma anche gli pneumociti di II ordine e le cellule dendritiche sono coinvolte nelle fasi iniziali dell’infezione. In particolare, le cellule dendritiche sono più efficaci dei macrofagi nel presentare l’antigene e quindi nell’attivare le cellule T e, vista la loro capacità di migrare, potrebbero avere un ruolo nella disseminazione di MT7. Una volta entrati nel macrofago, i micobatteri si trovano all’interno dei fagosomi, che normalmente maturano e si fondono con i lisosomi formando i fago - lisosomi, caratterizzati da un pH acido e dalla produzione delle specie reattive dell’ossigeno (Reactive Oxygen Intermediates, ROI), di enzimi litici e di ossido nitrico (Reactive Nitrogen Intermediates, RNI), ovvero le armi con cui i fagociti uccidono i microrganismi intracellulari. In realtà, per quanto riguarda MT ciò non avviene. Il micobatterio, infatti, ha la capacità di sopravvivere all’interno dei fagosomi e diversi sarebbero i meccanismi implicati7. Innanzitutto, MT è in grado di inibire la fusione fagosoma-lisosoma, quindi la maturazione del fagosoma, ma forse la caratteristica più importante è la capacità di MT di resistere agli RNI, che rappresentano l’arma principale nell’attività microbicida. I macrofagi e le cellule dendritiche, oltre a fagocitare il micobatterio, hanno l’importante compito di processare e presentare gli antigeni del bacillo in modo da stimolare l’espansione clonale e l’attivazione dei linfociti T specifici8. I linfociti T CD4+ sono i protagonisti principali di questa immunità cellulo-mediata e, in particolare, la sottopopolazione T H 1, responsabile della produzione di citochine (IL-2, TNF, INF-γ) essenziali per il mantenimento e l’amplificazione della risposta cellulare e per l’attivazione dei macrofagi. 10 L’Interferone-γ (IFN-γ) sembra essere il principale mediatore dell’attivazione dei macrofagi e della resistenza ai patogeni intracellulari, attraverso la stimolazione della produzione di specie reattive dell’ossigeno e, ancor più importante, dei prodotti reattivi dell’ossido nitrico mediante l’induzione dell’enzima iNOS (Ossido Nitrico Sintetasi, inducibile) nei macrofagi 9. Questa importante linfochina stimola anche la produzione di isotipi anticorpali che attivano il complemento ed opsonizzano i micobatteri extracellulari, facilitandone l’incontro con i fagociti e determina un incremento dell’espressione di molecole MHC-II sulla superficie dei macrofagi per l’attivazione dei linfociti T CD4+. Per quanto riguarda i linfociti T citotossici CD8+ (CTL), la loro funzione è quella di lisare ogni macrofago che contenga il micobatterio, anche se quiescente, portando alla morte anche del batterio fagocitato. Le principali cellule effettrici finali dell’immunità cellulo-mediata sono i macrofagi attivati, responsabili di una risposta tipo ipersensibilità ritardata (Delayed Type Hypersensitivity, DTH), essenziale nella difesa contro batteri intracellulari come MT 10. In particolare, nell’infezione da MT si realizza una DTH cronica che porta a modificazioni morfo-citologiche dei macrofagi attivati, che aumentano di dimensione diventando simili alle cellule epiteliali della cute, da cui il nome di cellule epitelioidi, e possono fondersi tra loro per formare cellule giganti polinucleate (cellule di Langhans). Gruppi di macrofagi attivati si concentrano attorno a sorgenti di antigene, quali MT, e producono noduli di tessuto infiammatorio, denominati granulomi. Il granuloma rappresenta la tipica risposta nei confronti dell’infezione persistente da MT. Spesso questa forma di infiammazione si associa a fibrosi, per l’azione di citochine e fattori di crescita macrofagici, che in acuto (TNF e IL-1) reclutano neutrofili e monociti causando una distruzione tissutale locale, mentre cronicamente portano alla proliferazione di fibroblasti e alla produzione di collageno10. Questa fibrosi tissutale interferisce con la normale funzionalità dell’organo, in quanto la sostituzione del normale parenchima polmonare con tessuto cicatriziale determina alterazioni della fisiologia respiratoria riscontrabili in corso di TB. La DTH svolge sicuramente un ruolo protettivo, in quanto argina l’infezione, ma può provocare anche reazioni dannose per l’ospite. Un esempio è 11 dato dal Tumor Necrosis Factor α (TNF-α), una citochina proinfiammatoria responsabile della formazione del granuloma e dell’induzione di apoptosi nei macrofagi infettati, che porta anche a danni tissutali direttamente legati alla sua concentrazione e indirettamente determinati dall’apoptosi dei macrofagi. Normalmente TNF-α è presente solo nel sito d’infezione, ma una sua diffusione sistemica è responsabile di alcuni segni clinici quali la febbre e il deperimento7,8. Le interazioni tra concentrazioni antigeniche, ipersensibilità tissutale e immunità cellulare, condizionano l’evoluzione della infezione nel singolo paziente 11. In presenza di limitate concentrazioni antigeniche e di un elevato livello di immunità cellulare tissutale si sviluppano granulomi composti da linfociti, cellule epitelioidi e cellule di Langhans, mentre alla periferia si stratificano linfociti (mantello parvicellulare) e fibroblasti destinati a circoscrivere il processo con una capsula fibrosa. Questi granulomi, denominati tubercoli, non tendono alla necrosi caseosa, sono considerati di tipo proliferativo o produttivo e sono segno di un efficace contenimento dell'infezione. In presenza di livelli elevati sia di antigene che di ipersensibilità tissuale, le cellule giganti si presentano sparse o del tutto assenti. Macrofagi e polimorfonucleati si dispongono con modalità meno organizzate e si instaura un processo di necrosi caseosa come conseguenza del rilascio di enzimi litici da parte dei macrofagi in via di degenerazione. Tali formazioni granulomatose sono tipiche delle forme cosiddette essudative o caseose. Nei pazienti immunodepressi, nei quali si realizzano concentrazioni antigeniche elevate e bassi livelli sia di ipersensibilità tissutale che di immunità cellulare, i rilievi istopatologici dimostrano soltanto un accumulo non specifico di polimorfonucleati e di monociti con un numero elevatissimo di bacilli acidoresistenti11. 1.1.4 Quadri clinici La malattia tubercolare rappresenta la progressione, non immancabile, né necessariamente immediata, dell’infezione primaria, ed è caratterizzata dalla presenza di sintomi clinici e dalla dimostrazione di bacilli nel tessuto polmonare, 12 nell’escreato o in altra sede. Si ritiene che, in oltre il 90% dei casi, la malattia tubercolare dipenda da una riattivazione endogena, mentre solo nell’8% dei casi rappresenterebbe la progressione diretta dell’infezione primaria, evento che si verifica generalmente in bambini molto piccoli, anziani, immunodepressi o giovani adulti non di razza bianca, forse geneticamente predisposti11. La malattia tubercolare può coinvolgere qualsiasi organo, ma è più frequentemente localizzata nei segmenti polmonari apicali posteriori. L'85% delle forme di TB clinicamente attive interessa il polmone. Nel 15% dei casi la TB è extrapolmonare, potendo coinvolgere il sistema linfatico (25%), le pleure (23%), i reni (16%), l'apparato osteo-articolare (10%), il sistema nervoso centrale (SNC) (4%), il peritoneo (3%) ed ogni altro organo o apparato (9%). Infine, nel 10% dei casi la TB si manifesta in quella forma generalizzata definita come tubercolosi miliare. Nella forma polmonare distinguiamo due quadri clinici distinti: una TB primaria e una TB post-primaria. La TB primaria si realizza qualora l’infezione primaria sia sintomatica. Il quadro clinico è generalmente aspecifico, con febbre, astenia, malessere generale e, più raramente, eritema nodoso e cheratocongiuntivite. Caratteristica è la cuticonversione al test tubercolinico11. La TB post-primaria rappresenta la forma più frequente di malattia tubercolare ed è la conseguenza di una reinfezione endogena o esogena. La lesione iniziale è generalmente localizzata ai segmenti apicali e posteriori del lobo superiore, con distribuzione asimmetrica, ed è caratterizzata da necrosi caseosa, cavitazione e fibrosi. All’interno delle caverne la proliferazione batterica è facilitata dalla elevata tensione di ossigeno e grandi quantità di MT vengono emesse con la tosse. La sintomatologia può essere limitata ma, con l’incremento della popolazione bacillare, una reazione sistemica provoca una serie di sintomi costituzionali non specifici come anoressia, astenia, perdita di peso, brividi, febbre serotina e sudorazioni notturne. Si tratta, comunque, di manifestazioni non precoci, molto graduali nell'esordio, sorprendentemente ben tollerate e spesso non riconosciute dal paziente. La tosse è generalmente produttiva, con escreato mucopurulento; emottisi ed emoftoe, dovute ad erosione di vasi adiacenti alla caverna, 13 sono meno frequenti di quanto si creda comunemente ma, se presenti, indicano una malattia piuttosto avanzata. In era pre-chemioterapica, l’emottisi massiva, da erosione di un’arteria bronchiale (aneurisma di Rasmussen), rappresentava un evento terminale2. Il dolore toracico non è frequente ed è causato dall'estensione della flogosi alla pleura. Mentre una pleurite sierofibrinosa con versamento è spesso un evento precoce postprimario, il coinvolgimento pleurico nella TB cavitaria tende a causare sinechie tra pleura viscerale e parietale e versamento scarso o assente (pleurite secca). L’empiema tubercolare è raro. L'obiettività non è caratteristica, generalmente sottostima l'estensione delle lesioni e può essere del tutto normale a dispetto di una malattia molto estesa11. Le alterazioni di laboratorio sono aspecifiche, ma si riscontrano comunemente leucocitosi (1015.000cellule/mm3), anemia normocromica normocitica, ipoalbuminemia, ipergammaglobulinemia e VES elevata. Nel 10% dei casi la malattia tubercolare si presenta in forma disseminata come TB Miliare. Questo termine, che fu inizialmente utilizzato per descrivere la somiglianza delle lesioni macroscopiche ai semi di miglio, indica attualmente tutte le forme di TB progressiva ematogena disseminata, indipendentemente dal quadro patologico. Essa consiste in una vera e propria sepsi tubercolare a partenza da un focolaio colliquato che si apre in un vaso sanguigno o linfatico5. La vera TB miliare interessa la maggior parte degli organi, incluse le meningi, le membrane sierose e i linfonodi. In era pre-antibiotica era molto frequente nei bambini come manifestazione acuta dell’infezione primaria da MT, portando quasi inevitabilmente a morte per meningite tubercolare o per asfissia. In realtà può colpire soggetti di ogni età, anche se attualmente si osserva più frequentemente nell’età avanzata e in soggetti immunocompromessi2,11. Nei bambini la malattia è generalmente acuta, grave, con febbre elevata intermittente, sudorazioni notturne e, nei due terzi dei pazienti, con versamento pleurico, peritonite e meningite. Con l’aumentare dell’età si riduce sostanzialmente l’acuzie e la gravità della malattia, in relazione alla capacità delle difese dell’ospite già sensibilizzato di limitare le lesioni11. Da un punto di vista clinico, la malattia si può manifestare con i caratteri di una infezione acuta (Miliare acuta) o con un andamento subacuto-cronico 14 (Miliare subacuta e cronica o miliare fredda)5. La conta dei globuli bianchi è generalmente normale, anche se possono essere osservate leucopenie marcate, mentre una certa anemia è invece immancabile. Elevazioni della fosfatasi alcalina e delle transaminasi sono comuni, così come l'ipossiemia ed una rilevabile insufficienza respiratoria che risulta non proporzionale al quadro radiografico. La diagnosi di TB miliare è radiologica e microbiologica, ma spesso è tardiva per la difficoltà di reperire MT nell’espettorato, che nell’80% dei casi è negativo1. È importante quindi effettuare la ricerca di bacilli alcol-acido resistenti su altri materiali biologici (biopsie transbronchiali, linfonodali, epatiche e di midollo) e l’esame colturale da tessuto bioptico polmonare, sangue, midollo osseo ed altri fluidi o tessuti risulta generalmente positivo11. La diagnosi radiologica, con l’osservazione delle tipiche lesioni puntiformi diffuse a tutto il parenchima polmonare, è spesso tardiva in quanto questo quadro caratteristico si manifesta alcune settimane dopo l’esordio della sintomatologia. La prognosi è spesso infausta sia per la gravità della malattia che per il ritardo di diagnosi, evento sfortunatamente frequente. La localizzazione di MT in sedi diverse dai polmoni porta a quadri di TB Extrapolmonare, che rappresenta il 15% delle diverse forme di malattia tubercolare, con incidenza maggiore nei soggetti con infezione da HIV e nei gruppi sociali a rischio, quali la popolazione immigrata. Tutti gli organi possono essere colpiti ma, in ordine di frequenza, le sedi più interessate sono: i linfonodi, la pleura, il tratto genito-urinario, le ossa e le articolazioni, le meningi e il peritoneo. La Linfadenite tubercolare (o TB linfonodale) è la forma più frequente, rappresentando il 25% di tutte le forme extrapolmonari. Si presenta come una tumefazione dura, arrossata e non dolente, unilaterale, localizzata, nell’80% dei casi, in regione laterocervicale o sovraclaveare. Nella fase iniziale della malattia i linfonodi sono ben delimitati, mobili e di consistenza parenchimatosa, ma successivamente possono essere infiammati, con aree di rammollimento, e fondersi tra loro a formare dei pacchetti adesi ai piani sottostanti, fino a presentare 15 dei tragitti fistolosi drenanti materiale caseoso 1,5 . Sintomi sistemici sono spesso assenti. La diagnosi è stabilita attraverso agoaspirazione o biopsia chirurgica: nel 70-80% dei casi l’esame colturale è positivo e quello istologico evidenzia la presenza di caratteristiche lesioni granulomatose. La Pleurite tubercolare rappresenta il 23% delle localizzazioni extrapolmonari ed è generalmente osservata entro settimane o mesi dall'infezione primaria, per rottura di un linfonodo subpleurico sede di infezione. L’esordio può essere subdolo o improvviso. In relazione all’entità della reattività, il versamento può essere esiguo, restare inosservato e risolversi spontaneamente, oppure può essere tale da causare sintomi quali febbre anche elevata, dolore toracico, tosse e dispnea1. Il versamento è comunque generalmente minore di quanto si riscontri in altre pleuriti e quasi sempre unilaterale (tranne quando è associato alla TB miliare). Il liquido pleurico ha i caratteri di un essudato, con una concentrazione proteica superiore al 50% di quella sierica, un pH inferiore a 7,2 e una quantità di globuli bianchi variabile tra 500 e 2500/ml (in prevalenza linfociti); l'esame batterioscopico del sedimento è raramente positivo e la coltura risulta positiva in un terzo dei casi1,11. L'agobiopsia della pleura dimostra granulomi nel 75% dei casi mentre la coltura è positiva anche nei casi con istologia aspecifica. Sebbene le TB pleuriche guariscano anche spontaneamente in pochi mesi, esse sono importanti per la disseminazione bacillare cui sembrano associate; infatti, in oltre la metà dei casi altre localizzazioni d’organo tubercolari si realizzano entro cinque anni dalla pleurite11. La TB Osteoarticolare costituisce il 10% delle forme extrapolmonari ed è legata alla riattivazione di focolai ematogeni o alla diffusione a partire da linfonodi adiacenti paravertebrali1. In circa la metà dei casi si ha un interessamento della colonna vertebrale, noto come morbo di Pott, responsabile di una spondilo-discite che coinvolge due o più corpi vertebrali adiacenti con la distruzione del relativo disco intervertebrale. In ordine di frequenza sono coinvolti i tratti toracico inferiore, lombare, cervicale e sacrale11. Nelle fasi avanzate della malattia il collasso dei corpi vertebrali colpiti determina la cifosi, caratteristica di 16 questa forma, denominata gibbo1. In oltre il 50% dei casi si sviluppano ascessi freddi paraspinali, che possono presentarsi sottoforma di masse o fistole anche distanti dalla lesione originaria. Per la frequente mancanza di altre localizzazioni tubercolari, per i disturbi inizialmente limitati e per l’aspetto radiografico normale nelle fasi precoci, la diagnosi non è sempre agevole e può essere ritardata fino alla comparsa di gravi complicanze quali paralisi, deformità o fistole11. Le alterazioni di laboratorio sono aspecifiche. Due volte su tre la biopsia ossea rivela granulomi, ma il numero di bacilli è limitato e le colture risulteranno positive soltanto nella metà dei casi. Osteomieliti e localizzazioni articolari sono anche possibili ma di difficile diagnosi; caratteristica è la comparsa in seguito a trauma. La localizzazione della malattia tubercolare a livello del Sistema Nervoso Centrale si manifesta più frequentemente con un quadro di meningite tubercolare, generalmente causato dalla rottura di un tubercolo subependimale nello spazio subaracnoideo piuttosto che da una diffusione ematogena diretta11. È di frequente osservazione nell’infanzia come evento precoce post-primario e, nel 75% dei pazienti, vi è un complesso primario ancora attivo, un versamento pleurico o una tubercolosi miliare. Per cause non completamente chiarite il coinvolgimento meningeo è più marcato alla base dell’encefalo, comportando spesso un coinvolgimento dei nervi cranici e del chiasma ottico. L’esordio è spesso subdolo con malessere, cefalea intermittente e un modesto rialzo termico, ma in 2-3 settimane il quadro evolve e si osserva cefalea continua, vomito, confusione mentale, meningismo e segni neurologici focali11. Fondamentale per la diagnosi è l'esame del liquor, caratterizzato da modica cellularità (50-500 cellule/ml con prevalenza di linfociti), proteinorrachia (100-500 mg/dl) e ipoglicorrachia2. Il sedimento rivela bacilli alcool-acido resistenti solo nel 37% dei casi ma la coltura è generalmente positiva. La prognosi è influenzata dall'età (maggiore mortalità sotto i 5 e sopra i 50 anni), dalla durata dei sintomi prima dell’inizio della terapia e dalla entità dei difetti neurologici11. Se misconosciuta, la meningite tubercolare è invariabilmente fatale1. Nonostante la buona risposta alla terapia, nel 25% dei casi sono state 17 documentate sequele neurologiche, probabilmente da riferire al ritardo diagnostico1. Manifestazioni meno frequenti nel paziente immunocompetente sono le lesioni occupanti spazio, cerebrali o spinali (tubercolomi) e le meningiti spinali (aracnoiditi). La TB gastrointestinale era una forma molto frequente in era pre-antibiotica, presente in circa il 70% dei pazienti con malattia polmonare avanzata per ingestione di secrezioni respiratorie infette. Attualmente la sua frequenza è inferiore al 15%. Qualsiasi porzione del tratto gastrointestinale può essere interessata, ma la sede più comunemente colpita è la giunzione ileocecale. All’esordio possono essere presenti sintomi quali dolore addominale, anoressia, diarrea, ostruzione intestinale ed ematochezia e talvolta può essere palpabile una massa con caratteristiche endoscopiche e radiologiche suggestive di carcinoma. Sono spesso presenti anche febbre, perdita di peso e sudorazioni notturne. La diagnosi è in genere occasionale, nel corso di procedure chirurgiche, accertata mediante esame istologico e colturale. La peritonite tubercolare si può sviluppare in seguito ad estensione delle lesioni intestinali o per disseminazione ematogena. Il sospetto va posto in presenza di dolori addominali vaghi, febbre e ascite (di modica entità) e la paracentesi permette di prelevare un liquido essudatizio caratterizzato da leucocitosi e da un elevato contenuto proteico. Raramente nel liquido ascitico è possibile identificare MT, rendendosi quindi necessaria una biopsia peritoneale per confermare la diagnosi1. La TB genito-urinaria rappresenta il 9% delle manifestazioni extrapolmonari ed è solitamente conseguente alla disseminazione ematogena che fa seguito all’infezione primaria. Il coinvolgimento del tratto urinario sembra avere il suo punto di partenza a livello renale, con iniziali lesioni corticali che possono progredire fino alla necrosi papillare e dare stenosi ureterali11. Queste lesioni renali mostrano una spiccata tendenza all’escavazione, pertanto l’eliminazione con le urine del caseum colliquato misto a micobatteri determina l’interessamento 18 secondario della vescica e, nel maschio, di prostata, vescichette seminali ed epididimo5. Dominano il quadro i sintomi locali quali pollachiuria, disuria, ematuria e dolore dorsale. Nel 90% dei casi all’esame urine si riscontrano piuria ed ematuria, ma il sospetto si pone in presenza di piuria con urinocoltura negativa e pH urinario acido1. Sebbene precocemente possa risultare normale, l’urografia presenta in genere alterazioni caratteristiche come necrosi papillare, restringimenti ureterali, idronefrosi o grossolana cavitazione parenchimale. La presenza di calcificazioni parenchimali è particolarmente suggestiva. La malattia clinica è generalmente unilaterale, sebbene alterazioni microscopiche siano quasi sempre bilaterali. La coltura di tre campioni di urine del mattino per micobatteri stabilirà la diagnosi almeno nel 90% dei casi11. Per quanto concerne la forma genitale, nel maschio questa localizzazione è secondaria a quella renale, a cui è associata in più dell’80% dei casi, ed è evidenziabile radiologicamente per calcificazioni a livello dei diversi organi coinvolti. Un interessamento dell’epididimo porta alla comparsa di una massa lievemente dolente che può drenare all’esterno attraverso un tragitto fistoloso e possono svilupparsi anche orchite e prostatite1. La tubercolosi genitale femminile, invece, ha una origine ematogena; inizia nell'endosalpinge dalla quale può diffondere all'endometrio (50%), alle ovaie (30%), alla cervice (5-15%) e alla vagina (1%). Il disturbo più comune è la infertilità mentre i sintomi, quando presenti, sono generalmente locali e consistono in dolore pelvico e anormalità mestruali. I sintomi sistemici sono rari e l'evidenza di una precedente tubercolosi non è necessariamente presente11. La diagnosi può essere posta con biopsia cervicale o endometriale. 1.1.5 Diagnosi Molto importante è la corretta e tempestiva diagnosi di TB. Sul piano clinico, la TB deve essere considerata nella diagnostica differenziale di ogni patologia non altrimenti inquadrabile, specialmente se con andamento subacuto o cronico, e/o refrattaria ad un trattamento antibiotico o se interessa soggetti appartenenti a gruppi di popolazione a maggior rischio di TB. In linea generale la 19 diagnosi di TB si fonda su tre criteri fondamentali: radiologico, batteriologico e immunologico5. Spesso il sospetto iniziale di TB polmonare nasce da un reperto radiografico anormale in un paziente con sintomatologia respiratoria. Il quadro classico è rappresentato da un infiltrato nodulare nelle zone apicali o sottoapicali posteriori del lobo superiore o nel segmento superiore del lobo inferiore, ma in realtà è possibile rilevare qualsiasi aspetto radiografico2,11. Si possono osservare le caverne tubercolari, più evidenti alla Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) e alla Risonanza Magnetica Nucleare (RM), caratterizzate da margini irregolari e meno distinti rispetto al granuloma, che è piccolo e nodulare2. Maggiore è il tempo intercorso tra l’esordio dei sintomi e la diagnosi, maggiore è la probabilità di trovare una forma cavitaria1. L’esame batterioscopico diretto, ovvero la dimostrazione di bacilli alcolacido resistenti all’esame microscopico di un campione diagnostico, permette di formulare una diagnosi presuntiva di malattia tubercolare. Comunemente la ricerca viene effettuata su tre campioni di espettorato raccolti in tre giorni consecutivi, preferibilmente al mattino, ma altri materiali biologici possono essere analizzati, come urine, broncoaspirato, succo gastrico, liquor, biopsie linfonodali, ecc. La diagnosi di certezza si ottiene con l’isolamento e la speciazione del micobatterio in causa, possibile con l’esame colturale su appropriati terreni di coltura arricchiti. In generale, la sensibilità della coltura è compresa tra l’80-85% con una specificità di circa il 98%2. Dal momento che MT e la maggior parte delle specie di micobatteri sono a crescita lenta, possono essere necessarie 4-8 settimane prima di poter osservare lo sviluppo di colonie. Miglioramenti in questo senso si sono ottenuti grazie all’introduzione di terreni di coltura con rilievo radiometrico della crescita, l’uso di sonde per gli acidi nucleici o la cromatografia in fase liquida (HPLC) al fine di identificare gli isolati, portando ad una riduzione dei tempi di attesa a 2-3 settimane. Essenziale per una corretta gestione del paziente è l’esecuzione, sul micobatterio isolato, dell’antibiogramma per valutarne la sensibilità ai farmaci di prima scelta utilizzati nel trattamento, ma anche in questo caso sono necessarie dalle 3 alle 8 settimane. 20 L’utilizzo della reazione polimerasica a catena (PCR), basata sull’amplificazione dell’acido nucleico dei micobatteri, permette di identificare in poche ore il M. tuberculosis direttamente nel campione biologico, ma la bassa sensibilità e l’alto costo ne limitano l’impiego. Infine la valutazione immunologica si avvale del test cutaneo con PPD (derivato proteico purificato) mediante l’intradermoreazione secondo Mantoux. Questo test, che sfrutta la reazione di ipersensibilità ritardata che si instaura come conseguenza dell’avvenuto contatto con MT, ha un valore limitato nella diagnosi di TB attiva a causa della bassa sensibilità e specificità, ma è un utile strumento nello screening dell’infezione da MT1. La sua positività infatti documenta l’avvenuto contatto con il bacillo, ma anche la vaccinazione con BCG (bacillo di Calmette e Guérin) o l’incontro con Micobatteri Non Tubercolari (NTM) possono determinare una cutipositività. Inconvenienti di questa tecnica sono, inoltre, la possibilità di errori nella somministrazione, la necessità di due contatti con il paziente – uno per la somministrazione del PPD e il secondo, a distanza di 48-72 ore, per la lettura del test -, la soggettività della lettura e la ridotta efficacia diagnostica in pazienti immunocompromessi, che spesso si presentano anergici. Per ovviare a queste limitazioni del test cutaneo, è stato recentemente approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) un nuovo test in vitro, il QuantiFERON®–TB Gold In-Tube, basato sulla valutazione e quantificazione, mediante metodica ELISA (Enzyme-linked Immuno - sorbent Assay), dell’IFN-γ prodotto in risposta ad antigeni specifici di MT. Questo test viene effettuato su un campione di plasma e non necessita, quindi, di due contatti con il paziente. È inoltre scarsamente influenzato dalla immunodepressione e la lettura dei risultati è oggettiva e non soggettiva. 1.1.6 Terapia Il trattamento della malattia tubercolare, tempestivo e corretto, è essenziale non solo per la guarigione del singolo paziente, ma anche in un ottica di salute pubblica e controllo globale della TB. I regimi terapeutici attualmente raccomandati consentono di ottenere una guarigione completa nel 100% dei casi di TB da germi suscettibili e nella maggior parte dei casi sostenuti da bacilli 21 resistenti 12. Obiettivo non secondario della terapia è di ridurre la contagiosità del paziente bacillifero. Sebbene l’esame batterioscopico e colturale dell’espettorato possano restare positivi rispettivamente per 2 e 4 mesi dopo l’inizio di una terapia efficace, la riduzione del numero di bacilli e della sintomatologia consente di considerare il paziente non più infettante dopo le prime due settimane di una terapia combinata che comprenda Isoniazide e Rifampicina12. Lo schema terapeutico attualmente in uso trova il suo razionale in alcune caratteristiche biologiche della TB che verranno qui brevemente accennate12. Come è noto, il bacillo tubercolare è caratterizzato da una lenta velocità di crescita (15-20 ore), ma la sua capacità proliferativa varia in funzione delle caratteristiche del microambiente nel quale avviene. Si realizza, così, la simultanea presenza di differenti popolazioni di bacilli tubercolari. Il materiale caseoso fluidificato che 8 ricopre le pareti delle caverne tubercolari è il più ricco di bacilli (10 -109 organismi) ed è in questa sede che è più probabile trovare mutanti farmacoresistenti. Al contrario, all’interno dei macrofagi, a pH acido e in condizioni di ipossia relativa, i bacilli tubercolari si moltiplicano molto lentamente; la estensione di questa popolazione intracellulare può essere valutata 5 nell’ordine di 100 mila unità (10 ). Infine nelle aree solide di caseificazione, l’ambiente è estremamente sfavorevole alla moltiplicazione dei bacilli tubercolari che, moltiplicandosi molto lentamente o ad intermittenza, si mantengono al di 5 sotto dei 100 mila organismi (<10 ). La popolazione più colpita all’inizio di una terapia anti-TB è quella attivamente moltiplicantesi presente nel materiale caseoso fluidificato delle caverne tubercolari. Questa ampia popolazione ha maggiori probabilità di contenere mutanti farmacoresistenti a singoli farmaci; pertanto, un regime terapeutico inadeguato (come una monoterapia) seleziona inevitabilmente mutanti resistenti che inducono un insuccesso terapeutico. La probabilità che si sviluppi 14 un mutante contemporaneamente resistente a Rifampicina e Isoniazide è di 1/10 . Queste considerazioni giustificano la necessità di utilizzare protocolli a più farmaci. Anche la positività dell’escreato all’esame batterioscopico diretto, e quindi la contagiosità del paziente, sono da ascrivere a questa popolazione batterica in attiva moltiplicazione, sia per l’elevato numero di bacilli, che per la 22 loro posizione sulle secrezioni caseose più mobilizzabili (con la tosse) della parete della caverna tubercolare. Per ottenere una rapida negativizzazione dell’escreato del paziente è quindi indispensabile l’inizio della terapia con farmaci ad azione battericida12. La chemioterapia anti-TB dovrà quindi mantenersi battericida, strettamente combinata e continuativa, finché la popolazione batterica in attiva replica non sia sufficientemente ridotta (2 mesi). I farmaci anti-TB agiscono prevalentemente sui bacilli in replica, mentre sono molto meno efficaci su quelli a moltiplicazione lenta o intermittente. Questi ultimi non contengono generalmente mutanti resistenti, ma possono persistere nella lesione e, se la terapia non viene protratta per il tempo necessario a sterilizzare l’organismo, essere causa di recidive. Quindi altra caratteristica essenziale della terapia anti-TB è la lunga durata . Nella pratica clinica queste caratteristiche si concretizzano in cicli polichemioterapici di durata relativamente breve (6-9 mesi) così composti: una fase di induzione, della durata di 2 mesi, con quattro farmaci, seguita da una fase di mantenimento a due farmaci per quattro o sette mesi 13. In particolare, nella fase di induzione, in un paziente con MT sensibili, si somministrano: Isoniazide (H) 300 mg/die, Rifampicina (R) 600 mg/die, Pirazinamide (Z) 25-30 mg/Kg, Etambutolo (E) 15 mg/Kg. Se al termine di questa prima fase la negativizzazione dell’esame batterioscopico dell’espettorato non è ancora avvenuta, è consigliabile protrarre lo schema per altre 4 settimane, al termine delle quali passare alla fase di mantenimento, indipendentemente dal risultato dell’esame batterioscopico. Nei successivi quattro mesi la terapia prosegue solo con H e R agli stessi dosaggi della fase iniziale. Questi farmaci sono definiti di prima linea in quanto sono quelli che, per maggiore efficacia antibatterica, associata ad una tossicità accettabile, vengono comunemente impiegati nei pazienti mai trattati in precedenza. Con l'eccezione dell'Etambutolo sono tutti battericidi e con l'eccezione della Pirazinamide risultano efficaci contro i bacilli in attiva replicazione presenti nelle caverne tubercolari12. La somministrazione di Piridossina per tutta la durata del trattamento previene la tossicità neurologica dell’Isoniazide. 23 In pazienti con TB miliare o con interessamento del SNC, del midollo o delle articolazioni, sarà necessario adottare uno schema terapeutico protratto a 12 mesi. Un problema importante, spesso alla base di fallimenti terapeutici e di sviluppo di farmaco-resistenza, è la mancata adesione del paziente al regime terapeutico. Per questa ragione sono stati sviluppati protocolli intermittenti di trattamento basati su un ridotto numero di somministrazioni e la terapia supervisionata (DOTS, Directly Observed Therapy, Short course), nella quale l’assunzione della terapia è direttamente controllata da un responsabile. Ma DOTS è qualcosa di più di una semplice osservazione diretta del trattamento, è una strategia di controllo della TB, raccomandata dall’OMS, che richiede l’impegno dei governi, la fornitura gratuita e continuativa dei farmaci, una rete di laboratori qualificati e sistemi di sorveglianza per la valutazione dei risultati 14,15. Una diffusione mondiale della strategia DOTS potrebbe essere l’unica arma veramente efficace per prevenire l’emergenza di farmacoresistenza e, ove questa già esiste, nuovi schemi DOTS Plus, che consentono la diagnosi e la terapia delle forme MDR, sono stati introdotti favorendo l’accesso a farmaci altrimenti molto costosi 16. Si definisce multifarmacoresistente (MDR, MultiDrug Resistant) la TB causata da ceppi resistenti contemporaneamente ad almeno Isoniazide e Rifampicina. Negli ultimi decenni si è assistito ad un notevole incremento dei casi di TB farmacoresistenti e, in particolare, la diffusione di ceppi MDR rappresenta una vera emergenza di sanità pubblica in alcune aree geografiche. Secondo l’OMS, sono 300.000 i nuovi casi di TB MDR diagnosticati ogni anno a livello mondiale e il 79% di MDR sono resistenti ad almeno tre farmaci di prima linea. Le regioni dell’Est Europa e dell’Asia centrale presentano un’incidenza di casi resistenti 10 volte maggiore rispetto al resto del mondo, arrivando al 14% in zone come i paesi dell’ex Unione Sovietica16 (in USA l’incidenza di MDR è pari al 2% dei casi). Il CDC (Center for Disease Control) raccomanda in caso di resistenza a Isoniazide una terapia triplice con Rifampicina, Pirazinamide ed Etambutolo per almeno 6 mesi, mentre in presenza di MT resistenti ad Isoniazide e Rifampicina il trattamento dovrà essere non inferiore a 18-24 mesi13. La diffusione di resistenza 24 primaria per la Rifampicina, che si è sviluppata in anni più recenti rispetto a quella per Isoniazide, è infatti molto più grave per le conseguenze che essa comporta sulla efficacia dei protocolli di terapia combinata. In studi di trattamento a quattro farmaci per 6 mesi, una resistenza iniziale alla Isoniazide o alla Streptomicina non peggioravano la prognosi, mentre una resistenza alla Rifampicina era associata a più del 50% di mancate guarigioni o ricadute12. Una precedente terapia o profilassi anti-TB, l'acquisizione dell'infezione in Paesi ad alta prevalenza di resistenza (Asia, Africa, America Latina), il contatto con un caso di TB farmacoresistente, la tossicodipendenza, l’alcoolismo e l’AIDS, rappresentano fattori di rischio per una farmacoresistenza primaria, ovvero quella che si sviluppa in soggetti mai trattati. Una scarsa adesione del paziente al trattamento, la scelta di regimi farmacologici inappropriati o la mancanza di un regolare approvvigionamento dei farmaci facilitano, invece, lo sviluppo di farmacoresistenza secondaria, ovvero quella che si sviluppa in corso di trattamento. 1.1.7 Monitoraggio e chemioprofilassi La Tubercolosi rappresenta un problema di sanità pubblica e, di conseguenza, necessita di misure di controllo adeguate. Queste includono: la pronta identificazione dei casi contagiosi e l’istituzione di un appropriato trattamento, la sorveglianza dei soggetti a rischio di sviluppare la malattia ed una eventuale chemioprofilassi, la vaccinazione con BCG 17,18. Si definiscono gruppi ad alto rischio quelli in cui l’incidenza della malattia è superiore a 50/100.000 e sono rappresentati da contatti di un caso di TB, soggetti provenienti da Paesi ad alta endemia, soggetti esposti a rischio professionale, soggetti senza fissa dimora, rifugiati, carcerati, tossicodipendenti, anziani, soggetti immunodepressi o con patologie favorenti, soggetti con esiti fibrotici non trattati farmacologicamente. A loro devono essere rivolti programmi attivi di sorveglianza, il cui obiettivo principale è la precoce identificazione dei soggetti infetti (LTBI, latent TB infection), attraverso programmi di screening, e la somministrazione di chemioprofilassi. 25 Il test intradermico secondo Mantoux rappresenta il test d’elezione per lo screening dell’infezione e, solo quando non sia possibile una chemioprofilassi, è opportuno effettuare programmi di screening per la malattia, intendendo interventi di diagnosi precoce per i pazienti asintomatici (es.radiografia del torace)17. La chemioprofilassi, o trattamento dell’infezione latente18, ha lo scopo di prevenire la progressione dell’infezione a malattia tubercolare ed è indicata in soggetti con cuticonversione o soggetti tubercolino-positivi che presentano altre condizioni favorenti la riattivazione dell’infezione (diabete, silicosi, infezione da HIV, immunodepressione, ecc). Attualmente il farmaco utilizzato per la chemioprofilassi è l’Isoniazide al dosaggio di 300 mg/die o 900 mg due volte la settimana (DOT) per almeno 6 mesi, ma particolare attenzione va posta in soggetti epatopatici di età superiore ai 35 anni per l’aumentato rischio di epatite fulminante. In realtà, un utilizzo diffuso della chemioprofilassi è ancora argomento dibattuto per la difficoltà di valutare il rischio reale di sviluppo della malattia, per i problemi legati all’aderenza del soggetto e all’eventuale aumento di farmacoresistenza e, infine, per la tossicità del farmaco. Per quanto riguarda la vaccinazione con il bacillo di Calmette e Guérin (BCG), che è un vaccino vivo attenuato derivato da un ceppo di M.bovis, il suo uso è diffuso nella popolazione infantile dei Paesi ad alta endemia, ove si è dimostrato efficace nel prevenire la malattia disseminata. Diverse evidenze dimostrano che la somministrazione di BCG si associa ad una riduzione del 6080% nell’incidenza di TB nei bambini1,2. La vaccinazione è consigliata, e a volte obbligatoria, in gruppi di lavoratori a rischio quali militari, operatori sanitari, personale di laboratorio e missionari. Il BCG deve essere somministrato solo a soggetti cutinegativi non infetti da HIV, anche se fra i neonati di madri HIV+ il rischio di malattia disseminata da BCG è molto basso2. 26 1.2 Tubercolosi e immigrati 1.2.1 Il fenomeno migratorio Il fenomeno migratorio ha origini antiche nella storia dell’umanità e, nonostante le problematiche e le diffidenze che da sempre suscita, questa mobilità di popoli ha contribuito, e continua a contribuire, a gran parte dello sviluppo del mondo. Stati Uniti, Canada e Australia sono tra i Paesi che maggiormente hanno beneficiato di tale fenomeno che ha loro portato crescita, arricchimento e sviluppo a partire dalla fine del Settecento, quando circa 8 milioni di Europei popolarono le due Americhe 19. Negli anni compresi tra il 1846 e il 1932 le migrazioni europee verso i nuovi continenti assunsero dimensioni epocali con numeri altissimi per quel tempo: 18 milioni di Inglesi e Irlandesi, più di 15 milioni di Italiani, 6 milioni di Portoghesi e Spagnoli, 2 milioni di Svedesi e Norvegesi, oltre 5 milioni di cittadini dell’impero asburgico. Nel 1965 erano circa 75 milioni (su 3,258 miliardi di abitanti) nel mondo coloro che potevano essere definiti “migranti”, equivalente a circa il 2% della popolazione mondiale e questa proporzione è rimasta tale fino alla metà degli anni Ottanta. Negli ultimi vent’anni il fenomeno migratorio ha subito un incremento notevole, tale per cui nel 2000 sono stati censiti 175 milioni di immigrati su una popolazione mondiale di circa 6 miliardi, corrispondente al 3%, vale a dire che una persona ogni 35 abitanti nel mondo è un migrante19,20. In tale scenario, nessun continente è immune dal fenomeno delle migrazioni e questo grazie anche ad una globalizzazione che ha accorciato le distanze tra i Paesi (tramite l’accesso all’informazione, la minore difficoltà negli spostamenti, l’esistenza di reti di supporto alla migrazione, ecc.), creando nel contempo disparità nello sviluppo economico e demografico19. Si stima che ogni anno dai 5 ai 10 milioni di persone diventino nuovi migranti19, ma solo 4 su 10 hanno per destinazione i Paesi più industrializzati; la maggioranza, infatti, resta nello stesso continente e nello stesso emisfero 27 cambiando solo Paese. Allo stato attuale, l’Europa è la regione che conta il maggior numero di immigrati, provenienti sia da altri continenti che da altri Paesi dello stesso continente. Ma chi sono i migranti? Si tende comunemente a pensare che siano individui provenienti dalle zone più povere e degradate del mondo, ma non è sempre così. I più poveri, infatti, spesso non hanno accesso all’informazione e al denaro necessari per intraprendere una strada così impegnativa, onerosa e rischiosa come quella della migrazione e quindi restano nei Paesi di origine. Chi ha studiato, chi ha le risorse economiche e culturali ed è preparato ad affrontare il rischio, questi può essere un potenziale migrante. Le ragioni alla base della migrazione sono essenzialmente tre: economiche (commercio, lavoro, crisi economiche in patria), demografiche (ricongiungimenti, migrazioni familiari) e politiche (rifugiati, migrazione in aree di influenza ex-coloniale) e raramente una sola di queste è sufficiente a motivare una scelta così faticosa19. In una visione globale, la ripartizione del benessere, associata all’analisi della distribuzione della popolazione mondiale, rappresenta l’elemento chiave per comprendere le determinanti socio-economiche alla base dei flussi migratori verso i Paesi industrializzati20. Alla fine del 2003 i 6,3 miliardi di abitanti del pianeta erano così ripartiti: il 59,6% concentrati in Asia, il 13,7% nelle Americhe, il 13,5% in Africa, il 12,7% in Europa, lo 0,5% in Oceania. Quindi, complessivamente, quasi 5 miliardi di abitanti vivono nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS) dove, comunque, la diffusione dell’AIDS e il modello occidentale porteranno presto ad un rallentamento della crescita demografica prossimo a quello dei Paesi a Sviluppo Avanzato (PSA), che nel 2002 hanno registrato un tasso pari a 2,1 figli per donna, equivalente ad un tasso di sostituzione pari a zero20. Considerando la distribuzione del reddito nel mondo, si osserva che il 60% della ricchezza mondiale è detenuto da un quarto della popolazione mondiale (America ed Europa) e che il 5% della popolazione mondiale (USA e Canada) possiede da solo un quarto della ricchezza mondiale. Gli organismi internazionali stimano che un miliardo e duecentomila persone vivano in condizioni di povertà 28 estrema, con meno di un dollaro al giorno, e, di questi, mezzo milione solo nell’Africa20. Si comprende quindi come l’alta crescita della popolazione, ancora presente nei PVS, non accompagnata da uno sviluppo economico adeguato e da opportunità di lavoro, porti alla necessità di emigrare19. Questo quadro globale ha un grande impatto sui flussi migratori. Si stima che già 20 milioni di Africani siano emigrati per ragioni di lavoro e che nel 2015 un Africano su dieci vivrà all’estero20. Le restrizioni alla libertà di circolazione dei lavoratori a livello internazionale, non coerenti con la globalizzazione del commercio in atto, fanno sì, inoltre, che almeno il 10-15% della popolazione immigrata viva in condizioni di irregolarità, con gravi rischi di abuso e sfruttamento e frequenti casi di discriminazione nel mondo del lavoro20. La presenza di immigrati nei Paesi industrializzati ha da sempre ripercussioni sulla vita politica, economica e sociale del paese ospite, ma importante è anche l’aspetto sanitario, legato al diverso assetto epidemiologico dei Paesi di provenienza ed alle condizioni spesso disagiate in cui questi soggetti si trovano a vivere (mancanza di alloggi, sovraffollamenti, malnutrizione), ma anche al diverso e spesso difficoltoso accesso ai servizi sanitari. Al momento del loro arrivo, gli immigrati godono generalmente di buone condizioni di salute, il cosiddetto effetto migrante sano 21,22,23, legato ad un processo di autoselezione al momento della partenza per cui solo i soggetti forti ed adattabili intraprendono una tale strada, coloro, cioè, che per caratteristiche socio-economiche e per attitudini caratteriali hanno le maggiori possibilità di realizzare il progetto migratorio. Un effetto migrante sano vale ancora, seppur con una attenuazione, per chi viene a seguito di progetti migratori già percorsi da altri o è costretto ad abbandonare il proprio paese per motivi politici (profughi e rifugiati) 24, persone cioè in cui viene meno il progetto migratorio come elemento di protezione primaria per la propria salute psico-fisica21. Tuttavia, questa integrità dello stato di salute è destinata a perdersi nel corso del tempo in relazione a determinanti socio-economici, quali lo stress da adattamento, le soluzioni abitative, l’isolamento culturale, la precarietà lavorativa23. La misura di questo patrimonio di salute che si perde è data 29 dall’intervallo di benessere, che rappresenta il tempo intercorso tra l’arrivo nel Paese ospite e il primo utilizzo di una struttura sanitaria, tempo che, nell’esperienza dell’Area sanitaria della Caritas di Roma, corrisponde in genere ad un anno dall’arrivo24. 1.2.2 La tubercolosi negli immigrati: la situazione americana ed europea. Una condizione patologica che merita grande attenzione nell’ambito della salute negli immigrati è certamente la tubercolosi, per l'impatto sociale che essa ha e per le evidenze di recrudescenza in Paesi normalmente a bassa incidenza come i Paesi industrializzati (USA, Canada, Italia, Danimarca, ecc). Per Paesi a bassa incidenza intendiamo quegli Stati il cui tasso d’incidenza della TB sia inferiore a 10 casi per 100.000 abitanti 25. La popolazione immigrata rappresenta un gruppo ad alto rischio di sviluppare la malattia tubercolare per due ragioni fondamentali: la provenienza da aree ad alta prevalenza di infezione da MT e le condizioni di marginalità sociale in cui si trova a vivere nel nuovo paese. Non trascurabile è anche il maggior rischio di contrarre l’infezione durante il viaggio, considerando che molti immigrati arrivano nei Paesi occidentali in modo clandestino, affrontando viaggi lunghi, rischiosi, su navi sovraffollate o nascosti in container, in condizioni igienico-sanitarie pessime. In particolare gli squilibri dietetici, le infezioni intercorrenti e lo stress globale aumentano il rischio di riattivazione endogena del micobatterio, mentre la promiscuità abitativa in ambienti malsani e sovraffollati moltiplica il rischio di prima infezione e di reinfezione esogena24. L’aspetto logistico sembra giustificare una prevalente diffusione della malattia all’interno degli stessi gruppi di immigrati o delle loro comunità, con marginale coinvolgimento della popolazione autoctona. Queste condizioni fanno sì che il rischio globale di malattia e di contagiosità tubercolare dell’immigrato sia addirittura superiore a quello dei suoi coetanei rimasti in patria24,26. Diversi studi sono stati condotti in molti Paesi industrializzati per analizzare il problema della TB negli immigrati e per cercare di risolverlo o almeno 30 arginarlo. Health Canada ha osservato che negli ultimi vent’anni, nonostante l’incidenza globale di TB in Canada non abbia subito incrementi, si è avuto un aumento relativo dei casi di TB nella popolazione immigrata dal 35% nel 1980 al 67% nel 2002, concomitante con una riduzione negli autoctoni (dal 50% al 16%)23,27. La popolazione immigrata, che rappresenta il 19% della popolazione canadese, ha un tasso d’incidenza pari a 19,4 casi per 100.0000 contro l’1/100.000 degli autoctoni27. Studi sul periodo di latenza tra l’arrivo degli immigrati e lo sviluppo di TB attiva mostrano risultati diversi a seconda delle città in cui lo studio ha avuto luogo, delle forme cliniche di TB e dei Paesi di provenienza. Il tempo medio di latenza si colloca tra i 9 e gli 11 anni dall’arrivo, anche se nel 50% dei pazienti la diagnosi è posta tra i 5 e 7 anni dall’arrivo. Questo tempo risulta ridotto nei rifugiati, in soggetti provenienti dall’Asia e in portatori di forme linfonodali23. La fascia d’età più colpita negli immigrati è quella compresa tra i 25 e i 34 anni, mentre negli autoctoni la malattia riguarda la popolazione anziana (>75 anni)27. Da un punto di vista clinico, il 64% dei casi notificati sono a localizzazione polmonare con netta prevalenza nella popolazione autoctona (76%), mentre il 14% sono forme extrapolmonari, prevalentemente linfonodali, di cui 40% nella popolazione immigrata27. Nei pazienti immigrati si riscontra anche la maggior parte dei casi di resistenza ai farmaci anti-tubercolari. In particolare, sul totale dei casi con coltura positiva per MT, l’89% non presentano alcuna resistenza, l’8% è resistente ad un farmaco e il 3% è resistente a due o più farmaci, di cui 1,6% MDR (per definizione resistente a Isoniazide e Rifampicina). I soggetti immigrati rappresentano l’84% delle monoresistenze, in particolare a Isoniazide, e tutti i casi di MDR27. In risposta a dati di tale rilevanza, il Canadian Tuberculosis Committee ha raccomandato che tutti gli immigrati siano sottoposti ad uno screening per la malattia tubercolare, attiva o latente, attraverso l’esame radiografico del torace, capace di identificare anche forme pregresse o inattive a maggior rischio di riattivazione, anziché l’uso del test tubercolinico, considerato poco sensibile e specifico 28. Per quanto concerne la situazione negli Stati Uniti d’America, il CDC ha iniziato a raccogliere dati sui Paesi di provenienza dei soggetti affetti da TB a 31 partire dal 1986, osservando, tra il 1986 e il 1997, un incremento del 56% dei casi tra soggetti immigrati, che sono passati dal 22% al 39% del totale nazionale 29. I più recenti dati del CDC relativi all’anno 2004 dimostrano che questo dato è in costante crescita, arrivando a rappresentare il 53,7% dei nuovi casi, nonostante un continuo lento declino dell’incidenza globale pari al 6,8% annuo 30. Questo incremento è legato ad un aumento dei flussi migratori che, nel 1996, ha portato a stimare in 24,6 milioni gli immigrati, regolari e non, residenti negli USA, pari al 9% della popolazione. In particolare negli ultimi anni sono cambiati i Paesi di provenienza, con una netta prevalenza di Asia (il 37% dei nuovi arrivi nel 1995) e America Latina (42% nel 1994), ovvero Paesi ad alta incidenza con tassi 5-20 volte maggiori rispetto agli USA29. L’incidenza di TB negli USA ha raggiunto nel 2004 il minimo storico, con un tasso del 4,9/100.0000, ma grandi differenze esistono tra la popolazione autoctona e quella immigrata. Nella prima l’incidenza è di 2,6/100.000, mentre nella seconda è di 22,5/100.000, con tassi più elevati nelle popolazioni asiatiche (27/100.000)30. È stato osservato che il rischio maggiore di sviluppare la malattia attiva è nei primi 5 anni dall’arrivo 31, con una tendenza a ridursi nel tempo in alcuni gruppi, mentre per altri il rischio resta alto anche fino a 20 anni dall’arrivo 32. L’età del soggetto e l’età al momento della migrazione hanno un ruolo nel determinare il rischio: i soggetti giovani e coloro che sono immigrati in giovane età (inferiore ai 5 anni) sono a minor rischio di sviluppare una TB29. Nella maggior parte dei casi i soggetti affetti sono uomini di età compresa tra i 25 e i 44 anni 33. L’incidenza di casi resistenti all’Isoniazide è doppia rispetto alla popolazione autoctona (6,4%) con ampie variazioni legate ai Paesi di provenienza: 18,3% nei Vietnamiti, 14,7% nei Filippini, 9,8% nei Messicani29. Per quanto riguarda la TB-MDR, l’incidenza si è ridotta notevolmente negli ultimi anni arrivando nel 2002 all’1,3% dei casi, la maggior parte dei quali a carico di immigrati, probabilmente per infezioni contratte nei Paesi d’origine30,34. Anche gli USA, così come il Canada, hanno attuato politiche di prevenzione e controllo dell’infezione tubercolare nella popolazione immigrata. Qualsiasi cittadino straniero (sia esso un migrante, un richiedente asilo, uno studente o un 32 manager) per legalizzare il suo status deve sottoporsi al test tubercolinico, nel Paese d’origine o all’arrivo in USA, ed in caso di positività ad un successivo esame radiografico29. L’analisi della situazione europea è sicuramente più complessa, trattandosi di una realtà molto più variegata che comprende, oltre all’Unione Europea, anche i Paesi dell’Est e del Centro Europa. Nel 2002, secondo il rapporto 2004 dell’EuroTB sulla sorveglianza della TB in Europa, il 67% dei casi notificati sono stati nell’Est con un’incidenza pari a 97 casi/100.000, il 17% nell’Unione Europea (UE) e nell’Ovest con un’incidenza pari a 14/100.000, e il 16% nel Centro con un’incidenza pari a 54/100.000 35(Fig.2). Parlando di Paesi a bassa incidenza di TB, si prenderà in considerazione solo la situazione dell’UE allargata a 25 Stati e dei cosiddetti Paesi dell’Ovest (Andorra, Islanda, Monaco, Norvegia, San Marino, Malta e Svizzera). Nel 2002 l’incidenza globale in queste regioni è stata di 14 casi per 100.000 abitanti, con tassi molto variabili nei singoli Stati: nei 10 Paesi che sono entrati a far parte dell’UE nel 2004 l’incidenza era di 28,9 casi /100.000, mentre nei 15 Stati dell’originaria UE i tassi si erano assestati a 11,5/100.000. L’allargamento dell’UE ha portato, quindi, ad un aumento complessivo del 25% dell’incidenza globale, anche se dal 1998 al 2002 le notifiche si sono ridotte globalmente di circa il 4% annuo35. Questa riduzione ha interessato maggiormente le popolazioni autoctone, con una riduzione media annua del 7%, e solo marginalmente la popolazione immigrata, con una riduzione dello 0,6% all’anno. Anche nei Paesi europei si osserva quindi un incremento dei casi di TB nella popolazione immigrata, che è passata dal 29% al 36% del totale, rappresentando quindi un terzo dei casi. In 13 Stati, che hanno fornito informazioni sui Paesi di provenienza dei soggetti affetti da TB, nel 2002 si è osservato, nella popolazione autoctona, un aumento progressivo dei casi di TB con l’aumentare dell’età, raggiungendo un’incidenza massima (11,9/100.000) nei soggetti >64 anni, mentre negli immigrati l’incidenza massima si colloca nella fascia 25-34 anni con un tasso di 85/100.000. In questi 13 Paesi l’incidenza globale della TB negli immigrati è risultata dieci volte maggiore di quella negli autoctoni (55 contro 5,4/100.000), 33 ma con ampie variazioni tra i diversi Paesi legate ai diversi flussi migratori (Fig.3). Analizzando i Paesi di provenienza di immigrati con TB, si vede che il 39% proviene dall’Africa, il 28% dall’Asia, il 20% da altre regioni europee (Est e Centro Europa) e il 5% da altri Stati dell’UE. Per quanto riguarda le forme cliniche, il 78% di tutti i casi notificati sono polmonari e il 21% extrapolmonari, queste ultime più frequenti nella popolazione immigrata in cui rappresentano il 32% delle manifestazioni cliniche. L’incidenza di resistenza a Isoniazide è globalmente del 5,5%, mentre i casi di MDR rappresentano l’1,2% dei casi, dati che nei Paesi Baltici raggiungono il 25% e il 10,8% rispettivamente. La prevalenza di MDR è maggiore negli immigrati, con tassi del 3% contro lo 0,7% degli autoctoni, e riguarda in modo particolare soggetti provenienti dall’Ex Unione Sovietica che rappresentano il 42% di tutti i casi MDR notificati35. 34 Figura 2 Figura 3 (EuroTB-WHO Draft Report on tuberculosis cases notified in 2002)35 35 A fronte dell’alta incidenza di infezione tubercolare negli immigrati, il rischio di trasmissione tra la popolazione immigrata e gli autoctoni sembra essere minimo, come evidenziato da uno studio condotto in Danimarca, su una popolazione di origine somala, attraverso l’analisi del fingerprint del DNA di MT isolati 36. Considerando che, a partire dal 1992, la Danimarca ha visto un crescente afflusso di individui in fuga dalla guerra civile in Somalia e considerando ancora che la Somalia è tra i Paesi con la più alta incidenza di TB al mondo (1.168/100.000), non stupisce che nel 1999 la Danimarca, la cui normale incidenza di TB nella popolazione autoctona è di 3,3/100.000, riportasse un incremento del 77% nei casi di TB e che il 59,3% dei pazienti fossero immigrati, di cui 40% Somali. Partendo da queste osservazioni, l’analisi e il confronto del fingerprint del DNA dei micobatteri isolati nei pazienti espettorato-positivi tra il 1992 e il 1999 ha portato al raggruppamento di MT identici e alla possibilità di tracciare le vie della trasmissione. Da questo studio emerge che il 74,9% di tutti gli immigrati somali sembra essersi infettato prima dell’arrivo in Danimarca, il 23,3% è stato infettato da altri immigrati somali e l’1,8% è stato infettato da Danesi. Nello stesso periodo, solo lo 0,9% di tutti i pazienti danesi affetti da TB risultavano essere stati infettati dai Somali, dimostrando un rischio di trasmissione quasi nullo per la popolazione autoctona, probabilmente correlato anche alla tendenza all’isolamento e alla mancata integrazione sociale dei gruppi somali in Danimarca. 1.2.3 La tubercolosi negli immigrati: la situazione italiana. Per quanto concerne la situazione in Italia, in seguito alla più recente sanatoria del 2003, sono due milioni e duecentomila gli immigrati regolari attualmente presenti sul nostro territorio, rappresentando il 4% della popolazione nazionale 37,38. La loro distribuzione sul territorio nazionale è così ripartita: 60% al Nord, 30% al Centro, 10% al Sud37. È noto, tuttavia, che ancora molti sono coloro che vivono nell’irregolarità, probabilmente in numero equivalente ai regolari, e si stima che almeno tre stranieri su quattro debbano trascorrere molti anni 36 nell’illegalità prima di poter regolarizzare la loro condizione38 e che la maggior parte di questi viva proprio nelle regioni del Sud Italia. Secondo i dati dell’OMS riferiti all’anno 2002, in Italia su 4212 casi di TB notificati, pari ad un’incidenza di 7,3/100.000, gli immigrati hanno rappresentato il 30,7% dei casi, con età compresa nella fascia 25-34 anni, mentre nel 1997 contavano per il 13,3% dei casi4(Fig.4; Fig.5). I dati nazionali relativi all’epidemiologia dell’infezione tubercolare, in particolare nel paziente immigrato, sono tuttora scarsi e spesso limitati a realtà locali nell’ambito del volontariato (Area Sanitaria della Caritas di Roma, Cesaim di Verona, Naga di Milano, S.Chiara di Palermo e molti altri)24. Per questo motivo, la SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali) ha avviato delle indagini retrospettive e multicentriche per valutare la prevalenza di malattie infettive negli immigrati nell’ambito della commissione sulle “Problematiche dell’immigrazione ed assistenza agli extracomunitari”. Un primo studio39,40 ha analizzato in maniera retrospettiva i dati relativi all’accesso di pazienti immigrati, sia in regime di Day Hospital (DH) che di Ricovero Ordinario (RO), presso 46 U.O. di Malattie Infettive sul territorio nazionale nel corso dell’anno 2002. Da questo studio emerge che, su 2255 pazienti, la prevalenza erano uomini (63%) tra i 16 e 40 anni (63,4%), provenienti dall’Africa nel 44,4% dei casi, dall’Est Europa nel 21,7% e dall’Asia nel 19,7% e che il 27% era irregolare. I casi di TB hanno rappresentato il 13,4% delle diagnosi, seconde solo all’infezione da HIV (16,7%), di cui 64% forme polmonari e 21% linfonodali. La maggior parte di questi pazienti erano uomini (62,5%), provenienti dall’Africa (47,5%) e con una distribuzione disomogenea sul territorio nazionale tale per cui il 90% dei casi è stato registrato nelle regioni del Nord e del Centro Italia. Un secondo e più recente studio ha coinvolto 35 U.O. di Malattie Infettive italiane al fine di valutare gli aspetti clinico- epidemiologici dei pazienti immigrati ricoverati per TB nell’anno 2003 41. Su 2112 pazienti studiati, quelli affetti da TB attiva sono stati il 14,3% del totale, di cui 10% coinfetti TB-HIV. In prevalenza si è trattato di uomini la cui età media era di 34 anni, per lo più provenienti dall’Africa (47%), con un periodo medio di soggiorno in Italia di 3,4 anni. Il 62% 37 Figura 4. Figura 5. (EuroTB-WHO. Draft Report 2002. Country profiles)4 38 delle localizzazioni della malattia tubercolare sono state polmonari, il 18% linfoghiandolari e il 7% ossee. Per quanto riguarda la resistenza ai farmaci, il 27% dei casi con colturale positivo ha presentato resistenza ad uno o più farmaci e, di questi, il 56,5% dei casi era pluriresistente. In particolare, l’11,5% dei casi presentava resistenza all’Isoniazide e il 15% era MDR. Anche in questo caso si è notata una disomogenea distribuzione dei ricoveri tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud, fatto che rispecchia le diverse destinazioni di coloro che migrano nel nostro Paese, per cui spesso le regioni del Sud sono il punto di approdo e di prima accoglienza, ma la destinazione finale è rappresentata dalle regioni del Nord e del Centro. A tal proposito la regione Puglia rappresenta sicuramente un punto di riferimento per la prima accoglienza degli immigrati. La sua posizione l’ha resa protagonista, all’inizio degli anni Novanta, dei primi imponenti sbarchi di immigrati clandestini provenienti dai vicini Paesi Balcanici e questo ha portato alla creazione di importanti strutture di assistenza e accoglienza, sia pubbliche che del volontariato. In anni più recenti sono cambiati i Paesi di provenienza e conseguentemente anche i punti di approdo, portando ad un maggior coinvolgimento di altre regioni del Mezzogiorno, quali Sicilia e Calabria, pur restando appannaggio della Puglia un ruolo centrale nella prima accoglienza. Nel 2002 erano 5 i centri per immigrati nella Regione: il centro di identificazione “Don Tonino Bello” di Otranto (LE), il centro di permanenza temporanea (C.P.T.) “Regina Pacis” di San Foca (LE), il C.P.T. di Restinico (BR), il centro operativo misto (C.O.M.) di Borgo Mezzanone (FG), il centro di transito e smistamento di Bari Palese 42. La denominazione e l’utilizzo dei diversi centri sono soggetti a continui cambiamenti in base alle esigenze ed “emergenze” relative all’immigrazione nelle regioni del Sud Italia, per cui centri di prima assistenza facilmente sono trasformati in C.P.T., ovvero centri di trattenimento degli immigrati in attesa di espulsione. Dal 2002 ad oggi la Puglia, coerentemente con la situazione nazionale, ha assistito ad una europeizzazione dei flussi migratori, tale per cui il 60,7% degli immigrati pugliesi proviene da Paesi Europei, in particolare dall’Europa Centroorientale43. Questo dato suggerisce un cambiamento di ruolo della regione Puglia, 39 che da punto quasi obbligato di approdo e di transito diventa meta, destinazione finale della migrazione. La città di Foggia, in particolare, ha visto raddoppiate le presenze di immigrati regolari tra il 2002 e il 2003, arrivando a 9.314 permessi di soggiorno, e si pone al secondo posto tra le province pugliesi con il 21,6% di presenze sul totale regionale 43. Il C.O.M. di Borgo Mezzanone, attivo dal 1997, ha funzionato in questi anni da Centro di Identificazione per richiedenti asilo e saltuariamente da CPT 44. Ha accolto diverse migliaia di richiedenti asilo, generalmente per pochi mesi, nelle fasi di identificazione e verbalizzazione della domanda, arrivando ad ospitare fino a 2500 persone durante la crisi del Kosovo. È gestito dalla Croce Rossa Italiana, che provvede anche all’assistenza sanitaria degli ospiti, dal momento che dal 1° aprile 2003, con la nuova convenzione, non è più presente un presidio ASL all’interno del centro. Sono presenti, inoltre, assistenti sociali, interpreti, mediatori culturali e psicologi. Attualmente il Centro di Identificazione di Borgo Mezzanone sta per essere trasformato in C.P.T., dunque non più struttura di accoglienza per coloro che arrivano nel nostro Paese, ma centro di trattenimento per coloro che, irregolarmente presenti sul territorio, saranno espulsi e rimandati nei loro Paesi d’origine. La Clinica di Malattie Infettive dell’Università di Foggia, grazie all’attiva collaborazione con l’ambulatorio per immigrati della Caritas Diocesana e con la Croce Rossa Italiana, sta divenendo un importante punto di riferimento per la popolazione immigrata della provincia di Foggia, con attività di screening e diagnosi precoce delle malattie infettive, rivolte in particolare al problema della tubercolosi, delle epatiti e dell’infezione da HIV. Questa attività è stata rivolta, nel corso degli ultimi due anni, in particolare agli ospiti del Centro di Borgo Mezzanone, ma la prossima trasformazione di questo in CPT potrebbe significare la fine di interventi di questo tipo, fondamentali per la salute dei cittadini immigrati e per la salute pubblica. 40 1.2.4. Programmi di screening in Italia Le linee-guida per il controllo della malattia tubercolare, pubblicate dal Ministero della Salute italiano nel 199817, prevedono programmi attivi di sorveglianza e controllo della TB in gruppi ad alto rischio, ovvero gruppi in cui l’incidenza della malattia tubercolare sia superiore a 50/100.00017. A questa categoria appartengono soggetti provenienti da Paesi ad alta endemia, soggetti esposti a rischio professionale, rifugiati, soggetti senza fissa dimora, tossicodipendenti, anziani ospiti di istituti, soggetti con esiti fibrotici non trattati, soggetti con altre patologie favorenti. Per quanto concerne la popolazione immigrata, la valutazione del rischio di sviluppare tubercolosi deve prendere in considerazione diversi fattori, quali: • Paese di provenienza e relative stime d’incidenza della TB redatte dall’OMS; • tempo trascorso dal distacco dal Paese d’origine (il rischio maggiore è nei primi due anni); • vita in collettività; • soluzioni abitative; • caratteristiche socio-economiche (igiene, alimentazione, accesso ai servizi, stress da adattamento); • stile di vita (uso di droghe, alcool, ecc.). In questa popolazione si ritiene opportuno utilizzare come test di screening iniziale sia il test tubercolinico secondo Mantoux che l’esame radiografico del torace, anche in considerazione della probabile bassa adesione alla chemioterapia preventiva da parte dei soggetti infetti. Lo screening deve essere eseguito il più precocemente possibile nei soggetti recentemente immigrati, magari sfruttando l’occasione del rilascio del permesso di soggiorno. È importante, comunque, utilizzare tutte le occasioni di contatto con le strutture sanitarie e collaborare attivamente con le associazioni di volontariato per raggiungere e sottoporre a screening il maggior numero di soggetti esposti al rischio di sviluppare TB. Si considerano positivi i soggetti che reagiscono all’intradermoreazione secondo Mantoux con un infiltrato uguale o superiore ai 10 mm. Questi, se il 41 reperto radiografico risulta non patologico e se hanno un’età inferiore ai 35 anni, sono candidati alla chemioterapia preventiva antitubercolare, che consiste nella somministrazione giornaliera (5-8 mg/Kg/die) o bisettimanale (15 mg/kg/die) di Isoniazide per almeno 6 mesi. Queste linee-guida nazionali affidano alle singole Regioni il compito di predisporre programmi di screening e di trattamento preventivo rivolti a soggetti provenienti da Paesi ad alta endemia e a soggetti con infezione da HIV. Naturalmente dovrà prima esserne valutata l’efficacia, considerando la situazione epidemiologica locale, le disponibilità organizzative ed economiche e la reale fattibilità di tali programmi. Indipendentemente dall’efficacia e dall’attuazione di questi programmi di sorveglianza, deve essere garantita, a livello individuale, la possibilità di intervenire nel momento in cui il soggetto entri in contatto con la struttura sanitaria. I pazienti immigrati, così come quelli italiani, affetti da TB attiva bacillifera, beneficiano di prestazioni diagnostiche e specialistiche gratuite e sono esenti dal pagamento dei farmaci antitubercolari, indipendentemente dal loro status giuridico, per ragioni di Sanità Pubblica17. 42 1.3 Obiettivi della tesi Dall’osservazione dell’andamento epidemiologico dell’infezione tubercolare nei Paesi industrializzati emergono chiaramente due trend contrapposti: uno in costante crescita a carico della popolazione immigrata, l’altro, in progressivo declino, a carico della popolazione autoctona. Da ciò nasce l’esigenza di istituire adeguati programmi di screening della popolazione immigrata, in particolare dei nuovi ingressi, per una precoce e corretta identificazione degli individui infettati da MT. In altri Paesi a bassa incidenza, come USA e Canada, il fenomeno migratorio ed il suo impatto socio-sanitario sono oggetto di studio da almeno 20 anni e le politiche sanitarie, pur in continuo sviluppo, sono ormai ben codificate per cui i soggetti immigrati che vogliano regolarizzare il loro status devono essere sottoposti a screening per infezione tubercolare, tramite intradermoreazione secondo Mantoux o radiografia del torace. In Italia, al contrario, a causa della storia di immigrazione relativamente recente, mancano studi epidemiologici ampi ed approfonditi relativi a questa problematica e, nonostante vi siano politiche sanitarie codificate a livello nazionale per interventi di controllo e prevenzione dell’infezione da MT nella popolazione immigrata, la loro applicazione è lasciata alle Regioni ed è spesso carente. L’obiettivo di questo lavoro di tesi è dunque quello di monitorare lo stato di salute degli immigrati, in particolare per quanto riguarda l’infezione da MT, con le seguenti finalità: • identificazione e trattamento precoci della malattia attiva; • raccolta di dati epidemiologici relativi all’andamento della TB nella popolazione immigrata in Italia; • utilizzo e valutazione di tecniche diagnostiche alternative (ELISA per IFN-γ) e confronto con le metodiche tradizionali (Mantoux); • valutazione delle difficoltà e delle specifiche esigenze necessarie per un intervento diagnostico e terapeutico della TB nella popolazione immigrata. 43 CAPITOLO 2 PAZIENTI E METODI 2.1 Pazienti Lo studio, volto ad individuare i soggetti con infezione latente o attiva da MT nella popolazione immigrata, è stato indirizzato nel territorio foggiano agli immigrati ospitati dal Centro di prima accoglienza di Borgo Mezzanone (FG), in un intervallo di tempo compreso tra il mese di Ottobre del 2003 e il mese di Marzo 2005. Un’equipe della Clinica di Malattie Infettive dell’Università di Foggia si è recata due volte a settimana presso il centro sanitario del Campo dove, con l’ausilio del personale infermieristico della Croce Rossa Italiana e di un mediatore culturale, è stato proposto agli immigrati, temporaneamente ospitati nel Centro, di sottoporsi a test di sensibilizzazione tubercolinica, sia in vivo, mediante intradermoreazione alla Mantoux, che in vitro, mediante l’utilizzo del QuantiFERON®-TB Gold In-Tube, un test ELISA (enzyme-linked immunosorbent assay) per la determinazione della produzione di IFN-γ in risposta a stimolazione specifica con antigeni micobatterici. Inoltre è stato effettuato uno screening sierologico per virus epatitici e HIV-1 allo scopo di individuare la presenza di eventuali coinfezioni. Tutti i test sono stati eseguiti dopo firma del consenso informato, disponibile in diverse lingue (italiano, inglese, francese), e dopo aver fornito adeguate spiegazioni sul significato di tale screening, grazie all’aiuto del mediatore culturale. Per ogni paziente sono stati inoltre raccolti i principali dati anagrafici (età, Paese d’origine) ed indagati eventuali precedenti di patologia tubercolare. I prelievi di sangue sono stati trasportati ed analizzati entro 48 ore presso il laboratorio centrale degli Ospedali Riuniti di Foggia, nel quale è integrato il laboratorio universitario delle Malattie Infettive. Alla visita successiva, effettuata a distanza di 3 giorni, l'equipe medica ha verificato la positività dell’intradermoreazione alla Mantoux e comunicato ai 44 pazienti, già osservati nel corso della visita precedente, il risultato degli esami sierologici, indicando la eventuale necessità di ulteriori approfondimenti. Parallelamente si è proceduto allo screening dei soggetti di nuovo arrivo nel campo. Per i soggetti risultati positivi ad uno o più test eseguiti, è stato proposto un appuntamento presso gli ambulatori della Clinica per il completamento dell'iter diagnostico, effettuato in regime di convenzione sulla base del codice STP (Stranieri Temporaneamente Presenti). Per i soggetti risultati positivi all'intradermoreazione alla Mantoux e/o al QuantiFERON®-TB Gold, si è proceduto con l’esecuzione di radiografia standard del torace e ricerca microscopica e colturale di bacilli tubercolari su espettorato e urine. Inoltre: • per i pazienti risultati positivi allo screening per HIV, valutazione dei parametri viro-immunologici (carica virale di HIV-1, conta cellule CD4 e esami ematochimici routinari; sottotipizzazione di HIV-1 mediante analisi filogenetica) e stadiazione clinica dell'infezione; • per i pazienti positivi allo screening per virus epatitici, completamento del pannello sierologico e virologico (HBV-DNA e/o HCV-RNA, genotipizzazione) e stadiazione clinica dell'infezione (visita medica, controllo ecografico, esami ematochimici di routine comprendenti i principali indici di funzionalità epatica). È stata poi valutata, a seconda del caso, l’opportunità di ulteriori approfondimenti diagnostici in regime ambulatoriale o di ricovero (DH o ordinario), eventuale trattamento dell’infezione o ulteriori indagini sierologiche o consulenze specialistiche. Per tutti i soggetti risultati positivi ad uno dei test di screening, in procinto di lasciare la città di Foggia verso altra destinazione italiana, è stata indicata la principale sede di riferimento di Malattie Infettive, al fine di ridurre la perdita di pazienti in corso di follow-up che, come è noto, risulta particolarmente elevata in questa categoria di soggetti. 45 2.2 Metodi 2.2.1 Test cutaneo con PPD A tutti i pazienti sottoposti a screening infettivologico è stato somministrato il test cutaneo con tubercolina per intradermoreazione secondo Mantoux. Il PPD, Derivato Proteico Purificato (BiocineTest-PPD®;Chiron S.r.l., Sovicille, Siena), è ottenuto da filtrati di colture di Mycobacterium tuberculosis inattivate con il calore e purificate mediante trattamento con solfato di ammonio e acido tricloroacetico. Per la preparazione della soluzione da somministrare, il PPD liofilizzato è stato ricostituito con 0,3 ml di soluzione salina tamponata. Una dose da 0,1 ml di questa soluzione, contenente 5 U.I. di PPD, è stata somministrata ai pazienti per via intradermica, mediante siringa da 1ml con ago 26 G x ½, sulla superficie volare dell’avambraccio. A distanza di 48 o 72 ore è stata effettuata la lettura della reazione cutanea mediante valutazione palpatoria dell’infiltrato sottocutaneo. Secondo le indicazioni nazionali ed internazionali17,18, sono state considerate positive reazioni con infiltrato di dimensioni uguali o maggiori a 10 mm (++-), indicative di una probabile infezione tubercolare presente o pregressa, ma non necessariamente di malattia attiva. Questo cut-off di 10 mm deve essere ridotto a 5 mm in soggetti con esiti fibrotici di TB non trattata, in pazienti con infezione da HIV e in recenti contatti di casi contagiosi17,18. Reazioni di dimensioni inferiori a 4 mm sono state considerate negative, quelle comprese tra i 5 e i 10 mm (+--) debolmente positive e quelle superiori a 15 mm (+++) fortemente positive, considerando che la popolazione presa in esame appartiene ad un gruppo ad alto rischio. 46 2.2.2 Test ELISA Una nuova metodica recentemente approvata dalla FDA (nel Dicembre 2004) è stata utilizzata nello screening dell’infezione latente da MT nei pazienti immigrati. Si tratta di un test diagnostico in vitro (QuantiFERON®-TB Gold In Tube; Cellestis, Carnegie, Australia) che, mediante tecnica ELISA, rileva la produzione di Interferon-γ (IFN-γ) da parte dei linfociti del soggetto in risposta ad antigeni specifici. Il principio alla base di questa metodica è rappresentato dal fatto che i linfociti T di soggetti precedentemente esposti a MT e sensibilizzati, rispondono con la produzione di IFN-γ quando incontrano nuovamente gli antigeni specifici. Questi linfociti T, però, non sono quelli di memoria, segno di una pregressa infezione risolta, ma sono linfociti T effettori, segno di una infezione latente attuale 45. Infatti, le cellule di memoria sono quiescenti ed il breve tempo di contatto con l’antigene utilizzato in questo test (16-24 ore) non è sufficiente per stimolarne la proliferazione e la produzione di IFN-γ. Questo intervallo di tempo è invece sufficiente per reclutare i linfociti T effettori, che in poche ore dal contatto con gli antigeni specifici rilasciano l’IFN-γ. Gli antigeni utilizzati sono peptidi sintetici: ESAT-6 (early secretory antigenic target 6) e CFP-10 (culture filtrate protein 10) sono codificati da geni localizzati nella Regione di Differenza 1 (Region of Difference 1, RD1) del genoma di M. tuberculosis, mentre TB7.7(p4) è codificato da geni della RD11. Questi antigeni sono presenti nei micobatteri patogeni, in particolare in alcuni membri del MT Complex, come M. tuberculosis, M. bovis, M. africanum, mentre sono assenti nei ceppi di M. bovis per BCG, in cui manca completamente la RD1 46, e nella maggior parte dei Micobatteri Non Tubercolari (NTM), con l’eccezione di M. kansasii, M. marinum e M. szulgai 47,48. ESAT-6 e CFP-10 sono proteine a basso peso molecolare codificate da due geni appaiati. Presentano una omologia di sequenza pari al 25% e la loro sintesi è regolata in modo coordinato; sono entrambe dei potenti antigeni per i linfociti T, riconosciute da almeno il 70% dei pazienti con TB, e probabilmente svolgono un ruolo importante nella patogenesi e nella virulenza dell’infezione tubercolare46. Recenti studi46 dimostrano come le due proteine tendano a formare un complesso 47 1:1, in cui le loro strutture sono stabilmente ripiegate, suggerendo che la forma biologicamente attiva delle due proteine si realizzi proprio nel complesso 1:1. TB7.7 (Rv2654), presente solo nella versione “In-Tube” da noi utilizzata, è una proteina codificata dalla RD11, una regione assente nel BCG e in tutti i Micobatteri non tubercolari noti 49. Questa proteina, di più recente identificazione rispetto a ESAT-6 e CFP-10, è un potente stimolatore della produzione di IFN-γ nei pazienti affetti da TB ed, in particolare, questa azione è svolta dal peptide 4 (AA 38-55), che rappresenta il principale epitopo di TB7.7. Nella versione “InTube” del QuantiFERON®-TB Gold è stato usato proprio il pepetide 4, che contribuisce ad aumentare la sensibilità del test, senza modificarne la specificità. L’utilizzo di questi tre antigeni per la diagnosi di infezione latente da MT ha il vantaggio di non essere influenzato dallo stato vaccinale del soggetto e di avere una ridotta cross-reattività con i Micobatteri non tubercolari, portando ad una maggiore specificità e sensibilità rispetto alla Mantoux47. Studi a questo riguardo sono stati condotti utilizzando la metodica con due soli antigeni (ESAT-6 e CFP-10), QuantiFERON®-TB Gold, la cui specificità, valutata in una popolazione vaccinata non esposta a rischio di infezione, è risultata pari al 98% e la cui sensibilità, valutata in un gruppo di pazienti con infezione da MT confermata dal colturale, è risultata pari all’89% 50. L’aggiunta del terzo antigene (TB7.7(p4)) nella metodica “In-Tube” sembrerebbe conferire una maggiore sensibilità al test . Complessivamente, i vantaggi di questa metodica sono rappresentati dalla oggettività dei risultati, dal fatto che sia sufficiente un singolo incontro con il paziente e dalla maggior specificità di questo test, che comporta una netta riduzione dei falsi positivi da infezione con NTM o da vaccinazione con BCG47. I partecipanti al nostro studio sono stati sottoposti a prelievo di sangue, previo consenso informato, mediante venopuntura di 2 ml di sangue intero eparinizzato direttamente raccolto in due provette, da 1 ml ciascuna, fornite dal produttore, di cui una (TB Ag) contenente i tre antigeni specifici (ESAT-6, CFP10, TB7.7(p4)) e l’altra (Nil) per il controllo negativo (Fig.6). Dopo agitazione, per favorire il contatto tra sangue ed antigeni adesi alla parete del tubo, ed 48 incubazione a 37°C per 16-24 ore, si è proceduto a separare il plasma mediante centrifugazione a 1500-2200 RCF per 5-10 minuti. Il plasma così ottenuto può essere conservato fino a 4 settimane, ad una temperatura di 2-8°C, e fino a 3 mesi, a temperature inferiori a –20°C. A ciascun pozzetto della micropiastra, in cui è adeso un anticorpo monoclonale murino anti-IFN-γ umano, sono stati aggiunti 50 μL di plasma (Nil e TB Ag per ogni paziente) unitamente agli standard, saggiati in doppio, e quindi il coniugato (50μl), rappresentato da un anticorpo anti-IFN-γ legato all’enzima perossidasico (HRP). La piastra è stata poi incubata a temperatura ambiente, lontana da fonti dirette di luce, per 120 ± 5 minuti. Dopo lavaggio, si è aggiunta la soluzione di substrato enzimatico (100μl), seguita da incubazione per 30 minuti a temperatura ambiente, terminando con l’aggiunta della soluzione enzimatica di arresto (50μl). Dopo lettura dell’assorbanza a 450nm, il confronto con la curva standard di riferimento, costruita sulla base di tre diverse diluizioni dello Standard IFN-γ (4, 1, 0,25 UI/ml), e l’elaborazione dei dati sono state ottenute utilizzando il software QuantiFERON®-TB Gold In Tube Analysis, fornito dal produttore. Il risultato del test è dato dalla concentrazione dell’IFN-γ, prodotto in risposta agli antigeni specifici, a cui viene sottratto il valore di concentrazione dell’IFN-γ prodotto dal relativo controllo negativo (Nil): Risultato = Antigene TB specifico – Negativo (UI/mL) Si considerano positivi risultati pari o superiori a 0,35 UI/mL. 49 Figura 6 50 2.2.3 Analisi statistica Sono state valutate le principali caratteristiche demografiche e clinicodiagnostiche di tutti i soggetti partecipanti allo studio: per le variabili normalmente distribuite, sono state calcolate la media, deviazione standard (SD) e valori massimi e minimi del range. L’analisi della concordanza tra intradermoreazione secondo Mantoux e QuantiFERON®-TB Gold In Tube è stata effettuata mediante Kappa di Cohen. Valori di Kappa inferiori a 0,4 sono stati considerati indicativi di scarsa concordanza, valori compresi tra 0,4 e 0,7 di buona concordanza e valori superiori a 0,75 di eccellente concordanza. 51 CAPITOLO 3 RISULTATI I soggetti partecipanti al nostro studio sono stati complessivamente 477, esaminati nel corso di screening condotti all’interno del Centro di accoglienza di Borgo Mezzanone (FG) in un intervallo di tempo di 17 mesi, compreso tra Ottobre 2003 e Marzo 2005. L’84% dei soggetti era di sesso maschile, con un’età media di 28 ± 6.4 anni (range 8-54 anni). I Paesi di provenienza erano complessivamente 19; tra questi, i più rappresentati erano quelli Africani (76,3%) ed, in particolare, l’Eritrea (57,7%), il Sudan (13,7%) e l’Etiopia (17,8%). Gli altri Paesi rappresentati erano Afghanistan, Bangladesh, India, Iraq, Pakistan, Palestina, Romania e Ucraina (Tab.2). A tutti i soggetti è stata somministrata l’intradermoreazione secondo Mantoux, ma solo in 267/477 pazienti (56%) è stato possibile effettuare la lettura a 48-72 ore; nei restanti casi i pazienti non si sono presentati al controllo o avevano già abbandonato il centro di accoglienza. Delle 267 letture effettuate, 180 (67,4%) sono risultate negative, e 87 (32,6%) sono risultate positive, di cui 39 reazioni debolmente positive (14,6%), 29 positive (11%) e 19 fortemente positive (7%)(Fig.7). A partire dal Settembre 2004, parallelamente all’intradermoreazione alla Mantoux, è stato anche utilizzato il QuantiFERON®-TB Gold In-Tube (QFT), un test in vitro su sangue intero che si avvale di una metodica ELISA per la determinazione di IFN-γ prodotto in risposta allo stimolo di antigeni micobatterici. Sono stati testati 60 pazienti, 12,6% del totale, ed i risultati ottenuti hanno dato esito positivo in 29 casi (48,3%) e negativo in 31 casi (51,7%). Analizzando questa popolazione di 60 soggetti testati con entrambe le metodiche, si è visto che in 12 pazienti (20%) sia la Mantoux che il QFT erano positivi, in 11 (18,3%) la Mantoux era positiva e il QFT negativo, in 17 (28,3%) la Mantoux era negativa e il QFT positivo, in 20 (33,3%) entrambi i test sono risultati negativi. Di tutte le intradermoreazioni alla Mantoux risultate 52 positive, 23/60 (38,3%), 12 sono risultate positive anche al QFT (52,17%). Di tutti i QFT positivi, 29/60 (48,3%), 12 hanno dato una reazione cutanea positiva in risposta alla Mantoux (41,4%) (Tab.4). La concordanza osservata tra i due test era del 53.3% con un valore K di Cohen pari a solo lo 0.06. I soggetti risultati positivi all’una o all’altra metodica (104 soggetti) sono stati invitati ad eseguire ulteriori accertamenti, in regime di Day Hospital (DH), presso la nostra Clinica: solo 40 di questi (38,5%), tuttavia, si sono presentati a controllo, eseguendo esami ematochimici di routine e radiografia standard del torace. In 3/40 pazienti (7,5%) si sono rilevati segni di lesioni polmonari di sospetta natura tubercolare, che hanno portato al ricovero, ed uno presentava esiti fibroscleronodulari di pregressa TB. I soggetti in cui è stata diagnosticata malattia tubercolare attiva sono stati complessivamente 4/477 (0,8%), di cui 3 TB polmonari (2 forme cavitarie ed una nodulare) e una TB peritoneale (Tab.3). Tutti i soggetti hanno sviluppato una risposta alla Mantoux, anche se in misura diversa. Un paziente ha dato una risposta debolmente positiva, mentre gli altri 3 hanno dato risposte fortemente positive. Solo 3 pazienti sono stati sottoposti al test QuantiFERON®TB Gold In Tube e tutti sono risultati positivi. La diagnosi di malattia tubercolare è stata confermata in tutti i 4 casi mediante l’esame colturale, che ha permesso l’isolamento e l’identificazione di MT in campioni di espettorato e di liquido ascitico, a seconda delle diverse forme cliniche. Sui Micobatteri isolati è stato poi condotto lo studio di sensibilità ai farmaci antitubercolari, da cui è risultato che 1 paziente con TB polmonare cavitaria era resistente a Streptomicina e 2 pazienti, di cui uno con TB polmonare cavitaria e l’altro, suo convivente, con la forma peritoneale, presentavano resistenza a Etambutolo e Streptomicina. Solo un soggetto era sensibile a tutti i farmaci utilizzati nella terapia antitubercolare. La durata minima della terapia è stata di 6 mesi, prolungata fino a 9 mesi nelle due forme cavitarie. Lo schema terapeutico adottato è quello indicato dalle linee-guida internazionali: 4 farmaci per due mesi (R+H+Z+E) e 2 farmaci (R+H) per i restanti 4-7 mesi. In corso di terapia, 3 dei 4 pazienti sono stati periodicamente valutati mediante visita medica, esami di laboratorio, radiografia del torace e ricerca di 53 MT, attraverso esame batterioscopico e colturale su espettorato per le forme polmonari, ed ecografia addominale per la forma peritoneale. È stato inoltre eseguito il test QFT ogni 4 settimane per valutare la risposta alla terapia. In due pazienti la produzione di IFN-γ si è negativizzata già ad un mese dall’inizio della terapia, mentre in un caso il QFT ha dato esito positivo anche a sei mesi dall’inizio della terapia ed è attualmente ancora in trattamento. Un paziente è risultato perso al follow-up in quanto trasferitosi in altra sede; dopo opportuni contatti è attualmente seguito presso la Divisione di Malattie Infettive dell’Università di Brescia. Nessuna chemioprofilassi nei contatti è stata messa in atto. Dei 477 soggetti testati per la ricerca di virus epatitici ed HIV, complessivamente 24 (5%) sono risultati positivi per HBs-Ag, 3 (0,6%) hanno presentato anticorpi anti-HCV e 10 (2%) anti-HIV. Si è osservato un solo caso di coinfezione HBV-HIV ed un caso di TB peritoneale in un soggetto HBV+. 54 Tabella 2. TOTALE SOGGETTI ESAMINATI SESSO 477 M 401 (84%) F 76 (16%) 28±6,4 (range 8-54) ETA' MEDIA M 28,5±6,5 F 25,8±5,9 INFEZIONE HIV Africa 364 (76,3%) - Eritrea 210 (57,7%) - Sudan 65 (17,85%) - Etiopia 50 (13,7%) - Liberia 19 (5,2%) - Somalia 14 (3,8%) - Senegal 3 (0,8%) - Marocco 2 (0,5%) - Burkina Faso 1 (0,3%) Asia 99 (20,75%) - Pakistan 33 (33%) - Bangladesh 24 (24%) - India 16 (16%) - Iraq 13 (13%) - Afghanistan 10 (10%) - Kashmir 2 (2%) - Iran 1 (1%) Altro 13 (2,7%): - Palestina 9 (69%) - Romania 2 (15%) - Turchia 1 (7,7%) - Ucraina 1 (7,7%) 10 (2%) INFEZIONE HBV 24 (5%) INFEZIONE HCV 3 (0,6%) NAZIONALITA' Eseguite: 477 MANTOUX Lette: 267 (56%) Positive: 87 (32,6%) Eseguiti: 60 QUANTIFERON-TB GOLD In Tube Letti: 60 (100%) Positivi: 29 (48,3%) PZ CON TB ATTIVA 4 (0,8%) 55 Tabella 3. PZ. DIAGNOSI 1.N.M. TB polmonare MANTOUX +++ QFT t 0 QFT controllo MICROBIOLOGIA TERAPIA RESISTENZE POS (34,97 UI) 1°m:NEG (0,06) M.tuberculosis R+H+E+Z (2 mesi) Etambutolo 2°m:NEG (0,22) (espettorato) Sosp. E dopo 1 mese Streptomicina cavitaria 3°m:NEG (-0,02) 2.T.Y TB polmonare. +-- POS (21,9 UI) R+H (in corso) 1°m:POS (186,9) M.tuberculosis R+H+Z+E (2 mesi) Nessuna 2°m:POS (125) (espettorato) R+H (in corso) 1°m:NEG (-1,68) M.tuberculosis R+H+Z+E (2 mesi) Etambutolo 2°m:NEG (-0,33) (liq ascitico) R+H (in corso) Streptomicina M.tuberculosis R+H+Z+E (2 mesi) Streptomicina (espettorato) trasferitosi 3°m:POS (136,72) 4°m:POS (26,85) 5°m:POS (24,35) 3.A.N. TB peritoneale ++- POS (1,24 UI) 3°m:NEG (-0,95) 4°m:NEG (0,32) 4.L.L. TB polmonare +++ Non eseguito Non eseguito cavitaria QFT = QuantiFERON®-TB Gold In Tube H = Isoniazide; R = Rifampicna; Z = Pirazinamide; E = Etambutolo; S = Streptomicina 56 Figura 7. Lettura Mantoux 19 29 negative +-+++++ 39 180 Tabella 4 PPD QFT Pos Neg TOT Pos 12 17 29 Neg 11 20 31 TOT 23 37 60 57 CAPITOLO 4 DISCUSSIONE Nell’ultimo ventennio, nei Paesi a bassa incidenza di Tubercolosi si è assistito ad un costante incremento dei casi di malattia tubercolare a carico della popolazione immigrata. Soggetti provenienti da aree ad alta endemia di infezione tubercolare rappresentano attualmente i principali attori dei flussi migratori verso i Paesi industrializzati e questo può solo in parte spiegare l’aumentata incidenza di TB in questi gruppi. È noto, infatti, che sono gli individui giovani e sani, con le maggiori possibilità di realizzare il progetto migratorio, quelli che scelgono di migrare, portando al cosiddetto effetto migrante sano21. Il vero problema è che questi soggetti perdono velocemente, in pochi anni, il loro patrimonio di salute per le condizioni igienico-sanitarie in cui si trovano a vivere, per lo stress da adattamento, per la malnutrizione, per la precarietà lavorativa, per le soluzioni abitative spesso inadeguate, per le difficoltà di accesso ai servizi sanitari. Inoltre, la maggior parte degli immigrati, in un qualsiasi momento del loro soggiorno nel paese ospitante, attraversano periodi di “clandestinità” prima della definitiva regolarizzazione, condizione che in se stessa, come già dimostrato da altri studi anche del nostro gruppo 51- rappresenta una causa importante di difficoltoso accesso alle cure. Tutte queste condizioni portano inevitabilmente ad un indebolimento delle difese immunitarie, con un’aumentata probabilità di sviluppare una TB attiva, da riattivazione endogena di un’infezione latente o da re-infezione esogena. Ne risulta che dal 30 al 60%, a seconda dei Paesi, dei casi di malattia tubercolare risultano essere a carico della popolazione immigrata, dato che ha subito una lenta e costante crescita parallelamente all’incremento dei flussi migratori. Da queste osservazioni nasce la necessità di istituire programmi di screening e prevenzione rivolti a questa popolazione, considerata ad alto rischio di sviluppare la malattia. Paesi come USA e Canada, che hanno ormai una lunga storia di immigrazione, hanno sviluppato politiche sanitarie in tal senso, per cui 58 soggetti che richiedano una residenza stabile negli USA devono essere sottoposti a screening per infezione latente da MT attraverso l’intradermoreazione secondo Mantoux29. In Canada, invece, tutti gli immigrati sono sottoposti a screening mediante radiografia del torace al fine di individuare focolai attivi o pregressi28. Per quanto riguarda la situazione italiana, nel 1998 il Ministero della Sanità ha emanato delle linee-guida nazionali per il controllo della malattia tubercolare, disponendo che l’applicazione fosse appannaggio delle Regioni17. Le linee-guida rispecchiano quelle internazionali, secondo cui lo screening deve essere rivolto ai gruppi ad alto rischio, tra cui gli immigrati provenienti da aree ad alta endemia, e dovrebbe essere condotto subito dopo l’arrivo nel Paese ospite mediante l’esecuzione del test cutaneo tubercolinico (Mantoux). In caso di positività cutanea in paziente asintomatico ed esente da lesioni polmonari, si dovrebbe procedere con la somministrazione della chemioterapia preventiva, Isoniazide per 6 mesi, onde evitare lo sviluppo di malattia attiva in un soggetto con infezione latente. In realtà non vi è accordo circa l’opportunità di una chemioprofilassi, vista la mobilità di questo tipo di popolazione e la conseguente possibilità di non aderire alla terapia, creando così nuove resistenze 52 Nella realtà italiana, sono le Regioni che devono valutare l’opportunità di applicare tali disposizioni e questo porta ad un quadro estremamente disomogeneo, con casi come il Veneto, in cui dal 1990 in 2 ASL sono stati attivati ambulatori preventivi di sanità pubblica per cittadini immigrati non regolari 53, mentre in altri casi non vi sono applicazioni concrete della legge e molto è lasciato al volontariato. Proprio in virtù di queste mancanze e grazie alla collaborazione con organizzazioni quali la Caritas Italiana e la Croce Rossa Italiana, la Clinica delle Malattie Infettive dell’Università di Foggia ha promosso un intervento di screening della popolazione immigrata, temporaneamente ospitata dal Centro di accoglienza e di prima identificazione di Borgo Mezzanone (FG), al fine di valutare lo stato di salute dei suddetti relativamente alle principali malattie infettive, quali TB, HIV,HBV ed HCV. Lo studio si è svolto in un intervallo di tempo di 17 mesi, da Ottobre 2003 a Marzo 2005, coinvolgendo 477 soggetti immigrati, ospiti presso il centro di Borgo 59 Mezzanone; a tutti i partecipanti è stata somministrata, previo consenso informato, l’intradermoreazione secondo Mantoux e sono stati effettuati prelievi di sangue per la ricerca di anticorpi anti-HIV, anti-HCV e dell’antigene HBs-Ag. I soggetti esaminati erano per la maggior parte giunti recentemente in Italia ed erano provvisti di un permesso di soggiorno per 6 mesi come richiedenti asilo, in attesa di essere riconosciuti e di ottenere lo status di rifugiati e risultavano pertanto iscritti al SSN. I soggetti privi di permesso di soggiorno erano invece considerati come STP (Stranieri Temporaneamente Presenti). La figura dell’STP, prevista dal Decreto Dini del 1995, ha per la prima volta introdotto il diritto alla tutela della salute di coloro che si trovano irregolarmente sul territorio italiano ed è stata successivamente trasformata in un codice, il codice STP appunto, che funge da tesserino sanitario temporaneo (6 mesi) per garantire agli irregolari il diritto alle “cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva. Sono, in particolare garantiti: [...] e) la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie infettive ed eventuale bonifica dei relativi focolai.”(Art.35, comma 3 del Testo Unico sull’immigrazione (D.L. 286/98)). Lo screening è stato condotto all’interno del campo, anche al fine di ridurre la perdita dei pazienti al follow-up, con sopralluoghi bisettimanali da parte di un’equipe della nostra Clinica. Nonostante ciò, in 210/477 (44%) soggetti non è stato possibile effettuare la lettura, a 48-72 ore, della reazione cutanea alla tubercolina, in quanto i pazienti non si sono presentati a controllo o avevano già lasciato il Centro di accoglienza per altra destinazione. Questo dato ci ha perciò indotti a cercare nuovi approcci diagnostici che non prevedessero la necessità di un secondo incontro con il paziente e che fossero meno soggettivi nell’interpretazione del risultato. Dal Settembre 2004 è stato dunque introdotto in questo screening, affiancato alla Mantoux, un nuovo test per la diagnosi di infezione latente da M. tuberculosis: il QuantiFERON®-TB Gold In Tube (QFT). Questo test in vitro, condotto su sangue intero, valuta la produzione di IFN-γ da parte dei linfociti T effettori in risposta ad antigeni specifici, mediante metodica ELISA. I vantaggi di 60 questo saggio, recentemente approvato dalla FDA, consistono nella oggettività dei risultati, nella necessità di un solo contatto con il paziente, nella maggiore specificità rispetto alla Mantoux47. Il QFT, infatti, utilizza degli antigeni specifici per MT (ESAT-6, CFP-10, TB7.7), assenti dal BCG e dalla maggior parte di NTM, portando ad una drastica riduzione dei falsi-positivi, che invece sono molto frequenti nel test cutaneo. Alcuni studi hanno riportato, per quanto riguarda il QFT, una sensibilità dell’89% ed una specificità del 98%, contro una sensibilità pari al 65,8% ed una specificità del 35,4% del test cutaneo50. In realtà, mancando un gold-standard nella diagnosi di infezione latente da MT, è difficile confrontare l’accuratezza delle due metodiche. Nella nostra analisi 60 soggetti sono stati studiati per infezione da MT sia con la tradizionale intradermoreazione secondo Mantoux che con il QuantiFERON®-TB Gold In Tube (QFT). La concordanza osservata tra i due test era del 53.3% con un valore K di Cohen pari a solo lo 0.06. Questa concordanza molto bassa è in parte spiegabile tenendo conto che non è stato possibile individuare in quali pazienti la reattività all’intradermoreazione alla Mantoux fosse dovuta a immunizzazione con BCG, né determinare il numero di falsi positivi per reattività crociata con i NTM. Più difficile è spiegare la positività a QFT in assenza di reazione al PPD, il che farebbe pensare all’associazione con una condizione di anergia responsabile di falsa negatività alla Mantoux o più semplicemente ad una maggiore sensibilità della attuale metodica QFT basata su un cocktail di 3 differenti antigeni di MT. La possibilità di falsi positivi al QFT non è attestabile sulla base dei nostri dati, ma è smentita da studi precedenti che sono concordi nell’attribuire a QFT una specificità elevata. Secondo alcuni, il metodo QFT è indicato per la diagnosi di infezione latente e non di malattia attiva, in quanto è stato osservato che durante la TB attiva si ha una depressione, precoce e duratura, della produzione di IFN-γ e di altre citochine immunoprotettive della serie TH 1 (IL-2), con un incremento delle molecole immunosoppressive (TGF-β, IL-10) 54, ma, nella nostra esperienza, i pazienti con malattia attiva sono risultati positivi al test ELISA al momento della diagnosi, anche se le concentrazioni di IFN-γ riscontrate erano molto variabili a 61 seconda dei soggetti e, di fatto, il cut-off utilizzato era arbitrario. Tutti i pazienti risultavano anche positivi all’intradermoreazione secondo Mantoux. L’utilizzo del QFT potrebbe risultare di grande aiuto anche nel monitorare l’efficacia della terapia antitubercolare, come sembrerebbero dimostrare alcuni studi iniziali, condotti finora utilizzando l’enzyme-linked immunospot (ELISPOT), in cui si è osservata una stretta correlazione tra la risposta clinicomicrobiologica e radiografica dopo tre mesi di terapia e la negativizzazione del test 55. Questi primi risultati, peraltro non confermati da altri studi, portano ad ipotizzare un possibile ruolo di questi nuovi test nel monitoraggio della terapia in pazienti con TB attiva, polmonare ed extrapolmonare, e nei soggetti con infezione latente in corso di chemioterapia preventiva45. Nella nostra, seppur iniziale e modesta, esperienza i livelli di IFN-γ riscontrati a seguito dell’inizio di terapia sembrano correlare correttamente con l’evoluzione del quadro clinico. Un limite all’impiego del QFT come metodica di screening su larga scala è senz’altro rappresentato dai costi. Mancano tuttora studi che valutino il rapporto costi-benefici dei due test a lungo termine, ma è possibile fare alcune considerazioni di carattere generale. L’intradermoreazione secondo Mantoux è la metodica di screening per MT più diffusa in tutto il mondo grazie alla sua semplicità e soprattutto al basso costo, ma se si considera che, nel caso di positività, si deve procedere ad ulteriori indagini e che numerosi sono i falsipositivi, si comprende come l’iniziale spesa irrisoria possa trasformarsi in un inutile spreco di risorse e in eventuali chemioprofilassi incongrue28,56. È importante valutare, ancora, la cross-reattività con Micobatteri ambientali (NTM) e con il BCG: in popolazioni come quella da noi analizzata, la copertura vaccinale è quasi del 100%, in quanto nei Paesi in Via di Sviluppo le campagne vaccinali sono state massicce portando alla vaccinazione di un’alta percentuale di neonati. Sfortunatamente non abbiamo potuto verificare tale dato, in quanto quasi nessuno dei partecipanti allo studio, interrogato sul proprio stato vaccinale, è stato in grado di rispondere. Se consideriamo i costi relativi all’utilizzo del QFT, invece, notiamo come questo test comporti una spesa iniziale maggiore, ma la sua alta specificità permetterebbe di evitare approfondimenti diagnostici in soggetti sani e terapie 62 preventive inutili. Anche l’esecuzione del test risulta più complessa, rispetto alla Mantoux, e più onerosa, dovendo disporre di un laboratorio attrezzato di centrifuga, spettrofotometro e termostato, il che ne limita fortemente l’utilizzo in aree endemiche. Il test, quindi, attualmente viene utilizzato solo in condizioni sperimentali, ma qualora risultasse valido nell’individuazione delle forme attive e per il monitoraggio della risposta al trattamento, ne sarebbe giustificato un impiego più ampio in ambito clinico . Sulla base dei nostri risultati, dunque, la scarsa concordanza tra i due test non ci permette di concludere che il QFT possa sostituire la Mantoux nello screening di massa. In rapporto alla popolazione immigrata da noi studiata, di fatto il vantaggio acquisito dalla certezza di lettura del risultato, non elimina la perdita al follow-up dei pazienti risultati positivi al test ma che non si sottopongono ad ulteriori controlli microbiologici e radiologici. Nel complesso, quindi, l’uso del QFT non ci ha permesso di aumentare le probabilità di selezionare correttamente i soggetti portatori di malattia attiva da sottoporre a trattamento, né ci è stato possibile seguire nel tempo i soggetti QFT positivi (verosimilmente portatori di infezione latente) per valutare il rischio di progressione a malattia attiva. Più promettente sembra invece l’applicazione del test in situazioni selezionate di sospetta infezione tubercolare per avvalorare il dato di riposta all’intradermoreazione alla Mantoux, ad esempio in quelle forme, come quelle extrapolmonari, in cui la diagnosi microbiologica di certezza è più difficile e richiede l’esecuzione di indagini invasive; di estremo interesse, poi, è l’utilizzo del test nel monitoraggio di risposta alla terapia, fermo restando la necessità di avviare a tale proposito trials clinici condotti su un numero sufficientemente alto di pazienti ed in condizioni standardizzate. La bassa percentuale di malattia da noi riscontrata fra gli immigrati sottoposti a screening nel campo di Borgo Mezzanone potrebbe essere spiegata sulla base della bassa età media (28 anni): si trattava quindi di una popolazione giovane (e pertanto meno suscettibile allo sviluppo di malattia attiva), indagata al momento dell’ingresso in Italia, quando ancora l’effetto migrante sano fa sentire il suo peso. 63 Inoltre la perdita al follow-up di soggetti risultati positivi ad uno dei test di screening, non ha reso possibile procedere con ulteriori indagini diagnostiche e questo può aver determinato, come già discusso in precedenza, una sottostima dei casi di infezione attiva. Infatti, su 104 soggetti risultati positivi alla Mantoux o al QFT o ad entrambi, solo 40 (38,5%) si sono presentati presso il nostro ambulatorio per ulteriori accertamenti. Tale dato può essere giustificato dalla tipologia dei pazienti e soprattutto dalla loro precarietà abitativa. Stiamo infatti parlando di immigrati appena giunti in Italia, prevalentemente richiedenti asilo, che sono temporaneamente ospitati dal Centro di Borgo Mezzanone e che facilmente lasciano il territorio per raggiungere altre destinazioni. Accanto a queste difficoltà logistiche, va tenuto in considerazione un problema emerso chiaramente dal rapporto con questi pazienti e relativo alla diversa percezione di malattia, legata alla cultura del paese d’origine, in particolare per quanto riguarda la TB, in quanto malattia infettiva e contagiosa che necessita di un grosso impegno terapeutico. Questo ha comportato in molti casi la difficoltà di far comprendere l’importanza di sottoporsi a tutto l’iter diagnostico e di aderire a terapie così lunghe e complesse come quelle antitubercolari e, di conseguenza, ha determinato un maggior rischio di mancata compliance. Al fine di evitare ciò, si è ricorso all’aiuto di mediatori culturali e di strutture del volontariato che potessero accompagnare e sostenere nel tempo questi soggetti. È stato importante, inoltre, motivare i pazienti a seguire rigorosamente lo schema terapeutico e a rispettare i controlli periodici, spiegando loro le possibili conseguenze della mancata aderenza. L’approccio da noi seguito ha permesso di avvicinare le strutture sanitarie a soggetti che spesso non conoscono i loro diritti e che temono di essere denunciati ed espulsi dal Paese se vi ricorrono. Molti degli immigrati esaminati, pur esenti dalle malattie infettive da noi investigate, hanno successivamente fatto riferimento al nostro ambulatorio per i loro bisogni di salute, dimostrando la necessità di una maggiore accessibilità ai servizi e di una maggiore informazione. 64 CAPITOLO 5 CONCLUSIONI Dall’esperienza condotta sul campo si è avuta conferma della necessità di attuare concretamente dei programmi di screening rivolti agli immigrati, in particolare a coloro che vivono in condizioni disagiate o che sono giunti in Italia in situazioni ad alto rischio per la salute. Parallelamente sono emerse anche le reali difficoltà nell’applicazione di tali programmi. La perdita dei soggetti al follow-up è il primo grande ostacolo, in quanto può rendere inutile questo dispiego di energie. La disinformazione riguardo alle garanzie a tutela della salute degli immigrati, da parte degli stessi ma anche degli operatori sanitari, il timore di essere denunciati e rimpatriati, qualora in condizione di irregolarità, e la precarietà abitativa, sono tutte condizioni che impediscono all’immigrato di rivolgersi alle strutture sanitarie, creando una pericolosa barriera. In quest’ottica appare chiaro lo stretto legame esistente tra gli aspetti giuridico-legislativi, dunque politici, e quelli socio-sanitari e la necessità di una più ampia e capillare informazione e di una maggiore fruibilità dei servizi da parte di questa particolare categoria. Un ulteriore problema è quello della distanza culturale e linguistica tra le strutture sanitarie e i soggetti immigrati. La figura del mediatore culturale ha la funzione di colmare questa distanza, ma sappiamo bene quanto sia importante un rapporto medico-paziente diretto per ottenere la fiducia del paziente. Sarà importante dunque, nel futuro, formare medici sempre più transculturali, ovvero aperti all’incontro con nuove culture e con diverse percezioni di salute e malattia. I dati raccolti nel corso di questo screeening confermano nel complesso l’impressione, già suffragata da altri studi, che la popolazione immigrata, al momento dell’ingresso nel Paese, sia sostanzialmente una popolazione sana, 65 prevalentemente composta da giovani uomini e che quindi la slatentizzazione dell’infezione tubercolare, o l’acquisizione di nuove infezioni, venga a dipendere da condizioni che si instaurano dopo l’arrivo nel nostro Paese, verosimilmente in ragione di precarie condizioni abitative e lavorative. Infine, l’uso di due metodiche diagnostiche a confronto per la diagnosi di infezione latente da MT, ci ha indotti a ritenere il QuantiFERON®-TB Gold In Tube una possibile risorsa per il futuro della lotta globale alla TB, pur con la necessità di ulteriori e più approfonditi studi in merito. 66 BIBLIOGRAFIA 1 Raviglione MC, O’Brien RJ. Tubercolosi. In: Harrison-Principi di medicina interna. Quindicesima edizione.Malattie infettive (pp302-316).Milano: Mc Graw Hill. 2002 2 Monno L. Tubercolosi. In: Argomenti di malattie tropicali. A cura di Scotto G.(pp175-195). Moruzzi’s Group s.r.l. Bologna.2004 3 World Health Organization. Summary of Global Tuberculosis Control. WHO Report 2004 www.who.int/tb/en/ 4 EuroTB-WHO 2004. Surveillance of tuberculosis in Europe. Draft report on tuberculosis cases notified in 2002.Country profiles. Italy. www.eurotb.org/country_profiles/italy.pdf 5 Moroni M, d’Arminio Monforte A. Tubercolosi. In: Moroni M., Esposito R., De Lalla F. 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